CULMINE e FONTE 6 2009...“dies solis”, giorno del sole, ed è chiaro che veniva prima del...

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a nostra diocesi sta vivendo que- sto periodo di impegno e di verifi- ca sui grandi temi dell’Eucaristia domenicale e della Testimonianza della ca- rità. I numeri di “Culmine e Fonte” di que- st’anno saranno tutti dedicati all’Eucaristia e potranno essere utilizzati come sussidio nei cammini formativi. Il primo giorno “prima dies”, il giorno del Signore “dominica dies”, è il centro propulsore e dinamico dell’intera settimana e il nostro modo di celebrarlo nella comu- nità ecclesiale manifesta l’adesione al mi- stero di fede in cui crediamo. Sacerdoti e fedeli, siamo tutti chiamati a vivere in modo autentico e profondo questo mistero d’a- more e di comunione che edifica la Chiesa e che la rende luce e vita del mondo. L’Eucaristia è veramente “fonte e culmi- ne” della vita della Chiesa e, nello stesso tempo, centro assoluto della vita di ogni sacerdote il quale, ogni volta che celebra i santi misteri, fa’ l’esperienza concreta del Mysterium fidei con cui Cristo edifica la sua Chiesa. Il legame strettissimo tra sacer- dozio ministeriale ed Eucaristia è stato più volte ribadito da Papa Benedetto XVI, invi- tando tutti noi sacerdoti a stupirci del no- stro essere in persona Christi, a renderci complici dell’infinito amore del Signore. L’Eucaristia ci chiama ad essere consacrati anzi con-sacrificati nell’amore: una sola co- sa con l’Eucaristia, dono d’amore per la Chiesa e per il mondo. Ma anche ogni battezzato, configurato a Cristo Sommo e unico Sacerdote nel ca- rattere battesimale, trova nell’Eucaristia il senso pieno di questa comunione con Cri- sto. Nello stesso tempo ogni fedele è chia- mato a testimoniare al mondo, con la sua fede eucaristica, la centralità della Risurre- zione e la sua efficacia straordinaria per il mondo. Il Corpo di Cristo, con la sua vita senza fine presente nel sacramento del- l’Eucaristia, risplende così in mezzo al mondo nelle sue membra e nella presenza particolare dei suoi pastori, segno visibile di Cristo Sacerdote. Così nell’Eucaristia la Chiesa unisce la sua missione con quella del Signore, l’unico Corpo eucaristico di- venta comunione d’amore e di vita, forza inesauribile nel cammino in mezzo al mon- do. Tale forza generatrice di unità diviene strumento di unità per tutti gli uomini che partecipano dell’energia misteriosa che promana dall’amore di Cristo, vivo nel Sa- cramento e testimoniato dalla comunione ecclesiale che da esso riceve forza e vigore. Come ci ricorda il Papa nell’enciclica Deus Caritas est: “Diventiamo un solo corpo, fu- si insieme in un’unica esistenza. Amore per Dio e amore per il prossimo sono ora vera- 1 Formazione Liturgica Culmine e Fonte 6-2009 L’Eucaristia domenicale: celebrazione dell’amore mons. Marco Frisina L

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a nostra diocesi sta vivendo que-sto periodo di impegno e di verifi-ca sui grandi temi dell’Eucaristia

domenicale e della Testimonianza della ca-rità. I numeri di “Culmine e Fonte” di que-st’anno saranno tutti dedicati all’Eucaristiae potranno essere utilizzati come sussidionei cammini formativi.

Il primo giorno “prima dies”, il giornodel Signore “dominica dies”, è il centropropulsore e dinamico dell’intera settimanae il nostro modo di celebrarlo nella comu-nità ecclesiale manifesta l’adesione al mi-stero di fede in cui crediamo. Sacerdoti efedeli, siamo tutti chiamati a vivere in modoautentico e profondo questo mistero d’a-more e di comunione che edifica la Chiesae che la rende luce e vita del mondo.

L’Eucaristia è veramente “fonte e culmi-ne” della vita della Chiesa e, nello stessotempo, centro assoluto della vita di ognisacerdote il quale, ogni volta che celebra isanti misteri, fa’ l’esperienza concreta delMysterium fidei con cui Cristo edifica lasua Chiesa. Il legame strettissimo tra sacer-dozio ministeriale ed Eucaristia è stato piùvolte ribadito da Papa Benedetto XVI, invi-tando tutti noi sacerdoti a stupirci del no-stro essere in persona Christi, a rendercicomplici dell’infinito amore del Signore.L’Eucaristia ci chiama ad essere consacrati

anzi con-sacrificati nell’amore: una sola co-sa con l’Eucaristia, dono d’amore per laChiesa e per il mondo.

Ma anche ogni battezzato, configuratoa Cristo Sommo e unico Sacerdote nel ca-rattere battesimale, trova nell’Eucaristia ilsenso pieno di questa comunione con Cri-sto. Nello stesso tempo ogni fedele è chia-mato a testimoniare al mondo, con la suafede eucaristica, la centralità della Risurre-zione e la sua efficacia straordinaria per ilmondo. Il Corpo di Cristo, con la sua vitasenza fine presente nel sacramento del-l’Eucaristia, risplende così in mezzo almondo nelle sue membra e nella presenzaparticolare dei suoi pastori, segno visibile diCristo Sacerdote. Così nell’Eucaristia laChiesa unisce la sua missione con quelladel Signore, l’unico Corpo eucaristico di-venta comunione d’amore e di vita, forzainesauribile nel cammino in mezzo al mon-do. Tale forza generatrice di unità divienestrumento di unità per tutti gli uomini chepartecipano dell’energia misteriosa chepromana dall’amore di Cristo, vivo nel Sa-cramento e testimoniato dalla comunioneecclesiale che da esso riceve forza e vigore.Come ci ricorda il Papa nell’enciclica DeusCaritas est: “Diventiamo un solo corpo, fu-si insieme in un’unica esistenza. Amore perDio e amore per il prossimo sono ora vera-

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L’Eucaristia domenicale:celebrazione dell’amore

mons. Marco Frisina

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mente uniti: il Dio incarnato ci attrae tuttia sé. Da ciò si comprende come agape siaora diventata anche un nome dell’Eucari-stia: in essa l’agape di Dio viene a noi cor-poralmente per continuare il suo operarein noi e attraverso di noi.” (n.14)

La celebrazione eucaristica autentica-mente vissuta nella propria comunità par-rocchiale esprime questo mistero d’amore:dobbiamo impegnarci a renderlosempre più manifesto ed evidente.Frutti naturali dell’Eucaristia sono in-fatti la carità ecclesiale, l’attenzioneai poveri, un interesse creativo neiconfronti di chi ha bisogno, il deside-rio sincero di dare la propria vita conCristo per la salvezza del mondo.

Anche la cura della celebrazione,l’attenzione ai diversi momenti dellamessa e alla sua animazione, la co-scienza della responsabilità propria diciascun battezzato affinché la dignitàdella celebrazione possa essere alta ela sua bellezza possa toccare il cuoredi ogni fedele.

Similmente è importante che l’a-dorazione eucaristica, vissuta con au-tentica solennità e calore, sia la con-seguenza di tale fede nel Sacramen-to e aiuti a far penetrare sempre piùin noi la consapevolezza del misterocelebrato. Un’adorazione eucaristicaben celebrata e vissuta fa crescerel’amore a Cristo e alla Chiesa e tra-sforma la comunità in una comunio-ne d’amore autentico e luminoso.

Mettiamoci dunque alla scuoladell’amore di Cristo e trasformiamo

le nostre celebrazioni domenicali in mani-festazioni autentiche di fede, di amore,di bellezza, di carità verso i poveri, di co-munione con tutta la Chiesa, affinché ilmondo riconosca in noi il corpo di Cristoe sperimenti la verità della Risurrezionedel Signore. Tutta la nostra vita ne saràtrasformata e potremo così edificare congioia la Chiesa di Cristo.

pesso il tempo trasforma il signi-ficato originale delle parole,quando queste acquistano un

senso tecnico, limitato, che fa dimentica-re quello etimologico, che sta sempre allabase. Una di queste parole è “Domeni-ca”. Tutti sappiamo che indica un giornodella settimana, quello festivo, cioè quel-lo in cui non si lavora (normalmente).Questo giorno, nell’opinione comune,sembra essere l’ultimo della settimana(conclude il weekend!), mentre in origineera il primo: i Romani lo chiamavano“dies solis”, giorno del sole, ed è chiaroche veniva prima del “dies lunae”, il no-stro lunedì. I giorni della settimana roma-na erano designati con i nomi delle stellee dei pianeti, a cominciare dal sole. GliEbrei della Bibbia non hanno nomi per isingoli giorni, li numerano dal primo alsesto, mentre il settimo si chiama “saba-to”, cioè riposo. Oggi, le lingue anglosas-soni lo chiamano “giorno del sole”, co-me l’ inglese “Sunday” o i l tedesco“Sonntag”, mentre le lingue neolatine,come l’italiano, il francese o lo spagnolo,lo chiamano “domenica”, “dimanche”,“domingo”, dal latino “dominicus” o“dominica”, sottinteso “dies” (giorno,sostantivo maschile o femminile). L’ag-gettivo “dominicus” deriva dal sostantivo

“dominus”, cioè “padrone”, “signore”.In italiano non abbiamo un aggettivo chetraduca letteralmente il “dominicus”(l’aggettivo “signorile” indica il modo dicomportarsi del “signore”, ma non l’ap-partenenza “al signore”), perciò dobbia-mo ricorrere all’espressione “del signo-re”. L’aggettivo “dominicus, dominica,dominicum” (a seconda che il sostantivodi riferimento sia maschile, femminile oneutro), significa “che appartiene al si-gnore, al padrone”.

Nel nostro caso, chi è il “signore”?Nella Bibbia, il titolo di “Signore” (maiu-scolo) conviene a Dio (in ebraico “Ado-nai”). Nel NT, specialmente in Paolo e inGiovanni, lo stesso titolo è dato a Gesù,specialmente dopo la sua risurrezione.L’inno cristologico di Fil 2, 6-11, si con-clude con l’espressione: “ogni linguaproclami che Gesù Cristo è il Signore”. InAtti 2, 36, Pietro dice: “sappia dunquetutta la casa d’Israele che Dio ha costitui-to Signore e Cristo quel Gesù che voiavete crocifisso”. Paolo spesso usa la for-mula “Nostro Signore Gesù Cristo”.

Dalla parola, passiamo ai fatti. Gio-vanni ci parla delle apparizioni del Risor-to: “la sera di quello stesso giorno, il pri-mo dopo il sabato” (Gv 20,19). I discepo-li si rallegrarono “al vedere il Signore”.

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Dal “Dominicum”alla “Dominica”

p. Ildebrando Scicolone, osb

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Lo rivedono “otto giorni dopo”. E poi siparla della terza apparizione sul lago diTiberiade (21, 1). Sembra che le appari-zioni del Signore avvengano con cadenzasettimanale, sempre al primo giorno dellasettimana. E, apparendo, Gesù mangiacon i suoi discepoli. È facile pensare che,a poco a poco, i discepoli abbiano co-minciato a chiamare quel giorno non piùin modo generico, ma affettivamente “ilgiorno del Signore”. Era la loro unica fe-sta: vedere il Risorto e mangiare con lui.E anche quando, dopo che “lo videro sa-lire al cielo”, continuarono a riunirsi nel“primo” giorno, non speravano più divedere fisicamente il Signore, ma lo cre-devano presente proprio nel segno dellacena comune. Del resto, illuminati dalloSpirito della Pentecoste e introdotti nellaverità tutta intera, compresero le paroledi Gesù, che aveva detto a Tommaso:“Beati quelli che pur non avendo visto,crederanno”. La presenza del “Dominus”fa chiamare quel giorno “dies dominica”.Tale espressione si trova, unica volta, inAp 1, 10: “Fui rapito in estasi nel giornodel Signore (e

,n th~ kuriakh~ hme ra)”. In

Didaché 14 troviamo addirittura: “kata

kuriakhn de kuriou = nel giorno signo-riale del Signore”. In questo giorno “ra-dunatevi, spezzate il pane e rendete gra-zie (eucaristhsate), dopo aver confessa-to i vostri peccati, perché il vostro sacrifi-cio sia puro”. Il martire Ignazio scrive aicristiani di Magnesia: “Se dunque coloroche vivevano secondo l’antico ordine dicose si sono aperti ad una speranza nuo-va, non più celebrando il sabato, ma vi-

vendo nell’osservanza del giorno del Si-gnore (kuriakhn), in cui anche la nostravita si è innalzata grazie a lui e alla suamorte (9,1). A metà del secondo secolo,Giustino, dopo aver descritto il rito dellacelebrazione nel giorno del sole, ne illu-stra le ragioni:

“Teniamo questa nostra assemblea nel

giorno del sole poiché è il primo giorno

in cui Dio, sconvolte le tenebre e la ma-

teria, creò il mondo, e poiché Gesù Cri-

sto nostro Salvatore in questo stesso

giorno risuscitò da morte; infatti la vigilia

del giorno di Saturno lo crocifissero e nel

giorno dopo quello di Saturno, cioè nel

giorno del sole, apparve ai suoi apostoli

e ai suoi discepoli” (Apologia I, cap. 67).

Sono tre, secondo questo testo, le ra-gioni che fondano la domenica cristiana:è il giorno della creazione (contrariamen-te al sabato, settimo giorno, che è quellodel riposo); è il giorno della risurrezionedi Cristo; è il giorno delle apparizioni del“Dominus”.

La lettura dei testi dei primi secoli sulgiorno del Signore potrebbe continuare alungo1, ma non possiamo tralasciare latestimonianza dei martiri di Abitene. Sitratta degli Atti dei Santi Saturnino, Dati-vo e di molti altri, martiri in Africa. Du-rante la persecuzione di Diocleziano, unacinquantina di cristiani furono sorpresidalla polizia, mentre uscivano dalla casa-chiesa di Emerito. Riporto ora testual-mente il verbale dell’interrogatorio:

“Quando il proconsole disse: ‘hai agito

contro le prescrizioni degli imperatori e

dei Cesari per radunare tutti costoro’, il

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presbitero Saturnino, ispirato dallo Spirito

del Signore, disse: ‘Abbiamo celebrato la

cena del Signore (dominicum celebravi-

mus) senza preoccuparci di esse’. Il pro-

console disse: ‘Perché?’. Rispose: ‘Perché

la cena del Signore non può essere trala-

sciata (non potest intermitti domini-

cum)… Quando fu fatto entrare Emerito:

‘Nella tua casa, disse il proconsole, sono

state tenute riunioni contro il decreto de-

gli imperatori?’. Emerito ripieno di Spirito

Santo disse: ‘In casa mia abbiamo cele-

brato la cena del Signore (dominicum)’. E

quello: ‘Perché, disse, permettevi loro di

entrare?’. Replicò: ‘Perché sono miei fra-

telli e non avrei potuto loro impedirlo’.

‘Eppure, riprese il proconsole, tu avevi il

dovere di impedirlo’. E lui: ‘Non avrei po-

tuto, poiché noi non possiamo (stare)

senza la cena del Signore (sine dominico

non possumus)’”.

Il neutro “dominicum” non indica ilgiorno del Signore, ma sottendente untermine neutro, quale “memoriale”, o“corpus” o, come generalmente s’in-tende, “convivium”, cioè banchetto, ce-na del Signore. Per cui non è letteral-mente corretto tradurre l’ultima frase diEmerito “senza la domenica non possia-mo vivere”, ma si deve intendere: “sen-za la cena del Signore non possiamo vi-vere”. Tuttavia si legge chiaramente cheè il “dominicum” celebrato che autoriz-za a chiamare “dominica” il giorno incui si celebra.

La prescrizione di astenersi dal lavoronel giorno del sole, fatta dal codice teo-dosiano nel 325, porterà a considerare

importante il riposo, a scapito della par-tecipazione alla cena, e farà credere chei cristiani hanno spostato il giorno del ri-poso dal sabato al giorno seguente, con-travvenendo (dicono i testimoni di Geo-va e gli avventisti del 7° giorno) al co-mandamento di Dio. Ma le motivazionidella domenica sono assolutamente altrerispetto alle motivazioni del sabatoebraico.

Nel medioevo, dopo l’anno Mille, conil moltiplicarsi delle celebrazioni, anchenei giorni feriali, con la creazione di un“Messale piccolo” per i viaggi, la dome-nica è divenuta la festa della Trinità, per-dendo il carattere pasquale.

Dovremo aspettare il Concilio Vatica-no II, per leggere, in SC 106:

“Secondo la tradizione apostolica, che

ha origine nello stesso giorno della Risur-

rezione di Cristo, la Chiesa celebra il mi-

stero pasquale ogni otto giorni, in quello

che si chiama giustamente ‘giorno del

Signore’ o ‘domenica’.

In seguito a tale riscoperta, la riformadei libri liturgici, messale e libro della li-turgia delle Ore, hanno messo in risalto ilcarattere pasquale della domenica, so-prattutto nei prefazi, negli inni, e in tantialtri elementi della liturgia.

Da un punto di vista pastorale, biso-gna riconoscere che molto è cambiatonella considerazione dei fedeli, riguardoalla domenica, ma c’è ancora molto dafare per far comprendere e vivere la cele-brazione eucaristica come incontro con ilCristo risorto e con i fratelli che godonocon noi di questa presenza vivificante.

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e cose importanti si preparano.Non solo perché spesso sonoeventi articolati, che non am-

mettono improvvisazioni, o perché lapreparazione indica quanto la cosa èsentita davvero come importante da chila pone in essere, ma anche perché lapreparazione è già un modo di parteci-pare all’evento, di entrarvi, assaporarlo,fruirne appieno. Si pensi a una festa dicompleanno, a un matrimonio, alla di-scussione della tesi di laurea o al pranzodi Natale in famiglia: chi accetterebbe diridursi all’ultimo giorno per decidere checosa fare o dire, di andare a frugare infrigo per vedere se c’è qualcosa da dareai commensali, di prendere un abito acaso dall’armadio…? Nel prepararlo, giàsi anticipa la gioia dell’evento: nel confe-zionare una bomboniera o nello scrivereuna partecipazione si immagina con sod-disfazione il volto di chi la riceverà, cuci-nando si pensa al sorriso degli ospiti cheverranno. E questo già dà gioia, crea ilclima giusto, la cornice ideale per acco-gliere l’evento e consentirgli di realizzarsicon la massima efficacia. È normale chesia così: è una necessità antropologicadell’essere umano. Eppure, purtroppo,qualche volta le nostre liturgie rivelanouna preparazione carente o persino ine-sistente, e nell’osservatore anche più di-

stratto lasciano sorgere molte perples-sità. Se l’idea stessa di preparare una ce-lebrazione è percepita come un’inutilescocciatura, una pedanteria da cerimo-nieri un po’ vanesi, una forzatura o addi-rittura un appesantimento che va a de-trimento della partecipazione comuneperché “qui non siamo a San Pietro”, equindi “facciamo tutto alla buona, comein famiglia”, c’è qualcosa che non va. Èla vita stessa che ce lo dice e il paragonecon le “cose di famiglia” si ritorce con-tro chi lo pone per giustificare la propriasciatteria.

Preparare significa mettere in moto ecoordinare persone e cose. Una buonapreparazione si struttura su almeno trelivelli e un corollario: preparazione remo-ta, prossima, immediata, verifica postrem (ovvero a cose fatte).

La preparazione remota. Ci sonoproblemi che non è possibile risolvere in-tervenendo un’ora o un giorno primadella celebrazione ma che richiedonoun’attenta osservazione sul lungo perio-do, una pianificazione degli interventi,un’azione che può richiedere anche l’in-tervento di professionisti. Gli ambiti diverifica sono più d’uno: la dignità deiluoghi, l’idoneità della suppellettile, lacapacità dei ministri. Qualche volta ci sitrova in ambienti non accoglienti (male

Preparare la celebrazioneAdelindo Giuliani

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realizzati e peggio illuminati, ingolfati daimmagini sacre di scarso pregio e senzaun preciso programma iconografico, ge-lidi d’inverno e torridi d’estate), si hannoa disposizione impianti di amplificazioneobsoleti o semplicemente mal fatti che,dopo mezz’ora di ascolto, danno un va-go, indefinibile senso di fastidio. In altriluoghi si incontrano ministri che nonsanno che cosa fare o che semplicemen-te non ci sono (lettori che leggono male,nessuno che intoni i canti o che li so-stenga con il suono, sacerdoti costretti alself service in un angolino dell’altare per-ché non c’è neppure un ministrante cheporga le ampolline). Altrove i libri liturgi-ci sono ridotti a fascicoli o sono sempli-cemente sostituiti da foglietti, e il ceropasquale è di plastica anche se, ogni sa-bato santo mattina, ci si dice che si sa-rebbe dovuto ordinarne per tempo (ap-punto!) uno di cera. Senza cadere nel vi-zio opposto, quello di aprire il cantiere inchiesa a ogni avvicendamento di parro-co, in taluni casi è necessario pensare ainterventi significativi sulla struttura esull’impiantistica, ed è necessario pre-ventivare la spesa per dotare la chiesa disuppellettile, vesti e libri liturgici decoro-si. Parimenti, non si crea un organista daun giorno all’altro e non si risolve dal-l’oggi al domani il problema di un coroattempato e stonato. Il sacerdote, che èchiamato a essere liturgo nella sua co-munità, insieme ai collaboratori dovràmettersi in ricerca di talenti nascosti epoi dovrà valorizzarli educando le perso-ne allo specifico del servizio liturgico:

non basta avere voce e intonazione perproclamare la Parola o per essere unbuon salmista. Anche i contenuti vannopreparati per tempo: la pianificazionedella vita liturgica consente di sapere pertempo ogni quanto tempo si ammini-strano i Battesimi, se e quando si accol-gono i matrimoni nella messa comunita-ria, quando si svolgono celebrazioni pe-nitenziali… Forse anche la preparazionedell’omelia e di eventuali monizioni in-troduttive potrebbe tenere conto di unintero periodo liturgico (soprattutto per itempi forti) e dispiegare archi tematicicoerenti.

La preparazione prossima è la pre-parazione di una specifica celebrazione.Chi presiede prepara l’omelia, ma devescegliere anche tra le diverse possibilitàeucologiche: quale colletta? Quale pre-ghiera eucaristica? È opportuno in quelladomenica sostituire l’aspersione con l’ac-qua benedetta all’atto penitenziale? Se illezionario offre una scelta tra più branibiblici, la scelta compete a chi presiede.Lo stesso vale per l’eventuale forma bre-ve, che non è la scelta normale, ma unapossibilità da usarsi prudenzialmente insituazioni pastorali particolari. Per quelloche riguarda i ministri: chi proclamerà ledue letture? Chi sarà il salmista? Canteràsolo il ritornello o anche le strofe? Chiservirà all’altare? Ci sarà bisogno di cero-ferari e turiferari? Una particolare atten-zione va riservata a due elementi: le in-tenzioni della preghiera universale e lascelta dei canti. Le preghiere vanno pre-parate (scritte!), e non solo lette da un

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sussidio redatto sei mesi o venti anni fa,vanno proposte dal diacono o dai fedeli(meglio un fedele per ciascuna intenzio-ne), devono tenere presente ciò che laParola di Dio ha annunciato e la situazio-ne concreta in cui vive la comunità locale(se al pomeriggio si celebreranno le cre-sime è pensabile che nella messa delmattino non si preghi per i cresimandi?).I canti non possono essere appaltati alcoro e alle simpatie di singoli o di gruppi(“no, questo non lo cantiamo perchénon ci piace”) o, peggio, lottizzati tracori antagonisti (il risultato è la giustap-posizione casuale di un Gloria polifonicodi Palestrina e di un Alleluia scout), madevono corrispondere al periodo liturgi-co, al momento rituale (un canto d’in-gresso non è un canto di offertorio), inun progetto di animazione stilisticamen-te coerente e atto a favorire una realepartecipazione della comunità. Tuttoquesto non si può chiarire il sabato seraper la domenica, ma almeno il lunedì perla domenica. L’organista deve sapere seci saranno la processione alla presenta-zione dei doni e l’incensazione, perché ilcanto o il suono dell’organo possano ac-compagnare tutto il rito e non morire dischianto mentre il celebrante incensa lacroce dell’altare. Da tutto questo do-vrebbe risultare chiaro che la preparazio-ne non è cosa che riguardi il solo presbi-tero, e anche che è necessario un coor-dinamento: il criterio evangelico del“non sappia la tua destra ciò che fa latua sinistra” non si applica al gruppo li-turgico: se l’organista non sa che si farà

l’aspersione, come potrà accompagnarlacon il canto?

Esiste anche una preparazione im-mediata, che consiste tanto nell’ap-prontare ciò che serve (qualche ora oqualche minuto prima, secondo il caso ele possibilità concrete), quanto anchenella capacità di fare fronte a eventualiimprevisti senza entrare nel panico. Se cisono più persone del previsto significaaumentare il numero di particole da farconsacrare (e anche disporre sedie ag-giuntive, ove possibile), se si presentanosacerdoti che chiedono di concelebrarebisogna assicurare loro il posto in presbi-terio e le vesti, se viene a mancare unlettore bisogna poterlo sostituire ade-guatamente,…

Ultimo momento è la verifica. Checosa ha funzionato? E che cosa invecenon ha funzionato? Due giorni dopo ènaturale dimenticarlo. Mettere per iscrit-to serve a serbare memoria per l’annosuccessivo, o anche solo per la domenicaseguente, e per pensare gli opportuni ri-medi. Tra gli ambiti di verifica bisognasempre dare molto rilievo agli echi deifedeli: l’assemblea ha partecipato o hasubìto pazientemente? La corretta – emagari solenne – esecuzione dei riti daparte di celebrante e ministri non è diper sé sufficiente a definire la qualitàdell’azione liturgica. Com’è scritto suglistalli di alcuni cori monastici: “Si cor nonorat, in vanum lingua laborat”, senzal’adesione del cuore (di tutti), la preghie-ra diventa solo un esercizio fisico che af-fatica la lingua.

e presenti annotazioni non han-no la pretesa di un’argomenta-zione scientifica, né dal punto di

vista teologico né sotto il profilo sociologi-co. Piuttosto sono frutto di alcune, sempli-ci considerazioni di chi, spesso sottopostoad osservazione, stavolta si è lasciato an-dare a una breve analisi della situazione.

Messa sì, messa noNell’Italia del secondo dopoguerra, la-

cerata dalla fame e dalle divisioni politi-che, la messa domenicale rappresentavaper tutti un punto di riferimento, se nonaltro perché, dopo ogni celebrazione, lapiazza e il sagrato si animavano per le di-scussioni di carattere sociale, politico ereligioso. Fino ad allora, gli adulti aveva-no svolto un ruolo determinante, coinvol-gendo i più piccoli nell’educazione reli-giosa. “Guai a mancare alla messa!”:non di rado, parroci zelanti prendevanopresenze a destra e a manca, per poi for-nire ai piccoli partecipanti gallette, cioc-colato, ingressi gratuiti al cinema parroc-chiale. Chi, tra i più grandi, non ricordala famosa colazione con brioche e cioc-

colato caldo dispensata al termine dellamessa dei fanciulli?

Già don Milani, nelle sue EsperienzePastorali, si divertiva a tratteggiare le fa-sce componenti la comunità cristiana de-gli anni Cinquanta, in particolare là doveiniziavano a farsi sentire gli effetti dellaprima, pesante industrializzazione. Il cu-rato di Calenzano annota con particolaredovizia le tante sfaccettature della comu-nità a lui affidata, concludendo triste-mente che occorre mettere in movimentonuove energie, se non si vuole perdereanche quel poco che rimane.

Gli anni del boom economico hannovisto una nuova tendenza: se prima infattierano i genitori a condurre i figli alla cele-brazione domenicale, ora sono i figli a tra-scinare spaesati genitori, interiormente di-visi tra lavoro, faccende domestiche e no-stalgia di una religione “rurale” che nonesiste più, anzi è già morta schiacciata dalcemento delle anonime periferie urbane.

Il pastore zelante del nostro tempo fa-tica non poco a radunare le sue pecorel-le: non bastano più figurine o animazio-ne di sorta per coinvolgere figli… e geni-

Giorno del Signore,giorno della chiesa

La celebrazione eucaristica nella vita della Chiesadegli ultimi cinquant’anni

don Fabio Corona, parroco

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tori! Capita spesso di vedere papà cheaccompagnano i figli sull’uscio dellaChiesa per poi venirli a riprendere all’orafissata, magari anche un po’ prima: “Sa,padre, oggi abbiamo fretta!”. Quelli, in-vece, che giacciono sfiniti sotto le coltridel letto, subiscono i contraccolpi dei fi-gli, “sempre smaniosi”, senza però checambi qualcosa: “Eh, che vuole! La do-menica ci si riposa… facciamo la spesa…e poi le faccende…”.

Una diversa mentalitàAnche il confessore più austero, ormai

non regge più di fronte al netto cambio diabitudini: non andare a messa per moltinon costituisce più peccato! Se quel po-vero diavolo non provasse a fare qualchedomandina all’ignaro penitente, comeanche a qualche catechista di primo pelo,non emergerebbe affatto questa sorpren-dente novità. Le cause sono di diverso ge-nere: anzitutto, c’è chi non si pone più ilproblema; tra le giovani coppie emerge lanecessità di frequentare centri commer-ciali oppure, al pomeriggio e alla sera,luoghi di incontro e di svago. Infine c’èsempre chi si nasconde dietro il dito, ad-ducendo il (falso) ritorno alla comunità diorigine (alias: andare a pranzo dalla mam-ma; recuperare vassoi di alluminio conpranzi e cene già precotti per tutta la set-timana). A questo panorama, degno diun pollaio in batteria o, se preferite, di unquadretto ante rivoluzione industriale,corrisponde un cambio di mentalità, cheriduce sempre più frequentemente la par-rocchia a una sorta di agenzia dalla quale

attendere, a tempo scaduto, i passaportiper i Sacramenti. Meno male che, almenoin Italia, ancora si chiedono, i Sacramenti!In paesi come la Francia, l’Austria, il Bel-gio e la cattolicissima Spagna il problemaè stato nettamente tagliato con la scurefin dalla radice: si vive come se Dio non cifosse, ossia non si sente più la necessitàdi entrare in contatto con Lui!

Più messa meno messeQuesto lo slogan sbandierato per anni

da una generazione di fedeli e anche direverendi sacerdoti, con il giusto intentodi ricollocare l’Eucarestia nell’unico centrodella vita della Comunità cristiana. Pecca-to, però non abbia sortito l’effetto desi-derato. In Italia, infatti, mentre assistiamoal calo costante dei partecipanti all’Euca-restia domenicale, per non parlare diquella feriale!, registriamo, in alcuni casi,la moltiplicazione delle celebrazioni, nonsempre a vantaggio dei fedeli ma solo dichi presiede. Esempio: in una nota Parroc-chia della periferia romana, fino a qual-che anno fa si celebravano dieci (!) Messedomenicali, di cui nove al mattino e unasola alla sera, con evidente svantaggioper chi trascorreva la giornata fuori.

Se la media nazionale italiana dei fe-delissimi si aggira intorno al 10%, in al-cune parrocchie di tradizione si può arri-vare al 13%; in alcuni piccoli centri lamedia dei frequentatori supera abbon-dantemente il 30% ma nelle periferiemetropolitane più estreme si scende an-che al 2,5%. Che senso ha allora molti-plicare le celebrazioni? Si può ancora

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parlare di celebrazioni a vantaggio delpopolo di Dio?

Recenti sperimentazioni, un po’ ovun-que, dicono che è possibile andare incon-tro alle necessità reali della comunità cri-stiana, collocando la celebrazione dellamessa in orari convenienti, non solo almattino presto, ma anche nella pausapranzo o alla sera, prima o dopo cena.Non si tratta solo di celebrazioni marineestive, ma anche di celebrazioni in pienocentro, a ridosso di aziende o uffici in at-tività fino a sera. Dall’altro canto, lì dovenon è possibile, è bene che i sacerdoticoncelebrino, manifestando così l’unionedel presbiterio e conferendo alla celebra-zione stessa una maggiore dignità (leg-gasi: possibilità di cantare, proclamazionechiara della Parola di Dio, riflessione co-munitaria, ecc.). Il tutto per non ridurre lamessa a un mero atto dovuto, svilendoladella sua natura comunitaria1. Questaipotesi è già in atto presso molte micro-comunità, dove la gente si raduna nellaChiesa principale e lì ritrova la sua di-mensione di famiglia di figli di Dio convo-cata dal Padre per ricevere la Parola e ilPane di vita eterna2.

ConclusioneQueste brevi annotazioni richiedereb-

bero senz’altro ulteriori approfondimenti;

sarebbe interessante confrontare espe-rienze di laici e presbiteri sull’argomento,creando una sintesi più netta e una seriedi risposte più aderenti alla realtà.

