Cristo sposo di mons. Marco Frisina...incontra Gesù e lo chiama “Agnello di Dio”. Il “giorno...

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FORMAZIONE LITURGICA Culmine e Fonte 5-2005 1 I l Regno dei cieli è simile a un Re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. (Mt 22,1) L’immagine di Cristo Sposo è mol- to presente nel Nuovo Testamento e si pone in continuità con tutta la tradizione veterotestamentaria che ci mostra l’Alleanza di Dio con Israe- le come un’Alleanza nuziale, descri- vendo con l’immagine del rapporto Sposo-Sposa la relazione che Dio viene a stringere con il suo popolo. Su questa linea troviamo tanti brani, sia nei Vangeli, sia nell’Apocalisse, che guardano a Cristo come allo Sposo che viene a compiere le sue nozze con la Chiesa. Sia nei Vangeli sinottici, sia in Giovanni troviamo allusioni a questa lettura della redenzione di Cristo, ma è soprattutto il quarto Vangelo a sviluppare in modo più coerente e completa questa immagine. Nel Vangelo di Giovanni l’inaugu- razione della missione messianica di Gesù e il suo compimento sono mes- si in relazione perfetta. Le nozze di Cana (Gv 2,1-12) e tutto l’episodio di Maria sotto la Croce e del costato trafitto (Gv 19,25-37) sono in rela- zione stretta tra di loro e formano una sorta di inclusione di tutto il Vangelo. Sono le due cerniere su cui si poggia la costruzione giovannea, le due ante attraverso cui entriamo nella contemplazione del mistero dell’Alleanza con Dio stipulata nel- l’amore. Le nozze in Cana di Galilea e l’Ora della Croce Le nozze di Cana rappresentano l’inizio del tempo messianico nuovo, la rivelazione che l’”Ora” è giunta. Tutto il brano ruota su questo ter- mine. Che c’è tra me e te, o donna?. La mia Ora non è ancora giunta. (Gv 2,4) L’Ora di Cristo è la sua glorifica- zione da parte del Padre (Cfr Gv 17), anticiparla non è conveniente e so- prattutto riguarda soltanto la vo- lontà del Padre. Questo già ci fa comprendere la portata simbolica delle nozze di Cana, che non rap- presentano solo un miracolo ma un evento simbolico fondamentale. Già il contesto del brano ambien- ta l’episodio in modo molto preciso. La scena è temporalmente collocata nel settimo giorno di una settimana inaugurale di Cristo. In Gv 1,19-28 è descritto il primo giorno, con la testimonianza del Battista agli inviati da Gerusalem- me. Il “giorno dopo” (1,29) il Battista incontra Gesù e lo chiama “Agnello di Dio”. Il “giorno dopo” (1,35) il Battista invita i suoi discepoli a seguire Ge- sù. Il “giorno dopo” (1,43) Gesù invi- ta i discepoli a seguirlo. “Tre giorni dopo” ci sono le noz- ze in Cana di Galilea. Questa settimana culmina con Cristo sposo di mons. Marco Frisina

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FORMAZIONE LITURGICA

Culmine e Fonte 5-2005 1

I l Regno dei cieli è simile a un Reche fece un banchetto di nozzeper suo figlio. (Mt 22,1)

L’immagine di Cristo Sposo è mol-to presente nel Nuovo Testamento esi pone in continuità con tutta latradizione veterotestamentaria checi mostra l’Alleanza di Dio con Israe-le come un’Alleanza nuziale, descri-vendo con l’immagine del rapportoSposo-Sposa la relazione che Dioviene a stringere con il suo popolo.Su questa linea troviamo tanti brani,sia nei Vangeli, sia nell’Apocalisse,che guardano a Cristo come alloSposo che viene a compiere le suenozze con la Chiesa.

Sia nei Vangeli sinottici, sia inGiovanni troviamo allusioni a questalettura della redenzione di Cristo,ma è soprattutto il quarto Vangelo asviluppare in modo più coerente ecompleta questa immagine.

Nel Vangelo di Giovanni l’inaugu-razione della missione messianica diGesù e il suo compimento sono mes-si in relazione perfetta. Le nozze diCana (Gv 2,1-12) e tutto l’episodio diMaria sotto la Croce e del costatotrafitto (Gv 19,25-37) sono in rela-zione stretta tra di loro e formanouna sorta di inclusione di tutto ilVangelo. Sono le due cerniere su cuisi poggia la costruzione giovannea,le due ante attraverso cui entriamonella contemplazione del misterodell’Alleanza con Dio stipulata nel-l’amore.

Le nozze in Cana di Galilea el’Ora della Croce

Le nozze di Cana rappresentanol’inizio del tempo messianico nuovo,la rivelazione che l’”Ora” è giunta.Tutto il brano ruota su questo ter-mine.

Che c’è tra me e te, o donna?. Lamia Ora non è ancora giunta. (Gv 2,4)

L’Ora di Cristo è la sua glorifica-zione da parte del Padre (Cfr Gv 17),anticiparla non è conveniente e so-prattutto riguarda soltanto la vo-lontà del Padre. Questo già ci facomprendere la portata simbolicadelle nozze di Cana, che non rap-presentano solo un miracolo ma unevento simbolico fondamentale.

Già il contesto del brano ambien-ta l’episodio in modo molto preciso.La scena è temporalmente collocatanel settimo giorno di una settimanainaugurale di Cristo.

In Gv 1,19-28 è descritto il primogiorno, con la testimonianza delBattista agli inviati da Gerusalem-me.

Il “giorno dopo” (1,29) il Battistaincontra Gesù e lo chiama “Agnellodi Dio”.

Il “giorno dopo” (1,35) il Battistainvita i suoi discepoli a seguire Ge-sù.

Il “giorno dopo” (1,43) Gesù invi-ta i discepoli a seguirlo.

“Tre giorni dopo” ci sono le noz-ze in Cana di Galilea.

Questa settimana culmina con

Cristo sposo di mons. Marco Frisina

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una festa di nozze in cui c’è Maria ea cui è invitato Gesù, particolare im-portante in quanto egli è ospite,mentre Maria è di casa. Ciò spiegal’attenzione della Donna nei con-fronti dello svolgimento della festa,ma questo diviene un elemento im-portante nella lettura giovanneadell’evento. Maria rappresenta coleiche apre la porta alla rivelazionenuova e con la sua fede permettel’inizio della salvezza. Infatti è lei anotare la mancanza del vino, l’e-spressione usata è quella presentenella profezia di Isaia:

Lugubre è il mosto, la vigna lan-guisce, gemono tutti.

È cessata la gioia dei timpani, èfinito il chiasso dei gaudenti,è cessata la gioia della cetra.

Non si beve più il vino tra i canti,la bevanda inebriante è amara perchi la beve. (Is 24,7-9)

A cui fa eco il brano di Geremia:Io farò cessare nelle città di Giu-

da e di Gerusalemme le grida digioia e la voce dell’allegria,

la voce dello sposo e della sposa,perché il paese sarà ridotto a de-

serto. (Ger 7,34)Il contesto della festa di nozze

chiarisce ancora meglio sia le profe-zie, sia l’allusione al vino. In ognifesta nuziale il vino, che ne rappre-senta l’aspetto festoso e allegro, eraun simbolo molto forte della pro-sperità e della fertilità della vigna.Israele è rappresentata dai profeticome la vigna del Signore; il fattoche non abbia più vino significa chela benedizione di Dio si è allontana-ta e il contesto nuziale, tanto inIsaia quanto in Geremia, ci ricorda

che il rapporto di Dio con il suo po-polo è come una festa di nozze sen-za gioia e amore, anzi piena di de-solazione e dolore. Le parole di Ma-ria hanno quindi un valore fortissi-mo e un significato pregnante. Lasettimana inaugurale descrive l’An-tico Testamento che si volge verso ilNuovo (il Battista che indica Gesù,l’Agnello) e nello stesso tempo l’Orache comincia a compiersi.

Il prodigio dell’acqua delle idriedella purificazione, simbolo dell’an-tica legge, come ci ricorda sant’Ago-stino nel suo commentario a Gio-vanni, nelle quali l’acqua viene tra-sformata in vino buono, diventa il“segno” dell’Ora che si compie. Cri-sto è il vero Sposo della festa cheviene a riprendersi la Sposa una vol-ta abbandonata (Is 62,4-5). Proprioquesta realtà è quella che il Battistaspiega a chi gli chiede qual è il suoruolo:

Nessuno può prendersi qualcosase non gli è stato dato dal cielo.

Voi stessi mi siete testimoni cheho detto: Non sono io il Cristo, maio sono stato mandato innanzi a lui.Chi possiede la Sposa è lo Sposo; mal’amico dello sposo (paranymphos)che è presente e l’ascolta, esulta digioia alla voce dello sposo.

Ora questa mia gioia è compiuta.Egli deve crescere e io invece dimi-nuire. (Gv 3,27-30)

Tutto l’episodio di Cana è dun-que il segno di tutto questo, ovveroil momento in cui l’evento rivela ilMistero. Così come dice nel v.11:

Così Gesù fece l’inizio(archè) deisuoi segni (semeion).

L’arché ton semeion, non è sem-

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plicemente il primo di una lista dimiracoli ma l’archetipo, il principiodi tutti i segni salvifici in quanto inquesto segno tutti gli altri possonoriconoscersi. Inoltre il legame con ilgrande segno dell’Ora della Crocefa’ sì che il segno di Cana sia l’anti-cipo e l’inizio del compimento fina-le e che tutto l’evento di Cristo, isuoi segni e miracoli, le sue parole,la sua passione e morte, siano un in-sieme unico che compie il Misteronascosto. La risurrezione segneràl’ottavo giorno, che inaugurerà iltempo nuovo. Il grande segno com-posto da tutti i segni, da Cana allaCroce, sarà il compimento dell’Orache dà inizio al giorno senza tra-monto, alla Prima Dies.

L’episodio giovanneo della tra-sfissione del costato, e soprattuttodell’uscita del sangue e dell’acqua.danno una ulteriore lettura nuzialeall’evento della Croce.

Cristo è il nuovo Adamo, addor-mentato nel sonno di morte, dal cuicostato nasce la nuova Eva, la Chie-sa, vivificata dai sacramenti, adom-brati dal sangue e dall’acqua. Lapresenza di Maria sotto la Croceche genera i figli nuovi dello SposoCristo rappresenta la Chiesa, fecon-data dalla Croce, che partorisce neldolore e nello stesso tempo nellagloria che deriva da Cristo i figli diDio (Cfr la donna vestita di sole diAp 12).

Nella coerenza della visione diGiovanni, l’Agnello Sposo che vienea prendersi la Sposa stipula la suaAlleanza nuziale attraverso questosacrificio d’amore.

Le parabole delle nozze

Nei vangeli sinottici appare l’im-magine di Cristo Sposo legata al Re-gno dei cieli “che è come un ban-chetto di nozze” (Mt 22,1). L’imma-gine del banchetto è presente spes-so nell’Antico Testamento a signifi-care l’Alleanza stipulata al Sinai (Es 24) e la gioia dei tempi messia-nici (Is 25,6; 55,1-2). La festa nuzia-le aggiunge qualcosa in più, inse-rendo anche l’amore degli sposi chela festa celebra: Cristo è lo sposoche sta con noi, la sua presenza dàgioia così come la sua assenza è oc-casione di lutto (Mt 9,15).

La parabola del banchetto nuzia-le di Mt 22 ci mostra un re che alle-stisce la festa di nozze per suo fi-glio e, dopo aver macellato gli ani-mali per il banchetto, chiama gli in-vitati a far festa.

Il loro rifiuto e la loro prepoten-za nei confronti dei suoi servi scate-na l’ira del re che decide di uccide-re gli assassini e di invitare al ban-chetto i poveri che sono in strada,gli ultimi sostituiscono così gli invi-tati e riempiono la sala del ban-chetto.

L’appendice del la parabola cimostra il giudizio del re sull’invita-to che non porta l’abito nuziale, laveste della festa; egli viene cacciatofuori nelle tenebre perché non èdegno di stare alla festa.

Il racconto sottolinea diversi ele-menti.

Innanzitutto il regno dei cieli èuna festa di nozze, un banchettocome quelli che venivano allestitinei giorni di festa dopo la celebra-

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zione delle nozze in Israele. Le noz-ze di Cana ne sono un esempio e ciaiutano a capire anche il contestoche soggiace a questa parabola.

Il banchetto viene fatto dal reper suo figlio. Il rapporto che legail re con il figlio fa comprendere laseverità del comportamento del renei confronti di coloro che rifiutanol’invito. Non accettare l’invito allenozze del figlio del re è un’offesaal re stesso. Dio invita Israele allenozze di suo figlio, è nel Figlio cheDio stringe l’alleanza nuova ma gliinvitati rifiutano. L’invito passa al-lora ai lontani, agli stranieri, aigentili.

L’abito nuziale rappresenta lostato di grazia che riveste i parteci-panti al “banchetto di nozze dell’A-gnello” così come l’Apocalisse diràin Ap 19,8.

Analogamente la parabola delledieci vergini ci mostra un momentopreciso della festa di nozze: l’arrivodello Sposo (Mt 25,1ss). Le verginisono chiamate ad attendere vigi-lanti, nella notte dell ’esistenza,l ’arrivo di Cristo, lo Sposo dellaNuova Alleanza, per entrare con luialla festa. Anche qui c’è una condi-zione per parteciparvi: la vigilanza,segno dell’amore e del rispetto perlo Sposo.

L’Agnello – Sposo.

Nel libro dell’Apocalisse, comegià si accennava prima, le immaginigiovannee che mettono in relazio-ne l’Agnello immolato e Cristo Spo-so vengono sviluppate. La storia del

mondo dalla Pasqua all’ultima ve-nuta è un tempo di attesa che sepa-ra la stipula delle nozze, la Croce,dal compimento dell’unione nuzia-le, le nozze dell’Agnello (Ap 19,7).La Sposa è la fidanzata che deveprepararsi a questo incontro viven-do le vicende storiche nella fede enell’amore (Ap.21,9). Gli invitativengono chiamati “beati” (Ap 19,9)perché essi parteciperanno alla glo-ria dell’Agnello e saranno uniti alui per sempre. La Chiesa discendeda Dio come “Sposa adorna” (Ap 21,2), risplendente di luce e dibellezza, che realizza tutte le pro-fezie messianiche (Cfr Is 62) in cui laSposa del Signore, che era dettaAbbandonata, sarebbe tornata adessere Sposa amata.

Il finale del libro sottolinea inmodo ancora più forte questa atte-sa dello Sposo da parte della Chie-sa. In un mistico dialogo la Chiesa,insieme allo Spirito che la vivifica ela conduce, invoca il ritorno di Cri-sto che risponde come Sposo affet-tuoso.

Lo Spirito e la Sposa ti dicono:Vieni! E chi ascolta r ipeta: Vie-ni!....Sì, verrò presto. (Ap 22,17.20).

L’intera Bibbia sembra così con-cludersi come era iniziata. Al princi-pio ci sono l’uomo e la donna, crea-t i come punto culminante del laCreazione nel giardino dell’Eden,nella loro bellezza e innocenza; allafine l ’Agnello Sposo e la ChiesaSposa redenta, uniti per semprenella gloria. Il Mistero d’amore sicompie così con la piena rivelazionedel Figlio Sposo e con il banchettogioioso del cielo.

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“D omani sono di matrimo-nio”. “Dove?” “Al risto-rante tale”.

Questo è un dialogo tra amici chesi sente spesso. Il matrimonio si identi-fica con il pranzo. Per esso ci vuole unabito di cerimonia, per cui sembra unasfilata di moda.

La “cerimonia” che si fa in chiesaè una premessa, che interessa sologli sposi e – tutt’al più – i testimoni. Ipresenti in chiesa sono gli “invitati”,non importa se cristiani o no. Essi vistanno come spettatori: non rispon-dono, non cantano, non partecipa-no, non si comunicano: non sanno diessere un’assemblea radunata percelebrare non uno, ma due sacra-menti, cioè l’eucaristia e il matrimo-nio. Molti sacerdoti giustamente la-mentano: si celebra male, sono le as-semblee peggiori.

Eppure il matrimonio cristiano è sa-cramento della Chiesa, e come tutte lecelebrazioni liturgiche – non è “azio-ne privata, ma dell’intero corpo eccle-siale, lo interessa e lo coinvolge; i sin-goli vi sono però impegnati in variomodo secondo la diversità dei ruoli,dei ministeri e dell’attuale partecipa-zione” (cfr SC 26).

Per una celebrazione nuziale, spe-cialmente se avviene durante la Mes-sa, bisognerebbe suonare le campane,cioè convocare la comunità ecclesiale,non semplicemente accogliere coloroche sono stati “invitati” dagli sposi.

Il ruolo della comunità, sia nellapreparazione, sia nella celebrazione

del sacramento, è richiamato più voltenelle premesse al nuovo Rito.

n. 12: “La preparazione e la cele-brazione del matrimonio, … perquanto attiene alla dimensione pasto-rale e liturgica, è competenza del Ve-scovo, del parroco e dei suoi vicari e,in qualche modo almeno, di tutta lacomunità ecclesiale”.

n. 14: “I pastori d’anime devonoaver cura che questa assistenza sia of-ferta nella propria comunità…”.

n. 26: “Altri laici possono…, in varimodi, svolgere compiti sia nella pre-parazione dei fidanzati sia nella cele-brazione stessa del rito. È necessariopoi che tutta la comunità cristianacooperi a testimoniare la fede e a ma-nifestare al mondo l’amore di Cristo”.

n. 28: “Poiché il matrimonio è ordi-nato alla crescita e alla santificazionedel popolo di Dio, la sua celebrazioneha un carattere comunitario che consi-glia la partecipazione anche della co-munità parrocchiale, almeno attraver-so alcuni dei suoi membri”.

Ma perché ciò si possa realizzare ènecessario che “il matrimonio sia cele-brato nella parrocchia di uno dei fi-danzati, oppure altrove con licenzadel proprio Ordinario o del parroco”(n. 27).

Tenuto conto di tutto questo, è ne-cessaria un’opportuna e costante cate-chesi perché i presenti a una celebra-zione nuziale abbiano coscienza di es-sere una comunità cristiana e una as-semblea, a suo modo “celebrante”.

L’Assemblea Nuziale di p. Ildebrando Scicolone, osb

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Nella stessa celebrazione è quantomai opportuno che il sacerdote e altrieventuali ministri stimolino alla parte-cipazione. Se nessuno, per esempio, ri-sponde al saluto iniziale, è bene che ilsacerdote, con opportuni modi, esortia rispondere, perché non ci sono spet-tatori, ma popolo celebrante, chiama-ti cioè a partecipare con il corpo e lamente. Bisogna far capire che sono lì,non solo per pregare per gli sposi econ loro.

Il rito stesso fa rivolgere la parola atutta l’assemblea. Così l’invito a farmemoria del Battesimo è rivolto a tut-ta la comunità presente:

“Fratelli e sorelle, ci siamo riuniticon gioia nella casa del Signore, nelgiorno in cui N. e N. intendono forma-re la loro famiglia. In quest’ora di par-ticolare grazia siamo loro vicini conl’affetto, con l’amicizia e la preghierafraterna. Ascoltiamo attentamente laParola che Dio oggi ci rivolge … sup-plichiamo Dio Padre… Facciamo oramemoria del Battesimo…”

Il popolo tutto poi acclama alla for-mula trinitaria. I fedeli (“fratelli e so-relle”) sono invitati, dopo il consensodegli sposi, a pregare perché essi man-tengano ciò che hanno promesso. Essiinvocano “ascoltaci, o Signore”. Anco-ra, prima della benedizione nuziale, ilsacerdote invita tutti, “fratelli e sorel-le” ad invocare “con fiducia il Signo-re…”, e in alcune di queste benedizio-ni il popolo è chiamato ad acclamaree a supplicare.

Si noti che l’espressione “fratelli esorelle” con cui il sacerdote si rivolgeall’assemblea, non è utilizzata nel ca-pitolo terzo, cioè nel “Rito del matri-monio tra una parte cattolica e una

parte catecumena o non cristiana”. Aln. 166 il sacerdote invita solo “coloroche credono in Cristo” a invocare ilPadre “con la preghiera della famigliadi Dio”. E la rubrica precisa: “Tutti icristiani continuano Padre nostro…”

Un elemento importante di una ce-lebrazione festiva è il canto. Ora, neimatrimoni, difficilmente l’assembleacanta. Ci si contenta (!) di sentire bra-ni di organo, o si invita un tenore oun soprano a cantare pezzi d’opera,che nulla hanno a che fare con unacelebrazione eucaristica o liturgica. Iln. 30 recita: “I canti da eseguire sianoadatti al rito del matrimonio ed espri-mano la fede della Chiesa, in modoparticolare si dia importanza al cantodel salmo responsoriale nella liturgiadella Parola”.

Come si può fare ciò, se i presentinon sono abituati a farlo, o se in quelmomento, non sanno di essere assem-blea celebrante?

Non potrebbe il sacerdote, o un altroministro, nell’attesa della sposa (che ar-riva sempre all’ultimo momento) fareun minimo di preparazione, almeno deicanti più necessari, quali il ritornello delsalmo, l’Alleluia e il Santo?

Un’ultima osservazione, che ritrovonelle Premesse, al n. 37: “Anche se ipastori sono ministri del Vangelo diCristo per tutti, abbiano tuttavia unaspeciale premura verso coloro che, siacattolici sia non cattolici, mai o quasimai partecipano alla celebrazione del-l’Eucaristia”. La celebrazione deve riu-scire attraente e diventare essa stessauna catechesi, per sollecitare il deside-rio di ritornare in chiesa, dal momen-to che si è “gustato e visto quanto èbuono il Signore”.

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I l nuovo Rito del Matrimonio1, nellasua struttura equilibrata tra se-quenze rituali ed eucologia, “indu-

ce a un ripensamento della ministeria-lita’ del sacramento” in cui sia supera-ta la visione che pone in antitesi la fi-gura del ministro ordinato e quelladegli sposi. Una “ministerialità com-plessa”, come nel caso del Matrimo-nio, è in grado di armonizzare i lati diquesto “organismo sacramentale”2.

Nell’Assemblea riunita per celebra-re il matrimonio sia la presidenza delministro ordinato3 che l’esercizio daparte degli sposi della loro ministeria-lità sacramentale, contribuiscono inmodo organico all’unica celebrazione.I due sacramenti del servizio della co-munione, “ordinati alla salvezza al-trui……servono all’edificazione delpopolo di Dio”4 oltre che, naturalmen-te, alla salvezza personale.

“I teologi del secolo scorso amava-no dire che gli sposi sono ministri delsacramento… Tale modo di dire non èstato ripreso nei numerosi documentiecclesiastici in merito”5: l’attuale Ritodel Matrimonio afferma che “Gli spo-si, nell’esprimere il loro consenso, so-no ministri della grazia di Cristo”6 eche la loro ministerialità viene vissutacompiutamente nella partecipazioneattiva ai diversi momenti della cele-brazione. Se ne deduce che la sola mi-nisterialità degli sposi non è sufficien-

te per esprimere l’ecclesialità del sa-cramento del Matrimonio ma che oc-corre una contemporaneità e sinergiatra le varie componenti ministeriali:ordinata, istituita, coniugale e laicale.

Di seguito si prende in esame la so-la ministerialità dei ministri ordinati equella degli sposi tralasciando tutte lealtre forme di ministerialità che il ritoprevede, esplicitamente o implicita-mente.

La ministerialità dei ministri or-dinati.

Il ministro ordinato (vescovo, presbi-tero, diacono) è competente, perquanto attiene alla dimensione liturgi-co pastorale, sia della preparazione, siadella celebrazione del Matrimonio7.

Innanzitutto esercita la sua mini-sterialità in un “impegno previo” me-diante la catechesi che istruisca i fede-li cristiani “piccoli, giovani e adulti”sul significato del Matrimonio. Assicu-rando una preparazione personale eadeguata dei fidanzati alla celebrazio-ne del Matrimonio come via alla san-tità e impegno ad assumere i doveridella loro nuova condizione8 (prepara-zione che richiede un congruo tempoe chiama in causa anche la partecipa-zione di altri laici). Accogliendo i fi-danzati e ridestando e alimentando lafede che il sacramento del Matrimo-nio “suppone ed esige”9.

La ministerialità del ministroordinario e degli sposinel rito del matrimonio di Antonio Cappelli, diacono

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In secondo luogo, con un “impegnosuccessivo” nella cura pastorale delMatrimonio, offrendo agli sposi “gliaiuti necessari affinché la vita matrimo-niale si conservi nello spirito cristiano eprogredisca nella perfezione”10.

Momento alto dell’esercizio dellasua ministerialità, il ministro ordinatolo ha proprio nella celebrazione del Ri-to del Matrimonio ove, rendendo pre-sente il Cristo pastore, accoglie la co-munità e i nubendi mediante i riti diingresso11, con le varie monizione edesortazioni che può rivolgere agli spo-si, nell’invito a fare memoria del Batte-simo, presentando il Vangelo alla vene-razione degli sposi, illustrando nell’o-melia il mistero del Matrimonio par-tendo dal testo sacro.

È proprio l’esercizio del suo ministe-ro che garantisce la dimensione eccle-siale del sacramento del Matrimonio:“è la Chiesa raccolta nel Signore cheaccoglie gli sposi: il saluto di colui chepresiede e la monizione aiutano findall’inizio a evitare che la celebrazioneassuma un carattere privato”12.

È davanti a lui “ministro della Chie-sa e davanti alla comunità”13 che glisposi esprimono le loro intenzioni pri-ma di manifestare il consenso, ed è luiche a nome della Chiesa accoglie ilconsenso espresso dagli sposi.

Attraverso l’atto sacerdotale dellasolenne benedizione nuziale e guidan-do la preghiera dei fedeli il ministro or-dinato di nuovo evidenzia ed esercita ilsuo ministero.

Ma il vertice della sua ministerialitàsi ha nella presidenza dell’Eucaristia odella Liturgia della Parola.

Nel rito del Matrimonio vi sono altridue atti che, compiuti dal ministro ordi-

nato, rendono evidente la funzione pa-storale che Cristo esercita verso i fedelimediante il servizio dei suoi ministri.

Il primo è quando “risultato vanoogni sforzo, i fidanzati apertamente edespressamente affermano di respinge-re ciò che la Chiesa intende quando sicelebra il matrimonio di battezzati” eal pastore d’anime non è lecito ammet-terli alla celebrazione spiegando chenon la Chiesa ma loro stessi rendonoimpossibile la celebrazione14.

Il secondo è la consegna della SacraScrittura fatta agli sposi al terminedella celebrazione, dopo la sottoscri-zione dell’atto matrimoniale15. Interes-santissime le parole della rubrica cheillustrano le motivazioni di questascelta: la Parola di Dio, per il ministerodei pastori che sono ministri del Van-gelo, ha illuminato il cammino di pre-parazione16, ha nutrito i fedeli nellamensa della Parola imbandita durantela Celebrazione17, ora ha la funzionedi custodire e accompagnare la vitadella nuova famiglia18.

La ministerialità degli sposi“Gli sposi, in quanto ministri del sa-

cramento, sia pure in correlazione concolui che presiede la celebrazione, par-tecipano in modo attivo a tutta quantala celebrazione. È previsto perciò che indiversi momenti di essa... gli sposi assu-mano un ruolo attivo in particolari se-quenze della celebrazione sacramenta-le”19. Il principio di partecipazione hafavorito l’orientamento a valorizzaremaggiormente l’agire rituale degli spo-si. L’attenzione centrata su di loro eracosì grande che non si prestava atten-zione adeguata alle possibilità ritualiloro offerta tranne quella del consenso.

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Il Rito del Matrimonio in vigore in-dica il modo di far uscire gli sposi da“un’immobilità rituale”20 attraverso lapossibilità di scegliere tra i vari elemen-ti rituali ed eucologici quelli più adattitenendo presente le situazioni, le per-sone e le possibilità logistico-cineticheofferte dal luogo dove si celebra.

Un primo momento di impegno mi-nisteriale degli sposi è la processione alfonte per la memoria del Battesimo21:con questo atto gli sposi riconosconoche se loro sono i soggetti della cele-brazione, il soggetto integrale è la co-munità dei battezzati, l’assemblea pre-sente. Con questo atto gli sposi inten-dono sfuggire a ogni privatizzazionedel sacramento per celebrarlo per Cri-sto, in Spirito Santo e nell’ecclesialità.

Il secondo momento di ministeria-lità degli sposi è la venerazione all’E-vangeliario22, gesto a loro riservato eche storicamente non è una novità as-soluta. “Con tale gesto gli sposi espri-mono il loro legame con la parola diDio e attestano di voler mantenere vi-vo sempre questo rapporto”23.

Altro momento di esercizio ministe-riale degli sposi è la scelta che possonofare, insieme al celebrante, delle lettu-re da proclamare nella celebrazione, lascelta stessa della formula da usare nel-l’esprimere il consenso e per invocarela benedizione.

