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IL VERISMO Cronologia e riferimenti Corrente letteraria nata negli anni70-80 dell’800 Autori di riferimento: Giovanni Verga e Luigi Capuana Nasce sotto influenza del clima POSITIVISTA: assoluta fiducia nella scienza, nel metodo sperimentale e negli strumenti infallibili della ricerca Si ispira (chiaramente) al NATURALISMO (Francia, metà Ottocento) la letteratura deve fotografare oggettivamente la realtà sociale e umana, rappresentandone le classi, comprese quelle umili, in ogni aspetto anche sgradevole; gli autori devono comportarsi come gli scienziati analizzando gli aspetti concreti della vita. Caratteristiche del Verismo G. Verga progresso scientifico, tecnologico e sociale successivo all'Unità d’Italia. Come la scienza si basa sulla ragione, su ciò che è evidente, così anche la letteratura e l’arte devono descrivere scientificamente i luoghi, i personaggi e le situazioni (come una fotografia) – VD Naturalismo Scrive come la gente parla (termini regionali, dialettali, proverbi, soprannomi, conversazioni paesane) Le descrizioni sono scarne, semplici emerge mentalità epoca (qualche volta fatalismo). Usa il discorso indiretto libero, cioè il pensiero del personaggio entra nel discorso, talvolta senza virgolette. In questo modo il lettore si trova nei pensieri di un personaggio, ragionando come lui. Contenuti realtà della povera gente (quotidianità dell'epoca) Racconta realtà anche cruda fedeltà alla famiglia e al lavoro vige la legge della sopravvivenza (difficile cambiare condizione sociale) importanza delle tradizioni (progresso non cambia situazione della povera gente) studio società e denuncia sociale parlano azioni protagonisti, non il narratore (documenti umani) Verga, Zolà, Capuana, (Collodi), pittori: Millet...

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IL VERISMO

Cronologia e riferimenti

• Corrente letteraria nata negli anni70-80 dell’800

• Autori di riferimento: Giovanni Verga e Luigi Capuana

• Nasce sotto influenza del clima POSITIVISTA:

• assoluta fiducia nella scienza, nel metodo sperimentale e negli strumenti infallibili della ricerca

• Si ispira (chiaramente) al NATURALISMO (Francia, metà Ottocento) • la letteratura deve fotografare oggettivamente la realtà sociale e

umana, rappresentandone le classi, comprese quelle umili, in ogni aspetto anche sgradevole;

• gli autori devono comportarsi come gli scienziati analizzando gli aspetti concreti della vita.

Caratteristiche del Verismo

G. Verga

• progresso scientifico, tecnologico e sociale successivo all'Unità d’Italia. • Come la scienza si basa sulla ragione, su ciò che è evidente, così anche la

letteratura e l’arte devono descrivere scientificamente i luoghi, i personaggi e le situazioni (come una fotografia) – VD Naturalismo

• Scrive come la gente parla (termini regionali, dialettali, proverbi, soprannomi, conversazioni paesane)

• Le descrizioni sono scarne, semplici • emerge mentalità epoca (qualche volta fatalismo). • Usa il discorso indiretto libero, cioè il pensiero del personaggio entra nel

discorso, talvolta senza virgolette. In questo modo il lettore si trova nei pensieri di un personaggio, ragionando come lui.

Contenuti

• realtà della povera gente (quotidianità dell'epoca)

• Racconta realtà anche cruda • fedeltà alla famiglia e al lavoro • vige la legge della

sopravvivenza (difficile cambiare condizione sociale)

• importanza delle tradizioni (progresso non cambia situazione della povera gente)

• studio società e denuncia sociale

• parlano azioni protagonisti, non il narratore (documenti umani) • Verga, Zolà, Capuana, (Collodi), • pittori: Millet...

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Da I Malavoglia di G. Verga - CAPITOLO I)

Un tempo i Malavoglia erano stati numerosi come i sassi della strada vecchia di Trezza; ce n'erano persino ad

Ognina, e ad Aci Castello, tutti buona e brava gente di mare, proprio all'opposto di quel che sembrava dal

nomignolo, come dev'essere. (...)