Una cosa è certa: non possiamo per-metterci il lusso di moltiplicare le messe,se non per un autentico vantaggio dei fe-deli. Ciò vuol dire che ogni celebrazioneha la sua identità e la sua dignità: va pre-parata con il gruppo dei collaboratori eva animata per l’edificazione spirituale ditutti. Il primo responsabile resta il sacer-dote, ossia colui che presiede e che, conl’arte del liturgo, aiuta il popolo santo diDio ad entrare in contatto con Lui e rice-vere i suoi benefici spirituali3. Non ci puòessere improvvisazione o casualità: ognu-no, secondo il compito affidato, svolgeun ruolo determinante affinché la cele-brazione manifesti gli effetti della Graziadi Dio.

Sviluppando la ministerialità, è possi-bile conferire alla celebrazione la giustadignità, rendendo efficaci i doni di Dio, inun contesto che non sia più quello del-l’obbligo morale e spirituale ma della co-munione autentica con Lui e con i fratelli.L’immagine che ne risulterà sarà anchequella di una Chiesa ricca di carismi,pronta a mettersi in movimento, facen-dosi testimone ovvero missionaria inmezzo alla gente del nostro tempo.

——————1 Giovanni Paolo II manifesta la sua preoccupazione pastorale riguardo la domenica ed il senso dell’Eucarestia

nella sua Lettera apostolica Mane Nobiscum Domine (2004), ricordando anche le raccomandazioni in proposito,

già riportate in Tertio Millennio Adveniente. Non sono mancati interventi nel vivace dibattito, sintetizzato dallo

slogan: “Senza la domenica non possiamo vivere”.2 Per un approfondimento: A. Donghi, La pace sia con voi, LEV 20053 Cfr Giovanni Paolo II, Ecclesia in Europa, 28 Giugno 2003

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INTRODUZIONE:Invitati a dare una risposta alla doman-

da “che cosa è la Messa?”, i ragazzi e ibambini partecipanti ai gruppi di cateche-si della parrocchia, dove svolgevo il mioministero alcuni anni fa, hanno dato periscritto le loro riflessioni. Ne è emersa l’i-dea della Messa come di un incontro, diun convito e assai meno l’idea di sacrifi-cio. Ma la cosa più interessante è stata laquasi univoca sottolineatura che nellaMessa si è convocati per ascoltare la Paro-la di Dio. Non così avrebbero risposto ibambini di quaranta anni fa, prima dellariforma liturgica, decisamente voluta dalConcilio Vaticano II, che avrebbero sottoli-neato maggiormente l’idea della comu-nione eucaristica e l’aspetto sacrificale! Faparte di ogni realtà umana che nella sto-ria il pendolo oscilli da una parte all’altra,anziché mantenersi in equilibrio. Per que-sto ogni epoca storica evidenzia ed esalta,magari esageratamente con qualche ec-cesso, un aspetto a scapito dell’altro, eavvengono allora quelli che Giovan Batti-sta Vico chiamava “corsi e ricorsi storici”.

Le due realtà di sacrificio e di convitodella celebrazione eucaristica non sonouna opposta all’altra, anzi! Proprio il Con-cilio Vaticano II ci ha fatto comprenderedopo tanti secoli che anche dal punto di

vista architettonico le due realtà vanno te-nute presenti. Se la Riforma di Martin Lu-tero aveva portato i protestanti a vederel’Altare unicamente come la mensa, la ta-vola della Santa Cena, la Controriformacattolica aveva decisamente optato perconsiderare l’Altare solamente come l’aradel sacrificio. E da questi orientamentiscaturivano interpretazioni, scelte e prassidiverse. Oggi sappiamo bene che le duerealtà vanno unite: l’Altare non è solo unasemplice tavola per il pasto, ma non èneppure un monumento su cui immolareuna vittima. Per questo tutti i cristiani nel-le loro chiese collocano, vicini o insieme,l’Altare e la Croce.

LA MESSA È UN INCONTRO

Mi pare importante cogliere dalle ri-sposte dei ragazzi questa verità essenzia-le, tipicamente umana, che fa da fonda-mento alla realtà divina che celebriamo:la Messa è un incontro. Da questa com-prensione può più facilmente scaturirequella verità fondamentale che caratte-rizza la Messa: incontro con Dio e con ifratelli. Non semplicemente incontro inti-mistico e personale con Dio (importante,ma non esaustivo; “la mia Messa”; “lamia Comunione”), ma esperienza di co-munione con Dio e con i fratelli, per es-

Dalla vita alla Messae dalla Messa alla vita

mons. Giulio Viviani

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sere con Cristo e nello Spirito Santo “uncuore solo e un’anima sola”, “un solocorpo e un solo spirito”. Nella consape-volezza sempre più da maturare che lavera carità nasce proprio dall’Eucaristia,vista come il Sacramento dell’amore. Inquesto senso, l’invito di Gesù è chiaro edesplicito: “Fate questo in memoria dime” (Lc 22, 19 e 1Cor 11, 24). Esso,quindi, corrisponde a quello che San Gio-vanni riporta nella stessa sera, dopo la la-vanda dei piedi: “Se dunque io, il Signoree il Maestro... anche voi dovete…Vi hodato un esempio, infatti, perché anchevoi facciate come io ho fatto a voi” (Gv13, 14-15). Nella Messa lui ci dona la suavita, perché anche noi possiamo fare do-no della nostra esistenza.

La Messa è un incontro! Particolar-mente con i piccoli è importante far co-gliere il dato esperienziale sotteso. Mispiego con un esempio sul quale cer-cherò di modulare una descrizione dellaMessa da un punto di vista antropologi-co, che non vuol negare o misconoscereuna definizione o comprensione più teo-logica. Quando andiamo a far visita aduna persona, a una famiglia, quando ciritroviamo con gli amici, con altre perso-ne in parrocchia o in altri ambiti, normal-mente l’incontro si struttura in quattromomenti principali, con alcune caratteri-stiche proprie:- l’accoglienza con i complimenti, la ri-

chiesta di scusa, il chiamare per nome,il benvenuto;

- la conversazione, lo scambio di opinio-ni, l’ascoltarsi, il cantare insieme;

- il mangiare e bere insieme, come mo-mento di autentica fraternità e condivi-sione;

- i saluti, gli auguri e gli appuntamenti.Proviamo subito a ripercorrere questiquattro momenti pensando alla Messa econfrontandoli con essa:- i riti di inizio (segno di croce – saluto –

atto penitenziale – Kyrie – Gloria – ora-zione – colletta);

- la liturgia della Parola (letture – salmo ecanto – Vangelo - omelia – Credo –preghiera dei fedeli);

- la liturgia eucaristica (presentazione deidoni – preghiera eucaristica – Comu-nione);

- i riti di conclusione (avvisi – benedizio-ne – congedo).Se guardiamo e consideriamo attenta-

mente i vari sintagmi, dobbiamo anzitut-to riconoscere che la “parola” domina,attraversa, percorre tutti questi momenti,e ha un suo luogo privilegiato e specifico,sia nell’esperienza umana che in quella li-turgica celebrativa. Parlare è comunicare:la parola è uno dei mezzi per entrare incomunione con gli altri e anche con Dio.Dio ci parla in tanti modi: attraverso lacreazione, gli avvenimenti, la storia, lepersone, la liturgia, la parola. Parlare èdialogare: entrare in “comunione” conDio e con gli altri (Giovanni Paolo II, DiesDomini, 40). E c’è poi tutto un mondo disegni, di simboli: il linguaggio non verba-le, a volte più espressivo e più ricco dellesemplici espressioni verbali.

Sulla dimensione dell’incontro, PapaBenedetto XVI parlando ai sacerdoti della

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Diocesi di Albano, il 31 agosto 2006, cosìsi esprimeva: “Mi sembra importante ve-dere che queste due realtà - la SantaMessa celebrata realmente in colloquiocon Dio e la Liturgia delle Ore - sono zonedi libertà, di vita interiore, che la Chiesa cidona e che sono una ricchezza per noi. Inesse incontriamo non solo la Chiesa ditutti i tempi, ma il Signore stesso, cheparla con noi e aspetta la nostra risposta.Impariamo così a pregare inserendoci nel-la preghiera di tutti i tempi e incontriamoanche il popolo. Pensiamo ai Salmi, alleparole dei Profeti, alle parole del Signoree degli Apostoli, pensiamo ai commentidei Padri. Oggi abbiamo avuto questomeraviglioso commento di san Colomba-no su Cristo fonte di «acqua viva» allaquale beviamo. Pregando incontriamo an-che le sofferenze del popolo di Dio, oggi.Queste preghiere ci fanno pensare alla vi-ta di ogni giorno e ci guidano all’incontrocon la gente di oggi. Ci illuminano inquesto incontro, perché in esso non por-tiamo soltanto la nostra propria, piccolaintelligenza, il nostro amore di Dio, maimpariamo, attraverso questa Parola diDio, anche a portare Dio a loro”.

UN RITO, UNA CELEBRAZIONE COMUNITARIA

Non è estranea a questa descrizioneneppure la dimensione sacrificale che siesprime nel dono e nell’accoglienza: nel-l’Eucaristia Gesù ci accoglie, dona tuttose stesso, ci unisce intimante a lui e ci fasuoi. Noi, a nostra volta, lo accogliamo econ lui diventiamo la sua Chiesa riunitaattorno al suo Altare nell’ascolto della

sua Parola, mandati a portare nel mondoil suo Vangelo con la testimonianza fatti-va e l’impegno della vita concreta, a volteanche esigente, ardua e faticosa.

La liturgia della Messa, non lo si ricor-da, non lo si sottolinea mai abbastanza,ha ritualizzato l’Ultima Cena, che a suavolta aveva anticipato l’evento della Cro-ce, anzi tutto il mistero pasquale di mor-te e risurrezione. Se il giorno dopo Cristonon avesse veramente offerto la sua vita,il suo corpo e il suo sangue sulla croce,l’Ultima Cena sarebbe rimasta una bellarappresentazione. La verità, la pienezza siè rivelata e attuata sul Calvario e ogni ce-lebrazione eucaristica ci ripropone e cioffre il dono inestimabile e unico di quelmistero grande di amore e di salvezzaper noi e per l’intera umanità. La Costitu-zione Conciliare sulla sacra liturgia Sacro-sanctum Concilium (SC) in un testo pre-gnante ci ricorda che “Il nostro Salvatorenell’Ultima Cena, la notte in cui fu tradi-to, istituì il sacrificio eucaristico del suoCorpo e del suo Sangue, onde perpetua-re nei secoli fino al suo ritorno il sacrificiodella Croce, e per affidare così alla suadiletta sposa, la Chiesa, il memoriale del-la sua morte e della sua resurrezione: sa-cramento di amore, segno di unità, vin-colo di carità, convito pasquale, nel qualesi riceve Cristo, l’anima viene ricolma digrazia e ci è dato il pegno della gloria fu-tura” (n. 47).

Il valore e il senso della comunità ec-clesiale che celebra il suo Signore nel mi-stero pasquale si comprende in modospeciale quando parliamo di celebrazioni

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comunitarie. E ancor oggi si sente parlareerroneamente di “battesimo comunita-rio”, di “confessione comunitaria”, ecc.Da un lettura forse troppo affrettata, peresempio del n. 27 dell’Introduzione Ge-nerale del Rito per l’Iniziazione Cristianadegli Adulti (RICA), pare che l’aspetto co-munitario non sia dato dalla comunitàche accoglie il battezzando (o per analo-gia il penitente) ma dal numero dei bat-tezzandi (e dei penitenti). Si deve parlarepiù esattamente di celebrazione comuni-taria del Battesimo, della Riconciliazione,dove l’aspetto comunitario non è datodal numero dei battezzandi (o dei peni-tenti) ma dalla comunità che raccolta in-sieme celebra quel Sacramento. Una co-munità che può essere anche rappresen-tata da un gruppo qualificato di fedeli,come precisa in un caso particolare il RI-CA al n. 311.

In questa linea, ancora la Sacrosanc-tum Concilium evidenzia come “Le azioniliturgiche non sono azioni private ma ce-lebrazioni della Chiesa, che è «Sacramen-to dell’unità », cioè popolo santo radu-nato e ordinato sotto la guida dei Vesco-vi. Perciò tali azioni appartengono all’in-tero corpo della Chiesa, lo manifestano elo implicano; ma i singoli membri vi sonointeressati in diverso modo, secondo ladiversità degli stati, degli uffici e dellapartecipazione effettiva” (n. 26). E conti-nua: “Ogni volta che i riti comportano,secondo la particolare natura di ciascuno,una celebrazione comunitaria caratteriz-zata dalla presenza e dalla partecipazioneattiva dei fedeli, si inculchi che questa è

da preferirsi, per quanto è possibile, allacelebrazione individuale e quasi privata.Ciò vale soprattutto per la celebrazionedella Messa benché qualsiasi Messa ab-bia sempre un carattere pubblico e socia-le e per l’amministrazione dei Sacramen-ti“ (n. 27). Non occorrono altre paroleper evidenziare la dinamica dell’incontronella celebrazione rituale.

RITI DI INTRODUZIONERiprendendo ora l’esempio sopraccen-

nato proviamo a ripercorrere i vari mo-menti della celebrazione della Messa. Liriprendiamo per comprenderne il signifi-cato e per ricavarne alcune suggestioniper la nostra preghiera, la nostra parteci-pazione alle celebrazioni e il nostro stiledi vita. Ce lo raccomandano anche i no-stri Vescovi negli Orientamenti pastoraliper il primo decennio del Duemila (Co-municare il Vangelo in un mondo checambia): “La celebrazione eucaristica vasostenuta con una robusta formazione li-turgica dei fedeli” (n. 49) nella consape-volezza che “la valorizzazione della litur-gia non mira a sottrarci al rapporto vitalecon il mondo di ogni giorno” (n. 50).

Quando andiamo a trovare qualcuno oci incontriamo con altre persone, ci sonodei momenti preliminari che si attuanospesso anche inconsapevolmente. Si trattadi una accoglienza e di un riconoscimentoreciproco insito dentro la nostra realtàumana che si può differenziare nelle varieculture, ma mantiene alcuni tratti fonda-mentali comuni. Ci si saluta (“ciao”, “co-me stai?, “tutto bene?), ci si fanno i com-

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plimenti (“ti trovo bene”, “sei in gran for-ma”, “come sei elegante”, “come sonocresciuti i bambini”), ci si chiede scusa(“da quanto tempo non ci vediamo”,“non ti ho più telefonato”), ci si informa,si esprimono i motivi e le intenzioni dell’in-contro o della visita.

Analogamente nella celebrazione c’èuna parte chiamata appunto Riti di intro-duzione (o di inizio) per “entrare” insie-me nella celebrazione. Un rito che mancaquasi completamente il venerdì santo(non c’è la Messa), perché in quell’occa-sione si va direttamente all’essenziale,come nel caso di una visita per un lutto,si entra subito nella “liturgia della paro-la”. Nella Messa avviene questa stessamodalità di accoglienza con il segno dicroce (“nel nome…”), il saluto liturgico(“ci si saluta”), la breve monizione che ri-corda la celebrazione del giorno, l’invitoa chiedere perdono a Dio e ai fratelli (“larichiesta di scusa”), la lode a Dio nel Glo-ria (“i complimenti”) e l’orazione collettache raccoglie i motivi del nostro trovarciinsieme.

Una delle caratteristiche di un incon-tro tra persone che si vogliono bene, èdata dal chiamarsi per nome. Cosa che laliturgia attua tutte le volte che può e nonsolo nel caso dei defunti. Il valore del no-me emerge soprattutto nelle celebrazionisacramentali. Pensiamo al Battesimo, allaConfermazione, al Matrimonio, alla Pro-fessione religiosa, all’Ordinazione: chia-mando per nome e dicendo il nome ad-dirittura nelle orazioni e nel cuore stessodella preghiera eucaristica. Il valore del

nome è evidente soprattutto nelle lettere diSan Paolo. Egli scrivendo proprio ai cristianidi Roma, al termine della sua lettera (16, 1-6) elenca ben 27 nomi propri di persone diquella primitiva comunità cristiana.

Una volta si era più attenti alla præpara-tio ad missam: una serie di preghiere per ilcelebrante e anche per i fedeli (il cosiddetto“apparecchio” alla Messa) a cui seguiva an-che la gratiarum actio, il ringraziamento do-po la celebrazione. La Messa era avvolta nel-la preghiera. Senza togliere nulla al valore diuna preparazione personale e soprattutto al-la dimensione del silenzio per “entrare” nel-la celebrazione, oggi si prospetta invece unapreparazione remota, personale e comunita-ria, per conoscere i testi biblici ed eucologicii riti che riguarda tutti i fedeli e in particolareil coro, i ministranti, i lettori, anche median-te quelle realtà che sono i gruppi della Paro-la, la Lectio divina, i gruppi liturgici e parti-colarmente con la preghiera della Liturgiadelle Ore.

L’Ordinamento Generale del Messale Ro-mano (OGMR) ai n. 46-54 descrive i Riti diintroduzione e li spiega: servono a predi-sporre l’animo dei fedeli ad ascoltare la Pa-rola di Dio e a celebrare l’Eucaristia. Ma giàil muoversi, l’incamminarsi dalle proprie case- al suono delle campane - è un “andareverso…”. È Dio che ci convoca, che ci radu-na insieme; è lui la nostra meta. Inoltre ilcanto introitale, nelle varie modalità di ese-cuzione (quella tradizionale è un’antifonacon il salmo, da cantare o almeno proclama-re), favorisce il formarsi dell’assemblea cheunisce le propri voci e i propri cuori. Ci sonoanche alcuni segni molto espressivi oltre al

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(non semplice lettura!) delle letture. Adessa diamo il nostro assenso con le accla-mazioni. Poi rispondiamo a Dio non sem-plicemente con parole nostre, ma usandole sue stesse parole nel salmo responso-riale. Infine, come quando interviene unpersonaggio importante, con un grandeannuncio da dare, si ascolta in piedi conmaggiore attenzione e rispetto: così fac-ciamo per il Vangelo.

Tocca a ciascuna comunità trovare lemodalità concrete per svolgere il serviziodella Parola, per servire Cristo e i fratelli,veramente ed efficacemente, ricordandosempre che proclamare significa svolgereinsieme due realtà: leggere e parlare.Proclamare la Parola di Dio nelle celebra-zioni è sempre celebrare l’alleanza di Diocon noi, suo popolo (cfr Comunicare ilVangelo in un mondo che cambia, 49).L’efficacia della Parola di Dio è evidenzia-ta da uno dei testi “nascosti” della Mes-sa, della Liturgia della Parola. Terminato ilVangelo il sacerdote, mentre bacia il librodei Vangeli, dice sottovoce (in latino suo-na meglio): “Per evangelica dicta, delean-tur nostra delicta!” (La Parola del Vange-lo cancelli i nostri peccati). Si tratta di unvero e proprio atto di fede, una procla-mazione dell’efficacia (che fa quello chedice) della Parola di Dio; vorrei dire allapari con i Sacramenti (segni efficaci del-l’amore di Dio – cfr Ordinamento delleLetture della Messa, 41).

La nostra risposta si arricchisce poicon il Credo, la professione di fede: ade-sione piena e convinta a Dio e alla suaproposta, alla sua Parola nella Chiesa.

cammino processionale che apre la cele-brazione, come l’inchino, il bacio e l’in-censazione dell’Altare e della Croce: an-diamo incontro al Signore, al centro c’èlui, che ci raduna.

LITURGIA DELLA PAROLA

Ecco che, terminati i convenevoli sullaporta di casa e nell’ingresso, ci si sposta inuna sala o nel salotto per avviare la con-versazione. Ci si siede sulle poltrone o at-torno a un tavolo. A volte gli adulti tra lo-ro e i ragazzi e i bambini a parte e si avviala conversazione o la riunione. In certi casisi canta esprimendo la gioia dello stare in-sieme. Così avviene in ogni celebrazioneliturgica. Facciamo solo qualche accenno.

Ci ricorda il Concilio nella Costituzionesulla Sacra Liturgia: “Benché la sacra litur-gia sia principalmente culto della maestàdivina, tuttavia presenta anche un grandevalore pedagogico per il popolo credente.Nella liturgia, infatti, Dio parla al suo po-polo e Cristo annunzia ancora il suo Van-gelo; il popolo a sua volta risponde a Diocon il canto e con la preghiera” (n. 33).In questo incontro che è la Messa si svi-luppa quindi come nella normale espe-rienza umana uno spazio di dialogo, uncolloquio. Come in ogni occasione di ri-trovo tra persone, tanto più con Dio, ci siascolta, si parla, si entra in conversazione.Si alternano momenti di silenzio e di an-nuncio, di ascolto e di risposta. Così nellaliturgia della Parola della Messa, come ri-corda l’OGMR (n. 55-71), ci si mette co-modi e si ascolta la Parola di Dio che civiene comunicata nella proclamazione

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Quindi nella preghiera universale o deifedeli si chiede di poter vedere attuata laParola ascoltata: la gratiarum actio (il ren-dimento di grazie) diventa nova petitio(nuova richiesta).

Offrire una parola, la Parola di Dio, aquanti incontriamo è oggi più che maidoveroso per noi cristiani; è vera e propriaopera di misericordia, è testimonianza do-vuta e doverosa. Rifare il tessuto culturalecristiano passa anche da questo stile di vi-ta, impregnato dalla sapienza che vienedalla frequentazione con la Parola di Dio.Dall’ascolto della Parola di Dio matura innoi la vera e autentica “mentalità di Cri-sto” per pensare e agire come lui (cfr Rin-novamento della Catechesi).

Nella costituzione dogmatica sulla di-vina rivelazione Dei Verbum del ConcilioVaticano II, al n. 21 si afferma: “La Chie-sa ha sempre venerato le divine Scritturecome ha fatto con il Corpo stesso del Si-gnore, non mancando mai, soprattuttonella Sacra Liturgia, di nutrirsi del Pane diVita prendendolo dalla mensa sia dellaParola di Dio che del Corpo di Cristo, e diporgerlo ai fedeli”. Ecco quello che avvie-ne nella celebrazione eucaristica. Unamensa importante quella della Parola, alpunto che i Padri della Chiesa mettevanospesso in relazione il dono dell’Eucaristiae il dono della Parola. Per esempio, SanCesario di Arles, nel VI secolo, in un testotornato alla ribalta quando è stato dato ilpermesso di ricevere la Comunione nellemani, così afferma: “Vi domando, fratellie sorelle, che cosa vi sembra più impor-tante: la Parola di Dio o il Corpo di Cri-

sto? Se volete rispondere bene, dovetesenza dubbio dire che la Parola di Dionon è da meno del Corpo di Cristo. E al-lora se poniamo tanta cura quando civiene consegnato il Corpo di Cristo, per-ché nulla di esso cada per terra dalle no-stre mani, non dovremmo porre altret-tanta attenzione perché la Parola di Dio,che ci è offerta e data, non sfugga dalnostro cuore, ciò che avverrebbe se stia-mo pensando ad altro o stiamo parlan-do? Non sarà minor colpa l’ascoltare ne-gligentemente la Parola di Dio, che pertrascuratezza lasciar cader per terra ilCorpo di Cristo”.

LA LITURGIA EUCARISTICA

L’incontro prevede ancora un altrospostamento in sala da pranzo o comun-que in un altro luogo per lo spuntino, ilrinfresco, il pranzo o la cena. Anche que-sto cambiare di luogo è importante e vatenuto presente in ogni celebrazione: al-tare, ambone, sede, navata, ecc. sonoveri e propri luoghi e non semplicementeun arredo, dei mobili o suppellettile!

La liturgia eucaristica, descritta dal-l’OGMR (n. 72 – 89) meriterebbe uno svi-luppo ancora più ampio per sottolineare ilvalore del mangiare e del bere insieme,alla luce anche dei sacrifici di comunionedell’Antico Testamento. Oggi la nostra ci-viltà, sia in famiglia che in società, spessoha banalizzato questo momento tantoimportante della vita personale, familiaree sociale. Mangiare insieme significa “en-trare in comunione” con qualcuno. Pen-siamo quanto è brutto mangiare insieme

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con qualcuno quando si è con lui arrab-biati o in collera; anche il cibo più buonoe appetitoso perde il suo sapore. Se io fe-steggio il mio compleanno non mi com-pro una torta per mangiarla tutta da soloma per condividerla con gli altri che cosìfanno festa con me (…altrimenti rischioun’indigestione). Tanto più questo avvie-ne nella Santa Messa, dove non c’è solo ilsimbolismo ma la realtà: il cibo è addirit-tura un Pane dal Cielo, il Corpo e il San-gue di Cristo. Dopo la Comunione, nelmio corpo c’è la sua Carne, nelle mie ve-ne scorre il suo Sangue! Per questo SanPaolo potrà dire: “e non vivo più io, maCristo vive in me!” (Gal 2, 20).

Ogni incontro umano richiede un mo-mento di condivisione attorno al tavoloanche solo per un bicchiere d’acqua. Tan-to più un convito nuziale, un ritrovo traamici, un’agape fraterna. E anche in que-sto caso i tre momenti essenziali della li-turgia eucaristica (presentazione dei doni– preghiera eucaristica – Comunione) as-sumono i valori meramente antropologiciper elevarli a realtà sacramentale: l’ap-porto comunitario dei doni, il ringrazia-mento su di essi e la condivisone tra tutti.Certo qui la realtà liturgica supera ogniesperienza umana ma non la cancella,non la elimina, la suppone e la innalza aduna dignità più grande.

Vale la pena soffermarsi sul simboli-smo del pane e del vino: tanti chicchi difrumento macinati e impastati con l’ac-qua che formano un solo pane; tanti aci-ni d’uva, spremuti, che diventano un solocalice di vino. Simbolo della nostra realtà:

con sacrificio, nel morire a noi stessi, di-ventiamo “un cuore solo e un’anima so-la” con la grazia dello Spirito Santo. Nel-l’offerta del pane e del vino viene simbo-leggiata, ma non ignorata o dimenticata,l’offerta che ognuno di noi deve fare dise stesso, delle sue giornate, delle gioie edei dolori, delle fatiche e del lavoro, dellavita intera: personale, familiare, sociale.Sull’Altare, sulla patena anche noi trovia-mo spazio nell’adesione a Cristo, che as-sume in sé la nostra povertà per presen-tarla al Padre rivestita della sua ricchezza.

Un pane che genera comunione conCristo e tra noi in un contesto narrativo econ un agire simbolico. Dal rito si passa alSacramento e l’adorazione eucaristicaprolunga la Comunione con il SignoreGesù. Egli non teme di affidare alle nostrefragili mani, alla nostra povera umanità ilsuo dono più grande, tutto se stesso: “Ilnostro Salvatore istituì il sacrificio eucari-stico… per affidare alla diletta sposa, laChiesa, il memoriale della sua morte e ri-surrezione” (SC 47). Il “memoriale”(Zikkaron) che è un monumento, un luo-go, una lapide, una festa, un discorso perricordare, per non dimenticare, per rende-re presente. Per noi non è una semplicerievocazione storica (una “mascherata”):celebrare il memoriale (è più che un ricor-do) della morte e della risurrezione. L’Eu-caristia è memoriale: memoria viva, attua-le di Cristo; anamnesi ed epiclesi stretta-mente congiunte (il ricordo si fa invoca-zione e viceversa). Alla base della preghie-ra eucaristica c’è la narrazione come me-moriale. “Fate questo.... in memoria di

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me!”: e noi allora “memori ... offriamo”.Una celebrazione rituale: noi diventiamobeneficiari di quanto commemoriamo. Unevento unico, ripetuto nel segno e profe-zia dell’evento definitivo. Preparazione,consacrazione, comunione: tutto è vivomemoriale. Celebrare il memoriale: man-giare quel Pane, assimilare il Cristo. Noidiventiamo viva memoria di Cristo e dellasua Pasqua. Come ben si esprime l’ora-zione sulle offerte, della XX domenica deltempo ordinario: “Accogli i nostri doni, oSignore, in questo misterioso incontro trala nostra povertà e la tua grandezza: noiti offriamo le cose che ci hai dato, e tudonaci in cambio te stesso”.

RITI DI CONCLUSIONE

La conclusione di un incontro prevede,normalmente alla porta della casa o nelcortile, il momento del saluto, il darsi unaltro appuntamento, il saluto e gli auguri.Gli adulti si danno appuntamento sul luo-go di lavoro, in parrocchia, a fare la spe-sa, a qualche luogo di sport; i ragazzi si ri-troveranno a scuola, all’oratorio, in pale-stra… Si tratta qui della parte più brevedella celebrazione. Così si esprimel’OGMR al n. 28: “La Messa è costituitada due parti, la «Liturgia della Parola» e la«Liturgia eucaristica»; esse sono cosìstrettamente congiunte tra loro da forma-re un unico atto di culto. Nella Messa, in-fatti, viene imbandita tanto la mensa del-la Parola di Dio, quanto la mensa del Cor-po di Cristo, e i fedeli ne ricevono istru-zione e ristoro. Ci sono inoltre alcuni ritiche iniziano e altri che concludono la ce-

lebrazione”. Al n. 90 ci ricorda, inoltre,che: “I riti di conclusione comprendono:brevi avvisi… il saluto e la benedizione delsacerdote…il congedo del popolo … per-ché ognuno ritorni alle sue opere di benelodando e benedicendo Dio…”.

Dall’Altare, colui che ha ascoltato laParola di Dio e si è nutrito del Corpo diCristo è inviato nel mondo, nella vita aportare l’annuncio del Vangelo con la suatestimonianza, a diffondere il buon pro-fumo della carità di Cristo, a dilatare latenda della Chiesa. La vita del cristiano edella comunità cristiana va “oltre” la ce-lebrazione dell’Eucaristia. In ogni parroc-chia ci sono altri appuntamenti di pre-ghiera (Liturgia, Sacramenti, pii esercizi,ecc); non può mancare la catechesi; cisono occasioni per vivere la carità; e nonmancano iniziative culturali, sportive e difesta. La benedizione è il segno dell’invionella certezza che il Signore ci accompa-gna. Quando lui ci bene-dice, dice-benedi noi; e siccome la sua parola è efficace,fa veramente quello che dice, non comele nostre povere parole di augurio! Tuttala celebrazione è una “benedizione”, so-prattutto l’ascolto della Parola di Dio e laComunione al Corpo e Sangue di Cristo.La Messa si era aperta nel segno dellaCroce e si chiude con lo stesso gesto conil suo riferimento alla Trinità e al Battesi-mo, che ci ha fatti cristiani e figli di Dionella Chiesa. Il congedo non è un sempli-ce saluto, ma un vero e proprio invio. Sidichiara conclusa la celebrazione e aper-to il tempo e lo spazio della missione nelrendimento di grazie. Un documento del

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Concilio così ci ricorda l’importanza del-l’Eucaristia: “Non è possibile che si formiuna comunità cristiana se non avendocome radice e come cardine la celebra-zione della Sacra Eucaristia, dalla qualedeve quindi prendere le mosse qualsiasieducazione tendente a formare lo spiritodi comunità” (PO 6).

CONCLUSIONE

Giovanni Paolo II nella lettera Manenobiscum Domine ci esortava: “Un impe-gno concreto di questo Anno dell’Eucari-stia potrebbe essere quello di studiare afondo, in ogni comunità parrocchiale,l’Ordinamento Generale del Messale Ro-mano” (n. 17); non so quanti abbianopreso a cuore e messo in pratica tali pa-role. Qui giustamente e opportunamentecerchiamo ancora una volta di farlo.

Potremo, infine, domandarci nella di-namica dell’incontro: Che differenza c’ètra la Messa della domenica e quella deigiorni feriali? Dal punto di vista del valo-re non c’è nessuna diversità: sempre sicelebra il sacrificio di Cristo che ha unaportata unica, universale e incommensu-rabile. La specificità della domenica èdata dal “convenire in unum” (cfr DiesDomini 34 e 43). Un esempio banalema significativo e che fa ricordare me-glio la distinzione può aiutarci. Pensiamoalla sala da pranzo di un ristorante; pri-ma in un giorno feriale: tanti tavolini do-ve una, due o tre persone pranzano agruppetti, velocemente, conversando abassa voce tra di loro; c’è chi va e chiviene. Immaginiamo la stessa sala allesti-

ta per un banchetto di nozze o perun’altra festa: tutti quei tavolini formanoun’unica tavolata, c’è un clima di festa,tutti sono uniti, si canta, si applaude enon si guarda l’orologio. Così la Messadella domenica nelle nostre comunitàparrocchiali, almeno nella prospettiva.Quella Messa domenicale, che Gesùstesso ha inaugurato stando ai Vangelicon i due di Emmaus (Lc 24) e la seradello stesso giorno e otto giorni doponel cenacolo con gli apostoli (Gv 20) eche i primi Cristiani hanno subito impa-rato a praticare come è testimoniato peres. in At 20 e 1Cor 16, 2.