Il momento peculiare della funzioneministeriale degli sposi si ha nella ma-nifestazione del consenso (delle treformule la seconda è certamente la piùdinamica) in cui la loro “unione coniu-gale viene assunta nell’amore di Cristoe arricchita della forza del suo sacrifi-cio”24 ed “esprimono e partecipano almistero di unità e di amore fecondo

tra Cristo e la Chiesa”25. Questo mo-mento ministeriale degli sposi è sottoli-neato anche dal mutamento della posi-zione degli sposi che solitamente dan-no le spalle all’assemblea in quanto fa-centi parte della stessa insieme con tut-ti gli altri partecipanti, ma nel momen-to centrale del rito, cioè al momentodel consenso, in quanto esercitano ilministero loro proprio, assumono unaposizione di visibilità rispetto all’assem-blea volgendosi l’uno verso l’altro26.

Nella liturgia eucaristica, “alla pre-sentazione dei doni, lo sposo e la sposapossono portare all’altare il pane e ilvino”27 con questo gesto “si portano al-l’Altare il pane e il vino che diventeran-no il Corpo e il Sangue di Cristo”28; ungesto che assume un particolarissimosignificato in quanto gli sposi in questacelebrazione “partecipano dell’allean-za sponsale di Cristo e della Chiesa e ri-cevono la grazia di viverla e manife-starla nel loro rapporto di coppia e nel-la vita familiare29”. Questo segno vuolindicare che gli sposi intendono amarsil’un l’altro “con amore di donazione”30

che sia un riflesso del sacrificio pasqua-le di Cristo.

Conclusione: una ministerialitàarticolata

Nel nuovo Rito del Matrimonio, at-traverso piccole novità, che potrebberoanche passare inosservate, si può sco-prire una visione di Assemblea cele-brante in cui presidenza e ministerialitàsacramentale, debitamente distinte,contribuiscono all’unica celebrazione.

Attraverso l’esercizio di una plurimi-nisterialità si ha il superamento di unavisione ecclesiale antitetica (coniugi enon prete / prete e non i coniugi).

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L’emergere della ministerialità fami-liare ed ecclesiale della coppia non è adanno della ministerialità ordinata, manel comune servizio di testimonianzaalla verità si riconosce anche il valore diogni specifica ministerialità.

L’Unico Amore, di cui i ministri or-dinati e i coniugi sono “sacramen-to”, ognuno nella sua forma propria,è la comune fonte per il servizio, latestimonianza e la comunione eccle-siale.

————————

1 Conferenza Episcopale Italiana, Rito delMatrimonio, LEV, 2004.

2 A. GRILLO, Il matrimonio e la salvezza del-l’altro. Per una teologia liturgica del ritosecondo l’edizione italiana in “Rivista Li-turgica” 6 (2004), p. 1033.

3 Il testo italiano del Rito del Matrimonioprevede sempre, nelle sue forme celebra-tive, la presenza di un ministro ordinato(vescovo, sacerdote o diacono) che accol-ga il consenso degli sposi. Infatti la CEInon ha inserito nel Rito l’adattamento delcapitolo terzo dell’edizione tipica latinadel 1990 sul “Rito del Matrimonio conl’assistenza di un laico” (Rito del Matri-monio – Presentazione n. 3).

4 Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1534.5 L. DALLA TORRE, Ministeri laicali nella cele-

brazione del matrimonio in “Rivista di Pa-storale Liturgica” 3 (1990), n. 160 p. 55.

6 Rito del Matrimonio – Presentazione, n. 8.7 Rito del Matrimonio – Premesse Generali,

n. 12.8 Rito del Matrimonio – Premesse Generali,

n. 14.9 Rito del Matrimonio – Premesse Generali,

n. 16.10 Rito del Matrimonio, Premesse Generali,

n. 13.11 Rito del Matrimonio, n. 46.49.97.101.148.12 Rito del Matrimonio, Presentazione, n. 5.13 Rito del Matrimonio, n. 66.14 Rito del Matrimonio, Premesse generali n.

21.15 Rito del Matrimonio, n. 95. Purtroppo

mentre ci si è impegnati a introdurre l’in-coronazione degli sposi, ignorando che

questa è riservata “ai luoghi dove già esi-ste la consuetudine”, oppure occorre ri-chiedere il “permesso dell’Ordinario” (RMn. 78), non sembra che ci si sia impegnatialtrettanto ad accogliere e attuare questosuggerimento.

16 Rito del Matrimonio, Premesse Generalin. 20.

17 Rito del Matrimonio, Premesse Generalin. 29b.

18 Rito del Matrimonio, Premesse Generalin. 13, 14d.

19 A. GRILLO, Il matrimonio e la salvezza del-l’altro. Per una teologia liturgica del ritosecondo l’edizione italiana, in “Rivista Li-turgica” 6 (2004), p. 1033.

20 S. MAGGIANI, La seconda edizione del “Ritodel Matrimonio” per la chiesa che vive inItalia alla luce dei principi dell’adattamen-to liturgico, in “Rivista Liturgica” 6 (2005),p. 959.

21 Rito del Matrimonio, n. 55, 107; da nonconfondere con quella di ingresso sugge-rita al n. 46; 49.

22 Rito del Matrimonio, n. 63, 114; 23 M. BARBA, Il Rito del Matrimonio. Tra edi-

tio typica altera e nuova edizione italianain “Rivista Liturgica” 6 (2004), p. 990.

24 Rito del Matrimonio, Premesse Generali,n. 7.

25 Rito del Matrimonio, Premesse Generali,n. 8.

26 Rito del Matrimonio, n. 70, 121.27 Rito del Matrimonio, n. 82.28 Ordinamento Generale del Messale Ro-

mano, n. 73.29 Rito del Matrimonio, Presentazione n. 1.30 Rito del Matrimonio, Presentazione n. 4.

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L e troviamo sedute in prima fila,come le dame che assistono allagiostra dei cavalieri, una al pri-

mo banco di destra e una al primobanco di sinistra. Sono la mamma del-lo sposo e la mamma della sposa, conaccanto i loro mariti.

Noteremo nei loro saluti reciprociuna certa convenzionalità: mentre iloro figli si sentono ormai pronti aunirsi per sempre in una cosa sola, trai consuoceri resta sempre una certa di-stanza.

La loro parentela acquisita restalontana, lo stesso nome di “consuo-ceri” non indica neppure un rappor-to diretto tra loro, ma soltanto unruolo condiviso da due coppie. È fa-cile allora che tra loro si chiamino si-gnor…, signora…, mantenendo cosìuna certa distanza. I consuoceri nonsi scelgono tra loro, nulla di strano,quindi, se tra loro non nasca nessuntipo di legame.

In tutti i matrimoni d’Italia si usache sia il padre della sposa ad accom-pagnare la figlia fino all’altare, dovela consegna al braccio dello sposo.Non capita sempre ma la tradizioneha affidato un compito anche allamamma dello sposo: ella può entrareinsieme al figlio in chiesa e attendereal suo fianco l’arrivo della futuranuora.

Tutto qui. Anche la liturgia del ma-trimonio, in realtà, ignora i genitoridello sposo e della sposa. La festa in-fatti è tutta per gli sposi, per la nuovafamiglia che sta nascendo.

Abbandonerai il padre e lamadre

È vero: con il matrimonio nasceuna nuova famiglia. È così da sempre:questo passaggio è osservato nel librodella Genesi (2,24) “…l’uomo abban-donerà suo padre e sua madre e siunirà a sua moglie e i due sarannouna carne sola”.

Il distacco dei genitori è un cammi-no che inizia dall’infanzia, che prose-gue con l’adolescenza e dovrebbe ar-rivare a compimento verso i venti-quattro, venticinque anni… Ma sap-piamo bene che oggi non è così. Peruna serie di motivi, molti dei quali in-dipendenti dalla volontà dei diretti in-teressati, troviamo uomini e donnetrentenni ed ultratrentenni ancora acasa dei genitori.

È una realtà che tutti devono com-prendere: lo sposo e la sposa devonoessere consapevoli che da loro due ènata una nuova famiglia, la loro fami-glia.

I genitori devono capire che il fi-glio o la figlia hanno una loro fami-glia, non appartengono più a quelladi prima.

Questa nascita, come ogni nascita,nella sua grande gioia, comprende ildolore del distacco. C’è infatti il dolo-re di allontanarsi dalla propria fami-glia di origine e il dolore di chi perdela presenza di un figlio in casa. È chia-ro che il primo dolore è ben compen-sato e “travolto” dalla gioia di vivereassieme alla persona che si è scelta per

I genitori degli sposi di Luca Pasquale

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tutta la vita, mentre il dolore del geni-tore non ha questa contropartita. C’èsolo la soddisfazione di vedere il figlioo la figlia felici e – come si dice – “si-stemati”.

La chiamano sindrome del “ni-do vuoto”

Questo dolore dei genitori oggi èoggetto di studi ed è stato chiamatosindrome del “nido vuoto”, ovvero lamalinconia, il senso di assenza cheprende i genitori quando un figlio la-scia la loro casa. Sono soprattutto ledonne a soffrirne, perché improvvisa-mente viene meno il lavoro di cura deifigli che aveva assorbito il loro tempo,le loro energie, il loro slancio affetti-vo. E se, a causa di questo, non aveva-no mai coltivato altre attività e com-petenze, ecco che comprensibilmentela loro casa, ma anche la loro vita, laloro giornata diventano vuote.

La coppia dei genitori degli spositorna al suo principio: a quello che –molti anni prima – avevano desideratocon tutte le loro forze: vivere assieme,loro due. I figli sono venuti dopo. Glianni sono passati, il modo di amarsi ècambiato, lui e lei sono cambiati, la vi-ta stessa e il rapporto con i figli li han-no resi diversi. Ma questa vita a duedeve restare il loro obiettivo.

Si deve arrivare preparati a questomomento, a questa fase di passaggiodella propria vita. Ogni fase di passag-gio è delicata, qualunque sia l’età incui avviene.

Il rapporto dei due genitori si mo-difica. Quando i figli si sposano (oanche vanno via da casa per lavoro,

studio o per vivere da soli) moltecoppie reagiscono positivamente:hanno più tempo da dedicarsi l’unoall’altra, hanno più opportunità percondividere attività ed esperienzegradite a entrambi (cinema, teatro,viaggi…).

Ma se il matrimonio si teneva inpiedi solo per i figli, quando questivanno via i genitori si trovano di fron-te a un rapporto di coppia che non c’èpiù. Purtroppo le statistiche ci parlanodi un alto numero di separazioni e didivorzi che avvengono anche in que-sta fase della vita matrimoniale.

Questo è un vero problema.Ma, attenzione, c’è il rischio che

questo problema, interno alla coppiadi genitori con il figlio o la figlia spo-sati, possa disturbare la nuova fami-glia che si è formata.

Se la vita della coppia con il “nidovuoto” è diventata problematica, eccoche uno dei due genitori rischia di vi-vere come un vero e proprio tradi-mento il fatto che il figlio li abbia la-sciati.

Può scatenare una competizionecon la nuora o col genero il cui fine èdimostrare, anche a se stessi, che ilproprio figlio o figlia non si è resoper niente autonomo, non ha forma-to una coppia adulta con un’altrapersona, ma continua a essere quelloche ha bisogno della mamma o delpapà così come ne aveva bisogno dapiccolo.

Da qui può nascere anche l’inva-denza, il bisogno di entrare in tutto eper tutto all’interno della vita dellacoppia per controllare ciò che accade,per rinnovare il bisogno del figlio fe-difrago, per continuare l’illusione che

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egli non sia cresciuto ma sia parte in-tegrante della famiglia originaria.

Un genitore invadente è sempre unelemento distruttivo per la nuova fa-miglia che ha bisogno, soprattutto neiprimi tempi, di intimità, di crearsi dasola tempi e abitudini.

Una ragazza appena sposata avevapoca dimestichezza con i fornelli. Ilmarito, per lavoro, era sempre fuoriper il pranzo e lei avrebbe mangiatoda sola. La soluzione? I genitori di leisi sono offerti di ospitarla tutti i giornia pranzo. “Mangia da noi” le avevadetto la mamma. Ma quel pranzoquotidiano non faceva altro che ral-lentare la nascita di una nuova fami-glia. “Già vai via?” le dicevano i geni-tori tutti i giorni e la ragazza, per nondar dispiacere ai propri genitori, resta-va tutto il pomeriggio nella casa diorigine, esattamente come quandoera fidanzata. Questo fa capire comeanche le soluzioni più pratiche e fun-zionali non sempre sono le migliori,quelle che veramente aiutano la nuo-va coppia. Diradare i pomeriggi tra-scorsi con i genitori sarebbe stata ladecisione meno pratica ma più saggia.

C’era poi la mamma che aveva ilbuon cuore di portare da mangiare alfiglio e alla nuora. Cucinava per loro,si vestiva e andava a trovarli. Ma an-dava a casa loro la domenica mattinapresto, senza avvisare, senza preoccu-parsi di sapere se erano svegli e… pre-parati per ricevere gente, anche se difamiglia. Nei giorni feriali apriva la lo-ro casa con le chiavi e riempiva il fri-gorifero, naturalmente se trovavaqualcosa fuori posto provvedeva a si-stemarla... a modo suo. Il risultato?Proviamo a immaginarlo. Gli sposi in

casa loro non si sentivano mai liberi,né quando erano presenti, né quandoerano assenti. Di qui le liti su cosa sidovesse fare con la suocera invadente.

Se non ci sono seri motivi, è consi-gliabile non dare ai genitori l’abitudi-ne del “tutti i giorni passo” oppure“tutte le domeniche siamo a pranzoda voi”.

Così come è importante essere indi-pendenti economicamente: megliouna casa piccolissima ma propria, me-glio un appartamento in affitto in pe-riferia piuttosto che una convivenza incasa dei suoceri. Meglio rinunciare acomprare una cosa piuttosto che sen-tirsi in debito per averla ottenuta sen-za fatica dai genitori.

C’è una legge non scritta

Durante il rito gli sposi hanno pro-nunciato il consenso, hanno così ade-rito alle leggi del matrimonio: fedeltà,unicità, apertura alla vita. Ogni coppiasa o, almeno, dovrebbe sapere, che ilrispetto di queste leggi sarà motivo difelicità e serenità.

Nulla è detto riguardo al legamecon le loro famiglie di origine. Ma,salvo i casi in cui vi sono gravi motivi,la regola di una coppia di sposi è quel-la di mantenere i legami con esse.Nessuno deve desiderare la rottura,l’urto o la “chiusura dei ponti”. Anchese fosse il figlio stesso a chiedere unpassaggio simile, è compito dell’altrofar sì che questo non avvenga.

Questa è una regola di vita dellecoppie cristiane, è una legge del ma-trimonio che non è scritta, non vienepronunciata, ma esiste. Il suo rispetto

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fa capire che, anche quando ci si la-menta dei suoceri, non si vuole la rot-tura con loro: si desidera solo maggio-re armonia e rispetto.

“Rispetto” è la parola adatta allasituazione. Non si può pretendere af-fetto e stima da parte dei suoceri e vi-ceversa, ma il rispetto sì.

Se apriamo la Bibbia troviamo pes-simi esempi di suoceri: Lamaro, il suo-cero del patriarca Giacobbe, è unchiaro modello di despota e imbro-glione. Ma troviamo anche bellissimestorie di suocere e nuore: prendiamoil libro di Ruth e della suocera Noemi,il dolore della perdita del marito del-l’una e del figlio dell’altra non le hadivise, ma unite in una storia delicatae bellissima.

Un bell’esempio di invito all’affettoverso i suoceri si trova nel libro di To-bia, quando il padre della sua sposaSara saluta la figlia che parte per spo-sarsi, invitandola a onorare il suoceroe la suocera “poiché da questo mo-mento essi sono i tuoi genitori, comecoloro che ti hanno dato la vita” (To-bia 10,12).

I “miei”, i “tuoi”

È normale che i giovani sposi sianocritici nei riguardi dei loro genitori.Ogni adulto è in grado di riconoscerepregi e difetti di coloro che lo hannomesso al mondo ed educato alla vita.Anche due genitori eccezionali fannoi loro sbagli e i figli, senza dimenticarel’affetto per loro, sanno di poter ave-re la libertà di criticarli.

Se quindi lo sposo può dire maledei propri genitori e la sposa può dire

male dei propri, in ogni coppia scattaun meccanismo particolare: guai a di-re male dei genitori dell’altro. Scattasubito l’istinto di difesa della famigliadi origine. È come se venisse toccatauna parte di se stessi e quindi la difesadiventa un obbligo, come se invece dicriticare i suoceri si criticasse lo sposoo la sposa.

Ma i difetti del genitore non di-pendono dal figlio o dalla figlia.

Una parola da imparare nella cop-pia è “nostro”. Questa parola deve so-stituire la parola “mio” e “tuo”, a me-no che non parliamo di spazzolini dadenti o di biancheria personale… Tut-to il resto nella coppia è da condivide-re: c’è la nostra casa, la nostra macchi-na, le nostre foto, il nostro computer(anche per le cose acquistate da uno eportate dalla casa di origine…)

Anche i genitori dovrebbero diven-tare i “nostri”. Condividere l’apparte-nenza a loro, il legame stretto con lo-ro, ma anche il giusto distacco da loro,la visione il più possibile oggettiva deipregi e dei difetti. I suoceri possonoessere considerati i peggiori soggettidella terra, ma sicuramente hanno ilpregio di aver educato la persona chesi ha accanto. I pregi che si sono sco-perti in lei o in lui sono sicuramenteanche dovuti in parte ai genitori.Quindi non sono certo persone dabuttar via…

Insieme si possono vedere luci eombre nel rapporto con i genitori.Nella coppia si ha infatti bisogno ditutte le prospettive, di quattro occhi,perché i due occhi propri non basta-no.

Riconoscere la sofferenza che i pro-pri genitori provocano nell’altro e ma-

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nifestare la propria consapevolezzadel problema. Ma a volte la solida-rietà non basta: occorrono gesti e pa-role concrete per difendere il propriosposo o la propria sposa, con garboma con fermezza.

Ci sono coppie che affidano il pro-blema a una regola che ricorda la parcondicio televisiva: tante volte vedia-mo i miei, tante volte i tuoi. È una re-gola difficile da rispettare, ma in ognicaso va sempre fatto salvo che il lega-me e la frequentazione non devonomai essere sbilanciati da una parte.Anche i nipotini devono essere messiin condizione di essere affezionati inpari misura a tutti e quattro i nonni.

Quando poi la coppia di giovanisposi litiga ed è in crisi per proprioconto (questa volta non a causa deisuoceri), avviene nella maggioranzadei casi la presa di posizione dei geni-tori in difesa – a volte forzata – delproprio figlio e della propria figlia. Hoincontrato tante suocere e alcuni suo-ceri che mi hanno raccontato la crisimatrimoniale dei loro figli. Tra tutti,ho trovato solo una suocera che davala colpa della crisi al proprio figlio: untossicodipendente pregiudicato perrapina, furto e spaccio di sostanze stu-pefacenti. Mi diceva che la nuora, po-verina, “era una santa donna, che an-cora non aveva chiesto il divorzio daquel mascalzone”.

Sarò nonno, sarò nonna

Fino a quando gli sposi sono indue, la competizione tra consuoceri èquasi nulla. L’oggetto del contenderenon è comune. Ma nel momento incui l’oggetto di sfida, in questo caso il

bambino, diventa uno, allora la garatra nonni si apre. Quale nonno nonteme che il nipotino si leghi di più aglialtri? Quale nonno non osserva il com-portamento dei consuoceri nei riguar-di del nipotino per potersi adeguare aquello che fanno loro?

Si rischia una guerra pericolosa. Sipuò fare la guerra contando le ore incui il nipote viene affidato agli uni oagli altri, la fiducia riposta negli unio negli altri (a lei lo lasciano a dormi-re, a me mai; a lei lo fanno portaredal pediatra, a me mai…), i regali – eil loro valore economico – per il ni-potino nelle feste canoniche o fuoridai canoni.

La complicazione della compli-cazione

Trovate tutto questo complicato?Sì, indubbiamente è complicato. Semolti matrimoni falliscono perchénon si riesce a gestire il rapporto conle famiglie di origine significa che sitratta di una questione veramentedifficile. Vogliamo complicare ulte-riormente le cose complicate? È faci-le, ed è sempre più frequente. Se isuoceri fossero entrambi divorziati erisposati non saranno più quattro maotto, otto persone diverse (ci rendia-mo conto?). Oggi c’è chi parla bene diqueste famiglie allargate secondo lalogica del “siamo tanti e quindi stia-mo bene”, senza rendersi conto che ilegami familiari, di sangue o di pa-rentela, sono una questione estrema-mente delicata che non si risolve conla semplice equazione: siamo parte diun’unica famiglia.

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‘Chi possiede la sposa è lo sposo;ma l’amico dello sposo,che è presente e l’ascolta,esulta di gioia alla voce dello sposo’

(Gv 3, 29)

Dalla liturgia …

I l Rituale del Matrimonio (RM)menziona i testimoni ai nn. 46-94,98-146, 148-170, rispettivamente

per i tre tipi di celebrazione prevista:il Matrimonio durante la celebrazioneeucaristica, nella celebrazione dellaParola e tra una parte cattolica e unaparte catecumena o non cristiana. Taliindicazioni rubricali si riferiscono amomenti pre e post celebrativi; infat-ti, nelle prime (nn. 46, 98, 148) si ri-manda alla possibile consuetudine chegli sposi, prima della celebrazione, sia-no accompagnati dai genitori e dai te-stimoni al luogo loro preparato:

“Si svolge quindi la processione al-l’altare: precedono i ministranti, se-gue il sacerdote, quindi gli sposi. Que-sti, secondo le consuetudini locali,possono essere accompagnati dai ge-nitori e dai testimoni al luogo prepa-rato per loro…” (n. 46).

Nelle seconde, invece, (nn. 94, 146,170) si richiama la compilazione e sot-

toscrizione dell’atto di Matrimonio altermine del rito:

“Si dà lettura dell’atto di matrimo-nio. Quindi gli sposi, i testimoni e il sa-cerdote lo sottoscrivono: le firme pos-sono essere apposte sia davanti al po-polo sia in sacrestia: mai però sull’alta-re” (n. 94).

Pertanto, dal punto di vista liturgi-co, l’incidenza dei testimoni è quasidel tutto assente. Si rileva, infatti, solola loro possibile partecipazione allaprocessione d’ingresso insieme con iministranti, il sacerdote gli sposi e i lo-ro genitori.1

… attraverso il diritto …

Altra, invece, è l’importanza che itestimoni rivestono dal punto di vistagiuridico.

Il Codice di Diritto Canonico (CIC)menziona i testimoni matrimoniali in al-cuni canoni (1105 §§ 2-3; 1108 § 1; 1116;1121 §§ 1-2; 1131 2°). Quelli che a noiinteressano più da vicino sono i cann.1108 e 1116 che trattano della ‘formadella celebrazione del Matrimonio’.2

Il can. 1108 § 1 CIC presenta la co-siddetta forma canonica ordinaria erecita:

Testimoni dell’Amore NuzialeI testimoni di Nozzenella Celebrazione Liturgica di don Riccardo Aperti

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“Sono validi soltanto i matrimoniche si contraggono alla presenza del-l’Ordinario del luogo o del parroco odel sacerdote oppure del diacono de-legato da uno di essi che sono assi-stenti, nonché alla presenza di due te-stimoni, […]”

Nel can. 1116 CIC è indicata la for-ma straordinaria, o meglio, la formacanonica in casi straordinari:

“§ 1. Se non si può avere o andaresenza grave incomodo dall’assistentecompetente a norma del diritto, colo-ro che intendono celebrare il vero ma-trimonio, possono contrarlo valida-mente e lecitamente alla presenza deisoli testimoni:

1° in pericolo di morte;2° al di fuori del pericolo di morte,

purché si preveda prudentemen-te che tale stato di cose dureràper un mese.

§ 2. Nell’uno e nell’altro caso, se viè un altro sacerdote o diacono chepossa essere presente, deve esserechiamato ad assistere, insieme ai testi-moni, alla celebrazione del matrimo-nio, salva la validità del matrimonio inpresenza dei soli testimoni.”

Il CIC, pertanto, distingue una du-plice forma giuridica (per situazioniordinarie e straordinarie) e stabilisce ilprincipio fondamentale per il qualesono validi per sé ‘in foro conscien-tiae’ e ‘in foro externo seu iuridico’soltanto quei matrimoni che si con-traggono in facie Ecclesiae, vale a direcon l’assistenza qualificata dell’Ordi-nario o del parroco del luogo in forzadel loro ufficio, oppure, di un sacerdo-

te o di un diacono delegato a tal finedall’uno o dall’altro, e simultanea-mente dalla presenza di due testimo-ni.

La forma prevista dal RM è logica-mente questa, vale a dire, quella ordi-naria, prevista dal can. 1108 CIC § 1.

Se per il ministro sacro assistente innome della Chiesa si tratta di una pre-senza attiva, quella dei testimoni èuna presenza limitata a seguirne devisu e de auditu lo svolgimento del-l’atto celebrativo.

Essi non sono qualificati in nessunamaniera, né per quanto riguarda l’età,il sesso, la religione, la situazione mo-rale, ecc… Di conseguenza, per esseretestimoni durante la celebrazione delMatrimonio è sufficiente che le perso-ne siano capaci di percepire quantosta accadendo nel momento della ce-lebrazione e quindi di poter testifica-re.

Questo è il requisito più importan-te.

Si tratta per loro solo di far fededell’avvenuta celebrazione del Matri-monio. Pertanto, possono far da testi-moni anche acattolici e non battezza-ti. Non è neppure necessario che sianodesignati formalmente al loro compi-to, né che abbiano l’intenzione diesercitarlo, ma solo che siano capaci diintendere e di volere e che al momen-to della celebrazione siano presenti epercepiscano ciò che sta accadendo.

Va da sé, tuttavia, l’opportunità diaffidare questo ufficio a persone cat-toliche. Altrimenti verrebbe meno l’u-nica pista liturgico-celebrativa prevista

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dal RM che li vede parte della proces-sione iniziale: che senso avrebbe il lo-ro procedere verso l’altare se la lorofede non fosse quella in Cristo Signo-re? Che senso avrebbe compiere ungesto liturgico ‘finto’, falsificato nelsuo nucleo dall’assenza di fede di co-loro che lo pongono?

… per la vita …

È per tale motivo che a questopunto tentiamo una lettura liturgico-spirituale della figura e della presenzadei testimoni durante il rito del Matri-monio.

Molto più della scelta di padrini emadrine per i sacramenti del Battesi-mo e della Confermazione, quella deitestimoni di Matrimonio riguarda per-sone particolarmente significative nel-la vita e nell’affetto degli sposi.

Ciò potrebbe essere la base per ca-ratterizzare meglio l’aspetto spiritualee teologico della loro scelta e per con-notare più adeguatamente, dal puntodi vista liturgico, la loro presenza du-rante la celebrazione.

Il nuovo RM, infatti, prevede il ritodella ‘memoria del Battesimo’ comefondamento teologico del consensodei nubendi. In forza del loro sacerdo-zio battesimale, gli sposi partecipanoal mistero pasquale dell’alleanza: essicelebrano oggi (nel presente) ciò cheper loro hanno professato e creduto irispettivi genitori (nel passato), e ciòche dalla celebrazione inizia comecammino di fede, speranza e carità(per il futuro).

La ripresa, all’interno dell’Ordo,del cammino di iniziazione ai mistericristiani è il punto di partenza pertentare di qualificare da questo pun-to di vista l’azione e la presenza deitesti di nozze. Un recupero che è cer-tamente da ‘inventare’ in senso pa-storale, e che probabilmente potreb-be consistere in una sfida interessan-te.

Certo è che il legame celebrativo eteologico con il Battesimo pone il sa-cramento del Matrimonio nella lucedel compimento, a livello vocazionale,di un seme gettato nel passato. Inne-stare in questo contesto anche la pre-senza dei testimoni potrebbe caratte-rizzare ancora meglio questa dimen-sione che il RM ha voluto sottolinearee rivitalizzare.

Scelti dagli sposi per il loro passato,che li ha legati fortemente a loro, i te-stimoni sono lì, nell’oggi liturgico, perdire la loro condivisione e la loro ami-cizia. Perché, dunque, non coinvolger-li come compagni nel percorso di vitadegli sposi stessi, quasi in uno statutodi ‘padrini/madrine di nozze’? Sareb-be utile (e forse anche necessario) ri-cuperare il sacramento del Matrimo-nio come una tappa significativa di uncammino di iniziazione cristiana: pun-to di arrivo di una storia e punto dipartenza di una nuova esperienza difede.

Pastoralmente parlando si potreb-be far leva sull’amicizia particolareche ha legato e lega gli sposi ai testi-moni per ‘cementare’ nel futuro unrapporto spirituale con la nuova fami-glia nata dal sacramento.

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Va da sé che la scelta dei testimonidovrebbe essere tale da qualificarlicome persone ‘maggiori’, ‘adulte nel-la fede’. Persone capaci di assumersiun compito delicato e insieme impor-tante: confidenti e compagni di vitadegli sposi ora che la loro vita ha ri-cevuto un nuovo orientamento voca-zionale.

È, qui, di riferimento la figura bibli-ca dell’ ‘amico dello sposo’ (Gv 3,29).Persona sulla cui fedeltà, presenza ediscrezione si faceva affidamento.