Le burrasche che avevano disperso di qua e di là gli altri Malavoglia, erano passate senza far gran danno sulla

casa del nespolo e sulla barca ammarrata sotto il lavatoio; e padron 'Ntoni, per spiegare il miracolo, soleva dire,

mostrando il pugno chiuso - un pugno che sembrava fatto di legno di noce - Per menare il remo bisogna che le

cinque dita s'aiutino l'un l'altro.

Diceva pure: - Gli uomini son fatti come le dita della mano: il dito grosso deve far da dito grosso, e il dito piccolo

deve far da dito piccolo.

E la famigliuola di padron 'Ntoni era realmente disposta come le dita della mano. Prima veniva lui, il dito grosso,

che comandava le feste e le quarant'ore; poi suo figlio Bastiano, Bastianazzo, perché era grande e grosso quanto il

San Cristoforo che c'era dipinto sotto l'arco della pescheria della città; e così grande e grosso com'era filava diritto

alla manovra comandata, e non si sarebbe soffiato il naso se suo padre non gli avesse detto «soffiati il naso»

tanto che s'era tolta in moglie la Longa quando gli avevano detto «pigliatela». Poi veniva la Longa, una piccina che

badava a tessere, salare le acciughe, e far figliuoli, da buona massaia; infine i nipoti, in ordine di anzianità: 'Ntoni

il maggiore, un bighellone di vent'anni, che si buscava tutt'ora qualche scappellotto dal nonno, e qualche pedata

più giù per rimettere l'equilibrio, quando lo scappellotto era stato troppo forte; Luca, «che aveva più giudizio del

grande» ripeteva il nonno; Mena (Filomena) soprannominata «Sant'Agata» perché stava sempre al telaio, e si suol

dire «donna di telaio, gallina di pollaio, e triglia di gennaio»; Alessi (Alessio) un moccioso tutto suo nonno colui!; e

Lia (Rosalia) ancora né carne né pesce. - Alla domenica, quando entravano in chiesa, l'uno dietro l'altro, pareva

una processione.

Padron 'Ntoni sapeva anche certi motti e proverbi che aveva sentito dagli antichi: «Perché il motto degli antichi

mai mentì»: - «Senza pilota barca non cammina» - «Per far da papa bisogna saper far da sagrestano» - oppure -

«Fa il mestiere che sai, che se non arricchisci camperai» - «Contentati di quel che t'ha fatto tuo padre; se non

altro non sarai un birbante» ed altre sentenze giudiziose.

Ecco perché la casa del nespolo prosperava, e padron 'Ntoni passava per testa quadra, al punto che a Trezza

l'avrebbero fatto consigliere comunale, se don Silvestro, il segretario, il quale la sapeva lunga, non avesse

predicato che era un codino marcio, un reazionario di quelli che proteggono i Borboni, e che cospirava pel ritorno

di Franceschello, onde poter spadroneggiare nel villaggio, come spadroneggiava in casa propria. Padron 'Ntoni

invece non lo conosceva neanche di vista Franceschello, e badava agli affari suoi, e soleva dire: «Chi ha carico di

casa non può dormire quando vuole» perché «chi comanda ha da dar conto».

(Vedi anche Rosso Malpelo)

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Il Verismo in Pinocchio di Carlo Collodi Pinocchio compare a episodi su una rivista a partire dal 1881, e viene pubblicato per la prima volta nel 1883 con il titolo di “Le avventure di Pinocchio - Storia di un burattino”.

[...] Intanto cominciò a farsi notte, e Pinocchio, ricordandosi che non aveva mangiato nulla, sentì un'uggiolina allo stomaco, che somigliava moltissimo all'appetito. Ma l'appetito nei ragazzi cammina presto; e di fatti dopo pochi minuti l'appetito diventò fame, e la fame, dal vedere al non vedere, si convertì in una fame da lupi, una fame da tagliarsi col coltello. Il povero Pinocchio corse subito al focolare, dove c'era una pentola che bolliva e fece l'atto di scoperchiarla, per vedere che cosa ci fosse dentro, ma la pentola era dipinta sul muro. (…)Allora si dette a correre per la stanza e a frugare per tutte le cassette e per tutti i ripostigli in cerca di un po' di pane, magari un po' di pan secco, un crosterello, un osso avanzato al cane, un po' di polenta muffita, una lisca di pesce, un nocciolo di ciliegia, insomma di qualche cosa da masticare: ma non trovò nulla, il gran nulla, proprio nulla. E intanto la fame cresceva, e cresceva sempre: e il povero Pinocchio non aveva altro sollievo che quello di sbadigliare: e faceva degli sbadigli così lunghi, che qualche volta la bocca gli arrivava fino agli orecchi. E dopo avere sbadigliato, sputava, e sentiva che lo stomaco gli andava via. (Cap. 5) [...]

