La politica estera italiana negli anni ottanta

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    GLI ANNI DI CRAXI

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    Marsilio

    La politica estera italiana

    negli anni ottanta

    a cura diEnnio Di Nolfo

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    2007 by Marsilio Editori s.p.a. in Venezia

    Prima edizione: settembre 2007

    ISBN 978-88-317-9277

    www.marsilioeditori.it

    Il volume contiene gli attidel convegno svoltosi nel gennaio del 2002,promosso dalla Fondazione di studi storici Filippo Turatidiretta da Maurizio DeglInnocenti

    Prima edizione Piero Lacaita Editore, Manduria-Bari-Roma, 2003

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    INDICE

    Nota delleditore

    Introduzionedi Ennio Di Nolfo

    Considerazioni generali.I rapporti con gli Stati Uniti: la questione degli euromissili

    RelazioniEnnio Di Nolfo

    Antonio BadiniGianni De MichelisLeopoldo Nuti

    InterventiGennaro AcquavivaLelio LagorioGiorgio Napolitano

    I rapporti con gli Stati Uniti: la crisi di Sigonella

    e la formazione del G7RelazioneMatteo Gerlini

    InterventiGiulio Andreotti

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    indice

    Fulvio MartiniRinaldo Petrignani

    Il risveglio della democrazia in America LatinaRelazioneLudovico Incisa di Camerana

    InterventoAngelo Bernassola

    LItalia e levoluzione della . Dal mercato comuneal mercato unico

    RelazioniAntonio VarsoriGiuseppe MammarellaBruna Bagnato

    InterventoPietro Calamia

    LItalia e la OstpolitikRelazione

    Giorgio PetracchiInterventiLuigi Vittorio FerrarisRoman Gutkowski

    Italia e AustriaRelazionePietro Pastorelli

    InterventiArduino AgnelliLeonardo Visconti di Modrone

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    NOTA DELLEDITORE

    Il volume riporta gli atti del convegno di studio, promosso dallaFondazione di studi storici Filippo Turati, svoltosi a Roma, presso la

    Biblioteca della Camera dei Deputati, nel Palazzo di San Macuto, nelgennaio 2002 e dedicato alla politica estera del governo Craxi (1983-1987), atti che furono pubblicati dalleditore Piero Lacaita di Man-duria nel 2003.

    Liniziativa nacque su suggerimento di antichi collaboratori di Bet-tino Craxi come il sen. Gennaro Acquaviva e lambasciatore Antonio

    Badini, il primo capo di gabinetto e il secondo consigliere diplomaticodi Craxi.

    Marsilio lieta di poter curare una ristampa aggiornata di quelvolume, sempre per la cura di Ennio Di Nolfo, inserendolo nella col-lana Gli anni di Craxi che, in coerenza con questo primo riuscitotentativo, ha potuto successivamente ospitare contributi importantinel lavoro di ricerca storico-critica volto alla ricostruzione dellazionedel leader socialista negli anni del suo maggiore protagonismo.

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    INTRODUZIONE

    La nuova edizione di questo volume, dedicato alla politica esteraitaliana negli anni ottanta, riprende in grande misura le relazioni giedite in precedenza nel volume degli atti del Convegno organizzatoallinizio del 2002 dalla Fondazione di studi storici Filippo Turati,con lelisione di alcune parti meramente protocollari e divenute oramarginali rispetto ai temi sviluppati nel volume e con laggiunta dinuove testimonianze, a suo tempo omesse per ragioni organizzative.Nellinsieme peraltro il volume rimane immutato e testimonia anco-ra limportanza della discussione svolta nel 2002, anzi ne accresce ilvalore poich il trascorrere di pochi anni ha meglio consentito di

    inquadrare sia lopera dei protagonisti (e in particolare quella diBettino Craxi) sia la portata straordinaria degli avvenimenti checaratterizzarono il decennio (o poco pi) del quale si affronta la dis-cussione. Cos, dallinsieme delle relazioni o delle testimonianze chevi sono pubblicate, possibile discernere la continuit della politicainternazionale dellItalia e, al tempo stesso, le punte avanzate chefortemente caratterizzarono certi momenti e certe scelte compiute pro-prio negli anni ottanta.

    ben chiaro oggi che quel decennio ebbe un rilievo non comuneper la vita internazionale e per le prese di posizione che lItalia fuchiamata ad assumere in quelle circostanze. Basti pensare che il

    decennio ebbe inizio con la decisione (presa invero nel dicembre1979 ma proiettata su tutto il periodo successivo) di installare inItalia gli euromissili e fu caratterizzato, nello stesso mese, dallin-vasione dellAfghanistan per opera sovietica per chiudersi, fra il1989 e il 1991, con la fine della guerra fredda e la scomparsa dellU-

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    nione Sovietica come soggetto del sistema bipolare. Sebbene isaggi presentati nel 2002 risentissero di una certa limitazione deri-

    vante dalla indisponibilit di tutte le fonti, resta per il fatto chequasi tutte le relazioni discusse al Convegno e, ovviamente, tutti gliinterventi che le arricchiscono, offrono un panorama esaurientedegli snodi principali e del ruolo che i singoli protagonisti (da Craxiad Andreotti, da Spadolini a De Michelis, da Lagorio a Petrignani eai loro collaboratori) svolsero in quelle circostanze.

    Fra le questioni trattate campeggiano la tematica relativa aglieuromissili, quella riguardante i rapporti con gli Stati Uniti,soprattutto in coincidenza con lormai famosa vicenda di Sigonella,la spinta data dallItalia al rinnovamento delle istituzioni europee eil forte impulso che ne deriv nella politica di collaborazione con

    linternazionale socialista (dentro e fuori lEuropa, anche in colle-gamento con lazione per la tutela dei diritti umani, violati nelsistema sovietico ma anche nellAmerica Latina) cos come la spintaa riprendere iniziative verso il mondo balcanico e quello mediorien-tale, tradizionali per la politica estera italiana ma spesso trascurate inprecedenti occasioni. appena il caso, in questa sede, di mettere inevidenza il peso risolutivo degli orientamenti craxiani nel renderepossibile la partecipazione dellItalia al progetto di dispiegamentodegli euromissili e poi nel processo di distensione che rese la scel-ta meno traumatica. Vi era per, in questa decisione, la nettaimpronta dettata dalla volont craxiana di non accettare equivoci

    circa ladesione dellItalia alla visione atlantica dei problemi delladifesa occidentale. Il tema degli euromissili stato trattato spessocon leggerezza e accentuazioni polemiche che ne offrono una visio-ne fuorviante. Il contributo pubblicato in questo volume ricostrui-sce invece con raro equilibrio e non poca efficacia il senso della dis-puta e la portata della scelta italiana.

    In termini analoghi, anche la crisi dellAchille Lauro e il suc-cessivo scontro di Sigonella sono spesso rappresentati comeespressione di una forte carica nazionalistica e del rifiuto di una pre-sunta prevaricazione statunitense. Basta invece leggere il rendicontoanalitico del primo incontro fra Craxi e Reagan poco dopo la crisi

    un rendiconto offerto dallambasciatore Petrignani, testimone diret-to , per misurare la portata reale dellepisodio che, in una visionepi distaccata, offre limmagine non solo di una punta acuta nellerelazioni bilaterali ma anche della forza che il vincolo esistente avevae che consent a Craxi e a Reagan di trasformare la crisi, rovescian-

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    done le conseguenze, in un momento di singolare sintonia fra lItaliae gli Stati Uniti, come del resto la continuit della politica estera ita-

    liana aveva mostrato in precedenza e avrebbe mostrato negli annisuccessivi.

    Il terzo grande tema, che vide Craxi e Andreotti operare con-giuntamente e con perseveranza, riguard lo sviluppo del processoeuropeo. La Comunit economica europea (come allora ancora sichiamava lUnione europea) era ferma istituzionalmente al compro-messo del Lussemburgo (1966), sebbene ormai la sua estensionegeografica si fosse estesa ai paesi anglosassoni, alla Spagna e alPortogallo. Loccasione delle elezioni a suffragio universale delParlamento europeo non aveva ancora espresso le potenzialit sotte-se a tale allargamento della base democratica dellUnione. Occor-

    reva che una spinta istituzionale mettesse in moto il meccanismonecessario a modificare la struttura della Comunit, in vista di tra-sformazioni profonde: quelle trasformazioni che avrebbero portatoprima allAtto Unico e poi a Maastricht, e ai successivi mutamentiistituzionali, sino a quelli che oggi sono in attesa di ratifica comenuova base costituzionale dellUnione. Appare difficile negare chelItalia e in particolare Craxi ebbero il coraggio politico necessario avincere le resistenze altrui e soprattutto quelle di Margaret Thatcher,che venne piegata a un compromesso del quale certo non immagi-nava (ma forse temeva) i successivi sviluppi.

    Tutto ci accadeva mentre nellUnione Sovietica la crisi del pote-

    re del stava logorando il partito e lefficienza dellUnione.Accadeva nel momento in cui Gorbacev assunse il potere qualesegretario generale del , erede di una situazione sullorlo dellacatastrofe, come molti esuli dallEuropa orientale presenti in Italia edivenuti stretti collaboratori di Craxi (si pensi, per esempio, al casodi Jiri Pelikan) prevedevano fondatamente. Su queste basi era possi-bile pensare a una nuova politica di collaborazione balcanica, primae dopo la dissoluzione della Jugoslavia, secondo una tradizione cherinnovava i legami dellItalia con unarea del continente alla qualeessa era stata legata sin dal Risorgimento.

    Infine questo volume mette in rilievo la nuova politica italiana

    verso lAmerica Latina. Sin da allora si percepiva la spinta verso lin-novazione; la necessit che il subcontinente latinoamericano trovassealternative alla pura e semplice integrazione nel sistema politico-eco-nomico dominato dagli Stati Uniti. LItalia riusc a non essere assen-te da questo processo, gi allora ricco di eccezionali potenzialit.

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    Non tutto allora fu possibile. Ma questo libro di atti e discus-sioni contribuisce a mostrare come, grazie anche (e forse soprat-

    tutto) allopera di Bettino Craxi, lItalia avesse in quegli anni cosricchi di trasformazioni un peso non marginale. probabilmentequesta la ragione che conferma limportanza del volume e loppor-tunit di ripubblicarlo nella sua arricchita completezza.

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    I SESSIONE

    Presidenza: Boris BianchieriPresidente ISPI

    Considerazioni generaliI RAPPORTI CON GLI STATI UNITI:

    LA QUESTIONE DEGLI EUROMISSILI

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    LA POLITICA ESTERA ITALIANANEGLI ANNI OTTANTA

    Dare un senso storiografico alla politica estera italiana degli anniottanta presuppone due chiarimenti e una considerazione. I chiari-menti riguardano la situazione interna rispetto alla quale lazione in-ternazionale si sviluppava e il quadro internazionale entro cui essa siinseriva. La considerazione riguarda il grado di flessibilit o autono-mia di cui lItalia di allora poteva fruire, considerato, per lappunto,il contesto internazionale.

