Curiosità e spigolature/ a cura di Arnaldo Picuti · 2018. 9. 9. · uomo di profonda cultura, ma...

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42 Curiosità e spigolature/a cura di Arnaldo Picuti Suggestioni su Properzio e Francesco Torti di Mario Spetia Si ripresenta l’occasione di ricordare Properzio (circa 50-10 a. C.), che, nel vecchio sipario dipinto da Domenico Bruschi per il Teatro Francesco Torti, addita al Torti medesimo la sua Patria. Come pure di richiamare il nuovo affascinante sipario dipinto da Luigi Frappi, dove è rappresentato il cippo poetico, il fiume Clitunno e il suo tempietto. Due immagini che solo la lingua latina era capace di racchiudere in tre parole: Clitumnum Mevania est, con le quali Strabone (I secolo a. C.) richiamava il diritto di proprietà dell’antica Mevania sul suo fiume, potente sintesi di quel che scriverà Servio Onorato, primo commentatore di Virgilio, quattro secoli dopo. E Francesco Torti (Bevagna 1763-1842) ne scriverà ne La patria di Properzio, un agguerrito opuscolo del 1839, che con puntiglioso rigore faceva giustizia di tante, troppe false attribuzioni sulla patria del grandissimo poeta, la ‘vera’ essendo Mevania, quindi Bevagna. Torti si spegneva tre anni dopo, lasciando in eredità una testimonianza d’amore per la propria patria e per il poeta, Sesto Aurelio Properzio, il “romano Callimaco”. Queste e altre suggestioni si trovano su “Prometeo. Rivista trimestrale di Scienza e Storia” (A. 34, N. 133, Marzo 2016, pp. 30-36), che dedica un lungo racconto a “Properzio e Francesco Torti: due letterati ad limina. Una storia di acque, di poesia, di rapporti con il potere, di tracce nella memoria”. A gettare un ardito quanto affascinante ponte lungo diciotto secoli fra due letterati accomunati dalla patria di origine e da una vita difficile di “uomini contro”, è Ernesto Di Mauro, professore ordinario di biologia molecolare alla ‘Sapienza’ di Roma e ricercatore di fama internazionale sull’origine della vita. Qui, in veste di uomo di profonda cultura, ma prima di tutto come ‘nuovo’ innamorato del nostro paese. L’autore chiarisce subito: Properzio nasce a Bevagna. E prosegue: «Per chi non la conosce Bevagna non è un paese normale. Cinta di mura di mattoni tardo- romane, poi medioevali, un po’ discosta dalla via Flaminia che in epoca imperiale l’attraversava e ne costituiva il decumanus maximus, si è mantenuta fuori dal tempo. O meglio, il presente è ben presente nel bene e nel male (più nel bene che nel male). Subito sotto la superficie, la struttura del passato traspare negli sguardi, negli odori, nella parola, nel modo di pensare; si vede subito, vivace, il DNA in azione. Succede anche altrove, ma, entrati per Porta Cannara o per Porta Spoletina, ci si accorge subito che qui succede di più, prima e meglio. A Bevagna le pietre romane sono più lucide, San Francesco è più francescano, l’Ottocento che si respira tra le Domenico Bruschi, Il sipario del Teatro Torti di Bevagna, 1886.

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Curiosità e spigolature/a cura di Arnaldo Picuti

Suggestioni su Properzio e Francesco Tortidi Mario Spetia

Si ripresenta l’occasione di ricordare Properzio (circa 50-10 a. C.), che, nel vecchio sipario dipinto da Domenico Bruschi per il Teatro Francesco Torti, addita al Torti medesimo la sua Patria. Come pure di richiamare il nuovo affascinante sipario dipinto da Luigi Frappi, dove è rappresentato il cippo poetico, il fi ume Clitunno e il suo tempietto. Due immagini che solo la lingua latina era capace di racchiudere in tre parole: Clitumnum Mevania est, con le quali Strabone (I secolo a. C.) richiamava il diritto di proprietà dell’antica Mevania sul suo fi ume, potente sintesi di quel che scriverà Servio Onorato, primo commentatore di Virgilio, quattro secoli dopo. E Francesco Torti (Bevagna 1763-1842) ne scriverà ne La patria di Properzio, un agguerrito opuscolo del 1839, che con puntiglioso rigore faceva giustizia di tante, troppe false attribuzioni sulla patria del grandissimo poeta, la ‘vera’ essendo Mevania, quindi Bevagna. Torti si spegneva tre anni dopo, lasciando in eredità una testimonianza d’amore per la propria patria e per il poeta, Sesto Aurelio Properzio, il “romano Callimaco”. Queste e altre suggestioni si trovano su “Prometeo. Rivista