La scelta dei testimoni e la loropresenza / azione nella celebrazionematrimoniale, al di là di ogni valenzagiuridica, potrebbe essere, pertanto,un momento pastorale significativoperché la loro non sia solo ‘presenzatestimoniale’, ma ‘azione testimonia-

le’, accompagnatrice della fede pro-fessata dagli sposi.

Ci soccorre ancora una volta, allafine di queste considerazioni, il pen-siero puntuale e profondo della Chie-sa espresso al n. 9 delle Premesse Ge-nerali del RM:

“[…] Non si deve pensare che [il Ma-trimonio] si esaurisca con la celebrazio-ne. Esso investe tutta la vita degli sposi[…]. L’accompagnamento mistagogicorisulta necessario per rafforzare la ca-pacità di dialogo tra gli sposi, offrire oc-casioni di confronto e sostegno tra cop-pie di sposi, rendere gli sposi coscienti eresponsabili del proprio ruolo nellaChiesa e aiutarli a vivere il loro ministe-ro in armonica collaborazione con tuttigli altri ministeri”.

————————

1 L’accompagnamento degli sposi, secon-do le consuetudini locali, da parte deigenitori e dei testimoni, potrebbe facil-mente tradursi, giunti al luogo prepara-to per i nubendi, in una serie di inter-venti, non solo necessari e dovuti (comead esempio la sistemazione del vestitodella sposa), ma in azioni capaci di oscu-rare il senso genuino dell’andare incon-tro a Cristo significato dal movimentoprocessionale all’altare (es: scambio de-gli sposi da parte dei genitori, fotogra-fie in posa, svelamenti, ricomposizionedel trucco…). La processione si trasfor-merebbe in una marcia di trasferimentoda un luogo a un altro, ancora una vol-

ta in balìa degli stop o delle ‘pose’ for-zate prescritte dal maestro delle ceri-monie fotografiche, più attento ai ‘fuo-ri fuoco’ che al senso di quanto si sta fa-cendo e celebrando. Se nella regia cele-brativa si scegliesse di utilizzare questaforma di ‘processione allargata’, sareb-be bene prepararla e concordarla pre-viamente con i vari partecipanti e con ilfotografo stesso.

2 Il can. 1105 CIC tratta del matrimonioper procura e i cann. 1121 e 1131 CICdelle annotazioni da porre per iscrittosuccessivamente alla celebrazione in ca-si particolari.

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tutta questa faccenda. Alla fine daròqualche idea su come si possano tro-vare nuovi spazi per la musica nel ritodel matrimonio con attenzione alle in-novazioni apportate dall’introduzionedel nuovo rito del matrimonio..

Il matrimonio cristiano nellanostra società

Le osservazioni che farò possonoessere fatte da chiunque osservi conun pizzico di buon senso quanto ci cir-conda. Sappiamo che il matrimoniocelebrato secondo le consuetudini del-la Chiesa cattolica romana prevedeuna parte sacramentale e una parteistituzionale. Lo spostamento di ac-cento sull’uno o sull’altro aspetto nelcorso della storia ha denotato partico-lari visioni del matrimonio stesso. Tal-volta si è molto sottolineato l’aspettodel matrimonio come “contratto”, co-me evinciamo da questo testo: “La ca-ratterizzazione del matrimonio comecontratto giunge fino alla codificazio-ne del 1917; in essa l’istituzione coniu-gale viene considerata come ‘contrat-to matrimoniale’ (can. 1012, 2). Il cam-biamento avviene nel Codice di dirittocanonico del 1983, in cui il matrimo-nio passa ad essere compreso come‘alleanza matrimoniale’. Si tratta nonsolamente di un cambiamento termi-nologico, ma pure – e soprattutto – diuna variazione semantica”.1 Questocammino lungo quasi 80 anni ha comemomento centrale la svolta del Conci-lio Vaticano II, che ha introdotto unaconcezione centrata più sulla personanel matrimonio che sull’elemento con-

La musica nel nuovo rito del matrimoniodi Aurelio Porfiri

P osso assicurare che dopo aversuonato a centinaia e centinaiadi matrimoni e dopo aver parte-

cipato a uno di questi come (non invo-lontario) co-protagonista, una ideaben precisa del rapporto che c’è at-tualmente tra la musica liturgica e ilrito del matrimonio me la sono fatta.La prima constatazione che faccio puòsembrare contraddittoria: non credoche sia utile parlare in prima battutadi musica liturgica per il rito del matri-monio. Voglio sperare di non far partedi quel gruppo di musicisti di chiesache pensa di risolvere “tutti i mali delmondo” (la crisi della “musica sacra”)non riuscendo a vedere al di là deineumi e dei tactus. Il buon senso midice che non si può risolvere il proble-ma della musica liturgica partendodalla musica, semplicemente perché ilproblema ha origini diverse, parte daaltre fonti, che inevitabilmente si ri-verberano nell’aspetto musicale-litur-gico della questione. È come quandouno ha un problema con il cuore e glifa male anche il braccio: nessun medi-co coscienzioso curerebbe il braccio,perché l’origine del dolore è altrove. Edov’è l’origine di questo dolore? Nonè semplice a dirsi, ma sicuramentel’ambiente sociale ha un ruolo fonda-mentale nella formazione dei giudizi(e soprattutto dei pre-giudizi) dell’in-dividuo. Credo quindi, che si possa in-nanzitutto dare uno sguardo al matri-monio per come è vissuto nella nostrasocietà, avvicinandoci poi a come glisposi cristiani vivono il rito e di conse-guenza quale posto ha la musica in

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trattuale: “Detto brevemente, secon-do il Vaticano II, il matrimonio è unarelazione interpersonale; l’associazio-ne dei coniugi e la procreazione sonodue valori che in esso si giustappon-gono, senza che si attribuisca egemo-nia alcuna né all’uno né all’altro. LaGaudium et spes ha conferito alla co-munità coniugale il duplice significatodi relazione interpersonale e di fecon-dità, di amore e di procreazione. Spa-rirebbe così dalla dottrina canonicadel matrimonio il famoso dualismo in-trodotto da Agostino”.2 Dunque si èfavorita la visione dell’alleanza matri-moniale, che come sappiamo è splen-dida immagine anche dell’alleanza traCristo e la sua Chiesa. Questa splendi-da visione sponsale, che trova il suocanto più alto nel libro del Cantico deiCantici, potremmo così strutturarla:Cristo sposo e Chiesa sposa, matrimo-nio umano, Dio e l’anima. Questa se-rie di alleanze trovano nell’umanitàdel matrimonio cristiano un ancora-mento che è sì carnale e terreno, mache sembra pronto a disancorarsi dallasua necessaria umanità per vivere diquesto mistero che è l’amore di Dioper noi. Quanto detto fino ad ora,penso che tutti lo troviamo molto bel-lo, ma bisogna farsi una domanda sco-moda: quanto di questo entra vera-mente nei concreti matrimoni che sicelebrano oggi? Gli sposi sono consa-pevoli di questo? Sentono che questoli interpella? Credo che la risposta de-ve essere negativa su tutti i fronti. Equesto per varie ragioni. Innanzituttoall’altezza degli ideali proposti do-vrebbe corrispondere l’altezza delleaspirazioni di coloro a cui sono propo-sti. Non dimentichiamo che nella no-stra società le persone sono meno in-dipendenti di quello che pensiamo.

Spesso non hanno difese di fronte allamartellante campagna dei mass mediache ci dice che la felicità consiste nel-l’essere sempre giovani, sempre ecci-tati, ricchi e potenti solo perché bravia giocare a calcio, ci dice che tutto è anostra disposizione. Più o meno que-ste sono le aspirazioni a cui veniamoformati. Pochi si ritraggono e moltisubiscono. Questo non si lega moltobene con alcuni aspetti del matrimo-nio, quegli aspetti che costano più pa-zienza e sopportazione. Tua moglie otuo marito invecchia? Non è giusto,prenditene uno più giovane, devi vi-vere la tua gioventù fino a che hai 80anni…

C’è poi la questione del fidanzamen-to, il tempo della preparazione. Permolti (vorrei dire moltissimi), quando siarriva al matrimonio già si è moltoavanti con la conoscenza reciproca (abuon intenditor…). È giusto, è sbaglia-to? Sta di fatto che è così. Chi nega que-sto fatto, non vive in mezzo alla gentenormale, ma in un mondo ideale chesarà anche bello ma che ha il non tra-scurabile difetto di non essere vero. Siarriva al matrimonio quando il tempofisiologico della passione sta quasi perpassare. Allora molti, quando si vedonosenza più quell’attrazione forte che c’e-ra nei tempi precedenti, si preoccupano.Si legge ogni giorno sui giornali di atto-ri, attrici, calciatori, veline e via dicendoche si separano dai rispettivi coniugi di-chiarando costernati che non c’era piùla passione di un tempo (magari dopo 6mesi). Ma non ci deve essere la passionedi un tempo! Questa si trasforma in al-tro, che è diverso, ma non per questopeggiore! Se non si lavora sulla propriavita di coppia è certo che questa andràa morire. È come una pianta fiorita: senon la innaffiamo regolarmente, i fiori

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inevitabilmente muoiono. Ma se unapassione finisce, perché darsi pena se ilmondo ti promette che ne puoi averequante ne vuoi?

L’ideale cristianoL’ideale cristiano è molto alto. Pro-

prio per questo, credo, nel passato si èmolto insistito sull’aspetto “contrattua-le”, per dare comunque un elemento fa-cilmente comprensibile a persone chedifficilmente afferrano concetti come“alleanza matrimoniale”, “valore uma-nizzante dell’amore coniugale” e via di-cendo. L’aspirazione di molte coppie èquella di unirsi stabilmente con un’altrapersona con cui ci si trova particolar-mente bene, avere dei figli e un buon la-voro, e che Dio ce la mandi buona… Intutto questo non c’è niente di male, cer-tamente; ma da qui a fare il salto versol’ideale cristiano ce ne vuole. E non sipretende che lo si viva immediatamente(sarebbe il massimo) ma almeno che sene capisca la grande importanza.

Nel nuovo rito del matrimonio unacosa ha particolarmente colpito la stam-pa: la Chiesa avrebbe riconosciuto comenecessaria una gradualità nella celebra-zione dei matrimoni, riconoscendo chemolte persone oggi, pur volendo spo-sarsi in chiesa, non hanno in nessun mo-do una vita di fede o l’hanno molto te-nue. Trovo molto saggio accettare que-sta situazione. Perché ci si sposa in chie-sa? Perché fa parte della cartolina del“giorno più bello della tua vita”: l’abitobianco, l’Ave Maria, il riso fuori dallachiesa… Non è per tutti così, ma onesta-mente è così per una buona percentua-le di persone (sicuramente superiore alcinquanta per cento). Non ci nascondia-mo che la nostra società non è una so-cietà cristiana come lo era un tempo;farsi carico di questo vuol dire solo ave-

re buon senso: “Nel contesto della di-scussione sull’atteggiamento pastoralenei confronti dei divorziati cattolici ri-sposatisi, il presidente della Congrega-zione per la Dottrina della Fede, J. Rat-zinger [ora papa Benedetto XVI], ha fat-to cenno a una proposta alternativa cheva in direzione contraria a quella uffi-ciale. Nella Introduzione che il cardinalepremette al libro Sulla pastorale dei di-vorziati risposati. Documenti, commentie studi (Vaticano, 1998), appare il se-guente paragrafo, che non è passatoinosservato tra gli specialisti: “È necessa-rio, al contrario, studiare in profonditàla questione se i cristiani non credenti –battezzati che mai sono stati credenti oche non credono più in Dio – possanoveramente contrarre un matrimonio sa-cramentale. In altre parole: è necessariochiarire se veramente ogni matrimoniotra battezzati sia ‘ipso facto’ un matri-monio sacramentale”.3

Dalla cultura alla liturgiaDopo aver sorvolato sul quadro cul-

turale in cui i nubendi si trovano, possia-mo facilmente intuire come si troveran-no ad affrontare il momento liturgicodella loro unione. Sappiamo bene che fi-no al Vaticano II la liturgia non era cosaper laici, ma era il recinto in cui solo ichierici avevano accesso. Questo stato dicose che il Vaticano II ha cercato di mo-dificare4 è ancora ben lungi dall’esserepienamente riparato. I laici ancora consi-derano la liturgia come cosa da preti eanche molti sacerdoti non mi sembranoconvinti che ai laici bisogna dare un piùlargo spazio. Quindi, poggiato su questoequilibrio del nulla, si continua a lasciareinattuate molte istanze che la riforma li-turgica portava avanti. Essendo gli sposilaici, sono pienamente coinvolti in que-sta faccenda. Hanno spesso una idea del

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rito molto vaga. Ho parlato con moltissi-me coppie che preparavano il matrimo-nio, per la scelta del repertorio musicale.Una piccola parte sapeva di cosa stava-mo parlando, la gran parte mi dice di fa-re da solo perché tanto so come vannofatte queste cose (frase che qualche vol-ta serve a nascondere elegantemente ilfatto che loro non saprebbero da dovecominciare); e poi ci sono quelli che, purnon sapendo nulla di liturgia o sapendopoco (che è anche peggio), pretendonodi fare una riforma della riforma perl’occasione del loro matrimonio. Ma co-me si può pretendere diversamente se lavita liturgica non è vissuta pienamentefin da bambini, se non è fatta amare ecomprendere, se è sentita solo come ilprecetto da assolvere, come se fosse unabolletta da pagare? Il problema non sirisolve facilmente con i corsi pre-matri-moniali o con qualche sporadica lezionedi liturgia: bisogna veramente che ci sifaccia carico delle istanze della riformaliturgica, tra le quali c’è il maggiore coin-volgimento dei laici nella celebrazione.

Dalla liturgia alla musicaVi confesso una cosa: se una coppia

di ragazzi normali, che ascoltano quelloche tutti ascoltano e vedono quello chetutti vedono viene da me e mi dice chevuole un matrimonio tutto con musicarinascimentale, dubiterei della loro sa-nità. Non sarebbe normale, sarebbe in-naturale. Non che al sottoscritto dispia-cerebbe, ma mi rendo conto che la com-petenza musicale comune è ben al difuori non solo della musica “sacra”, maanche della musica classica. Il mondomusicale di gran parte della gente èquello delle canzoni, della musica pop.Questo è un altro fatto contro cui si puòinveire ma che è inutile negare. Nellepremesse al rito del matrimonio viene

chiesto che i canti siano adatti alla cele-brazione matrimoniale e che esprimanola fede della Chiesa. Questo è moltogiusto ma come conciliare la cultura del-le persone che chiedono la celebrazionedel matrimonio con quello che dovreb-be essere una buona “sonorizzazione”del rito liturgico? Questa è naturalmen-te la questione che si dibatte da decennitra i liturgisti. Anche l’annosa questionedell’Ave Maria è intimamente connessa.Perché la gente tiene tanto all’Ave Ma-ria? Non tanto per un fatto musicale, se-condo la mia opinione. L’Ave Maria è di-venuta un segnale rassicurante (comel’abito bianco, le marce nuziali…) che,mi si permetta l’affermazione, dà vali-dità emotiva al matrimonio. Non entronella questione della liceità di questobrano,5 ma voglio cercare di capire per-ché la gente ci tiene tanto. Essa rappre-senta quel catalizzatore emotivo chepermette la commozione, anzi, che lafavorisce. Questo bisogno di “sfogoemotivo” va tenuto in buon conto nelmomento della catechesi pre-matrimo-niale; è un fattore psicologico importan-te che non va sottovalutato.

Per cercare di elevare il livello dellamusica nella celebrazione del matrimo-nio, perché in uno degli ultimi incontricon gli sposi non li si fa incontrare con ilmusicista della parrocchia che, facendoalcune proposte di canti o musiche per ilmatrimonio, spieghi alle coppie il lorosignificato nell’ambito del rito?6

Musica nel nuovo rito del ma-trimonio

Il nuovo rito del matrimonio presen-ta la memoria del battesimo all’iniziodella celebrazione. Si può eseguire uncanto adatto durante l’aspersione. Sug-gerirei, visto che spesso si tratta di unmomento breve, di proporre una accla-

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mazione con testo che può essere“Cantiamo al Signore con la nostra vi-ta” oppure “Il Signore è mia luce e miasalvezza” o altro. Non proporrei uncanto per intero, ma farei in modo chequesta acclamazione (anche su testopiù breve, se necessario) sia ripetuta co-me un mantra dall’assemblea che par-tecipa al rito del matrimonio. Non sipretenda troppo, si chieda solo di ripe-tere cose semplici e molto orecchiabili.Si faccia in modo che gli sposi possanoimparare questi brevi ritornelli primadel matrimonio, in modo da poter dareil buon esempio. Il parroco insista sulfatto che, se viene richiesto un cantore,deve essere in grado di poter proporreinnanzitutto il salmo responsoriale.7

Il buon senso mi fa pensare che nonsia il caso di pretendere molti canti du-rante la celebrazione. Mi accontentereiche la gente possa cantare la breve ac-clamazione al rito dell’aspersione, il ri-tornello del salmo, l’acclamazione alvangelo e il Santo. Considerando che lamedia degli invitati di solito non ri-sponde a nulla durante la messa, que-sto sarebbe già un grande successo. Peril resto delle musiche da proporre, chein questo caso sarebbero strumentali,

farei in modo che gli sposi possano con-siderare altre opzioni, oltre alle solitestabilite dalla “tradizione”. Ho consta-tato che spesso gli sposi non considera-no altre opzioni semplicemente perchénon le conoscono. Si può trovare nel re-pertorio organistico brani semplici e dieffetto alla portata anche di organistidi media preparazione.

Al momento dello scambio delle pro-messe si usa ora la formula “accolgote”. Questo è un elemento catechisticoimportante anche per spiegare l’approc-cio che si deve avere alla liturgia (e allasua musica). Accogliere vuol dire farespazio in se stessi per un altro; così si de-ve chiedere che si faccia spazio al rito,che si tenti di accoglierlo nella propriaanima, innanzitutto comprendendolo ecomprendendone il senso. Bisogna invi-tare gli sposi ad aprirsi mentalmente, asuperare per un po’ le loro prevedibiliesitazioni. Dovrebbe essere compito de-gli uffici liturgici proporre un piccologruppo di persone che, mancando “per-sonale adatto” nelle parrocchie, possa-no partecipare a uno degli incontri pre-matrimoniali spiegando tutto questo,pronti anche a rispondere alle varieobiezioni prevedibili delle coppie.

————————1 M. VIDAL, Il matrimonio tra ideale cristiano e fragi-

lità umana, Queriniana, Brescia 2005, p. 118.2 J. BERNHARD, “Dalla vita alla legge. A proposito del

diritto matrimoniale e della relativa legislazione”(“Concilium”, 5/1996) in M. VIDAL, op. cit., p. 121.

3 M. VIDAL, op. cit., p. 264.4 Per la verità storica, preceduto dal lavoro inces-

sante del movimento liturgico e preparato an-che da insigni protagonisti della vita ecclesialedel XX secolo.

5 Mi permetto di osservare una cosa: come proi-bire l’Ave Maria per la sua origine profanaquando in molti repertori parrocchiali si trova-

no canti per la liturgia presi da musical o dacanzoni pop? Anche qui il discorso parte da piùlontano che dal rito del matrimonio….

6 Immagino che alcuni commenteranno: ma ilmusicista della parrocchia spesso ne sa menodegli sposi…anche questo è un problema gran-de, il discorso si amplierebbe a dismisura.

7 Basta dire ai cantori che se vogliono lavorare inquella parrocchia devono un po’ allargare il lo-ro repertorio. In fondo ci sono alcuni salmi re-sponsoriali proposti nel rito del matrimonio,basta impararne due o tre e averli a disposizio-ne per le celebrazioni.

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L a risposta sembra facile: i cristia-ni si sposano in chiesa. In realtànon è così semplice, e non mi ri-

ferisco al fatto che il matrimonio siapassato nel corso dei secoli dalla casapaterna alla “facies ecclesiae”, per poientrare in chiesa e trovare – oggi – lasua abituale collocazione nella celebra-zione dell’Eucaristia o in una celebra-zione della Parola. In questo interven-to ci atterremo all’attualità, fotogra-fando contesti e situazioni che sembra-no richiedere un ripensamento e un in-tervento.

Con un po’ di pessimismo, qualchepastore noterebbe forse la contraddi-zione per cui molti non cristiani chie-dono di sposarsi in chiesa, mentre alcu-ni cristiani vorrebbero sposarsi altrove.Ci sono certamente pochi casi che ecce-dono il limite della stravaganza: coppiecon il passatempo delle immersioni chevorrebbero sposarsi sott’acqua, speleo-logi che sognano anfratti e speloncheinaccessibili, qualche amante dell’ariache vorrebbe sposarsi in volo, sospesoal paracadute. Naturalmente queste ri-chieste non vengono assecondate.Analoga risposta negativa incontra –almeno a Roma – la richiesta di sposareall’aperto, in luoghi più o meno im-provvisati: il semplice tavolino trasfor-mato in altare e posto sotto un pergo-lato di glicine nel giardino della villa odel ristorante, più frequentemente lospazio esterno che alcuni parroci diluoghi di villeggiatura hanno attrezza-to stabilmente per la celebrazione, siaper ovviare al disagio del caldo estivo,

sia perché la piccola chiesa, più che suf-ficiente nel resto dell’anno, non po-trebbe contenere i numerosi turisti diluglio e agosto. Di fronte a queste ri-chieste, in primo luogo va spiegata aglisposi la differenza tra la liturgia cattoli-ca e gli usi di alcuni gruppi protestantiamericani, che da noi non hanno se-guaci, ma i cui usi in fatto di matrimo-nio passano nell’immaginario collettivoattraverso un gran numero di film; insecondo luogo occorrerà illustrare il va-lore simbolico dell’edificio chiesa cheper lo più è misconosciuto: per chi chie-de le nozze all’aperto spesso la chiesa,è solo un edificio un po’ demodé e co-munque troppo usuale (in chiesa ci sisposano tutti!), il cui tetto sottrae glisposi alla romantica luce del sole. C’èpoi il fascino della città d’arte o dellagemma paesaggistica – Roma, Firenze,Venezia come Ischia, Capri, Taormina –in cui le curie diocesane registrano nu-merose richieste di stranieri che nonhanno alcun legame con il territorio(quasi sempre neppure la conoscenzaminimale della lingua), ma che nel loroItalian dream vagheggiano un matri-monio di sogno in una cornice indi-menticabile. Che poi il sacerdote cele-bri l’Eucaristia in tedesco, in italiano oin latino, che faccia l’omelia (compresada quanti?) o si limiti a dire Best wishes– herzliche Glückwünsche e a chiamarel’applauso dei presenti (fedeli?), chespesso veda gli sposi per la prima voltaal loro ingresso in chiesa, che deva de-streggiarsi tra foglietti con traduzioniimprobabili dei testi biblici e lettori

Dove si sposano i cristiani di Adelindo Giuliani

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madrelingua o presunti tali, tutto que-sto è percepito come dettaglio secon-dario, che di solito non intacca mini-mamente l’entusiasmo degli sposi.

Ma veniamo finalmente a coloroche vogliono sposarsi nella chiesa.Quale? Se fino a qualche decennio faera piuttosto ovvia, soprattutto nei pic-coli centri, la scelta della parrocchia,oggi non è più così. La normativa cano-nica per lo svolgimento delle pratichepropone tre possibilità: la parrocchiadello sposo, quella della sposa o quelladi futura residenza della coppia. Sicomprende il valore di questa norma ela logica vorrebbe che tale criterio ve-nisse considerato anche per la sceltadel luogo di celebrazione. Ma anchequi ciò che è ovvio per il pastore nonsempre lo è per gli sposi, che possonoessere toccati da altri luoghi, portandomotivazioni varie e di diversa consi-stenza. Occorre distinguere tra caso ecaso: una cosa è la fascinazione esteti-ca per la chiesa monumento, altro è unlegame affettivo che tocca la famigliae qualche volta la storia umana e di fe-de di uno o di entrambi: la chiesa dovesi sposarono i genitori, la chiesa delbattesimo, la chiesa dove i nubendi siconobbero perché parte dello stessogruppo o coro... Lo stesso luogo puòessere significativo per alcuni, inoppor-tuno per altri: la cappella di un anticopalazzo nobiliare sembra proprio daescludere se si tratta di un noleggio aterzi, ma se lo sposo è il fortunato ram-pollo dalla dinastia patrizia che abitaquel luogo da secoli, come si potrebbenegargli il matrimonio nella cappelladove si sono sposate generazioni di an-tenati? Chi scrive partecipò anche a unmatrimonio celebrato, con la necessa-

ria dispensa del vescovo, nella cappelladi un monastero di clausura: la sposaera la sorella di una giovane monacacarmelitana e la celebrazione – toccan-te nella sua semplicità – vide riunitenella coralità della preghiera liturgicale famiglie degli sposi, la famiglia mo-nastica, la comunità giovanile in cui idue giovani erano cresciuti e che quelgiorno si era trasferita in massa nellacappellina del Carmelo.

Certo, una felice eccezione, ma an-che il semplice desiderio di celebrare lenozze in un luogo bello e significativoè tutt’altro che da biasimare: la metafi-sica classica insegna che il bello è unaproprietà trascendentale dell’essere(unum, verum, bonum, pulchrum). Èinutile nascondersi dietro un dito: nonsono in questione solo le parrocchieche per povertà e necessità momenta-nea sono ospitate in scantinati; ci sonoanche molte chiese, costruite per lo piùnel corso dell’ultimo secolo, tanto pri-ma quanto dopo il Concilio, che sonosolo monumenti di bruttezza, inadattealla celebrazione per la disposizione in-felice degli spazi, per l’oscurità degliambienti, per l’insignificanza dei luo-ghi liturgici. Solo un’esperienza moltosignificativa di fede maturata fin dal-l’infanzia e dagli anni giovanili in queiluoghi potrebbe bilanciarne l’oggetti-va bruttezza: ma se gli sposi non han-no avuto la grazia di un’esperienza co-sì qualificante, perché dovremmo an-che colpevolizzarli e condannarli albrutto? Il naturale desiderio di bellezzanon potrebbe anzi essere un punto dipartenza per illustrare la bellezza on-tologica del sacramento celebrato?

Di fronte alla richiesta di matrimoniin chiese non parrocchiali alcune dioce-

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si hanno adottato una linea molto de-terminata, riservando la decisione aun’eccezionale dispensa del Vescovo,altre si mostrano più possibiliste e con-cedono anche a rettorie e santuari la li-cenza per la celebrazione.

La Diocesi di Roma, ha regolamen-tato la possibilità del matrimonio fuoriparrocchia stabilendo alcune regole difondo, quali ad esempio: non si posso-no prendere prenotazioni che vadanooltre il periodo di un anno e non sipossono richiedere acconti sull’offerta,il cui ammontare è comunque stabilitodalla diocesi (in parrocchia l’offerta èlibera); la parrocchia o rettoria devemettere a disposizione il celebrante, segli sposi non preferiscono invitare unsacerdote amico; non si possono cele-brare più di tre matrimoni al giorno edeve intercorrere almeno un’ora tra lafine di una celebrazione e l’inizio dellaseguente; la scelta del fiorista e del fo-tografo è lasciata agli sposi. Si riservainvece al parroco o rettore la sceltadell’organista, per tutelare antichi or-gani di grande pregio storico e artisti-co, sui quali ovviamente non è il casoche metta le mani il nipotino che datre mesi studia pianoforte. Ma comenon condividere la protesta di un do-cente di organo in conservatorio alquale qualcuno, con poca lungimiran-za e nessuna comprensione della nor-ma in oggetto, voleva vietare di suona-re al matrimonio del fratello?

Al momento della celebrazione, ameno che la coppia non abbia un coin-volgimento vivo in una comunità cri-stiana che partecipa alla celebrazione,la cosa che spesso risulta evidente a ri-marcare la distanza dalle abituali cele-brazioni è proprio… l’assenza della co-

munità con il suo stile celebrativo, isuoi spazi, i suoi canti. L’assemblea de-gli “invitati” rispecchia nella media lasituazione della pratica religiosa locale:si oscilla tra il 10 e il 20 % di praticantiabituali. Ciò significa che, in alcune re-gioni italiane, su 200 presenti una ven-tina saranno quelli che frequentano lacelebrazione domenicale nelle loro co-munità (sono quelli che rispondono an-che al “Pregate, fratelli…” e che “osa-no” cantare se si propongono l’accla-mazione al vangelo o la risposta alle li-tanie), una cinquantina hanno una cer-ta familiarità con luoghi e riti (fanno ilsegno di croce, sanno a memoria il Pa-dre nostro, siedono e si alzano più omeno al momento opportuno,…), glialtri sono quasi totalmente passivi;qualcuno farà la spola con l’esterno,dove leggerà il giornale, chiacchiereràcon gli altri e fumerà qualche sigarettain attesa di lanciare il riso. L’assenzadella comunità si rileva anche in presbi-terio e intorno all’organo, dove man-cano le consuete figure di ministeria-lità: il diacono, l’accolito, i ministranti,la schola cantorum. Talvolta gli sposinon hanno considerato che una chiesaviene realizzata pensando anche all’as-semblea che dovrà accogliere e chenon tutte si prestano a ricevere ungruppo mediamente piccolo di invitati.Ripenso a basiliche gigantesche, capacidi accogliere un migliaio di persone se-dute, in cui il centinaio di partecipantisi perde e la voce del ministro rimbom-ba nel vuoto, a chiese monastiche econventuali in cui il coro desolatamen-te vuoto si frappone tra la sede e l’alta-re allontanando il celebrante e rele-gandolo in triste solitudine sul fondodell’abside. Qualche volta, per ovviare

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a questi inconvenienti, sono gli stessirettori che propongono soluzioni deci-samente insoddisfacenti, duplicando iluoghi liturgici con oggetti che hannotutte le caratteristiche della precarietà:tavolini coperti da un drappo al postodell’altare antico, troppo lontano eforse ancora addossato al muro, sediee poltrone in un angolo del presbiterioal posto della sede, leggii metallici tra-ballanti al posto del pulpito inaccessibi-le.

