C.W. Leadbeater Come Si Sviluppa La Chiaroveggenza

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Come si sviluppa la chiaroveggenza1

C.W. Leadbeater “Come si acquista la chiaroveggenza? Se questa facoltà è latente in

ogni uomo, come possiamo svilupparla in noi, e conoscere direttamente il

mondo meraviglioso di cui ci parlano coloro che la posseggono?”. Ecco la domanda che si fa generalmente, appena si son studiati i fenomeni di chiaroveggenza abbastanza da persuadersi che si tratta di cosa seria e reale. A questa domanda si può rispondere che ci sono molti metodi per acquistare tale facoltà, ma che la maggior parte di essi è pericolosa e sconsigliabile, mentre uno solo può, senza restrizioni, raccomandarsi a tutti egualmente.

Per ben comprendere la cosa e scorgere i pericoli da evitarsi, consideriamo attentamente ciò che si deve fare per sviluppare la chiaroveggenza.

In tutte le persone colte delle razze superiori le facoltà del corpo astrale sono ormai completamente sviluppate, ma non si ha l’abitudine di adoprarle; esse sono cresciute in noi lentamente, durante la nostra lunga evoluzione, ma appunto perché ci sono venute così gradatamente, noi non ci siamo ancora accorti di possederle ed esse sono finora, in gran parte, strumenti inoperosi nelle nostre mani. Le facoltà fisiche, a cui siamo abituati, eclissano le altre e ne nascondono perfino l’esistenza, precisamente come la luce del sole nasconde ai nostri occhi la luce delle stelle più lontane. Due cose dunque si debbono fare per entrare in possesso di questa parte del nostro retaggio quali esseri umani evolventi: tenere le facoltà fisiche un po’ in disparte e abituarsi ad impiegare le altre, che ci sono per ora meno familiari. Per fare la prima cosa, cioè tenere in disparte per un certo tempo le facoltà fisiche, esistono parecchi metodi, che si possono dividere in due grandi classi: una comprende i metodi per cui mezzo tali facoltà possono venire violentemente soppresse; l’altra comprende i metodi, molto più lenti, ma infinitamente più sicuri, con i quali noi stessi possiamo acquistare il dominio su di esse. La maggior parte dei metodi, che insegnano la soppressione violenta delle facoltà fisiche, è più o meno dannosa al corpo fisico e tutti hanno qualche inconveniente che li rende poco desiderabili.

Uno di questi inconvenienti è di lasciare l’uomo in condizione passiva, capace forse di far uso dei suoi sensi superiori, ma con poca scelta sul modo d’impiegarli e in gran parte indifeso contro le spiacevoli influenze a cui potrebbe trovarsi esposto. Altro inconveniente è che i poteri acquistati in tal modo possono esser solo temporanei: alcuni metodi conferiscono i poteri solo durante il periodo limitato di loro azione, ed anche i migliori dotano l’uomo di certe facoltà soltanto durante la vita fisica presente. In oriente, dove queste cose si studiano da centinaia di anni, i metodi di sviluppo son stati divisi in due classi, appunto secondo i criteri suaccennati, cioè: “laukika” e

“lokoihra”. Tutto ciò che si acquista col primo è inerente soltanto alla personalità e quindi serve solo per la presente vita fisica; mentre ciò che si acquista col secondo è acquisito dall’Ego, dall’anima, dall’uomo vero ed è quindi un possesso permanente, che passerà da una vita terrena ad un’altra.

Per la maggior parte dei metodi della prima classe non occorre che un piccolo allenamento dei veicoli; ma allorché l’uomo ritorna ad una nuova incarnazione con veicoli nuovi, tutto il lavoro è perduto; mentre col secondo metodo è l’Ego stesso che subisce l’allenamento, che impara a dominare i suoi veicoli, e naturalmente potrà applicare i poteri e le conoscenze acquisite ai nuovi veicoli, nella nuova vita.

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Enumererò dapprima alcuni dei metodi poco consigliabili, che sono in uso in vari paesi per sviluppare la chiaroveggenza.

Fra le tribù non ariane dell’India essa è ottenuta spesso per mezzo di droghe: bhang, hashish ed altre dello stesso genere, le quali assopiscono il corpo fisico, all’incirca come fanno gli anestetici, e l’uomo resta così libero nel suo veicolo astrale, come durante il sonno, ma con molta minore possibilità d’essere svegliato. Prima di prendere il soporifero, l’uomo fissa con intensità nella mente l’idea di mettere in attività i suoi sensi astrali e quindi, appena libero, cerca di usare le sue facoltà e con l’esercizio vi riesce, almeno fino ad un certo punto. Quando poi il corpo fisico si sveglia, la persona ricorda più o meno le impressioni ricevute, cerca d’interpretarle ed acquista così reputazione di esser dotato di chiaroveggenza e di previsione. Talvolta durante la trance può anche servire da medium a qualche morto, precisamente come qualunque altro medium.