Il Concilio ha detto con chiarezza chela liturgia non esaurisce la vita della Chie-sa (SC 9) e tuttavia essa ha il suo apice eil suo cuore nella liturgia (SC 10). L’azio-ne cultuale non è l’unico modo di rende-re gloria a Dio: tutta la nostra esistenza èil sacrificio della lode al Padre; la celebra-zione vuol fare di tutta la nostra vitaun’autentica liturgia, incontro con Dio econ i fratelli. Noi, infatti, partecipiamo al-la liturgia eucaristica perché “Aprendociall’azione dello Spirito Santo, viviamo inCristo la vita nuova nella lode perennedel nome divino e nel generoso serviziodei fratelli” (PE riconciliazione I), nellaconsapevolezza che “Tu, Signore, nonhai bisogno della nostra lode, ma per undono del tuo amore ci chiami a rendertigrazie; i nostri inni di benedizione nonaccrescono la tua grandezza, ma ci ot-tengono la grazia che ci salva, per Cristonostro Signore” (prefazio comune IV; dal-l’antico Sacramentario di Verona).

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Testi e Documenti

a Carità nella verità, di cui Gesù s’èfatto testimone con la sua vita ter-rena e, soprattutto, con la sua

morte e risurrezione, è la principale forzapropulsiva per il vero sviluppo di ogni perso-na e dell’umanità intera”: sono le parolecon cui inizia l’ultima enciclica del Santo Pa-dre Benedetto XVI, Caritas in veritate, pub-blicata il 29 giugno 2009, che si inseriscenella tradizione delle cosiddette “enciclichesociali”. Infatti sin dall’Introduzione il Paparicorda che “la carità è la via maestra delladottrina sociale della Chiesa”. Tuttavia dato“il rischio di fraintenderla, di estrometterladal vissuto etico”, essa va coniugata con laverità, in quanto “un Cristianesimo di caritàsenza verità può venire facilmente scambia-to per una riserva di buoni sentimenti, utiliper la convivenza sociale, ma marginali”.Benedetto XVI indica quindi i due “criteriorientativi dell’azione morale” che derivanodall’attuazione della “carità nella verità”: lagiustizia e il bene comune. La Chiesa “nonha soluzioni tecniche da offrire”, ma ha“una missione di verità da compiere” per“una società a misura dell’uomo, della suadignità, della sua vocazione”.

Il primo capitolo richiama l’enciclica so-ciale di Papa Paolo VI, Populorumprogressio. Paolo VI, si legge nella Caritas inveritate, ribadì “l’imprescindibile importanzadel Vangelo per la costruzione della società

secondo libertà e giustizia”. Anche oggi laChiesa propone il collegamento tra etica del-la vita ed etica sociale evidenziato da PaoloVI. Riprendendo ancora il messaggio di Pao-lo VI, la Caritas in veritate ricorda che lo svi-luppo “è vocazione”, giacché “nasce da unappello trascendente”, ed è davvero “inte-grale” solo quando è “volto alla promozionedi ogni uomo e di tutto l’uomo”. Le causedel sottosviluppo “non sono primariamentedi ordine materiale”, ma vanno ricercate“nella mancanza di fraternità tra gli uomini ei popoli”. Se è vero che “la società semprepiù globalizzata ci rende vicini”, non è altret-tanto vero che “ci rende fratelli”. Bisogna al-lora operare affinché l’economia evolva“verso esiti pienamente umani”.

Allo Sviluppo umano nel nostro tempoè dedicato il secondo capitolo dell’enciclica.L’esclusivo obiettivo del profitto “senza ilbene comune come fine ultimo, rischia didistruggere ricchezza e creare povertà” ri-corda il Papa, indicando alcune distorsionidello sviluppo: un’attività finanziaria “per lopiù speculativa”, i flussi migratori “spessosolo provocati” e in seguito mal gestiti, “losfruttamento sregolato delle risorse dellaterra”. Questi problemi, che sono interdi-pendenti, chiedono di “riprogettare il no-stro cammino”, in quanto lo sviluppo oggiè “policentrico”, i protagonisti e le causedel sottosviluppo come dello sviluppo, sono

Caritas in veritateStefano Lodigiani

“L

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molteplici, così colpe e meriti sono differen-ziati. La linea di demarcazione tra Paesi ric-chi e Paesi poveri non è più così netta. In-fatti cresce la ricchezza mondiale in terminiassoluti, ma aumentano le disparità; nasco-no nuove povertà; la corruzione e l’illegalitàsono presenti ovunque; grandi impresetransnazionali come gruppi di produzionelocale non rispettano i diritti umani dei la-voratori. “Gli aiuti internazionali sono statispesso distolti dalle loro finalità, per irre-sponsabilità che si annidano sia nella cate-na dei soggetti donatori sia in quella deifruitori”. Al contempo “ci sono forme ec-cessive di protezione della conoscenza daparte dei Paesi ricchi, mediante un utilizzotroppo rigido del diritto di proprietà intellet-tuale, specialmente nel campo sanitario”.

La “riprogettazione globale dello svi-luppo” chiesta da Giovanni Paolo II allacaduta dei blocchi contrapposti, non soloper quei Paesi che uscivano dai regimi co-munisti ma anche per l’Occidente e le al-tre parti del mondo che si stavano evol-vendo, è avvenuta “solo in parte”.

C’è oggi “una rinnovata valutazione” delruolo dei “pubblici poteri dello Stato”, ed èauspicabile una partecipazione della societàcivile alla politica nazionale e internazionale.L’enciclica tocca poi le conseguenze della de-localizzazione di produzioni di basso costoda parte dei Paesi ricchi: “Questi processihanno comportato la riduzione delle reti disicurezza sociale” con “grave pericolo per idiritti dei lavoratori”; “i tagli alla spesa socia-le, spesso anche promossi dalle istituzioni fi-nanziarie internazionali, possono lasciare icittadini impotenti di fronte a rischi vecchi e

nuovi”; “i governi, per ragioni di utilità eco-nomica, limitano spesso le libertà sindacali”.Di fronte a questa situazione, il Santo Padreammonisce i governanti che “il primo capi-tale da salvaguardare e valorizzare è l’uomo,la persona nella sua integrità”.

In questo secondo capitolo, il Papa sot-tolinea che il rispetto per la vita “non puòin alcun modo essere disgiunto” dallo svi-luppo dei popoli, citando le pratiche di con-trollo demografico che in diverse parti delmondo “giungono a imporre anche l’abor-to”. Nei Paesi sviluppati si è diffusa una“mentalità antinatalista che spesso si cercadi trasmettere anche ad altri Stati come sefosse un progresso culturale”. Vi è poi “ilfondato sospetto che a volte gli stessi aiutiallo sviluppo vengano collegati” a “politi-che sanitarie implicanti di fatto l’imposizio-ne” del controllo delle nascite. Preoccupa-no anche le “legislazioni che prevedonol’eutanasia”, in quanto “quando una so-cietà s’avvia verso la negazione e la sop-pressione della vita finisce per non trovarepiù” motivazioni ed energie “per adoperar-si a servizio del vero bene dell’uomo”.

Il capitolo si conclude ricordando che leviolenze “frenano lo sviluppo autentico”, eciò “si applica specialmente al terrorismo asfondo fondamentalista”. Inoltre la promo-zione dell’ateismo da parte di molti Paesi“contrasta con le necessità dello sviluppo deipopoli, sottraendo loro risorse spirituali eumane”. Per lo sviluppo serve l’interazionedei diversi livelli del sapere armonizzati dallacarità, in quanto “la carità non esclude il sa-pere, anzi, lo richiede, lo promuove e lo ani-ma dall’interno”. (1-continua)

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Testi1:Prima lettura: Ger 33,14-16Salmo responsoriale: dal Salmo 24Rt/ A te, Signore, innalzo l’anima mia,

in te confidoSeconda lettura: 1 Ts 3,12-4,2Vangelo: Lc 21,25-28.34-36

1. L’Avvento, nato nella liturgia ispanica(sec. IV), entra nella liturgia romana qualchesecolo dopo (sec. VII) con forme inizialmentenon ben definite: cinque domeniche, secondoil sacramentario presbiterale, quattro secondoil sacramentarlo episcopale. Con il tempoprevarrà la tradizione episcopale di quattrodomeniche. L’Avvento è tempo di preparazio-ne alla solennità del Natale ed è tempo in cuila comunità credente viene guidata all’attesadella seconda venuta del Cristo, alla fine deitempi (Norme generali per l’ordinamento del-l’anno liturgico e del calendario, 39).

I temi liturgici della prima domenica diAvvento si legano alla conclusione dell’annoliturgico precedente. Per questo motivo lo sce-

nario tematico è ancora la fine del mondo e ilritorno ultimo (parusia) di Cristo. Qui si collo-ca come primario il tema dell’attesa. La comu-nità cristiana dovrà mantenersi salda e fidu-ciosa nella fede in Cristo: ci saranno momentidi paura e di smarrimento (sconvolgimenti co-smici) prima che il Maestro ritorni. Il suo ritor-no, però, sarà per la comunità cristiana il per-fetto compimento della salvezza, già prean-nunziato dalla profezia veterotestamentaria.L’attesa, perciò, è ricca di vigilanza e preghie-ra. La preghiera è orientata alla custodia e allacrescita della fede, mentre la vigilanza consi-ste sia nel crescere e abbondare nell’agape sianel comportarsi in modo di piacere a Dio.

2. Il discorso escatologico di Gesù ripor-tato dal vangelo di Luca è alquanto esteso (Lc21,8-36). Di questo brano la Liturgia scegliepochi versetti: Lc 21,25-28.34-36. Il testo bi-blico è stato arricchito di un incipit (= inizio)liturgico: “ In quel tempo, Gesù disse ai suoidiscepoli”. Contemporaneamente è stato im-poverito. Sono, infatti, stati tolti Lc 21,29-33.Si tratta della parabola del fico che sottolinea

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La parola di Dio celebratadon Renato De Zan

——————1 La lettura dei testi biblici nella liturgia presuppone la lettura esegetica e la supera. Il nuovo contesto (altre letture bibliche

e le eucologie) obbliga ad un nuovo tipo di lettura del testo e, molto spesso, sottolinea delle tematiche bibliche che a livello

esegetico possono essere anche secondarie. Il testo biblico-liturgico, poi, non è esattamente il testo biblico perché può esse-

re sottoposto a dei ritocchi (incipit, explicit, versetti mancanti).

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i segni della fine (tema già trattato nelle ulti-me domeniche dell’anno liturgico appenaconcluso). La Liturgia ha tolto questi versettiperché vuole evidenziare solamente gli atteg-giamenti del credente nell’attesa della Paru-sia e non i segni della fine. L’espressione cheintroduce il brano evangelico (“In quel tem-po, Gesù disse ai suoi discepoli”) è stretta-mente liturgico. Il brano, che contieneespressioni e immagini tratte da Dn 7,13-14,si divide in due momenti. Lc 21,25-28 si tro-va annunciata la Parusia come momento diredenzione per i credenti. Lc 21,34-36, inve-ce, contiene le esortazioni perché i credentisappiano attendere la Parusia.

Il tempo della terra e degli uomini sta perfinire (cfr Lc 21,25-28). Al centro di questarovina si colloca la figura del Figlio dell’uo-mo che ritorna (parusia). La parusia genereràpaura negli uomini, ma liberazione e rassi-curazione nei credenti. Gesù, infatti, torneràcome Figlio dell’uomo, giudice dell’umanitàe liberatore dei suoi. I cristiani hanno il di-ritto di essere sereni perché il Maestro li li-bererà dal dominio di Satana (il verbo “alza-tevi” si trova anche in Lc 13,11 dove indicala liberazione dal dominio di Satana: cfr Lc13,16) e li perdonerà (“levare il capo” equi-vale a “alzare gli occhi al cielo”, gesto com-piuto dal pubblicano al tempio che non sisentiva meritevole di perdono, mentre con-fessava i suoi peccati in Lc 18,13). La libe-razione, dunque, è da Satana e dal peccato.

Gesù, dunque, appare come giudice e li-beratore. Egli propone ai suoi due atteggia-menti nell’attesa di questi eventi: la sicurez-za in un mondo alla deriva e la vigilanza uni-ta alla preghiera perché la fede resti viva(Luca adopera il verbo “pregare” strettamen-

te legato al tema della fede). Il Signore rassi-cura la sua comunità fedele. Il mondo puòanche essere sottoposto alle catastrofi piùinimmaginabili che generano angoscia, an-sia, attesa paurosa. La comunità dei discepo-li, invece, già soggetta lungo la storia alleprove di satana vede avvicinarsi la sua sal-vezza (Cristo). La venuta del Figlio dell’uo-mo troverà le genti angosciate e i credentiserenamente e fiduciosamente accoglienti.

La raccomandazione finale può sembrareimprontata a moralismo. Non è così. L’atteg-giamento dell’attesa consiste principalmentenel coltivare l’ascolto operoso della Parola,senza lasciarsi sopraffare dalle preoccupa-zioni della vita (cfr spiegazione della parabo-la del buon seminatore: Lc 8,13). Seguonopoi due atteggiamenti, la veglia e la preghie-ra. L’associazione di queste due tematiche siritrova in modo alluso in Lc 22,46 (alzatevi epregate) e in modo più esplicito in Mt 26,41(vegliate e pregate). Si tratta di un invitopressante a coltivare e custodire la fede dallatentazione suprema, quella che distrugge lafede. La preghiera - che è ascolto della Paro-la, lettura profetica della storia per mezzodella medesima Parola e invocazione a Dioattraverso lo Spirito presente nella Parola -dona al credente l’atteggiamento sapiente efedele di fronte alla Storia che corre verso ilsuo fine e al Cristo che viene.

3. La prima lettura (Ger 33,14-16) pole-mizza con le presunzioni del tempo di Gere-mia. Il re Sedecia, secondo una politica mio-pe, non aveva rispettato la giustizia e nonaveva salvaguardato la pace. Per Giuda eGerusalemme nasceva il pericolo di un disa-stro tremendo. Geremia incoraggiò il popolodi Dio prospettando per il futuro la figura del

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Messia che compirà ogni giustizia (manterràogni promessa divina di salvezza) e porterà acompimento la pace (la realizzazione di ognisingola persona all’interno della realizzazio-ne della comunità).

Il dialogo tra la prima lettura (Ger 33,14-16) e il Salmo responsoriale (Sal 24, ) sottoli-nea l’importante tema dell’incontro tra il donodi Dio (la salvezza: “In quei giorni Giuda saràsalvato e Gerusalemme vivrà tranquilla”) el’impegno dell’uomo nell’accoglierla (“Fammiconoscere, Signore, le tue vie, insegnami ituoi sentieri”).

4.La seconda lettura (1 Ts 3,12-4,2) tra-duce in proposta di testimonianza quanto ècelebrato nel testo biblico. Paolo invita i cre-denti ad accogliere Cristo che viene attra-verso due atteggiamenti di fondo: l’abbon-

dante “amore vicendevole e verso tutti” e ilcomportamento in “modo da piacere a Dio”secondo l’insegnamento dell’apostolo (“cono-scete, infatti, quali norme vi abbiamo dateda parte del Signore Gesù”). Nel secondo at-teggiamento suggerito da Paolo si sente l’ecodelle Parole di Gesù a Pietro: “Lungi da me,satana, perchè tu non pensi secondo Dio, masecondo gli uomini” (Mc 8,33).

Mentre nella colletta generale non si facenno alla fine del tempo della terra, la col-letta particolare ricupera il tema della sicu-rezza. Viceversa, la colletta generale sottoli-nea l’incontro della salvezza divina accoltadall’impegno del credente, quella particolareevidenzia l’azione di Dio soltanto. Cristo vie-ne visto non solo come giudice, ma anchecome salvatore.

Prima lettura: Bar 5,1-9Salmo responsoriale: dal Salmo 125Rt/ Grandi cose ha fatto il Signore per noiSeconda lettura: Fil 1,4-6.8-11Vangelo: Lc 3,1-6

1. In epoca tardo-patristica, quando iltempo di Avvento cominciava a prendere for-ma, le comunità cristiane scelsero la figura diGiovanni Battista come compagno di viaggioper la prima parte di questo tempo liturgico.Accanto alla figura del Battista, la Chiesascelse la figura di Isaia e quella della Vergine

Maria. Oggi primeggia la figura del Battistache ha avuto il compito di “preparare la via alSignore” in mezzo al primo popolo di Dio. Inmezzo al popolo cristiano egli rinnova il suocompito sia per guidare il popolo di Dio al-l’accoglienza del Mistero dell’Incarnazionenella celebrazione liturgica, sia per accompa-gnare la Chiesa all’incontro con il Signore cheviene sia nel futuro della Parusia sia nel mi-stero dell’anamnesi celebrativa del Natale. Lacomunità, dunque, si prepara all’incontro conCristo che “è venuto” per celebrare la memo-ria del Natale. Contemporaneamente si prepa-

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ra all’incontro con Cristo che “verrà” ricor-dando a sé e all’umanità che esiste la fine del-la storia (individuale e collettiva) dove ognunosarà giudicato per la fede e per le opere.

Su chiaro invito del Battista (vangelo, Lc3,1-6), che riprende la profezia di Isaia (Is40,3-5), la comunità orante, alla luce delleparole di Baruc (1° lettura), chiede a Dio,nella petizione della Colletta propria: “Rad-drizza nei nostri cuori i tuoi sentieri, spianale alture della superbia, e preparaci a cele-brare con fede ardente la venuta del nostrosalvatore, Gesù Cristo tuo Figlio”.

2. Non ci sono differenze tra testo biblicoe testo biblico-liturgico. Secondo l’opinionedi diversi studiosi, prima che il vangelo diLuca, prendesse la fisionomia definitiva chenoi oggi conosciamo, ha vissuto uno stadio incui l’introduzione (Lc 1,1-4) era immediata-mente seguita dal brano odierno (Lc 3,1-6). Iltesto di Lc 3,1-6 può essere diviso in tre mo-menti. Nel primo (Lc 3,1-2) l’autore sacropresenta il quadro storico in cui Giovanni hainiziato la sua missione profetica di precurso-re. Nel secondo momento (Lc 3,3) viene of-ferto un sommario dell’attività del precursore.Nel terzo (Lc 3,4-6), infine, l’autore sacroevidenzia come l’attività del Battista corri-sponda a quanto era stato profetizzato da Is40,3-5. Il testo si può suddividere in tre parti:la prima (Lc 3,1-2) ) riguarda lo scenario sto-rico in cui Giovanni, come i grandi profetidell’A.T., viene chiamato alla sua missione(“la parola di Dio scese su Giovanni”); la se-conda (Lc 3,3) riguarda il sommario dell’atti-vità di Giovanni come precursore (“predican-do un battesimo di conversione”); la terza (Lc3,4-6) riguarda la citazione di adempimentodel brano di Is 40,3-5 (“Voce di uno che gri-

da nel deserto: Preparate la via del Signore”).Il testo evangelico di Lc 3,1-6 presenta la

figura del precursore come “profeta dell’Altis-simo” che andrà “innanzi al Signore a prepa-rargli le strade” (Lc 1,76). Il brano, che pervarie ragioni viene considerato uno degli inizipreredazionali del terzo vangelo, narra lachiamata di Giovanni Battista e il suo mini-stero. Giovanni è il profeta. Egli, come Gere-mia, oltre che ad essere conosciuto e consa-crato fin dal grembo materno, conoscerà an-che l’amarezza della propria parola ridotta alsilenzio dalla prigione e dalla morte. La voca-zione viene collocata, come ogni grande voca-zione profetica veterotestamentaria, nel suocontesto politico, religioso e geografico. In Pa-lestina, tra i credenti in Dio, ci sono coloroche hanno il potere sugli uomini e vivono “ve-stiti di morbide vesti” e “nei palazzi” (cfr Lc7,25); dall’altra parte c’è il profeta Giovanni,che appartiene al basso clero e vive nel deser-to. Tra i primi e il profeta c’è una differenza:Dio sceglie il profeta per manifestarsi, noncerto i signori di questo mondo. La missionedella predicazione ha come contenuto un bat-tesimo di conversione per il perdono dei pec-cati: si tratta di un segno che “esterna” unadecisione interiore (cambiare mentalità). con-temporaneamente la conversione è anche “an-nuncio di salvezza universale”.

3. Il testo della prima lettura annuncia ilritorno dei lontani a Gerusalemme. La giusti-zia (salvezza) che viene da Dio farà diventarela comunità il luogo dell’autentica realizza-zione dei singoli e della comunità stessa (pa-ce) secondo i criteri della salvezza divina(giustizia). Il gioco del testo greco, che sem-bra rispecchiarne uno ebraico, è ricchissimo,ma non è possibile renderlo in italiano: esiste

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un legame tra Yeru-shalem e il vocabolo sha-lom, “pace come realizzazione”; esiste ancheun legame tra i nomi dei re, Adoni-sedeq eMelchi-sedeq, con la radice sedaqah, che si-gnifica ‘giustizia’). Apparentemente in con-trasto con il vangelo (il testo isaiano citato daLuca dice: “Preparate la via del Signore...”),Baruc afferma: “Dio ha stabilito di spianareogni alta montagna...”: la prima lettura assi-cura che l’incontro tra Dio e il suo popolo èun incontro pieno di gioia. Come la comunitàè chiamata a lasciarsi gioiosamente condurrenelle vie preparate dal Signore? Con l’agape(Fil 1,9). Si tratta dell’amore divino, donatodallo Spirito, che il credente è capace di farabitare in sé. Non possiede automatismi, marichiede la fatica interiore dell’incarnazione.

Per la Colletta generale esiste il mondo,dove vive il credente, e c’è il Figlio, verso ilquale il credente è incamminato. Esiste l’im-pegno nel mondo (compimento della creazio-ne) e c’è l’impegno della fede (diffusione delvangelo). Solo la sapienza divina può crearenel credente la composizione e l’equilibrio frale due missioni che possono in una persona

senza Dio originare ambiguità. La collettapropria formula la domanda della rettitudine edell’umiltà, caratteristiche senza le quali nonesiste la possibilità di accogliere la Parola diDio che salva (=Gesù). Viene, inoltre, chiestoa Dio di preparare la comunità a celebrare lavenuta del Salvatore, accogliendolo nellacelebrazione compiuta nella e con la fede.

4. Il testo della seconda lettura è trattodal ringraziamento, che Paolo scrive all’ini-zio di ogni sua lettera. I versetti che costi-tuiscono la lettura non comprendono il v. 7che è legato alla situazione di prigionia diPaolo e che diventa informazione superfluain rapporto alla celebrazione liturgica. Latematica che interessa in modo particolaresi trova verso la fine del brano, lì dove l’A-postolo prega per i Filippesi. L’agape, e nonla Legge, deve far da guida nella conoscenzae nel discernimento circa ciò che bisognaessere e fare per trovarsi integri e irrepren-sibili per il giorno del Signore. In quel gior-no il Signore potrà trovare i credenti ricchidi quella giustizia che salva e che è, a suavolta, dono di Cristo.

IIMMMMAACCOOLLAATTAA CCOONNCCEEZZIIOONNEE DDEELLLLAA BB..VV.. MMAARRIIAA88 ddiicceemmbbrree 22000099

Prima lettura: Gen 3,9-15.20Salmo responsoriale: dal Salmo 97Rt/ Cantate al Signore un canto nuovo,

perché ha compiuto meraviglieSeconda lettura: Ef 1,3-6.11-12Vangelo: Lc 1,26-28

1. Agostino dice che tutti devono ricono-scersi peccatori “eccettuata la santa VergineMaria, della quale, per l’onore del Signore,non voglio assolutamente che si faccia que-stione quando si parla di peccato”. In unkontàkion di Romano il Melode (sec. VI ) l’O-riente bizantino prega: “Gioacchino ed Anna

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furono liberati dall’obbrorio della sterilità eAdamo ed Eva dalla corruzione della morte, oImmacolata, per la tua natività. Questa festeg-gia il tuo popolo, il tuo popolo, riscattato dallaschiavitù dei peccati, esclamando a te: - Lasterile partorisce la Madre di Dio e nutricedella nostra vita”.

Nel sec. XII la festa dell’Immacolata passadall’Oriente in Occidente per merito dei fran-cescani. Sei secoli più tardi, nel 1854, esatta-mente l’8 dicembre, con la bolla IneffabilisDeus Pio IX proclamava il dogma: “La Beatis-sima Vergine Maria, nel primo istante dellasua concezione, per singolare grazia e privile-gio di Dio Onnipotente, in previsione dei meri-ti di Gesù Cristo Salvatore del genere umano,fu preservata da ogni macchia di peccato origi-nale”. Maria è senza peccato originale per undono non meritato (grazia), voluto da Dio comeeccezione (privilegio) e riservato solo a lei(singolare).

Nel Concilio Vaticano II la Chiesa esprimela sua fede davanti al mistero dell’Immacolatain questo modo: “Arricchita fin dal primoistante del suo concepimento dagli splendoridi una santità particolare, la Vergine di Naza-ret per ordine di Dio è salutata dall’Angelo an-nunziante come ‘piena di grazia’ (cf. Lc 1,28),e lei al celeste messaggero risponde: ‘Eccomi,sono l’Ancella del Signore, avvenga di mequello che hai detto’ (Lc 1,38). Così Maria, fi-glia di Adamo, acconsentendo alla parola divi-na divenne Madre di Gesù, e aderendo contutto l’animo e senza nessun ostacolo di pecca-to alla volontà salvifica di Dio votò totalmentese stessa, come ancella del Signore, alla perso-na e all’opera del Figlio suo, mettendosi al ser-vizio del mistero della redenzione sotto di lui econ lui, con la grazia di Dio onnipotente” (Lu-

men Gentium VII,56). Il mistero dell’Immaco-lata va accolto e compreso all’interno del mi-stero più grande della Redenzione operata daCristo.

Per questo motivo i testi biblici scelti dallaChiesa per la Solennità dell’Immacolata spa-ziano dal progetto di salvezza divino (2° lettu-ra) al peccato originale (1° lettura) al compi-mento del progetto con il “sì” di Maria (vange-lo).

2. Il testo biblico-liturgico coincide con ilbrano biblico, sebbene la Liturgia abbia sop-presso l’espressione originale iniziale (“nel se-sto mese”), sostituendola con il classico “Inquel tempo”. L’espressione “nel sesto mese”legava l’annuncio angelico a Maria con l’an-nuncio angelico fatto a Zaccaria. La Liturgianon intende sottolineare, per oggi, questo lega-me. Il testo, racchiuso letterariamente tra l’ar-rivo dell’angelo (“l’angelo Gabriele fu mandatoda Dio”) e la sua uscita di scena (“E l’angelosi allontanò da lei”), è scandito in due momen-ti: un primo intervento dell’angelo che si chiu-de con un intervento interrogativo di Maria ,introdotto da “Allora Maria disse…” (Lc 1,28-34) e un secondo intervento dell’angelo che sichiude con un nuovo intervento di Maria, in-trodotto da “Allora Maria disse…” (Lc 1,35-38). Il vangelo (Lc 1,26-38) si suddivide in treunità: presentazione dei personaggi (vv. 26-27); dialoghi tra Gabriele e Maria (vv. 29-38);conclusione (v. 38d). L’asse portante dei perso-naggi è il mysterion (= progetto efficace di sal-vezza) di Dio: annunciato da Natan a Davide(cfr 2 Sam 7,12-16), giunge per mezzo dell’an-gelo a Maria, legata alla linea davidica di Giu-seppe. Il luogo dell’annuncio: Nazaret, in Gali-lea. Lì - profetizzò Isaia (8,23)- sarebbe com-parsa una “grande luce”.

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Il cuore del mistero viene annunciato nelsaluto angelico: “Rallegrati di gioia messiani-ca, Maria, trasformata totalmente da sempre eper sempre dalla grazia” (Lc 1,28). Per la cele-brazione diventa importante capire, per quantoè possibile, che cosa si celi dietro all’appella-tivo kecharitomène (piena di grazia). Il verbo èalla forma passiva e andrebbe tradotto con“riempita di grazia (da Dio)”. Poiché si trattadi un perfetto, sarebbe più vicina al significatooriginale la traduzione che dice “totalmentetrasformata da Dio per mezzo della sua gra-zia”. Dentro a questo dono di grazia, enorme,senza misura, si colloca la scelta divina di faredi Maria l’Immacolata per eccellenza fin dalsuo concepimento. Le parole dell’angelo ser-vono a comprendere meglio la finalità di que-sto dono ineffabile di Dio a Maria. Il Signore ècon lei, come lo fu con i grandi protagonistidel piano salvifico “di colui che tutto opera ef-ficacemente” (cfr Ef 1,11): Isacco, Giacobbe,Mosé, Gedeone, la Figlia di Sion, ecc. Maria,dunque, si colloca a conclusione di questalunga catena di persone che hanno collaboratocon Dio a far maturare il “mysterion” (=pianosalvifico). Perché questo privilegio? PerchéMaria sarà la Madre del Messia, discendentedi Davide e re di un regno che non avrà mai fi-ne (Lc 1,32-33). Ciò che Dio ha riservato a tut-ti con il Battesimo (2° lettura) ha donato a Ma-ria in modo eccezionale e fin dal concepimen-to. Maria, dunque, è la donna annunciata daYhwh dopo la caduta dei progenitori. In leiDio ha posto una inimicizia assoluta con il ser-pente. Da lei nascerà colui che schiaccerà latesta del male (Gen 3,15). La traduzione dellaconclusione del v. 35 dovrebbe essere: “perciò(anche) il nascituro santo sarà chiamato Figliodi Dio”. Gesù, il Messia, non è Figlio di Dio

da dopo la resurrezione, ma lo è fin dal suoconcepimento. Il titolo di “serva” colloca Ma-ria a livello di persona dedita totalmente alprogetto divino (cfr. Abramo, Mosé, Davide, iprofeti, il Servo di Yahweh).

La partenza dell’angelo (greco: apelthen)lascia un clima di gioia. Il verbo greco è usatoper chiudere la narrazione ed è sempre asso-ciato a sentimenti di gioia, stupore, ricono-scenza verso Dio per ciò che è appena accadu-to (cfr Lc 1,23; 5,13.25; 8,39; 24,12).

3. Il peccato delle origini (Gn 3,9-15.20)che aveva fatto sognare all’uomo di diventaredio di se stesso, ha scompaginato il sogno diDio: l’umanità si è posta contro Dio, l’uomocontro la donna, l’umanità in disaccordo con ilcreato. In questo quadro di totale rovina Diocolloca la sua promessa salvifica: un individuodell’umanità, a costo di sofferenze (“tu le insi-dierai il calcagno”) vincerà il male e la sua ra-dice. Il Salmo responsoriale trasforma lo stu-pore dell’assemblea in preghiera che contem-pla e gioisce. Nell’Immacolata concezione diMaria la comunità credente identifica le “me-raviglie” compiute da Dio e la vittoria divinasul male che permea radicalmente il mondo.

4. Il testo di Ef 1,3-6.11-12 manifesta lascelta amorosa fatta da Dio ancora prima dellacreazione: i credenti sono stati scelti per esse-re santi, figli di Dio e salvati. Costoro hannocreduto in Gesù, il Messia annunciato cheavrebbe schiacciato la testa al demonio e alpeccato. All’interno di questo mistero salvificosi colloca il privilegio di Maria, in quel “pia-no” in cui Dio “ tutto opera efficacementeconforme alla sua volontà” (v.11).

La Colletta illustra il dogma dell’Imma-colata. Maria non è vista tanto come la crea-tura privilegiata quanto come la donna “pre-

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servata da ogni macchia di peccato” e il“luogo” dove incontrare il figlio di Dio (“de-gna dimora per il tuo Figlio”). Il prefaziospiega l’espressione evangelica “piena di

grazia” e illustra lo stretto rapporto tra Mariae la Chiesa. Maria è la primizia della Chiesae contemporaneamente “avvocata di grazia emodello di santità” per i cristiani.