    Dal punto di vista interno, il sistema politico italiano stentava auscire dal trauma provocato dalluccisione di Aldo Moro per operadelle Brigate Rosse e dalle tensioni politiche, non meno gravi,

    generate dalla sfida a sinistra che lazione di Autonomia operaiaorganizzata suscitava, specialmente nei partiti della sinistra storicaitaliana. Il Partito comunista, che aveva lanciato nel 1973-74 lipote-si di compromesso storico con la e che nel 1978 era parso sulpunto di cogliere il risultato strategicamente atteso, era costretto aripensare la propria strategia a lungo termine. Ci si chiede oggi qualifossero i motivi di fondo di tale ripensamento. Essi possono forsevenir attribuiti alla convergenza di problemi internazionali (perquanto vissuti in modo profondamente diverso dai comunisti italia-ni) con problemi europei, vale a dire con la sfida rappresentata dallanecessit di scegliere se e come aderire alla partecipazione dellItalia

    al Sistema monetario europeo, rispetto al quale nel dicembre 1978 ideputati comunisti scelsero una via di mezzo astenendosi in parte sulprogetto, ma votando contro limmediata adesione dellItalia. Ma

    * Universit degli studi di Firenze.

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    vanno forse ricondotti, come ha ricordato non molti giorni fa lo stes-so Giorgio Napolitano a ben pi ampie motivazioni 1, divenute

    manifeste nei mesi successivi, e specialmente dopo il terremoto inIrpinia, quando Berlinguer volle denotare la diversit dei comuni-sti italiani rispetto al sistema degli altri partiti divenuti, come eglidisse nel 1981, macchine di potere e clientela. Scarsa e mistificataconoscenza della vita e dei problemi della societ, della gente, idee,ideali pochi e vaghi, sentimenti e passione civile, zero 2.

    Questo distacco radicale e brusco rispetto a un sistema che nonsi era certo modificato ma rispetto al quale Berlinguer rivendicavaora una diversit strategica di fondo, metteva in crisi non solo la stra-tegia di Moro, che forse i successori avevano gi abbandonato.Metteva in crisi soprattutto la strategia di politica interna dei socia-

    listi italiani che dal 1976 erano guidati da Bettino Craxi: un Craxi in-sicuro circa la solidit del proprio controllo sul partito, ma ben ingrado di controllarlo almeno a partire dal 1981. Craxi impost, insintesi, la sua azione politica lungo due linee strategiche. Dopo chela crisi del compromesso storico ebbe reso indispensabili i voti del per la formazione di qualsiasi governo, appoggi tatticamente unconcetto di governabilit preoccupandosi di rendere ben chiaroche il non era pi n un partito satellite n un partito minore.Fece anzi valere in modo persino esasperato la rendita di posizionesino a ottenere che, per la prima volta dopo 1945, nel 1981 fosseeletto alla presidenza del Consiglio un laico, Giovanni Spadolini, e

    nel 1983-87 riuscendo a fare designare se stesso come presidente delConsiglio. La dura opposizione alla pur dallinterno dellarea digoverno, era un dato di fondo di questa faccia della strategia craxia-na. Laltro aspetto era la consapevolezza della crisi delle istituzionirepubblicane. Sino dal 1979, Craxi aveva sostenuto la tesi dellagrande riforma delle istituzioni. Sulla base di idee di giuristi insi-gni come Federico Mancini e Giuliano Amato, Craxi proponevaprogetti come il patto di legislatura, il referendum propositivo,la elezione diretta a suffragio universale del presidente della repub-blica, temi che diedero ai suoi programmi una portata anticipatri-ce che non si pu sottovalutare e dei quali si occuper un successi-

    vo convegno3

    .1 Cfr. Lettera di G. Napolitano a P. Mieli, in Il Corriere della Sera, 13 gennaio 2002.2 E. Berlinguer, Intervista a La Repubblica, 28 luglio 1981.3 Cfr. in generale su questi aspetti della vita del Partito socialista italiano: M.

    DeglInnocenti,Storia del PSI. Dal Dopoguerra ad oggi, Roma-Bari 1993, pp. 358-381.

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    appena il caso di rilevare che il problema dominante era per,dal punto di vista politico, quello dei rapporti con il . La speran-

    za/fiducia di Craxi era di riuscire a rafforzare il partito socialista asufficienza cos da renderlo un portavoce credibile di tutta la sinistrae che, in un certo senso, grazie a tale credibilit, il fosse dispostoa lasciarsi guidare come forza di governo, cos da rendere le sinistreinsieme affidabili sul piano elettorale e su quello delle compatibilitcon il sistema internazionale.

    Questo passaggio consente di guardare ora verso la cornice inter-nazionale della politica estera di quegli anni, una politica estera nellaquale linfluenza di Craxi fu sempre importante e fu accompagnatadalla proficua collaborazione che egli riusc a stabilire, nonostante lediverse attese, con il ministro degli Esteri, Giulio Andreotti. Il qua-

    dro internazionale era allora in pieno fermento. Gli anni settanta sierano chiusi con limprovviso riacutizzarsi, dopo la grande disten-sione (durata sino al 1975-76) del conflitto tra le superpotenze. Laserrata polemica sul dispiegamento in Italia, Olanda, Turchia e GranBretagna degli euromissili era stata seguita dallancor pi asproscontro seguito alloccupazione sovietica dellAfghanistan. Sebbeneil dibattito storico su entrambi i temi sia tuttaltro che concluso, possibile affermare che il clima di scontro interfer per alcuni anniancora nella politica interna italiana ma doveroso aggiungere cheloccupazione dellAfghanistan rese possibile per il un completoe definitivo distacco dallUnione Sovietica 4. Daltra parte si trattava

    di un distacco preparato da lungo tempo e relativo a un sistema chestava entrando nel decennio pi critico della sua storia. Breznev eGromyko, con i loro collaboratori, potevano ancora manifestareforti asprezze polemiche rispetto al dispiegamento effettivo deglieuromissili in Europa nel 1983, e le sinistre comuniste li seguiva-no ancora su questo terreno. Ma gran parte degli osservatori avevapercepito la crisi interna del sistema sovietico: il declino economico,quello politico, legato allincapacit di sostituire Breznev, alla suamorte, nel 1982, con personale nuovo e alla comparsa, alla guidadell, di personalit come levanescente Cernenko o il pi abile,ma non meno fragile, Yuri Andropov, forse un convinto riformista,

    ma troppo minato nella salute per potere sviluppare unazione con-tinua ed efficace. Solo nel 1985 comparve Gorbacev, e l parve4 In proposito, lanalisi pi completa si trova nel contributo di L. Nuti a questo stesso

    volume (L. Nuti, LItalia e lo schieramento dei missili da crociera BGM-109 G Gryphon,infra).

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    avviarsi verso unepoca nuova. Anche su Gorbacev il giudizio deglistorici lungi dallapparire omogeneo poich esso oscilla nel consi-

    derare il vigoroso statista sovietico come lultimo dei comunisti or-todossi o il primo riformista democratico. Sta di fatto che lespe-rienza di Gorbacev si chiuse, fra lagosto e il dicembre 1991, inmodo disastroso con la scomparsa dellUnione Sovietica e, piancora, con la fine dellImpero sovietico nellEuropa orientale.Infatti, accanto alla crisi del potere sovietico la cornice internazio-nale entro cui oper allora lItalia fu caratterizzata dal frantumarsidella dominazione sovietica nellEuropa orientale. La nascita diSolidarnosc in Polonia, nel 1980, fu il primo clamoroso segno dellaimpossibilit, per il governo di Mosca, di controllare ancora ci cheavveniva al di fuori dei confini dell5. poco noto ma ora ben

    documentato il fatto che quando i sovietici si posero il problema seintervenire o meno in Polonia, secondo le regole della dottrinaBreznev del 1968, il Politburo del decise che lintervento eraimpossibile poich esso avrebbe suscitato reazioni a catena dentroe, soprattutto, fuori del sistema sovietico. Reazioni che il governo diMosca non si sentiva in grado di fronteggiare. Poi il movimentocrebbe e si diffuse in tutti i paesi del Patto di Varsavia sino alla faseculminante degli anni dal 1987 al 1989, sino alla riunificazione dellaGermania e al radicale cambiamento della geografia politica euro-pea 6.

    Il sistema internazionale visse dunque negli anni ottanta una

    lunga fase di transizione, attraversata da momenti di crisi acuta ma,soprattutto, dominata dallincertezza. Si colloca qui la considerazio-ne pi generale alla quale mi rifacevo allinizio di questa esposizio-ne. Una considerazione che potr apparire accademica ma che invece, a mio avviso, utile a chiarire ancora meglio il quadro inter-pretativo, se questo vuol essere, pi che un medaglione, un primoapproccio storiografico. Intendo dire che il problema dominante lapolitica estera italiana dopo la Seconda guerra mondiale fu il persi-stente rapporto fra interdipendenza, integrazione, subordinazione eautonomia, i quattro lati di un poligono interpretativo che si offre

    5 Sulla crisi che port alla fine dellUnione Sovietica si rinvia a: E. Di Nolfo, Storia dellerelazioni internazionali 1918-1999, Bari 2000, pp. 1275-1285.

    6 M. Kramer,Jaruzelski, The Soviet Union, and the Imposition of Martial Law in Poland:New Light on the Mistery of December 1981, in Bulletin del Cold War InternationalHistory Project, n. 11, Winter 1998, pp. 5-31. Nello stesso fascicolo, sono editi numerosi altrisaggi e documenti sulla posizione sovietica rispetto alla crisi polacca.

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    alla lettura degli studiosi di questi temi. Avendo trattato di recentequesti temi durante un convegno romano 7, sono pervenuto alla con-

    clusione che definire i confini fra questi caratteri della politica este-ra italiana un compito difficile ma non impossibile e ho sostenutola tesi secondo la quale, a costi diversamente alti, lItalia ebbe la pos-sibilit di sviluppare una sua politica estera autonoma soprattuttonelle fasi di accentuata transizione internazionale, pur anche in pre-senza dei rischi della subordinazione. Ebbene, da ci che ho osser-vato sinora risulta con notevole spicco che in pochi momenti dellastoria italiana il sistema internazionale attravers un periodo ditransizione cos lungo come durante gli anni ottanta. Dunque non difficile correlare la relativa autonomia, gli spazi di intervento noncondizionati da spinte esterne bens dalla percezione dellinteresse

    nazionale in s, al fatto che lincertezza o la fluidit dei riferimentiinternazionali offriva a un soggetto intermedio, come lItalia, leoccasioni per operare.