Altri riescono a mettersi in condizione di trance inalando esalazioni stupefacenti, prodotte di solito bruciando una miscela di aromi. La chiaroveggenza delle antiche pitonesse era probabilmente spesso di questo genere. Si asserisce che nel caso di uno dei più celebri oracoli dei tempi antichi, la sacerdotessa sedeva sempre su d’un tripode, posto sulla fenditura d’una roccia, da cui salivano vapori; e che dopo averli aspirati per qualche tempo essa cadeva in trance; e allora qualche altra entità parlava per mezzo suo, nel modo usuale delle sedute spiritiche. Non è difficile capire quanto poco desiderabili siano questi metodi, dal punto di vista dello sviluppo reale dell’uomo.

Tutti probabilmente hanno sentito parlare delle danze dei dervisci, una parte della cui religione consiste appunto in danze strane ed estatiche, nelle quali essi girano freneticamente su se stessi, in una specie di delirio, finché, presi da vertigine, cadono insensibili al suolo. Durante questa trance, compresi come sono di fervore religioso, essi hanno spesso visioni straordinarie e possono, fino ad un certo punto, esperimentare fenomeni del piano astrale e ricordarli. Io ho assistito alle pratiche degli obeah o woodoo fra i negri ed è innegabile che, date condizioni favorevoli, esse sono efficaci a produrre certi risultati, ma esse sono generalmente collegate a cerimonie magiche ripugnanti, indecenti, orribili, tali che nessuno di noi vorrebbe per nulla al mondo neppure avvicinarsi ad esse, qualunque risultato potesse ripromettersene. Invero, nessuno di questi metodi è commendevole, quantunque io sappia di europei che si sono lasciati indurre ad esperimentarli.

In occidente abbiamo altri metodi, anch’essi pericolosi; metodi di autoipnotizzazione, che chiunque aspiri a svilupparsi puro ed esente da pericoli deve assolutamente evitare. Si consiglia da alcuni di fissare a lungo un punto luminoso, finché sopravvenga la paralisi dei centri cerebrali, e per tal modo si resti in tale stato di passività fisica, da permettere ai sensi astrali di mettersi in azione. Naturalmente, tale condizione non concede più alcuna facoltà di selezione delle impressioni che si ricevono; si resta in balìa d’ogni sorta d’influenze buone e cattive e, purtroppo, è assai probabile, che siano cattive!

Talvolta l’autoipnotizzazione si ottiene recitando certe formule, la cui ripetizione sopprime temporaneamente le facoltà mentali, come il guardare un punto luminoso. Il poeta Tennyson dice che egli poteva, ripetendo il suo nome rapidamente più volte, passare in un altro stato di coscienza. Il poeta scrive questo in una lettera datata da Faringford, Freshwater, Isle of Wight, 7 maggio 1874 e indirizzata ad un signore che gli aveva comunicato alcune strane esperienze avute sotto l’azione degli anestetici. In risposta Tennyson gli scrive: “Io non ho mai avuto alcuna

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rivelazione per mezzo degli anestetici, ma ho avuto spesso una specie di

trance allo stato di veglia (adopero questa in mancanza d’una più esatta espressione fin dalla mia infanzia, quando mi son trovato tutto solo e

questo stato mi sopraggiungeva se ripetevo più volte a me stesso

tacitamente il mio nome, finché, ad un tratto per l’intensità stessa

della coscienza della mia individualità, essa sembrava dissolversi e

svanire in un essere senza confini. Questo nuovo stato di coscienza non

era confuso, bensì più chiaro d’ogni altro, più sicuro, assolutamente al

di là d’ogni parola; in esso la morte pareva cosa visibilmente

impossibile, e la perdita della personalità, se pure essa esisteva,

pareva non una estinzione, ma la sola vera vita. Io mi vergogno di questa

mia pallida descrizione: non ho detto d’altronde che tale stato è

assolutamente al di là d’ogni parola? Questa è per me la più grande ed

evidente dimostrazione che il mio spirito può trasferirsi in un altro

stato di esistenza e che esso è non solo reale, chiaro, semplice, ma

anche infinito in visione, ed eterno in durata”. Qui si tratta indubbiamente di un barlume di vita superiore.

Chiunque abbia pratica della realtà dei piani superfisici non può fare a meno di riconoscerli in questa descrizione, ancorché il poeta s’arresti giusto al confine di un mondo infinitamente più grande. Egli sembra essersi condotto in modo più positivo di molti altri, che s’occupano leggermente di queste cose, senza avere l’istruzione e le conoscenze necessarie per farlo e così egli raggiunse la certezza che l’anima esiste separatamente dal corpo fisico. Pure neanche il suo metodo è da raccomandarsi.