IIIIII DDOOMMEENNIICCAA DDII AAVVVVEENNTTOO -- CC 1133 ddiicceemmbbrree 22000099

Prima lettura: Sof 3,14-17Salmo responsoriale: da Is 12,2-6Rt/ Canta ed esulta, perché grande

in mezzo a te è il Santo d’IsraeleSeconda lettura: Fil 4,4-7Vangelo: Lc 3,10-18

1. “Rallegratevi sempre nel Signore: ve loripeto, rallegratevi, il Signore è vicino”: conqueste parole si apre la celebrazione della S.Messa della 3° domenica di Avvento. Il temadella gioia investe tutta la liturgia odierna.Nella 1° lettura (Sf 3,14-18a) il profeta an-nuncia: “Gioisci, figlia di Sion, esulta Israe-le, e rallegrati….Il Signore…..esulterà digioia per te…”. Paolo, nella 2° lettura (Fil4,4-7) così invita i cristiani: “Fratelli, ralle-gratevi nel Signore, sempre; ve lo ripeto an-cora, rallegratevi”. La chiusura del vangelo(Lc 3,10-12) dice: “Con molte altre esorta-zioni annunziava al popolo la buona novel-la”. L’Avvento ormai sta lasciando il temadella seconda venuta di Gesù nella Parusia,anche se tale tema è ancora presente in Fil4,5b: “Il Signore è vicino”. La liturgia dellaParola della terza domenica di Avvento, dun-que, ruota attorno al tema della gioia per lavenuta del Signore, nel doppio binario del ri-

cordo storico (passato) e dell’attesa escatolo-gica (futuro). In altre parole, la Liturgia vivel’anamnesi della storia della salvezza (cele-brazione dell’avvenimento accaduto) e l’a-namnesi della speranza (celebrazione del-l’avvenimento che accadrà).

2. Sotto il profilo della genesi letteraria,alcuni studiosi pensano che Lc 3,10-14 pos-sa essere una sintesi di catechesi catecume-nale praticata nella comunità di Luca. Uncredente, infatti, può dirsi incamminato sullavia della conversione quando accetta alcunifondamenti morali che guidino la sua vita.Tra questi, tre vanno ricordati: la condivisio-ne con chi ha meno (“Chi ha due tuniche, nedia una a chi non ne ha; e chi ha da mangia-re, faccia altrettanto”), il rifiuto del principioerroneo secondo il quale il fine giustifica imezzi” (“Non maltrattate e non estorceteniente a nessuno, contentatevi delle vostrepaghe”) e il rifiuto della mentalità del sotter-fugio (“Non esigete nulla di più di quanto viè stato fissato”). Il testo biblico e il testo bi-blico liturgico del vangelo (Lc 3,10-18) sonouguali (eccetto per l’incipit liturgico: “Inquel tempo”). Lc 3,10-18 si divide in duemomenti: le domande poste a Giovanni da

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parte delle folle, dei pubblicani e dei soldati(Lc 3,10-14); l’attesa messianica e la predi-cazione di Giovanni (Lc 3,15-18).

In poche righe si trova per tre volte la do-manda: “Che dobbiamo fare ?”. Si tratta del-la domanda che indica la disponibilità delpopolo ad accogliere tutto ciò che Dio vorràproporre come clausole dell’alleanza (cfr., informa affermativa, Es. 19,8 e Es 24,7; si ve-da anche l’espressione della folla dopo il di-scorso di Pietro in At 2,37). Le varie rispostedel Battista non fanno questioni di principio.Egli non pone il problema se sia lecito o noal vero credente essere militare o meno op-pure fare il pubblicano o no. Le dure rispo-ste di Giovanni propongono gesti di concre-tezza che manifestino per davvero la disponi-bilità a cambiare mentalità (conversione co-me atteggiamento di fede che accoglie la Pa-rola di Dio per bocca di Giovanni). Egli sta-bilisce attraverso le sue risposte affermativeil bisogno di radicare il proprio cambiamentointeriore su tre parametri: il principio dellacondivisione, il principio della non violenzae il principio della correttezza in ogni me-stiere (e solo Dio lo sa quanto moderna siaquesta proposta del Battista). In ogni situa-zione (folla, pubblicani, soldati) c’è lo spazioper non scoraggiarsi (cfr la seconda lettura,Sof 3,16: “Non temere, Sion, non lasciarticadere le braccia”) e per accogliere con gioiale proposte di Dio (cfr la seconda lettura, Sof3,17: “Esulterà di gioia per te, ti rinnoveràcon il suo amore....;”). Questo è il fondamen-to della gioia e della consolazione odierne.

Accanto alle “proposte”, Giovanni dà an-che la risposta di testimonianza. Molti stu-diosi dicono che Luca, come Marco (1,7-8) eMatteo (3,11-12), abbia riportato la testimo-

nianza del Battista per chiarire ai cristiani eai seguaci di Giovanni come il Messia nonfosse Giovanni, bensì Gesù. Al di là di que-sta più o meno probabile situazione dellaChiesa nascente, il testo riflette con chiarez-za la differenza tra la proposta di GiovanniBattista e quella di Gesù. La proposta delprimo consiste nel porre gesti che manifesti-no la disponibilità dell’uomo ad accogliereDio. Il secondo pone segni salvifici in cuiDio stesso opera.

3. La paura nell’attesa del Signore è asso-lutamente esclusa per i cristiani. Diventa in-vece necessario costruire sulla solidità dellaParola di Dio un atteggiamento di gioia e diserenità. La situazione in cui vive Sofonia èdifficile. La decadenza religiosa è, purtrop-po, molto accentuata e ha delle ricadute gra-vi sul comportamento morale individuale ecollettivo. La situazione politica, poi, è deci-samente amara a causa di scelte egoistiche,miopi e egoisticamente interessate. All’oriz-zonte si sta profilando una minaccia tremen-da: l’invasione assira. Nonostante questo, ilprofeta invita alla gioia. Se il popolo ritor-nerà a Dio, Dio compirà il miracolo di sov-vertire la situazione. Non ha senso, quindi,scoraggiarsi. Ha senso, invece, rinnovare l’a-more verso Dio che giungerà come salvatoree innamorato del suo popolo.

4. Paolo scrive alla comunità che ama dipiù e dalla quale è ampiamente ricambiato.Paolo (Fil 4,4-7) invita i credenti alla gioia,pur vivendo nella dimensione storica dove sifa esperienza di dolore, di sconfitta e di mor-te. Il motivo è semplice: il Signore è vicino edona la “pace di Dio” che custodisce i cuori!I suggerimenti di Paolo per vivere nella gioiasono diversi. Il primo consiste nell’essere af-

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fabili. Si tratta di un atteggiamento umano(rispetto, gentilezza) e contemporaneamentedi fede (chiunque è tuo fratello per il qualeCristo è morto). Il secondo consiste nell’ab-bandonare l’angustia (alcune cose dipendonoda noi, ma altre non dipendono da noi e, per-ciò, non ne siamo padroni). Meglio affidarsia Dio, dopo aver fatto tutto ciò che umana-mente è possibile (dio non interviene comecausa prima lì dove possono intervenire lecause seconde: approverebbe la pigrizia).

La Colletta generale pone l’assemblea nelclima che transita dall’attesa della Parusia allapreparazione prossima per la celebrazione del“grande mistero della salvezza”, l’Incarnazio-ne. La Colletta particolare, invece, indica inDio la fonte della gioia, nello Spirito la forzadel rinnovamento interiore, nell’osservanza deicomandamenti di Gesù (credere in Cristo, imi-tandolo, e amare come Lui)la testimonianza ela traduzione della gioia in generosità nell’an-nunciare il Vangelo (Cristo come Salvatore).

IIVV DDOOMMEENNIICCAA DDII AAVVVVEENNTTOO -- CC 2200 ddiicceemmbbrree 22000099

Prima lettura: Mi 5,1-4aSalmo responsoriale: dal Salmo 79Rt/ Signore, fa’ splendere il tuo volto

e noi saremo salviSeconda lettura: Eb 10,5-10Vangelo: Lc 1,39-45

1. Una delle caratteristiche dell’Avventodella liturgia romana è quella di passare dal-la dimensione teologica alla dimensione nar-rativa. Mentre la prima domenica di Avventoha un messaggio teologico molto elaborato(attesa della parusia), l’ultima domenica diAvvento ha un messaggio intessuto dentro alracconto: Maria porta in grembo il Messia eincontra il “segno” datole dall’angelo. La co-munità cristiana come si è fatta accompagna-re per un tratto dell’Avvento dalla figura delBattista, precursore del Messia, ora si fa ac-compagnare dalla Vergine Madre insieme al-la quale intende contemplare il Mistero di

Dio che si fa uomo. In questo cammino la co-munità vive spesso una situazione strana: cisono dei credenti che disprezzano “i segni”(interventi divini nella storia), come realtàadatta a coloro che sono ancora “infantili”nella fede, e ci sono credenti che sopravalu-tano “i segni” al punto tale da fondare lapropria fede solo su quelli. Se da una parte èvero che la fede è legata alle cose che non sivedono, dall’altra la Parola di Dio ci diceche la fede è spesso veicolata, sostenuta eguidata (non creata) dal “segno”. Un segno èstato dato a Mosé nell’esperienza del rovetoardente (Es 3,12: “Io sarò con te. Eccoti ilsegno che io ti ho mandato: quando tu avraifatto uscire il popolo dall’Egitto, servireteDio su questo monte”), un segno è stato datoa Gedeone (Gdc 6,36-40). Anche ai pastoridi Betlemme viene dato un segno (Lc 2,12:“Questo per voi il segno: troverete un bambi-no avvolto in fasce, che giace in una mangia-

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toia”). A Maria l’angelo da un segno: “Vedi:anche Elisabetta, tua parente, nella sua vec-chiaia, ha concepito un figlio e questo è ilsesto mese per lei, che tutti dicevano sterile:nulla è impossibile a Dio” (Lc 1,36-37).Quando Dio concede il “segno”, questo di-venta parte integrante della chiamata.

2. Il brano di Lc 1,39-48 è stato ripresodal Lezionario così come si trova nel vangelo.Bisogna tuttavia dire che il taglio finale è in-naturale perché interrompe il canto del Ma-gnificat. Ciò è voluto dalla Liturgia per con-centrare l’attenzione su Maria, che ha saputoaccogliere in sé il mistero del Dio che si fauomo, il mistero dell’impossibile secondol’uomo che diventa possibile a Dio. Il branobiblico di Lc 1,39-48 è facilmente suddivisi-bile in due momenti: l’incontro tra Maria e lasua parente Elisabetta (Lc 1,39-45); la primaparte del canto del Magnificat (Lc 1,46-49).dei due, diventa più importante il primo.

Il testo evangelico (Lc 1,39-48) narra l’in-contro tra Maria ed Elisabetta: Maria constatail segno datole dall’angelo e loda Dio per lamaternità messianica. Nel testo ci sono diver-si elementi da evidenziare. Vediamone quat-tro. La sequenza narrativa è lineare: l’angeloannuncia il segno, Maria va a constatarlo,Maria innalza un inno di lode incomparabilea Dio che l’ha resa madre del Messia. L’innodi lode in oriente esprime sempre la ricono-scenza del beneficiato. Le due donne sono“rivelazione” l’una per l’altra. Elisabetta, conla sua maternità è “rivelazione” (segno) perMaria. Anche Maria, però, è “rivelazione”per Elisabetta. Al saluto di Maria il bambino,che è nel grembo di Elisabetta, “sussulta” e“esulta di gioia” ed Elisabetta, per opera del-lo Spirito, esperimenta il suo ruolo di profeta

nei confronti di Maria. Il ruolo dello Spirito,discreto e possente, muove tutta l’azione. Egliè il “creatore” della maternità di Maria ed ècolei che investe Elisabetta perché proclamital maternità. Solo per opera dello Spirito esi-ste la maternità verginale, solo nello Spiritotale maternità è comprensibile nella sua ve-rità e portata salvifica (la ragione può aprirsialla verità dello Spirito, ma mai raggiunger-la). Maria non è solo madre del Messia (cfr ilsaluto angelico), ma anche madre di Dio. Eli-sabetta, infatti, saluta Maria come “....la ma-dre del mio Signore (in greco: Kyrios)”. Equesto Kyrios è Gesù. Alla fine, Elisabettaannuncia una beatitudine su Maria: “...beatacolei che ha creduto nell’adempimento delleparole del Signore (in greco: Kyrios)”. In que-sto caso Kyrios è Yhwh. Si tratta del nomeadoperato da tutta la traduzione dei LXX(traduzione greca dell’A.T.) per designareYhwh, Dio d’Israele. Yhwh e Gesù vengonochiamati con lo stesso nome (Kyrios) da Eli-sabetta, “piena di Spirito Santo”. Maria, dun-que, è madre di colui che riceve da Dio il no-me che è al di sopra di ogni altro nome: Ky-rios (Fil 2, 9-11).

3. Il testo della 1° lettura, Mi 5,1-4a, pro-fetizza l’umiltà delle origini del Messia (“Etu, Betlemme di Efrata, così piccola per esse-re tra i capoluoghi di Giuda, da te mi usciràcolui che deve essere il dominatore…”) econtemporaneamente la grandezza del Messiastesso a causa dello “shalom” (pace comerealizzazione) che porterà fino ai confini dellaterra. Ciò, però, avverrà solo “quando coleiche deve partorire partorirà”. Il profeta an-nuncia così il ruolo decisivo di Maria nell’a-dempimento della storia della salvezza. Men-tre la prima lettura (Mi 5,1-4a) è la profezia

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menti: di obbedienza, come il Verbo, e digioiosa lode, come Maria.

4. La seconda lettura (Eb 10,5-10) in po-che righe presenta lo stretto legame che in-tercorre fra il mistero dell’Incarnazione e ilmistero della morte e resurrezione del Signo-re. Il Cristo assume un corpo per fare la vo-lontà del Padre. Compiere la volontà di Dioera considerato l’atto di culto più alto di tutti(cfr 1 Sam 15,22:”Ecco, obbedire è megliodel sacrificio”). Per questo motivo il testoconclude che con questo gesto di obbedienzache porterà Gesù fino alla morte, il Cristoabolisce il primo sacrificio (il vecchio patto)per stabilirne uno nuovo.

adempiuta negli avvenimenti di cui il vangelonarra gli inizi, la seconda lettura (Eb 10,5-10) presenta il filo rosso che congiunge il mi-stero dell’Incarnazione (“...un corpo mi haipreparato...Ecco, io vengo..”) al mistero dellaMorte-Resurrezione (“Con ciò egli abolisce ilprimo sacrificio per stabilirne uno nuo-vo........per mezzo dell’offerta del corpo di Ge-sù, fatta una volta per sempre).

La Colletta generale sarebbe più adatta alvangelo dell’anno B (annunciazione) che nonalle altre domeniche sorelle (cicli A e C).Nella Colletta particolare (testo un po’ diffi-cile per la preghiera proclamata) la comunitàviene chiamata ad assumere due atteggia-

Prima lettura: Is 62,1-5Salmo responsoriale: dal Salmo 88Rt/ Canterò per sempre l’amore del SignoreSeconda lettura: At 13,16-17.22-25Vangelo: Mt 1,1-25

1. La messa della vigilia svolge, a livello li-turgico, la funzione di ponte tra il tempo di Av-vento e il tempo di Natale. La Colletta, infatti,esprime la fede della comunità che, da unaparte, da poco ha celebrato, riflettuto e pregatosul ritorno di Cristo nella sua parusia e, dall’al-tra, si sente coinvolta dallo splendore dell’In-carnazione. Nell’amplificazione della Collettala comunità è consapevole che Dio sta per do-nare la gioia della vigilia del Natale, ma simul-taneamente, nella petizione percepisce che il

Figlio di Dio, Redentore, è anche colui cheverrà come giudice: “Concedi che possiamoguardare senza timore, quando verrà come giu-dice, il Cristo tuo Figlio che accogliamo in fe-sta come Redentore”. La genealogia di Matteo(Mt 1,1-25) obbliga il credente a voltarsi indie-tro. L’incarnazione di Verbo incomincia da lon-tano. Incomincia con la promessa divina diGen 3,15, nel paradiso terrestre, prosegue conAbramo e si dipana nella storia tra mille osta-coli posti dalla cattiveria e ottusità dell’uomo.Dio ha voluto, con fedeltà assoluta alla sua pa-rola, portare a compimento il suo progetto sal-vifico (2° lettura, At 13,16-17.22-25), in qual-che modo anticipato dall’episodio del riscattodegli esuli da Babilonia appena ritornati a Ge-rusalemme (1° lettura, Is 62,1-5). Si tratta,

NNAATTAALLEE DDEELL SSIIGGNNOORREE AAllllaa MMeessssaa vveessppeerrttiinnaa nneellllaa vviiggiilliiaa2244 ddiicceemmbbrree 22000099

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dunque, della messa del passaggio: dall’attesa,alla realizzazione, dalla preparazione alla gioiadell’adempimento. Esiste, infatti, nella genea-logia (vangelo) un movimento da un passato,ricco di speranza, a un presente di realizzazio-ne. Anche nel sogno di Giuseppe (vangelo) esi-ste un movimento: da un clima di fallimento eabbandono si passa, dopo l’intervento dell’an-gelo, a un clima di decisione e di accoglienzadel mistero divino presente in Maria. Anchenella prima lettura il tema del passaggio è evi-dente: dall’abbandono divino del popolo alcompiacimento del Signore in esso.

2. Nel testo evangelico si possono facilmen-te individuare in due unità letterarie, la genea-logia di Gesù (Mt 1,1-17) e il racconto dellasua nascita (Mt 1,18-25).

Nella sua genealogia, Matteo ha evidenziatotre passaggi importanti nella storia della sal-vezza. Il primo passaggio si estende dall’amici-zia di Dio con Abramo alla promessa messiani-ca fatta a Davide per mezzo di Natan. Da que-st’ultima, in un secondo passaggio, si procedefino alla purificazione del popolo, esiliato a Ba-bilonia. Il terzo passaggio, infine, comprendel’arco di tempo che va dal ritorno da Babiloniaall’incarnazione del Messia Gesù. La genealo-gia, che si è dispiegata secondo lo schema “ilTizio generò il Caio”, si chiude rompendo taleschema: “Giacobbe generò Giuseppe, lo sposodi Maria, dalla quale è nato Gesù chiamato ilCristo” (Mt 1,16). Matteo ha adoperato un mo-do molto fine ed elegante per indicare il miste-ro della nascita di Gesù, narrata immediata-mente dopo. Il testo biblico del vangelo si aprecon la dicitura “Genealogia di Gesù Cristo fi-glio di Davide, figlio di Abramo”. In greco l’e-spressione è bìblos ghenèseos (libro della ge-nealogia) è equivalente all’ebraico sèfer toledòt

(libro delle genealogie), espressione che si tro-va in Gen 5,1, all’inizio della genealogia deipatriarchi prediluviani. Con Cristo c’è una nuo-va umanità che compare nella storia. In questanuova umanità ogni uomo è accolto. Non èesclusa nessuna persona. Gesù fa sue la gran-dezza e la miseria, la santità e il peccato di tut-ta l’umanità. Dio “assume” ciò che vuol redi-mere. I quattro nomi di donna (Tamar, Raab,Rut e “quella di Uria”, cioè Betsabea) presentinella genealogia non sono ovviamente tutte“esemplari”. Alcune di loro hanno qualche co-sa di “irregolare”. Eppure Dio ha voluto farpassare anche attraverso di loro la storia dellasalvezza. Si tratta di una realtà difficile dacomprendere. Eppure questo è il progetto diDio: la salvezza non corre sul piano delle forzeumane (anche se sante e meritevoli), ma sulpiano della grazia divina. Dio sa scrivere drittosulle righe storte degli uomini.

Nel mondo biblico esiste una certa diffi-denza nei confronti dei sogni, a meno che nonsiano uno strumento attraverso il quale Diovuole dialogare con l’uomo: “Se (i sogni) nonsono inviati dall’Altissimo in una sua visita,non permettere che se ne occupi la tua mente”.Attraverso il sogno di Giuseppe, l’evangelistapresenta il mistero dell’Incarnazione dove sonocoinvolti la volontà salvifica di Dio che si eraimpegnata con le promesse messianiche, la de-cisione della Vergine Maria di essere strumentoper la salvezza del mondo, l’opera dello Spiritoe il nascituro stesso, Figlio di Dio e Figlio dellaVergine: Gesù. Lo Spirito Santo è colui che in-carna il Verbo nel seno della Vergine e perquesto motivo Gesù è posseduto dallo Spiritofin dall’inizio del suo esistere. Consacrato adessere l’Emmanuele, il Dio con noi, Gesù donalo Spirito all’umanità con il suo stare con l’u-

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manità. Questa dimensione salvifica del miste-ro che è primariamente cristologica e solo do-po, mariologica, era stata annunciata da Isaia.

3. Il testo di Is 62,1-5, scelto dalla Liturgiacome prima lettura, esprime un clima gioioso.Attraverso l’immagine sponsale(la sposa da “abbandonata” di-venta “sposata”) il testo illustraquanto il vangelo esprime attra-verso la genealogia (passaggio “at-tesa-adempimento”) e il dubbio diGiuseppe (passaggio “preclusio-ne-apertura al mistero”). Il primoelemento che porta a gioire consi-ste nel ritorno della Parola di Dio:Dio continuerà a parlare al suopopolo. La Parola di Dio farà sor-gere nel popolo “giustizia e sal-vezza”. Detto in parole diverse,Dio farà sorgere l’adempimento ditutte le “promesse di bene” an-nunciate dai profeti. Tra queste promesse, cheverranno attuate da Dio e dalla sua Parola, cisaranno sia il cambiamento di vita del popolodi Dio (da prostituta a sposa) sia il dialogoamorevole e gioioso tra il popolo e il suo Dio.Non ci sarà più posto per il silenzio dell’abban-dono (cfr vv. 1.4), per la devastazione (v. 4) eper la disperazione a causa delle promesse nonadempiute (= giustizia: cfr v. 1).

Il Salmo responsoriale viene letto dalla Li-turgia secondo i canoni della lettura patristica.Chi parla è Dio e, contemporaneamente, l’as-semblea. Nella prima strofa Dio rinnova la pro-messa messianica fatta a Davide per mezzo diNatan. Nella seconda l’assemblea si dice beataperché destinataria della “giustizia” di Dio (nelcaso concreto equivale all’adempimento dellaparola data da Dio). Nella terza, Dio riprende a

parlare. Il destinatario, secondo lo spirito litur-gico del salmo, sarebbe il Figlio (“Tu sei miopadre…”). L’assemblea sa di essere una cosasola con il Figlio per il Battesimo e accogliequelle parole come rivolte anche a lei.

4. La seconda lettura riporta, in riassunto, laprima predicazione di Paolo compiuta ad Antio-chia di Pisidia. Il testo biblico di At 13,16-25 èstato impoverito dalla Liturgia dei vv. 18-21 edè stato arricchito nel suo incipit da elementipresi da At 13,13.14. E’ chiara la volontà dievidenziare come la gioiosa esperienza cristianadebba essere annunciata ovunque e a chiun-que. La soppressione dei versetti (vv. 18-21),poi, serve a concentrare l’attenzione sul legameDio-popolo-Davide-precursore-Messia. Il testoscandisce l’azione divina nella storia della sal-vezza: “scelse i nostri padri”, “esaltò il popo-lo”, “li condusse via” dall’esilio egiziano, ri-mosse Saul, “suscitò come re Davide”, gli diedetestimonianza, dalla sua discendenza “trasse unsalvatore”. La storia della salvezza trova il suoculmine nella persona di Cristo.

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Prima lettura: Is 9,1-6Salmo responsoriale: dal Salmo 95Rt/ Oggi è nato per noi il SalvatoreSeconda lettura: Tt 2,11-14Vangelo: Lc 2, 1-14

1. Nella sensibilità popolare questa è lamessa più sentita di tutto l’anno liturgico (an-che se teologicamente la celebrazione più im-portante è la Veglia Pasquale della notte delSabato Santo). Tertulliano raccolse e compediòin tre brevi parole il mistero di Betlemme equello del Calvario: caro salutis cardo. La car-ne è il cardine della salvezza. Il Padre ha volu-to salvare l’umanità attraverso la carne del Fi-glio: il Bambino Gesù è la guida operosa e sal-vifica verso quella sintesi e quella comunionenecessarie tra spirito e materia, fra eternità etempo, fra uomo bisognoso di salvezza e Diodonatore esuberante della medesima. Questomistero felicissimo viene accolto e vissuto dallaLiturgia in un clima di profonda e riconoscentegioia in sintonia con le parole angeliche: “Viannuncio una grande gioia: oggi vi è nato unSalvatore, Cristo Signore”. Attraverso il testoevangelico, i credenti si sentono guidati allacontemplazione e alla celebrazione di un avve-nimento che è “mistero di carne”, dove il divi-no diventa umano e l’umano è chiamato a di-ventare divino. Il testo evangelico di Lc 2,1-14sottrae la persona di Gesù dalle ombre del mi-to: Gesù è nato in un tempo preciso (duranteun censimento, il secondo, avvenuto sotto l’im-pero di Augusto) e in un luogo preciso (Betlem-

me di Giudea, pochi chilometri a sud di Geru-salemme). Accolto dalla delicatezza dei poveri(la parola “albergo” dovrebbe essere tradottacon “stanza”, dove c’erano tutti i parenti venutiper il censimento; Gesù nasce in un luogo po-vero, ma riservato: probabilmente il piccolo ri-postiglio accanto alla “stanza” che era fonda-mentalmente il vano della casa palestinese),viene proclamato nella sua identità messianicadal coro angelico. I destinatari primi di questarivelazione angelica sono le persone tra le piùdisprezzate del mondo ebraico: i pastori. La ri-levazione sulla persona di Gesù è continuataidealmente dalla prima lettura (Is 9,1-6): egli èla Luce, il Liberatore, il Sovrano, il Consiglieremirabile, Dio potente, Padre dell’eternità, ilPrincipe della pace.....La seconda lettura legail mistero del Natale (Tit 2,11-14) a quello del-la Pasqua: “…Ha dato se stesso per noi, per ri-scattarci......”.

2. Il testo di Lc 2,1-14, se letto in superfi-cie, presenta in maniera precisa la collocazionedi Gesù sia nello spazio sia nel tempo degli uo-mini. Se del testo, però, si fa una lettura legger-mente più approfondita, balza subito in eviden-za il legame tra l’avvenimento della nascita el’avvenimento del calvario, tra l’apparizioneangelica ai pastori e la resurrezione.

Luca si premura nei primi vesetti narrativi(Lc 2,1-5) di collocare Gesù all’interno dellastoria “universale” (romana) e all’interno del-l’attesa messianico-davidica (ebraica). Giusep-pe, come suddito dell’impero, deve sottometter-si al censimento (su questo censimento non ci

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sono ancora che soluzioni ipotetiche), come di-scendente di Davide deve farsi censire a Be-tlemme. Così si avvera la profezia di Michea(Mi 5,1). L’intenzione dell’autore è proprioquella di evidenziare la discendenza davidicadel Messia. Non a caso c’è una insistenza parti-colare nell’indicare “la casa” e “la famiglia” diGiuseppe. Su un piano più sfumato l’intenzionedell’evangelista pone il piano imperiale a servi-zio del progetto di salvezza divino.

Nel brano successivo (Lc 2,6-7) narra lanascita di Gesù a Betlemme. Forse la casa deiparenti che ospitava Giuseppe e Maria era or-mai sovraffollata e ai due giovani sposi, datoanche lo stato di Maria, non poteva essere con-cesso spazio nella “stanza” (meglio che allog-gio) venne offerto un luogo separato e discreto,senz’altro povero. Si trattava, probabilmente,del piccolo vano che faceva da ripostiglio e dapiccola stalla per l’asino? Ciò spiegherebbe lapresenza della mangiatoia. Non sembra que-sto, però, il pensiero centrale del testo. Ciò cheappare, invece, ad una lettura attenta è lostretto parallelismo tra la nascita di Gesù e lasua morte. A Gesù morto viene prestata unatomba, come alla nascita viene offerto a Gesùun luogo provvisorio. Con l’oscurità Gesù vie-ne deposto nel sepolcro e nell’oscurità (cfr il v.8) Gesù nasce. Gesù viene “avvolto” e “depo-sto” nel sepolcro (Lc 23,53) e alla nascita Ge-sù viene “avvolto” e “deposto” nella mangia-toia. Il Signore, dunque, nasce per morire: nel-le pieghe del racconto della nascita il credentegià legge la morte in croce del Messia. Se,dunque, Gesù muore per amore nostro (cfr Rm5,8: “Ma Dio dimostra il suo amore verso dinoi perché, mentre eravamo ancora peccatori,Cristo è morto per noi”), per amore nostro ilVerbo di Dio si è incarnato.

Negli ultimi versetti (Lc 2,8-14), infine,viene narrato l’annuncio angelico ai pastori.Anche in questo caso il parallelismo con laRisurrezione traspare da tutto il racconto. Gliangeli sono presenti nel sepolcro per annun-ciare che Cristo è risorto, così gli angeli sonovicini a Betlemme per annunciare la nascitadel Bambino. La luce divina è presente allaresurrezione (Lc 24,4: vesti sfolgoranti) come èpresente alla nascita (Lc 2,9). La paura è pre-sente nelle donne al sepolcro (Lc 24,5) e lostupore e lo spavento sono presenti nei disce-poli di fronte al Risorto (Lc 24,37). Allo stessomodo è presente lo spavento nei pastori (Lc2,9). Pietro vede solo le bende al sepolcro (Lc24,12) e le stesse diventano alla nascita il “se-gno” per l’identificazione del Bambino (Lc 2,12). L’uomo riceve l’invito a non spaventarsi difronte alla risurrezione (Lc 24,38) così i pasto-ri ricevono l’invito a non temere (Lc 2,10).Grande è la gioia per il Risorto (Lc 24,41),grande è la gioia per la nascita di Gesù (Lc2,10). Gesù nasce, dunque, per morire e peressere il Risorto. Nella celebrazione del Nata-le si concentra il mistero pasquale, contempla-to dall’angolatura dell’incarnazione dove è ve-latamente presente la morte e la risurrezionedel Salvatore.

3. La prima lettura (Is 9,1-3.5-6) fa parte diuna pericope del libro dell’Emmanuele (Is8,23-9,6). Il testo biblico originale è stato im-poverito dell’incipit e di un versetto (che è pa-storalmente difficile e riguarda la fine dellaguerra siro-efraimita). Il testo biblico-liturgicoche ne risulta, è molto efficace: il profeta mo-stra, attraverso il simbolo della luce che domi-na le tenebre, un popolo attonito per l’opera diDio, generatore di gioia immensa. I motivi ditale gioia, ricca di stupore, sono due: è cessata

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la guerra (v.3) ed è nato un bambino (v.5). Me-glio dire: è cessata la guerra perché è nato ilBambino. Si tratta, infatti, di un Bambino atte-so e accolto come dono di Dio (il verbo origina-le, infatti, è un passivo teologico). Si tratta delpiccolino preannunziato dal profeta in Is 7,14-15con il nome profetico di Emmanuele, figliodella parthenos (vergine). Egli porta quattro ti-toli: consigliere, Dio, padre e principe. Ci sonoin questo elenco alcuni elementi da valutarecon attenzione: la determinazione di tre titoli(primo e ultimi due: mirabile, per sempre, dellapace) e del titolo “Dio”. L’insieme manifesta unmessaggio inequivocabile. Il Bambino appar-tiene alla sfera del divino. Nell’ottica cristiana ititoli dicono che il Bambino è il Messia e che èanche Dio. La proclamazione della gioia dellaprima lettura è continuata dal salmo responso-riale (Sal 95,1-2a;2b-3;11-12;13) che anticipala gioia evangelica annunciata dagli angeli. Il“canto nuovo” pregato dall’assemblea è quellodi Ap 5,9 e Ap 14,3: è il canto nuovo dei beatiche seguono l’Agnello. Il compito dell’assem-blea è continuare l’evangelizzazione (cfr il ver-bo euangelizomai in Sal 95,2b) della salvezza,evangelizzazione già iniziata dagli angeli a Be-tlemme, e anticipare nella storia il cantico nuo-vo escatologico dei beati. Il testo biblico-litur-gico del salmo è un invito gioioso a far festa ead annunciare che il Signore “viene” (non “èvenuto”). Questa venuta è già un giudizio (cfrla teologia giovannea), compiuto, però, “congiustizia” e “con verità”: è il giudizio di Dioche si compie “nella grazia” e “nella verità” diGesù (cfr Gv 1,17), il Bambino di Is 9,6-7.

4. Come seconda lettura viene letta la peri-cope di Tt 2,11-14. Il testo è tutto imperniatosul verbo epifaneo (apparire/manifestare) checompare nei vv. 11.13.

Nella prima epifania il Signore Gesù “donala salvezza” e “insegna” a rifiutare la lonta-nanza da Dio (empietà) e la visione orizzontaledella realtà (desideri mondani). Insegna, inol-tre, a gestire la vita con sano equilibrio, intes-sendo e conservando rapporti corretti con Dioe con gli uomini. Non si tratta di un insegna-mento morale, ma di un dono. Gesù Cristo, in-fatti, ha donato se stesso per costituire un nuo-vo popolo, libero (cfr al v. 14 il verbo lytrosetai= si tratta del verbo che indica il riscatto deiprigionieri di guerra o degli schiavi) e capacedi kalon ergon, opere buone, cioè la caritàoperosa. Questa ricchezza nata dalla primaepifania-manifestazione di Gesù è in funzionedella seconda epifania-manifestazione di Ge-sù. In questa seconda epifania la nostra spe-ranza riposa perché il Signore si manifesteràpienamente come Dio e Salvatore.