    La fine del completo dominio democristiano nel governo italianoera stata preparata con cura da Craxi, specialmente per quanto ri-guardava le relazioni con gli Stati Uniti. Sul numero di primavera del1982 dellautorevole Foreign Affairs apparve un articolo dal tito-loSocialist Alternatives: the Italian Variant. Autore dellarticolo era

    Joseph La Palombara, politologo della Yale University, molto notoin Italia, dove era stato addetto culturale durante lambasciata diRichard Gardner 8. Come e perch La Palombara scrivesse quellar-

    ticolo facile intuire, se si tengono presenti le sue simpatie per lasinistra democratica italiana. Se vi fosse un legame fra larticolo e ildesiderio di Craxi di rassicurare lentourage di Reagan, possibilesolo inferirlo da due elementi: la stretta amicizia che legava LaPalombara a uno dei maggiori politologi italiani del tempo, AlbertoSpreafico, e il fatto che Spreafico fosse non un politico di professio-ne ma un collega e docente universitario che, come molti altri, allo-ra collaborava assai da vicino allattuazione del disegno craxiano.Resta il fatto che La Palombara aveva tutte le caratteristiche per fargiungere agli americani un messaggio, giusto o deformato che fossenon ha senso rilevarlo nella mia prospettiva, un messaggio univoco.

    7 Cfr.: E. Di Nolfo,La politica estera italiana tra indipendenza e integrazione , ora inLItaliarepubblicana nella crisi degli anni Settanta, vol. , Tra guerra fredda e distensione, a cura di A.Giovagnoli e S. Pons, Soveria Mannelli 2003, pp. 17-28.

    8 J. La Palombara,Socialist Alternatives: the Italian Variant, in Foreign Affairs, prima-vera 1982, pp. 924-942.

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    Le posizioni del partito socialista in politica estera, egli scriveva, ecio la sua radicata affermazione secondo cui il terrorismo pro-

    babilmente diretto da Mosca; la sua opposizione alla dipendenzadall nel campo energetico; il suo appoggio agli euromissili; lesue ipotesi secondo cui lo scontro del con Mosca sia solo unespediente tattico inteso a legittimarsi meglio in Italia e in Occidentepresentano una straordinaria analogia con le posizioni assunte dal-lamministrazione Reagan... Invero, il partito si delinea come soste-nitore pi tenace della e della politica americana di quanto sipossa dire di gran parte della sinistra europea e forse anche di unaparte della destra. Nessun democristiano stato un ministro dellaDifesa pi tenacemente filo-occidentale del ministro socialista LelioLagorio.

    Per equilibrare affermazioni cos spinte da rappresentare un pa-radosso, La Palombara citava anche gli altri aspetti della politicaestera socialista: leuropeismo; il desiderio di sfruttare meglio lerelazioni speciali e la speciale comprensione da parte italiana deiproblemi del mondo arabo; lauspicio della ripresa dei negoziatiper la limitazione della armi nucleari; lostilit verso le dittature mili-tari latino-americane. Oltre a ci, aggiungeva La Palombara, Craxiafferma che lAmerica deve nutrire maggior comprensione verso lepressioni e i vincoli che portano lEuropa, Italia compresa, a cerca-re di moltiplicare le relazioni con lEuropa orientale e deve capireche tra paesi dellOccidente che collaborano per il bene comune

    deve esservi eguaglianza di trattamento nei processi decisionali e neinegoziati diplomatici. Lo studioso americano spiegava che taliaspetti della politica estera socialista erano condivisi dai comunistima precisava subito che questa intesa era un fatto superficiale. Laverit era unaltra, quella della totale e rigorosa lealt dei socialistiitaliani verso gli Stati Uniti e verso la .

    Queste premesse generali sono certamente troppo lunghe rispet-to a un quadro ricco di sfumature. Tuttavia la mia relazione intro-duttiva non intende n pu entrare troppo nei particolari. Essadeve limitarsi a indicare le linee generali di un percorso politico, nelproposito di delineare una serie di coordinate interpretative utili per

    la continuazione di queste due giornate di convegno. Sui temi parti-colari si potranno fermare gli altri relatori e i singoli interventi.Pu apparire forse eccessivo che in un convegno dedicato allin-

    tero arco degli anni ottanta si ponga laccento, in modo particolare,allesperienza craxiana. Tuttavia questo relativo scostamento dal-

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    lasse cronologico spiegato da due considerazioni: la prima riguar-da il fatto che gi con il primo governo Spadolini linfluenza delle

    scelte socialiste ebbe un rilievo dominante sullazione internaziona-le dellItalia per effetto della presenza di Lelio Lagorio al ministerodella Difesa 9. Inoltre, se la coerenza del repubblicano Spadolini conle scelte atlantiche compiute dallItalia sin dal 1947 (quando il re-pubblicano Carlo Sforza era stato ministro degli Esteri con DeGasperi) era fuori discussione e non poneva allora (come non poneora) problemi interpretativi, il nuovo ruolo dei socialisti nella coali-zione di governo, la loro portata di partito cerniera che, in uncerto senso, non intendeva recidere i legami con i partiti della sini-stra storica, poneva proprio i temi ai quali La Palombara aveva cer-cato di dare una risposta pubblica e che Craxi, giunto alla presi-

    denza del Consiglio, dovette tradurre in prassi politica, ancorata aprecise azioni.Gi nel corso della scelta, cos sofferta, che il aveva dovuto

    compiere nel dicembre 1979 rispetto alla decisione del governo allo-ra diretto da Francesco Cossiga, di aderire alla decisione delConsiglio atlantico di dispiegare anche in basi italiane gli euromis-sili, Craxi mise in evidenza la determinazione con la quale intende-va portare un partito, ancora lacerato dalla lotta fra diverse lineepolitiche, verso posizioni nettamente atlantiche. Oggi ben noto chela scelta italiana fu il perno delle decisioni di altri governi europei,cos come noto il peso risolutivo che la determinazione di Craxi

    ebbe nel superare le resistenze interne al partito10

    . Poco dopo lanomina a presidente del Consiglio, inaugurando a Bari (settembre1983) la Fiera del Levante, Craxi si valse di quel palcoscenico parti-colare per enunciare il modo secondo il quale egli intendeva conci-liare le diverse esigenze che animavano la politica estera italiana.Diceva infatti: Intimamente e profondamente europea, legata alleistituzioni, alle prospettive, al ruolo dellEuropa, convinta dellanecessit di far evolvere il processo di costruzione e di allargamentodellEuropa, superando crisi, contraddizioni, tentazioni egoisticheed eccessi di nazionalismo, lItalia, immersa nel Mediterraneo, senteprofondamente limpulso naturale che la spinge a collegarsi con i

    popoli e i paesi della regione mediterranea. E seguitava: Siamo9 Su questa esperienza cfr.: L. Lagorio,Lultima Italia, Milano 1991; nonch pi in parti-

    colare, L. Lagorio,Lultima sfida. Gli Euromissili, Firenze 1998.10 Cfr.: L. Lagorio,Lultima sfida, cit., pp. 27-44.

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    vitalmente interessati alla pace nel Mediterraneo. Nessuno potrconsiderarci interlocutori estranei, o giudicarci animati da propositi

    invadenti se ci toccher di far valere sempre la nostra parola su tuttele questioni rilevanti aperte nella regione 11.

    Cos un primo caposaldo era ben definito. Il mese successivoCraxi effettu la sua prima visita ufficiale a Washington, accolto concalore da Reagan che non lesin i toni accattivanti definendo il pre-sidente italiano uno dei massimi esponenti della politica mondia-le. Dal canto suo Craxi, pur continuando con insistenza a premerea favore della necessit di tenere in vita i negoziati di Ginevra che,dopo lavvio del dispiegamento degli euromissili, ma anche inpiena crisi interna sovietica, erano stati interrotti alla vigilia di unaccordo, di fatto si collocava allinterno della strategia americana

    quando enunciava (novembre 1983) lipotesi di un proprio viaggioin una capitale dellEuropa orientale al fine di rilanciare il negoziatoma precisava: Noi riteniamo che il negoziato possa uscire da unostato di paralisi solo sulla base di unintesa che, superando le pre-giudiziali negative, punti a stabilire il punto dincontro e di equili-brio al pi basso livello possibile: una frase, questa, che va lettatenendo presente il fatto che i sovietici condizionavano la ripresa deinegoziati alla rinuncia allinstallazione degli euromissili. VersolEuropa orientale (dalla Polonia alla Germania orientale e alla stes-sa Unione Sovietica), Craxi si preparava ad avviare una sua azione diaccurata analisi, grazie alla quale in Italia si potesse disporre di una

    percezione pi diretta dei mutamenti in atto12

    .Questa serie di dichiarazioni conteneva in termini espliciti le-sposizione dei capisaldi della politica estera craxiana: lealt atlanti-ca, ma vissuta senza complessi di inferiorit: europeismo fermo erisoluto, politica mediterranea e, in particolare, intervento nella crisimediorientale, cooperazione per lo sviluppo. Accanto a questi temi,come senso ispiratore dellazione nazionale italiana, una forte perce-zione dellidentit nazionale, assunta emblematicamente, a quantomi pare di capire, dal culto garibaldino. Questo non fu, per Craxi,solo il frutto di una curiosit da collezionista ma lespressione di unprogetto politico 13, poich Garibaldi fu a un tempo uomo delle isti-

    11 Ora in: B. Craxi, Il progresso italiano, 1 vol. [discorso del 9 settembre 1983 a Bari],Milano 1989, p. 273.

    12 Cfr. ibid. [discorso del 14 novembre 1983], p. 46.13 Craxi visitava ogni anno, nei giorni dellanniversario della morte (2 giugno 1882) la

    tomba di Garibaldi a Caprera; ma per avere una visione dassieme del significato che Craxi

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    tuzioni e del cambiamento; uomo dordine e combattente per lalibert dei popoli; uomo di fede capace di mettersi in gioco perso-

    nalmente ma anche uomo dorgoglio, capace di appartarsi in unsilenzio, magari risentito, dinanzi al rifiuto dei riconoscimenti attesidalle istituzioni.