Negli sposi, anche nei meno prati-canti, resta evidente comunque il biso-gno rituale, che, in mancanza di com-petenza specifica, si esprime nel tenta-tivo di curare l’allestimento dei luoghi(il cosiddetto “addobbo”) e di sonoriz-zare la celebrazione. Non potendocontare sul sostegno di una comunità,si affidano a professionisti, i quali fini-scono per giocare un ruolo importantenella preparazione e nell’animazione:fotografo, organista, fiorista, canto-ri,… Di solito – fatte salve le solitesplendide eccezioni – ciascuno è con-vinto di potere / dovere badare al servi-zio che gli è stato richiesto in totale,professionale (quando va bene) auto-nomia. Ma questo è antitetico al con-cetto stesso di liturgia, che è azione diun popolo organicamente costituito ecompaginato in unità dal ministero dichi presiede. Spesso invece, anche se ilsacerdote è un amico degli sposi, le suepossibilità di intervento nella prepara-zione della celebrazione sono minime.Se già la composizione sociologica del-l’assemblea la rende molto disorgani-ca, l’affidamento di compiti di anima-zione e preparazione a battitori libericontribuisce in modo determinante al-la dissoluzione dell’armonia celebrati-

va e all’insorgenza di altre ritualità,ciascuna peraltro molto precisa, ma dicui si cercherebbe invano traccia nei li-bri liturgici. Per farci comprendere, eper non rendere troppo pesante la let-tura, proviamo a fare la caricatura del-la situazione peggiore, che purtropponon pare molto lontana dalla media: ilsacerdote invitato arriva nella chiesaprescelta circa mezz’ora prima, se nonconosce il posto dà un’occhiata al pre-sbiterio prima di infilare la porta dellasagrestia. Solitamente si porta il cami-ce, qualche volta gli viene data una ca-sula di scarso pregio. Ha concordatocon gli sposi le letture e le particolaritàrituali; non gli resta che sperare che ilettori ci siano, che sappiano leggere e,soprattutto, che i microfoni funzioninodecorosamente. Il fotografo accompa-gna la sposa, ma manda in avanscoper-ta alcuni collaboratori che portano leapparecchiature e, senza nessun con-tatto previo con la chiesa, iniziano adisseminare il presbiterio di cavalletti,trespoli e cavi. Di solito si trascura laforma di ingresso che prevede l’acco-glienza degli sposi sulla soglia dellachiesa e l’ingresso processionale e il fo-tografo agisce come il gran maestro dicerimonia dell’ingresso della sposa, laquale prende ordini e li esegue pedis-sequamente. Lo sposo deve stare già alsuo posto, in piedi, e che guardi versoil fondo. I paggetti caudatari tengonolo strascico. Quanto al prete… facciaquel che vuole: che stia già all’altare oancora in sagrestia non è importante.L’ingresso della sposa diventa uno stuc-chevole e interminabile defilé: “Ferma-ti, guarda a sinistra, saluta i bambini,un passetto avanti, la rifacciamo, tornaindietro…” Quindi il cerimoniere foto-

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grafo dà i segnali al padre della sposae allo sposo: l’uno consegni la sposa alsuo promesso, l’altro baci la mano (an-che se guantata, alla barba di monsi-gnor Della Casa!) e sollevi il velo.Sguardi languidi e scatti a raffica, quin-di si può poggiare il bouquet sul ban-co. Nel frattempo un secondo cerimo-niere (solitamente una parente di mez-za età) si occupa di distendere a rag-giera lo strascico. Interverrà ancora,ogni volta in cui, alzandosi o sedendo-si, la sposa abbia scompigliato la codadi pavone disegnata sul tappeto. I ritidi introduzione servono al fotografoper riprendere i parenti. Quando il let-tore va all’ambone è d’obbligo il faropuntato in faccia e acceso a tradimen-to (che il lettore sia lì per proclamareun testo e che l’abbaglio non lo aiuti èun particolare praticamente insignifi-cante), quindi il fotografo passa in ras-segna tutta l’assemblea (frapponendo-si tra fedeli e lettore e voltando le spal-le a quest’ultimo), poi di colpo spegneil faro (l’effetto è di oscuramento belli-co, ma non importa) e se ne va. Ormaitutti sanno che durante l’omelia non sifanno riprese, e qualche fotografo get-ta la spugna buttandosi a sedere dovecapita, spesso in presbiterio. È il mo-mento di dare istruzioni agli aiutanti,di verificare l’efficienza delle apparec-chiature, di smontare e rimontare gliobiettivi. Non mancano però i profes-sionisti più ardimentosi che, noncuran-ti del divieto, sbucano da posti impen-sati sperando di non essere visti: dadietro una colonna, da una vecchiacantoria; la palma dell’ardimento va aquello che scoprì la scala a chiocciolache conduceva sul pulpito e vi si inse-diò trionfante. Questo può bastare per

descrivere il buon garbo del cerimonia-le fotografico.

Il direttore del coro (l’organista, ilsoprano, il direttore del quartetto d’ar-chi) ha stabilito da almeno un mese, diconcerto con gli sposi, la lista dei brani,che il sacerdote scopre al momentosfogliando il libretto. Pazienza se ilprogramma musicale non ha alcunacoerenza, neppure stilistica, dato chespazia da “Dolce è sentire” al gospel,dall’aria lirica a César Franck, da Bach aMozart. Può anche capitare che ci siaun inusitato “Canto tra le letture”, chenon è il salmo. Chi potrà far rilevareche l’Ave Maria di Schubert non ha al-cuna collocazione liturgica? Qualcunooserà far notare al musicista che il suoprogramma non prevede alcun inter-vento dell’assemblea? Perché l’accla-mazione sull’acqua benedetta non ècantata, come non lo sono il salmo re-sponsoriale e le litanie, e qualche voltanon lo è neppure l’acclamazione alVangelo? Ciò che è scritto è scritto.L’organista spesso finge di non sapere(in realtà lo sa benissimo) che il suonodi sottofondo durante la preghiera eu-caristica è esplicitamente vietato: quel-lo per lui è il momento di Albinoni.

Il fioraio a sua volta ha già scaricatoun furgone pieno di composizioni flo-reali che dispone in gran numero (nonserve spiegare perché), praticamentedappertutto. Fiori che sottolineanogarbatamente luoghi significativi ocoacervo vegetale che riempie unospazio evidentemente percepito comevuoto e insignificante? Fiori anche suibanchi, contro il semplice buon senso:chi a casa propria è aduso a metterefiori sulle sedie? Se ci sono due o trematrimoni nello stesso giorno, gli sposi

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spesso concordano l’ornamentazioneper dividere la spesa. Peccato che di so-lito prevalga il progetto più pacchiano.Il trionfo del malgarbo, come ebbi giàmodo di rilevare in un precedente in-tervento, si raggiunge quando si sten-de una guida a copertura di un mosai-co o di un intarsio marmoreo: chi havoluto e realizzato la pavimentazionepensava proprio di disegnare un per-corso, che accompagna l’occhio e ilpasso nel movimento processionaledall’esterno alla soglia del santuario.Come si possa preferire un tappetodozzinale e polveroso a un pavimentocosmatesco del XIII secolo resta un mi-stero incomprensibile. Si penserà che ilfiorista abbia esaurito il suo compitoprima dell’inizio della celebrazione, manon sempre è così. Siccome nel cerimo-niale parallelo un rito costitutivo è illancio del riso, qualche fiorista ha pen-sato bene di assicurare il servizio digraziose damigelle che all’ingresso del-la chiesa distribuiscono ventagli alle si-gnore (in estate), e all’uscita cartoccicolorati con riso per tutti.

Un’altra figura che talvolta si incon-tra è quella del sagrestano: l’uomo difiducia del parroco o del rettore, incari-cato di assistere il sacerdote ospite e difare da ministrante, di vigilare sullaraccolta delle firme e dei dati dei testi-moni e, più in generale, di assicurarel’ordinato svolgimento della celebra-zione. Anche questo servizio può esse-re fatto in modo molto diverso; si in-contrano persone discrete e preziose,ma anche personaggi dei quali si fa-rebbe volentieri a meno: quello chenon si cura dell’esistenza di lettori per-ché di solito legge tutto lui, quello ineterno movimento che gesticola con-

vulsamente per indicare a tutti che co-sa devono fare (entrando così in peri-colosa competizione con il cerimonierefotografo), quello che pensa di soppe-rire al mutismo dell’assemblea urlandotutte le risposte della messa e intonan-do l’alleluia (non concordato con l’or-ganista) in una tonalità improbabileche può arrivare al falsettone, quelloche intende il suo ruolo come quellodel guardiano, guarda in cagnesco e ri-sponde con diffidenza, e qualche voltafinisce per discutere con lo stesso cele-brante, quello che alla fine, con il regi-stro sotto il braccio, afferra una scopae si precipita sul portone per impedireil lancio del riso in chiesa o si impadro-nisce del microfono per dare avvisi pe-rentori.

A dimostrazione di quanto ognunovada per la sua strada, basta una mini-ma variante al tacito accordo dell’”ognun per sé” e le persone si smarri-scono. Se ci sono due ministranti chetengono libro e microfono al momentodel rito nuziale il fotografo va in con-fusione, perché, abituato com’è a spa-ziare praticamente a 360° e quasi adappollaiarsi sulle spalle del sacerdote,la presenza di due persone impreviste,delle quali capisce di non potersi sba-razzare, destabilizza lo schema di lavo-ro consueto. Si intuisce che avrebbepreferito che il sacerdote si tenesse conuna mano il libro e con l’altra il mi-crofono, “come si fa sempre”. E la vol-ta in cui un lettore preparato tacque erestò in attesa che tre fotografi smet-tessero di armeggiare con rullini e ap-parecchi frapponendosi tra lui e l’as-semblea, si togliessero di lì e prendes-sero posto, i tre ci misero un po’ a capi-re che qualcosa non procedeva come

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doveva (lo capirono quando si accorse-ro che il loro chiacchiericcio rimbomba-va nel silenzio), e ancora più tempo civolle perché realizzassero che la causadi quel silenzio erano proprio loro.Quando capirono si defilarono, nonnascondendo una smorfia di sorpresa edisappunto.

Questa l’analisi, un po’ scanzonata,della situazione. Quali proposte per uncorrettivo?

Il parroco o rettore della chiesain cui si celebra il matrimonio. Daredisponibilità ad accogliere una celebra-zione significa garantire le condizioniperché la celebrazione possa essere de-gna. Non si tratta solo di avere i drappiper coprire i banchi.

Se non esiste un sussidio diocesano,sarà opportuno preparare una schedaa uso del fotografo con alcune indica-zioni di comportamento: si può consi-gliare la ripresa dell’intera celebrazio-ne con telecamera fissa perché gli spo-si abbiano una documentazione com-pleta della celebrazione (omelia com-presa). I fotografi non hanno accessoal presbiterio (si abbia poi cura che lanorma sia rigorosamente rispettata);l’ingresso degli sposi è un momentodel rito, non riducibile a sfilata; non sifanno riprese durante la liturgia dellaParola e durante la preghiera eucari-stica,…

Il rettore che conosce la sua chiesasaprà dove meglio collocare i fiori. Sirediga una scheda da dare per tempoagli sposi per il fiorista, senza timoredi apparire pedanti: in questa chiesa ifiori si possono collocare solo lì e las-sù, non in quest’altro posto, le compo-sizioni sulla balaustra non devono su-perare l’altezza di... Non si consenta

di posizionare a caso orripilanti colon-nine in plastica finto marmo.

Si può predisporre un breve testosulla storia e il significato della chiesa,di tono divulgativo e non ampolloso,da offrire direttamente ai partecipantioppure da consegnare per tempo aglisposi perché lo inseriscano nel sussidioliturgico che molte coppie fannostampare.

Si può conservare il nome e il bi-glietto di fioristi e fotografi che han-no dato prova di professionalità, di-screzione e onestà. Ma è sempre me-glio dare più riferimenti e solo a chi lichieda esplicitamente, per evitareogni sospetto di interesse. Anche perl’organista, dove lo strumento merititutela, sarebbe meglio offrire più no-mi e rimanere comunque disponibilialla proposta di persone che abbianotitoli di competenza indiscutibili. Allostesso modo, nulla impedisce al retto-re di escludere persone che in passatosi siano dimostrate scarsamente affi-dabili, poco oneste o esose, irrispetto-si delle norme di comportamento ri-chieste dai responsabili.

C’è sempre il rischio che il rettoredella chiesa che accoglie la celebrazio-ne sia visto come l’affittacamere, l’uo-mo delle chiavi o dei soldi. Sta ovvia-mente alla sua sensibilità pastorale ac-cogliere gli sposi ed entrare in collo-quio con loro e con le loro famiglie. Trai segni dell’accoglienza fraterna c’è an-che il farsi vedere per fare gli auguri,anche se il matrimonio è celebrato daun altro, e la possibilità di fare aglisposi un picccolo dono. Non servonocose eclatanti: bastano due belle coro-ne del rosario, un crocifisso per la nuo-va casa (in molte case non si trova il

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crocifisso semplicemente perché nessu-no l’ha messo nella lista di nozze!), op-pure un libro sulla storia e il patrimo-nio artistico della chiesa dove la coppiaha scelto di sposarsi.

Il sacerdote che celebra il matri-monio.

Fin dal primo contatto con gli sposisarà bene che chieda quale sia la chiesaprescelta (di solito la prenotazione ègià stata fatta) e pensi alla celebrazio-ne concreta in quel luogo.

Segua la scelta dei lettori, del salmi-sta (distinto dai lettori), dei lettori del-le intenzioni di preghiera, degli offe-renti. Concordi una prova con loro (an-che lo stesso giorno) perché la letturaal microfono e di fronte a un’assem-blea non è per tutti semplice: si rischia-no letture farfugliate, rapidissime, fuo-ri microfono, e storpiature ridicole, daiTessalocinesi al Siradìce (Siràcide).

Concordi con gli sposi e l’organistala scelta dei canti e dei brani musicali,badando di promuovere per quantopossibile la partecipazione dell’assem-blea, col sostegno dei solisti.

Verifichi il numero di quanti firme-ranno l’atto come testimoni, rispettan-do quando previsto dalla normativa ca-nonica e da quella civile.

Componga con gli sposi le intenzio-ni di preghiera.

Segua tutte le fasi della redazionedi un eventuale sussidio liturgico e cor-regga con attenzione le bozze. A pro-posito di questo, occorre segnalare cheil meccanismo del “copia/incolla e pas-sa agli amici” porta talvolta a esiti cu-riosi: con il sacerdote si concordaun’opzione rituale e il libretto ne ripor-ta un’altra, refusi imbarazzanti (che co-sa fare di un libretto in cui la seconda

lettura era tratta da una presunta“Lettera di san Paolo apostolo ai Ro-mani Colossei”?), sviste per cui il libret-to riporta i nomi di altre persone (rara-mente accade per gli sposi, ma può ac-cadere con i nomi dei nonni defunti daricordare nella preghiera universale,oppure, se si usa il comando di sostitu-zione automatica del computer, si fini-sce per cambiare anche il nome del pa-pa, quello del vescovo, o quello diqualche santo), testi biblici presi daversioni non ufficiali, strani tagli percui la prima parte della celebrazione èriportata al completo, poi dall’offerto-rio si salta al Padre nostro, omettendocompletamente la preghiera eucaristi-ca (missa sicca?). Tutto può accadere:anche che il sacerdote dopo aver pre-parato il sussidio con gli sposi, dimenti-chi le scelte fatte e usi, per esempio,una diversa preghiera eucaristica, ouna diversa formula di benedizione.

Durante la celebrazione non rinuncimai al diritto - dovere di presiederla. Inparticolare, attenda che tutti siano alloro posto per iniziare la celebrazione,introduca la liturgia della Parola (comeprevisto per la veglia pasquale) conuna monizione che disponga l’assem-blea all’ascolto, non tema di tacere, at-tendere e dare indicazioni pacate maautorevoli se interventi estranei e inop-portuni si sovrappongono ai vari mo-menti liturgici.

Si incarichi (eventualmente con lacomunità di cui gli sposi fanno parte)del dono della Bibbia.

Dopo la celebrazione faccia sempreun bilancio dell’accaduto, per serbarel’esperienza in vista del futuro.

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C oncludiamo la presentazionedell’Istruzione RedemptionisSacramentum illustrando i temi

contenuti negli ultimi due capitoli. Ilcapitolo VII è dedicato ai “Compitistraordinari dei fedeli laici” e si aprericordando che “il sacerdozio ministe-riale non può essere in nessun modosostituito. Il ministro che può celebra-re in persona Christi il sacramento del-l’Eucaristia, è solo il Sacerdote valida-mente ordinato”. Tuttavia, in mancan-za dei ministri sacri, i fedeli laici pos-sono supplirli in alcune mansioni litur-giche. “Molti fedeli laici si sono giàdedicati e si dedicano tuttora solleci-tamente a tale servizio, soprattuttonelle terre di missione, dove la Chiesaha ancora poca diffusione o si trova incondizioni di persecuzione, ma anchein altre regioni colpite dalla scarsità diSacerdoti e Diaconi”.

Di grande importanza sono i cate-chisti, “che hanno fornito e fornisco-no con grande impegno un aiuto uni-co e assolutamente necessario alla dif-fusione della fede e della Chiesa”. Inalcune diocesi dei fedeli laici sono sta-ti incaricati come “assistenti pastora-li”, per sostenere l’azione pastoraledel Vescovo, dei Sacerdoti e dei Diaco-ni. Il documento sottolinea a questoriguardo alcuni aspetti: il compito de-gli assistenti pastorali non sia troppoassimilato alla forma del ministero pa-storale dei chierici, assumendo funzio-ni che spettano propriamente al mini-stero dei sacri ministri; la loro attivitàagevoli il ministero dei Sacerdoti e dei

Diaconi, susciti vocazioni al sacerdozioe al diaconato e prepari i fedeli laici asvolgere i vari compiti liturgici secon-do la molteplicità dei carismi.

Per quanto riguarda la celebrazio-ne liturgica, viene ricordato che “sol-tanto in caso di vera necessità si dovràricorrere all’aiuto dei ministri straordi-nari. Tali funzioni meramente sostitu-tive non risultino, poi, prete-sto di alterazione dello stessoministero dei Sacerdoti, dimodo che costoro trascurinola celebrazione della santaMessa per il popolo loro affi-dato, la personale sollecitudine verso imalati e la premura di battezzare ibambini, assistere ai matrimoni e cele-brare le esequie cristiane, le qualispettano anzitutto ai Sacerdoti conl’aiuto dei Diaconi. Non avvenga, per-tanto, che i Sacerdoti nelle parrocchiescambino indifferentemente le fun-zioni di servizio pastorale con i Diaco-ni o i laici, confondendo in tal modola specificità di ognuno.”

Questo capitolo si sofferma poi inparticolare sul ministro straordinariodella Comunione. Dal momento che ilministro in grado di celebrare in per-sona Christi il sacramento dell’Eucari-stia, è solo il Sacerdote validamenteordinato, “il nome di ‘ministro del-l’Eucaristia’ spetta propriamente al so-lo Sacerdote. I ministri ordinari dellasanta Comunione sono i Vescovi, i Sa-cerdoti e i Diaconi, ai quali, dunque,spetta distribuire la santa Comunioneai fedeli laici nella celebrazione della

Redemptionis sacramentum (6) di Stefano Lodigiani

Testi edocumenti

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santa Messa. Oltre ai ministri ordinaric’è l’accolito istituito, che è per istitu-zione ministro straordinario della san-ta Comunione anche al di fuori dellacelebrazione della Messa”. Qualora visiano ragioni di autentica necessitàche lo richiedano, “il Vescovo diocesa-no può delegare allo scopo anche unaltro fedele laico come ministrostraordinario”.

“Questo ufficio venga inteso insenso stretto secondo la sua denomi-nazione di ministro straordinario della

santa Comunione, e non ‘mi-nistro speciale della santa Co-munione’ o ‘ministro straor-dinario dell’Eucaristia’ o ‘mi-nistro speciale dell’Eucaristia’,definizioni che ne amplifica-

no indebitamente e impropriamentela portata”. Si ribadisce che il ministrostraordinario della santa Comunionepuò amministrare la Comunione sol-tanto “quando mancano il Sacerdoteo il Diacono, quando il Sacerdote èimpedito da malattia, vecchiaia o al-tro serio motivo o quando il numerodei fedeli che accedono alla Comunio-ne è tanto grande che la celebrazionestessa della Messa si protrarrebbetroppo a lungo”.

Riguardo alla predicazione, l’Istru-zione ricorda che “l’omelia è per lasua importanza e natura riservata alSacerdote o al Diacono durante laMessa”, tuttavia per altre forme dipredicazione, in particolari circostanzedi carattere eccezionale, possono esse-re ammessi a predicare in chiesa o inun oratorio, al di fuori della Messa,anche i fedeli laici. La facoltà di per-mettere ciò spetta comunque esclusi-vamente agli Ordinari del luogo e non

ad altri, neppure Sacerdoti o Diaconi. In alcuni luoghi, per mancanza di

sacerdoti, è difficile avere ogni dome-nica e festa di precetto la celebrazio-ne della Santa Messa, per cui il Vesco-vo diocesano dovrà provvedere “chesia compiuta una celebrazione per lacomunità stessa la domenica sotto lapropria autorità e secondo le normestabilite dalla Chiesa. Tali celebrazionidomenicali, tuttavia, vanno sempreconsiderate del tutto straordinarie.Pertanto, sarà cura di tutti, sia Diaconisia fedeli laici, ai quali è assegnato uncompito da parte del Vescovo diocesa-no all’interno di tali celebrazioni,mantenere viva nella comunità unavera “fame” dell’Eucaristia, che con-duca a non perdere nessuna occasionedi avere la celebrazione della Messa”.Naturalmente occorre evitare con cura“ogni forma di confusione tra questotipo di riunioni e la celebrazione euca-ristica”. Il Vescovo dovrà valutare conprudenza se in tali riunioni si debbadistribuire o meno la santa Comunio-ne, inoltre sarà preferibile, in assenzadel Sacerdote e del Diacono, che le va-rie parti siano distribuite tra più fedelianziché sia un solo fedele laico a gui-dare l’intera celebrazione. In nessuncaso è appropriato dire che un fedelelaico “presiede” la celebrazione. “Si-milmente, non si può pensare di sosti-tuire la santa Messa domenicale concelebrazioni ecumeniche della Parolao con incontri di preghiera in comunecon cristiani appartenenti alle […] Co-munità ecclesiali, oppure con la parte-cipazione ai loro riti liturgici”.

A quanti sono stati dimessi dallostato clericale non è consentito cele-brare per alcun pretesto i sacramenti,

Testi edocumenti

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salvo esclusivamente il caso di eccezio-nalità previsto dal diritto, né è con-sentito ai fedeli ricorrere a loro per lacelebrazione, quando non vi è giustacausa. Tali persone, inoltre, non ten-gano l’omelia, né assumano mai alcunincarico o compito nella celebrazionedella sacra Liturgia, per non generareconfusione tra i fedeli e non ne risultioffuscata la verità.

L’ultimo capitolo dell’Istru-zione è dedicato ai “rimedi” agliabusi nella celebrazione della sacraLiturgia. “Al fine di porre rimedio atali abusi, ciò che in sommo grado ur-ge è la formazione biblica e liturgicadel popolo di Dio, dei pastori e deifedeli”, se tuttavia essi persistono,occorrerà procedere facendo ricorsoa tutti i mezzi legittimi. Il documentopassa poi a descrivere i “graviora de-licta”: a) sottrazione o ritenzione afine sacrilego o il gettar via le specieconsacrate; b) tentata azione liturgi-ca del Sacrificio eucaristico o sua si-mulazione; c) concelebrazione proibi-ta del Sacrificio eucaristico insieme aministri di Comunità ecclesiali i qualinon hanno la successione apostolica,né riconoscono la dignità sacramen-tale dell’ordinazione sacerdotale; d)consacrazione a fine sacrilego di unamateria senza l’altra nella celebrazio-ne eucaristica o anche di entrambe aldi fuori della celebrazione eucaristi-ca. Sono inoltre da considerare “Attigravi” quelli che mettono a rischio lavalidità e dignità della Santissima Eu-caristia, le azioni commesse contro lenorme di cui si tratta in questa Istru-zione e le norme stabilite dal diritto:esse “non vanno considerate con leg-gerezza, ma le si annoveri tra gli altri

abusi da evitare e correggere con sol-lecitudine”.

Compito del Vescovo diocesano è“dare norme in materia liturgica, allequali tutti sono tenuti”, e vigilareche “non si insinuino abusi nella di-sciplina ecclesiastica, soprattutto nelministero della parola, nella celebra-zione dei sacramenti e dei sacramen-tali, nel culto di Dio e dei Santi”.

Ogni qualvolta la Congregazioneper il Culto Divino e la Disciplina deiSacramenti ha notizia di un delitto oabuso relativo alla SantissimaEucaristia, ne informerà l’Or-dinario, affinché indaghi sulfatto. Qualora esso risultigrave, l’Ordinario invierà alpiù presto allo stesso Dica-stero un esemplare degli atti relativiall’indagine eseguita e, eventual-mente, sulla pena inflitta. Nei casi dimaggiore difficoltà l’Ordinario vieneesortato a consultare il parere dellaCongregazione per il Culto Divino ela Disciplina dei Sacramenti prima diprendere provvedimenti.

Dopo aver esortato tutti, secondole possibilità, a fare sì che “il Santissi-mo Sacramento dell’Eucaristia sia cu-stodito da ogni forma di irriverenza eaberrazione e tutti gli abusi venganocompletamente corretti”, l’Istruzionesi conclude ricordando che “ogni cat-tolico, sia Sacerdote sia Diacono siafedele laico, ha il diritto di sporgerequerela su un abuso liturgico pressoil Vescovo diocesano o l’Ordinariocompetente. Ciò avvenga sempre conspirito di verità e carità”.

(fine)

Testi edocumenti

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FORMAZIONE LITURGICA

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L a parola “cuore” ricorre moltospesso negli scritti religiosirussi, in cui le viene dato un

tale risalto da sembrare a prima vi-sta frutto di irrazionalità e di senti-mentalismo. Così, per esempio, neitesti apologetici i teologi affermano

che la fede è solo sentimen-to del cuore. Ma attenzioneai fraintendimenti. I l l in-guaggio affermatosi ogginel continente europeo di-stingue tra: intelletto chepensa, volontà che decide, e

cuore che reagisce ai senti-menti. Dichiarare perciò che la reli-gione e la preghiera sono prevalen-temente questioni di cuore, apparenecessariamente una banalità.

Ma non è certo questo il significa-to di cuore nelle Sacre Scritture enei testi mistici. Nella Bibbia il cuorepensa, decide ed ha memoria. Ama-re Dio con tutto il cuore significaamare con tutte le proprie capacità,con tutta la propria forza (Lc 10,27).I mistici si pongono la questione nelmodo seguente: abbiamo gli occhiper percepire il mondo visibile, leorecchie per registrare i suoni, la ra-gione per riflettere sulla verità, macome e in che modo percepiamoDio? I filosofi platonici affermavanoche ciò avviene solo attraverso la ra-gione, che per loro è l’unica facoltàdivina presente nell’uomo, e perquesto definivano la preghiera come

elevazione della mente a Dio. I cri-stiani però non possono essere d’ac-cordo con questa definizione. Dio hacreato l’uomo e vuole che questi loraggiunga con tutte le facoltà di cuidispone, cioè con tutto il cuore.

La vera preghiera quindi non èsolo riflessione o decisione, l’uomodeve partecipare nella sua totalità.Questo punto è spiegato da Teofa-nie il Recluso con una metafora. Unopuò anche leggersi a casa un dram-ma teatrale e capire tutto, ma quan-ta maggiore intensità d’emozione seproverà a vedere questo stessodramma in palcoscenico. La stessadifferenza vi è tra la meditazioneche si limita a riflettere su Dio e lapreghiera alla quale l’uomo parteci-pa completamente, prova felicità espontaneamente sperimenta il benee la bellezza di Dio. A questa dimen-sione della preghiera aspiravano an-che gli autori occidentali, come peresempio sant’Ignazio, quando consi-gliava di fare uso nella preghierameditativa della memoria, della ra-gione, della volontà, del sentimentoe del dialogo con Dio.