Il brano, perciò, lega ulteriormente i mo-menti salvifici di Gesù. Il vangelo associa l’In-carnazione alla Morte e alla Resurrezione. Laseconda lettura lega l’incarnazione alla Paru-sia. La prima lettura collega l’Incarnazione alleattese del passato. In questo modo la Liturgiadella Parola percorre in tre momenti il misterodi Gesù atteso, incarnato, morto e risorto.

5. La Colletta in qualche modo è spaccatain due. Nell’ampliamento dell’invocazione vie-ne ripreso il tema della luce, caro al testoisaiano della prima lettura. Il popolo nelle te-nebre non è più Israele, ma l’assemblea cele-brante, e il Bambino isaiano è diventato “Cri-sto, luce del mondo”. Nella petizione e nelloscopo, invece, il testo eucologico riprende lasintesi del mistero di Cristo, presente nella Li-turgia della Parola (“lo contempliamo nei suoimisteri”) e colloca l’assemblea nella dimensio-ne dell’escatologia.

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Prima lettura: Is 62,11-12Salmo responsoriale: dal Salmo 96Rt/ Oggi la luce risplende su di noiSeconda lettura: Tt 3,4-7Vangelo: Lc 2,15-20

1. La Messa dell’aurora può essere letta ecompresa come un prolungamento della Messadella notte. Il testo evangelico di Lc 2,15-20 èla continuazione del vangelo proclamato nellaMessa della notte. Si può tuttavia affermare che“la testimonianza” emerga come una caratteri-stica particolare della Messa dell’aurora. Già laColletta nella petizione chiede che la fede cherifulge nello spirito dei credenti, risplenda nelleloro opere. Le fa eco il brano evangelico (Lc2,15-20) dove i pastori, dopo aver visto il Bam-bino, “riferirono ciò che del Bambino era statodetto loro”. La prima lettura (Is 62,11-12) pro-pone un annuncio alla figlia di Sion: il salvatoreporta con sé la sua mercede, la sua ricompensache consiste nel dono della santità e della re-denzione per il popolo che non sarà più abban-donato. Su questa linea continua la seconda let-tura (Tt 3,4-7) che testimonia indiscutibilmentela giustificazione per grazia, il dono della ere-dità della vita eterna, il dono dello Spirito permezzo di Gesù Cristo. In lui si sono manifestatila bontà e l’amore di Dio per gli uomini.

2. Il testo liturgico-biblico del vangelo iniziacon il classico incipit: “Avvenne che” posto da-vanti all’inizio naturale del testo biblico che in-comincia con l’espressione “Appena gli angelisi furono allontanati..”. Nonostante questa pic-

cola alterazione, il testo non cambia significatoe facilmente può essere individuato come lacontinuazione del testo evangelico della Messadella notte. Il testo può essere letto come fossescandito in quattro momenti: il progetto dei pa-stori (Lc 2,15), la testimonianza dei pastori (Lc2,16-17), la reazione degli ascoltatori (Lc 2,18-9), la lode dei pastori (Lc 2,20).

Come il brano inizia con il ritorno degliangeli in cielo, così si conclude con il ritornodei pastori ai loro greggi . Questa inclusionenon poteva mancare perché ambedue i prota-gonisti, angeli e pastori, sono i primi annun-ciatori del Messia. Come gli angeli, così an-che i pastori lodano Dio per ciò che avevanoudito e visto. Va ricordato che nel mondo bi-blico spesso il sentimento di riconoscenzaviene espresso dai verbi glorificare e lodare.E’ il grazie detto nella preghiera attraverso lanarrazione di ciò che è avvenuto. Non c’è,dunque, esperienza di fede senza riconoscen-za. Non c’è riconoscenza senza testimonianza.Non c’è testimonianza senza preghiera.

I pastori hanno bisogno di “verificare” laParola angelica ricevuta. Per questo motivo l’unl’altro si “dicevano” il bisogno di “vedere” laParola fatta loro conoscere. La successione “pa-rola accolta - sua conoscenza (esperienza) -esperienza del vederla” è fondamentale nelmondo biblico per la testimonianza di un’operasalvifica di Dio. La Parola va, dunque, fatta pro-pria attraverso l’ascolto (parola proclamata), lariflessione (parola interiorizzata) e la vista (pa-rola riscoperta nella storia).

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I pastori compiono il loro cammino di fede etrovano il Bambino come gli angeli avevano an-nunciato. Una volta verificata la Parola, testi-moniano la Parola ricevuta e, di conseguenza,ne garantiscono la corrispondenza. Ciò che erastato detto loro per davvero c’è! Giustamente èstato osservato che il racconto prima che esserestorico è paradigmatico, funge cioè da modello.Come i pastori, così ogni credente, prima è toc-cato dalla Parola. Successivamente sarà la Pa-rola di Dio a portarlo verso l’incontro con la Pa-rola, che è il Signore Gesù.

Lo stupore è la reazione degli ascoltatori.Maria ne è l’esempio più alto. Lo stupore è ca-pacità di “serbare nel cuore”. Successivamentelo stupore è spinta alla ricerca di significato. Ta-le ricerca viene compiuta da Maria secondo lamentalità del mondo biblico attraverso l’opera-zione del mettere insieme due parti, del compa-rare (questo è il significato del verbo greco; latraduzione “meditare”, forse, va oltre il valoredel verbo originale). Si tratta di una riflessioneche il credente compie tra Parola di Dio e avve-nimento, fino a dedurre dalla Parola il significa-to dell’avvenimento.

3. Il testo biblico-liturgico di Is 62,11-12non è ben circoscritto. Farebbe parte del branoanche il v. 10. La Liturgia ha preferito lasciarloda parte perché troppo vincolato alla situazionestorica. I due versetti rimanenti sono sufficientia dare al messaggio profetico un valore total-mente e immediatamente universale (e anchemessianico). I popoli sono chiamati a riconosce-re che nel popolo di Dio è avvenuto qualche co-sa di grande: il Signore ha donato gratuitamentela vittoria della liberazione (mercede, ricompen-sa) ai rimpatriati da Babilonia. Costoro sono dinuovo “consacrati” al Signore (“popolo santo”)perché tra essi e Dio è stato ripristinato il lega-

me di amore sponsale (alleanza) che il peccatodel popolo aveva interrotto. Il dono del ritorno ela riconsacrazione degli “esuli” come “popolo”sono i segni che testimoniano l’amore sponsaledivino per la sua gente. Non è il popolo a dover-si prendere questi doni. E’ Dio stesso a portar-glieli. Il salmo responsoriale è la risposta delpopolo liberato “riconsacrato” a Dio. Il testoesprime, dunque, la riconoscenza per l’amore diDio espresso nella prima lettura, ma contempo-raneamente anticipa la preghiera riconoscentedei pastori per ciò che Dio ha compiuto.

4. La seconda lettura, Tt 3,4-7, ha come tematica dominante l’affermazione secondo laquale Dio ha manifestato la sua bontà e il suoamore per gli uomini. La bontà e la filantropiasono nel mondo ellenistico le caratteristiche delre ideale. Dio, perciò, viene presentato come ilsovrano ideale che si occupa del suo popolo.L’abbondanza dei doni divini sono la prova del-la bontà del sovrano divino: salvezza gratuita emisericordiosa mediante il battesimo di rigene-razione (= inizio radicalmente nuovo) e di rin-novamento del credente (= creatura nuova in unrapporto di alleanza nuova) nello Spirito; effu-sione dello Spirito per mezzo di Gesù Cristo;dono della giustificazione e dell’eredità della vi-ta divina. Il testo è una catechesi battesimale ditipo trinitario.

La Colletta colloca teologicamente la pre-ghiera su due piani: il piano dell’esperienza mi-stica e il piano della testimonianza. Nell’ampli-ficazione si testimonia “ci avvolgi della nuovaluce del tuo Verbo”, mentre nello scopo dellaColletta si chiede che “risplenda nelle nostreopere il mistero della fede”. Non c’è opposizio-ne tra i due piani: il passaggio graduale è datodalla proposizione relativa dello scopo: “misterodella fede che rifulge nel nostro spirito”.

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Prima lettura: Is 52,7-10Salmo responsoriale: dal Salmo 97Rt/ Tutta la terra ha veduto la salvezza

del nostro DioSeconda lettura: Eb 1,1-6Vangelo: Gv 1,1-18

1. La Messa del giorno ha una caratteristicaben determinata: i testi biblici si concentranonon nella contemplazione della persona delVerbo fatto uomo, ma sulla sua opera di salvez-za. La celebrazione ha un sapore profetico.Quel Bambino, figlio di Dio e figlio di Maria,che compie in sé le profezie dell’attesa messia-nica è avvicinato dalla comunità celebrante percontemplare la missione che è chiamato a com-piere a partire dall’Incarnazione. Il Verbo haassunto la natura umana per poter condividerecon i fratelli la vita divina (Colletta). Diventan-do uomo ha dato il potere agli uomini che loaccolgono di diventare figli di Dio (Gv 1,1-18).Egli è l’erede di tutte le cose, è irradiazionedella gloria del Padre ed è assiso alla destradella maestà di Dio. In modo particolare Gesù,da una parte, è il Figlio per mezzo del quale ilPadre parla agli uomini in modo definitivo eunico e, dall’altra, è colui che ha compiuto lapurificazione dei peccati degli uomini. La con-templazione di quest’opera salvifica del Figlioper i suoi fratelli viene percepita e letta comela realizzazione di quella consolazione deside-rata e invocata nel canto di gioia di Is 52,7-10.

2. Il vangelo è costituito dal brano biblicochiamato comunemente “inno al Logos”, testoche si colloca fra le espressioni più alte del

pensiero religioso umano. Senza la pretesa difarne una presentazione esegetica, vale la penascorrere alcune tematiche più importanti allaluce della celebrazione stessa.

Sappiamo che la fisionomia attuale dell’in-no è frutto di almeno tre tappe successive. Allatappa più antica che presentava un primitivoinno liturgico al Logos, ne successero altre duedurante le quali vennero apportate delle ag-giunte. Prima vennero collocate delle glosseesplicative (Gv 1, 12c.13.17-18) e successiva-mente delle glosse aventi per soggetto GiovaniBattista (Gv 1, 6-8.15). Il testo attuale può ri-spondere a una domanda apparentemente sem-plice: secondo il prologo giovanneo, chi è il Lo-gos di cui oggi si celebra l’Incarnazione? La ri-sposta del testo consiste nel presentare il Logosin rapporto a Dio, in rapporto alla storia e inrapporto alla comunità dei credenti.

Il Logos esiste da sempre come colui che è“rivolto verso” Dio, Dio egli stesso. Egli è laSapienza di Dio che operava con Dio nellacreazione perché la Parola-Sapienza è vita eluce in quanto dona la vita divina all’uomo e ilsignificato dell’esistenza. La realtà e la storiaumana, colma di contraddizione e di peccato,ricca di non senso e di tenebra, non può né ac-cogliere né sopraffare la luce: la realtà umanalontana da Dio, cioè il mondo, non lo “riconob-be” e anche coloro che Dio aveva educato al-l’accoglienza del Messia, i “suoi”, non accolse-ro il Messia-luce. Chi, invece, l’ha accolto, si èvisto donare il potere di diventare figlio di Dioe la capacità di contemplare nel Verbo fattocarne la gloria che l’Unigenito riceve dal Pa-

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dre. Questa gloria è il rapporto unico che ilVerbo-carne ha con il Padre e che manifesta al-l’uomo attraverso l’amore divino immenso e in-crollabile. Si tratta della fedeltà divina instan-cabile e inesauribile verso l’uomo il quale, pur-troppo, non sa amare ed essere fedele. Dio, at-traverso il Logos, invece lo è.

Solo Gesù, il Bambino che ci è stato da-to, poteva portare a noi questa bella notizia:ciò che Egli è per noi e ciò che egli fa e faràper noi.

3. Alla luce di quanto ascoltato nella pro-clamazione del vangelo, l’assemblea non faticaa cogliere il Cristo Bambino dietro le sembian-ze dell’ “evangelizzatore” che annuncia la pa-ce. Le sentinelle, la parte più attenta del popo-lo, vedono la venuta liberatrice di Dio e la lorogioia non è altro che l’anticipo della gioia gran-de che tutto il popolo è chiamato a vivere perl’avvenimento della salvezza. Ciò che Dio inpassato ha compiuto davanti agli occhi degliEgiziani, ora lo compie davanti agli occhi ditutti i popoli. La prima lettura, tratta dall’ultimaparte del Deutero-Isaia, potrebbe risalire pro-babilmente poco prima della fine dell’esilio ba-bilonese. Il brano (Is 52,7-12), da cui è tratta lapericope biblico-liturgica (Is 52,7-10), annun-cia la prossima fine dell’esilio. La pericope, in-vece, coglie il momento dell’annuncio di taleliberazione. L’annuncio della salvezza vieneportato dall’ “evangelizzatore” che annuncia loshalom (la vera realizzazione del singolo all’in-terno della realizzazione di tutta la comunità)con l’espressione classica: il Signore è Re e,quindi, salvatore della sua gente. Il testo delsalmo responsoriale comprende gli stichi piùadatti ad esprimere le tematiche fondamentalidella Liturgia della Parola. Al v. 3 l’assembleariconosce nell’intervento divino l’amore e la fe-deltà, manifestata dal Verbo. Il clima di gioiacoinvolge tutta la terra e i popoli che hanno vi-

sto la salvezza operata dal Signore, “adesso” egià in passato (durante l’esodo). Popolo di Dio egenti tutte (universalismo della salvezza) sonochiamate ad unirsi nel giubilo del canto nuovo.La Salvezza oggi si chiama Incarnazione.

4. La seconda lettura è costituita dai primiversetti della lettera agli Ebrei (Eb 1,1-6). Dioparla all’uomo. In passato ha parlato ai padriper mezzo dei profeti e in modi diversi, oggiparla a noi nel Figlio. Non conoscere e non ac-cogliere il Figlio significa rimanere nel silenziodi Dio. Viceversa, conoscere e accogliere il Fi-glio significa accedere alla Parola di Dio. Il lin-guaggio adoperato evoca più che definire il Fi-glio: erede universale e creatore (v. 2), vienepresentato viene contemplato come irradiazio-ne, riflesso della gloria di Dio e come impronta,immagine perfetta della realtà divina. Il Figlioè colui che sostiene l’universo (caratteristicasolo divina) con la sua Parola ed è il vero e uni-co sacerdote (tesi di tutta la lettera) perché egli,ed egli solo, ha compiuto la purificazione deipeccati (v.3) ed è passato dal mondo degli uo-mini (mondo profano) al mondo celeste (mondodivino) attraverso la sua risurrezione che lo col-loca assiso alla destra di Dio (v. 4). La Collettagioca su un doppio parallelismo sintetico:“creati a sua immagine / rinnovati e redenti”,“noi condividiamo la sua natura divina / egliassume la nostra natura umana”. L’eucologiaprega, dunque, su due piani, quello dell’azionee quello della preghiera. Sul piano dell’azioneDio prima fa esistere mirabiliter (meravigliosa-mente) l’umanità e mirabilius (ancora più me-ravigliosamente) ha donato la redenzione. Sulpiano della preghiera i credenti, già rinnovati eredenti, chiedono di condividere (ora e sempre)la vita divina di chi, per donarla, ha accettatodi essere uomo. L’assunzione della natura uma-na da parte del creatore e redentore è il misteroche viene celebrato.

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Prima lettura: 1 Sam 1,20-22.24-28Salmo responsoriale: dal Salmo 83Rt/ Beato chi abita nella tua casa, SignoreSeconda lettura: 1Gv 3,1-2.21-24Vangelo: Lc 2,41-52

1. La celebrazione della Santa Famiglia po-trebbe essere celebrata secondo la tematicaproposta dalla seconda Colletta: “...Ravviva innoi la venerazione per il dono e il mistero dellavita, perché i genitori si sentano partecipi dellafecondità del tuo amore, e i figli crescano in sa-pienza, pietà e grazia, rendendo lo-de al tuo nome”. La vita, in-fatti, non è riducibile allasola sopravvivenza bio-logica. Esiste la vitadi fede, la vita so-ciale, intellettuale,culturale, affettiva,ecc. Tutte questevite trovano unitànell’unica vita dellapersona che non hacome orizzonte di esi-stenza solo gli anni dellasua storia terrena.

2. Il testo biblico e il testo bi-blico liturgico (Lc 2,41-52) coincidonoquasi perfettamente, fatto salvo l’aggettivo pos-sessivo (“I suoi genitori si recavano tutti gli an-ni..”) soppresso nel testo del Lezionario e sosti-tuito con l’esplicitazione (“I genitori di Gesù sirecavano tutti gli anni..”). Si tratta di una sem-plice esplicitazione di una elissi che il lettore,

comunque, avrebbe compreso immediatamen-te. Il testo evangelico che narra l’episodio diGesù dodicenne al tempio può essere suddivisoin due unità letterarie: l’episodio (Lc 2,41-50) eil sommario (Lc 2,51-52).

La lettura liturgica del brano evangelicosuggerisce di evidenziare i rapporti familiaridei protagonisti. La prima parte del testo, dun-que, è preparazione all’incontro tra Gesù e isuoi genitori, Maria e Giuseppe. La domandache nasconde un velato rimprovero, ma ancheuna oscura angoscia, dimostra come la filiazio-

ne divina di Gesù resta sempre mi-steriosa, anche per Maria e

Giuseppe. La confermaviene dal v. 50: “Ma essi

non compresero le sueparole”. Nemmenola risposta di Gesù,dunque, riesce apacificare tutto ilmondo di sentimen-ti racchiuso nella

domanda di Maria.Nella sua vita pubblica

Gesù, infatti, dirà: “Nes-suno sa chi è il Figlio se non

il Padre, né chi è il Padre se nonil Figlio e colui al quale il Figlio lo voglia

rivelare” (Lc 10,22). Alla domanda di Maria seguono due do-

mande di Gesù. Già nella prima (“Perché micercavate ?”) si intravvede la volontà di Gesù,più volte espressa nel vangelo, di non lasciarsicondizionare dai legami familiari nell’adempi-

Domenica fra l’ottava del Natale - CSSAANNTTAA FFAAMMIIGGLLIIAA DDII GGEESSÙÙ MMAARRIIAA EE GGIIUUSSEEPPPPEE2277 ddiicceemmbbrree 22000099

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mento della sua missione (cfr Mc 3,31-35; Lc11,27-28). Nella seconda domanda, che com-pleta la prima (“Non sapevate che io devo oc-cuparmi delle cose del Padre mio?”) emergecon chiarezza il legame particolarissimo di Ge-sù con Dio. Per la prima volta compare in Lucail nome di Dio come Padre e Gesù dice di do-versi occupare delle cose di Lui: l’obbedienzadi Gesù al progetto salvifico del Padre è totale.Egli ragiona secondo Dio e non secondo gli uo-mini. L’incomprensione di Giuseppe e di Mariarichiama le incomprensioni dei discepoli difronte all’obbedienza di Gesù davanti alla mor-te (cfr Lc 18,34). L’incomprensione di Giusep-pe e di Maria ha anche un secondo valore. Leparole di Gesù sono sempre un “euanghelion”,un lieto annunzio. Di questo lieto annuncio nonsempre possiamo essere sicuri di aver colto tut-ta la profondità e la ricchezza. L’umiltà dellaconsapevolezza veritiera di non saper in uncerto qual modo cogliere tutto ciò che il vange-lo dice, porta a comprendere come il vangelosia di una profondità e di una ricchezza tale dalasciare spazio alla ricerca e alla comprensionenuova della Chiesa che verrà.

Obbedire a Dio non equivale a non averrapporti con il prossimo, ma equivale ad avererapporti umani di un certo tipo fino a quandoDio non chieda diversamente. Per questo moti-vo il sommario conclusivo presenta Gesù sotto-messo ai suoi genitori secondo il comandamen-to divino che chiede ad ogni ebreo di “dare ilgiusto peso” (onorare) al proprio padre e allapropria madre (cfr Es 20, 12). Il contrasto volu-to dall’evangelista è notevole. Gesù aveva ma-nifestato la sua indipendenza nei confronti deilegami familiari ed ora è “sottomesso”. Gesù,che faceva stupire per la sua intelligenza e lesue risposte coloro che l’udivano (v. 47), ora ac-cetta di essere sottomesso a Maria e Giuseppe,che “non avevano compreso le sue parole” (v.

50). Gesù accetta in tutto la sua dimensione diuomo fino a quando il Padre non avrà stabilitoil tempo della sua manifestazione pubblica.

Per quanto riguarda Maria Vergine, si puòdire che incarni il modello del credente difronte agli avvenimenti della storia. Dio parlanella storia e attraverso la storia. Questa suaParola si può scoprire solo nell’umiltà dei tem-pi lunghi (“serbava tutte queste cose nel suocuore”) e nella comparazione orante del fattocon la Parola (cfr Lc 2,19). Come Madre, Mariasi appella alla fede per comprendere quel Fi-glio che è suo ed è di Dio.

3. La prima lettura (1 Sam 1,20-22.24-28),pur con tutte le necessarie messe a fuoco, aiutaa capire la seconda risposta-domanda di Gesù.La paternità e la maternità, gioia profonda e re-sponsabilità, sono contemporaneamente unaesperienza di “con-creazione” con Dio (cfr Gen1, 28) e una esperienza di “servizio” a Dio, au-tore e principio di ogni vita. Nella prima partedel testo (1 Sam 1,20-22) Dio appare come co-lui che si pone all’inizio di ogni vita. Così dicecon chiarezza Anna, madre di Samuele. Ilbambino non è nato per scelta umana, ma per-ché è stato “impetrato da Dio”. Oltre che all’o-rigine, Dio si pone anche come significato ulti-mo per la vita dell’uomo: a Dio, infatti, Annavuol portare il bambino quando sarà l’ora (“fin-ché non sia divezzato”). Tra la nascita e la suaora, Samuele vive con sua madre in un rappor-to intimo e profondo che neppure le consuetu-dini culturali possono separare (cfr il pellegri-naggio annuale di Elkana da cui Anna si disso-cia per accudire al bambino).

Se è dunque vero che ogni genitore èchiamato a dire non solo: “Tu sei mio fi-glio”, è altrettanto vero che, riconoscendo aDio ogni Paternità e Maternità, ogni genitorepuò anche affermare: “Tu sei figlio mio e diDio. Tu sei ‘nostro’ figlio”. È chiaro a questo

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punto perché la seconda Colletta prega“perché i genitori si sentano partecipi dellafecondità” dell’amore di Dio, nostro creatoree Padre. Il salmo responsoriale viene messoin bocca a Samuele e, di conseguenza, adogni membro dell’assemblea celebrante.Ogni credente, infatti, sa di essere deposita-rio di un carisma divino o vocazione (cfr 1Cor 7,7). Il credente esprime il suo bisognodi “abitare nella casa di Dio” quasi ad indi-care il bisogno che la sua risposta sia perti-nente alla vocazione datagli da Dio. La partefinale del salmo responsoriale chiede a Diodi ascoltare la preghiera che invoca aiuto,protezione e guida.

4. La seconda lettura (1 Gv 3,1-2.21-24)evidenzia il primo messaggio di Gesù: il nostrolegame con Dio consiste nell’essere “figli” suoie per questo motivo il legame filiale con i geni-tori non esaurisce l’esperienza filiale che ognu-

no di noi vive. Per questo motivo la secondaColletta prega: “I figli crescano in sapienza,pietà e grazia” - come Gesù -”davanti a Dio eagli uomini” (Lc 2,52).

Nei brani scanditi dall’appellativo “carissi-mi” (ce ne sono tre: 1 Gv 3,1.2.21) viene svoltoil tema della figliolanza divina dei credenti. Icredenti sono figli di Dio perché Dio li ha ama-ti. Non vengono però riconosciuti figli di Diodal mondo perché è nemico di Dio. Anche icredenti stessi possono stentare a credere diessere figli di Dio perché la loro identità saràrivelata solo nell’escatologia. Il testo, invece,introdotto dalla frase esplicativa (1Gv 3,23) ri-guarda ciò che devono osservare i figli di Dio:osservare i suoi comandamenti e fare quel cheè gradito a lui. I comandamenti sono fonda-mentalmente due: credere in Gesù Cristo eamare gli altri secondo il precetto suo (“amate-vi come io vi ho amato”).

Prima lettura: Nm 6,22-27Salmo responsoriale: dal Salmo 66Rt/ Dio abbia pietà di noi e ci benedicaSeconda lettura: Gal 4,4-7Vangelo: Lc 2,16-21

1. Nell’esperienza di fede cristiana il primogiorno dell’anno è carico di diversi significati,tra questo ricordiamo il momento di riflessionecomunitaria sulla “pace”. Nella Parola di Diolo shalòm (in ebraico è maschile!) non si iden-tifica tanto facilmente con il nostro concetto di“pace” (in 2 Sam 11,7 Davide chiede a Uria

come vada lo shalòm della guerra!). Il termineindica una realtà dove entrano in gioco diversivalori: la libertà, la giustizia, la verità, ecc.Non ci può essere per l’uomo biblico nessuna“pace” nuda, monca e solitaria. Lo shalòm ve-ro si ha lì dove la realizzazione del singolo siattua nella realizzazione della comunità e vice-versa. Non esiste la “pace” di qualcuno a sca-pito della “pace” di altri. Uno shalòm di que-sto genere non è possibile all’uomo, se egli vo-lesse attuarlo solamente con le proprie forze.E’ un valore che va attuato comunitariamente.Tuttavia la Parola di Dio ci avverte che l’uma-

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nità, anche concorde e attiva nel costruire loshalom, non riuscirà mai a raggiungerlo. SoloDio può donare la “pace”, quella che realizzain singolo dentro alla realizzazione della co-munità: “Vi lascio la pace, vi dò la mia pace.Non come la dà il mondo, io la dò a voi” (Gv14,27). Compito dell’uomo è operare, con tuttele risorse della sua fantasia, per cercare le viedello shalòm, aprendo le proprie mani comeuna coppa verso Dio perché Dio possa versarela sua pace, quella vera.

Il primo giorno dell’anno è anche arric-chito della celebrazione liturgica di Maria,Madre di Dio. L’atteggiamento più consonoper celebrare questo giorno è suggerito dal-l’eucologia. Dio è colui che dona, nella ver-ginità feconda di Maria, i beni della salvezzaeterna (1° Colletta) e dona anche lo SpiritoSanto (2°Colletta). La comunità celebrante èchiamata ad accogliere l’esperienza donativadi Dio (cfr la benedizione veterotestamenta-ria Nm 6,22-27) e la propria dignità di “figlidi Dio” come Maria, modello per ogni comu-nità e per ogni singolo credente, ha saputoaccogliere il Figlio di Dio e tutto ciò che è aLui intimamente legato (Lc 2,16-21).

2. L’inizio del brano evangelico di Lc 2,16-21 (Andarono, senza indugio, e trovarono Ma-ria e Giuseppe e il bambino…”) è stato modi-ficato nell’incipit: “In quel tempo, i pastori an-darono senza indugio, e trovarono Maria eGiuseppe e il bambino…”. Questo modestocambiamento impedisce di veicolare l’atten-zione sull’episodio precedente (apparizione,annuncio e segno angelico ai pastori), ma diconcentrare l’attenzione sulla testimonianzadata dai pastori e accolta da Maria. Questa let-tura viene confermata dal taglio della pericopeliturgico-biblica che inizia con la parte finale

(Lc 2,16-20) del brano originale lucano (Lc2,8-20) dell’esperienza angelica donata ai pa-stori. La chiusura del testo non avviene secon-do la conclusione naturale della pericope ori-ginale (al v. 20), ma ingloba il v. 21 che si rial-laccia alla nascita di Gesù (Lc 2,1-7). Inoltrebisogna osservare che il v. 21 è l’inizio di unapericope che si conclude come macro unità alv. 40 (circoncisione di Gesù, avvenimenti ac-caduti al tempio, infanzia di Gesù a Nazaret) ecome microunità al v. 24 (circoncisione e pre-sentazione di Gesù al tempio). Anche il v. 21,dunque, isolato da ciò che segue rappresentauna forzatura. Con questa scelta la Liturgiavuole completare il tema dell’accoglienza: Ma-ria non solo ha accolto il Figlio di Dio, ma an-che ha accolto il messagio angelico per mezzodei pastori e l’ordine angelico di dare quel no-me preciso al Bambino (Gesù).

Il testo liturgico-biblico del vangelo (Lc2,16-21) è chiaramente diviso in due mo-menti: la testimonianza dei pastori e la rea-zione di Maria (Lc 2,16-20); la circoncisionedi Gesù (Lc 2, 21).

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Quando i pastori vedono il segno loro indi-cato dall’angelo, testimoniano quanto essi han-no vissuto, visto e udito. La reazione alla testi-monianza dei pastori è lo stupore di “tuttiquelli che udirono”. Si tratta, probabilmente,dei parenti ospiti per il censimento in quellacasa. Il sentimento dello stupore nella lettera-tura lucana indica contemporaneamente gioio-sa meraviglia, difficoltà a convincersi di frontealle straordinarie opere di Dio, constatazionearrendevole di fronte ad esse, comprensioneperplessa e gioiosa delle medesime (cfr Lc8,25.55; 11,14; 24,12). La reazione di Mariaavviene nel tempo attraverso una duplicescansione: la custodia delle “parole” (in grecoremata) e la loro meditazione attraverso lacomparazione (symballo = comparare). La cu-stodia delle parole-avvinimenti consiste nonsolo nel memorizzare la parola-fatto, ma anchenel custodire l’emozione avuta di fronte a tale“fatto-parola” (cfr Dn 7,28; Sir 39,2). Non èdunque una semplice registrazione, ma un ri-cordare con tutta la persona. Maria aveva ac-colto la testimonianza dei pastori, l’aveva cu-stodita nella memoria con i sentimenti avutinel momento dell’accoglienza e successiva-mente aveva “comparato” le parole-avveni-menti successi con la Parola per poterli com-prendere. Questo è il valore del verbo greco(sumbàllousa) che la traduzione italiana rendecon “meditandole” nel suo cuore. La memoriameditativa di Maria è un altro modo per acco-gliere in sé il Figlio di Dio, che lei aveva giàaccolto nel grembo per dare un corpo al Verbo.

L’episodio della circoncisione serve all’e-vangelista per evidenziare l’importanza del no-me di Gesù (Yehoshuah; abbreviato: Yeshuah =il Signore salva). Non è un nome scelto dallaMadre, ma da Dio stesso. Anche in questo ca-

so Maria accetta di essere espropriata del di-ritto di dare il nome al Bambino per accettareche sia Dio a scegliere e a dare il nome.

3. Data la semplicità del linguaggio, parec-chi studiosi pensano che il testo della prima let-tura, cioè della benedizione (sacerdotale o rega-le ?) di Nm 6,22-27, sia molto antico. Lettera-riamente il testo della benedizione è compostoda tre stichi. In ogni stico sono indicate dueazioni divine. Le azioni sono di intensa comu-nione: Dio benedice, protegge, mostra la suabenevolenza (“fa brillare il suo volto su di te”) eil suo atteggiamento di favore, ha compassionee dona lo shalom (la realizzazione della personae del gruppo). Il popolo d’Israele, con questabenedizione, è invitato ad aprirsi all’accoglienzadi tutto ciò che Dio fa in suo favore. Non si trat-ta di un rito magico, ma di una preghiera d’in-vocazione affinché Dio si faccia percepire (“fac-cia brillare il suo volto”) in mezzo alla sua genteche sente il bisogno profondo di accoglierlo co-me protettore, come accompagnatore e comedatore di realizzazione. Il Salmo responsorialeinizia con la ripresa della benedizione sacerdo-tale di Nm 6,22-27, appena proclamata (cfr v.2). Questa benedizione non è qualche cosa diprivatistico di cui può trarre beneficio solo ilpopolo d’Israele. La benedizione è data perchévenga conosciuta tra le genti la via di Dio e lasua salvezza. Esiste, dunque, un legame tra labenedizione al popolo dell’alleanza e la salvezzaestesa a tutti i popoli che giungeranno a temereDio e a scoprire la sua presenza nella storia.

4. La seconda lettura (Gal 4,4-7) è un te-sto monco. La pericope biblica sarebbe leg-germente più ampia (Gal 4,1-7). Questa scel-ta liturgica facilita la lettura del brano comese fosse diviso in due momenti: Dio manda ilFiglio e Dio manda lo Spirito.