    Su questo piano, Craxi aveva mostrato di voler stabilire nette di-scriminanti con alcuni luoghi comuni della tradizione culturalesocialista e, in particolare, con una certa idea dellinternazionalismo,concepito come visione anticapitalistica ma vissuto, nel secondodopoguerra, come lealt rispetto alla politica estera dellUnioneSovietica. Lesigenza avvertita da Craxi era quella di chiarire che latradizione socialista di distacco dallo Stato e dalla nazione, comeconcetti luno giuridico e laltro politico, capaci di rappresentare

    lItalia solo nella sua deformazione borghese, appartenevano ormaisolo al campo della storia. I socialisti non erano secondi a nessuno(anzi spesso erano i primi) nel proclamare continuit a tradizionidella politica estera nazionale, autonomia del concetto di interessinazionali, impegno a considerarsene interpreti, rifiuto di frantuma-re il concetto nelle sue componenti di classe. Come capo di un par-tito nazionale, Craxi non ebbe timidezze nel rimettere questomodo di pensare al centro della discussione politica orientandosi, sipotrebbe dire, verso un quadrante di 360 gradi, pronto a cogliere gliinteressi nazionali dellItalia in seno allAlleanza atlantica, come inseno alla Comunit economica europea; nel Mediterraneo, come nel

    dialogo Est-Ovest; in America Latina, come nel dialogo Nord-Sud.Nel seguire le dichiarazioni pubbliche di Craxi in politica estera, tra-scurando quelle imposte dalle occasioni meramente protocollari,appare in piena evidenza la vastit degli interessi e degli accentimostrati dal presidente del Consiglio.

    La crisi dellAchille Lauro fu, nellottobre 1985, la dimostrazionedel diverso modo di concepire lespressione degli interessi nazionaliitaliani nel Mediterraneo rispetto al modo nel quale essi erano stativissuti con la fallimentare iniziativa degli Stati Uniti nel Libano trale seconda met del 1973 e il febbraio 1984. Essa mise in evidenzain modo eloquente come allinterno delle certezze craxiane si celas-

    sero problemi non risolti. Nel discorso pronunciato alla Camera dei

    attribuiva allinsegnamento garibaldino si veda la lezione che lo stesso Craxi tenne il 6 maggio1988 allUniversit di Urbino, ora in: B. Craxi, Unonda lunga, Roma-Milano 1989, pp. 115-130.

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    deputati italiana per illustrare la crisi appena vissuta, e della quale siparler pi a lungo nel pomeriggio di oggi, dopo aver puntigliosa-

    mente ripercorso le tappe dellepisodio, Craxi riprese i temi dellapresenza mediterranea dellItalia e dei rapporti con gli Stati Unitiper chiarire i limiti entro i quali la reciproca solidariet era definita.Quanto agli interessi mediterranei, Craxi rilevava che essi si eranosempre mantenuti nel quadro di una fondamentale esigenza diriconoscimenti dei diritti del popolo palestinese e di rispetto deidiritti dello stato di Israele e che erano stati alimentati nella spe-ranza che una stagione di dialogo e di negoziato potesse prendere ilposto della lunga stagione della contrapposizione radicale e delleviolenza. Circa i rapporti con Washington, Craxi, che non avevanascosto il suo sentimento di amarezza e di viva e dispiaciuta

    sorpresa per il tono polemico delle prime reazioni americane,soggiungeva: Non posso che augurarmi che i chiarimenti intercor-si e quelli che potranno intercorrere siano di natura tale da ristabili-re definitivamente la piena armonia tra lItalia e gli Stati Uniti, paesiamici e alleati, per la continuit e lo sviluppo di un rapporto dicomuni responsabilit, in un clima di attenta considerazione, di ami-cizia e di rispetto della dignit e della sovranit nazionale dei rispet-tivi paesi 14.

    Detto in termini pi espliciti, Craxi non accettava che il falli-mento della politica di Reagan nel Libano trascinasse con s ancheun fallimento italiano, tanto pi che laccentuarsi della spirale terro-

    ristica non avrebbe che reso pi acute le potenziali contraddizioniesistenti fra i due progetti di intervento. Reagan era allora il simbo-lo della resistenza israeliana al compromesso mentre il comporta-mento italiano nel corso della crisi indicava la necessit del compro-messo con gli elementi moderati dell: un percorso lungo il qualeCraxi avrebbe avuto (con altri socialisti europei) un ruolo importan-te nel tentativo di spianare la strada verso un accordo fra israeliani epalestinesi, lasciando di ci una traccia indelebile nella memoria sto-rica di quei popoli.

    Sul piano politico pi generale, la crisi del 1985, vissuta in Italiacon un misto di sussulti nazionalistici, rigurgiti antiamericani e pre-

    occupazioni atlantiche e riverberatasi, sul piano politico, nelle dimis-sioni di Spadolini dal ministero della Difesa, mostrava, per lappun-

    14 B. Craxi, Il progresso..., cit. [discorso alla Camera dei Deputati il 17 ottobre 1985],p. 11.

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    to, in queste dimissioni la diversit del modo di concepire i rappor-ti con la potenza egemone del sistema occidentale e gli aspetti nazio-

    nali della politica estera craxiana. Vi era, osservava allora LucianoVasconi, un indirizzo chiaramente occidentale nelle cose che con-tano, nelle scelte da non rinviare come quella a favore degli euro-missili... , nei confini precisi fra occidente e oriente 15 ma anche ilrifiuto di quella che un altro osservatore, Giuseppe Sacco, definivalimbelle passivit americana 16 nel Mediterraneo, durante lultimodecennio. Esisteva dunque un potenziale dualismo o, quanto meno,esistevano due linee di politica internazionale non appiattite sul pre-supposto della subalternit verso gli Stati Uniti. Cos, se, nel quadroatlantico, Craxi dava prova di tutta la sua lealt, sugli altri piani egliintendeva dare prova di un certo margine di autonomia, di una

    potenzialit critica che nessuno prima di lui era riuscito a conqui-stare poich infine lavvio della transizione sovietica offriva a luispazi dei quali nessuno aveva potuto godere prima. Lintensit delmodo secondo il quale Craxi segu gli sviluppi della crisi polacca econtribu a favorire una soluzione pacifica della stessa ne fu unariprova, poco conosciuta.

    Questa potenzialit si manifestava, per esempio, verso la politicalatino-americana degli Stati Uniti. Nellottobre 1983, allindomanidella sua prima visita ufficiale negli Stati Uniti, Craxi commentavalinvasione americana dellisola di Grenada con le seguenti parole:Il governo italiano non pu che disapprovare questa decisione cos

    come disapprova ogni politica di invasione militare. Essa ha dei pre-cedenti pericolosi e costituisce a sua volta un precedente pericolo-so. Era la deplorazione di un gesto compiuto da una nazioneamica, che certamente non poteva essere confrontata alla reazionemanifestata allindomani dellabbattimento da parte dei sovietici diun jumbo sudcoreano, nel settembre 1983, che Craxi aveva defi-nito come un gesto infame e irresponsabile, ma era pur sempreuna presa di posizione ferma e una tesi forte, che a fatica gli ameri-cani potevano tollerare 17.

    Erano solo adattamenti a un attivismo di forma o ricerca di spazipi ampi per lazione italiana? Lallargarsi delle maglie del sistema

    15 L. Vasconi,La politica estera di Craxi e quella di Andreotti, in Mondoperaio, aprile1985, pp. 63-67.

    16 G. Sacco,Alleati ma sovrani, in Mondoperaio, novembre 1985, p. 4.17 B. Craxi,Il progresso..., cit., 1 vol. [discorso sullinvasione di Grenada, ottobre 1983],

    p. 36.

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    diplomatico, del quale ho detto allinizio, offriva occasioni inattesesul piano comunitario e su quello nazionale. La politica estera recu-

    perava quegli spazi dautonomia che la fluidit internazionale conce-deva e, come accade quando si presentano spazi vuoti, le forze inte-ressate tendevano a riempirli. Proprio queste novit imponevanoalla politica estera craxiana un certo sforzo di adattamento. Dopoaver dato prova di indiscutibile lealt atlantica, era possibile ora sco-prire che esistevano interessi esterni verso i quali lItalia poteva svi-luppare la sua azione in modi pi elastici. Era possibile affermare,dopo tanti anni di esasperata ricerca presenzialistica (basti scorrerele memorie di Egidio Ortona per averne una lunga elencazione) 18una ricerca di presenza effettiva? E, in questo ambito, come veni-vano collocati i valori fondamentali della politica estera italiana?

    Dopo la chiusura formale della crisi provocata dal caso AchilleLauro, davvero tutto era rimasto come prima? Non si dimentichi chequelli erano i mesi durante i quali Gorbacev avviava con impetoapparentemente fortunato la sua politica diglasnost e diperestrojka.

    Si apriva allora una riflessione poi tradottasi nellindividuazionedi alcuni settori specifici attorno ai quali si colloc poi lazione inter-nazionale craxiana e andreottiana. In questa strategia il primo postofu occupato dalla spinta europeistica. Molti si sono chiesti le ragio-ni per le quali Craxi e Andreotti si fecero interpreti delle pressioniprovenienti dal Parlamento europeo a favore di una revisione deitrattati di Roma (si ricordi il progetto di costituzione europea elabo-

    rato dal Club du crocodile grazie alla spinta risolutiva di AltieroSpinelli, allora vicino alle posizioni craxiane). Antonio Badini sug-geriva questa spiegazione: La Comunit deve dotarsi di nuoviobiettivi, pena la perdita di ogni influenza europea sulla scena eco-nomica e politica mondiale. Sarebbe tuttavia illusorio estendere ilcampo dazione della Comunit se non si rendono pi rapidi e piefficaci i processi decisionali. Ma non ci pu essere uno stabile pro-cesso di integrazione se il potere legislativo che i Parlamenti nazio-nali trasferiscono alla Comunit rester nelle mani del solo Consi-glio. In breve, nuove frontiere, migliore efficacia di azione e mag-giore democraticit 19. Era lo spirito che avrebbe guidato Craxi e

    Andreotti allabile iniziativa assunta a Milano, con lindicazione del-lart. 246 del trattato istitutivo della come grimaldello per met-

    18 E. Ortona,Anni dAmerica, 3 voll., Bologna 1986-89.19 A. Badini,La Presidenza italiana della CEE, inAffari esteri, autunno 1985, pp. 427-436.

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    tere in movimento il processo di revisione istituzionale. Parve, allo-ra, che questo piccolo granello di sabbia fosse per essere stritolato

    dallingranaggio. Ora possiamo dire che esso fu invece linizio di unmutamento che in quindici anni ha radicalmente modificato la vitaeuropea.