Se siamo in perfetto accordo con iteologi orientali su ciò che si inten-de con la parola “cuore”, e cioè l’in-tegrità con la quale l’uomo deve av-vicinarsi a Dio, quando si parla inve-ce specificatamente della preghieradel cuore, ci viene rimproverato cheinvece non la possediamo e non sia-

InDialogo

La vera preghiera è solamentequella che viene dal cuore di don Giovanni Biallo

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mo nemmeno in grado di compren-derla. I libri ascetici orientali tratta-no spesso e attentamente della pu-rezza del cuore, cioè del modo perdifendersi dai pensieri cattivi per im-pedire loro di penetrare nel cuore.Spesso viene utilizzato la metaforasecondo cui l’attenzione deve essereusata come un angelo armato di unaspada di fuoco a guardia delle portedel cuore, un angelo creato ad im-magine del paradiso, che recide latesta di ogni serpente intenzionatoad entrarvi. Il serpente rappresentail pensiero cattivo, la tentazione,che l’uomo attento non deve lascia-re entrare nel suo intimo.

Ma a ciò segue immediatamenteil secondo livello di attenzione, nonpiù di carattere negativo, bensì posi-tivo. L’uomo puro presta attenzioneai pensieri che nascono nel suo cuo-re, li considera voce di Dio, ispirazio-ne dello Spirito Santo, non ha cosìpiù bisogno di libri, di preghierescritte da altri, perché avverte Diodirettamente. Questo tipo di pre-ghiera è conosciuto in occidente,per esempio negli Esercizi spiritualidi sant’Ignazio, in cui vi sono le re-gole per il discernimento degli spiri-ti. Anche qui sant’Ignazio si chiedequale sia l’origine dei nostri pensierie delle nostre idee. Afferma chemolti di essi provengono dall’ester-no, possono costituire l’ispirazione acompiere il bene o il male, ma spes-so accade che alcuni pensieri e senti-menti non abbiano una causa ester-na, ma che derivino direttamente daDio. Quindi il cammino di purifica-zione del cuore e la capacità diascoltare l’ispirazione divina interio-

re rimane la meta a cui tutti do-vremmo aspirare.

Così parla della purificazione delcuore Pseudo-Macario in una ome-lia.

Come è possibile che nello stessocuore dimorino sia la grazia che ilpeccato, quasi si trattasse di cuoridiversi. Pensiamo a un recipiente so-pra un fuoco alimentato di continuocon la legna. Ciò che sta dentro alrecipiente si riscalda, bolle. Se peròtrascuriamo di aggiungerelegna, il fuoco si attenua emanca poco che si spenga.

Dentro di noi c’è la graziadivina. Se preghi o se meditisull’amore di Cristo, è comese aggiungessi legna. I tuoipensieri si infuocano, si consu-mano nel desiderio di Dio.

Se al contrario ti abbandoni allanegligenza e apri il cuore alle solle-citudini materiali, il vizio penetranell’anima e ti tormenta.

L’anima però si ricorda della paceche gustava prima e comincia a pen-tirsi, a orientarsi di nuovo verso Dio.Da una parte allora, la pace si avvici-na, e dall’altra l’uomo la cerca confervore, pregando. È come riavvivareil fuoco che riscalda l’anima.

Il recipiente dell’anima è profon-dissimo, tanto che la Bibbia dice cheDio ne scruta l’abisso. Se un uomodevia dalla strada comandata, si sot-tomette alla potestà del peccato. Esiccome l’anima è un abisso profon-do, il peccato vi scende fino ad occu-parvi i pascoli. Bisogna che, lenta-mente, laggiù vi scenda anche lagrazia.

InDialogo

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La parola di Dio celebrataLa parola di Dio celebratadi don Nazzareno Marconi

ghiera è dialogo di Dio, supplica umile e fi-duciosa nelle difficoltà e ringraziamento peri doni divini ricevuti. I credenti sono chiama-ti a cercare tutto ciò che è nobile e puro. Inquesto modo porteranno il frutto che Dio de-sidera da loro.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (21,33-43)

La domenica precedente presentava laprima di una terna di parabole dedicate al te-ma del rifiuto del Regno di Dio da parte deiprimi destinatari dell’annuncio di Gesù: gliebrei. In questa domenica e nella domenicaseguente verranno lette le altre due parabole.Il loro tema potrebbe apparire ormai supera-to: il rifiuto di Israele è stato un dato storicoinnegabile, ma cosa ha a che fare con il no-stro oggi? Con la nostra fede cristiana bimil-lenaria? Pensare così sarebbe però un graveerrore, ogni rifiuto delle fede non è solo gra-ve in sé, ma è un interessante argomento diriflessione: nessuno è così sicuro di non po-tere cadere negli errori e nelle visioni ridutti-ve proprie di altri. Prima di porci in una posi-zione critica nei confronti dei contemporaneidi Gesù è il caso di riflettere seriamente se lacritica rivolta loro non possa toccare in qual-che modo anche alcuni nostri comportamentinei confronti del messaggio del Regno diDio.

Nelle letture di oggi troviamo tutta la sto-ria della salvezza riletta attraverso una imma-gine: quella della vigna. I riferimenti sono tra-sparenti, anche perché questa immagine giun-ge da lontano. Come testimonia la prima lettu-ra già nell’8° secolo avanti Cristo, il profetaIsaia descriveva il rapporto tra Dio e il suo po-polo con lo stesso linguaggio simbolico del

XXVII DOMENICA DEL TEMPO ORDI-NARIO A2 ottobre 2005Il padrone darà la sua vigna ad altri vi-gnaioli.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaìa (5,1-7)

Nella cultura mediterranea dove è profon-damente radicata la nostra fede, la vigna oc-cupa, assieme all’olivo, un posto di rilievo.Se ne ha una cura del tutto particolare perchéè la fonte delle gioie più grandi. A sua imma-gine il popolo eletto è anch’esso oggetto digrandi attenzioni da parte di Dio. Perciò ap-pare del tutto inaspettata e ingiusta una ri-sposta negativa: che questa vigna tanto ama-ta produca uva immangiabile e aspra. Perquesta profonda delusione divina, tanto simi-le a una passione amorosa tradita, ci sarà daattendersi una reazione tremenda e piena diamara gelosia. Questo tema è molto caro aigrandi profeti come Osea, Geremia ed Eze-chiele. La forza del castigo annunciato è co-munque un annuncio positivo: come l’inten-sità della gelosia dimostra quanto è profondoe intenso l’amore di Dio per noi, un amoreche, se non deluso, potrà riempirci di gioia edi festa.

SECONDA LETTURADalla lettera di san Paolo apostolo ai Filip-pesi (4,6-9)

Paolo descrive quali devono essere le ca-ratteristiche fondamentali di una vera comu-nità cristiana che risponde all’attesa del Si-gnore. Essa è tutta protesa verso l’avvenire evive in pace rendendo grazie. La sua pre-

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contadino che pianta con amore una vigna e siattende da lei dei buoni frutti. Un linguaggioche parla di amore tenero e cura premurosa daparte di Dio e di ingratitudine e incomprensio-ne da parte del Suo popolo. Come stupirsi chesulle labbra del profeta si concretizzi la mi-naccia di un duro castigo? Un castigo che sot-tolinea ciò che la vigna non ha voluto produr-re e parla così dei valori che stanno più a cuo-re a Dio: “Egli si aspettava giustizia ed eccospargimento di sangue, attendeva rettitudineed ecco grida di oppressi”. Dio si attende danoi la pratica del diritto e della giustizia, que-sti sono i frutti che si aspetta dal suo popolo!È seriamente il caso di chiedersi cosa stiamoproducendo ben ventotto secoli dopo questaininterrotta richiesta divina. La parabola diGesù testimonia che Dio non si è arreso difronte a otto secoli di infruttuosità e non hacessato di inviare profeti e testimoni. Anche ilFiglio che è stato inviato come messaggerodefinitivo è stato rigettato e ucciso. La tenta-zione è quella di leggere le parole che seguo-no come una dimostrazione dell’ira divina:Dio ha ceduto le armi, si è arreso di fronte almale e vuol distruggere i colpevoli. Ma non èquesto il messaggio del vangelo. Dio che haprovato a far fruttificare la sua vigna per ottosecoli, decide ora di affidarla ad altri che lafacciano fruttificare. Il regno di Dio sulla ter-ra, regno di giustizia, di amore e di pace, verràcertamente, dice la parabola, e verrà con lacollaborazione degli uomini. Quello che la pa-rabola non ci garantisce è che tra questi uomi-ni ci saremo certamente noi. Dio si rivolge anoi come interlocutori privilegiati, in partico-lare a noi cristiani di antichissima tradizione,come lo era il popolo ebraico. Ma le nostre in-fedeltà, la nostra vigliaccheria, il nostro essereinfruttuosi non fermeranno la salvezza. Dio

cercherà altri uomini generosi, cuori di buonavolontà disposti a collaborare con lui. DonMilani, con ironia e sguardo profetico, parlavadi un tempo futuro in cui un cattolico cinesesarebbe venuto a portare di nuovo il vangelotra i suoi monti che si stavano scristianizzan-do. Il regno di Dio non viene fermato dallenostre vigliaccherie, ma che non ci capiti dimeritare il rimprovero amaro che Dio rivolgeal suo popolo infedele.

XXVIII DOMENICA DEL TEMPO OR-DINARIO A9 ottobre 2005Tutti quelli che troverete, chiamateli allenozze.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaìa (25,6-10)

Questa domenica siamo invitati a unagrande festa. Si tratta per certi versi di unaprofezia della nostra Messa, una profeziascritta da un autore anonimo e poi raccoltanel grande libro di Isaia più di 2400 anni fa.Il Libro di Isaia ci dice che: Dio invita ilmondo all’incontro con lui sulla santa mon-tagna. Il profeta presenta al suo uditorio laprospettiva di un banchetto meraviglioso,ricco di vino pregiato e di cibi gustosi. Tutti ipopoli della terra saranno invitati a questobanchetto che Dio preparerà in Gerusalem-me. La gioia che animerà i convitati sarà uni-ca e straordinariamente intensa perché Dioavrà eliminato tutti i motivi di dolore e di tri-stezza, a partire dal motivo fondamentale diangoscia per gli uomini: la morte. Come nonleggere in queste righe una profezia del ban-chetto eucaristico nel quale Dio, attraverso

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suo Figlio Gesù, si dona per consolare coloroche soffrono e sfamare i cuori degli uominidalla fame di giustizia, di amore, di pace, diriconciliazione? A questa cena sono tutti in-vitati! Ma siamo sufficientemente accoglientiperché chi partecipa alle nostre assembleedomenicali vi trovi il gusto della festa e lagioia della pace? Una festa in cui tutti si sen-tano riconosciuti e amati?

SECONDA LETTURADalla seconda lettera di san Paolo apostoloai Filippesi (4,12-14.19-20)

Paolo, come spesso gli accade, è prigio-niero a motivo della fede in Cristo e dell’an-nuncio del vangelo. In questa situazione dif-ficile riceve un aiuto materiale da parte deiFilippesi. Li ringrazia dal profondo del cuo-re. È abituato a una vita dura e avrebbe potu-to sopportare volentieri la privazione e lasofferenza. Ma riceve con gioia ciò che gliamici gli hanno mandato, soprattutto perchéè un segno tangibile del loro amore. È la lororisposta alla scoperta di un Dio che condivi-de i suoi beni con tutti i suoi figli.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (22,1-14)

La bellezza della festa di Dio di cui parla laprima lettura invita a credere che ci sarebbe daaspettarsi grande ressa, una fila interminabiledi persone che vogliono partire per il grandebanchetto, eppure accade qualcosa di strano.Lo racconta Gesù nella sua parabola: tutto èpronto, la festa si annuncia splendida, Gesù cidice addirittura che sarà una festa di nozze. Ilre ha mandato messaggeri e servi a invitaretutti alle nozze. Eppure gli invitati, malgrado

l’insistenza, rifiutano di mettersi in marcia,trovano dei pretesti, maltrattano e uccidono iservitori. Come nel racconto della vigna di do-menica scorsa…

Cosa accadrà? Il re manda a punire questicriminali. Ma soprattutto rinnova l’invito a tut-ti, trova nuovi invitati, finché la sala si riem-pie. Cosa rappresentano queste nozze?

Sono le nozze di Dio con l’umanità. Attra-verso delle parabole abbastanza trasparentiGesù rimproverava ai suoi avversari di aver ri-fiutato l’invito divino. Allo stesso tempo ri-corda che lui è venuto per tutti, e in particolareper quelli che “i puri” consideravano con di-sprezzo.

Questo banchetto non è solo una profeziasul futuro, ma anche un compito per il nostropresente. Gesù ci invita a comportaci fin daora come suoi invitati, a vivere in questo modonella relazione con gli altri, con tutti gli altri! Èun messaggio che merita di essere sottolineatosoprattutto in un mondo, come il nostro, se-gnato dagli interessi di parte, dalle ambizionidi pochi, dai nazionalismi e dagli individuali-smi diffusi.

Matteo ha aggiunto una piccola parabolasupplementare, suggerita dagli usi del suo tem-po in occasione dei banchetti di nozze. Per es-sere ammessi alle nozze era necessario avereun abito da festa, cioè essersi preparati, fattibelli, essersi messi in sintonia con il significatoe il valore dell’avvenimento che si celebrava.

È un invito sempre valido a giungere pre-parati ai grandi appuntamenti con Dio nellanostra vita. Non si tratta dell’esteriorità di unbell’abito, ma della sincera apertura di cuore aincontrare Dio e lasciarci profondamente rin-novare da questo incontro.

Ma quante macchie insozzano l’abito fe-stivo dell’umanità! Se vogliamo entrare nella

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festa di Dio con l’abito più adatto la parola acui fare costante riferimento è “conversio-ne”, una parola che va bene per tutti, osereidire: credenti e non. Perché se un cambio delcuore del mondo è indispensabile per quanticredono, appare almeno auspicabile ancheagli occhi di chi non crede, ma vuol vivere ilfuturo in maniera più costruttiva e umana-mente più vera e ricca.

XXIX DOMENICA DEL TEMPO ORDI-NARIO A16 ottobre 2005 Rendete a Cesare quello che è di Cesaree a Dio quello che è di Dio.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaia (45,1.4-6)

In questo brano del deutero-Isaia vienetessuta la lode di Ciro, il conquistatore nel539 aC della temutissima Babilonia, che ave-va distrutto Gerusalemme e deportato i suoiabitanti. La vittoria di Ciro aprì una concretasperanza di ritorno per gli ebrei esuli a Babi-lonia e il sogno della ricostruzione di Geru-salemme apparve, per la prima volta, comepossibile. Quando la liberazione e il ritornosi attuarono davvero non c’è da meravigliarsiche i profeti cominciassero a descrivere Cirocome lo strumento, magari inconsapevole,dell’azione divina in favore del suo popolo.Si giungerà fino a chiamarlo l’unto del Si-gnore, “Messia” in ebraico, cioè un perso-naggio guidato dallo Spirito di Dio per ope-rare la salvezza definitiva e l’inizio del Re-gno di Dio! Questa interpretazione della sto-ria, che tende a vedere Dio in azione attra-verso i personaggi politici di vertice, Re e re-

gine, considerati gli “uomini della provvi-denza”, è continuata con alterne fortune nelcorso della storia della fede biblica. Spesso ilpotere ha abusato di affrettati riconoscimentidi questo tipo per nascondere i suoi difetti edevitare di rendere troppo pubblicamente con-to dei propri errori. Si è giunti fino ad “ar-ruolare” la fede come utile puntello di un si-stema di potere piuttosto che un altro. Non ècerto questo l’intento di Isaia che non voleva“canonizzare” un re pagano, ma rendere lodealla potenza della provvidenza divina chetutto volge al bene per quanti amano Dio.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostolo aiTessalonicesi (1,1-5)

La prima lettera ai Tessalonicesi è innanzitutto centrata sulla speranza della venuta glo-riosa del Regno di Dio. Al momento del Suoritorno il Signore trionferà definitivamentesul male. I cristiani devono essere attivamen-te tesi verso questa meta, mediante la loro fe-de, la loro speranza e soprattutto la loro ca-rità. Per mezzo loro lo Spirito agisce e in-cammina il mondo intero verso il suo compi-mento, diffondendo in esso la parola divina.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (22,15-21)

La riflessione che le letture di questa do-menica ci presentano si indirizza sul comples-so rapporto tra fede e politica. La risposta diGesù, quando tentarono di coglierlo in fallosull’argomento si rivela molto profonda e sag-gia. È giusto o no pagare le tasse a Cesare?Gli avversari di Gesù si proclamavano since-ramente e interamente votati alla causa di Dio

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e del Regno dei cieli, ma mescolavano moltofrequentemente politica e fede, gli interessidel regno dei cieli con quelli dei regni dellaterra. Le preoccupazioni d’ordine spirituale,con quelle d’ordine prosaicamente molto piùmateriale.

Gesù chiede di vedere la moneta necessa-ria per pagare la tassa. Portava impressa l’im-magine di Cesare e la scritta latina era unaconfessione di fede nella divinità dell’impera-tore: il divino Cesare. Coloro che si professa-vano orgogliosamente i custodi della vera fe-de, che proclamavano il comando di Dio di ri-fuggire da qualsiasi idolatria, addirittura dal-l’uso stesso delle immagini, poi portavano intasca delle monete che erano una “sonante”proclamazione di idolatria.

I nemici di Gesù si mostravano incapaci diseparare fede e politica quando la fede dovevafare da puntello al loro potere politico: infatti isommi sacerdoti, capi spirituali del popolo,giustificavano su questa autorità religiosa illoro diritto a esercitare anche l’autorità politi-ca. Quando però il legame tra fede e politicadiventava esigente, quando la fede richiedevaun certo stile politico che poteva andare con-tro i loro immediati interessi, il loro privilegioeconomico legato alla partecipazione al mer-cato mondiale, gestito e reso possibile dal de-naro romano e dal suo uso, allora diventavanocapacissimi di distinguere tra fede, politica edeconomia. Allora, prima ancora dei comanda-menti di Dio, scattava il vero grande primocomandamento che oggi più che mai imperanel mondo: “gli affari sono affari!”. Un co-mandamento che è atto di fede nella divinitàdell’economia, sovrana su tutto e destinata aregnare incontrastata: le leggi dell’economiasopprimono anche quelle religiose più sacre, acominciare dalla prima, il rifiuto dell’idola-

tria. Per una strana ironia della storia, sullamoneta che nel mercato contemporaneo hasostituito il denaro romano, su quel dollaro di-ventato l’ago della bilancia di ogni transazio-ne e ogni decisione, è scritto: “Noi confidia-mo in Dio”. Una professione di fede interes-sante, ma non molto diversa, almeno a volte,da quell’idolatrico “Cesare il divino” che Ge-sù rimproverava ai suoi contemporanei. Inquale Dio confida il mercato mondiale? Aquali valori dello Spirito si inchina ricono-scendoli superiori a sé stesso e alle sue leggi?

Questo e soprattutto questo mi sembra ilmodo di intendere oggi la frase di Gesù sullagiusta indipendenza della politica dalla fede eviceversa. L’una non deve fare da puntello al-l’altra, ma è anche innegabile che: quanto va“dato a Dio”, proprio perché lui è il Signore el’unico Signore, ha un innegabile primato suquanto “va dato” a Cesare. Perché “tutto” è diDio, ma non “tutto” è di Cesare: c’è uno spa-zio di dignità, di valore della persona, di li-bertà e di diritto alla vita in cui nessun Cesarepuò proclamarsi padrone assoluto, perché inquello spazio l’uomo che rifugge l’idolatria,si inchina solo davanti al vero Dio.

XXX DOMENICA DEL TEMPO ORDI-NARIO A23 ottobre 2005 Amerai il Signore Dio tuo, e il prossimo co-me te stesso.

PRIMA LETTURADal libro dell’Esodo (22,21-27)

Il codice di leggi dettagliate che nel librodell’Esodo accompagnava il patto di alleanzatra Dio e il suo popolo, prescriveva di rispet-

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tare e proteggere l’immigrato, la vedova,l’orfano e il povero. Il motivo fondamentaledei comportamenti che la Bibbia chiede al-l’uomo è l’imitazione di Dio: come Dio sicomporta nei nostri confronti così noi dob-biamo comportarci nei confronti dei fratelli.Tu “non maltratterai lo straniero perché an-che tu sei stato straniero in Egitto finché Dioti ha liberato”. Egualmente quando si prendea pegno il mantello del povero il testo sacrorammenta: “glielo renderai al tramonto delsole, perché è la sua sola coperta, è il man-tello per la sua pelle; come potrebbe co-prirsi dormendo? Altrimenti, quando invo-cherà da me l’aiuto, io ascolterò il suo grido,perché io sono pietoso”. Coloro che sono le-gati in alleanza con Dio debbono comportar-si come lui. La legge biblica invita a imitareDio, rafforzando la comunione vivente conlui. L’Alleanza infatti non è un concettoastratto, ma estremamente concreto, significacomunione di vita con Dio e quindi anchecomunione di comportamenti e di valori diriferimento.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostolo aiTessalonicèsi (1,5-10)

Con il suo atteggiamento verso i destina-tari della lettera Paolo ha tentato di rispec-chiare l’amore di Dio. Possano i Tessaloni-cesi imitarlo a loro volta! Diventino un mo-dello di fede e di amore per tutti quelli cheli circondano. Liberati dagli idoli alienanti,volti verso il vero Dio, lavoreranno perl’avvento del Regno, dove sarà loro conces-so di vivere per sempre. Questo è il Vange-lo, cioè la buona notizia, che Paolo ha an-nunciato loro.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (22,34-40)

In questa domenica la parola di Dio ci ri-chiama ciò che è essenziale nella vita. Laprima lettura lo riassumeva nell’obbedire al-la Legge data da Dio al suo popolo nell’in-contro al monte Sinai. Col passare del tem-po, però, i comandamenti e le leggi si eranomoltiplicati, era sempre più arduo fissare ciòche era essenziale. Nelle scuole rabbiniche sidiscuteva su quale fosse il comandamentopiù grande. Ecco che un fariseo, un dottoredella legge, vuol coinvolgere Gesù in questadiscussione accademica, per metterlo in im-barazzo. Gesù risponde invece con grande si-curezza e autorità saldando assieme il precet-to dell’amore di Dio e quello dell’amore delprossimo. Nella legge di Israele questi duecomandamenti erano invece distinti e acco-stati con una certa indifferenza a vari altri.Gesù con pochi tratti fa una cosa nuova: iso-la dalla folla dei precetti questi due comandidivini, li pone al centro dell’attenzione affer-mando che in realtà costituiscono una cosasola, un solo comandamento. Anzi arriva adire che l’unione di questi due comandi co-stituisce la sintesi e la chiave di lettura di tut-ta la rivelazione divina: la legge e i profeti.Nell’unione di questi comandamenti c’è laParola fondamentale sui valori e sull’agireche Dio vuol comunicarci.

In questa lettura unificante, non si perdeforse il senso della importanza di Dio? Nonc’è troppo orizzontalismo nel mettere l’amoredel prossimo accanto a quello di Dio? Una ri-sposta molto chiara giunge dalla prima letteradi san Giovanni che riesce a bilanciare magi-stralmente quanto i due amori siano intima-mente legati: “Se uno dicesse: «Io amo Dio»,

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e odiasse il suo fratello, è un mentitore. Chiinfatti non ama il proprio fratello che vede,non può amare Dio che non vede”(1Gv 4,20).E più avanti continua: “Da questo conoscia-mo di amare i figli di Dio: se amiamo Dio ene osserviamo i comandamenti” (1Gv 5,2).

Spesso si usa l’espressione, che può risul-tare ambigua, “amare l’altro per amore diDio”. Essa può nascondere un profondo di-sprezzo per l’esistenza altrui. “L’altro è cosìinfido che solo per amore di Dio posso stargliaccanto!”. Si può invece amare l’altro perchéDio lo ha amato, perché lo si guarda con lostesso sguardo di Dio. Dio ha donato bellezzanel creare ogni essere umano e conosce la suaopera fin nel profondo, per questo è capace diamare tutti gli esseri che ha fatto. Dio restau-ra la bellezza deturpata dal peccato, attraver-so la redenzione e il suo costante perdono.Amare è cogliere quest’opera di Dio.

È quanto dice con la solita chiarezza epoesia Jean Vanier: “Amare da cristiani èaccogliere le persone che hanno sofferto e di-re loro attraverso gli occhi, i gesti, la parola:Sono contento che tu esista. Perché questa èla Buona Novella: Sono felice che tu esista.”

XXXI DOMENICA DEL TEMPO ORDI-NARIO A30 ottobre 2005 Dicono e non fanno.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Malachìa (1,14-2,2.8-10)

Il libro di Malachia presenta una dura re-quisitoria contro i sacerdoti del tempio. A lo-ro, come a degli “specialisti”, era affidato ilcompito di trasmettere al popolo la legge di

Dio come legge di vita e di benedizione. Ilculto ripreso dopo il ritorno dall’esilio si eraperò esaurito in formalismo. Lo spirito sacer-dotale era in decadenza. La morale sociale, lafedeltà al matrimonio erano considerati fuorimoda. Malachia cerca di scuotere l’indiffe-renza dei suoi contemporanei. Denuncia l’ab-bandono della vera fede, la sua perversione.Supplica di ritornare alla religiosità autenticae di combattere il relativismo morale che stadilagando. È ora di smetterla di tradire Dio!

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostolo aiTessalonicesi (2,7-9.13)

Il vero apostolo non è un uomo che oppri-me attraverso la sua presunta buona coscien-za e le pretese verso gli altri. Paolo è com-pletamente dedito al suo impegno di servodel Signore e della Chiesa. Avendo comuni-cato la parola divina ai Tessalonicesi, oragioisce di vederli crescere nella fede, e diquesto rende grazie a Dio.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (23,1-12)

Il capitolo 23 apre un lungo discorso di Ge-sù indirizzato primariamente alle folle e poianche ai suoi discepoli. In Matteo queste folleche seguono Gesù rappresentano il popolo cri-stiano, nei confronti del quale i discepoli svol-gono una preziosa funzione di testimonianza edi guida. In definitiva il vangelo si rivolge al-l’umanità disposta a credere e la mette in guar-dia dai falsi maestri. Non si tratta però soltantodi una pia esortazione con cui Gesù ci invita aguardare bene alle persone nelle quali riponia-mo la nostra fiducia e dalle quali ci facciamo

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guidare, è molto di più. Gesù ci fa riflettere sulnostro naturale bisogno di guide, di leaders, dicapi carismatici che ci stimolino a vivere se-condo i grandi valori della vita e della fede.Non c’è nulla di male in questo, a patto chenon annulli il nostro spirito critico, la nostracapacità di osservare e valutare. Non senzauna certa ironia, Gesù invita i suoi ascoltatori adistinguere con sapienza tra le cose buone chegli scribi insegnano a chi li ascolta e il pessimoesempio che offrono a chi li guarda.

Per aiutare in questa opera di discerni-mento Gesù offre degli esempi di ciò chequesti falsi maestri fanno di sbagliato.

La loro prima caratteristica è quella diproporre un ideale religioso particolarmenteesigente: “legano pesanti fardelli sulle spalledella gente…”. Una proposta religiosa forte,molto visibile, che richieda gesti eroici, carat-terizza immediatamente colui che la proponecome “un santo”, “un mistico”, “un uomosenza compromessi”. Gesù non ha mai nega-to la sua ammirazione agli uomini generosi emassimalisti, ma ci mette in guardia: tutto ciòpuò essere solo tattica e apparenza. Il veromaestro è colui che per primo si sforza di vi-vere la verità che annuncia e commisura allesue spalle di uomo quanto impone sulle spal-le degli altri. Non è certo un invito all’aureamediocritas, a uno stile di vita cioè pieno dicompromessi e scorciatoie, ma a uno sguardorealistico sulle nostre capacità e sulla veritàincontrovertibile che non siamo noi a salvarcicon le nostre buone azioni, ma è Dio che cicomunica la forza di fare il bene possibile e avolte ci spinge ben oltre le nostre possibilità.

La seconda caratteristica dei falsi maestriè un’attenzione ossessiva destinata all’appari-re. Quanti oggi rientrano nella categoria dei“presenzialisti”, degli “uomini in vista”, dei

dirigenti “da prima fila”, degli “opinionman”, dei “volti da talk-show”! La nostraodierna società dell’immagine promuovespesso a guide spirituali delle masse, dei figu-ri che non hanno nulla al di là della loro bellafaccia. Spesso questi falsi maestri troppo ap-pariscenti, non sono altro che dei burattini,che nascondono le facce, molto meno presen-tabili, di maestri occulti, ben più falsi di loro.