Altri ancora dicono che la chiaroveggenza può venir sviluppata per mezzo di esercizi di respirazione e questo sistema è raccomandato e largamente adottato in India. È vero che in tal modo si può sviluppare un certo genere di chiaroveggenza, ma troppo spesso a costo della salute fisica e mentale. Molti hanno tentato questo metodo in Europa ed in America, ed io lo so personalmente, perché alcuni che avevano rovinato così la loro costituzione e che eran giunti fino alla pazzia, sono venuti da me per sapere come avrebbero potuto curarsi. Alcuni erano riusciti ad avere la visione astrale tanto da sentirsi continuamente circondati da cosiddetti spiriti, altri, senza arrivare a tal punto, avevano così rovinato la loro salute fisica, o indebolito la loro mente, da trovarsi nella massima disperazione; solo uno o due dichiararono che da tali pratiche avevano ottenuto qualche bene fisico.

Questi esercizi vengono impiegati in India dagli Hatha Yogi, cioè da coloro che cercano di svilupparsi piuttosto con mezzi fisici che con mezzi morali e spirituali, ma fra di essi tali pratiche vengono usate sotto la guida diretta di insegnanti responsabili delle conseguenze, i quali sorvegliano l’allievo e sospendono subito gli esercizi, se vedono che non siano adatti a lui. Per gente che non sa nulla o poco di queste cose, il tentarli senza discernimento è insensato e pericoloso, poiché le pratiche utili ad uno possono riuscir disastrose ad un altro. Anche se riuscissero bene in un caso su cinquanta, è probabilissimo che non si adatterebbero agli altri quarantanove ed io consiglierei sempre di astenersene, se non si è diretti da un insegnante competente che comprenda bene che cosa si tratta di fare. È così facile farsi del male in questo modo che l’esperimentare leggermente e senza sicura scienza, è come andare in una farmacia e prendere medicine a casaccio: può essere che s’indovini a prendere proprio quella che occorre, ma è molto probabile anche il contrario e più facile anzi il secondo del primo caso.

La chiaroveggenza può anche svilupparsi col mesmerismo: accade cioè talvolta che una persona, fatta cadere in trance mesmerica da un’altra, riesca, durante questa trance a vedere astralmente. Il mesmerizzatore

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domina completamente la volontà del mesmerizzato, le facoltà fisiche di questo restano per il momento del tutto assopite e lasciano al mesmerizzatore il campo aperto per stimolare in lui i sensi astrali ed infondere vitalità nel suo corpo astrale.

Con questo metodo si sono ottenuti buoni risultati, ma per essere esente da pericolo richiede un complesso di circostanze difficili a riunire; cioè uno sviluppo quasi sovrumano di purità di pensiero e di intenzioni, tanto nell’operatore che nel soggetto. Il mesmerizzatore acquista una grande influenza sul suo soggetto, un’influenza assai più grande di quanto si suppone e che può venire usata anche inconsciamente, perché qualunque qualità di cuore o di mente da lui posseduta vien prontamente trasmessa al soggetto; e se il mesmerizzatore non è interamente puro, è facile capire a quali pericoli si vada incontro. Andare in trance vuol dire deporre temporaneamente la propria individualità, e ciò non è mai bene negli esperimenti psichici; la cosa poi diventa pericolosissima se l’operatore non è dotato della più alta purezza di pensiero, di parole e di azioni; e quanto sia difficile trovar tutto questo noi sappiamo bene. Per mio conto non mi sottometterei mai a tal processo, né consiglierei alcuno a sottomettervisi.

Nulla v’ha da obiettare alla pratica del mesmerismo curativo, fatta da coloro che se ne intendono, poiché in essa non è necessario mettere il soggetto in stato di trance. Si può benissimo alleviare un dolore, guarire una malattia, od infondere vitalità in un uomo, per mezzo di passi magnetici, senza farlo cadere in trance: ma è bene che chi si accinge a tali operazioni si metta al corrente di quanto è stato insegnato in proposito, poiché, anche se si hanno buone intenzioni, è sempre pericoloso mettere in gioco forze che non si conoscono e che quindi, per chi opera, sono ancora forze anormali.

Ma se nessuno di questi metodi per lo sviluppo della chiaroveggenza è raccomandabile, quale dunque, si dirà, è il modo consigliabile e sicuro? Generalmente parlando, sono buoni i metodi che invece di sopprimere forzatamente le facoltà del corpo fisico, educano l’Ego a dominarle, e il modo più sicuro per riuscire è di affidarsi ad un istruttore competente e di fare soltanto quel ch’egli consiglia. Ma si domanderà: dove trovare questo insegnante qualificato? Non certamente fra quelli che fanno a se stessi la reclame di maestri; non fra quelli che prendono denaro in cambio del loro insegnamento e che offrono di vendere i misteri dell’universo per lire e centesimi. La conoscenza può acquistarsi ora dove si è acquistata sempre con profitto sicuro, cioè presso i veri Maestri della grande scienza dell’anima, della quale noi, nei nostri studi più profondi, cominciamo appena ad avere qualche barlume.