[...] "Ho dell'altra fame!" "Ma io, ragazzo mio, non ho più nulla da darti." "Proprio nulla, nulla?" "Ci avrei soltanto queste bucce e questi torsoli di pera." "Pazienza!" disse Pinocchio, "se non c'è altro, mangerò una buccia." E cominciò a masticare. Da principio storse un po' la bocca; ma poi, una dietro l'altra, spolverò in un soffio tutte le bucce: e dopo le bucce, anche i torsoli, e quand'ebbe finito di mangiare ogni cosa, si batté tutto contento le mani sul corpo, e disse gongolando: "Ora sì che sto bene!" (Cap. 7) [...]

[...] Dopo poco tornò: e quando tornò aveva in mano l'Abbecedario per il figliuolo, ma la casacca non l'aveva più. Il pover'uomo era in maniche di camicia, e fuori nevicava. "E la casacca, babbo?" "L'ho venduta." "Perché l'avete venduta?" "Perché mi faceva caldo." Pinocchio capì questa risposta a volo, e non potendo frenare l'impeto del suo buon cuore, saltò al collo di Geppetto e cominciò a baciarlo. (Cap. 8)

[...] Giorno dipoi Mangiafoco chiamò in disparte Pinocchio e gli domandò: "Come si chiama tuo padre?" "Geppetto". "E che mestiere fa?" "Il povero." "Guadagna molto?" "Guadagna tanto, quanto ci vuole per non aver mai un centesimo in tasca. Si figuri che per comprarmi l'Abbecedario della scuola dové vendere l'unica casacca che aveva addosso: una casacca che, fra toppe e rimendi, era tutta una piaga." (Cap. 12)

[...] “Pazienza!" ripeté, continuando a masticare. "Che almeno la mia disgrazia possa servire di lezione a tutti i ragazzi disobbedienti e che non hanno voglia di studiare. Pazienza!... pazienza!" "Pazienza un corno!" urlò il padrone, entrando in quel momento nella stalla, "Credi forse, mio bel ciuchino, ch'io ti abbia comprato unicamente per darti da bere e da mangiare? Io ti ho comprato perché tu lavori e perché tu mi faccia guadagnare molti quattrini. Su, dunque, da bravo! Vieni con me nel Circo, e là ti insegnerò a saltare i cerchi, a rompere col capo le botti di foglio e a ballare il valzer e la polca, stando ritto sulle gambe di dietro." Il povero Pinocchio, per amore o per forza, dové imparare tutte queste bellissime cose; ma, per impararle, gli ci vollero tre mesi di lezioni, e molte frustate da levare il pelo. (Cap.33)

"Voglio darti un consiglio. Ritorna indietro e porta i quattro zecchini, che ti sono rimasti, al tuo povero babbo che piange e si dispera per non averti più veduto." "Domani il mio babbo sarà un gran signore, perché questi quattro zecchini diventeranno duemila." "Non ti fidare, ragazzo mio, di quelli che promettono di farti ricco dalla mattina alla sera. Per il solito, o sono matti o imbroglioni! Dai retta a me, ritorna indietro." [...] "Ricordati che i ragazzi che vogliono fare di loro capriccio e a modo loro, prima, o poi se ne pentono." "Le solite storie. Buona notte, Grillo." "Buona notte, Pinocchio, e che il cielo ti salvi dalla guazza e dagli assassini!" (Cap. 13)

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IL DECADENTISMO

Derivazione e cronologia

• Movimento letterario nato a Parigi negli anni Ottanta dell’800. • Dalla rivista francese Le Decadent

• inizialmente accezione negativa: epoca della crisi della letteratura

• i “decadenti” la ribattezzano come letteratura della crisi

Si oppone al Verismo

• Crisi della civiltà occidentale. • Sfiducia nella ragione positivista (lett. Ita: Verismo). • Impossibile conoscere la realtà attraverso la ragione e la scienza. • Distaccamento nei confronti della società protesa verso i beni materiali

(ricchezza). • La realtà si conosce attraverso l'intuizione, la sensazione, riprodurre lo

stato d’animo per suscitare la stessa impressione. • => Solo la poesia è in grado di cogliere fino in fondo il significato delle

cose. • Poeta sente e percepisce mondi lontani al di là dell’apparenza (scienza). • Pone la bellezza come ragione di vita (Estetismo). • Esigenza di esprimere la propria esperienza personale.