La terza caratteristica è sintetizzata plasti-camente da Gesù in un titolo che questi falsimaestri amano attribuirsi: “Rabbì”. Il termi-ne deriva dall’ebraico “Rab”, che vuol dire“grande”. Letteralmente Rabbì significa “ohmio grande!” sottintendendo “maestro” o“guida”. Si tratta di un titolo onorifico che altempo di Gesù era ancora riservato a pochis-simi. Gli altri vangeli testimoniano che così idiscepoli chiamavano Gesù, ma nel vangelodi Matteo ciò non avviene mai. Essi si rivol-gono a lui sempre con il titolo di “Signore”,mentre soltanto Giuda in Mt 26,22.25 lochiama Rabbì, e con ogni evidenza è un se-gno negativo. Secondo Matteo, Giuda non hacapito nulla del vero mistero e della veragrandezza di Gesù! La frase di chiusura delvangelo di questa domenica diventa a questopunto particolarmente significativa: “Il piùgrande tra voi sia vostro servo” che in ebrai-co suona “il vero rabbi tra voi sia vostro ser-vo”. Gesù rifiuta così di suddividere gli uo-mini in “grandi e piccoli” sottolineando cheprima di ogni altra cosa gli uomini sono tuttifigli di Dio e fratelli tra loro. Il razzismo chedivide tra uomini “che contano” e la massadei “soldati semplici”, “carne da cannone”, èpurtroppo ancora ben radicato nelle valuta-zioni e soprattutto nella prassi del mondo,che almeno la comunità cristiana offra inquesto una robusta contro testimonianza.

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TUTTI I SANTI1 novembre 2005Rallegratevi ed esultate,perché grande è la vostra ricompensa nei cieli.

PRIMA LETTURADal libro dell’Apocalisse (7,2-4.9-14)

Non sono lontani da noi, i santi. Ci sono vi-cini. Sono spesso le persone più umili e piùpovere: più povere, sì, ma straordinariamentericche di amore per Dio e per gli uomini. Que-sta moltitudine di santi, segni e fonte di spe-ranza per la Chiesa e per la società sono pre-sentati dalla grandiosa visione dell’Apocalisse,che l’autore presenta usando un verbo al pas-sato. Si tratta però di un fatto permanente nellastoria: appartiene anche al nostro “oggi”: “Ap-parve una moltitudine immensa…”. Tra questisanti, l’Apocalisse ricorda, in particolare, imartiri. Alla domanda di uno dei vegliardi:“Quelli che sono vestititi di bianco, chi sono edonde vengono?” il Signore risponde: “Essisono coloro che sono passati attraverso lagrande tribolazione e hanno lavato le loro vestirendendole candide col sangue dell’Agnello”.Un martirio che può assumere molteplici for-me, come è molteplice la testimonianza che sipuò rendere alla fede in Gesù. C’è infatti an-che il martirio incruento, ma non meno doloro-so di quanti per vivere in modo coerente e ge-neroso la loro fede subiscono una specie di lin-ciaggio morale, culturale e sociale: incompre-si, disprezzati, calunniati ed emarginati!

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Giovanni (3,1-3)

Giovanni conferma ai primi cristiani che

il Padre ci ama di un amore senza limiti econfini. Aprendoci a questo Suo amore ve-niamo trasformati, qui si fonda la radice del-la nostra santità. Si afferma la vera vita. Sia-mo figli di Dio! Tutto questo si manifesteràpienamente in un giorno futuro, ma già find’ora ne gustiamo le primizie. Solo in quelgiorno finale però la gloria del Signore bril-lerà sul volto dei suoi eletti.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (5,1-12a)

Con la solennità di tutti i Santi la Chiesaintende risvegliarci: ci vuole riempire di fi-ducia di fronte a una santità che è semprepossibile, anzi doverosa, a tutti i figli di Dioe ci vuole spronare a fare nostro, con mag-giore convinzione e decisione, il programmadi vita cristiana che Gesù ha consegnato atutti i suoi discepoli con il Discorso dellaMontagna, in particolare con le Beatitudini.

Una esegesi vitale di questo fondamentaletesto evangelico attraverso una traduzione at-tualizzante l’ha fatta il Papa Paolo VI in unmirabile discorso tenuto a Nazaret il 5 gen-naio 1964:

“Beati noi se, poveri nello spirito, sappia-mo liberarci dalla fallace fiducia nei benieconomici e collocare i nostri primi desiderinei beni spirituali e religiosi; e abbiamo per ipoveri riverenza e amore, come fratelli e im-magini viventi del Cristo.

Beati noi se, formati alla dolcezza dei for-ti, sappiamo rinunciare alla potenza funestadell’odio e della vendetta e abbiamo la sa-pienza di preferire al timore che incutono learmi la generosità del perdono, l’accordonella libertà e nel lavoro, la conquista dellabontà e della pace.

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Beati noi se non facciamo dell’egoismo ilcriterio direttivo della vita, e del piacere ilsuo scopo, ma sappiamo invece scoprire nel-la temperanza una fonte di energia, nel dolo-re uno strumento di redenzione e nel sacrifi-cio la più alta grandezza.

Beati noi se preferiamo essere oppressiche oppressori, e se abbiamo sempre fame diuna giustizia in continuo progresso.

Beati noi se, per il regno di Dio, sappia-mo, nel tempo e oltre il tempo, perdonare elottare, operare e servire, soffrire e amare.Non saremo delusi in eterno. Così ci sembrariudire, oggi, la Sua voce.

Allora era più forte, più dolce, più tre-menda: era divina.

Ma mentre cerchiamo di raccogliere qual-che risonanza della parola del Maestro, cisembra di diventare suoi discepoli e di acqui-stare, non senza ragione, nuova sapienza enuovo coraggio”.

COMMEMORAZIONE DEI DEFUNTI2 novembre 2005 Chi crede nel Figlio ha la vita eterna;io lo risusciterò nell’ultimo giorno.

Prima messa

PRIMA LETTURADal libro di Giobbe (19,1.23-27)

Di fronte agli amici che da consolatorimolesti si pongono come giudici delle suesofferenze e delle sue supposte colpe, Giob-be proclama la propria speranza in Dio. E’certo che Dio interverrà a suo favore, primao dopo la morte. La tradizione cristiana havisto in questa affermazione dell’autore del

libro di Giobbe, scritto in epoca successivaall’esilio di Babilonia, un atto di fede nellaresurrezione.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostolo aiRomani (5,5-11)

Paolo si sente profondamente trasformatodalla scoperta dell’amore di Dio rivelato inGesù. Questo tema ritorna con grande fre-quenza nella sua predicazione. L’amore divi-no che si è manifestato in Gesù vince l’odioe genera la pienezza della vita. Fin da ora loSpirito Santo alimenta in noi questo amore eci infonde una forza che opererà la nostra ri-surrezione.

VANGELODal vangelo secondo Giovanni (6,37-40)

Nel discorso che segue la moltiplicazionedei pani, il vangelo di Giovanni proclamache Gesù è la parola e il cibo che dona la vitaeterna. Per tutto questo è stato inviato a noidal Padre. Chiunque accoglierà questa pro-posta, andrà da lui e si lascerà trasformaredalle sue parole troverà la salvezza e Gesù lorisusciterà nell’ultimo giorno. La morte rile-va a ogni persona ciò che ognuno nella vitaha soltanto creduto e sperato.

Seconda messa

PRIMA LETTURADal libro del profeta Isaia (25,6.7-9)

Gli Assiri stanno minacciando di invade-re e distruggere Gerusalemme, sembra chenon ci sia più speranza. In questo contesto

La parola di Dio celebrata

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disperato il profeta Isaia annuncia la fine deidisastri. Il giorno del Signore eliminerà ilmale e la morte per sempre. Concederà lasalvezza sperata. I credenti hanno ricono-sciuto in questo oracolo di speranza un an-nuncio che va ben oltre la contingenza stori-ca che lo ha generato. Per loro la morte e laresurrezione di Cristo hanno segnato il desti-no ultimo dell’umanità.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostolo aiRomani (8,14-23)

Grazie allo Spirito di Cristo diventiamofigli di Dio. In questa nuova condizione diuomini liberi possiamo invocare Dio con ilnome di Padre. Come figli saremo inoltreeredi delle sue promesse. Ma per vedere larealizzazione di tutto ciò dobbiamo parteci-pare al mistero di sofferenza del Cristo.L’impegno per la liberazione di tutti i cre-denti e di tutti gli uomini, ci avvicinerà, finda ora, alle promesse ultime che il Signore ciha fatto.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (25,31-46)

Gesù descrive il destino finale dell’uma-nità servendosi di alcune immagini caratteri-stiche della letteratura apocalittica giudaicadel suo tempo. Ci indica inoltre come potre-mo partecipare concretamente alle sue soffe-renze per poi essere ammessi a prendere par-te alla sua gloria. Il nostro servizio ai fratellipiù deboli ci inserisce nel movimento diamore e di liberazione che parte da Gesù.

Di fronte all’immagine del Messia-re,modellata su quella del Re-pastore forgiata

dal profeta Ezechiele, Gesù sottopone alvaglio dell’amore le azioni concrete com-piute dagli uomini. Solo quanto saprannovivere la concretezza dell’amore generosoverso i fratelli potranno partecipare allagloria futura.

Terza messa

PRIMA LETTURADal libro della Sapienza (3,1-9)

Nella grande meditazione sapienzialeportata avanti dall’autore di “Sapienza” c’èposto anche per una riflessione sui problemipersonali dell’uomo. La constatazione chepurtroppo molto spesso i cattivi trionfano ei buoni sono disprezzati spinge a chiarire ilsignificato della retribuzione divina. Anchese il male sembra prevalere sulla terra, igiusti debbono confidare nella giustizia diDio. La loro speranza nasce dalla certezzadell’immortalità e di un mondo nuovo pre-parato dall’amore misericordioso del Signo-re per il trionfo dei giusti. Affrontiamo dun-que con coraggio l’esperienza faticosa dellavita presente.

SECONDA LETTURADal libro dell’Apocalisse (21,1-5.6-7)

Tra i tanti simboli negativi usati dall’A-pocalisse il mare è indubbiamente il simboloprincipale per rappresentare il male. In que-sta sezione finale del suo libro Giovanni nedescrive la sconfitta. Rinnova poi la promes-sa di Dio. In un mondo nuovo, il Signore ri-creerà la santa Gerusalemme, dove il suo po-polo troverà la pace e la gioia. Su questa pa-rola di Dio, principio e fine di tutte le cose,

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posa la speranza di tutta intera la comunitàcristiana.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (5,1-12)

Nelle beatitudini Matteo offre le indica-zioni basilari per il percorso che conduce daquesta vita alla santa Gerusalemme del cielo.Esse rovesciano i desideri più immediati del-l’uomo, che tendono a un possesso terrenoed egoistico dei beni della vita. La solidarietàverso tutti, proposta da Gesù, trova spazionei cuori sinceri, aperti agli altri. Urta perciòcontro tutte le pretese mondane. Per questo ipoveri, gli operatori di pace e di giustizia su-biscono violenza. Ma grande sarà la loro ri-compensa, dice il Signore.

XXXII DOMENICA DEL TEMPO ORDI-NARIO A6 novembre 2005Ecco lo sposo: andategli incontro!

PRIMA LETTURADal libro della Sapienza (6,12-16)

Un credente giudeo, che scrive verso lametà del primo secolo a.C. cerca di espri-mere la sua fede con il linguaggio della Sa-pienza. Essa è una emanazione vivente diDio che viene a invitare l’umanità al suobanchetto.

È sorgente di vita e di gioia, è in gradodi rispondere ai desideri profondi che si agi-tano nel cuore dell’uomo. Potremo sostitui-re in maniera riduttiva, ma efficace, il ter-mine “Sapienza” con “esperienza della co-munione con Dio”.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostolo aiTessalonicesi (4,13-18)

I primi cristiani vivevano nell’attesa diun prossimo ritorno del Signore. Questaaspettativa, a volte spasmodica, portò al sor-gere di inquietudini che appariranno benpresto ingenue e irresponsabili. Risponden-do alle domande che gli pongono, Paolo af-ferma la certezza essenziale sulla quale tor-nerà sempre, anche dopo avere compresoche l’avvento definitivo del Regno potevanon essere immediato: tutti siamo chiamati avivere nella pienezza vicino a Dio. Esprimequesta fede usando le immagini classichedell’apocalittica giudaica che descriveva lavenuta del Giorno del Signore.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (25,1-13)

La parabola di questa domenica, comemolte parabole di Gesù, può essere letta adue livelli, interpretata con due sfondi stori-ci diversi. Quando Gesù la raccontò per laprima volta, lo sfondo era quello della Suapredicazione e della Sua presenza nel mon-do: la parabola parlava allora della necessitàdi essere attenti e vigilanti a quanto Gesù di-ceva e faceva, per non perdere quell’occa-sione unica. Quando invece Matteo la narranel Vangelo, rivolgendosi ai cristiani dellaseconda generazione, la presenza storica diGesù è ormai alle spalle e la venuta verso laquale bisogna essere vigilanti è quella degliultimi tempi, quella del ritorno di Cristo allafine del mondo. Chiedersi quale dei due si-gnificati valga per noi oggi sarebbe sbaglia-to, infatti ambedue hanno importanza e van-

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no tenuti presenti. La venuta del Signore nelmondo con la Sua parola e il suo insegna-mento è stata una occasione unica, ma versola quale l’umanità deve ancora volgere losguardo con attenzione massima. Il Signoreviene ancora ogni giorno nella sua Parola eci interpella con i suoi insegnamenti e le sueazioni, guai a restare addormentati e disat-tenti: perderemmo una occasione unica!

Anche il secondo significato della para-bola ha importanza e attualità. Non si trattaperò di usarla per alimentare le manie diquanti vedono la fine del mondo dietro ogniterremoto o sconvolgimento sociale. Il mon-do di oggi ha bisogno di guardare al futurocome a un tempo nel quale il Signore verrà agiudicare e premiare, ma soprattutto per ri-cordarsi che il futuro è possibile e che un fu-turo migliore per tutta l’umanità è un compi-to che la fede ci propone. L’impegno per lacostruzione del futuro sta entrando in crisinel nostro mondo, dove sempre di più ciòche conta e che dirige ogni scelta è la tecno-logia. La tecnologia è l’applicazione dell’in-telligenza umana a qualsiasi ambito dellarealtà con una finalità chiara: ottenere di piùcon minore sforzo. Detto così sembra unacosa molto bella, la vera chiave di volta peril progresso. Ma il problema è che la tecno-logia non fa giudizi di valore: il problemacruciale è la quantità, l’aumento della pro-duzione, non una vita più vera, più serena,meglio vissuta e soprattutto per il maggiornumero possibile di uomini sulla terra. Eccoche invece tecnologia e consumismo si spo-sano perfettamente e la festa di nozze chenella parabola simboleggia il nostro futuronon è quella tra il Signore e il suo Popolo,ma quella tra la tecnologia e il consumismo.Produrre di più, per consumare di più e po-

tere così produrre di più; in un cerchio chenon porta da nessuna parte. Il nostro mondoche parla tanto di progresso sta in realtà uc-cidendo il futuro. Aumentare i beni non dànessun futuro migliore se non ci chiediamocosa è veramente necessario, se non faccia-mo in modo che siano sempre di più a bene-ficiare di quanto veramente serve. È invecesotto gli occhi di tutti che il mondo camminaverso un futuro dove: sempre meno persone,beneficiano di una quantità crescente di cosesempre più inutili; mentre la fame si allargain strati sempre più alti della popolazionemondiale.

XXXIII DOMENICA DEL TEMPO OR-DINARIO A13 novembre 2005 Sei stato fedele nel poco:prendi parte alla gioia del tuo padrone.

PRIMA LETTURADal libro dei Proverbi (31,10-13.19-20.30-31)

Difficilmente i nostri contemporanei po-trebbero concordare sull’ideale di donna per-fetta proposto da questo brano del libro deiProverbi. Di fatto è un testo che giunge dauna cultura patriarcale, nella quale una don-na poteva realizzarsi soltanto in un atteggia-mento di dedizione assoluta alla vita internadella famiglia. Quello che resta perennemen-te valido, anche di questa immagine apparen-temente datata, è l’atteggiamento di dedizio-ne, di dono di sé alla missione che nella vitaci sentiamo affidata. Vivere con impegno peril bene, questo costruisce la fondamentale di-gnità di ogni individuo, sia uomo che donna;in ogni cultura, sia passata che presente.

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SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostolo aiTessalonicesi (5,1-6)

Paolo ha appena terminato di risponde-re in maniera sobria ed equilibrata ai suoiuditori, che lo interrogavano sulla venutadel Regno di Dio. Rifiuta perciò di inoltra-si nelle loro speculazioni relative alla datadella venuta del Signore. Quello che im-porta è vivere alla presenza di Dio, prontiad accoglierlo in ogni momento. Il cristia-no deve essere l’uomo perennemente vigi-lante.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (25,14-30)

Matteo, molto più che Marco e Luca, in-siste sulla necessità di attendere il ritornodel Signore alla fine dei tempi in maniera at-tiva. È il messaggio anche di questa parabo-la conosciuta tradizionalmente come “la pa-rabola dei talenti”. Come le altre parabole diGesù anche questa ci è giunta attraverso larilettura che ne ha fatto la Chiesa di Matteo.È possibile riconoscere questo intervento equindi leggere il significato della parabolaper i suoi primi ascoltatori e poi per le gene-razioni seguenti. Gesù ha certamente indiriz-zato la parabola a coloro che, come il terzoservitore, si ritenevano a posto nei confrontidel loro padrone: che obbedivano in un at-teggiamento di profondo timore. Queste per-sone prive di inventiva e fantasia si trovaro-no spiazzate di fronte alla novità di Dio por-tata da Gesù. Gli scribi e i farisei moltospesso reagirono alla predicazione di Gesùcon un rifiuto preconcetto, basato sulla lorovisione di un Dio descritto come “…un uo-

mo duro, che miete dove non ha seminato eraccoglie dove non ha sparso…” un Dio dicui bisogna avere paura. Gesù li rimproveradi avere imprigionato l’azione di Dio entrole strette frontiere dei loro pregiudizi. Dioresterà sempre un padrone imprevedibile,ma questo non deve generare paura e inatti-vità, piuttosto audacia, fiducia e speranza,perché la sua generosità e il suo amore sonosenza misura, come dimostrano bene le ri-compense che offre ai suoi servi nella secon-da parte della parabola. Chi non accoglie untale Dio, l’unico vero Dio, si vedrà togliereil suo talento perché sia dato a qualcun altro,la guida della storia umana passerà di mano.Quando la comunità primitiva ha riletto lanostra parabola, il tono polemico originariosi era molto smorzato, rendendo così la pa-rabola una esortazione pressante ai credentidi non disprezzare la grazia di Dio. Quandoil Signore verrà saremo giudicati nella fe-deltà anche alle piccole cose: “Bene, servobuono e fedele, sei stato fedele nel poco,ti darò autorità su molto”. Matteo, parlandoalla seconda generazione cristiana, non at-tendeva più la venuta del Signore come unfatto imminente. Questo aveva portato alcu-ni a ridurre il loro impegno e la loro vigilan-za. Matteo reagisce ricordando che: certa-mente la fine del mondo non è imminente,ma è certa, e al tempo stesso giungerà im-prevista; è bene dunque vigilare e impegnar-si per poter rendere conto. Il rendiconto saràestremamente concreto dice la parabola: ilmessaggio del Regno è infatti un talento chese ben impegnato può portare molto frutto eil Padrone al suo ritorno vuol vedere questifrutti. È un tema frequente del vangelo diMatteo: Dio offre generosamente e gratuita-mente la salvezza, ma i credenti sono chia-

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mati all’impegno per mostrarsi degni di que-sto dono. Non ci sarà paragone fra quantoabbiamo fatto e la ricompensa che ci atten-de: chi è fedele nel poco sarà chiamato addi-rittura a “prendere parte alla gioia del Padro-ne”; tuttavia questa fedeltà nel poco è im-portante, determinante. È fondamentale di-mostrare di esser dei servitori impegnati enon dei pigri e dei paurosi: “Servo malvagioe infingardo…”.

Colui che non produce frutti si escludeda solo dalla ricompensa, dalla gioia del Re-gno che viene. È un messaggio esigente, chepuò anche apparire duro, ma davanti al qua-le non possiamo semplicemente desiderareuna soluzione diversa, Dio ci sprona a unaserietà di vita dalla quale non ci possiamoesimere.

CRISTO RE DELL’UNIVERSO XXXIV TEMPO ORDINARIO A20 novembre 2005Si siederà sul trono della sua gloriae separerà gli uni dagli altri.

PRIMA LETTURADal libro del profeta Ezechiele (34,11-12.15-17)

Ezechiele, esiliato a Babilonia con il suopopolo per colpa dei re empi che hanno re-gnato su Israele, manda contro di loro unadura maledizione. Annuncia che un giornoarriverà il vero pastore, la guida che con-durrà l’umanità sulla buona strada. Lungidall’essere uno sfruttatore del gregge, saràun servo attento, che si mette al servizio del-le pecore più deboli, vegliando con amore suquelle sane. Ma sarà anche un arbitro energi-co che ristabilirà l’ordine.

SECONDA LETTURADalla prima lettera di san Paolo apostolo aiCorinzi (15,20-26.28)

Paolo risponde alle domande dei Corinziche concernevano gli ultimi giorni e la resur-rezione dei morti. A quelli che dubitano diquest’ultima, contrappone la resurrezione diGesù. Mentre Adamo aveva condotto l’uma-nità alla rovina, Gesù la conduce alla vita.Egli cammina in testa alla schiera degli uo-mini che salgono verso il Signore. Introdurrànel regno del Padre coloro che l’avranno se-guito. Allora apparirà la sua potenza. In unmondo finalmente strappato alla morte, Diosarà tutto in tutti.

VANGELODal vangelo secondo Matteo (25,31-46)

Il vangelo della festa di Cristo Re riprendel’affresco del “giudizio finale”, che si trova inchiusura dell’ultimo dei 5 discorsi di Gesù nelvangelo di Matteo. Sapendo che Matteo hastrutturato il suo vangelo proprio attraversoquesti 5 discorsi, si può intuire quanta impor-tanza attribuisse a questa scena conclusiva. So-no le ultime parole solenni di Gesù Maestro,Rabbi sapiente che annuncia il Regno di Dio!Una prima notazione che colpisce l’attenzioneè quanto questo racconto finale sia vicino al te-sto delle Beatitudini, che apriva il discorso ini-ziale di Gesù. La via della salvezza era statapreannunciata come aperta soprattutto ai pove-ri, agli umili, ai semplici; ora si annuncia chequesta via resterà sbarrata per quanti non sa-pranno farsi vicini con amore concreto a questiultimi che “saranno i primi”. Al centro dellascena troviamo “Il Figlio dell’Uomo” nellagloria regale, che convoca davanti a sé tutte le

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nazioni. Questo è il motivo che ha determinatola scelta di questo testo per la festa di oggi: Cri-sto Re dell’universo. Tuttavia questo quadrotrionfante si spegne subito delle sue luci e deisuoi lustrini quando le parole del Re evocano lecondizioni difficili e spesso disperate di tanti“fratelli del re”. La lunga teoria di poveri, di af-flitti, di nudi, di carcerati, di oppressi di cui par-la questo vangelo, ci riporta alla realtà di unmondo che, a parole proclama la regalità diCristo, ma nei fatti non ascolta la Sua parola,non trattando come “fratelli del re” tutti gli uo-mini della terra. Il regno di Cristo infatti nonsomiglia per nulla ai regni della terra, i suoi po-sti di prima fila infatti vengono riservati ai po-veri, anzi ai più poveri. I grandi dignitari sonocoloro che si mettono a servizio degli ultimi.Lo stesso Signore ha ottenuto il titolo di re, per-ché ha fatto della sua intera vita un servizio, fi-no a giungere al dono totale di sé sulla croce.Così la regalità di Cristo non è una onnipotenzaoppressiva e invadente, ma piuttosto un servi-zio pieno di amore ai fratelli, portato fino all’e-stremo limite e a qualsiasi costo.

Il vangelo di questa domenica ricorda che ipoveri, gli oppressi, i deboli, sono i privilegiatidi Dio, non perché Egli consideri i loro meriti,ma perché si lascia commuovere dalla loro si-tuazione di intollerabile sofferenza. Dio si sentecostretto a intervenire per stabilire il Suo regnodi giustizia e di pace. Dopo la morte e resurre-zione di Gesù, i cristiani hanno sempre megliocompreso che Dio era intervenuto nel mondonella persona di Gesù, e che il Suo regno era difatto già cominciato. Riprese e rilette alla lucedella Pasqua tutte le parole e i gesti di Gesù ap-parivano come segni concreti della venuta edell’inizio di questo regno. Tuttavia, anche se ègià presente tra noi, la manifestazione del regnodi Dio è ancora una promessa per il futuro. I cri-

stiani restano in attesa della venuta di Cristo. Iltesto di oggi presenta la riflessione della chiesaprimitiva su un punto cruciale del messaggio diGesù: il regno di Dio inaugurato da Gesù è so-prattutto una buona notizia per i poveri. I disce-poli di Gesù saranno giudicati prima di tutto peril loro comportamento nei confronti dei poveri.Dando al suo racconto lo svolgimento di unascena di giudizio finale, Matteo aggiunge al suodiscorso sulla venuta del Signore un tono nuovoimportante. Le nazioni saranno giudicate sul-l’accoglienza che riserveranno ai piccoli, sullacapacità di mettere i poveri in prima fila al cen-tro delle loro preoccupazioni. C’è ancora tantocammino da percorrere, anche per quanti si di-cono veri cristiani.

La parola di Dio celebrata

Cristo Pantocrator, mosaico, S. Sofia, Instanbul sec. XIII

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Signore, ogni volta che decido di adorarti mi rendo conto che non è sufficienteguardare fisso verso l’Eucaristia. Tu mi chiedi anche di guardare intorno,di guardare «oltre», «lontano».L’Eucaristia crea sempre uno sguardo infinito, uno sguardo attento, unosguardo presente, uno sguardo penetrante. La nostra presenza qui è an-

che segno della tua Presenza: noi siamo il tempio di Dio, il tempio delDio vivente, il segno della tua Gloria.Per questo la preghiera di adorazione non è un fatto nostro, privato,esclusivo, ma un evento di Chiesa: è un popolo che adora il suo Dio.

L’adorazione non si esaurisce nel dialogo io-tu. Tu, Signore, vuoi vedere quanto sono capace di accogliere quelli che mistanno accanto: mi vieni a cercare per fare del mio volto il segno dell’a-micizia e della speranza, per riaccendere in tanti il desiderio dell’amore. Vuoi afferrarmi perché non venga preso dalla tentazione di scappare,

di non voler sentire, di non voler sapere, di diventare messaggio di te,parola di te. Vuoi cercarmi in mezzo al volto dei miei fratelli; mi vuoicercare in mezzo agli altri per poi inviarmi proprio a loro.

Quante volte mi viene da scappare di fronte alle responsabilità che mi attendo-no, di fronte alle risposte che gli altri si aspettano da me, mentre io con-tinuo con i miei discorsi evasivi. Quante volte sono tentato di scapparedi fronte alla voce della mia stessa coscienza, di fronte alla tua Parola;come Giona, mi viene di scappare, ma ho capito che ogni mia fuga pro-voca un mare in burrasca per tutti quelli che mi stanno accanto. Scappa-re da te è tradire i fratelli.Quando scappo uccido la speranza nel cuore degli altri. Quando scapposono sempre un perdente; se invece rimango posso diventare un «croci-fisso», che però in te ha già vinto il mondo.Quando scappo, non faccio che rincorrere me stesso, non parlo che dime stesso, non sono più me stesso.Quando scappo, perdo te, e non mi rimane altro che il nulla che sono.

Il vangelo che vogliamo meditare ora davanti a te (cfr. Gv 21) inizia con un’ap-parente fuga, con un ritorno sui propri passi: ci porta all’aperto, ci mettefuori, ci mette in cammino.Ma è possibile «tornare indietro» dopo che si è incontrato te?E’ possibile tornare a fare quello che si faceva prima di incontrare te?Può il fuoco prendere il posto della cenere? Può l’amore essere sostitui-

ADORAZIONE EUCARISTICA1

Abbandonarsi al Signore

Preghiamo

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to da un buon sentimento?Quando siamo stati chiamati per nome da te, ci rendiamo conto che nes-suno sa dire bene il nostro nome come tu l’hai pronunciato, tu che ci co-nosci nell’intimo, tu che ci conosci fino in fondo, tu che hai formato i no-stri occhi per vedere attraverso di noi, tu che hai formato le nostre orec-chie per ascoltare attraverso di noi, tu che hai formato queste nostremani per lavorare, benedire, accarezzare, stringere, sostenere attraver-so di noi. Tu che ci hai formato il cuore per amare attraverso di noi.

No, non si può tornare indietro quando si è incontrato te: quando siamo statiamati da te non si può più vivere del passato, ma del presente.Quante volte anche a noi piace vivere del passato, rimanerechiusi nelle nostre roccaforti, nelle quali abbiamo riposto tuttele nostre speranze pensando di essere già arrivati, e non ci ren-diamo conto che siamo diventati ciechi nel cuore.Adorare vuol dire non aver paura di essere scomodati, scaraven-tati fuori dalle nostre cose di sempre, quelle cose che avevamomesso da parte pensando che un giorno avrebbero potuto esser-ci utili, quelle cose delle quali non riusciamo a fare a meno: lastima degli altri, la loro considerazione, i loro applausi.Il passato spesso ci serve per nascondere quello che non riuscia-mo più ad essere.Quante sono ancora le cose che non riusciamo a lasciare! E sono proprioquelle che andiamo subito a riprendere non appena siamo costretti a vi-vere un presente scomodo.