É sempre esistita in tutti i tempi una grande Fraternità di uomini che sanno, ed essi sono stati sempre pronti ad insegnare la loro dottrina a coloro cui era giusto che fosse insegnata, poiché per questo essi l’hanno acquisita: per poter guidare ed aiutare. E come si possono raggiungere questi Maestri? Non con il corpo fisico certamente; non li riconosceremmo neppure se ci accadesse d’incontrarli; ma essi possono giungere fino a noi e vengono immancabilmente, quando vedono che siamo pronti al lavoro per aiutare il mondo. Il loro maggiore interesse è di spingere l’evoluzione, aiutare l’umanità; e siccome hanno bisogno di uomini devoti a questo lavoro, vigilano continuamente per trovarne, e nessuno che sia pronto ad esso tema di passare inosservato al loro sguardo. Essi non soddisferanno mai la mera curiosità; non aiuteranno mai colui che desidera acquistar poteri per se stesso soltanto; ma quando un uomo avrà dimostrato con lunga e diligente disciplina, e con l’uso altruistico dei poteri già acquistati, che il suo volere è forte ed il

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cuore puro abbastanza da sopportar la sua parte nel divino lavoro, allora e forse nel modo più imprevisto potrà divenir conscio della loro presenza e del loro aiuto. Questi Maestri hanno fondato, è vero, la Società Teosofica, ma l’esser membro della Società non è sufficiente a mettere in relazione con essi, e neppure basta l’esser membri di quella Scuola Interna, per mezzo della quale la Società offre di ammaestrare i suoi membri più zelanti. È ben vero che dalle file della Società sono stati scelti alcuni individui per venire a più intimo contatto con essi; ma nessuno può garantire che questo accada a tutti i membri della Società, poiché la scelta dipende da Loro, ed essi vedono più profondamente nei cuori umani di quanto vediamo noi. Ma siate sicuri di questo, o voi che aspirate alla vita superiore, a qualcosa di più elevato di quel che questo basso mondo può dare, siate certi che essi non sdegnano alcuno sforzo onesto e che lo riconoscono sempre, dando per mezzo dei loro allievi l’insegnamento e l’aiuto migliori per la persona nel suo stato presente.

Intanto, mentre cerchiamo di avanzare in ogni modo lungo il sentiero del progresso, possiamo far molto, se lo desideriamo, per raggiungere al più presto il potere della chiaroveggenza, ricordando però che questo potere in se stesso non è un segno di grande sviluppo, ma solo uno dei segni, e che l’uomo deve avanzare simultaneamente in molte direzioni per raggiungere la mèta della sua perfezione. L’intelletto dello scienziato, per esempio, è sviluppatissimo, eppure a volte gli manca la forza meravigliosa che viene dalla devozione. Splendida è la devozione del gran santo, a qualunque religione appartenga, pure può essere limitato in lui il divino potere dell’intelletto: ciascuno deve acquistare quel che gli manca prima d’essere perfetto.

Noi ora siamo tutti sviluppati in modo ineguale; chi più in un senso chi più in un altro, secondo il modo con cui abbiamo lavorato nelle vite passate ma possiamo, sforzandoci in una direzione od in un’altra, acquistare le qualità che desideriamo.

Se qualcuno crede di far bene dirigendo i suoi sforzi all’acquisto della chiaroveggenza, può fare molto in tal senso. Non parlo qui di una possibilità vaga, ma di un fatto preciso, poiché parecchi membri della nostra Società si sono accinti, anni sono, alla disciplina dell’anima verso il progresso permanente, e quasi tutti quelli che hanno perseverato senza esitazione, hanno già fin d’ora ottenuto qualche risultato. Alcuni hanno acquisito l’uso completo di facoltà superiori, altri solo parzialmente, ma in tutti i casi il fatto stesso di sforzarsi a dominare la mente e le passioni ha portato qualche profitto.

Se desiderate dunque la visione dei piani superiori, assumete la vostra propria disciplina. Assicuratevi prima di tutto del vostro sviluppo morale e mentale, perché se riusciste nei vostri sforzi ed acquistaste i poteri che desiderate, senza aver prima acquisito le altre qualità necessarie, essi riuscirebbero una maledizione e non una benedizione; voi ne abusereste certo e peggiorereste il vostro stato, invece di migliorarlo.

Quando sarete perfettamente sicuri di voi stessi, quando sentirete di poter fare in tutte le circostanze il bene per il bene, anche contro i vostri apparenti interessi terreni, di poter scegliere sempre la linea di condotta più altruista, di poter dimenticare voi stessi per amor degli altri, allora avrete a vostra disposizione due metodi almeno, che potranno condurvi alla chiaroveggenza, senza pericolo, anche se non otteneste in essi alcun risultato. Il primo di questi metodi, quantunque perfettamente innocuo ed anzi utile, non si adatta a tutti; il secondo è di applicazione universale ed io stesso so che entrambi sono efficaci.

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Il primo metodo è puramente intellettuale: ed è lo studio della quarta dimensione dello spazio. Il nostro cervello fisico è stato sempre avvezzo a considerare soltanto tre dimensioni nello spazio e si sente incapace ad affrontare il problema di una quarta dimensione. Ma il cervello, come qualunque altra parte del nostro organismo fisico, può essere disciplinato, per mezzo di sforzi regolati, graduali, costanti, a far cose che parevano dapprima assolutamente al di là della sua portata e quindi può essere indotto a concepire le forme di un mondo dissimile dal nostro.