trimestrale di Scienza e Storia” (A. 34, N. 133, Marzo 2016, pp. 30-36), che dedica un lungo racconto a “Properzio e Francesco Torti: due letterati ad limina. Una storia di acque, di poesia, di rapporti con il potere, di tracce nella memoria”. A gettare un ardito quanto affascinante ponte lungo diciotto secoli fra due letterati accomunati dalla patria di origine e da una vita diffi cile di “uomini contro”, è Ernesto Di Mauro, professore ordinario di biologia molecolare alla ‘Sapienza’ di Roma e ricercatore di fama internazionale sull’origine della vita.

Qui, in veste di uomo di profonda cultura, ma prima di tutto come ‘nuovo’ innamorato del nostro paese. L’autore chiarisce subito: Properzio nasce a Bevagna. E prosegue: «Per chi non la conosce Bevagna non è un paese normale. Cinta di mura di mattoni tardo-romane, poi medioevali, un po’ discosta dalla via Flaminia che in epoca imperiale l’attraversava e ne costituiva il

decumanus maximus, si è mantenuta fuori dal tempo. O meglio, il presente è ben presente nel bene e nel male (più nel bene che nel male). Subito sotto la superfi cie, la struttura del passato traspare negli sguardi, negli odori, nella parola, nel modo di pensare; si vede subito, vivace, il DNA in azione. Succede anche altrove, ma, entrati per Porta Cannara o per Porta Spoletina, ci si accorge subito che qui succede di più, prima e meglio. A Bevagna le pietre romane sono più lucide, San Francesco è più francescano, l’Ottocento che si respira tra le

Domenico Bruschi, Il sipario

del Teatro Torti di Bevagna,

1886.

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quinte del teatro è più provincialmente e romanticamente romantico». La Mevania romana e poi la Bevagna di Torti fanno dunque da scenario a storie esemplari interessantissime e viene fuori chiaro il rapporto dell’artista con il potere in tutte le sue declinazioni. Il personaggio centrale è Properzio, accanto al suo alter ego Francesco Torti, mentre sullo sfondo si affaccia ricorrente il Clitunno e il suo culto antico delle acque. Properzio, dunque, poeta dell’amore per la sua Cinzia, e le sue elegie «non tessevano la lode ai potenti, non poggiavano su esperienze politiche, alludevano pochissimo ad avvenimenti recenti. A ragion veduta». E infatti un suo parente era stato ucciso combattendo contro Ottaviano (poi Augusto), nel Bellum Perusinum, la sua gens si era trovata dalla parte sbagliata (quella di Antonio), gli averi di famiglia espropriati, trecento cittadini di rango senatoriale perugini e anche bevanati decimati. Properzio a Roma «non entra nel cerchio del potere, non passeggia a lungo negli horti di Mecenate, con la sua incredibile innovativa creatività lessicale, e si ritrae nel privato». Si pone volutamente ai margini del circolo culturale augusteo, glielo consigliano le sue origini (Bevagna fu punita da Augusto con una perdita secca di territorio e potenza in favore di Spello), si adagia in un basso profi lo ‘pubblico’ che spiega la sua ritrosia a rivendicare pubblicamente come sua patria Mevania, invisa ad Augusto e al potere. È quanto annota anche Torti, il suo alter ego, che vive un’esperienza parallela, prima di ‘discepolo’ di