Dal Vangelo vediamo che i discepoli si ripresero quello che avevano lasciato perseguire Gesù quando tutto sembrava finito: quel lago, quella barca,quella rete, quella sabbia di sempre, calpestata ora con gioia ora conrabbia, quell’aria frizzante, quel sole, quel tramonto.E noi quante cose, ancora, ci portiamo dietro!La nostra conversione è solo nel desiderio del dopo, perché ora ci siamoripresi tutto: anzi, non ci siamo distaccati da nulla. Nel nostro cuore nonfanno fatica a coabitare virtù e vizi, propositi e compromessi.Pensiamo che tu, Signore, sia troppo esigente e poiché ci fidiamo più dinoi che della tua parola, in un ripostiglio pieno di tutto continuiamo acustodire, magari al buio, le cose che non vogliamo lasciare.La tua richiesta di lasciare, però, altro non è che un ritrovare la veritàdelle cose stesse che abbiamo dimenticato.Tu vuoi che ti riconosciamo nel nostro quotidiano, nel nostro tempo or-mai passato.La luce della Pasqua ci proietta in avanti, non possiamo tornare indietro,scappare dal nostro presente per tuffarci nel ricordo del passato, madobbiamo illuminarlo con la luce di quest’oggi.

Preghiamo

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Quanto, del nostro passato, non è stato ancora illuminato dalla luce dellaPasqua?Viviamo portando zavorre pesanti, mentre tu non chiedi altro che diraggiungerci proprio là dove ancora ci nascondiamo.Dobbiamo restare al nostro posto. Dobbiamo essere noi stessi e non ciòche le situazioni o gli altri pretendono da noi.Lo stare qui, davanti a te, è voler permettere a te di entrare dentro di me.Ora che sono parte viva della Chiesa, non posso pensare solo a me. «Io vado a pescare»: ogni mia scelta ora coinvolge anche gli altri: «Noiveniamo con te».

Adorare è vedere coloro che tu stesso vedi e per i quali hai dato testesso.Adorare è vedere, non chiudere gli occhi.D’ora poi, ogni mia scelta pesa anche sulle spalle degli altri: il bene co-me il male non è un fatto privato.Faccio parte di un progetto al quale sono legati anche gli altri. Dal miocredere scaturisce e si rafforza il credere dei fratelli, dal mio amore di-pende anche il saper amare degli altri, dalla mia preghiera dipende an-che la preghiera degli altri. Se io mi fermo, faccio fermare anche gli altri.

Adorare l’Eucaristia è far risuonare la chiarezza delle Tue parole, Signo-re: «Per voi e per tutti», «Mi sono dato per tutti voi»; nessuno deve sen-tirsi escluso, nessuno mi creda di essere già sazio, nessuno pensi di poter-ne fare a meno.Tutte le volte che ci stacchiamo dagli altri le conseguenze sono, per tut-ti, disastrose: «Ma non presero nulla».L’entusiasmo e l’esperienza della vita non servono più quando si ha ache fare con te: quando è buio non si può vedere lontano, non si puòandare lontano. Da soli non si dà buon frutto; quando si corre da soli siarriva sempre primi, ma si appartiene alla categoria degli illusi.

Signore, quante volte ho preteso di parlare di te stando al buio! Quando gli oc-chi non vedono e la voce si riduce ad un bisbiglio di suoni, non si può vi-vere che del ricordo di te.Da me, gli altri vogliono trovare te.Non sui trova Dio nel buio che è stato occupato da me stesso, dalle eti-chette che altri mi hanno attaccato e nelle quali io mi sono identificato.Ora, qui, tu sei al centro di tutto, tu sei il centro di noi. Come sono verele tue parole: «Senza di me non potete fare nulla» (Gv 15,5).Tutti si preoccupano di fare delle cose. Forse anche noi in questa adora-zione abbiamo la pretesa di darti onore e gloria, ma poi finisce che nonvediamo l’ora che termini questo tempo e andiamo alla ricerca di qual-cosa da leggere, pregare, dire.

Preghiamo

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Signore, ci siamo dimenticati che per «fare» bisogna «essere». Spesso ci limitiamo a fare tante cose riempiendo le nostre gior-nate, e alla fine ci troviamo a mani vuote.Non sempre i conti tornano come noi vorremmo. Occorre che qualcunoci apra gli occhi, che non ci prenda in giro per il nostro fallimento e nondiventi complice delle nostre azioni.

Il mio rapporto con te, Signore, inizia sempre da una mia situazione fallimenta-re, nella quale tu intervieni offrendomi quello che io, da solo, non mi sa-rei mai aspettato.Sono qui per adorarti perché voglio donare ai fratelli quello che non so-no in grado di fare da solo, senza di te.Da te io dipendo, Signore. A te io mi affido.

Quando Gesù si vuole rivelare a noi, inizia donandocila luce. Egli è la Luce, per questo ci avvolge diluce: si presenta al mattino, quasi a contrapporsi con la nottecreata dalle nostre scelte, dai nostri sforzi inutili, dal nostropretendere di vedere a occhi chiusi.

Adorare è vedere. Adorare è incontrarsi con Colui che ci sta guardan-do e ci ha donato la sua luce per poterlo vedere. Adorare è ac-corgersi di Lui.Quando si è troppo occupati con se stessi, si finisce sempre col non vede-re neanche la luce.Signore, entra nella mia vita, entra nelle mie notti buie, nelle mie paure,nei miei fallimenti e, proprio quando mi sento così vuoto e a mani vuo-te, sentirò che tu ti accorgi di me.Adorare è lasciarsi occupare da te quando ci sentiamo disoccupati,quando siamo coscienti del nostro insuccesso e siamo delusi. Con te, Si-gnore, sembra che le cose siano valide solo quando si presentano diver-se dagli schemi del mondo. Con te, Signore, si può usare il vocabolariodei contrari e non dei sinonimi: notte-giorno, peccato-grazia, infedeltà-fedeltà, tradimento-amicizia, mani vuote-ceste piene, morte-vita eterna.

Tu mi chiedi «qualcosa» quando io non ne ho neppure per me. Quante volte miritrovo in queste circostanze! Le mie mani possono tenere solo due panie pochi pesciolini: è questa la mia vera «abbondanza». Sono qui, davantia te, con tutta la mia povertà, senza parole, disorientato, pronto a met-tere in discussione tutta la mia vita, la mia esperienza perché solo oraposso capire e fare quello che mi dici.Come gli apostoli, anch’io, con tutta la mia buona volontà e i miei propo-siti, devo imparare a seguire i tuoi suggerimenti, devo «gettare la rete»dalla parte giusta e scoprire, ancora una volta, tutta la generosità dell’ab-bondanza di Dio e la sua benedizione su quelli che si fidano di Lui.

Preghiamo

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Adorare è trovare il coraggio e la fiducia per buttarsi dalla parte giusta, quellache tu ci indichi vedendo la nostra fatica, quando pensiamo di poter fa-re da soli.Non sempre il nostro essere «buoni» significa «essere dalla parte del Si-gnore»; non sempre professare la fede ci conduce a Lui: spesso ci fermia-mo per la strada.Ciò che conta è il coraggio di gettare la rete dalla parte giusta, cioè daquella parte nella quale io non mi fido altro che di Lui perché, per partemia, non c’è altro che l’esperienza del mio fallimento.Il coraggio di «buttarsi», senza avere la rete delle nostre protezioni.

Adorare è riconoscerti, è gridare il tuo nome, è attirare lo sguardo de-gli altri su di te; è dire che ora tu sei qui, è dire chi sei, è riconoscere,nei segni della quotidiana fede, tutta la novità della Pasqua. Adorareè credere, è vedere, è amare il Signore.

Anche noi dobbiamo riconoscerti in questa Eucaristia, in questa Paro-la, in questa Chiesa fatta di noi e da noi: riconoscerti nel mistero dellacontraddizione che il nostro cuore racchiude e che la tua misericordiaha redento sulla croce.Dobbiamo arrivare ad entrare nel mistero della Pasqua attraverso la

porta del sepolcro aperto. Adorare è aprire la strada a chi vuol incontrare e conoscere Gesù, è pre-cedere qualcuno che sta già in cammino con noi.Adorare è vedere meglio, in maniera diversa: è sapere del suo amore, ècontemplare.Adorare non è avere delle cose da dire, ma sapere quello che si dice: èguardare oltre perché il cuore va più veloce del passo.

Se adorare è amare, fra me e te non ci possono essere distanze. Questo tempo che passiamo davanti a te, mi insegna ad avvicinarmi nonsolo a te, ma anche a tutti coloro che mi stanno accanto.L’anima contemplativa è un’anima che sa farsi prossima verso tutti. Chiriconosce il Signore, sa riconoscere anche i fratelli: chi sa riconoscere ilSignore, scopre anche il valore dell’amicizia.Il cuore di chi adora diventa così il luogo dove il Signore sperimenta co-me un uomo sia capace di incontrare e far suo il divino.Il nostro cuore davanti a te, Signore, diventa il luogo in cui tu riversi iltuo amore su tutta l’umanità.

Amen.

Preghiamo

1 Testo pubblicato in L. OROPALLO, Davanti al Signore, Tracce per l’adorazione eucaristica,Edizioni AdP, Roma 2000.

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L a commemorazione dei fedelidefunti (2 novembre) ci offrel’occasione per meditare sul my-

sterium mortis a partire, come sempre,dagli inni liturgici. La sensibilità neiconfronti della morte e del giudizio fi-nale si è modificata in modo sostanzia-le nel corso della storia. In questo cam-po, come in tanti altri, l’evoluzione delcostume sembra aver subito un’im-provvisa accelerazione nel corso del-l’ultimo mezzo secolo. Il fenomeno haavuto un inevitabile riflesso anche nelcampo della liturgia e della fede cri-stiana. Fino a non molti decenni or so-no la morte improvvisa era considera-ta una disgrazia, ogni cristiano prega-va per esserne preservato e chiedevadi potervisi preparare consapevolmen-te; oggi, al contrario, sembra che lamaggior parte delle persone preferi-rebbe una morte non solo indolore,ma del tutto inconsapevole. Un ostra-cismo generale tende ad allontanarela morte e il morire dalla coscienza col-lettiva e dalla scena della vita quoti-diana: nella nostra epoca è la morte, enon il sesso, ciò che di più osceno (nelsenso etimologico: ob-scenus, “fuoridalla scena”) si possa immaginare. Perquesto si cade in due eccessi opposti: osi espone la morte in modo così pla-teale da far sentire l’evento talmentestraordinario e orribile da risultarequalcosa di remoto e anomalo, e dun-que non minaccioso (la morte spetta-colarizzata); oppure al contrario si cer-ca di occultare la malattia e la mortepiù “ordinaria” – quella che più con-

cretamente insidia la vita di tutti noi –dietro una porta chiusa o un paraven-to di ospedale (la morte rimossa). E co-sì tanti ragazzi – o anche adulti – chepur hanno visto migliaia e migliaia dimorti attraverso lo schermo televisivo,non hanno poi avuto la possibilità disalutare un’ultima volta lasalma della nonna o del pa-dre. Raramente un sacerdoteriesce a portare il viatico aimoribondi, perché i familiaripreferiscono non chiamarloin tempo utile “per non spa-ventare il malato”: si trattadi una bugia tanto pia quan-to ridicola, che non inganna il mori-bondo e non riesce neppure a nascon-dere la minaccia della morte agli occhidi chi ancora è in forze1.

Anche il sentimento e l’attesa neiconfronti dell’«oltre» sono decisamen-te cambiati. Se prima la paura del giu-dizio di Dio dominava incontrastatal’immaginario collettivo, con il passaredel tempo sono aumentate le personeche si sono accostate alla morte pen-sandola nel segno della pace, come unriposo tranquillo e sereno, illuminatodalla quieta speranza nella vitaeterna2. Il gusto dell’orrido e le insi-stenze sugli aspetti più minacciosi del-la morte che caratterizzavano i medie-vali Totentänze (“danze macabre”) o imonumenti sepolcrali barocchi sonooggi del tutto abbandonati. Anchenella liturgia postconciliare la pauradell’inferno sembra aver ceduto il pas-so a una – forse più evangelica – fidu-

Innodialiturgica

L’Ufficio dei defunti di don Filippo Morlacchi

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cia nella misericordia divina e a unarinnovata attenzione alla fede nellavita eterna. A titolo di esempio, pos-siamo ricordare l’abolizione del cupocolore liturgico nero, sostituito nel ri-to esequiale dal viola, e la soppressio-ne dall’uso liturgico del Dies irae, lafamosa sequenza attribuita a Tomma-so da Celano (XIII sec.), a cui si è af-fiancata la composizione di una inno-dia liturgica completamente rinnova-

ta. È questo il motivo per cuil’ufficio dei defunti non ri-porta il testo latino degli in-ni, caso unico in tutto il bre-viario: si tratta infatti di testidi recente composizione,non consacrati dalla tradizio-ne e dunque riportati solonelle traduzioni in lingua

corrente. Tali inni possono essere re-periti nel Liber Hymnarius oltre che –ovviamente – nella liturgia delle ore

in lingua latina. Sarà dunque ben dif-ficile che il lettore vi si possa imbatte-re; tuttavia ne voglio trascrivere ecommentare uno, proprio per mostra-re sia la ricchezza spirituale che vi sinasconde, sia gli inevitabili impoveri-menti semantici a cui viene sottopostoun testo poetico ogni volta che si pro-cede alla traduzione. Si tratta dell’in-no Spes, Christe, nostrae veniae, previ-sto per la celebrazione delle lodi, eche non è affatto riportato nella litur-gia delle ore italiana, neppure in tra-duzione. Proprio per questo duplicemotivo può essere utile presentarlo:sappiamo bene infatti che le lodi, nonsolo quelle della domenica, ricordanola risurrezione di Cristo, e dunque siprestano a celebrare il mistero dellamorte con uno sguardo privilegiatoalla festa della risurrezione; inoltre sitratta di un testo quasi del tutto sco-nosciuto, e perciò da segnalare.

Innodialiturgica

Spes, Christe, nostrae veniae,tu vita, resurrectio;ad te sunt corda et oculicum mortis dolor ingruit.

Tu quoque mortis taedia passus dirosque stimulos,Patri, inclinato capite,mitis dedisti spiritum.

Vere nostros excipiens languores, pastor miserens,tecum donasti compatiPatrisque in sinu commori.

Apertis pendens brachiis,in cor transfixum pertrahisquos morituros aggravatmorbus vel moeror anxius.

O Cristo, speranza del nostro perdono,tu sei vita e risurrezione;a te si rivolgono il cuore e gli occhiquando il dolore della morte ci assale.

Anche tu hai sofferto gli orrorie i crudeli tormenti della morte,e, inclinato il capo, mite al Padre hai reso lo spirito.

Davvero hai preso su di te le nostredebolezze, pastore misericordioso,ci hai fatto dono di soffrire con te econ te morire nel seno del Padre.

Appeso a braccia aperte,porti con te nel tuo cuore trafittoi moribondi, che la malattiaopprime, o l’angoscia dolorosa.

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L’incipit manifesta subito la tonalitàdominante dell’intera composizione:l’orante è invitato a fissare lo sguardosu Cristo-speranza, fondamento dellafiducia umana nella misericordia diDio. Siamo in un clima affatto diversodalla terrorizzata attesa del dies irae, il“giorno dell’ira”; al contrario, volgen-do lo sguardo al Salvatore, il cristianoè invitato a sperare nel perdono che siriversa abbondante sull’umanità interagrazie alla morte redentrice di Cristo.Egli è largitor veniae, concede genero-so perdono, come recita un altro innoantico, e viene appellato vita et resur-rectio «resurrezione e vita», come eglistesso disse di sé a Marta, affranta perla morte del fratello Lazzaro (Gv11,25). Gesù non è dunque il giudicetremendo e glorioso che siede sul tro-no, ma piuttosto l’amico che consola,la speranza che risolleva, la vita che ali-menta il cammino del credente dinanziall’incognita della morte. Nonostantequesta visione quasi paradisiaca, l’innonon dimentica di esprimere però an-che il dolore e il pianto: la fede nellarisurrezione non sopprime il dolore deldistacco. Ecco perché la preghiera invi-ta anche il credente “assalito dal dolo-re della morte” a rivolgere lo sguardosul volto “mite e festivo” di Cristo (cfr.la preghiera per la commendatio ani-

mae). La fede nella risurrezione nonpuò né deve cancellare il do-lore, umanissimo e doveroso,causato dal distacco del tra-passo. La fede in una “mi-glior vita” non elimina la tri-stezza causata dall’impossibi-lità di condividere ancora conle persone amate il tempo ela vita quotidiana. Personal-mente diffido un po’ di coloro che vo-gliono fare dei funerali solo una festa,ostentando una gioia talvolta euforicache sarebbe frutto della speranza cri-stiana nella risurrezione: la sofferenzaper la morte non è stata risparmiata aGesù che piange per Lazzaro (Gv11,35), né a Maria, “madre dei dolo-ri”… e noi vorremmo essere superiorianche al Maestro e a sua Madre? Unasincera preghiera di fronte alla mortedeve saper coniugare l’espressione deldolore – tanto più profondo quantopiù intenso è stato l’amore che ci lega-va alle persone defunte – con la fedenella risurrezione, portatrice di conso-lazione e, forse, con il tempo, anche dipace e gioia spirituale.

La seconda strofa prosegue sullostesso registro: si contempla la mortedi Cristo, in cui i due elementi – i terri-bili dolori e la serena fiducia – si in-trecciano, come nella vita di ogni per-

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Qui portis fractis inferivictor pandisti caelicas,nos nunc dolentes erige,post obitum vivifica.

Sed et qui fratres corporenunc somno pacis dormiunt,iam te beante vigilenttibique laudes referant. Amen.

Infrante le porte degli inferi,apri, o vincitore, quelle del cielo;ora risolleva noi addolorati,rendici vita dopo la morte.

Ma anche i nostri fratelli nel corpoche ora dormono il sonno della pace,si risveglino, da te fatti beati,e a te cantino le lodi. Amen.

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sona umana. Gesù stesso ha patito itedia mortis, ossia la dimensione orri-bile e odiosa del morire: non è statoun semplice e dolce trapasso, ma untravaglio sofferto e dolente. E tutta-via, anche nel gustare l’amaro calice fi-no in fondo, Gesù non perde la sua fi-ducia nel Padre. Egli reclina il capo e siconsegna con mite abbandono nellebraccia del Padre, confidando chequello stesso Padre dal quale è eterna-

mente generato continuerà adargli vita anche oltre le an-gosce della morte. Gesù stes-so non si è sottratto all’in-treccio di dolore e di speran-za che accomuna tutti i figlidi Adamo.

Già le prime due strofe ciconsentono dunque di ap-

prezzare il sapore pasquale della pre-ghiera per i defunti: una pasqua inte-gra, in cui il dolore del venerdì e l’an-goscia silenziosa del sabato sono tra-sformati, ma non cancellati dalla gioiadella domenica. La meditazione si ap-profondisce con la strofa seguente: ilSignore ha davvero assunto su di sé lenostre sofferenze. In certo senso il “ve-re surrexit Dominus” della domenicadi pasqua si arricchisce contemplandoanche il “vere passus est”: contro ognidocetismo o monofisismo, il Figlio diDio si è fatto vero uomo e ha vera-mente sofferto la morte. Così egli ci hafatto dono di soffrire (compati) e mo-rire (commori) non più da soli, ma in-sieme a lui (com-), nel seno del Padre.Il desiderio maggiore di ogni persona,nel momento della morte, è quello dinon essere solo. Nel prezioso volumet-to Il dono del compimento (Ed. Queri-niana, Brescia 31996) J. H. Nouwen ri-

ferisce l’episodio di un ragazzo affettoda sindrome di Down che, nel momen-to in cui sentiva che la vita lo stava ab-bandonando, ripeteva a chi lo accom-pagnava: «chiamami!… chiamami!…».Essere chiamati per nome significa nonessere più soli. Ecco, il Signore ha sof-ferto la morte senza sconti, “vere”, af-finché nessuno si senta mai più solonel momento del passaggio. Con leparole della lettera agli Ebrei (2,14):«poiché gli uomini hanno in comunela carne e il sangue [cioè la natura fra-gile e mortale], anch’egli, Gesù, ne èdivenuto partecipe».

La quarta strofa ci riporta all’anticavenerazione per le piaghe di Cristo.“Intra tua vulnera absconde me”,“dentro le tue ferite nascondimi” reci-ta la preghiera dell’Anima Christi, au-torevolmente riproposta dal Santo Pa-dre alla devozione dei cristiani nell’ul-tima parte del Compendio del Catechi-smo della Chiesa Cattolica. E a più ri-prese nei suoi scritti san Bernardo invi-ta gli uomini, soprattutto i peccatori, atrovare rifugio e consolazione, dinanzialle accuse del demonio, nel costatosquarciato di Cristo. L’inno estendequesto pensiero alla situazione deimoribondi: chi si trova nell’ultima ago-nia è invitato a nascondersi nel cuoredi Cristo, a farsi da lui portare fino alPadre come da un felice traghettatore.Per il credente non c’è un Caronte cheporta agli inferi, ma il “divino ascenso-re” (Santa Teresa di Lisieux), il cuorecompassionevole di Cristo che conducealle dimore del cielo. Le braccia allar-gate sulla croce sono segno di acco-glienza universale, di fronte alla qualeanche il più grande peccatore è invita-to a confidare. Il pungiglione della

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morte (cfr 1Cor 15,55) è spezzato enon fa più paura.

Nella quinta strofa si fa memoriadella vittoria sugli inferi: le porte in-fernali sono spezzate, quelle del cielosono aperte. Questa contemplazionefiduciosa può risollevare coloro chepregano per i loro cari in uno stato dicomprensibile tristezza: al Risorto vie-ne chiesto di dare sollievo a chi adessoprega nel dolore, confortato dalla spe-ranza nella vita nuova. Nel giorno del-la risurrezione infatti gli oranti e i lorocari, temporaneamente separati (eccoperché sono “nunc dolentes”), saran-no nuovamente uniti e vivi in Dio. Eproprio questo – cioè la vita promessain paradiso – è il tema dell’ultima stro-fa: anche i defunti, che ora dormono ilsonno della pace, e per i quali innal-ziamo preghiere di suffragio, si risve-glieranno a vita nuova. L’inno pregaaffinché il loro risveglio sia causatonon dallo squillo tremendo della trom-

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1 Sulla squallida menzogna nei confrontidei moribondi ha scritto pagine memo-rabili L. Tolstoj in La morte di Ivan Il’i?.Ecco alcune riflessioni del protagonista:«parecchie volte, quando venivano acontargli le loro storielle, era stato a unpelo dal gridare: smettetela di mentire,voi sapete benissimo, come lo so io, chesto morendo, perciò smettetela almenodi mentire. Ma non aveva mai avuto ilcoraggio di farlo» (cap. VII). Forse ancheoggi varrebbe la pena di ripensare aqueste parole…

2 Sarebbe estremamente istruttivo – manon è questo il luogo per farlo – riper-correre la storia delle tante Messe da

Requiem ed altre composizioni sul temadella morte prodotte nel corso degli ul-timi secoli (Bach, Mozart, Cherubini,Verdi, Brahms, Dvo?ák, Fauré, Duruflé,Strawinskij, per citare solo i nomi piùfamosi…) e confrontare le diverse con-cezioni dell’aldilà – drammaticamenteangosciate o serenamente fiduciose -che tali capolavori esprimono. Altret-tanto affascinante sarebbe sviluppareun'analoga ricerca nel campo della let-teratura o della pittura. Ma sarebbemateria per diversi volumi. Rimando so-lo ai classici Ph. ARIÉS, Storia della mor-te in occidente, Rizzoli, Milano 1998 (or.fr. 1975), e V. MESSORI, Scommessa sullamorte, SEI, Torino 1982.

ba del giudizio (“tuba mirum spargenssonum”, cantava su echi apocalittici ilDies irae), bensì dalla visione beatificadel volto di Cristo (“te beante”). Quelvolto che, sfigurato sulla croce, si è fat-to fratello nel dolore, e che, alla finedei tempi, donerà gioia eterna a chipotrà contemplarlo con grato amore.L’inno, eccezionalmente, non si chiudecon la solita dossologia, ma si limita aproclamare la speranza in questo can-to nuovo che accomuna tutti– coloro che ora sono vivi eanche coloro che già sonopassati oltre la soglia dellamorte – nell’unica lode alDio vivente. La preghiera peri defunti, legittimamente ve-nata di mestizia, non si chiu-de con il trionfo della gloria,ma con la speranza, umile e convintache anche l’ultimo nemico (1Cor15,26)in quel giorno (“dies illa…”) sarà an-nientato.

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«50. Il canto all’offertorio accom-pagna la processione con la quale siportano i doni; esso si protrae almenosino a quando i doni sono stati depo-sti sull’altare. Le norme che regolanoquesto canto sono le stesse che per ilcanto d’ingresso (esso viene eseguito

alternativamente dalla scho-la e dal popolo, o dal canto-re e dal popolo, oppure tut-to quanto dal popolo o dallaschola sola). L’antifona di of-fertorio, se non si canta, vie-ne tralasciata».

Alcuni spunti di riflessio-ne sulla natura mistica della liturgiaoffertoriale.

Il numero 50 dei PNRM richiamaesplicitamente il rapporto strettissimotra le due processioni, non, evidente-mente, su un piano meramente disci-plinare-organizzativo. L’ambito dellanorma, difatti, non si esaurisce in sem-plici movimenti esterni più o menoconvenzionali o più o meno cristalliz-zati nel tempo, ma è fondato in uncomplesso di significati vitali e di indi-cazioni valoriali che trovano forma,appunto, esterna e codificata.

Tutto il complesso di rimandi spiri-tuali che avevamo indicato per la pro-cessione introitale si riversa, in un mo-vimento osmotico, nella seconda pro-cessione, quella offertoriale.

Se, dunque, con la processioned’ingresso viene significata l’incarna-zione, la discesa di Dio sulla terra(“…ho udito il grido del mio popolo

in Egitto e sono sceso a liberarlo…”),con la processione d’offertorio si ha losviluppo intimo e maravellioso diquella esplosione che ha caratterizza-to l’ingresso dell’eternità nella storia.1

Dio entra nel nostro mondo (proces-sione d’ingresso) perché noi possiamoentrare nel nostro (prima che nel suo:senza l’entrata nel nostro non si puòentrare nel suo. Ciò significa che Cri-sto è l’unico criterio dell’umano) ecamminare verso la trasformazionedella nostra vita in cielo (processioneoffertoriale). Quella particolarissimaprocessione offertoriale che è l’esododi Israele dall’Egitto ancora una voltaoffre motivi di riflessione: il pane azzi-mo è trasformato in pane di libertà; lepaure che Israele porta con sé nell’u-scita dalle false sicurezze egizianevengono lentamente trasformate dalcielo in cielo. Israele entra nella suaintimità e identità più profonda (esse-re popolo dell’unico Dio vivo e vero)perché il Signore si è degnato di en-trare in Egitto; Israele esce dall’Egitto(e dunque dalla parte più negativa dise stesso) perché il Signore è entratoin Egitto, uscendo da sé, dall’inaccessi-bilità del suo mistero.

Vi è, allora, un’unione fortissimatra il mistero di Dio e il mistero del-l’uomo negata all’indomani del rinno-vamento là dove, in nome di una falsaed equivoca autonomia dell’umanodal divino, si tentò di staccare le dueofferte, quella del prete e quella delpopolo. Scrive Philippe Robert:

All’inizio del rinnovamento liturgi-

Il canto d’offertorio di don Daniele Albanese

Pregarcantando

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co, per favorire una partecipazione at-tiva dei fedeli, l’offertorio occupavaun posto importante; di conseguenzai «canti di offertorio» erano molto nu-merosi. Si era voluto fare dell’offerto-rio un sacrificio quasi autonomo in cuiil laico cristiano offriva la sua propriavita, mentre il «Canone» era il sacrifi-cio di Cristo offerto dal prete soltan-to.”2

Proprio la preghiera del sacerdote,invece, alla presentazione dei doni, èuno degli inni più splendidi che rac-contano l’intreccio incredibile tra l’a-zione dell’uomo e quella di Dio:

Benedetto sei tu, Signore, Dio del-l’Universo,

dalla tua bontà abbiamo ricevutoquesto pane,

frutto della terra e del lavoro del-l’uomo:

lo presentiamo a Te, perché diventiper noi

cibo di vita eternaBenedetto sei tu, Signore, Dio del-

l’Universo,dalla tua bontà abbiamo ricevuto

questo vino,frutto della vite e del lavoro del-

l’uomo:lo presentiamo a te, perché diventi

per noibevanda di salvezza.