Il principale apostolo della quarta dimensione è il signor C.H. Hinton, di Washington. Egli non è membro della nostra Società, ma ha reso a molti dei nostri consoci un segnalato servigio, con i suoi scritti meravigliosamente chiari su questo soggetto. In un suo libro egli dice d’essere riuscito a sviluppare, nel proprio cervello fisico, la facoltà d’una concezione più elevata ed uno dei nostri consoci, seguendo le sue tracce, ha raggiunto la possibilità di percepire le forme astrali, svegliando così la vera e propria chiaroveggenza astrale, la quale non è altro che l’estensione del potere ricettivo fino ad includere la materia astrale. Probabilmente su venti che intraprendano questo studio, uno solo potrà riuscire così bene e così presto come la persona a cui ho accennato ma in ogni modo, questo studio è dei più affascinanti per coloro che hanno disposizione alle matematiche e se anche non arreca aumento di facoltà percettiva porta certo, e non è poco, ad una più ampia comprensione del mondo. Per chi manca assolutamente di visione astrale, questo è l’unico metodo che io conosca, per mezzo del quale si possa concepire l’apparenza degli oggetti astrali ed avere un’idea precisa di che cosa sia realmente la vita astrale.

Ma se questo metodo conviene solo a pochi, il secondo è di applicazione universale. Anch’esso non è facile, ma la sua pratica non può non riuscire di grande utilità ed il suo pregio principale è di condurre senza fallo l’uomo verso l’acquisto dei poteri che desidera. Certo la rapidità con cui si procede dipende dal grado di sviluppo già fatto in tale via durante le vite precedenti, ed è quindi impossibile garantire il successo a tempo determinato, ma ogni passo che si fa è tanto di guadagnato, e se anche si dovesse lavorar tutta una vita senza raggiungere la visione astrale, si sarebbero ottenuti tali progressi mentali, morali ed anche fisici da non dover rimpiangere gli sforzi fatti.

Questo metodo è chiamato in varie religioni metodo di meditazione. Per esaminarlo io lo dividerò in tre gradi successivi: concentrazione, meditazione e contemplazione, e spiegherò che cosa intendo con queste tre parole; ma non si dimentichi che per riuscire non bastano gli esercizi e che è assolutamente necessario che chi vuole imparare i secreti della vita, conduca una vita pura ed altruista. Le regole del grande progresso non sono segrete, i passi sul Sentiero della Santità son noti al mondo da secoli, e nel mio piccolo libro Aiutatori invisibili ne ho dato una lista, secondo gli insegnamenti del Buddha, indicando le caratteristiche proprie di ogni stadio. Né v’ha difficoltà alcuna ad imparare quel che si deve fare, il difficile è mettere in pratica quello che viene insegnato. Il primo passo verso l’acquisto della chiaroveggenza superiore è la concentrazione; non il fissare un punto lucente fino a perdere coscienza di sé, ma l’acquistare tale dominio sulla propria mente, da esserne assolutamente padroni e da poterla fissare dove si vuole e per tutto quel tempo che occorre. Non è compito facile, lo so; è anzi uno dei più difficili che l’uomo conosca, ma è cosa possibile ed è stata fatta, non da uno, bensì da migliaia di uomini che avevano volontà ferma e costante.

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Generalmente non si presta attenzione alla grande mobilità della mente: ma provate a fermarvi improvvisamente quando passeggiate per la via o quando andate in carrozza ed esaminate quello che pensate e perché; cercate di seguire a ritroso il corso dei vostri pensieri fino alla sua gènesi e sarete probabilmente sorpresi di trovare quanti pensieri saltuari hanno attraversato il vostro cervello durante i precedenti cinque minuti, affacciandosi e scomparendo quasi senza lasciare impressione: pensieri non vostri ma solo frammenti di pensieri che altri ha emesso. Ogni pensiero è una forza, ed ogni volta che è messa in azione lascia una traccia. Un pensiero forte rivolto ad una persona qualunque va a lei, un pensiero forte rivolto a noi stessi s’attacca a noi ma molti pensieri non sono né forti, né specialmente diretti ad alcuno; le forme che essi creano sono vaghe, fluttuanti ed evanescenti, e nel tempo della loro durata possono entrare in qualunque mente si trovi a loro portata. Noi tutti ci lasciamo dietro come una debole scia di pensieri, e chi passa dopo di noi, se non ha la mente occupata in qualcosa di preciso, può raccogliere qualche frammento che, nella maggior parte dei casi, torna ad uscire, lasciando nel cervello dov’è passato solo una debolissima impressione. Ma se uno di questi pensieri capita nel cervello di qualcuno in cui desti interesse, che lo raccolga e vi si soffermi, esso ne esce un po’ rinforzato da quel tanto di forza che vi ha aggiunto il nuovo pensatore, il quale inoltre, facendolo suo per un momento, lo ha colorato della propria personalità. Ogni volta che entriamo in una stanza, entriamo in una nuvola di pensieri buoni, cattivi o indifferenti, secondo i casi, e formanti generalmente una massa nebulosa senza scopo, che non merita neppure il nome di pensiero.