Caratteristciche comuni

• Usa il suono per evocare significati nascosti, creare sensazioni. • uso delle figure retoriche. • Utilizza forme metriche nuove, considerate fino ad allora non adeguate. • Uso punteggiatura per creare pause, ritmo, sensazioni. • figure retoriche quali, l’enjambement, allitterazioni, onomatopee, rime

interne, sinestesie, analogie, simboli. • Usa il linguaggio a seconda di ciò che deve esprimere. • Se una parola nella lingua comune ha perso il significato, ricerca parole

anche arcaiche (e per Pascoli quotidiane) per esprimere i sentimenti e descrivere la realtà.

• La poesia è intuizione, rivelazione degli aspetti nascosti realtà.

Due filoni

• SUPERUOMO ed esteta (vita come opera d'arte) => • Esempio: Gabriele D'Annunzio • (Inghilterra: Oscar Wilde: il ritratto di Dorian Gray)

§ distinguersi dal gregge § superuomo § gesta clamorose (Fiume)

• RIBELLIONE FUGA E SOLITUDINE • Esempio: Giovanni Pascoli

§ aspetto intimo e mite: uomo come creatura fragile § fanciullezza come età magica: il bambino vede le cose

pure, semplici piccole cose (le cose comuni della vita), tema del nido, inteso come rifugio, in cui l’uomo può essere e tornare se stesso.

§ solitudine e il dolore, esperienze personali, soprattutto quelle dolorose

§ ricerca le parole preziose, quelle parole cioè ricche di significato

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Giovanni Pascoli X agosto San Lorenzo, io lo so perché tanto di stelle per l'aria tranquilla arde e cade, perché si gran pianto nel concavo cielo sfavilla. Ritornava una rondine al tetto: l'uccisero: cadde tra i spini; ella aveva nel becco un insetto: la cena dei suoi rondinini. Ora è là, come in croce, che tende quel verme a quel cielo lontano; e il suo nido è nell'ombra, che attende, che pigola sempre più piano. Anche un uomo tornava al suo nido: l'uccisero: disse: Perdono; e restò negli aperti occhi un grido: portava due bambole in dono. Ora là, nella casa romita, lo aspettano, aspettano in vano: egli immobile, attonito, addita le bambole al cielo lontano. E tu, Cielo, dall'alto dei mondi sereni, infinito, immortale, oh! d'un pianto di stelle lo inondi quest'atomo opaco del Male! Il tuono E nella notte nera come il nulla, a un tratto, col fragor d'arduo dirupo che frana, il tuono rimbombò di schianto: rimbombò, rimbalzò, rotolò cupo, e tacque, e poi rimareggiò rinfranto, e poi vanì. Soave allora un canto s'udì di madre, e il moto di una culla.

La mia sera Il giorno fu pieno di lampi; ma ora verranno le stelle, le tacite stelle. Nei campi c'è un breve gre gre di ranelle. Le tremula foglie dei pioppi trascorre una gioia leggiera. Nel giorno, che lampi! che scoppi! Che pace, la sera! Si devono aprire le stelle nel cielo si tenero e vivo. Là presso le allegre ranelle, singhiozza monotono un rivo. Di tutto quel cupo tumulto, di tutta quell'aspra bufera, non resta che un dolce singulto nell'umida sera. E', quella infinita tempesta, finita in un rivo canoro. Dei fulmini fragili restano cirri di porpora e d'oro. O stanco dolore, riposa! La nube nel giorno più nera fu quella che vedo più rosa nell'ultima sera. Che voli di rondini intorno! che gridi nell'aria serena! La fame del povero giorno prolunga la garrula cena. La parte, sì piccola, i nidi nel giorno non l'ebbero intera. Né io... e che voli, che gridi mia limpida sera! Don... Don... E mi dicono, Dormi! mi cantano, Dormi! sussurrano, Dormi! bisbigliano, Dormi! là, voci di tenebra azzurra... Mi sembrano canti di culla, che fanno ch'io torni com'era... sentivo mia madre... poi nulla... sul far della sera.