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Prima lettura: Sir 24, 1-4; 12-16Salmo responsoriale: dal Salmo 147Rt/ Il Verbo si è fatto carne e ha posto

la sua dimora in mezzo a noiSeconda lettura: Ef 1,3-6; 15-18Vangelo: Gv 1,1-18

1. Il clima teologico è ancora quello natalizioed è molto ricco: la comunità ha accolto la rive-lazione di Dio nella persona di Gesù (che è la“luce” per ogni uomo) e pregusta già oggi lagioia per tutto ciò che, in Cristo, è donato ai “fi-gli di Dio ed eredi del Regno”.. Il tema della do-menica oscilla tra l’esperienza dell’illuminazio-ne divina dei credenti e dei popoli (1° Colletta:“Dio.., luce dei credenti...rivelati a tutti i popolinello splendore della tua verità”; 2° Colletta:“Padre...illuminaci con il tuo Spirito”) e l’espe-rienza della anticipazione dell’escatologia (2°Colletta: “accogliendo il mistero del tuo amore,pregustiamo la gioia che ci attende, come figlied eredi del regno). Sintesi delle due tematicheè il vangelo (Gv 1,1-18). La prima lettura, inve-ce, si colloca sul versante dell’illuminazione:

l’inno alla Sapienza di Sir 24,1-4.8-12 presentain modo tipologico la figura di Gesù, Sapienza diDio. La seconda lettura (Ef 1,3-6.15-18), purtoccando le due tematiche, si colloca preferen-zialmente sulla linea della prima lettura: “Il Pa-dre della gioia vi dia uno spirito di sapienza e dirivelazione per una più profonda conoscenza dilui. Possa egli davvero illuminare gli occhi dellavostra mente per farvi comprendere a quale spe-ranza vi ha chiamati..” (Ef 1,17-18).

2. Il testo di Gv 1,1-18, era originariamenteun inno liturgico a “Gesù-Parola di Dio”. Pri-ma della sua redazione finale il testo venne ar-ricchito sia di aggiunte contenenti alcuni ele-menti su Giovanni Battista sia di glosse espli-cative. Il testo di Gv 1,1-18, già proclamatonella Messa del giorno di Natale (si veda ilcommento ad locum), viene in questo caso ri-letto secondo un’ottica diversa. Nella odiernacelebrazione ciò che interessa maggiormentenel testo biblico è la designazione del “Verboche si fa carne” come “luce” (vv. 4.5.7.8.9). Ipunti fondamentali, di conseguenza, possonoessere due: il Verbo come “luce e vita” e il Ver-

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Dio manda il Figlio perché sia solidalecon gli uomini: “nato da donna” e “sotto lalegge”. L’obiettivo della missione consistenel riscattare quelli che erano sotto la leg-ge e nel farli diventare figli di Dio peradozione. L’incarnazione culmina nellacroce che riscatta (cfr Gal 3,13-14) e nellarisurrezione dalla quale proviene il dono

dello Spirito che opera nei credenti la fi-gliolanza divina.

Questo Spirito è lo Spirito del Figlio ed èla “prova” della figliolanza dei credenti: loSpirito, presente nei cuori dei figli, gridaverso Dio, chiamandolo “Papà”. Ciò rende ilfiglio adottivo, erede. Non per diritto, ma pergrazia di Dio.

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bo come luce che illumina ogni uomo. Standoad una esegesi stretta di Gv 1,3 bisogna direche la luce è un simbolo della vita. La vita ènel Verbo e tale vita è il dono che il Verbo vuo-le fare agli uomini. Tale vita, in fondo, è eglistesso perché egli è la luce vera (alethinos). Ilconcetto di alethinos, che indica qualche cosadi autentico, genuino, pieno, esprime ancheun’antitesi. Come il pane vero si oppone allamanna e il pastore vero si oppone ai mercenari,la luce vera si oppone a quelle altre luci (ideo-logie, potere, ecc.) che pretendono di offrire lavera vita agli uomini.

3. La prima lettura è costituita da un testocomposito (Sir 24,1-4.8-12), tratto dall’elogiodella Sapienza di Sir 24. Il testo originale è sta-to impoverito dei quei versetti (vv. 5-7) che so-no più legati all’opera creativa divina. Vengono,invece, lasciati i versetti più legati alla dimen-sione storico-salvifica della Sapienza. Nel testoliturgico-biblico la Sapienza identifica se stes-sa come Parola di Dio : “Sono uscita dalla boc-ca dell’Altissimo”. La Sapienza, inoltre, dice diessere una “inviata tra gli uomini” e pianta latenda tra essi. La Sapienza dà il culto a Dio(“Ho officiato nella tenda santa davanti a lui..”)e vive tra il popolo di Dio. Le caratteristichemaggiori della Sapienza presentate dal Siracidesi ritrovano puntualmente come caratteristichedel Verbo giovanneo. La Sapienza è Parola. Ilprologo giovanneo dice che Gesù Cristo è il“Verbo” (Gv 1,1: “In principio era il Verbo....”).La Sapienza è inviata tra gli uomini. “Il Verbo -afferma il testo del prologo al v. 14 - si fece car-ne e venne ad abitare in mezzo a noi”. La Sa-pienza pianta la tenda tra gli uomini e il Verbo“eskenosen in mezzo a noi”. Il verbo grecoeskenosen nell’ambito del linguaggio del prolo-go non significa primariamente “abitare”, bensì

“piantare la tenda”. Infine, la Sapienza dà cul-to a Dio e il Verbo si trova in perpetuo atteggia-mento di intercessione presso Dio: e il Verboera pros ton Theon (Gv 1,1b). L’espressione gre-ca non è ben resa con “presso”. Il significatoindica una relazione permanente e dinamicache è la base per l’opera di intercessione sacer-dotale del Figlio (cfr la lettera agli Ebrei). At-traverso l’accostamento di Sir 24 con Gv 1 laLiturgia ha voluto evidenziare quanto Paolo,sinteticamente, esprime in 1 Cor 1,24.30: Cri-sto, “diventato per noi sapienza, giustizia, san-tificazione e redenzione”, è “potenza di Dio esapienza di Dio”.

Il Salmo responsoriale fa diventare inno dilode la preghiera dell’assemblea che, narran-do come la Sapienza-Verbo si colloca tra gliuomini, ringrazia Dio per tale dono. La Sa-pienza donata da Dio agli uomini significa peressi sicurezza (“le sbarre alle tue porte”: v.13), pace (v. 14) e realizzazione (“sazia confior di frumento”), dialogo con Dio (v.15:“manda sulla terra la sua parola”), leggi buo-ne e decreti giusti (v.19). La preghiera dona dipercepire il privilegio di essere stati destina-tari di tale dono (v. 20).

4. La seconda lettura (Ef 1,3-6.15-18) è untesto composito che intende illustrare duerealtà grandi della fede: la scelta gratuita eamorevole che Dio ha fatto nei confronti di cia-scuno di noi “prima della creazione del mon-do” perché siamo “santi e immacolati”; il donodello “spirito di sapienza e di rivelazione” edell’illuminazione “degli occhi della.....mente”perché possiamo avere “una più profonda co-noscenza di lui”, “comprendere a quale spe-ranza” Dio ci ha chiamato e “comprenderequale tesoro di gloria racchiude la sua ereditàtra i santi” per noi.

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Prima lettura: Is 60,1-6Salmo responsoriale: dal Salmo 71Rt/ Ti adoreranno, Signore,

tutti i popoli della terra.Seconda lettura: Ef 3,2-3a.5-6Vangelo: Mt 2,1-12

1. Il vocabolo epiphaneia viene dalla lin-gua greca e significa fondamentalmente mani-festazione. Alle origini della festa dell’Epifa-nia c’è stato un processo che ha portato laChiesa romana a celebrare la manifestazionepubblica di Gesù a tutte le genti. Per questomotivo nei testi liturgici si incontrano chiareindicazioni all’incontro dei magi con Gesù, albattesimo di Gesù al Giordano e alle nozze diCana. Si tratta di episodi che illustrano il mi-stero dell’incontro tra Dio, che cerca l’uomo(cfr Gv 4,23 ; Lc 15,4-10) e l’uomo che, in mo-do più o meno dichiarato, cerca Dio. Paolodirà all’Areopago di Atene che Dio aveva sta-bilito per gli uomini “l’ordine dei tempi e iconfini del loro spazio, perché cercassero Dio,se mai arrivino a trovarlo andando come a ten-toni, benché non sia lontano da ciascuno dinoi. In lui infatti viviamo, ci muoviamo ed esi-stiamo, come anche alcuni dei vostri poetihanno detto: Poiché di lui stirpe noi siamo”(At 17,26-28). I Magi hanno dovuto lasciare lasicurezza delle loro case e iniziare una ricercanon semplice, ponendosi in ascolto della Natu-ra (la stella), della Parola (attraverso Erode, isacerdoti, gli scribi) e la storia (il Bambino conla sua Mamma). La figura dei Magi, per tantis-

simi aspetti, può assurgere a simbolo e a mo-dello di tutti coloro che sono alla ricerca diDio e desiderano incontrarlo. Questa immensaschiera di persone che, come i Magi, cercanoDio rappresentata anche dall’umanità che, allafine del mondo, converge verso Gerusalemme.Questa visione della prima lettura è completa-ta dalla riflessione della seconda lettura che il-lustra la partecipazione di tutti gli uomini allaformazione di un solo corpo, alla realizzazionedelle promesse del Vangelo e soprattutto allapartecipazione di tutti alla stessa “eredità”.

2. Il brano dei Magi è un ampio inserimentosu un tessuto letterario che era fondamental-mente composto da tre scene identiche a livellodi struttura letteraria. Per ben tre volte Matteoripete uno schema letterario fisso dove proponeuna situazione (1,18-19; 2,1a; 2,19a), una appa-rizione angelica a Giuseppe (1,20; 2,13b;2,19b), una citazione dell’A.T. (1,22-23; 2,15b;2,23b) e una esecuzione (1,24-25; 2,14-15a;2,21-23): si tratta del dubbio di Giuseppe, delladiscesa in Egitto, del ritorno in Palestina. Tra iltesto del dubbio (1,18-25) e quello della discesa(2,1a.13b-15a) si inserisce il brano evangelicoche la Liturgia legge oggi. Giuseppe Flavio ciinforma che Erode morì dopo una eclisse di lu-na (tra il 12 e il 13 marzo del 750 dalla fonda-zione di Roma, il nostro 4 a. C.). L’episodio deiMagi sarebbe, dunque, avvenuto circa un annoe mezzo o due dopo la nascita di Gesù, che sicolloca intorno al 6 a.C. Filone d’Alessandriaconosceva magi-scienziati e magi-ciarlatani. Imagi di Matteo apparterrebbero alla prima cate-

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goria e proverrebbero -secondo Clemente d’A-lessandria - dalla Persia o dalla Siria. SecondoGiustino, invece, verrebbero dall’Arabia, dovesi trovava con facilità sia la pratica dell’astrolo-gia sia i doni, l’oro, l’incenso e la mirra.

Il testo evangelico di Mt 2,1-12 evidenzia ildato sconcertante più grande del Nuovo Testa-mento. Coloro che hanno atteso il Messia da in-numerevoli generazioni e aspettano che le pro-fezie si adempiano, sono protagonisti del rifiutopiù strano (dal turbamento dall’indifferenza siadavanti alla Parola di Dio sia davanti all’avve-nimento storico che ne costituiva il compimen-to, al turbamento al progetto infanticida). I pa-gani, invece, rappresentati dai magi (secondonotizie di Erodoto potrebbero essere sacerdoti;secondo le notizie di Filone potrebbero esserescienziati) lo cercano attraverso la Parola diDio che è loro più vicina, cioè il creato. E daquesti il Signore si fa trovare. Di fronte a uncomportamento così strano del popolo ebraico,Paolo riflette in questo modo: “Se pertanto laloro [degli Ebrei] caduta è stata ricchezza del

mondo e il loro fallimento ricchezza dei pagani,che cosa non sarà la loro partecipazione tota-le!” (Rm 11,12). E a conclusione della rifles-sione si chiede: “Se infatti il loro rifiuto ha se-gnato la riconciliazione del mondo, quale potràmai essere la loro riammissione, se non una ri-surrezione dai morti?” (Rm 11,15). Anche die-tro al mistero del rifiuto del popolo di Dio sinasconde la misericordia del Signore: ciò cheera destinato al primo popolo di Dio viene ora,dopo il rifiuto, destinato a tutti i popoli. L’episo-dio dei Magi, nella sua breve semplicità, illu-stra questo dramma e questo mistero.

Un secondo dato presente in Mt 2,1-12 èl’antitesi tra i Magi che cercano il Re-Bambinoed Erode. Queste figure possono presentare, alivello di tematiche teologiche, diversi gradi diantitesi. Erode “manda a cercare” il Re-Bam-bino, i Magi, in contrapposizione narrativa,“cercano in prima persona”. Erode cerca peruccidere, i Magi per adorare. Erode mente, iMagi, invece, sono sinceri. Erode si avvale del-la profezia contenuta nella Scrittura. I Magi ac-colgono e si lasciano guidare dalla “Parola diDio” insita sia nella natura sia nella Scrittura.Erode ha una visione “piccola” della realtàperché misura tutto ciò che accade sulla suapersona di re. I Magi, viceversa, hanno una vi-sione “ampia” e universalistica della realtà e lamisurano sul valore della persona del Re-Bam-bino. Erode si turba. I Magi sono pieni di gioia.Legati a questi due “attori” (Erode e Magi) cisono diverse realtà che muovono l’azione: lanatura (la stella), la Parola (la Scrittura) e lastoria (il fatto dell’incontro).

La stella per i Magi è stata guida e sostegnoall’incontro con Gesù. La natura, dunque, gui-da e conduce a Dio, come già affermava il librodella Sapienza, ripreso poi da Paolo: “Dalla

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creazione del mondo in poi, le sue perfezioniinvisibili possono essere contemplate con l’in-telletto nelle opere da lui compiute” (Rm 1,20).Poiché “tutto è stato fatto per mezzo di Lui esenza di Lui niente è stato fatto di tutto ciò cheesiste” (Gv 1,3), si può capire come la contem-plazione della natura porta anche alla scopertae alla contemplazione di Cristo.

Anche la Parola ha dato ai Magi le informa-zioni che cercavano. Coloro che sapevano leg-gere la Parola non si sono lasciati coinvolgere.Ricordando come il Risorto abbia ripercorsocon i discepoli di Emmaus tutte le Scritture perevidenziare ciò che in esse a lui si riferiva, sipuò comprendere come la contemplazione au-tentica e profonda di Cristo passi necessaria-mente anche attraverso la Parola di tutti e due iTestamenti: ignorare le Scritture equivaleva adignorare Cristo stesso (S. Girolamo).

La storia, infine, può apparire povera. Cosac’è di più quotidiano di un bambino e sua ma-dre? Eppure dietro a questa realtà feriale c’è lameraviglia del mistero. Dietro alla cosa “nor-male” c’è la straordinarietà: Gesù il salvatore.Come credenti non possiamo dimenticare cheproprio alla fine del Vangelo, Matteo ricorda leparole di Gesù: io sono con voi tutti i giorni fi-no alla fine del mondo. Nella storia, dunque,c’è un nuovo modo di incontrare quel GesùCristo che ha voluto rimanere presente.

3. Il testo del Trito-Isaia (Is 60,1-6) è consi-derato uno dei capolavori della letteraturaebraica. La profezia guarda lontano. Il poveropopolo di rimpatriati sta faticosamente rico-struendo Gerusalemme. I Samaritani non guar-dano di buon occhio il ritorno degli Ebrei nellaloro terra. Questo fragile re-insediamento sem-bra non avere futuro. Eppure l’occhio del profe-ta vede in questa realtà fragile un futuro straor-

dinario: Gerusalemme sarà il centro di un inte-resse universale. In Gerusalemme il Signore di-venterà la luce dei popoli e lo splendore dei re.Gerusalemme, luogo che da qualche decennionon ha subìto che distruzione, devastazione esaccheggio, diventerà destinataria delle ric-chezze dei popoli. Si tratta di una visione mes-sianica e profetica che il contesto liturgico vedeadempiuta nell’umiltà della casa di Betlemme,visitata dai Magi, con la guida della Parola, chelegge la natura e interpreta la storia.

Il Salmo responsoriale (Sal 71, 7-8; 10-11;12-13) riprende le tematiche di fondodella prima lettura, aggiungendovi un miste-rioso inviato, il Messia davidico. Nei suoigiorni si avvererà quanto detto dalla profeziaisaiana. La “giustizia” sembra la sua caratte-ristica: con essa giudicherà il popolo e i po-veri, farà abbondare la pace, non farà prefe-renza di persone. A lui accorreranno i poten-ti per offrire tributi e doni. Egli stesso libe-rerà il povero, il misero e il debole. Tuttiadoreranno il Signore (cfr il ritornello). LaColletta elabora come preghiera i grandi te-mi delle letture. L’apertura grande alle gentisi trova nell’ampliamento dell’invocazione,parte letteraria dell’eucologia generalmentedestinata alla confessione di fede riguardoalla parte del mistero pasquale celebratonell’Eucaristia. I credenti compaiono nellapetizione dove, come parte della grandeumanità (= “concedi benigno anche anoi...”), chiedono di poter “contemplare lagrandezza della gloria di Dio”. Quest’ultimaespressione, data la sua voluta indetermina-tezza, oscilla, comprendendoli, tra il valorestorico e quello escatologico (la contempla-zione avviene qui in terra e anche nell’esca-tologia). Anche “la grandezza della gloria di

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Prima lettura: Is 40,1-5.9-11Salmo responsoriale: dal Salmo 103Rt/ Benedici il Signore, anima miaSeconda lettura: Tt 2,11-14; 3,4-7Vangelo: Lc 3,15-16.21-22

1. La solennità dell’Epifania espande la suabenefica ombra sia su questa domenica, festadel Battesimo di Gesù (altra epifania di Gesù),sia su domenica prossima, seconda domenicadel tempo ordinario, anno C, dove si proclama ilvangelo delle nozze di Cana (altra epifania diGesù). Contemporaneamente, la festa del Batte-simo di Gesù funge da passaggio dal tempo diNatale al tempo Ordinario, chiudendo il primo e

aprendo il secondo. Il Battesimo segna per Ge-sù il vero inizio della sua vita pubblica, dellasua manifestazione agli uomini.

Il triplice “ecco” che chiude il testo dellaprima lettura (“Ecco il vostro Dio....Ecco, il Si-gnore Dio viene con potenza.......Ecco, egli hacon sé il premio...”) insiste sulla venuta di Dioin mezzo al suo popolo: la Liturgia vi vede uninvito pressante a concentrare l’attenzione sullafigura del Signore. Gesù è il “vostro Dio”, il Si-gnore Dio che “viene con potenza” e che “hacon sé il premio”. Inoltre egli è il “battezzato”,colui sul quale “scese lo Spirito Santo”, il “Fi-glio prediletto”. Per mezzo suo, il Padre ci trattaallo stesso modo: “ci ha salvati non in virtù di

Domenica dopo l’Epifania - CBBAATTTTEESSIIMMOO DDEELL SSIIGGNNOORREE1100 ggeennnnaaiioo 22001100

Dio” significa contemporaneamente il Bam-bino di Betlemme e il Cristo risorto.

4. La seconda lettura (Ef 3,2-3.5-6) è costi-tuita dalla prima parte della pericope (Ef 3,1-13) che ha per tema la rivelazione e la realizza-zione del progetto salvifico di Dio. Il brano dellalettura sviluppa la tematica della rivelazione delmistero. Il versetto soppresso (v. 4) non altera ilsenso fondamentale del brano. Paolo ha ricevu-to in dono la vocazione sulla via di Damasco (At9, 1-19a). L’incontro con Cristo ha sconvolto lasua vita, ma ha infuso in Paolo una conoscenzadel vangelo e del progetto salvifico di Dio deltutto particolari. Il momento della chiamata ècoinciso, per Paolo, con il momento della rivela-zione (cfr Ef 3,2-3). Il contenuto di questo mi-stero o progetto salvifico divino (Ef 3,5-6) viene

proposto da Paolo probabilmente con una spe-cie di formula fissa che comporta tre antitesi:non è stato manifestato / è stato rivelato; prece-denti generazioni / al presente; uomini / santiapostoli e profeti. Esiste, dunque, una spaccatu-ra netta fra l’esperienza di fede vissuta primadella rivelazione e l’esperienza vissuta dopo talerivelazione. Il ponte fra queste due esperienze èdato dallo Spirito. La novità che contraddistin-gue l’adesso dal prima si articola in tre momentiprecisi: i pagani, per mezzo del vangelo, sonochiamati per mezzo del Battesimo (= in CristoGesù) a essere “con-eredi” (= a partecipare allastessa eredità), “con-corporei” (a formare lastessa Chiesa, corpo di Cristo) e “con-partecipi”(a essere destinatari della promessa) con i Giu-dei del progetto salvifico divino.

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opere di giustizia da noi compiute, ma per suamisericordia mediante un lavacro di rigenera-zione e di rinnovamento nello Spirito Santo, ef-fuso...su di noi” (seconda lettura). Gesù battez-zato, inabitato dallo Spirito viene presentato anoi come causa e modello di ogni esperienzabattesimale. Il testo evangelico di Luca (Lc3,15-16.21-22), che probabilmente formavauna catechesi battesimale della chiesa nascen-te, evidenzia il legamedel nostro Battesimo conquello di Gesù. Ciò èespresso con insistenzadall’eucologia. Nella pe-tizione della prima Col-letta l’assemblea cele-brante con il suo presi-dente prega: “Concedi aituoi figli, rinati dall’ac-qua e dallo spirito, di vi-vere sempre nel tuoamore”, e lo stesso accade nello scopo della se-conda Colletta: “Concedi a noi... di essere rin-novati a sua immagine”.

2. L’inizio del testo evangelico è stato arric-chito dal solito incipit liturgico: “In quel tem-po..”. Non è un dato rilevante. Rilevante è, in-vece, il fatto che la Liturgia abbia tolto Lc 3,17-20 dal brano evangelico. Questi versetti conten-gono la parte finale del messaggio del Battista eil sommario del suo arresto. La Liturgia, soppri-mendo questa pericope, intende focalizzare tut-ta l’attenzione sull’espressione “costui vi battez-zerà in Spirito Santo e fuoco” che poi illustra,narrando il Battesimo del Signore (lo Spiritoscende su Gesù e la vicinanza di Dio che giudi-ca e salva, proclamando su ogni credente le pa-role di adozione: “Tu sei mio figlio…”). Il testobiblico-liturgico del vangelo (Lc 3,15-16.21-22)

è diviso in due scene: la confessione di Giovan-ni Battista (Lc 3,-16) e la manifestazione divi-no-messianica di Gesù (Lc 3,21-22).

Ciò che dice Giovanni alle folle è importan-te. La gente è sempre pronta a giudicare “Mes-sia” l’uomo forte, chiaro, duro, sicuro (così, in-fatti, appariva il Battista). Il vero profeta, inve-ce, non può accettare di essere equivocato, diessere giudicato “più” di quello che è (“una vo-

ce...”). Tanto meno il ve-ro profeta può accettareche il vero “Messia” siaparagonato con ciò cheegli, il profeta, dice o fa.Il rapporto tra il profetae il Messia è uguale aquello tra il servo e ilsuo Signore. E il rappor-to tra i gesti del profeta equelli del Messia è para-gonabile al rapporto tra

l’azione rinnovatrice dell’acqua e l’azione rinno-vatrice dello Spirito. L’argomentazione fonda-mentale di Giovanni si innerva su un tema solo:il battesimo. Quel gesto contraddistingue il pro-feta precursore dal Messia. Il battesimo di Gio-vanni è “con acqua”. Si tratta di un gesto ester-no: ha valore solo di simbolo. Si tratta di un la-vacro che dimostra la volontà di togliersi di dos-so i peccati. Per esprimere questo progetto, l’e-breo vive l’esperienza del battesimo con acquaperché sa che, secondo la lunga tradizione bi-blica, l’acqua toglie le impurità fisiche e, sim-bolicamente, quelle rituali. Il battesimo di Gio-vanni, dunque, esprime esternamente quelloche è il proposito interiore della persona che in-tende farsi battezzare, secondo il costume di al-lora. Il battesimo di Giovanni, inoltre, provieneda uno che è più debole del Messia (che è “più

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forte” di Giovanni: cfr v. 16a), e da uno che ri-spetto al Messia è meno di un servo (cfr v. 16b).

Il battesimo del Messia, invece, si situa adun altro livello rispetto a quello di Giovanni perdue motivi: il ministro è il Messia e il battesimoviene dato sotto il segno dello Spirito e del fuo-co. Il Messia come ministro del battesimo (cfr v.16d: “vi battezzerà”) appare come “più forte”.Gesù, infatti, ricco di Spirito Santo (lo riceveràtotalmente nel Battesimo), dona il suo Spirito acoloro che riceveranno il suo battesimo. Il pro-feta Gioele (Gl 4,13) lo aveva già preannunzia-to. Inoltre, se il precursore non osa chiamarsineppure servo del Messia, significa che quelMessia è molto più di un uomo straordinario. ÈDio stesso. Si ricordi, infatti che nell’A.T. appel-lativo di “forte” viene spesso predicato da Dio(cfr Dt 10,17; 2 Mac 1,24; ecc.). Il battesimodel Messia per Giovanni è dominato dal “fuo-co”. Più che un valore forense, il fuoco in que-sto caso ha un valore aggregante. Lo SpiritoSanto e il fuoco sono accomunati nel misterodella Pentecoste (At 2,1-13). Il battesimo delMessia, perciò, accomuna il battezzato all’espe-rienza degli Apostoli nel cenacolo nel grandegiorno dello Spirito.

L’episodio del Battesimo mostra che Gesù èun uomo come gli altri (si fa battezzare comegli altri), ma non si comporta come gli altri. Ge-sù, infatti, subito dopo il battesimo, “stava inpreghiera”. Più volte Luca annoterà nel vange-lo lo stretto legame tra preghiera di Gesù e ilsuo ministero (cfr Lc 5,16; 6,12; 9,18.28-29;11,1; 21,41; 22,31). In questo clima di pre-ghiera lo Spirito scende “su” e non “in” Gesù.Lo Spirito, dunque, non cambia intimamente ilCristo, ma diventa testimone di ciò che Egli è.Concepito dallo Spirito, Gesù deve essere rico-nosciuto come unto dallo Spirito per la sua

missione messianica e profetica (cfr At 10,38):lo Spirito non solo è all’origine dell’Incarnazio-ne, ma anche all’origine di tutta l’attività delMessia. La teofania dello Spirito sembra sotto-lineare di più la sua funzionalità nei confrontidel popolo. Lo Spirito, infatti, scende “in ap-parenza corporea” e “ci fu una voce dal cielo”.In questa teofania Dio compie tutto. Cristo è ilservo fedele che accoglie la missione e non faobiezioni, come fecero, invece, i profeti quandofurono chiamati. Nelle parole della voce cele-ste c’è un duplice messaggio. È di proclamazio-ne pubblica della figliolanza divina del Cristo.Nelle parole della voce confluiscono, infatti,brani fortemente messianici come Sal 2,7; Gen22,2.12.16 (LXX); Is 42,1. È anche manifesta-zione della missione del Figlio: Nelle parolecelesti si sente la profezia isaiana che annunciail Servo di Yahweh (Is 42,1-4). Non a caso Lu-ca in 4,18, citando ancora un brano isaiano,chiamerà l’esperienza dello Spirito su Gesù conil nome di “unzione”.

3. Il testo di Isaia, Is Is 40,1-5.9-11, è trattodal grande annuncio di liberazione con cui siapre il libro della consolazione o libro del Deu-tero-Isaia. I versetti soppressi hanno tolto il trat-to amaro della brevità dell’esistenza (uomo epopolo sono come l’erba). Questo tratto biblicoveterotestamentario non è più coniugabile conla prospettiva della risurrezione già presente nelbattesimo cristiano. Il testo biblico-liturgico èun annuncio di consolante speranza. Durantel’esilio babilonese gli Ebrei avevano bisogno disperare nel ritorno a Gerusalemme. Così oggi icredenti hanno bisogno di sperare (per il cristia-no sperare è attendere nella certezza) nella rive-lazione di quella gloria che si esperimenta giàsacramentalmente nel battesimo. Il messaggiosuccessivo illustra cosa avviene quando Dio

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IIII DDOOMMEENNIICCAA DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO -- CC1177 ggeennnnaaiioo 22001100

Prima lettura: Is 62,1-5Salmo responsoriale: dal Salmo 95Rt/ Annunciate a tutti i popoli

le meraviglie del SignoreSeconda lettura: 1 Cor 12,4-11Vangelo: Gv 2,1-11

1. L’Epifania in antico celebrava i tre mo-menti peculiari della manifestazione pubbli-

ca di Cristo: l’incontro con i Magi, il battesi-mo di Gesù e il primo miracolo a Cana diGalilea. La Liturgia ha ricordato l’incontrocon i Magi nell’Epifania, il Battesimo di Ge-sù nella domenica successiva e il miracolodi Cana di Galilea, oggi, nella 2° domenicadel tempo ordinario, anno C. Nelle nozze diCana la Chiesa vede simboleggiate le nozzedi se stessa con Cristo. Egli è lo sposo per-

opera la liberazione, sia dall’esilio che dalla si-tuazione pre-battesimale: è finita la schiavitù, èscontata l’iniquità. Negli ultimi versetti, invece,la voce profetica annuncia ciò che avvienequando Dio si prende cura del suo popolo. Egliè come un pastore, ricco di tenerezza.

Il Salmo responsoriale, sinceramente unpo’ troppo lungo (cinque strofe !), è tratto dal-l’inno a Dio creatore, probabilmente ispiratodall’inno egiziano di Akenaton al Dio sole,ma ricco anche di influssi mesopotamici. Inbocca all’assemblea orante il salmo è unaesplosione di gioia per il “Signore che donala vita” (cfr il ritornello).

4. La seconda lettura (Tit 2,11-14.3,4-7)illustra come il comportamento del cristianosia esigente. Cristo salvatore è il dono di Dio,da lui gli uomini hanno la salvezza. Chi ha ac-colto tale dono è chiamato ad assumere un at-teggiamento di vita ben preciso: rifiutare la vi-sione “senza vita / priva di Dio” dell’esistenza(“rinnegare l’empietà”); rinnegare i desideriche rispondono al ragionamento “secondo gli

uomini” (“rinnegare i desideri mondani”); vi-vere nell’atteggiamento evangelico verso i be-ni di questo mondo, nei valori proposti da Dioe nella fede in Lui. Sono cose difficili da rea-lizzare in questo mondo dalla pura volontàumana. Si possono realizzare nel regime dellagrazia. Tutto ciò che l’uomo è e ciò che l’uomofa (opere meritorie) è, alla radice, dono di gra-zia (“Carissimo, è apparsa la grazia, apporta-trice di salvezza per gli uomini...; egli ci hasalvati non in virtù di opere di giustizia da noicompiute, ma per la sua misericordia median-te un lavacro di rigenerazione e di rinnova-mento nello Spirito.....”).

L’eucologia pone in stretto legame il nostrobattesimo con quello di Gesù. Mentre la Collet-ta generale sottolinea il fatto che siamo nuovacreatura, perché “rinati”, e quindi capaci diamare come Lui, le altre due Collette evidenzia-no o il continuo rinnovamento interiore, natodalla vera conoscenza di Cristo, oppure l’imita-zione fedele di Cristo a cui siamo chiamati e do-ve si può esperimentare l’amore di Dio.

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ché ha definito se stesso in questo modo (cfrMt 9,15 // Mc 2,19 // Lc 5,34). Così è statoriconosciuto da Giovanni Battista (Gv 3,29) edalla Comunità nascente (2 Cor 11,2, Ef5,32, ecc.). Cristo-sposo è uno dei tanti mo-delli teologici adoperati dal Nuovo Testa-mento per indicare il legame tra Gesù e laChiesa. La chiesa ha usato altri modelli perentrare nel mistero del legame tra Cristo e lasua Chiesa. Gesù è “il pastore” che si pren-de cura delle sue pecore, “la porta” attraver-so la quale le sue pecore possono accedereal Padre, la “vite” che vivifica i suoi tralci, il“maestro” che fa crescere e maturare i suoidiscepoli, ecc. C’è, infine, Gesù “sposo” del-la sua comunità, “la sposa”. Il tema di que-sta domenica è confermato dalla Collettapropria dove Cristo viene chiamato “sposo eSignore” e la Chiesa è presentata come lacomunità che pregusta “nella speranza lagioia delle nozze eterne”. Dietro allo schema“sposo-sposa” la teologia biblica (vetero- eneo-testamentaria) svela e nasconde il miste-ro dell’innamoramento di Dio e la sua “gelo-sia” salvifica per le persone, dalle quali siaspetta un particolare “innamoramento” co-me risposta.