Se si desidera sviluppare qualche facoltà superiore è necessario acquistare il dominio della mente e darle un lavoro definito, invece di lasciarla vagare a suo piacimento, attraendo ogni sorta di pensieri non nostri ed inutili. La mente deve essere divenuta nostra serva, invece che nostra padrona, prima che possiamo fare il primo passo verso la vera chiaroveggenza; poiché essa è l’istrumento che dovremo adoperare ed è necessario che sia completamente sotto il nostro comando.

La concentrazione è una delle cose più difficili per l’uomo comune, perché egli non ha alcuna pratica in tale esercizio, anzi non comprende come sia tanto necessaria. Pure basterebbe che egli pensasse a che cosa accadrebbe se egli fosse così poco padrone della sua mano come lo è della sua mente! Si sentirebbe come paralizzato e troverebbe la sua mano divenuta per lui inutile cosa. Orbene: il non poter dominare la propria mente è pericoloso come una paralisi mentale e ci si dovrebbe esercitare fino a fare della mente un istrumento che si adopera come si vuole. Fortunatamente questo esercizio di concentrazione può praticarsi durante tutta la giornata, in mezzo alle occupazioni della vita quotidiana: qualunque cosa si debba fare, la si faccia completamente, attendendovi con tutta la mente: se si scrive una lettera, si pensi ad essa ed a null’altro finché non sia finita; essa sarà scritta tanto meglio per la diligenza messavi. Se si legge un libro, si fissi su di esso tutta l’attenzione e si cerchi di afferrare interamente il pensiero dell’autore. È necessario essere sempre consapevoli di quello che si pensa e del perché si pensa; bisogna tener la mente sempre rivolta ad un lavoro intelligente e non lasciarle tempo d’impigrirsi nell’ozio, perché è in tali momenti che essa accoglie dall’ambiente i cattivi pensieri.

Sempre e dovunque è possibile concentrarsi, purché l’interesse sia abbastanza intenso: quando la mente è del tutto assorbita, non si ode né si vede più nulla di quanto accade d’intorno.

In oriente si racconta a questo proposito un aneddoto. Alcuni cortigiani non volevano credere che un asceta potesse essere così assorto

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nella sua meditazione, da non accorgersi di un esercito che passava vicino a lui, mentre egli sedeva sotto un albero immerso ne’ suoi pensieri. Il re, ch’era presente ai loro discorsi, li assicurò che sarebbe riuscito a provar loro come questo fosse possibile e lo fece in modo veramente orientale ed autocratico.

Fece portare alcuni vasi da acqua riempiti fino all’orlo ed ordinò ai cortigiani di prenderne uno per ciascuno e di portarli in giro per la città, pena la vita se ne lasciavano cadere una goccia. Li avrebbe accompagnati un drappello di guardie colla spada sguainata in mano, pronte ad eseguire il comando del re. I cortigiani partirono pel loro giro pieni di terrore, ma lo compirono tutti felicemente ed il re, accogliendoli sorridente, domandò loro gli incidenti della gita e la descrizione delle persone che avevano incontrato. Non uno seppe rispondere una parola; tutti asserirono d’essere stati talmente assorti nell’idea di sorvegliare il proprio vaso, da non poter più occuparsi d’altro: “Allora”, soggiunse il re, “siete ora persuasi che quando v’è un sufficiente interesse, è possibile la concentrazione?”.

Raggiunta la facoltà di concentrazione, non sotto l’impulso della paura, come nel caso dei cortigiani, ma per solo esercizio della volontà, si può con profitto tentare lo stadio seguente. Non dico che neppur questo sia facile, al contrario è molto difficile, ma può farsi e molti di noi vi sono riusciti. Quando la mente è divenuta uno strumento nelle nostre mani, si provi la meditazione: si scelga un tempo fisso della giornata in cui si possa restare indisturbati; il mattino di buon’ora sarebbe per molte ragioni il miglior tempo per la meditazione, se nella vita che ci è imposta dalla civiltà moderna non fosse difficile averlo a nostra disposizione. Noi abbiamo talmente sconvolto, coi nostri costumi, la disposizione della giornata, che il mezzogiorno non è più il suo punto di mezzo, come dovrebbe essere; generalmente stiamo a letto fin molto dopo il levar del sole e restiamo alzati, danneggiando i nostri occhi alla luce artificiale, molto dopo ch’esso è tramontato. Infine scelga ognuno il tempo che può, purché sia lo stesso ogni giorno, e non ne passi uno senza il regolare esercizio. È noto a tutti che se ci si vuole addestrare a qualche esercizio fisico, vi si riesce assai meglio se si fa un esercizio, anche piccolo, ma regolarmente ogni giorno, che se si fa uno sforzo violento un giorno e poi nulla per una settimana.