G. D’ANNUNZIO, PASTORI

1. Settembre, andiamo. E’ tempo di migrare. 2. Ora in terra d’Abruzzi i miei pastori 3. lascian gli stazzi e vanno verso il mare: 4. scendono all’Adriatico selvaggio 5. che verde è come i pascoli dei monti. 6. Han bevuto profondamente ai fonti 7. alpestri, che sapor d’acqua natía 8. rimanga ne’ cuori esuli a conforto, 9. che lungo illuda la lor sete in via. 10. Rinnovato hanno verga d’avellano.

11. E vanno pel tratturo antico al piano, 12. quasi per un erbal fiume silente, 13. su le vestigia degli antichi padri. 14. O voce di colui che primamente 15. conosce il tremolar della marina! 16. Ora lungh’esso il litoral cammina 17. la greggia. Senza mutamento è l’aria. 18. il sole imbionda sì la viva lana 19. che quasi dalla sabbia non divaria. 20. Isciacquío, calpestío, dolci romori. 21. Ah perché non son io co’ miei pastori?

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G. D’ANNUNZIO, LA PIOGGIA NEL PINETO

1. Taci. Su le soglie 2. del bosco non odo 3. parole che dici 4. umane; ma odo 5. parole più nuove 6. che parlano gocciole e foglie 7. lontane. 8. Ascolta. Piove 9. dalle nuvole sparse. 10. Piove su le tamerici 11. salmastre ed arse, 12. piove su i pini 13. scagliosi ed irti, 14. piove su i mirti 15. divini, 16. su le ginestre fulgenti 17. di fiori accolti, 18. su i ginepri folti 19. di coccole aulenti, 20. piove su i nostri vólti 21. silvani, 22. piove su le nostre mani 23. ignude, 24. su i nostri vestimenti 25. leggieri, 26. su i freschi pensieri 27. che l’anima schiude 28. novella, 29. su la favola bella 30. che ieri 31. t’illuse, che oggi m’illude, 32. o Ermione. 33. Odi? La pioggia cade 34. su la solitaria 35. verdura 36. con un crepitìo che dura 37. e varia nell’aria 38. secondo le fronde 39. più rade, men rade. 40. Ascolta. Risponde 41. al pianto il canto 42. delle cicale 43. che il pianto australe 44. non impaura, 45. né il ciel cinerino. 46. E il pino 47. ha un suono, e il mirto 48. altro suono, e il ginepro 49. altro ancóra, stromenti 50. diversi 51. sotto innumerevoli dita. 52. E immersi 53. noi siam nello spirto 54. silvestre, 55. d’arborea vita viventi; 56. e il tuo vólto ebro 57. è molle di pioggia 58. come una foglia, 59. e le tue chiome 60. auliscono come 61. le chiare ginestre, 62. o creatura terrestre 63. che hai nome 64. Ermione.

65. Ascolta, ascolta. L’accordo 66. delle aeree cicale 67. a poco a poco 68. più sordo 69. si fa sotto il pianto 70. che cresce; 71. ma un canto vi si mesce 72. più roco 73. che di laggiù sale, 74. dall’umida ombra remota. 75. Più sordo, e più fioco 76. s’allenta, si spegne. 77. Sola una nota 78. ancor trema, si spegne, 79. risorge, trema, si spegne. 80. Non s’ode voce dal mare. 81. Or s’ode su tutta la fronda 82. crosciare 83. l’argentea pioggia 84. che monda, 85. il croscio che varia 86. secondo la fronda 87. più folta, men folta. 88. Ascolta. 89. La figlia dell’aria 90. è muta; ma la figlia 91. del limo lontana, 92. la rana, 93. canta nell’ombra più fonda, 94. chi sa dove, chi sa dove! 95. E piove su le tue ciglia, 96. Ermione. 97. Piove su le tue ciglia nere 98. sì che par tu pianga 99. ma di piacere; non bianca 100. ma quasi fatta virente, 101. par da scorza tu esca. 102. E tutta la vita è in noi fresca 103. aulente, 104. il cuor nel petto è come pèsca 105. intatta, 106. tra le pàlpebre gli occhi 107. son come polle tra l’erbe, 108. i denti negli alvèoli 109. son come mandorle acerbe. 110. E andiam di fratta in fratta, 111. or congiunti or disciolti 112. (e il verde vigor rude 113. ci allaccia i mallèoli 114. c’intrica i ginocchi) 115. chi sa dove, chi sa dove! 116. E piove su i nostri vólti 117. silvani, 118. piove su le nostre mani 119. ignude, 120. su i nostri vestimenti 121. leggieri, 122. su i freschi pensieri 123. che l’anima schiude 124. novella, 125. su la favola bella 126. che ieri 127. m’illuse, che oggi t’illude, 128. o Ermione