    Allinterno del caposaldo atlantico e di quello europeo, liniziati-va craxiana trov poi altri ambiti o altre occasioni di sviluppo, anchecon la creazione, magari frettolosa, di un ministero ad hoc, per ilmassiccio impegno a favore dei paesi in via di sviluppo. Infine, laferma presa di posizione rispetto ai problemi della democratizzazio-ne dellAmerica Latina, non pi considerata come luogo comune macome aspetto politico concreto della politica estera italiana.Insomma e nellinsieme, in una fase di transizione del sistema inter-

    nazionale, la politica estera italiana riusc a darsi caratteri che con-fermavano tradizioni radicate nella storia, sottraendoli per, neilimiti del possibile, ai condizionamenti della rigidit del sistemabipolare. Ci sarebbe stato possibile anche dopo Craxi, ma in uncontesto del tutto diverso e con obiettivi nuovi, fortemente correla-ti al mutato quadro europeo. Nellintrodurre un convegno inteso ariesaminare criticamente e con il necessario senso di equilibrio quel-la fase della politica estera italiana, appaiono per come caratterievidenti i fatti derivanti non solo dal mutare delle circostanze maanche, e soprattutto, lenergia con la quale gli attori e il protagonistadella politica italiana di allora definirono elementi che aprivano

    nuove prospettive a chi avesse avuto la capacit di valersene, in unsistema rimasto fluido per non pochi anni anche dopo il 1992 e per-ci tale da accogliere una pi risoluta iniziativa italiana.

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    *

    INTERVENTO INTRODUTTIVO

    Durante la mia esperienza diplomatica ho contratto un grandebito verso il presidente Craxi: aver appreso, in particolare, a ser-vire gli interessi dellItalia in un mondo che gi allora cambiava aritmi serrati. Ho preso coscienza che in nessun modo le scelte dellealleanze e di integrazione regionale dellItalia, anche quelle a carat-tere strategico come la , rendevano meno urgente ed importan-te vigilare sugli interessi del Paese, sulla salvaguardia della pienezzadi prerogative della nazione. Ho imparato infine ad apprezzare chelimmagine ed il ruolo dellItalia nel mondo sono il primo fattoredello sviluppo sociale ed economico del Paese.

    Nessuna meraviglia perci se nel panorama dellattivit di gover-

    no, la politica estera occupava per Craxi uno spazio rilevante, checrebbe nel corso degli anni della sua Presidenza. A spingerlo versolimpegno internazionale, era soprattutto la ricerca tenace, e talvoltatestarda, di una influenza della diplomazia italiana allaltezza delPaese reale. La vera forza propulsiva della proiezione dellItalianel mondo era infatti per lui la grande creativit del Paese, il genio elinventiva del suo popolo.

    La politica estera quale strumentoper rafforzare linfluenza nel mondo dellItalia

    Fondamentale era quindi lazione delle istanze pi rappresentati-ve della societ civile, il mondo imprenditoriale e gli uomini di scien-

    * Gi direttore generale per i Paesi del Mediterraneo e del Medio Oriente, MinisteroAffari Esteri; ora ambasciatore dItalia in Egitto.

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    za innanzitutto La saldezza delle forze vive del Paese, il processo dimodernizzazione dellamministrazione pubblica, laffidabilit delle

    forze armate, una diplomazia cosciente delle potenzialit dellItaliacostituivano per Craxi le condizioni per permettere al Governo difar valere linteresse e le valutazioni nazionali nel perseguimento deiprocessi di distensione e di sviluppo economico mondiali.

    La risolutezza e caparbiet che contraddistinsero limpegno diCraxi in politica estera ed il rigore nel valutare i propri interlocuto-ri furono percepiti dal grande pubblico in occasione della vicendadi Sigonella, le cui implicazioni politiche ancora oggi sono appenacomprese. In realt prima e dopo Sigonella vi fu nella sua azioneun filo conduttore, costituito da accadimenti e situazioni che egliconsiderava compatibili con gli interessi del Paese e delle sue scelte

    strategiche.Sul piano comportamentale, Craxi sfid le convenzioni di cui ladiplomazia si erigeva spesso a gelosa custode. Qualche volta ne stig-matizz linconsistenza, la scarsa aderenza alla realt nazionale e la-strattezza. Fu inevitabile perci che, durante gli anni del suoGoverno, la diplomazia formale perdesse ancora di pi parte del suoruolo di supplente di una politica estera per lungo tempo condizio-nata da analisi e valutazioni alleate. Craxi riconobbe tuttavia la leal-t della Farnesina e gli sforzi che essa fece per adattarsi alla sua visio-ne. In varie occasioni elogi le qualit professionali dei nostri diplo-matici ed il loro elevato senso dello Stato.

    Alla fine del suo mandato egli considerava la Farnesina ancora ilmeglio che la nostra Amministrazione poteva offrire.

    LOstpolitik in chiave di soddisfacimento di interessi nazionali

    Sul piano dellazione da intraprendere, Craxi si rese subito contoche lottenimento di un ruolo accresciuto del Governo passava perun cambiamento nei rapporti Est-Ovest, allora contraddistinti da unforte antagonismo fra Mosca e Washington.

    Egli sapeva di doversi muovere entro spazi assai ristretti a causa

    di un contesto di forti tensioni, che trovava puntuale e immediatoriflesso nelle diverse sensibilit ed anime allinterno del penta-partito.

    La sua prima preoccupazione fu quella di assicurare il presiden-te Reagan che lAmerica poteva contare sullItalia nellattuazione

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    della doppia decisione della . Ma spieg che ci non avrebbedovuto trasformarsi in una retorica della contrapposizione.

    Occorreva a suo avviso evitare di fare il gioco di chi, vicino adAndropov, lo spingeva a incardinare il confronto con lOccidente sulmero terreno militare.

    Craxi puntava a fare acquisire allItalia una originalit di azione.A Reagan, egli prospett limportanza di arrestare linfluenza sovie-tica nei diversi scacchieri regionali e quella di contrastare la tenden-za di Mosca a creare aree di crisi o di attrito per procura. Per las-solvimento di tali compiti, egli accredit il vantaggio comparato dicui godevano lEuropa e lItalia in particolare.

    Craxi colse al volo loccasione offertagli dal fallito tentativo diBreznev di usare la distensione come cuneo fra lAmerica e i suoi

    alleati europei e si fece avallare dal presidente americano il ricorsoalla legge del taglione. Promuovere cio forme accresciute dicooperazione economica con i Paesi dellEst europeo per creare fes-sure fra loro e l. Di qui la sua Ostpolitik con Kadar, Honeker,

    Jaruzelski e alla fine con lo stesso Gorbacev. Una Ostpolitik, quella,parte integrante dellinteresse nazionale dellItalia, del suo spazio diinfluenza a copertura di pi forti e dinamiche relazioni economico-industriali e scientifico-culturali.

    Il legame con il presidente Reagan fu eccellente ed io vorrei quirivolgere il mio elogio e la mia ammirazione allambasciatoreMaxwell Rabb ed allambasciatore Petrignani che operarono con

    merito per permettere questo risultato.Se tra i due statisti non si fosse creata quella speciale personalchemistry, sarebbe stato arduo per Craxi ricorrere, in occasionedellepisodio di Sigonella o dellemendamento Berlinguer allainstallazione degli euromissili, a quei chiarimenti diretti conReagan, che servirono a dissipare malintesi che avrebbero potutogettare ombre nei rapporti con gli Stati Uniti.

    Abolizione del G5

    Non so quanti ricordino che fu in seguito al chiarimento direttofra Craxi e Reagan sulla vicenda di Sigonella che la Casa Bianca deci-se di installare la linea rossa anche con Palazzo Chigi, come giesisteva con lEliseo e Downing Street, e soprattutto che si riusc alVertice del G7, svoltosi a maggio del 1986 a Tokio, a fare abolire il

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    G5, che tanto fastidio dava al Governo italiano. Fu piegata nelloc-casione la strenua difesa tentata da Francia e Regno Unito che pi

    degli altri tenevano al mantenimento di quanto rimaneva deiCinque Grandi nella gestione collegiale degli affari mondiali, chearriv in qualche circostanza ad emettere giudizi sulla politica inter-na dellItalia.

    Ricordo la sequenza. La riunione dei ministri del Tesoro si chiu-se con lacquiescenza dellallora ministro Goria ad una formula checontinuava a dare al G7 una funzione subordinata al G5. Ne infor-mai immediatamente Craxi, suggerendo piccole correzioni al testo.Dopo appena qualche minuto Craxi mi fece cercare dalla sua inter-prete Isabella Randone, la quale, un po affannata, mi accompagnnella Sala ove stava volgendo al termine la discussione dei capi di

    Stato e di Governo.Sollecitato da Craxi, Reagan chiese linterruzione dei lavori, fecechiamare James Backer, Segretario al Tesoro, gli consegn il testo danoi emendato, ingiungendogli di far riaprire la riunione dei ministridel Tesoro per approvare le correzioni di Bettino. Lui lo avrebbeatteso l fin quando non avesse assolto lincarico. Lattesa non fulunga. Per Delors, capo dellEsecutivo di Bruxelles, Mitterrand,Balladur e Margaret Thatcher quello che avvenne rimase un miste-ro, ma tutti fecero buon viso a cattivo gioco. Grazie alla sensibilitdel presidente Reagan, la figura di Craxi usc enormemente raffor-zata da Tokio e lItalia si impose come un partner di accresciuto

    rispetto; un partner che voleva il suo posto di guida nel convogliodella cooperazione mondiale.

    Gli euromissili

    Craxi non sottovalutava limportanza della difesa, anche con laforza militare, dei valori dellAlleanza atlantica. Egli era convintodella ineluttabilit delle scelte che il Governo compiva con lo schie-ramento dei Cruise.

    Nel tempo, egli scopr tuttavia che il processo decisionale della

    mal sopportava divergenze di valutazioni anche modeste congli Alleati minori, ovvero un ruolo propositivo di questi ultimi.Egli percep, inoltre, che lItalia era considerata dagli Stati Uniti unalleato docile, da cui non ci si attendeva n interlocuzione proble-matica, n domande di chiarimenti imbarazzanti. AllItalia poteva-

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    no per farsi dei favori e concedere delle attestazioni di buona con-dotta.

    Il primo momento di frizione intervenne quando Craxi decise didare attento e scrupoloso esame al c.d. emendamento Berlinguer.Il secondo, quando egli pronunci a Lisbona la famosa frase i mis-sili francesi e inglesi non sono sulla luna. In entrambi i casi, a risol-vere i suoi dubbi e le personali lacerazioni fu direi fortunatamente lottusit dei sovietici, soprattutto di Yuri Andropov (alloraSegretario Generale del ) che pretendevano la rinunzia alleataallo spiegamento degli euromissili per acconsentire alla ripresa delnegoziato di Ginevra.

    Nella sua replica alla Camera ed alla luce delle nuove proposte

    americane Craxi si rifer esplicitamente allemendamento dellon.Enrico Berlinguer. Il segretario generale del proponeva un rin-vio tecnico nel calendario di installazione dei missili da parte occi-dentale, a cui doveva corrispondere lavvio di uno smantellamentodegli SS-20 gi in parte schierati.