Così pure nella meditazione la regolarità dell’esercizio ha molta importanza. Sedete comodamente dovunque possiate rimanere indisturbati e volgete la vostra mente, con tutto il potere di concentrazione che avrete sviluppato, a qualche soggetto scelto da voi stessi e che richieda pensieri alti ed utili. Negli studi teosofici abbondano soggetti di questo genere, i quali uniscono il più profondo interesse al più grande profitto ma se lo preferite, potete prendere una qualità morale, come consiglia pure la Chiesa Cattolica nelle sue prescrizioni riguardo a questo esercizio, nel qual caso considererete nella vostra mente questa qualità sotto tutti i suoi aspetti, osserverete come faccia parte essenziale dell’ordine divino, come si manifesti in Natura intorno a voi, come sia stata praticata dai grandi del passato, come, forse, abbiate mancato di praticarla, e così di seguito. Tale meditazione su di un’elevata qualità morale è un eccellente esercizio, perché non solo addestra la mente, ma tiene presente ad essa costantemente un pensiero elevato. In generale è meglio cominciare a meditare su soggetti concreti, e quando questi riescono facili, passare alle idee astratte.

Quando la meditazione giornaliera è divenuta un’abitudine fissa, che nulla può più disturbare, quando si riesce a compierla bene senza senso di sforzo o di difficoltà, e senza che neppure un pensiero estraneo s’insinui nella mente durante la meditazione, allora si può affrontare il

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terzo stadio: la contemplazione. Ma si ricordi che è impossibile riuscire in essa prima d’aver interamente conquistato la mobilità della mente. Per lungo tempo si troverà che durante la meditazione i pensieri vanno deviando senza che uno se ne accorga, finché ad un tratto si resta sorpresi di quanto essi sono andati lontano dalla linea prefissa. Non ci si scoraggi per questo fatto che accade a tutti: si riporti la mente al pensiero stabilito cento, mille volte, se è necessario, perché l’unico modo di riuscire è di essere sicuri del successo. Una volta dominata completamente la mente, si può passare allo stadio per il quale tutto il resto non era che la necessaria preparazione, per quanto fosse già buono per se stesso, cioè alla contemplazione.

Ecco in che cosa essa consiste. Invece di volgere nella mente un’idea sotto tutti i suoi aspetti, si prenda l’idea spirituale più elevata che si conosca, non importa quale, né con qual nome si chiami: un teosofo sceglierà forse uno dei Grandi Maestri a cui abbiamo accennato, tanto più se ha già avuto il privilegio di venire a contatto con lui; un cattolico potrà scegliere la Vergine Maria o qualche altro santo patrono, un cristiano Cristo, un indù Krishna, un buddhista il Buddha stesso. I nomi ormai non importano più, si tratta di realtà ma qualunque sia l’ideale che si sceglie, dev’essere il più alto a cui si possa pensare, quello che suscita i più profondi sentimenti di ammirazione, d’amore, di devozione di cui si sia capaci ed invece di fare, come prima, una meditazione, si richiami alla mente l’immagine più viva che ci si può fare di questo ideale e si lasci che i più intensi sentimenti vadano verso di esso, si cerchi con tutte le forze di innalzarsi ad esso, di divenir uno con lui, di divenir parte di tanto splendore e di tanta bellezza. Facendo questo, continuando con costanza ad innalzare la propria coscienza, viene un momento in cui improvvisamente si sente di esser uno col nostro ideale, come mai prima si sentì di esserlo, in cui lo si comprende come mai prima lo si era compreso, perché una nuova luce è sorta in noi e tutto il mondo ha cambiato d’aspetto: per la prima volta si conosce che cosa sia vivere, e tutta la vita di prima pare tenebra e morte in confronto a quella presente. Poi tutto sparisce di nuovo e si torna alla luce della vita quotidiana, che pare in vero ben oscura al confronto!

Ma se si continua l’esercizio, ben presto questi momenti di splendore si ripetono ed ogni volta durano più a lungo, finché viene il tempo in cui questa vita superiore è nostra sempre; non più un lampo, un barlume di paradiso, ma uno splendore costante, una nuova e sempre crescente meraviglia. Allora la veglia ed il sonno sono uno stato di coscienza ininterrotta, una vita bella e felice e di lavoro per aiutare gli altri. E questo, che sembra già indescrivibile ed insuperabile, non è che il principio del retaggio serbato a tutti i figli dell’uomo.

Guardandosi intorno da tale nuovo e più alto punto di vista, si vedono e si comprendono molte cose fino allora neppur sospettate, a meno che non ci si fosse prima familiarizzati con le investigazioni di altri in quella via. Continuando poi gli sforzi, si sale più alto ancora, ed a suo tempo si aprono gli occhi attoniti ad una vita assai più ampia di quanto l’astrale superi quella fisica, ed ancora un volta si sente che la vera vita è stata fino allora sconosciuta, ci si innalza insomma a grado a grado verso la Vita Una che è perfetta in Verità ed in Bellezza.