Vincenzo Monti, «che gli ritirò la sua amicizia e la stima – annota Di Mauro – forse per malintesa differenza sociale, forse per ragioni che oggi defi niremmo politiche». Ma anche perché accusato di essere l’autore di un pungente epigramma in morte del genero di Monti, Giulio Perticari. Torti si ritirò a Bevagna e divenne un critico contro. Contro il nascente gusto romantico (Il purismo nemico del gusto, 1818; Risposta ai puristi, 1819; Dante rivendicato, lettera

al cav. Monti, 1825), contro la letteratura contemporanea. In una lettera (inedita) ad Alessandro Spetia cita con orgoglio le parole di un suo ammiratore, laddove si scaglia contro «i Cosacchi della Crusca». Di Mauro ricorda che «non aveva la tempra del combattente, ma resistette all’accusa di eresia e alla messa all’indice di sue opere [Corrispondenza di Monteverde, 1832] e rimase coerente alle proprie idee fi n (quasi) all’ultimo». Solo in punto di morte si ravvide e le ripudiò. Così Di Mauro, in quel sipario del Bruschi ora dimenticato (e purtroppo in abbandono) nel quale Properzio addita a Torti la sua patria, ritrova «il nodo di convergenze, lì dove il passato romano e il passato prossimo eroico

e codino allo stesso tempo, entrano in contatto ideale […]. Né Properzio né Francesco Torti furono intellettuali queruli e garruli. Entrambi vissero la propria vita in modo libero, scegliendo di rimanere a loro modo appartati o accettando di essere emarginati pur di non adire a compromessi formali e morali che il potere centrale dolcemente comportava e silenziosamente imponeva».

Contributo di E. Di Mauro,

in “Prometeo”, n. 133, 2016.

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L’Accademia della Crusca celebra Ciro Trabalzadi ArnaldoPicuti

È passata sotto silenzio non solo a Bevagna ma anche negli ambienti culturali umbri – questo purtroppo sembra essere il destino di certe iniziative di grande spessore – la Giornata di Studi su Ciro Trabalza ed in particolare sulla sua opera maggiore, quella Storia della grammatica italiana che rimane ancora oggi, a cento anni di distanza, una pietra miliare negli studi linguistici, tenutasi a Firenze il 18 settembre 2009 organizzata dall’Accademia della Crusca, alla quale ha fatto seguito la pubblicazione degli Atti con un numero speciale (volume XXVIII) di Studi di Grammatica Italiana curato da Annalisa Nesi.Entro la cornice fi ssata dalla introduzione ai lavori di Teresa Poggi Salani, vice presidente del consiglio direttivo dell’Accademia della Crusca, il convegno ha inteso «innanzitutto giustamente riportare l’attenzione sull’opera maggiore e sulla fi gura complessiva dello studioso, sulla rete dei suoi rapporti di cultura e di amicizia, sul suo tanto pensare alla scuola e sull’operarvi con passione per l’educazione di generazioni di scolari e per un’educazione non soltanto linguistica».Data la natura di questa rivista aperta a tutte le curiosità culturali, e non concentrata su di un’area specializzata di conoscenze non possiamo trascurare di richiamare brevemente i dati biografi ci essenziali di Ciro Trabalza.Nato a Bevagna nel 1871 egli, insegnò dapprima in varie scuole della penisola, poi nel 1912 fu nominato Ispettore centrale del Ministro della Pubblica Istruzione e successivamente Direttore generale della scuola italiana all’estero.Critico letterario ha legato il suo nome in modo particolare alla Storia della grammatica italiana, che Giovanni Gentile defi nì opera poderosa e nelle linee essenziali defi nitiva, e alla

Grammatica degli Italiani composta in collaborazione con E. Allodoli. Fitti e profi cui i suoi rapporti con Benedetto Croce che fu attratto dai suoi studi linguistici.In questo stesso numero della nostra rivista, Roberto Segatori nel recensire un libro di memorie del letterato bevanate “Il Pioppo di San Filippo” sul periodo della sua fanciullezza scritto negli ultimi mesi della sua vita, che ha l’unico difetto di essere introvabile, ha messo in luce egregiamente alcuni aspetti di vita del nostro critico ai quali rimandiamo per evitare di ripeterci.Tornando alla giornata di studi, la fi gura di Trabalza è stata indagata a livello di grande raffi natezza da Tullio De Mauro che ha individuato nello studioso umbro quattro centri dominanti di interesse: «attenzione alla realtà locale, sia popolare sia colta, alla storia minore e alle piccole patrie; attenzione sul piano linguistico sia all’insegnamento dell’italiano che al dialetto; attenzione ai fenomeni della scolarità elementare e medio superiore», e ha concluso con un giudizio defi nitivo, dicendo che a «un secolo di distanza esso è ancora una fonte di insieme non sostituita».Sulla Storia della grammatica italiana si è soffermato Claudio Marazzini, dell’Università del Piemonte Orientale, il quale dopo aver premesso che nel

Ciro Trabalza con le fi glie

Umbra e Pupa.