2. Il testo biblico-liturgico di Gv 2,1-11 equello biblico sono uguali, fatto salvo l’inci-pit liturgico (“In quel tempo”) che sopprimel’incipit originale (“Tre giorni dopo”). L’inci-pit originale legava l’episodio di Cana allegiornate precedenti, costituendo - secondol’opinione di diversi studiosi, ma non di tutti- la settimana giovannea (1° giorno: Gv 1,19-28; 2° giorno: 1,28-34; 3° giorno: 1,35-42;4° giorno: 1,43-51 [=un giorno]; 5° [= ungiorno]; 6° ([= terzo giorno]: 2,1-12: Cana), alculmine della quale c’è la creazione della

nuova umanità. La Liturgia intende scioglie-re il legame dell’episodio con l’eventuale“settimana giovannea” e concentrare la suaattenzione sul valore manifestativo del “se-gno” di Cana. Il testo biblico-liturgico è fa-cilmente suddivisibile in due momenti: ilracconto (Gv 2,1-10) e le considerazioni del-l’evangelista (Gv 2, 11-12).

Il racconto, Gv 2,1-10, è scandito da trescene in cui dominano alcuni personaggi:Maria e Gesù (vv. 1-5), Gesù soltanto (vv. 6-8), il maestro di tavola e lo sposo (vv. 9-12).È bene ricordare come il vino nel mondo bi-blico fosse il simbolo della abbondante be-nedizione di Dio e il simbolo del Regno cheviene. Nel Regno futuro di Dio, infatti, il vi-no sarà copiosissimo. Il fatto che qui nelbanchetto di nozze non hanno più vino, evi-denzia che il Regno è ancora lontano. L’in-tervento della Madre è una intercessione disalvezza. La risposta di Gesù a Maria puòequivalere nel nostro linguaggio a “C’è maistato contrasto tra noi?”, oppure “E’ una co-sa che non dovrebbe interessarci”. Nell’ap-pellativo di Gesù rivolto a sua Madre, “don-na”, risuona misteriosamente sia la “donna”di Gen 3,15 (il protovangelo) sia l’appellati-vo “donna” di Gv 19,26. Maria è così collo-cata in modo inscindibile accanto all’operaredentrice del Figlio. La frase finale dellascena (“Fate quello che egli vi dirà”) dettada Maria, sottolinea, però, non tanto la do-manda d’intercessione di Maria, ma la sovra-nità di Gesù. Con il termine “ora” Giovaniintende il momento drammatico della croce.A differenza degli altri evangelisti, Giovannipone nell’ora della croce la manifestazionedella sua gloria perché nella croce Gesù ini-zia ad essere innalzato verso il cielo. Nelle

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nozze di Cana, dunque, Gesù anticipa inqualche modo il momento manifestativo del-la sua gloria (cfr v. 11: “manifestò la sua glo-ria”).

La scena successiva ruota attorno allegiare. Queste sono vuote. Vanno riempited’acqua (600 litri !). L’abbondanza di que-st’acqua che sta per essere tramutata in vino,richiama la linea profetica che da Amosgiunge fino a Geremia: si tratta del vino del-la gioia escatologica che abbondante è versa-to sulle coppe dei credenti (cfr Am 9,13-14;Os 14,7; Ger 31,12). La terza scena è di ri-velazione. Il capo-convito non si capacitadella bontà di tale vino e va a fare i compli-menti allo sposo. E’ stato visto come il vinosimboleggi la salvezza ultima del Regno. E’la salvezza “migliore”, quella che è statapreceduta da altre, ma si colloca su un pianodi definitività. È la salvezza della nuova al-leanza, operata dallo sposo sulla croce.

Le considerazioni dell’evangelista si con-centrano sul “segno” e sulla gloria di Gesùche suscita la “fede” dei discepoli. Il “se-gno” di Cana non è solo da considerarsi co-me il “primo” dei segni a livello cronologico,ma anche il “principe” (arche = inizio) deisegni. Gli altri “segni” vanno letti alla lucedi questa salvezza “abbondantissima” e “mi-gliore”. Attraverso questo segno Gesù mani-festa anche la sua gloria (manifestazioneesperimentabile di Dio). Gesù dona gratuita-mente il suo vino come la Sapienza dona gra-tuitamente il suo vino (cfr Pr 9,5). Gesù è laSapienza di Dio incarnata, alla cui tavola gliuomini mangiano e bevono (accolgono la Sa-pienza e il suo messaggio) per la salvezza(cfr Is 55,1-3; Sir 15,3; 24,19.21). Certamen-te non si può escludere un simbolismo euca-

ristico, presente a Cana. Infine, la fede deidiscepoli sboccia. La costruzione greca indi-ca uno slancio dei discepoli verso Gesù. (pi-steuo + eis + accusativo). Non si tratta di unafede nata dal miracolo, ma di una fede cheha saputo leggere e comprendere il miracolo,cogliendovi il segno di salvezza, la novità,l’abbondanza della bontà di Dio per i cre-denti.

3. La prima lettura (Is 62,1-5) è il cantodi Dio sposo per la comunità, sua sposa. Iltesto, tratto dal Trito-Isaia, continua il mes-saggio di consolazione con cui si è aperto(cfr Is 60,1), in sintonia con il deutero-Isaia(cfr Is 40,1). Si veda il commento alla primalettura della Messa della vigilia di Natale.Salmo responsoriale (sal 95,1-2a; 2b-3;7-8;9-10), rispondendo al testo isaiano, antici-pa alcune tematiche presenti nel vangelo. Ilcanto nuovo, che l’assemblea rivolge a Dio,annuncia la “salvezza” (escatologica) e la“gloria” (manifestatasi in Cristo). A questaesperienza di fede sono chiamate tutte le fa-miglie dei popoli perché Dio “sorregge ilmondo e giudica con giustizia”. La gioia diDio è la vita (“sorregge il mondo”) e il man-tenere la parola data, per amore del suo no-me.

L’episodio delle nozze di Cana viene lettodall’eucologia su due registri: quello eucari-stico e quello mistico-sponsale. Nella Collet-ta propria dell’anno C, la Chiesa chiede diesperimentare nell’Eucaristia la “forza tra-sformante” dell’amore di Gesù. Quella forzamiracolosa che allora ha trasformato l’acquain vino, oggi è invocata perché trasformi laChiesa. Nella seconda petizione, che sembraavere anche la funzione di scopo, si chiedeche la comunità credente (trasformata dalla

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Prima lettura: Ne 8,2-4a.5-6.8-10Salmo responsoriale: dal Salmo 18Rt/ Le tue parole, Signore

sono spirito e vitaSeconda lettura: 1 Cor 12,12-30Vangelo: Lc 1,1-4; 4,14-21

1. L’odierna Liturgia della Parola ruotaattorno al tema del mistero della Parola. LaParola nell’Antico Testamento ha preso di-verse forme, tra queste, la forma della profe-zia che ampiamente annuncia la persona el’attività del Messia. Nel Nuovo Testamentola Parola si è incarnata nella persona stessadi Gesù, il Messia annunciato. La persona diGesù, a sua volta, viene proclamata e resapresente per mezzo di una Parola che prende

la forma del lieto annuncio, il Vangelo. LaParola di Dio non è solo informazione (rive-lazione, profezia, valori morali, ecc.). La Pa-rola di Dio è anche azione. Lo scrittore sa-cerdotale aveva detto con chiarezza che laParola di Dio è creatrice (“Dio disse: - Sia laluce - E la luce fu”). Il Deutero-Isaia avevaparagonato la Parola alla pioggia: non ritornamai a Dio senza aver portato il frutto per cuil’ha mandata. In Eb 4,12 lo scrittore sacroafferma che la Parola di Dio è vivente ed ef-ficace, mentre Luca (At 20,32) dice che laParola ha la forza di edificare e di dare l’ere-dità a tutti i battezzati. Paolo, a sua volta,scrive che la Parola di Dio agisce in coloroche credono (1 Ts 2,13). Essa ha la forza diedificare e di dare l’eredità a tutti i battezzati

IIIIII DDOOMMEENNIICCAA DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO -- CC2244 ggeennnnaaiioo 22001100

forza dell’Eucaristia) esperimenti “nella spe-ranza le gioie delle nozze”. In questo modoviene richiamato il tema espresso nell’am-pliamento dell’invocazione: Dio ha chiamatol’umanità ad unirsi a Cristo crocifisso, sposoe Signore. Le nozze di Cana, dunque, sonorilette come simbolo del legame sponsale traCristo e la sua Chiesa (cfr Ef 5,21-33).

4. Con questa domenica inizia la letturasemicontinua della prima lettera ai Corinzi.Il brano di questa domenica (1 Cor 12,4-11)illustra il rapporto tra la molteplicità e l’u-nità dei carismi. Il testo si apre e si chiudecon il tema dell’unità. Uno è lo Spirito, il Si-

gnore e Dio (vv. 4-6) come unico è lo Spiritoche opera i carismi (v. 11). Il testo sembra,infine, dare una certa gerarchia ai carismi:l’elenco parte dai carismi legati al linguaggio(predicazione, insegnamento) e si chiude coni carismi legati al dono delle lingue (momen-ti estatico-mistici). La molteplicità dei cari-smi è notevole, ma poiché essi provengonoda Dio non possono essere in tensione tra diloro. L’obiettivo, infatti, per cui sono dati daDio è “l’utilità comune”. I carismi, dunque,se provengono da Dio, portano a quell’unitàda cui sgorgano e ottengono una utilità a to-tale beneficio di tutti.

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(At 20,32). L’azione della Parola non si limi-ta a diventare adempimento quando è statapronunciata precedentemente come profezia(cfr Vangelo, Lc 1,1-4.4,14-21) ma è capacedi dare la salvezza a coloro che l’accolgono ela fanno diventare richiesta di perdono (pri-ma lettura, Ne 8,2-4a. 5-6. 8-10: la Parolaaccusa e per mezzo della Parola il popoloebraico ottiene il perdono).

2. Il testo evangelico, Lc 1,1-4; 4,14-21,è un brano composito. La prima parte consi-ste nel prologo lucano (Lc 1,1-4), mentre laseconda, nell’omelia di Gesù alla sinagoga diNazaret (4,14-21). La Liturgia sembra averfatto un capriccio. Non è così. Bisogna nota-re che alcuni studiosi hanno ipotizzato inquesti due brani posti di seguito l’inizio ar-caico del vangelo di Luca (stadio preredazio-nale). Successivamente l’autore sacro avreb-be pensato bene di aggiungere i racconti delvangelo dell’Infanzia e la predicazione delBattista. In questo modo l’Introduzione e l’o-melia di Nazaret vennero ampiamente sepa-rati. Oggi, invece, li leggiamo uniti così co-me si trovavano negli appunti pre-lucani,prima che prendessero la fisionomia del te-sto redazionale.

Il prologo di Luca (Lc 1,1-4) è ricco didiversi dati, tra i quali merita essere sottoli-neato è il fatto che gli “autoptai” (testimonioculari) sono divenuti “ministri della Paro-la”, “trasmettendo” gli “avvenimenti” di Ge-sù. Il vangelo, dunque, si è formato attraver-so un processo: da Gesù agli apostoli (testi-moni oculari - ministri della parola), dagliapostoli nasce la Tradizione, all’interno dellaquale gli evangelisti scrivono i Vangeli. Ilvangelo, infine, non è un “supercatechismo”,bensì l’annuncio efficace - nella dinamica

della libertà umana dell’accoglienza - dellasalvezza operata da Gesù attraverso ciò chedisse e ciò che fece.

L’omelia di Nazaret riassume esattamentela missione di Gesù: attraverso la citazioneprofetica ((Is 61,1-2; cf Sof 2,3) egli presentain sintesi ciò che avrebbe detto e ciò cheavrebbe fatto. Il suo non è un ministero mes-sianico che si riduce alla pura parola. La suaè una “Parola” che annuncia e che fa: an-nuncia il vangelo ai poveri e rimette in li-bertà gli oppressi. Questa “Parola” messiani-ca di Gesù non è chiusa solo e unicamentenella persona del Gesù storico. Ci è stata tra-smessa. L’ “oggi” della “Parola” non è solo ilquindicesimo anno dell’impero di TiberioCesare. È anche adesso. La Parola di Dio an-cora “oggi” proclamata non è riducibile a unsunto di “dottrina” (è anche questo) ma èprincipalmente un “mistero” che salva: “Co-sì sarà della parola uscita dalla mia bocca:non ritornerà a me senza effetto, senza averoperato ciò che desidero e senza aver com-piuto ciò per cui l’ho mandata” (Is 55,11).

Tale Parola, poi, non è esauribile nellostudio o nella lettura personale (conoscenzaseria della Parola e Parola pregata sonorealtà volute e proposte dal Concilio). Diven-ta “efficace” quando si traduce in annuncio-ascolto celebrativo.

3. Un esempio molto concreto di tale valo-re salvifico della Parola viene presentato neltesto della prima lettura (Ne 8,2-4a. 5-6. 8-10). Si tratta di un testo (un po’ sforbiciato)che narra la celebrazione del perdono di Dioin epoca postesilica. Il perdono veniva chiesto(e ottenuto) illustrando prima tutta la storiadella salvezza (tutti i gesti di bontà e di salvez-za operati da Dio per il popolo) e presentando

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Prima lettura: Ger 1,4-5.17-19Salmo responsoriale: dal Salmo 70Rt/ La mia bocca, Signore,

racconterà la tua salvezzaSeconda lettura: 1 Cor 12,31-13,13Vangelo: Lc 4,21-30

1. Nell’omelia sinagogale i rabbini illu-stravano l’adempimento delle promesse diDio nella storia. Gesù illustra l’adempimentonella sua persona. La reazione è durissima:essi sanno che è figlio di Giuseppe. Come gliantichi profeti, Elia ed Eliseo, furono respin-

ti dai loro contemporanei, anche Gesù vienerespinto dai suoi compaesani. Coloro, però,che accolsero, i profeti come la vedova di Sa-repta e il pagano lebbroso Naaman, esperi-mentarono l’intervento miracoloso di Dio.Non si può pretendere di avere i miracolisenza accogliere colui che li compie. La rea-zione contro Gesù è ancora più dura. Gesùnon risponde agli “schemi mentali” del divi-no che avevano in testa i nazaretani e così ilSignore viene cacciato. Conoscere una per-sona è molto difficile. Si può conoscere unaserie di dati anagrafici, professionali, debo-

IIVV DDOOMMEENNIICCAA DDEELL TTEEMMPPOO OORRDDIINNAARRIIOO -- CC3311 ggeennnnaaiioo 22001100

poi umilmente la risposta umana a Dio, rispo-sta piena di infedeltà e ribellioni. Si “confes-sava” la fede (storia della salvezza) e, all’inter-no di questa confessione di fede per mezzodella Parola, veniva fatta la confessione deipeccati. Su questo sfondo veterotestamentarioed evangelico la Colletta propria risuona comeParola pregata. Nella petizione, infatti, vienechiesto al Padre che la Parola agisca: edifichi icristiani in un solo corpo e li renda strumentidi liberazione e di salvezza. La Colletta gene-rale sviluppa una tematica molto vicina allateologia della Parola: la petizione chiede che icredenti portino, nel nome di Cristo, frutti ge-nerosi di opere buone. Non aveva, forse, scrittol’autore sacro: “Siate di quelli che mettono inpratica la parola e non soltanto ascoltatori, il-ludendo voi stessi” (Gc 1,22)?

4. La seconda lettura, 1 Cor 12,12-30, ècostituita da un brano che illustrando il mi-stero della Chiesa attraverso l’immagine delcorpo, fonda il criterio di valutazione e ge-stione dei carismi nella comunità. Sappiamoche i Corinti erano particolarmente sensibilia quel tipo di carismi estatico-miracolosi.Ciò costituiva uno degli elementi di divisio-ne nella comunità. Paolo, dopo aver illustra-to con un esempio - già conosciuto nel mon-do classico - il valore del gruppo (la Chiesa)come corpo in cui ogni membro è prezioso enecessario agli altri, presenta la gerarchiadei carismi. “In primo luogo” ci sono gliapostoli, “in secondo luogo” i profeti, “interzo luogo” i maestri. Poi, via via, miracoli,guarigioni, assistenza, governo, parlare inlingue….

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lezze e qualità. La conoscenza della suaidentità più profonda è una impresa ardua.Solo Dio, che ha formato l’uomo nel grembomaterno, come ha fatto con Geremia (1° let-tura, Ger 1,4-5.17-19), può conoscere la per-sona. Su un piano per certi aspetti identico,ma per molti altri diverso da quello che Dioopera con gli uomini, si colloca la conoscen-za reciproca che intercorre tra il Padre e Ge-sù e tra Gesù e le sue pecore (cfr Gv 10,14-15: “Io sono il buon pastore, conosco le miepecore e le mie pecore conoscono me, comeil Padre conosce me e io conosco il Padre; eoffro la vita per le pecore”). L’amore, con tut-to ciò che ad esso si associa, è il veicolo piùidoneo e possente per la conoscenza e l’acco-glienza dell’identità profonda dell’altro.

Certo non fu questo l’atteggiamento deinazaretani con Gesù. Essi pensavano di cono-scere il loro compaesano perché conoscevanoalcuni dati anagrafici. E cadono in errore co-me sono caduti e cadono in errore i molti pen-satori che “sanno tutto” e che si avvicinano aGesù Cristo come fosse un puro reperto dellafantasia o, bontà loro, dell’archeologia religio-sa. Così, di volta in volta, Gesù venne definitoil figlio di Giuseppe, il dolce sognatore di Ga-lilea, il predicatore apocalittico, l’annunciato-re della fratellanza universale, ecc. Oggi co-me allora, Gesù è purtroppo vittima di “chi sagià tutto”. Oggi, come allora, non si guarda ache cosa dice e fa Gesù, ma lo si guarda conpregiudizio (i credenti sono esenti da respon-sabilità per questo?). Gesù “passa in mezzo aloro” e costoro non possono trattenerlo dentroai loro stretti schemi mentali, come è già suc-cesso per gli abitanti di Nazaret.

2. Lc 4,16-30 è il brano che narra l’epi-sodio di Gesù alla sinagoga di Nazaret. Do-

menica scorsa è stata letta la prima parte (Lc4,16-21). Oggi viene letta la seconda parte,riprendendo il racconto con la ripetizionedell’ultimo versetto del vangelo di domenicascorsa (v. 21), quasi a voler creare un legametra le due domeniche. Nella prima parte del-l’episodio Gesù presenta se stesso come co-lui che adempie le profezie messianiche.Nella seconda, Gesù presenta la propria per-sona, purtroppo respinta da “chi sa già tut-to”. Sotto il profilo testuale, il testo biblico-liturgico di Lc 4,21-30 non differisce di mol-to dal testo biblico originale. Solo l’incipit,infatti, è stato modificato. Il testo biblico di-ce: “Allora cominciò a dire:”, mentre il testobiblico-liturgico recita: “In quel tempo, Ge-sù cominciò a dire”.

Gesù, dopo la lettura del brano di Isaia(Is 61,1-2), pronuncia, secondo l’uso sinago-gale sabbatico, una omelia di adempimento.Mentre gli altri rabbini si preoccupavano diindicare l’adempimento del brano nelle azio-ni divine nella storia, Gesù afferma che l’a-dempimento di quel passo si avvera nellasua persona. Gesù, dunque, attraverso laprofezia, manifesta la sua identità messiani-ca. In perfetta antitesi con questa autorivela-zione, i cittadini di Nazaret oppongono la lo-ro presunta conoscenza della sua identità:egli è il figlio di Giuseppe. ImmediatamenteGesù si rifà al modello profetico: anche iprofeti, come Elia ed Eliseo, sono stati “re-spinti” dagli Ebrei loro contemporanei, masono stati accolti e creduti da persone nonappartenenti al popolo eletto. La vedova diSarepta era fenicia e Naaman era un dama-sceno. Costoro in qualche modo rappresenta-no gli “ultimi” (la vedova) e i lontani (Naa-man). Gesù, dunque, allude all’apertura uni-

versalistica. Il Suo messianismo non è soloper i figli di Abramo, ma per tutti gli uomini.

La reazione dei cittadini di Nazaret non sifonda sulla paziente ricerca di Dio, ma sullapresunzione di conoscere già tutto. Questoepisodio di rifiuto omicida (“per gettarlo giùdal precipizio”) anticipa profeticamente lamorte di Gesù al Calvario, episodio sommodel rifiuto del popolo ebraico di fronte al Mes-sia che il Padre stava donando. Ma è ancheprofezia di tutti i rigetti che Gesù subirà intutti i tempi e che hanno avuto come protago-nisti sia le singole persone che i vari gruppi.E’ vero che il dono della fede è sempre miste-ro, ma non per questo i credenti dovrebberocessar di chiedersi se il loro modo di presen-tare Gesù, vero uomo e vero Dio, non sia statoconcausa con altri motivi perché persone egruppi si siano posti e si pongano in atteggia-mento di rifiuto della persona di Cristo.

3. La prima lettura, Ger 1,4-5.17-19, pre-senta la persona del profeta Geremia nelquale si ritrovano elementi che anticipanol’esperienza di Gesù. Il profeta, come Gesù,è mandato da Dio per la salvezza del popolo,ma dal popolo viene rifiutato e perseguitato.Il profeta, però, pur fragile, non abbandonala sua missione: dietro a lui c’è Dio (“io sonocon te”), perché Dio sceglie ciò che al mon-do appare debole e piccolo per operare lasalvezza. L’uomo si ribella. Paolo ammoni-sce: la “stoltezza” di Dio è più sapiente della

sapienza degli uomini. Il mistero di acco-glienza e di rifiuto è il tema centrale dellaColletta propria. A tale mistero la celebra-zione risponde invocando Dio perché nono-stante i rifiuti “non venga meno il coraggiodell’annunzio missionario del Vangelo”. LaColletta generale, invece, sviluppa una te-matica molto bella (adorare Dio e amare ifratelli), ma molto generica.

4. La seconda lettura, 1 Cor 12,31-13,13, propone l’ascolto dell’inno all’agape.Che sia di Paolo o meno, non è cosa impor-tante, diventa invece importante cogliere ilmistero di questo amatore che non è prodot-to umano, ma che fa parte di quei doni fattida Dio all’uomo, mediante il Suo SpiritoSanto. Il testo circoscritto da una introdu-zione e da una lunga riflessione conclusiva,illustra, in una prima parte cadenzata inuna riflessione tripartita, l’agape in relazio-ne ad altri carismi importanti: l’agape risul-ta primaria e fondamentale. Gli altri cari-smi, infatti, senza l’agape sarebbero vuotez-za, nullità e inutilità. In una seconda parteil testo illustra le caratteristiche dell’agapein un susseguirsi di aggettivi (qualità) e diatteggiamenti comportamentali. Quando,nella conclusione, il testo vuol arrivare aduna sintesi vede tale essenzialità nella fede,nella speranza e nell’agape. In una valuta-zione che è gerarchica e non escludente,l’agape risulta “la più grande”.

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Animazione Liturgica

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Preg

hiam

o

Guida L’anno sacerdotale, indetto da Benedetto XVI con la lettera del 16 giugno 2009, vuole

“evocare con tenerezza e riconoscenza l’immenso dono che i sacerdoti costituiscono non solo per

la Chiesa, ma anche per la stessa umanità”. Non possiamo parlare e pregare per i sacerdoti se non

a partire dal Signore Gesù, il Primo e Grande Sacerdote dell’eterna alleanza. San Cirillo di Gerusa-

lemme, scriveva: «Cristo è Sommo Sacerdote, possiede un Sacerdozio immutabile, che non ha

avuto principio col tempo e non ha bisogno di altro sacerdozio che gli succeda. Non l’ha ricevuto

per successione secondo la carne; non è stato unto con olio figurativo; ma è stato unto dallo stes-

so Padre prima dei secoli». Disponiamo il nostro cuore e tutta la nostra mente ascoltando tutto ciò

che la liturgia della Parola ci propone.

Canto a scelta e intronizzazione dell’icona di Gesù Sacerdote

Dalla Lettera agli Ebrei, 4,14-16;5,1-6

1L. 14Poiché dunque abbiamo un grande sommo sacerdote, che ha attraversato icieli, Gesù, Figlio di Dio, manteniamo ferma la professione della nostra fede. 15In-fatti non abbiamo un sommo sacerdote che non sappia compatire le nostre infer-mità, essendo stato lui stesso provato in ogni cosa, a somiglianza di noi, escluso ilpeccato. 16Accostiamoci dunque con piena fiducia al trono della grazia, per riceve-re misericordia e trovare grazia ed essere aiutati al momento opportuno. 1Ognisommo sacerdote, preso fra gli uomini, viene costituito per il bene degli uomininelle cose che riguardano Dio, per offrire doni e sacrifici per i peccati. 2In tal modoegli è in grado di sentire giusta compassione per quelli che sono nell’ignoranza enell’errore, essendo anch’egli rivestito di debolezza; 3proprio a causa di questa an-che per se stesso deve offrire sacrifici per i peccati, come lo fa per il popolo. 4Nes-suno può attribuire a se stesso questo onore, se non chi è chiamato da Dio, comeAronne. 5Nello stesso modo Cristo non si attribuì la gloria di sommo sacerdote,ma gliela conferì colui che gli disse: Mio figlio sei tu, oggi ti ho generato. 6Comein un altro passo dice: Tu sei sacerdote per sempre, alla maniera di Melchìsedek.

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Scheda di preghiera

Gesù, Sacerdote e Unico modellodi ogni sacerdozio

suor Clara Caforio, ef

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Animazione Liturgica

Preg

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Silenzio orante

Dalla prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi

2l «Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Si-gnore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane, e, dopo aver resograzie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo,che è per voi; fate questo in me-moria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice, dicendo:“Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che nebevete, in memoria di me”. Ogni volta infatti che mangiate di questo pane e be-vete di questo calice, voi annunziate la morte del Signore finché egli venga»

Pausa: silenzio oranteMusica contemplativa

Preghiamo lentamente tutti:

Gesù amò i suoi che erano nel mondoamò quelli che il Padre gli aveva datoquelli che il Padre gli aveva affidato.Anch’egli, come ciascuno di noi,conobbe un certo numero di volti:volti familiari, volti appena intravisti,volti di un istante, volti di una vita…Ma in modo così pieno e profondoamò quegli uomini e quelle donne di Palestina,che ormai i loro voltirispondono a tutti i nomi del mondo.Gesù amò i suoi che erano nel mondonon per dimostrare, per provare qualcosaGesù non amava per qualcosaper un qualsiasi motivo.Non amava per salvare il mondo.Amava per amare,se così si può dire, ed è ancora dire troppo.Gesù amava, semplicemente.L’amore era in lui.Egli era l’amore.Era bello ed era rischioso,era troppo bello per durare. (J-Y Quellec)

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Preg

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Canto adatto:

Guida Tutte le prefigurazioni del sacerdozio dell’Antica Alleanza trovano il loro compimento in

Cristo Gesù, «unico… mediatore tra Dio e gli uomini» (1Tm 2,5). Melchisedek, «sacerdote del

Dio altissimo» (Gen 14,18), è considerato dalla Tradizione cristiana come una prefigurazione

del sacerdozio di Cristo, unico «sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek» (Eb 5,10;

6,20), «santo, innocente, senza macchia» (Eb 7,26), il quale «con un’unica oblazione… ha re-

so perfetti per sempre quelli che vengono santificati» (Eb 10,14), cioè con l’unico sacrificio del-

la sua croce (CCC 1544).

Dalla lettera agli Ebrei

1L. «Nei giorni della sua vita terrena egli (Cristo) offrì preghiere e suppliche conforti grida e lacrime a colui che poteva liberarlo da morte e fu esaudito per la suapietà. Pur essendo Figlio, imparò tuttavia l’obbedienza dalle cose che patì e, resoperfetto, divenne causa di salvezza eterna per tutti coloro che gli obbediscono,essendo stato proclamato da Dio sommo sacerdote alla maniera di Melchisedek.Cristo può salvare perfettamente quelli che per mezzo di lui si accostano a Dio,essendo egli sempre vivo per intercedere a loro favore. Tale era infatti il sommosacerdote che ci occorreva: santo, innocente, senza macchia, separato dai pecca-tori ed elevato sopra i cieli; egli non ha bisogno ogni giorno, come gli altri sommisacerdoti, di offrire sacrifici per i propri peccati e poi per quelli del popolo, poichéegli ha fatto questo una volta per tutte, offrendo se stesso»

Guida Rivolgiamo la nostra supplica a Dio nostro Padre che nel Figlio Suo Unigenito ci ha do-

nato un sommo ed eterno sacerdote a Lui diciamo spontaneamente:

Signore, abbi pietà di noi tuo popolo radunato oggi in preghiera. R. Signore, abbi pietà.

Cristo, ascoltaci. R. Cristo, ascoltaci.

Dio, Padre del Cielo, R. abbi pietà di noi.

Dio Figlio, Redentore del mondo, R. abbi pietà di noi.

Gesù, Sacerdote e Vittima per i peccati del mondo, R abbi pietà di noi.

Gesù, sacerdote in eterno secondo l’ordine di Melchisedek, R. abbi pietà di noi.

Gesù, sacerdote che Dio ha mandato ad annunciare ai poveri la Buona Notizia, R. abbi pietà di noi.

Gesù, Sacerdote, che nell’Ultima Cena ci ha lasciato l’Eucaristia, R. abbi pietà di noi.

Gesù, Sacerdote sempre vivo a intercedere per noi, R. abbi pietà di noi.

Gesù, Sommo Sacerdote unto dal Padre con lo Spirito Santo, R. abbi pietà di noi.

Gesù, Sommo Sacerdote della Pace, R. abbi pietà di noi.

Gesù, Sommo Sacerdote fra tutti gli uomini, R. abbi pietà di noi.

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Gesù, Sommo Sacerdote misericordioso, R. abbi pietà di noi.

Gesù, Sommo Sacerdote della nostra fede, R. abbi pietà di noi.

Gesù, Sommo Sacerdote diffusore di compassione, R. abbi pietà di noi.

Gesù, Sommo Sacerdote del vero tabernacolo, R. abbi pietà di noi.

Gesù, Sommo Sacerdote dei beni futuri, R. abbi pietà di noi.

Gesù, Sommo Sacerdote, Agnello giovane e senza macchia, R. abbi pietà di noi.

Gesù, Sommo Sacerdote, fedele e buono, R. abbi pietà di noi.

Gesù, Sommo Sacerdote di Dio che intercedi presso il Padre, R. abbi pietà di noi.

Gesù, Sommo Sacerdote, dei poveri, R. abbi pietà di noi.

Gesù, Sommo Sacerdote, di chi è solo, abbandonato, affamato, R. abbi pietà di noi.

Gesù, Sommo Sacerdote, di chi cerca il tuo Volto, R. abbi pietà di noi.

Gesù, Sommo Sacerdote in cui ogni sacerdozio trova il fondamento e il coronamento, R. abbi pietà di noi.

Guida Dopo aver implorato la misericordia di Dio Padre per mezzo del Figlio e dello Spirito

Santo, concludiamo la nostra preghiera, rivolgendoci ancora al Signore …

Preghiera per i sacerdoti

O Gesù, sommo ed eterno sacerdote,custodisci il tuo sacerdote dentro il Tuo Sacro Cuore.Conserva immacolate le sue mani unteche toccano ogni giorno il Tuo Sacro Corpo.Custodisci pure le sue labbraarrossate dal Tuo Prezioso Sangue.Mantieni puro e celeste il suo cuoresegnato dal Tuo sublime carattere sacerdotale.Fa’ che crescanella fedeltà e nell’amore per Tee preservalo dal contagio del mondo.Col potere di trasformare il pane e il vinodonagli anche quello di trasformare i cuori.Benedici e rendi fruttuose le sue fatichee dagli un giorno la corona della vita eterna. (S. Teresa di Gesù Bambino)

Canto finale e venerazione dell’icona

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II DDoommeenniiccaa ddii AAvvvveennttoo -- CC(dal Salmo 24)

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IIII DDoommeenniiccaa ddii AAvvvveennttoo -- CC(dal Salmo 125)

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IImmmmaaccoollaattaa CCoonncceezziioonnee(dal Salmo 97)

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Animazione LiturgicaCulmine e Fonte 6-2009Pregar cantando

IIIIII DDoommeenniiccaa ddii AAvvvveennttoo -- CC(da Is. 12, 2-6)

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IIVV DDoommeenniiccaa ddii AAvvvveennttoo -- CC(dal Salmo 79)

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NNaattaallee ddeell SSiiggnnoorree -- MMeessssaa ddeellllaa NNoottttee(dal Salmo 95)

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NNaattaallee ddeell SSiiggnnoorree -- MMeessssaa ddeell GGiioorrnnoo(dal Salmo 97)

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SSaannttaa FFaammiigglliiaa -- CC(dal Salmo 83)

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MMaarriiaa SSaannttiissssiimmaa MMaaddrree ddii DDiioo(dal Salmo 66)

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IIII DDoommeenniiccaa ddooppoo NNaattaallee(dal Salmo 147)

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EEppiiffaanniiaa ddeell SSiiggnnoorree(dal Salmo 71)

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BBaatttteessiimmoo ddeell SSiiggnnoorree -- CC(dal Salmo 103)

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IIII DDoommeenniiccaa TTeemmppoo OOrrddiinnaarriioo -- CC(dal Salmo 95)

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IIIIII DDoommeenniiccaa TTeemmppoo OOrrddiinnaarriioo -- CC(dal Salmo 18)

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IIVV DDoommeenniiccaa TTeemmppoo OOrrddiinnaarriioo -- CC(dal Salmo 70)

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Recentemente curiosando qua e làtra i banchi di un mercatino di antiqua-riato, mi è capitato tra le mani un testodi Andrea Braghin sul tema della damacon l’unicorno. Acquistatolo, ho subitoletto con crescente interesse il testo, ac-compagnato da bellissime immagini fo-tografiche, in cui con acuta spiritualità ericorrendo ai molteplici simboli icono-grafici cristiani relativi alla vergine Maria,l’autore analizza l’importante collezionedi arazzi medioevali raffiguranti appuntola dama con l’ unicorno, conservati alMusée des Thermes a Parigi.