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DOC 1 L’IGNOBILE PROCESSIONE di D. H. Lawrence. In questa poesia Lawrence descrive un fiume di persone, una folla irrequieta che invade le strade della città. Quando io vedo l’ignobile processione che esce a fiotti da piccole vie d'accesso verso la città, in piccoli fiumiciattoli che si gonfiano fino a diventare un grande corso di uomini in bombetta, che vanno di corsa ed un miscuglio di donne con borsette affrettandosi, affrettandosi, gambe che camminano veloci, veloci, veloci in un’ignobile fretta, per paura di essere in ritardo. Io sono pieno d'umiliazione

Doc 2

La loro fretta è così umiliante - Cosa ti suggerisce questa poesia? - Il verso 3 ed il verso 6 sono più lunghi. Perché? - I versi 9, 10, 11 sono molto brevi. Perché? - Come si chiama il modo che l’autore utilizza per scrivere i versi? - Perché l’autore secondo te si sente umiliato? - A cosa potresti paragonare oggi questa processione?

Nel dipinto in alto Munch rappresenta la borghesia. Partendo dalle tue conoscenze storiche, per quale ragione a tuo avviso Munch rappresenta questa classe sociale con sembianze quasi di scheletri ben vestiti? L’Urlo di Munch, 1893 Cosa comunica questo dipinto?

DOC 3 – TITANIC (di Francesco De Gregori) La prima classe costa mille lire, la seconda cento, la terza dolore e spavento e puzza di sudore nel boccaporto e odore di mare morto. Signor Capitano, mi stia a sentire ho belle pronte le mille lire, in prima classe io voglio viaggiare su questo splendido mare. Ci sta mia figlia che ha quindici anni ed a Parigi ha comprato un cappello, se ci invitasse al suo tavolo a cena stasera come sarebbe bello. E con l'orchestra che ci accompagna con questi nuovi ritmi americani saluteremo la Gran Bretagna col bicchiere fra le mani e con il ghiaccio dentro al bicchiere faremo un brindisi tintinnante a questo viaggio davvero mondiale e a questa luna gigante. Ma chi l'ha detto che in terza classe che in terza classe si viaggia male questa cuccetta sembra un letto a due piazze ci si sta meglio che in ospedale. A noi cafoni ci hanno sempre chiamati ma qui ci trattano da signori che quando piove si può star dentro ma col bel tempo veniamo fuori su questo mare nero come il petrolio ad ammirare questa luna metallo è quando suonano le sirene ci sembra quasi

che canti il gallo ci sembra quasi che il ghiaccio che abbiamo nel cuore piano piano si vada a squagliare in mezzo al fumo di questo vapore di questa vacanza in alto mare. E gira gira gira gira l'elica e gira gira che piove e nevica per noi ragazzi di terza classe che per non morire si va in America. Il marconista sulla sua torre le lunghe dita celesti nell'aria riceveva messaggi d'auguri per questa crociera straordinaria e trasmetteva saluti e speranze in quasi tutte le lingue del mondo comunicava tra Vienna e Chicago in poco meno di un secondo. E la ragazza di prima classe innamorata del proprio cappello quando la sera lo vide ballare lo trovò subito molto bello. Forse per via di quegli occhi di ghiaccio cosi difficili da evitare pensò magari con un po' di coraggio prima dell'arrivo mi farò baciare. E com'e' bella la vita stasera tra l'amore che tira e un padre che predica per noi ragazze di prima classe che per sposarsi si va in America

Sottolinea tutte le caratteristiche della Belle Epoque che emergono nel testo della canzone

DOC 4

Dice Cameron che il Titanic rappresenta il grande sogno umano non realizzato: la tecnologia fallita, le gerarchie sociali che determinarono le precedenze di salvataggio