    In pratica, la proposta di Berlinguer, come osserv lo stesso Craxinella replica, non si rivolgeva tanto allItalia, dato che lavvio dellainstallazione dei nostri Cruise era previsto solo a partire dal mese dimarzo dellanno dopo, cio del 1984, quanto piuttosto agli altriPaesi alleati, che iniziavano lo spiegamento prima di noi.

    La dilatazione dei tempi tecnici per linstallazione dei missili a

    Comiso offriva in realt ai sovietici un periodo di riflessione di cuiper essi non seppero fare uso.A seppellire lo sforzo italiano intervenne infatti, il 24 novembre

    1983, una dichiarazione del Segretario Generale del , che pone-va nuovamente la completa rinuncia allo spiegamento quale unicacondizione per la ripresa del negoziato ginevrino.

    Il 3 maggio 1984 a Lisbona Craxi, uscito dai colloqui con ilPrimo ministro portoghese Soares, annunci che lItalia intendevasollecitare gli alleati a rilanciare la proposta di negoziato allUnioneSovietica sugli euromissili.

    Ad un esame attento e rigoroso, le idee del presidente Craxi di

    far sedere le due superpotenze al tavolo delle trattative senza pre-giudiziali non si ponevano in alcun contrasto con la posizione con-certata in seno allAlleanza. Questa prevedeva infatti il riesame delprogrammato livello di schieramento degli euromissili qualora cisi fosse trovati in presenza di concrete prospettive negoziali.

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    Le critiche, invero superficiali e di maniera, ricevute da Craxidopo lesternazione di Lisbona anzich scoraggiarlo, lo indussero a

    prendere come suol dirsi carta e penna per indirizzare a Reagan intoni formali (egli sospese nelloccasione luso del familiare CaroRon per riprendere quello di Caro presidente) una lettera di pre-cisazioni piuttosto ferma e di disappunto per lapproccio burocrati-co e rituale con cui, a suo avviso, il Dipartimento di Stato aveva con-siderato la sollecitazione italiana a iniziative pi energiche perriprendere le trattative di Ginevra.

    Le riflessioni di Lisbona non lasciarono strascichi allinternodella coalizione di Governo. Il presidente del Consiglio si limit adinvitare i suoi critici ed in particolare lallora segretario del arileggere con pi attenzione le due Risoluzioni della Camera dei

    deputati sullo spiegamento degli euromissili, da cui egli non si dis-cost di un millimetro sia nellintervento al Congresso di Verona del1983, sia nelle sue esternazioni di Lisbona.

    Le tappe dellOstpolitikper giungere a Gorbacev

    Sarebbe ingeneroso confinare alla puragesticolazione diplomaticaliniziativa di Craxi nel campo dellarmamento. In realt egli vedevauna minore contrapposizione Est-Ovest come un passaggio obbliga-to per la ricerca di un maggiore spazio dazione nei rapporti con i

    Paesi del Patto di Varsavia. Sin dallinizio del suo mandato, Craxiguard alla Polonia come al Paese-laboratorio dei processi dicambiamento sulla spinta sociale. Egli coltiv il disegno ambiziosodi aiutare Solidarnosc e gli uomini del mediante tuttavia il dia-logo e la collaborazione con il Governo del generale Jaruzelski.Craxi ebbe allinizio un giudizio negativo di Jaruzelski ma poi si con-vinse che la mano pesante che egli us nel dicembre 1981, spazzan-do via i grandi progressi costruiti da Solidarnosc nellagosto del1980, dopo valse a prevenire lintervento dellArmata Rossa.

    I risultati strappati dal Comitato guidato da Lech Walesa appari-vano di fatto straordinari per gli standard dei Paesi del Patto di

    Varsavia ed era difficile immaginare che lUnione Sovietica diBreznev che aveva preferito nel 1980 lasciare mano libera ai gover-nanti di Varsavia potesse chiudere un occhio sulla nuova ondata discioperi del 1981, che stava dando a Solidarnosc una forza conside-revole.

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    Per arrivare a Varsavia, occorrevano per a Craxi buone referen-ze e accreditamenti non solo da parte di Mosca. Egli cominci, quin-

    di, con lUngheria di Kadar, il Paese che allinterno del Patto diVarsavia godeva di maggiore autonomia.

    Per lUngheria la salvaguardia della distensione costituiva la con-dizione per lo sviluppo del proprio sistema economico. Nella suarelazione alla sessione primaverile del 1983 del Comitato centraledel , Janos Kadar, afferm che ledificazione del socialismo elinteresse del popolo richiedevano una gestione efficiente delleco-nomia, aggiungendo che se si voleva produrre con efficienza non cisi poteva separare dalle regole del mercato mondiale.

    Craxi ebbe cura di evitare gli errori compiuti dal vicepresidenteamericano George Bush e dal primo ministro britannico Margaret

    Thatcher, i quali avevano creato non pochi problemi al nuovo corsoungherese. A differenza di Bush e della Thatcher, Craxi si guardbene dallaffermare che lItalia perseguiva una politica di differen-ziazione fra i Paesi dellEst europeo in funzione del loro grado diautonomia da Mosca e di fare riferimenti troppo espliciti alla politi-ca di tolleranza perseguita dal regime di Budapest nei confronti deldissenso.

    Il lungo e sereno colloquio che ebbe con Kadar permise a Craxidi ribadire le prospettive promettenti di rapporti aperti fra i dueschieramenti e la necessit, nel perseguirle, di valorizzare gli interes-si nazionali.

    Essi dovevano servire da contrappeso alle motivazioni, talvolta dinatura tattica, delle due superpotenze. Occorreva restringere i loromargini di manovra e di decisione. Kadar era daccordo su tutta lalinea e lui stesso spingeva per atteggiamenti del Patto di Varsavia edel che fossero espressione pi equilibrata di interessi easpettative dei Paesi membri. Craxi apprese dai colloqui che oltreallUngheria anche la Polonia e la avevano una loro spiccata in-dividualit di cui lUnione Sovietica mostrava di volere tener conto.

    A riprova dellintesa e della fiducia personale stabilita con Craxi,Kadar non rigett laccenno a Imre Nagy e ai benefici dimmagineche lUngheria avrebbe tratto da gesti di conciliazione con la figura

    e le opere del martire ungherese.La riabilitazione di Nagy costituiva per Craxi un obiettivo perse-guibile nellorizzonte politico di quei tempi. Certo, non quale gestoriparatore e di mero contenuto ideale, ma come passaggio di quellaricucitura sociale e nazionale che Craxi sollecitava per irrobustire

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    lautonomia ungherese e con essa levoluzione dei rapporti Est-Ovest. Il presidente del Consiglio non poteva tuttavia credere che,

    appena cinque anni dopo i suoi discorsi con Kadar il 16 giugno1989 , egli si sarebbe trovato fra gli ospiti stranieri pi illustri nellaPiazza degli Eroi di Budapest per partecipare alla cerimonia solen-ne di riabilitazione del martire dellinsurrezione ungherese. Nel-labbraccio della figlia di Imre Nagy egli doveva sicuramente avver-tire la stima di quanti in Ungheria avevano operato per la riconqui-sta della libert.

    La tutela dei diritti umani

    La visita di Craxi a Varsavia il 28 maggio 1985 fu piuttosto unblitz sulla via per Mosca. Dur in tutto tre ore: dalle 12,30 alle15,30.

    La Polonia era rinchiusa in una sorta di ghetto diplomatico acausa della politica di repressione nei confronti di Solidarnosc.Prevedibile perci fu la favorevole accoglienza alla visita da partedella stampa polacca, che riserv allunisono espressioni lusinghiereal ruolo svolto dallItalia e da Craxi per la distensione mondiale.

    Craxi consegn a Jaruzelski la lettera in cui esprimeva la suapreoccupazione per la sorte di Adam Michnick, Bogdan Lis eWladyslaw Frasynink e lauspicio che la decisione di aggiornare il

    processo potesse preludere ad un gesto positivo che avrebbe une-co estremamente favorevole nel mio Paese e favorirebbe condizioniutili per una migliore comprensione reciproca.

    Il primo ministro polacco, pur facendo presente che tutte le pro-poste di collaborazione suggerite allopposizione nel quadro dellat-tuale situazione sociale erano state respinte e che la tolleranza nonpoteva spingersi dove confina con la sicurezza dello Stato, disse aCraxi di comprendere il punto di vista italiano affermando cheVarsavia voleva essere tollerante e non avere prigionieri politici.

    La dimensione diritti umani fu coronata da una lettera fattaglipervenire dal Premio Nobel per la pace Lech Walesa. Nella sua let-

    tera lex presidente di Solidarnosc esprimeva preoccupazione peruna situazione drammatica resa ancor pi grave dalle modifichealla legislazione che contrastano con i diritti delluomo.

    In tutta onest nessun altro Paese e Governo erano andati coslontano nel rappresentare legittime aspettative di rispetto dei diritti

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    umani. La tappa di Varsavia si inseriva nel solco diretto di azionianaloghe intraprese con la e lUngheria e che di l a qualche ora,

    come si dir un po pi avanti, egli avrebbe manifestato con lo stes-so Gorbacev.

    Con Jaruzelski, il dialogo continu con risultati positivi riguardoal miglioramento graduale dei rapporti fra il regime e Solidarnosc.Quei rapporti sopravvissero allo sconquasso del Patto di Varsaviaseguito alla caduta del Muro. Quando, nellagosto del 1989,Mazowiecki, esponente del movimento di Solidarnosc, diventaPrimo ministro, il generale Jaruzelski mantenne la carica di presi-dente della Repubblica.

    Craxi, quando nellottobre di quellanno viene invitato dalGoverno polacco a tornare in Polonia, incontra tutti i grandi attori

    e testimoni del cambiamento, oltre a Mazowiecki, il card. Glemp,Walesa, Geremek e ritrova quelli, esponenti in favore della cui sorteegli intervenne diverse volte: Michnick, Kuron diventato ministrodel Lavoro e Geremek.

    Erano sicuramente il viaggio a Mosca e i suoi colloqui conGorbacev che avrebbero dato a Craxi un chiaro riconoscimento delsuo ruolo nei rapporti Est-Ovest.

    Gorbacev pensava che Craxi potesse aiutarlo a promuovere lin-staurazione dei rapporti -, cui il Segretario Generale del teneva molto.

    A Mosca Craxi si proponeva anche di appoggiare la causa dei

    diritti umani nellEst e di ottenere da Gorbacev quella fiducia neces-saria per far avanzare il dialogo dellItalia con i Paesi satelliti acominciare da quello avviato il giorno prima con successo con il gen.