Nato a Bevagna

nel 1871

insegnò in molte

scuole italiane,

nel 1912 fu

nominato

Ispettore della

Pubblica

Istruzione e

successivamente

Direttore

Generale delle

Scuole Italiane

all’Estero

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1969 l’editore Einaudi nel pubblicare una “Guida alla formazione di una biblioteca” (con un lungo commento di Delio Cantimori) che elencava tutti i libri ritenuti assolutamente necessari per il loro valore intrinseco, ha affermato che il capitolo ‘Linguistico’ inizia con la Storia della lingua Italiana del Trabalza, ed è giunto alla conclusione che il critico umbro occupa ancora oggi il posto principale nel settore della storia della grammatica. Rimarchevole per lucidità e penetrazione, e soprattutto particolarmente commovente, la relazione della nipote Maria Raffaela Trabalza «Ritorno a casa: nel mondo di carta di Ciro Trabalza».Gelosa custode dell’archivio del nonno, Maria Raffaella ci ha fatto conoscere gli affetti familiari del critico e alcuni momenti dei rapporti con tanti studiosi e in particolare con Benedetto Croce.Altro contributo sulla Didattica dell’Italiano, ci è venuto da Annalisa Nesi, dell’Università di Siena, che partendo dal primo impegno del Collegio Cicognini, ci ha presentato il Trabalza attraverso tutta l’esperienza di vita di educatore.Rossana Melis ci ha offerto una relazione che ha voluto intitolare “Tra Grammatiche e libri di lettura”, lettere di Ciro Trabalza a Migliorini, De Gubernatis, Rajna, Novati”, facendoci conoscere alcune sue lettere inedite conservate nel fondo Migliorini dell’Accademia della Crusca. Mentre la corrispondenza con l’autore della Storia della lingua italiana riguarda alcuni aspetti della Grammatica Italiana che aveva “suscitato plausi ma anche critiche”, quella con Angelo De Gubernatis, poligrafo, studioso di linguistica comparata e di orientalistica, di demologia e di tradizioni popolari, riguarda soprattutto problemi culturali e professionali del Trabalza.Con Pio Rajna e Francesco Norti, l’interesse si sposta su due libri: “Piccoli Uomini” e “Piccole Donne” di L. M. Alcott che Trabalza aveva tradotto con la moglie Michelina, buona conoscitrice

dell’inglese, dietro suggerimento di Ugo Ojetti.Giuseppe Brincat dell’Università di Malta infi ne ha illustrato l’impegno di Trabalza nell’insegnamento dell’italiano all’estero con particolare attenzione al periodo in cui assunse l’incarico di Direttore Generale delle Scuole Italiane all’Estero.Il volume degli atti si chiude con un’appendice documentaria di una mostra di edizioni, carte e lettere tratte dall’Accademia della Crusca, e dall’archivio familiare legata ai temi trattati nel convegno allestita nella Sala delle Pale dell’Accademia della Crusca e una aggiornata bibliografi a del Trabalza a cura di Annalisa Nesi.Un’opera, in conclusione, questa degli Atti, che hanno fatto seguito alla Giornata di Studi che porta un contributo rilevante, forse defi nitivo agli studi sulla storia della Grammatica italiana: uno strumento per indagare alcuni aspetti della vita culturale, intellettuale e civile dell’Italia del primo Novecento nella quale un maestro come Ciro Trabalza ha ancora un posto di grande rilievo.

Copertina della Storia della

grammatica italiana.

Il critico umbro

occupa ancora

oggi posto

principale nella

storia della

grammatica

italiana “opera

poderosa e

nelle linee

essenziali

defi nitiva”