L’immagine di questo animale irrea-le, dall’aspetto misterioso e bizzarro,spesso raffigurato con le sembianze diun bianco cervo dalla folta criniera dicavallo mossa dal vento e un lungocorno spiraliforme sulla fronte, istinti-vamente ci proietta, vuoi per le nozionipiù o meno esatte che possediamo ariguardo, in una realtà fantastica in cuilo stupore accresce quando è affianca-to a una donna dall’aspetto delicato edalla posa aggraziata, colta nell’atto diaccoglierlo tra le sue braccia o sul suogrembo, rivolgendogli uno sguardo diamore e nel contempo di malinconia.

Plinio il Vecchio nel suo trattato discienze naturali Naturalis Historia, inparticolare negli ultimi 12 volumi rela-tivi alla medicina e ai medicamenti che

si ricavano dal regno vegetale e anima-le, descrive l’unicorno come un essereimmaginario, timido e fuggente, dallequalità terapeutiche straordinarie.

L’interpretazione cristiana di questoanimale, riconducibile in origine a leg-gende e testi devozionali paleocristiani,col passare del tempo si sviluppò ulte-riormente arricchendosi di simbologiesempre più complesse. Fu così che l’oc-cidente cristiano, iniziandolo a raffigu-rare con il corno al centro della suafronte, considerata sede dello spirito,iniziò a spiritualizzare il precedentesimbolo orientale presente in opere co-me il Fisiologo, per esempio, redatto daautore ignoto ad Alessandria d’Egittointorno al IV secolo d.C., che contene-va la descrizione simbolica di animali,piante (reali e non) e di alcune pietre,presentata in chiave allegorica e religio-sa ricorrendo a citazioni delle SacreScritture. Tradotto in varie lingue tra cuiil latino, esercitò un notevole influssosui nostri bestiari medievali: tra gli ani-mali fantastici forse quello più famosoè proprio l’unicorno, descritto come uncavallo selvaggio che i cacciatori difficil-mente riuscivano a catturare a menoche, elemento determinante, una fan-ciulla vergine gli si mostrava facendolocosì diventare docile tanto da avvicinar-si a lei per appoggiare fiduciosamente,

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Beata tra le donneRoberta Boesso

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e non temendo più alcun peri-colo, la testa sul suo grembo,

come spesso è raffigurato in molte mi-niature e arazzi dell’epoca con unachiara allusione all’incarnazione del Fi-glio di Dio.

Fu poi Onorio di Regensburg, mona-co e teologo tedesco del XII secolo, asottolineare con insistenza il caratteresimbolico di questo animale: “L’Unicor-no è il Cristo, e il corno che egli portanel mezzo della fronte simboleggia laforza invincibile delFiglio di Dio. Egli siadagia sul seno diuna vergine ed ècatturato dai caccia-tori, ciò vuol dire,che Egli ricevetteforma umana daMaria e che accon-sentì a far dono dise stesso per la sal-vazione del genereumano”.

In questo proces-so di spiritualizzazio-ne si aggiunsero altriimportanti significatisimbolici: la purezza (personificata dallavergine e dal giardino in cui si colloca lascena) e la forza (a cui alludono la scal-trezza e la brutalità dei cacciatori nelmomento in cui, avvicinatisi alla vergi-ne, ne approfittano per catturarlo).

L’uccisione dell’ unicorno da partedei cacciatori, simbolo del popoloebraico che spietatamente e con l’in-

ganno condannarono a morte Gesù,diviene così esplicito richiamo al sacri-ficio salvifico sulla croce del Figlio diDio. Una variante iconografica è lapresenza di un cacciatore che, ricor-rendo all’aiuto di tre cani da caccia,spinge l’animale verso il grembo dellavergine: è l’arcangelo Gabriele cheopera in forza della fede, della speran-za e della carità.

Come accennato precedentemente,l’unicorno viene descritto con il corpo

di cervo, caratteristi-ca costitutiva impor-tante dalle origineantichissime. Per lesue corna ramificatesimili ai rami di unalbero, venne as-sunto come simbolodella vita in strettoparallelismo con ilrinnovamento sta-gionale a cui sonosottoposti appunto irami delle piante: laprimavera divienecosì il simbolo del-l’infanzia, l’estate

della giovinezza, l’autunno della matu-rità e l’inverno quello della vecchiaia.

Considerato poi il peggior nemicodei serpenti, risulta comprensivo l’aver-gli attribuito il potere di annientareogni tipo di veleno. Nel Medioevo lapelle di cervo era utilizzata come amu-leto contro il morso dei serpenti e lapolvere delle sue corna, analogamente

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la polvere del corno dell’unicorno di-fendeva le sementi da ogni tipo di ma-gia negativa come eventi meteorologi-ci avversi. A proposito dell’abitudinedel cervo di sputare acqua nelle inse-nature dove i serpenti velenosi si anni-dano per poi, una volta stanati, calpe-starli, si legge nel Fisiologo: “Così an-che nostro Signore colpisce il serpente,il Demonio, con le acque del cielo…

Anche gli asceti somigliano al cervo.Con le lacrime del loro pentimento spen-gono le fiamme del maligno e calpestanoil Grande Serpente uccidendolo”.

Il corno a spirale che spunta al cen-tro della testa allude, come le corna ingenerale, al potere soprannaturale delladivinità. Si legge nella Bibbia: “Sedecìa,figlio di Chenaana, che si era fatte cor-na di ferro, affermava: Dice il Signore:

Con queste cozzerai contro gliAramei fino al loro sterminio”(1Re, 22-11). I corni però sono simbolidi potere e di autorità degni solo delladivinità. Ecco perché ancora nella Bib-bia si legge: “Quando farò giustizia deimisfatti di Israele, io infierirò contro glialtari di Betel; saranno spezzati i cornidell’altare e cadranno a terra” (Amos,3-14). La distruzione di essi allude allapiù completa rovina.

Nell’Apocalisse di San Giovanni, lavisione dell’Agnello è sicuramenteesauriente: “Poi vidi in mezzo al tronocircondato dai quattro esseri viventi edai vegliardi un Agnello, come immo-lato. Egli aveva sette corna e sette oc-chi, simbolo dei sette spiriti di Diomandati su tutta la terra” (Ap 5,6).

Il terzo elemento caratteristico del-l’unicorno è il suo colore bianco, fra icolori forse il più antico, quello che dasempre è investito dei simboli più fortie universali. Nel nostro immaginario as-sociamo istintivamente il bianco all’i-dea della purezza e dell’innocenza. Innatura nessun altro colore è così com-patto: soltanto la neve evoca la purez-za e, per estensione, l’innocenza e laverginità, la serenità e la pace. È questoil motivo per cui le anime degli elettidopo il Giudizio Universale sono raffi-gurate rivestite di vesti bianche; analo-gamente le vesti del papa alludono allagloria (ricordando la Trasfigurazione diGesù) e al cammino verso il cielo.

L’ultimo elemento simbolico legatoall’unicorno è quello del giardino che

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fa da cornice a ogni sua raffi-gurazione. Al contrario della

selva che richiama il caos, la tenebra eil peccato, come ci ricorda molto beneDante, per suo aspetto organizzato,curato, bello da vedere e accogliente, ilgiardino è simbolo del paradiso, sia diquello terrestre della Genesi, comecentro del cosmo, sia di quello della fi-ne dei tempi, della Gerusalemme cele-ste di cui qui si può occasionalmenteavere una percezione spirituale. Ma ilgiardino costituisce anche un segnoparticolarmente bello per la bellezzadell’amata: “Giardino chiuso tu sei, so-rella mia, sposa, giardino chiuso, fonta-na sigillata” (Ct 4,12); “Venga il miodiletto nel suo giardino e ne mangi i

frutti squisiti” (Ct 4,16). Il testo delCantico dei Cantici ha dato motivo amolti commenti mistici che si ripercos-sero anche nell’iconografia cristiana,per esempio nella simbologia di Maria,e nel caso particolare, dell’unicornoche penetra in un giardino recintato,verso la Vergine, la purezza ineguaglia-bile della beata tra le donne.

Lo specchio che, in uno degli arazzi,Maria regge con la destra e sul quale siriflette l’unicorno, in questo contestonon è da leggersi come metafora di va-nità, ma al contrario, come simbolo ma-riano: Dio padre specchiò nella verginitàdi Maria la sua immagine nel Figlio.

“Accogli nel tuo grembo o VergineMaria, il Verbo di Dio Padre. Su te il divi-

no spirito disten-da la sua ombra,o Madre del Si-gnore. Porta san-ta del tempio, in-tatta ed inviolabi-le, ti apri al redella gloria. Pre-detto dai profeti,annunziato daun angelo, vieniGesù salvatore. Ate, Cristo, sia lo-de, al Padre e alsanto Spirito neisecoli dei secoli”(Inno dal Comu-ne della beataVergine Maria).

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L’anno sacerdo-tale già avviato è unulteriore invito adavvicinare “figure”di sacerdoti che sisono particolarmen-te distinti per la lorotestimonianza di vi-ta al seguito di Ge-sù Signore, SommoSacerdote! Una co-municazione delcardinale Martinsafferma che: “Perben cogliere tutta lastupenda realtà delsacerdozio ministeriale, esso va visto,innanzitutto, nella sua dimensione es-senzialmente cristologica, ossia in rap-porto a Cristo, l’unico ed eterno sacer-dote della Nuova Alleanza. Nell’ordina-zione sacerdotale Cristo imprime in co-loro che ha scelto per il ministero unaimpronta nuova, interiore, indelebile,che conforma, rende simili a Lui. Ognisacerdote diviene così un “alter Chri-stus”, o, come ama dire qualcuno,“ipse Christus”. Cristo, diceva PaoloVI, “ha stampato in ciascuno di loro ilsuo volto umano e divino, conferendoad essi una sua ineffabile somiglian-za”. Il sacerdote rimane, in tal modo,abilitato ad agire “in persona Christi”,a fare le veci della persona di Cristosommo Sacerdote, che, per mezzo di

lui, continua a ren-dere gloria al Padree a salvare il mon-do, comunicandoglila sua vita divina…

Il sacerdote è,insomma, nel tem-po e nella storia, l’i-cona della presenzaviva e operante diCristo, il segno-per-sona del Signore ri-sorto Capo dellaChiesa, il suo sacra-mento radicale, lasua trasparenza. Ec-

co, dunque, il compito fondamentaledel sacerdote in rapporto a Cristo:renderlo presente, in modo visibile,nella sua vita e nel suo ministero, dopoil suo ritorno al Padre. Rispecchiare sulsuo volto, il volto di Cristo risorto”.

Il volto di Gesù si è bene impressoin uno dei Suoi tanti figli prediletti, unsacerdote appunto, che avviciniamo inquesto numero: Il beato FrancescoSpoto nacque a Raffadali (Ag) l’8 lu-glio 1924 da Vincenzo Spoto e Vin-cenza Marzullo. Fin da bambino emer-se in lui il desiderio di seguire Gesù elo fece entrando in probandato, verso i12 anni, nella Congregazione dei Mis-sionari Servi dei Poveri (Bocconisti) diPalermo, per seguire la strada della“Carità senza limiti” tracciata dal fon-

Beato Francesco Spotosuor Clara Caforio, ef

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datore il Beato Giacomo Cu-smano. Portato per gli studi e

dotato di buon carattere seppe benpresto distinguersi per le sue capacitàintellettive e organizzative, così da es-sere ordinato sacerdote il 22 luglio del1951. Ogni persona, uomo o donna,che si dedica con zelo alla costruzionedel regno di Dio, avverte di poterlo edoverlo fare ovunque ma soprattuttolà dove la necessità urge. Francescoavvertì il desiderio di essere operaionella vigna del Signore in missione, inquelle terre dove maggiore poteva es-sere il bisogno di aiuto. Nella sua im-maginetta ricordo fece scrivere una ci-tazione da Mc. 16, 15: “Andate in tut-to il mondo e predicate il Vangelo aogni creatura”, un verso per certiaspetti profetico di quella che sarà lasua luminosa testimonianza sacerdota-le. I disegni di Dio molte volte non so-no i nostri, fu così che padre Spoto do-vette mettere da parte il suo desiderioe abbandonarsi alla volontà di Dio,ben altri progetti erano pronti per lui!Il giovane visse pienamente il Carismadel fondatore, esercitando le virtù tipi-che di ogni consacrato ma anche l’a-scesi e il servizio umile ai poveri. I po-veri furono la sua passione, amore in-tenso verso cui non si risparmiò in al-cun modo; nella sua vita seppe incar-nare pienamente quanto S. Paolo scri-ve nella I Corinzi al capitolo 13: “Seanche parlassi le lingue degli uominima non ho la carità, sono come unbronzo che risuona … E se avessi il do-

no della profezia e conoscessi tutti imisteri e tutta la scienza, e possedessila pienezza della fede così da traspor-tare le montagne, ma non avessi la ca-rità, non sono nulla… La carità è pa-ziente, è benigna la carità; non è invi-diosa la carità, non si vanta, non sigonfia, non manca di rispetto, noncerca il suo interesse, non si adira, nontiene conto del male ricevuto, non go-de dell’ingiustizia, ma si compiace del-la verità. Tutto copre, tutto crede, tut-to spera, tutto sopporta. La carità nonavrà mai fine…” . Riguardo a questoegli ebbe molte volte a dire che la ca-rità: “deve essere umile e semplice,concreta e disadorna, come il panequotidiano”. La carità si deve “sentireumile di fronte al dolore e alla mise-ria”. L’identikit del sacerdote si puòrappresentare in questi versetti paolini;padre Francesco seppe vivere tuttoquesto grazie alla sua profonda vita dipreghiera, il suo nutrirsi alla santaMessa che celebrò sempre con fervore,con l’entusiasmo tipico di chi ha sco-perto la perla preziosa. Usava dire: LaSanta Messa va celebrata senza fretta.Anche l’ufficio divino merita ogni at-tenzione e va recitato bene. Moltotempo va lasciato allo studio (“lascienza sacra è necessaria al sacerdo-te”) e alle letture spirituali. Poco, po-chissimo tempo va accordato alla let-tura di riviste e romanzi frivoli comepure alla radio e alla TV. All’inizio del-l’anno scolastico 1963/64 durante lamessa dello Spirito Santo, amava rivol-

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gere agli alunni discorsi di incoraggia-mento: “L’anno scolastico, che si iniziafra qualche giorno, scandisce il ritmodella vostra vita giovanile e, in un al-ternarsi di lavoro e di riposo, vi preparalentamente all’avvenire, in cui dovreterealizzare il vostro sogno di apostolato.

Per il raggiungimento di questoideale è necessario l’aiuto del Signoree a tale scopo celebriamo la messadello Spirito Santo per implorare daldivin Paracleto luce e forza nell’adem-pimento del dovere quotidiano. Lucealla mente; forza alla volontà. Luce,perché l’intelligenza possa aprirsi allacomprensione di nuove verità e pro-gredire nel campo della cultura; forzadi volontà per essere costanti nell’a-dempimento del proprio dovere. Oltrea queste grazie, ci vuole inoltre lo spiri-to di sacrificio. Lo studio richiede rac-coglimento e riflessione; quindi rinun-zia ai divertimenti e agli svaghi, trannequelli strettamente necessari per ri-prendere nuove forze. Dovete ancoratener presente che la scuola non è solola palestra della intelligenza, ma è an-che una palestra di virtù, indispensabi-le al raggiungimento del vostro ideale.Dovete quindi mettere tutto il vostroimpegno non solo per progredire nellostudio, ma per progredire ugualmentenella pratica delle virtù e nella forma-zione spirituale”.

Il suo ministero sacerdotale fu, neiprimi tempi, dedicato a sviluppare leopere tipiche della Congregazione deiMissionari Servi dei Poveri, cioè l’acco-

glienza e l’educazione di bam-bini provenienti da famigliepovere e disagiate e l’assistenza neiconfronti dei più poveri. Verso questiultimi nutrì una passione grande, unamore sincero che gli fece intravvederenegli ultimi il Signore di cui era profon-damente innamorato e a propositodelle ingiustizie perpetrate a danno deipiù deboli egli scrisse in più occasioni:Il Vangelo ha oggi nel mondo la fun-zione immensa di appagare un’aspira-zione terrena, diffusa ormai in tuttal’umanità: il sogno di una fondamen-tale uguaglianza nel problema dellaricchezza, in una misura concretamen-te attuabile. Il pensiero di Gesù atte-nua le distanze e induce a stabilire fragli uomini una sempre maggiore ugua-glianza: getta mille ponti, dove altri sisforzano di scavare abissi . Ed è benedir subito che ci sono molti modi di ru-bare, anche evitando la prigione. Noiabbiamo in abominazione il ladro cheforza la casa con la maschera: inorridi-remmo ad essere accusati di questo, eci vergogneremmo come di macchiaobbrobriosa se vi cadesse un nostroparente. Ma credete che siano pochi imestieri altrettanto ladroneschi di per-sone che circolano nel mondo? Ruba-no coloro che nel commercio alteranola merce da vendere; rubano coloroche negano la giusta paga del lavoro.Il negare all’operaio la debita mercedeè peccato che grida vendetta davantial trono di Dio!”. Sono parole che nonnecessitano commenti, la loro attualità

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ci interpella e impone un esa-me di coscienza…

La sua vita religiosa fu tanto seria eimpegnata quanto lo erano stati i suoistudi, al punto che, il 23 luglio del1959, a soli 35 anni, quando eranopassati appena otto anni dall’ordinazio-ne sacerdotale, venne eletto, dal Capi-tolo Generale della Congregazione, aguidare la sua Famiglia Religiosa qualesettimo successore di Giacomo Cusma-no. Un’eredità che seppe portare avan-ti con timore, con alacre impegno enon poteva essere diversamente vistoche fin da piccolo ebbe sempre comeriferimento la Madonna di cui era de-votissimo; amore che apprese dalla suamamma e fu proprio dopo la sua ele-zione che le scrisse dicendole: “Questaelezione è stata una sorpresa per me:ho cercato di vivere sempre nel nascon-dimento e nella ritiratezza… ora in unmomento ho compiuto un balzo inavanti impensabile e imprevedibile. Bi-sogna rassegnarsi alla volontà di Dio…confido nel Signore che non mi faràmancare mai né la salute né la pruden-za e la sapienza nello agire. Alle miedebolezze riparerà Lui che è Onnipo-tente”. Una fiducia di tale portata fapensare allo Spirito Santo che quandocomincia un’opera la rende bella e tra-sparente, la rende speciale dinanzi allasanta Trinità, la ricama giorno dopogiorno con quelle trame che solo Dioconosce. Il lavoro di padre Spoto fu in-stancabile: portò a termine l’approva-zione delle Costituzioni da parte della

Santa Sede e fece introdurre la causa dicanonizzazione di Padre Giacomo Cu-smano; fece inoltre aprire il nuovo stu-dentato teologico a Roma inaugurandola missione di Biringi nell’attuale Re-pubblica Democratica del Congo in-viandovi i primi sacerdoti missionari. Inquesto paese, com’è naturale pensare,la situazione politica e sociale era mol-to grave.

Il paese ottenne l’indipendenza dalBelgio nel 1960, ma subito dopo, pas-sata la momentanea euforia, venneroalla luce gravi problemi di origine etni-ca, territoriale e politica.

Chi fu al potere in quei tempi, Lu-mumba e Mobutu si scontrarono peravere l’assoluto comando. In queste si-tuazioni ieri come oggi chi ne paga letristi conseguenze sono soprattutto ipoveri, i deboli. Come non pensare oggialle tante vicende dolorose che si susse-guono in questi paesi e di cui noi spessosiamo spettatori passivi. Cosa fare? Co-me muoversi? I santi non hanno maiavuto bisogno di tante domande: parolee azioni hanno sempre coinciso nei loroprogrammi. Così fu per il nostro padreFrancesco che pur consapevole di que-sta situazione, volle ugualmente com-piere la sua tanto desiderata “visita ca-nonica” alla missione di Biringi.

Qui vi giunse il 6 agosto del ‘64,accolto con gioia e con manifestazionifestose, dalla tantissima gente. Pochigiorni dopo si venne a sapere che iguerriglieri “simba”, sanguinari rivolu-zionari, avevano cominciato a sac-

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cheggiare e a prendere il controllo delnord del paese.

Un certo padre Sanfilippo, uno deiprimi missionari, comprese subito chela situazione era prossima a precipitaree che le conseguenze potevano essereimprevedibili, visto che i Simba eranonoti per la loro ferocia e per la loro op-posizione alla presenza di religiosi nelpaese. Il padre consigliò quindi al Supe-riore Generale di approfittare del mo-mento, ancora favorevole, per abban-donare il paese e fare ritorno in Italia.

Egli rifiutò di fuggire affermandoche di un simile gesto avrebbe avuto ri-morso per tutta la vita e aggiungendo:“Sono questi i buoni consigli che midai? Io non posso, non debbo partire”.E rimase fermamente al suo posto coni confratelli e la gente sempre più allosbaraglio. All’inizio di novembre la si-tuazione divenne gravissima e il 14 isoldati arrivarono minacciando di arre-stare i missionari. Iniziò così la terribilevicenda dei “bocconisti” che furonobraccati dai guerriglieri e costretti afuggire nella savana dove si rifugiaronoma con disagi estenuanti: Giorni egiorni di marcia massacrante, notti pas-sate all’addiaccio: “sete, fame, prostra-zione, ansia, sporcizia, malattie sono ilnostro tormento”. Padre Spoto conob-be momenti di sconforto perché “per-seguitati come tanti malfattori, braccaticome bestie feroci di savana in savana,laceri, affamati, e pieni di ferite, co-stretti a dormire sulla terra umida e du-ra e sotto le stelle. Di questa terribile

esperienza Padre Spoto scrisse:A sera cerco di mangiare unpezzo di pane duro, bagnato di lacri-me”. Ma la fiducia in Dio sorregge ifuggiaschi in questa situazione estre-ma: “Oggi ricorre l’anniversario dellanostra Congregazione: è il giorno dellanostra professione religiosa. In ginoc-chio nella nostra capanna, dinanzi alCrocifisso, rinnoviamo l’offerta dellanostra consacrazione a Dio con i VotiReligiosi, forza e coraggio nella duraprova”.

Braccati dai guerriglieri Simba, imissionari vissero una vera odissea nel-la savana. Il nostro beato venne addi-rittura picchiato, maltrattato al puntoda procurargli gravi ferite. È nella Ma-donna degli Infermi, patrona del suopaese, che trovò conforto e forza perandare avanti, lui e i suoi compagni acui volle dedicare una novena, comedisse un testimone di quei fatti: E il pa-dre ci disse: “pregate, pregate molto.Se la Madonna ci salva, torneremo tut-ti a lavorare in questo povero Congo”.

A causa delle ferite riportate, il padresi aggravò notevolmente e proprio lanotte di Natale i missionari si rimisero infuga portandosi dietro il giovane supe-riore generale che purtroppo morì pocotempo dopo all’età di 40 anni, il 27 di-cembre del 1964, dopo avere offerto lapropria vita per la salvezza dei confratellimissionari. Il padre venne seppellito nel-la nuda terra, nella povertà come sem-pre era vissuto e nell’anonimato perpaura di ritorsioni. Dopo tre anni i suoi

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confratelli poterono riprenderela salma e collocarla nella par-

rocchia di Biringi in attesa di farla rien-trare in Italia, cosa possibile solo nel1984, quando le sue spoglie vennerotrasferite a Palermo nella parrocchia delCuore Eucaristico di Gesù. Il 16 dicem-bre 1992 è cominciata l’inchiesta dioce-sana sulla vita e sulle virtù del Servo diDio. Il 29 luglio 1998, invece, presentatala Positio super Martyrio.

Il 26 giugno 2006, con l’approva-zione del Santo Padre Benedetto XVI,venne promulgato il decreto sul marti-rio. Il 21 aprile 2007 è stato proclama-to beato nella Chiesa Cattedrale di Pa-lermo mediante la lettura della LetteraApostolica di beatificazione di papaBenedetto XVI.

Una bella persona davvero padreFrancesco, ricca di virtù umane e spiri-tuali; un uomo dei giorni nostri, mo-derno che seppe fare del suo sacerdo-zio un’eucaristia, una quotidiana of-ferta d’amore per l’umanità e partico-larmente per la realizzazione di questapace che tutti indistintamente deside-riamo; la pace nei nostri cuori, nellecomunità, nelle famiglie, nei paesi delsud del mondo. Padre Francesco ci hacreduto, ha vissuto e mi piace conclu-dere questo breve profilo trascrivendoquanto lui stesso ha detto: “C’è unaparola che per anni è stata il sognodel mondo. Poi cominciò a farsi realtà,ma non era ancor lei. Ancor oggi, cheufficialmente è tornata a regnare, ècosì debole e mobile che minaccia di

sfuggire, di allontanarsi da noi. Parolagrandiosa, e questa parola si chiamapace. Tutti desiderano la pace; si desi-dera la pace nelle famiglie, e quandomanca, non esiste la felicità. I popolitutti desiderano la pace: e se mancac’è un cumulo di rovine inumane. At-tualmente si possiede la pace, ma sista coll’ansia di perderla sotto la mi-naccia di qualche nuova tempesta. Sipossiede la pace attualmente, ma unincubo penoso grava sull’umanità:l’incubo che la pace, un bene tantodesiderato possa da un momento al-l’altro naufragare in un oceano di san-gue e di rovine. Parola dolce la Pace.Parola che Gesù predilesse ed usò persaluto. Il Redentore venne su questaterra mentre il mondo antico era inpace. Sulla culla del neonato Salvatoregli uomini cantarono: “Pace in terraagli uomini di buona volontà”.

Prima di separarsi dai discepoli perandare alla passione dice: “Vi lascio lamia pace, vi do’ la mia pace, ve la do’,non come suol darla il mondo”. [Giov.14, 27.] Dopo la risurrezione, Gesùcompare agli apostoli più volte e li sa-luta sempre colla parola: “Pace a voi”.Gesù ha amato e ha augurato la pace,e ben a ragione il profeta Isaia l’avevachiamato principe di pace”.

La pace che padre Spoto ha celebra-to e ha vissuto diventi frutto di giustiziaper il Continente Africano… Il 27 dicem-bre si celebra la sua memoria liturgica esi è aperto il Sinodo Africano che affidia-mo a Santa Maria, Madre delle Genti.

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LLEECCTTIIOO DDIIVVIINNAA NNEEII TTEEMMPPII FFOORRTTIIAAvvvveennttoo -- Tema: I racconti evangelici del Natalemartedì 1 dicembre 2009 - martedì 15 dicembre 2009GGuuiiddaa:: mons. Marco FrisinaSSeeddee:: PPoonnttiiffiicciioo SSeemmiinnaarriioo RRoommaannoo MMaaggggiioorree:: oorree 1188,,3300 -- 2200,,0000Ingresso libero, non occorre prenotazione.

FFOORRMMAAZZIIOONNEE DDEEII CCAANNDDIIDDAATTIIAALL MMIINNIISSTTEERROO SSTTRRAAOORRDDIINNAARRIIOO DDEELLLLAA CCOOMMUUNNIIOONNEE

Per essere ammessi a frequentare il corso occorre presentare la domanda delparroco (su modulo disponibile all’Ufficio Liturgico o scaricabile dal sito del-l’Ufficio) e due fotografie formato tessera, uguali e recenti. Il mandato vieneconferito solo a chi ha frequentato integralmente il corso. In caso di assenze ilmandato viene dato solo dopo il ricupero della lezione perduta, durante il cor-so seguente.PPrrooggrraammmmaa ddeell CCoorrssoo uunniiccoo::6 febbraio: • L’Eucaristia nella Sacra Scrittura • Il sacramento dell’Eucari-stia20 febbraio: • La Chiesa comunità comunità ministeriale • La spiritualitàdel ministro straordinario della comunione13 marzo: • La lettera apostolica Salvifici doloris sul significato cristiano deldolore umano • La pastorale degli ammalati e degli anziani20 marzo: • L’istruzione Immensae caritatis sulla comunione sacramentale •L’esercizio del ministero nella parrocchia e nella diocesiSSeeddee:: ssaallaa TTiibbeerriiaaddee ddeell PPoonnttiiffiicciioo SSeemmiinnaarriioo RRoommaannoo MMaaggggiioorreeGGiioorrnnoo:: sabato dalle ore 15,30 – 19,00IIssccrriizziioonnii presso l’Ufficio Liturgico entro il 29 gennaio 2010.

Appuntamenti, notizie, informazioni

FFOORRMMAAZZIIOONNEE PPRRAATTIICCAA AALLLLAA PPRROOCCLLAAMMAAZZIIOONNEEDDEELLLLAA PPAARROOLLAA DDII DDIIOO

ppeerr lleettttoorrii ee ccaannddiiddaattii aallll’’iissttiittuuzziioonnee,, lleettttoorrii ddii ffaattttoo ((uuoommiinnii ee ddoonnnnee)),,rreessppoonn--ssaabbiillii ddeeii ggrruuppppii lliittuurrggiiccii ppaarrrroocccchhiiaallii4 stages al sabato mattina (ore 9,00 – 12,45)- 30 gennaio 2010 La figura del lettore liturgico (istituito e di fatto); significa-

to e valore della proclamazione. Gli elementi della Liturgia della Parola nel-la Messa: pericopi bibliche, salmo, acclamazione, intenzioni di preghiera.

- 13 febbraio 2010 Luoghi e strumenti: l’ambone, il libro (lezionario, evange-liario, orazionale, altrisussidi), uso corretto dell’amplificazione. I toni dellaproclamazione: vari gradi dalla lettura al canto.

- 27 febbraio 2010 La dizione della lingua italiana. Esercizi.- 13 marzo 2010 Dare voce a un brano: distinzione dei generi letterari e op-

portuna resa vocale; individuazione della struttura del brano e valorizzazio-ne dei contenuti. I rischi della lettura enfatizzata o drammatizzata. Esercizi.

SSeeddee:: PPoonnttiiffiicciioo SSeemmiinnaarriioo RRoommaannoo MMaaggggiioorree ((ssaallaa TTiibbeerriiaaddee))GGiioorrnnoo:: sabato dalle ore 9,00 alle 12,45.IIssccrriizziioonnii presso l’Ufficio Liturgico entro il 22 gennaio 2010.Quota di partecipazione: € 20,00

CCOORRSSOO PPEERR GGLLII AANNIIMMAATTOORRII MMUUSSIICCAALLII DDEELLLLAA LLIITTUURRGGIIAAIIll ccoorrssoo èè ccoonnddoottttoo ddaa MMoonnss.. MMaarrccoo FFrriissiinnaa4 stages teorico-pratici sui vari tempi dell’anno liturgicoSabato: 31 ottobre 2009 (Avvento) • 23 gennaio 2010 (Quaresima) • 13 mar-zo 2010 (Triduo e tempo di Pasqua) • 17 aprile 2010 (Tempo Ordinario)Ogni sessione comprenderà un’introduzione di carattere liturgico al periodo,la presentazione di canti e salmi responsoriali per le domeniche e feste delperiodo, prove pratiche.SSeeddee:: PPoonnttiiffiicciioo SSeemmiinnaarriioo RRoommaannoo MMaaggggiioorree

PP..zzaa SS.. GGiioovvaannnnii iinn LLaatteerraannoo,, 44GGiioorrnnoo:: sabato dalle ore 9,00 - 12,00IIssccrriizziioonnii presso l’Ufficio Liturgico.Quota di partecipazione: € 20,00

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