    Jaruselski.Craxi, cos come aveva fatto con Jaruzelski, consegn a Gorbacev

    al termine della prima tornata dei colloqui una lettera con la qualeegli chiedeva un gesto di umana considerazione per la consorte(Elena) di Andrej Sacharov, consentendole di recarsi in Italia perricevere le cure agli occhi da parte dei medici che lavevano gi assi-stita nel passato. Craxi parl anche della sorte dello scienziato dicen-do che un atto di clemenza nei suoi confronti sarebbe stato altamen-

    te apprezzato in Occidente. Quelli di Sacharov e di AnatolySharanski che era percepito un po come il simbolo della resisten-za ebraica erano i casi meglio conosciuti dal grande pubblico inItalia che incarnavano la repressione sovietica contro la dissidenza ele minoranze.

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    Due erano le visuali con cui Craxi si proponeva di fondare la suafutura riflessione e azione riguardo all di Gorbacev. A pi breve

    termine il presidente del Consiglio voleva sapere se la nuova diri-genza sovietica avrebbe reso credibile quella sua ricerca di movi-mento nel negoziato di Ginevra che limmobilismo di Andropov eCernienko avevano invece frustrato.

    A pi lungo termine, intrigavano Craxi le alchimie cui Gorbacevpensava di ricorrere per far coesistere i dogmi marxisti-leninisti coni principi di modernit e pluralismo che egli faceva mostra di volerprendere a prestito dalla liberaldemocrazia dellOccidente.

    Sarebbe arduo affermare cosa Craxi si attendeva accadesse nquello che egli ultimamente desiderasse che accadesse. Di certo nonlo convincevano le posizioni del Primo ministro britannico,

    Margaret Thatcher, che percepiva laperestroika come la mera appli-cazione delle regole di mercato alleconomia sovietica, n la risolu-tezza del cancelliere federale, Helmut Kohl, a finanziare generosa-mente lesperimento senza porsi troppi interrogativi sulla soliditdella sua impalcatura concettuale. Quanto al presidente franceseMitterrand egli sembrava concentrare la sua attenzione sul profilodella politica estera di Gorbacev e delle sue implicazioni sul nego-ziato ginevrino.

    Lerrore fatale di Gorbacev

    Alla base della strategia riformista di Gorbacev, sorprendente-mente non ostacolata dalloligarchia, che qualche decennio primaaveva invece blindato le meno ambiziose riforme di Kruscev, vi erala convinzione che il mondo comunista e quello capitalista fosserocompatibili rispetto al perseguimento del progresso dei popoli e inparticolare del miglioramento delle condizioni di vita della classeoperaia.

    In realt, il carattere alternativo dei due mondi era stato fino adallora considerato come il caposaldo del leninismo.

    Gorbacev, sulle ali della grande popolarit di cui godeva, accet-

    tava la pi ardita delle sfide che si rivel fatale per le sue fortunepolitiche , quella di scardinare lassunto della teoria comunista. Ri-velando di non avere lequilibrio di cui lo si accreditava, Gorbacevsi illuse che rimuovendo i rigidi controlli burocratici sulleconomia,aumentando il decentramento e introducendo il principio della

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    responsabilizzazione delle singole gestioni, il sistema collettivista, intal modo ricostruito o profondamente riformato (le due possi-

    bili accezioni italiane del termineperestroika) poteva competere consuccesso con quello capitalista nel promuovere lo sviluppo dellaproduzione e quindi generare migliori standard di vita per la classeoperaia.

    Europa e interessi nazionali

    DellEuropa, Craxi aveva un concetto funzionale. Era chiaro perlui come tutti gli Stati Membri, che avessero aderito al Mercato Co-mune, si fossero tutti rafforzati; avessero cio goduto di uno svilup-

    po quantitativo e qualitativo che non sarebbe stato possibile rag-giungere fuori dal contesto comunitario. Morale: essi avevano dun-que ben investito i loro diritti sovrani ottenendo un rendimento ele-vato in termini di forza ed autorit di Stato-Nazione: rendimentoche aveva pi che compensato la rinuncia, del resto volontaria e nonautomatica, allesercizio di talune prerogative statali a vantaggiodelle istanze comunitarie.

    Anche la sovraordinazione del bene generale, introdotto nella, al di l del suo significato politico, si imponeva per tutelare inmodo nuovo e pi proficuo concreti interessi nazionali dei Paesiaderenti, come gli sviluppi successivi del Trattato hanno provato.

    Anche oggi le autolimitazioni che gli Stati si impongono nelleserci-zio della concertazione internazionale rispondono al fine di fareinsieme, nellinteresse di tutti, quello che da soli riuscirebbe menobene o addirittura molto male. Nessun Paese dellOccidente pugarantirsi la prosperit o preservare il benessere della propria nazio-ne puntando unicamente sui propri sforzi. Nemmeno le grandi po-tenze.

    Nelle intemperanze retoriche del tempo, Craxi trovava stimolan-te la posizione di Margaret Thatcher, impegnata pi a completare erendere operativo lesistente, cio il Mercato unico per circa 300milioni di consumatori, che non a seguire disegni che apparivano

    troppo in chiave futuristica, cio di entit federale in grado di riva-leggiare con gli Stati Uniti.A Craxi, pragmatico, lapproccio britannico non dispiaceva ed il

    vero interesse a darvi forme e contenuto accoglibili per lItalia erastato ad un certo momento confuso con un sodalizio che i due Paesi

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    si apprestavano a far valere al vertice europeo in programma nel giu-gno del 1985 al Castello Sforzesco di Milano.

    Indubbiamente, i britannici avevano convenienza ad accreditarelintesa con la presidenza della che autorevoli organi di stampa,tra cui il Financial Times e lEconomist, presentavano addirit-tura come una cooptazione di Craxi da parte dellabile Margaret.Non deve perci sorprendere liniziale accanimento con cui laThatcher si oppose come si vedr di seguito allinopinata deci-sione di Craxi di ricorrere al veto per far approvare, a Milano, laConvocazione della Conferenza sulla Riforma dei Trattati.

    Sebbene attento alla realt, sensibile ai progressi misurabili epalpabili, Craxi fin con il dare la zampata giusta, al momento giu-sto per aprire la via allunificazione europea. Un vanto che, oggi, si

    ha quasi timore a riconoscere al nostro Paese. In realt, furonoCraxi ed Andreotti a promuovere e formare il consenso necessarioaffinch a Milano venisse convocata la Conferenza intergovernativacon il compito di elaborare un trattato sulla politica estera e di sicu-rezza comune e proporre gli adeguamenti istituzionali ai Trattati diRoma.

    Era il 29 giugno del 1985. Il Consiglio Europeo si riuniva sotto laPresidenza italiana nel magnifico Castello Sforzesco, che meritereb-be di essere celebrato organizzandovi eventi rievocativi della giova-ne storia dellEuropa unita e delle sfide che essa chiamata in futu-ro a fronteggiare.

    Sarebbe ingeneroso ricondurre il successo dellItalia al sempliceruolo di Presidenza della che essa in quel momento esercitava.Se la funzione fosse stata interpretata in maniera notarile, si sarebbeinfatti dovuto sanzionare quello che il Financial Times aveva pre-conizzato alla vigilia e cio la vittoria dei pragmatici, guidati dallapugnace signora Thatcher. Da Milano, il Primo ministro britannicovoleva che uscisse la conclamata volont dei Dieci (oggiQuindici) a completare il mercato interno tracciato nel 1955 aMessina. Rendere la un vero colosso commerciale senza animapolitica n una specifica identit europea (per la dama di ferrobastava quella atlantica).

    Ma cos non and, nonostante che poco prima dellinizio dellasessione finale il presidente Mitterrand ed il cancelliere federaleKohl fossero andati da Craxi per comunicargli che Francia eGermania rinunciavano a contestare la congruit dellobiettivo fissa-to dalla Gran Bretagna. Craxi ascolt in silenzio, poi avvi la discus-

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    sione dando la parola a Jacques Delors, allora presidente dellaCommissione.

    Delors cap che Craxi era determinato allo strappo di procedurae intelligentemente si sofferm sui limiti che la , nonostante i pro-gressi notevoli gi raggiunti nella politica di mercato, incontravanella sua azione, specie nei contenziosi aperti con gli Stati Uniti enellapertura verso lUnione Sovietica. Come dire, non vero che siasufficiente perfezionare quello che gi esiste. Finito lintervento diDelors, Craxi chiese, fra la sorpresa generale, una breve interruzio-ne dei lavori. Fu l che si divise con Andreotti il grosso compito diricompattare gli Stati membri che nelle fasi di preparazione alConsiglio avevano promesso il loro consenso alla riforma deiTrattati.

    Con unabile regia e avendo cura che i sospetti che assalironosubito la signora Thatcher non assumessero spessore, Craxi eAndreotti premettero su Mitterrand, Kohl, Martens, Lubbers,Fitzgerald e Santer, perch non perdessero fiducia nella prospettivadi varare la revisione internazionale, che era stata prescelta allinter-no della commissione Dooge, nominata dallItalia allinizio dellasua Presidenza.

    Acquisita la sensazione di essere riuscito a ricostruire il consenso,Craxi riprese la discussione, annunciando che vi era la maggioranzaper ricorrere allarticolo 236 del Trattato di Roma, che prevedeva lapossibilit di convocare una conferenza intergovernativa quando in

    discussione fosse stata la riforma delle istituzioni. Ci fu un momen-to di gelo generale. Tutti mostrarono di essere interdetti dal tonolieve usato da Craxi per un atto che invece non aveva precedenti eche nessuno credeva avesse mai potuto essere invocato in quella cir-costanza.

    Nessuno di coloro che Craxi nomin come favorevole alle con-vocazioni dissent. Fu allora che si ud improvvisa la voce stentoreadella signora Thatcher che ammoniva Craxi sulle gravi conseguenzeche egli faceva assumere alla Presidenza con la rottura del consenso.La dama di ferro si rivolse poi a Kohl, e a Mitterrand, esortando-li a dissociarsi da una decisione chella qualific come sconsiderata

    e gravida di rischi. Poi, con il suo linguaggio accattivante ma sem-pre efficace, Margaret pass ad illustrare il salto di qualit per lacoesione della che avrebbe assicurato il completamento del mer-cato interno (oggi mercato unico).

    Craxi ribatt con calma. Riconobbe la giustezza degli obiettivi

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    rivendicati dal Regno Unito e delle argomentazioni usate a lorosostegno, che per, egli precis, non erano antinomiche a quelle che

    collocavano il completamento del mercato nel quadro di un piampio rafforzamento dellEuropa. In altri termini, Craxi non sioppose alleloquio incisivo della signora Thatcher e parl solo di unorizzonte pi ampio perch lEuropa si dotasse di una soggetti-vit politica oltre che di una maggiore forza economica. E su ciribad che vi era la maggioranza per la convocazione dellaConferenza.