Ma questo sviluppo, voi direte, richiede anni ed anni! Certo, poiché si tratta di affrettare in una vita l’evoluzione che normalmente ne richiederebbe molte ma il risultato val bene il tempo e lo sforzo che esige. Nessuno può dire quanto tempo occorrerà in ogni caso individuale, perché ciò dipende da due cose: dalla quantità di crosta, per così dire, che deve rompersi, e dall’energia e dalla costanza impiegate nel lavoro.

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È impossibile promettere ad uno che in un certo numero di anni riuscirà; si può dirgli soltanto che molti hanno tentato prima di lui e che sono riusciti. Tutti i Grandi Maestri di Sapienza sono stati quali siamo noi ora: com’essi son saliti, noi saliremo. Molti di noi, tentando, son più o meno riusciti, e nessuno che abbia tentato ha mai rimpianto i suoi sforzi, poiché tutto quello che ha acquisito, sia molto o poco, è stato acquisito per l’eternità, è divenuto possesso dell’Ego che sopravvive alla morte. Tutto ciò che si acquista in tal modo è posseduto pienamente e coscientemente ed è sempre a nostra disposizione; poiché non si tratta di medianità, d’una debole e intermittente facoltà dovuta alla trance, bensì del potere d’una vita superiore, riservato a tutta l’umanità in avvenire.

Ma l’uomo che intraprende lo sviluppo di queste facoltà sarebbe ben incauto, se non avesse cura di purificare prima il suo cuore e la sua anima, poiché è questa la prima e più grande necessità, e per far questo bisogna purificare il mentale, l’astrale e il fisico; deporre i vizi favoriti e le impurità fisiche; cessar di inquinare il corpo con cibi carnei, con alcool, con tabacco. Cercare insomma d’esser mondi e puri, tanto nel fisico che negli altri corpi. Se uno trova che la vita superiore non vale il sacrificio delle sue bassezze favorite, è affar suo; fin dai tempi antichi si diceva che non si può servire ad un tempo Dio e Mammone. Non dico che le cattive abitudini sul piano fisico impediscano lo sviluppo delle facoltà psichiche, ma asserisco fortemente che chi rimane impuro si espone a gravi pericoli, e che toccar le cose sacre con mani lorde è un terribile rischio.

Chi vuol tentare la vita superiore deve liberare la mente dalle cure e dalle agitazioni della vita inferiore; deve compiere il suo dovere scrupolosamente, ma senza considerazioni personali, per amor di giustizia, e lasciare il risultato in mano ai poteri superiori. Egli attirerà così intorno a sé entità pure e aiutatrici, e irradierà egli stesso conforto ed aiuto su quanti, intorno a lui, sono immersi nel dolore e nella sofferenza. Padrone di se stesso, puro, altruista, non userà mai i suoi poteri per fini personali, ma sempre e soltanto per l’avanzamento e il bene dei suoi simili, perché anch’essi possano in qualche modo imparare a vivere una vita più ampia, ad innalzarsi dalla nebbia dell’ignoranza e dell’egoismo allo splendore della pace di Dio.

Intraprendete lo studio della Teosofia, non a fede cieca – poiché la fede cieca ha già fatto abbastanza male nel mondo - ma per farne oggetto di investigazione. Se essa non vi soddisfa, poco male, ma se vi soddisfa ne avrete, come noi, un gran bene. Il miglior modo di constatare se queste cose sono vere è di provarle, cioè di vivere come se fossero vere, e di osservarne gli effetti. Provate la disciplina del dominio della mente e guardate se sarete divenuti migliori o peggiori. Provate a penetrarvi dell’idea di unità e di fratellanza, e ad agire con altruismo, e guardate poi se vi sembra che questo sistema di vita sia migliore degli altri. Ora, come in antico, è vero che chi fa la volontà del Padre che è nei Cieli capisce se la dottrina è vera. Il metodo più sicuro per trovare la verità è di vivere la vera vita: provate l’altruismo e la vigile attività nell’aiutare, e vedrete se non vi si schiuderanno campi nuovi di felicità e di utilità: mettete in pratica gli altri insegnamenti teosofici, e di tutti constaterete la verità. Pensate che cosa sarebbe il mondo se tutti applicassero le dottrine della paternità di Dio e della fratellanza umana: sarebbe peggiore o migliore il mondo, se tutta l’umanità considerasse l’unità come un fatto e l’altruismo come un dovere?

Per ora anche noi siamo ancora al principio di questo che è il più grande di tutti gli studi; pure possiamo dirvi in piena confidenza:

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venite ed unitevi a noi, ed avrete anche voi quella pace e quella sicurezza che noi abbiamo ottenuto, e per lo studio della Teosofia la vostra vita diverrà più felice per voi e più utile per i vostri simili.

Nota: 1) Giungono continuamente al signor Leadbeater, da tutte le parti del mondo, domande intorno al modo di sviluppare la chiaroveggenza, ed egli a tutte risponde sempre rimandando all’ultimo capitolo del suo libro: The other side of Death. Crediamo quindi utile darne qui la traduzione, per quelli fra i nostri consoci che non conoscessero tale opera.

Articolo tratto dal Bollettino della Società Teosofica nr. 7, luglio

1911.