    Resasi conto che la sua tesi rimaneva minoritaria, la Thatcher confairplay non and oltre. Ma proprio quando sembrava che la tensio-ne stesse per stemperarsi si alz, paonazzo in volto, Papandreu, finoad allora rimasto silenzioso, il quale rivolse ad un Craxi attonito una

    vera filippica senza fine e fortunatamente anche senza senso comu-ne. Il Primo ministro greco, nella sua cadenzata retorica, ebbe ilgrave torto di essere illogico.

    Egli identific il rafforzamento della come contrario ai prin-cipi dellinternazionale socialista. La signora Thatcher ne rimasesconcertata. Si vedeva chiaramente che era a disagio nella fattispeciedi correit creatale dallinfelice sortita di Papandreu. La Thatchernon aveva dimestichezza con le idee socialiste verso le quali provavaanche un po di fastidio. Anche il Primo ministro di Danimarca terzo Paese dissenziente si raffredd, rinunciando a parlare.

    Craxi aveva vinto ma non si comport come un vincitore. Con

    immutata calma e ostentando un atteggiamento di assoluta neutrali-t, sottoline la comunanza di propositi piuttosto che la divergenzadegli obiettivi pi immediati. Poi invit a votare. Constatata, tra gliurli adirati di Papandreu, lesistenza della maggioranza, pronuncila fatidica frase della convocazione della Conferenza intergovernati-va, precisandone il mandato.

    Fu in realt un mandato ampio. La soluzione di Milano, purmeno federalista di quella auspicata alcuni mesi prima dalParlamento di Strasburgo, previde una competenza generale inclu-dendo la politica estera e la sicurezza, i settori nuovi, come cultura,ricerca scientifica ed ambiente e le modifiche istituzionali. Anche il

    Regno Unito qualche mese dopo si riconobbe pienamente nella suascelta.

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    Italia locomotiva, non vagone del treno Europa

    Il Consiglio europeo di Milano in cui Craxi assieme adAndreotti funse da locomotiva, non da vagone rivel che lEuropapoteva costruirsi senza far perdere ai suoi Stati membri la propria in-dividualit statuale e che, come dimostr pi tardi Kohl, si poteva-no tutelare meglio gli interessi nazionali anche cedendo quote disovranit. Ma ci implicava, ed implica, un europeismo cosciente,ed una capacit di guida da parte degli Stati che vogliono svolgereun ruolo di protagonisti, non di mosche cocchiere.

    La Conferenza si tenne felicemente il dicembre successivo aLussemburgo. Essa prepar la nuova dinamica dellintegrazione.Una evoluzione che, attraverso la firma del Trattato di Maastricht

    (1992), il passaggio alla seconda fase dell (1994), la revisione deirapporti - (1998) ed il Trattato di Nizza, ha portato allattuale,alto grado di integrazione dellEuropa.

    Craxi credeva autenticamente nellattuazione dellideaEuropa, ad una Europa Polo di stabilit oltre che di sviluppo. Perlui, costruire due Europe, quando il mondo ne domandava una eforte, sarebbe stato illogico e persino irrazionale. Dopo Milano, delresto, niente fu come prima e nessuno commise lerrore di illudersidi poter tornare indietro. Un invito a guardare avanti venne persinoda Mosca, con la proposta, che Gorbacev aveva anticipato a Craxi,avanzata dal alla ad instaurare forme di collaborazio-

    ne nel rispetto delle competenze dei due diversi organismi. In quel-linvito vi era un dato politico il riconoscimento sovietico e diMosca della grande soggettivit politica dellEuropa riconosci-mento che certe timidezze ed una colpevole insicurezza avevanosino ad allora impedito di cogliere appieno.

    Sino ad allora si era rimproverato a Mosca di trascurare la realtpolitica costituita dai Dieci e di avere una visione essenzialmentebipolare degli equilibri mondiali privilegiando il dialogo conWashington. A Milano si prese atto di un mutato atteggiamento e diuna nuova attenzione, rivolta dalla dirigenza sovietica allEuropa,addirittura nella prospettiva di riconoscimento di una sua unit po-

    litica.

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    La politica mediorientale

    Quando Craxi fu nominato, nellagosto del 1983, presidente delConsiglio, il diritto allautodeterminazione del popolo palestineseera riconosciuto solo dai Paesi dellallora Comunit EconomicaEuropea, senza alcuna certezza tuttavia che il suo esercizio avrebbepotuto comportare la costituzione di uno Stato indipendente.

    Stati Uniti e Israele non riconoscevano alcuna legittimit alldi Arafat, considerata una organizzazione terrorista. Vi era una para-lizzante contraddizione tra la ricerca di un accordo di pace e il dis-conoscimento all del diritto di parteciparvi. Il Governo italianosi assunse il compito di sciogliere questa contraddizione e si adope-r attivamente perch l fosse accettata come parte negoziale del

    processo di pace.Insieme al ministro degli Esteri Andreotti, il presidente delConsiglio comp nel periodo novembre-dicembre 1984 una serie divisite in Egitto (17-19 novembre 1984), Arabia Saudita (19-20 no-vembre), Algeria (28-29 novembre) e Tunisia (6-7 dicembre) perrestituire movimento e prospettiva al negoziato mediorientale. Craxisentiva la questione palestinese come il cuore dellintera vicendamediorientale.

    Lobiettivo iniziale, poi conseguito, era quello di rompere il tabdellunit dell, che rendeva lOrganizzazione prigioniera dellefrange pi radicali. Craxi a dispetto delle esitazioni europee deci-

    se di passare allazione. Stabil una intesa con il re Hussein di Gior-dania e con il presidente egiziano Mubarak, che venne appoggiatadal re saudita Fahd e dal presidente algerino Bendjedid, per convin-cere a fare la conta allinterno dell e a costituire un asse attornoal movimento di al Fatah in favore dellopzione negoziale. Craxi maidisconobbe il diritto dei palestinesi alla lotta o resistenza armata. Ilprincipio riconosciuto dalla Carta delle Nazioni Unite era sacrosan-to. Ma in quegli anni fu adamantino a sconsigliare il concreto eser-cizio di quel diritto che avrebbe portato lutti e sofferenze allo stessopopolo palestinese. Egli mise nel conto che Arafat avrebbe perso ipersonaggi pi ambigui prevalentemente legati alla lotta armata che

    si affrettarono a costituire movimenti separati ovvero di rappresen-tare allinterno dell frange minoritarie di dissenso dalla lineamaggioritaria.

    La seconda mossa fu quella di indurre Arafat ad accettare laRisoluzione del Consiglio di Sicurezza delle N.U. n. 242, che preve-

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    de lo scambio dei territori contro la pace, una risoluzione che oggi paradosso della Storia lAutorit Palestinese pone alla base della

    sua piattaforma negoziale.Era poi necessario ricostituire tra Arafat e Hussein un rapporto

    di piena fiducia, poich in quella fase non sarebbe stato possibilenessun serio avvio della Conferenza di pace che si fosse prefissa,come obiettivo, il conseguimento di uno Stato palestinese indipen-dente.

    Infine bisognava convincere Israele ad accettare di trattare conmembri dell e gli Stati Uniti a non opporvisi.

    Levento decisivo fu il lungo incontro che nella notte del 6 dicem-bre 1984 Craxi e Andreotti ebbero con Arafat nel suo rifugio segre-to nelle vicinanze di Tunisi. Arafat, inizialmente recalcitrante, accon-

    sent infine a presentare al Governo italiano un pacchetto di pro-poste che esso avrebbe potuto utilizzare per dimostrare che lera ormai pronto al negoziato.

    Arafat mantenne la sua promessa e a Craxi pervenne a fine gen-naio 1985 la proposta di Arafat che mirava ad unazione comunegiordano-palestiense, basata sullaccettazione del principio territo-rio contro pace e sulla convocazione di una Conferenza internazio-nale.

    L11 febbraio 1985 ebbe luogo ad Amman lincontro Hussein-Arafat che Craxi e Mubarak si adoperarono a favorire con una pres-sione congiunta decisa in occasione del loro incontro a Palazzo

    Chigi il 18 gennaio dello stesso anno.Le vie direttrici che vennero tracciate ad Amman e che dovevanoservire a convincere americani ed israeliani a rispondere positiva-mente alla svolta dell in favore dellopzione negoziale puntava-no su di una delegazione giordano-palestinese alla Conferenza dipace, lasciando al momento aperto il tipo di configurazione istitu-zionale che doveva uscire dallesercizio del diritto allautodetermi-nazione rivendicato dai palestinesi.

    Il presidente del Consiglio scrisse a Reagan annunciandogli il suoimpegno a operare per la piena accettazione da parte di Arafat dellaRisoluzione n. 242 e per un riconoscimento reciproco delle parti

    direttamente coinvolte nella crisi sulla base dei principi della sicu-rezza per tutti gli stati (esigenza posta da Israele) e dei diritti di tuttii popoli (richiesta dei palestinesi).

    Sulle stesse premesse si realizz il 18 febbraio 1985 la prima visi-ta ufficiale in Italia di un primo ministro israeliano (lunico prece-

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    LA POLITICA ESTERA 9277 15-10-2007 8:28 Pagina 33

  • 8/7/2019 La politica estera italiana negli anni ottanta

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    dente furono gli incontri di Golda Meir nel 1993 con Andreotti, inmargine tuttavia alla visita che il premier israeliano rese al

    Pontefice). Craxi e Shimon Peres sfruttarono la loro comune appar-tenenza allInternazionale socialista per cooperare a secondare isegnali di dialogo che giungevano dal mondo arabo ed in particola-re a favorire la ripresa del negoziato con re Hussein di Giordaniasenza preclusioni e condizioni. Era questa la formulazione che siriusc a concordare per indicare la disponibilit di Peres a favoriregli sforzi di Hussein tesi ad includere elementi palestinesi graditiall nella delegazione giordana, cos da sollevare nei colloqui dipace il destino di Cisgiordania e Gaza ed il futuro assetto statuale diquei territori.

    Lapertura di Peres, lazione sagace di Hussein, limpegno attivo

    di Mubarak furono, con la forte iniziativa del Governo italiano, ipassaggi essenziali che consentirono di porre la vicenda mediorien-tale sulla giusta via e di imprimere movimento al negoziato di pace,superando pregiudizi e tab fino a giungere al dialogo diretto diquesti giorni e alla prospettiva da nessuno pi negata della nascita diuno Stato palestinese accanto a quello israeliano.

    Ci si rende allora conto di come nella questione di Sigonella fos-sero in gioco importanti questioni politich