Da notare: L’uomo dice suo frutto ciò che nel-

lo stesso momento riconosce opera diDio (dalla tua bontà abbiamo ricevu-to… frutto della terra e del lavorodell’uomo)

diventi per noi…: il possesso vero èfrutto del dono fatto da Dio…

L’uomo presenta a Dio, certo (lopresentiamo a te…), ma ciò è resopossibile esattamente dal suo contra-rio: Dio offre a noi (dalla tua bontàabbiamo ricevuto);

non dice nostro lavoro…, ma lavo-ro dell’uomo (capacità di distacco enon identificazione…; comprensioneche è il frutto di un lavoro comune atutto l’uomo).

La preghiera sulle offertedell’VIII settimana del TempoOrdinario descrive sapiente-mente lo scambio divino deimeriti:

O Dio, da te provengonoquesti doni

e tu li accetti in segno delnostro servizio sacerdotale:

fa’ che l’offerta che ascrivi a nostromerito

ci ottenga il premio della gioiaeterna.

Per Cristo nostro Signore.

Sulla questione del merito e dellanatura teandrica dell’azione Bernardodi Chiaravalle3 sintetizza in manieramirabile, quasi come un commento al-la preghiera offertoriale:

Così Dio misericordioso, «il qualevuole che tutti gli uomini siano sal-vi» estorce per noi da noi stessi i me-riti, e mentre ci previene dandoci ciòdi cui possa ricompensarci, gratuita-mente opera per non dare gratuita-mente.

Nel panorama attuale della produ-zione liturgica si registra una certadifficoltà ad individuare canti adattiper l’offertorio. Da quanto detto,

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però, i criteri di scelta potrebbero ri-guardare:

la capacità di offrire senza paura ipropri azzimi, perché vengano trasfor-mati in gioia e verità (1. Non temere;2. Come un bambino; 3. Credo in te; 4.Il deserto fiorirà; in M. FRISINA, Non te-mere, Rugginenti Editore, 1987;)

la lode alla creazione quale prelu-dio alla salvezza (Benedetto sei Tu Si-gnore, da M. FRISINA, Signore è il suo

nome, Rugginenti Editore,1988; O Signore nostro Dio,in M. FRISINA, Non temere,Rugginenti Editore, 1987; Ilgrande Hallel, in M. FRISINA,Signore è il suo nome, Ruggi-nenti Editore, 1988);

L’immagine prettamenteoffertoriale della pasta, della

fermentazione e del frutto si può ri-trovare nel canto Il Regno di Dio in M.FRISINA, Benedici il Signore, RugginentiEditore, 1988).

Oltre, naturalmente, ad alcuni classiciche hanno inteso più esplicitamentecommentare la liturgia della presenta-zione dei doni pur rivelando, a mia per-sonale veduta, aspetti problematici siaper quanto riguarda il testo (nella misu-ra in cui non è tratto dalla Scrittura, dal-la liturgia o dalla tradizione spirituale),sia nell’aspetto del rapporto (egualmen-te decisivo) tra testo e linea melodica:

1. Se m’accogli; 2. Le mani alzate;3. O Signore raccogli i tuoi figli; 4. Sequalcuno ha dei beni; 5. A te, nostropadre; 6. Se il chicco di frumento.4

I canti citati sono solo a titoloesemplificativo ed è sulla base di unacriteriologia allargata che ogni re-sponsabile sceglierà il canto che ri-terrà opportuno e adeguato alla cele-brazione: testi che a prima vista sem-brerebbero fuori luogo, opportuna-mente compresi alla luce della profon-dità del mistero offertoriale diventa-no un commento convincente

mio figlio, oggi ti ho generato”).2 R. PHILIPPE, Cantare la liturgia, Elledici,

Torino, 2003, p. 44.3 BERNARDO DI CHIARAVALLE, Lodi alla Vergi-

ne Madre, Omelia quarta, 11.4 Tutti disponibili nella raccolta E danzan-

do canteranno, Ed. Porziuncola, PG, IIIedizione.

————————

1 Interessante notare come due esplosio-ni sono all’origine della vita: quella pri-mordiale, perfetta e compiuta in sé, cheha dato origine all’universo intero e l’e-splosione della risurrezione (la sola chepuò spiegare quel misterioso negativofotografico della sindone) che ha datoorigine alla vita nuova (cfr. sal 2: “Tu sei

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I l complesso di San Clemente sorge aRoma a 400 metri ca. dal Colosseo,sulla strada in lieve salita che dalla

valle tra il Colle Oppio e il Celio raggiun-ge la basilica lateranense. Non si sa conesattezza in quale momento cominciò ilculto cristiano in questo luogo; esso èstato comunque associato dalla tradizio-ne con la casa di san Clemente, quarto

papa che dopo Lino e Cleto succedette aPietro come vescovo di Roma, verso la fi-ne del I sec. L’esistenza di una chiesa ro-mana dedicata a San Clemente è per laprima volta testimoniata alla fine del IVsecolo da Girolamo; una ‘Sanc-ti Clementis basilica’ è citata inuna lettera di papa Zosimo(417). Inoltre tre presbiteri diSan Clemente sono compresitra coloro che firmarono gliatti del Sinodo Romano del499. Il complesso architettoni-co della basilica di San Cle-mente si articola essenzialmente su trelivelli sovrapposti, di cui esternamente èvisibile solo l’ultimo, cioè la basilica cheriprendeva, rimpicciolendola notevol-mente, la pianta del sottostante edificioe che fu eretta per volere del cardinaleAnastasio nel primo quarto del XII sec.,periodo in cui molte chiese romane fu-rono restaurate o addirittura ricostruite.Questi lavori portarono a dei cambia-menti sostanziali e ancora visibili nellachiesa antica, degradata al ruolo di fon-dazione per la costruzione più recente.Riempita di pietrisco e macerie fu com-pletamente dimenticata fino al XIX sec.quando, grazie soprattutto agli inter-venti di scavo per opera di padre Mul-loly, dell’ordine dei domenicani irlandesiche hanno in cura la chiesa, la basilicainferiore fu scoperta arrivando ad inte-ressare la Commissione Pontificia perl’Archeologia Sacra, che visitò gli scavinel novembre del 1857.

L’affresco di Maria Reginain San Clemente a Roma di Roberta Boesso

Maria Regina, affresco, Basilica Inferiore diSan Clemente (Roma)

Epifania dellabellezza

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Quando la basilica inferiore fu abban-donata per la costruzione più recente,gran parte dei suoi arredi furono aspor-tati per ornare la chiesa superiore. Natu-ralmente fu impossibile - o non se nesentì l’esigenza - trasportare anche i di-pinti con cui, durante gli otto secoli di vi-ta, era stata ripetutamente ornata: buo-na parte delle superfici murarie doveva-no essere nel XII sec. ricoperte da affre-schi.La maggior parte di questa decora-

zione non è sopravvissuta aglieffetti del tempo e dello scavo,ma tutt’oggi il poco rimastobasta a far annoverare San Cle-mente seconda solo a SantaMaria Antiqua nel campo dellapittura medioevale. Il murosettentrionale della navata re-ca tracce di pittura in tutta la

sua estensione, anche se per la maggiorparte limitate a frammenti. Esaminandola stratigrafia degli intonaci ci si rendefacilmente conto che, durante i secoli incui la basilica inferiore era officiata, ci fupiù di un programma decorativo. Di que-ste pitture, che sono state per me nel1985 oggetto di studio e di indagini pre-liminari per proposte di intervento di re-stauro elaborate in una tesi specifica perl’ICR (Istituto Centrale per il Restauro) inRoma da me in quegli anni frequentato,esaminerò l’immagine di una Madre diDio dipinta nella nicchia distante 11,5 mdal nartece. Stando alle interessantiinformazioni raccolte dalla prima descri-zione che seguì la scoperta, anche il fon-do della nicchia come l’intera decorazio-ne della parete era coperto da un secon-do livello di intonaco, su cui era stata ri-dipinta “una immagine della BeatissimaVergine” col Bambino. Evidentementel’interfaccia dell’intonaco visibile aveva

perso ogni tipo di adesione con quellosottostante se, solo pochi giorni dopo,cadde riducendosi in minuscoli frammen-ti. Grazie a questo però, si mise in luce laMadonna attualmente visibile, altrimentiinsospettata, ritenuta di qualità moltosuperiore rispetto alla precedente e subi-to datata tra l’VIII e il IX secolo.

È evidente dunque che la decorazio-ne della nicchia fu intrapresa in due mo-menti successivi. Lo schema originaleconsisteva in una Madonna con Bambi-no in trono, affiancata da due sante;quest’ultime furono sostituite successi-vamente con due scene che sono stategeneralmente lette come Abramo e Isac-co salvato da un angelo. Pochissimi e in-significanti frammenti sono rimasti a li-vello delle teste, tanto da non permette-re alcuna ipotesi sulla decorazione che visi era fatta. Allo stesso tempo fu colloca-to, sul cielo stellato del sottarco, un me-daglione con l’effige di Cristo.

La Madonna seduta su un trono conschienale, cuscino e poggiapiedi, è ve-stita completamente di blu, con il capoornato da una particolare acconciaturadi tipo orientale, impreziosita da perle:soprattutto queste ultime a Bisanzioerano attributo regale, valido sia pergli uomini che per le donne. Purtropponon si può definire chiaramente la po-sizione delle sue braccia: il destro è al-zato, ma l’intonaco dove era dipinta lamano è caduto; il braccio sinistro cheappare innaturalmente lungo dovevasostenere il Bambino, ma anche in que-sto caso la pellicola pittorica che defi-niva la mano è scomparsa. Dietro a leiuna grande aureola bordata di biancoe rosso, circonda la testa e pareconfondersi con lo schienale del trono.

Il Bambino presentato in posizione

Epifania dellabellezza

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frontale indossa una tunica color ocra,sfumata in toni più rossastri per modula-re i panneggi e stringe con la sinistra unrotolo, sfiorandolo con due dita dellamano destra; la sua testa, meno accura-tamente definita di quella della madre,è circondata da un bianco nimbo non acerchio pieno come quello della Madre,ma trasparente e delineato da un trattocircolare intersecato da tre linee che ren-dono i bracci della croce.

Il trono è stato reso con ampi pianicolor ocra, incorniciati da larghe strisceblu su cui la disposizione di punti bian-chi ha l’intento di suggerire una decora-zione con pietre. Al lato destro del tro-no si possono ancora intravedere quat-tro brevi righe di graffiti che riportano inomi di quattro persone, due delle qualisono state identificate come presbiteri.

Molti studiosi sono stati colpiti daglielementi bizantini della testa della Ma-donna, in particolare dal tipo di coronaingioiellata delle imperatrici bizantinecon la sommità ornata e i ‘prependulia’ai lati del viso, arrivando così per esem-pio a supporre che questo dipinto origi-nariamente ritraesse l’imperatrice Teo-dora. Ipotesi affascinante che fu causa dipiù approfonditi studi e ricerche. Fu cosìche padre Dominic Darsy (del PontificioIstituto per l’Archeologia Sacra) ritennela testa di qualità migliore rispetto al re-sto del corpo e sostenne che si trovavasu un intonaco a livello più basso rispet-to al resto; nel confronto con il ritrattoravennate di Teodora, trasse l’idea cheanche questo fosse un ritratto dell’impe-ratrice trasformato come lo vediamo og-gi, aggiungendo il trono e rifacendoladal collo in giù. Secondo questa teoria lesante ai lati erano dame di corte, succes-sivamente beatificate.

Nel Liber Pontificalis si legge cheGiustiniano inviò dei doni a papa Gio-vanni II (533-35) e conoscendo il lega-me di quest’ultimo con la basilica diSan Clemente, si potrebbe spiegare lapresenza di un ritratto imperiale comeuna sorta di ringraziamento. Questaaffascinante ipotesi ha però diversipunti deboli che furono via via eviden-ziati dagli studi più recenti che, soste-nendo la contemporaneità di scritte edipinti nei lati della nicchia,smentì l’ipotesi di un rifaci-mento. Inoltre il suppostodoppio ‘livello’ è dovuto uni-camente a una crepa; al disopra di essa il colore parepoi essere assolutamenteidentico al sottostante. Inrealtà sono innumerevoli gliesempi di Madonne ‘bizantine’ e nonè necessario supporre per ognuna diessi preesistenti ritratti di imperatrici.

I primi esempi di Madonne conBambino sedute in trono si trovano interritorio bizantino e sicuramente l’au-tore del dipinto di San Clemente è sta-to influenzato da qualcuna di esse.

La trasposizione di attributi impe-riali a personaggi sacri si ha anche perl’iconografia di Cristo, come si può ve-dere in numerosi esempi di sarcofagicristiani del IV secolo.

Il particolare modo con cui viene ri-tratta a San Clemente la Madonna,con attributi regali invece che in sem-plici vesti disadorne come negli esempicatacombali, rende legittimo denomi-nare questo tipo come “Maria Regi-na”, che si diffuse particolarmente inOccidente, soprattutto a Roma, comeinduce a pensare la sopravvivenza delmaggior numero di esemplari.

Epifania dellabellezza

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C i sono uomini e donne chehanno vissuto in pienezza illoro battesimo al punto da far

germogliare frutti di santità. Avvici-niamo in questo numero la figura diGiuseppe Moscati, un laico medico,professore d’università, uno scienzia-

to noto per i suoi contributiscientifici. Egli nacque a Be-nevento il 25 luglio 1880 daRosa De luca e Francesco,intraprendente magistrato.Dal matrimonio nacqueronove figli di cui Giuseppe fuil settimo. Il piccolo ricevet-te il battesimo sei giorni do-

po la nascita, il 31 luglio 1880, festadi S. Ignazio di Lodola. Nel 1881 ilpadre venne promosso Consigliere di

Corte d’Appello andando a viverecon la famiglia ad Ancona e nel 1884fu trasferito a Napoli come Presiden-te della Corte d’Appello. L’otto di-cembre 1888 Giuseppe ricevette Ge-sù Eucaristia nella Chiesa delle An-celle del Sacro Cuore di Napoli, senzadubbio questo primo incontro con ilSignore segnerà l’inizio di una vitaprofondamente eucaristica orientataall’amore e al dono di sé.

Dopo la scuola elementare s’iscris-se al ginnasio Vittorio Emanuele con-seguendo la maturità classica con ot-timi voti. Un percorso scolastico nor-male quello del nostro giovane, riccod’interessi e impegni culturali, sensi-bile al bello e carico di vitalità. Duemesi dopo aver intrapreso gli studi dimedicina, il giovane Moscati fu col-pito da due gravi lutti che incideran-no una traccia nella sua vita. Il padreFrancesco colpito da emorragia cere-brale muore il 21 dicembre 1897 enel 1904 si spense a Benevento an-che il fratello Alberto a causa di ungrave incidente.

L’esperienza del dolore divenneper Giuseppe la spinta per iniziaregli studi di medicina con uno spiritodi servizio e di compassione verso ilprossimo più debole. Difatti conse-guita la laurea, università e ospedalefurono i primi campi di lavoro delgiovane medico.

Dotato di qualità intellettive dav-vero straordinarie vinse presto ilconcorso di Coadiutore straordinariopresso l’Ospedale Incurabili e quello

San Giuseppe Moscati di suor Clara Caforio, ef

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di Assistente nell’Istituto di ChimicaFisiologica. Queste brevi notizie fan-no comprendere che la Grazia di Dioquando trova spazio nella vita diogni persona lavora e arricchisce tut-ta l’esistenza.

Il 1906 viene ricordato particolar-mente per l’eruzione del Vesuvio eMoscati anche in questa occasione sidistinse nell’opera di soccorso. A Tor-re del Greco fece sgomberare l’ospe-dale ed egli stesso aiutò gli ammalatiad uscire prima del crollo del tetto.La sua tenacia e intraprendenza so-no proprio tratti caratteristici dellasua personalità destinata a maturaresempre più nel tempo. Nel 1911 a so-li trentun anni il dottor Moscati vin-se il concorso di Coadiutore Ordina-rio negli ospedali Riuniti, un concor-so importante a cui parteciparonomedici venuti da ogni parte. Nellostesso anno la reale Accademica Me-dico-Chirurgica lo nominò socio ag-gregato e il Ministero della PubblicaIstruzione gli conferì la libera docen-za in Chimica Fisiologica.

Oltre all’intenso lavoro tra Univer-sità e Ospedale, il professore diressee diede nuovo impulso all’Istituto diAnatomia patologica divenendo un“vero maestro nell’esercizio delle au-topsie”, come ebbe a dire un lumina-re del tempo. Anche in questo setto-re così particolare egli volle che sirendesse visibile l’immagine di GesùCristo, così nella sala, ma in alto co-me a dominare l’ambiente fece col-locare un Crocifisso con l’iscrizione“Ero mors tua, o mors” (Os.13,14). Leautopsie di Moscati divennero per luie i suoi assistenti autentiche lezioniper comprendere il significato e il

valore della vita; vita che ha sempredifeso e sostenuta in ogni aspetto.Dopo alcuni anni la sofferenza si fe-ce nuovamente sentire in casa Mo-scati con la morte improvvisa dellamamma avvenuta il 25 novembre del1914; l’anno dopo l’Italia entrò nelconflitto mondiale e, com’è facilepensare, il nostro giovane fece subi-to domanda di arruolamento volon-tario senza essere esaudito. Le auto-rità militari gli affidarono isoldati feriti che affluivanoall’ospedale degli Incurabili.Visitò e curò circa 3000 mili-tari, di cui redasse diari estorie cliniche. La sua voca-zione, qui, ha la sua piùprofonda convinzione poi-ché egli non fu solo medi-co, ma anche consolatore e sostegnoaffettuoso. Tanto zelo non fa ricor-dare, forse, il famoso inno alla Caritàdi cui parla S. Paolo? (cf Cor.13) inGiuseppe Moscati scienza e carità sisono ben amalgamate, cultura eamore si sono armonicamente fusetanto da renderlo paziente, benevo-lo, altruista, umile. La sua vita fu unvero inneggiare alla Carità con leopere e la misericordia. Negli anniche seguirono si dedicò completa-mente al lavoro ospedaliero, donan-do nelle corsie dell’ospedale tempo,esperienza e capacità umane ecce-zionali.

Le malattie di ogni tipo furonosempre in cima ai suoi pensieri, per-ché i malati -ribadiva- “sono le figu-re di Gesù Cristo, anime immortali,divine per le quali urge il precettoevangelico di amarle come noi stes-si” e rivolgendosi ai colleghi ebbe

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spesso a dire “il dolore va trattatonon come un guizzo o una contra-zione muscolare, ma come il grido diun’anima, a cui un altro fratello, ilmedico, accorre con l’audacia dellacarità”. Una sincera passione, questadel nostro santo medico; un insegna-mento che con lo scorrere del temponon si affievolisce. La nostra societàcontemporanea così preda di carrie-re facili, di successi e di tanto egoi-

smo, necessita di uomini edonne impegnati nel lavorocon spirito cristiano. Il cam-po medico oggi è uno deisettori dove maggiormenteurge di persone sensibili,professionalmente corretti,“buoni samaritani” che san-no curvarsi sulle ferite del

corpo e dello spirito. Giuseppe Mo-scati in questo senso è una “lampadaposta sopra il lucerniere”; testimonecredibile da imitare ancora oggi! Co-me accade per tutti i profeti ancheper lui non mancarono invidie e ge-losie e ostacoli di ogni genere a cuirispondeva senza ripicca: “Ama la ve-rità, mostrati qual sei, e senza infin-gimenti e senza paure e senza ri-guardi. E se la verità ti costa la perse-cuzione, e se il tormento, tu soppor-talo. E se per la verità dovessi sacrifi-care te stesso e la tua vita, tu sii for-te nel sacrificio”.

Scienza e fede

La figura di Moscati è sorprenden-temente attuale per quanto riguardala riflessione del rapporto tra scienzae fede. Come oggi anche allora c’e-

rano concezioni scientifiche che spin-gevano ad allontanare molti da Dioe dalla Chiesa, come se la scienzafosse inconciliabile con il sopranna-turale. Il nostro “grande uomo” no-nostante la vastità della sua culturanon si chiuse mai nell’intellettuali-smo ma sempre seppe elevarsi a con-siderazioni che andavano oltre l’e-sperienza sensibile, convinto che ve-rità umana e divina provengono dal-l’unica sorgente che è Dio: Via, Ve-rità e Vita!.

Sono significative le molte lettereche scrisse ai vari colleghi, una diqueste indirizzata al dott. AgostinoConsoli di Lagonegro (PZ) del 1922,dice: “sebbene lontano, non lascere-te di coltivare e rivedere ogni giornole vostre conoscenze. Il progresso stain una continua critica di quanto ap-prendemmo. Una sola scienza è in-crollabile e incrollata, quella rivelatada Dio, la scienza dell’al di là! In tut-te le vostre opere, mirate al Cielo eall’eternità della vita e dell’anima, evi orienterete allora molto diversa-mente da come vi suggerirebberopure considerazioni umane, e la vo-stra attività sarà ispirata al bene”.

Medico dei poveri

Tra i tantissimi pazienti che ognigiorno ebbe modo di visitare, Giu-seppe mostrò predilezione soprattut-to per i poveri di cui si prese curacon amabilità senza mai pretenderenulla in cambio. Così si racconta adesempio di una giovane donna affet-ta da tubercolosi che il professorevisitò e guarì senza prendere alcun

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compenso al contrario la rimandò viacon un biglietto di 50 lire… E c’è an-che il caso di un povero ferroviereinfermo che curò consegnandogli ad-dirittura del denaro perché potessecontinuare le cure. I malati soprat-tutto se poveri sono il suo apostolatoprediletto e a lui si avvicinarono inmolti, come una processione di infer-mità e di debolezze senza fine. Lacompassione fu la sua naturale virtùad imitazione di Gesù che dinanzi aimalati, agli emarginati, agli afflitti sicommuoveva risanando poi ogni in-fermità.

Devozione alla Madonna

È nota la devozione del professorMoscati verso la Madre di Dio, le te-stimonianze a tale proposito sononumerose, tra queste vengono citatequelle di alcuni suoi colleghi medici:“Il Servo di Dio ebbe somma devo-zione per la Madonna specialmentesotto il titolo di Buon Consiglio, allaquale dedicò il suo voto di castità.Tutti i giorni recitava il Rosario e al-tre preghiere in suo onore. Aveva ungrande culto per la Madonna diPompei”. E ancora: “Quando le cam-pane suonavano l’Ave Maria, facevail segno della Croce e invitava i pre-senti in ospedale a recitare l’Ange-lus”.

Esiste persino un suo commentointeressante a tutti i versetti dell’AveMaria di cui trascrivo alcuni punti:“Per evitare distrazioni e per recitarecon maggiore fervore l’Ave Maria,sono solito riportarmi col pensieroad un’immagine, o meglio al signifi-

cato di un’immagine della BeatissimaVergine , mentre pronuncio i variversetti della preghiera contenuti nelvangelo di Luca. E prego in questomodo: Ave Maria, gratia plena…, ilmio pensiero corre alla Madonnadelle grazie… Dominus tecum…, misi presenta alla mente la Santa Vergi-ne sotto il titolo di Rosario di Pom-pei…, Benedicta tui in mulieribus etbenedictus fructus ventris tui, Je-sus…., ho uno slancio di te-nerezza per la Madonnasotto il titolo di Buon Consi-glio…, Sancta Maria, MaterDei…., volo con l’affetto al-la Madonna sotto il privile-gio della Porziuncola di S.Francesco d’Assisi. Ora pronobis peccatoribus..., ho losguardo alla Madonna quando ap-parve a Lourdes…, Nunc et in horamortis nostrae…, penso alla Madon-na sotto il nome di Carmine, protet-trice della mia famiglia”.

La morte improvvisa

La morte lo coglie improvvisamen-te il 12 aprile 1927, martedì santo,dopo aver partecipato come ognigiorno alla messa e compiuto il suolavoro in ospedale. Aveva 46 anni!La notizia della sua morte divulgòpresto suscitando dolore e sconfortosoprattutto presso i poveri. Tra leprime testimonianze, dopo la sua di-partita, è significativa quella del car-dinale Alessio Ascalesi di Napoli. Do-po aver pregato dinanzi al corpo diMoscati, rivolto ai familiari disse: “Ilprofessore non apparteneva a voi

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ma alla Chiesa. Non quelli di cui hasanato i corpi, ma quelli che ha sal-vato nell’anima gli sono andati in-contro quando è salito lassù”. Il cor-po venne sepolto nella Chiesa delGesù Nuovo in una sala dietro l’alta-re di S. Francesco Saverio e la lapidea destra di questo altare lo ricordaancora.

La Beatificazione

Il 16 luglio iniziarono iprocessi informativi pressola Curia di Napoli ; i l 10maggio 1973 la Congrega-zione per le Cause dei Santi,a Roma, emanò il Decretosulle virtù eroiche, per cui

venne dichiarato Venerabile. Nelfrattempo furono istituiti i processiper l’esame di due miracoli: due gua-rigioni attribuite all’intercessione diGiuseppe Moscati. Un maresciallo diAvellino, venne guarito dal morbo diAddison. I medici non gli diedero al-cuna speranza ma egli fiducioso in-tensificò la preghiera al Beato. Unanotte vide in sogno che il medico looperava e svegliatosi si trovò perfet-tamente guarito.

Il secondo miracolo riguarda unuomo risanato dalla meningite cere-bro spinale meningococcica. In meri-to a queste due guarigioni straordi-narie nel novembre 1975 il Papa Pao-lo VI dichiarò beato il nostro medicoe nel 1977 ci fu la ricognizione cano-nica del corpo che una volta ricom-posto venne collocato nell’urna dibronzo sotto l’altare della Visitazio-ne.

Un altro miracolo riguarda ungiovane guarito dalla leucemia nel1979; questo altro caso affrettò lacanonizzazione. Il 25 ottobre 1987Giovanni Paolo II dichiarò santo Giu-seppe Moscati, a 60 anni dalla mor-te, con queste parole: “l’uomo cheoggi invocheremo come santo dellaChiesa universale, si presenta a noicome un’attuazione concreta dell’i-deale del cristiano laico. GiuseppeMoscati, medico Primario ospedalie-ro, insigne ricercatore, docente uni-versitario di fisiologia umana e dichimica fisiologica, visse i suoi molte-plici compiti con tutto l’impegno e laserietà che l’esercizio di queste deli-cate professioni laicali richiede. Daquesto punto di vista il Moscati costi-tuisce un esempio non solo da ammi-rare, ma da imitare soprattutto daparte degli operatori sanitari. Egli sipone come esempio anche per chinon condivide la sua fede”.

La festa liturgica del santo fu fis-sata in seguito il 16 novembre diogni anno.

Bibliografia: www.vatican.va/news_service/liturgywww.gesuiti.it/moscatiwww.scuolamedicasalernitana.it7me-dicina_e_fede/giuseppe_moscati

I nostriamici

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Fate questo in memoria di meChiamati a donare ciò che abbiamo ricevuto

Programmi 2005-2006

CORSO DI LITURGIA PER LA PASTORALEIl programma è stato pubblicato nel n. 4/2005 di Culmine e Fonte, pag. 77.

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CORSO BASE DI LITURGIA PER ANIMATORI PARROCCHIALI

Il Corso offre un approfondimento delle tematiche specificamente liturgiche.È destinato principalmente a coloro che hanno un impegno di animazione liturgica e agli operato-ri pastorali - Periodo: ottobre-maggio

I ANNOSettore Nord, Parrocchia S. Gemma Galgani, via Monte Meta s.n.c., 00136 Roma.

Tel. 0687180282. Segreteria: don Giampaolo Perugini.Le lezioni si tengono il giovedì dalle ore 19,00 – 20,30

CALENDARIO E PROGRAMMA:

17 ottobre 2005 Introduzione24 ottobre La celebrazione cristiana7 novembre La celebrazione, realtà sacramentale14 novembre La ritualità celebrativa21 novembre Liturgia, l’oggi della storia della salvezza28 novembre Liturgia, memoriale della Pasqua5 dicembre Liturgia, tradizione vivente della Chiesa12 dicembre Tempo e liturgia19 dicembre Il giorno del Signore9 gennaio 2006 Anno liturgico, I16 gennaio Anno liturgico, II23 gennaio Assemblea e partecipazione30 gennaio Spazi della celebrazione6 febbraio La Parola di Dio celebrata13 febbraio La Parola nell’anno liturgico20 febbraio La Parola celebrata nei salmi27 febbraio La Liturgia delle Ore, I (fondamenti teologici e storia) 6 marzo La Liturgia delle Ore, II (principi e norme)13 marzo Animazione della celebrazione: fondamenti e strumenti20 marzo Animazione della celebrazione: ministeri e servizi27 marzo Animazione musicale, I3 aprile Animazione musicale, II8 maggio Spiritualità della celebrazione15 maggio Conclusione e consegna degli attestati

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II ANNOSettore Ovest, Parrocchia Gesù Divino Lavoratore,

Via Oderisi da Gubbio, 16 – Roma, Tel. 06 5584612 – fax 06 5562731Segreteria: sig. Lamberto Di Giovancarlo - Informazioni e iscrizioni: lunedì e mercoledì, ore 16,30 – 18,00

presso la parrocchia; tel. 065586807.Le lezioni si tengono il mercoledì, dalle ore 19,00 alle ore 20,30.

CALENDARIO E PROGRAMMA:

19 ottobre 2005 Introduzione

LA LITURGIA NELLE DIVERSE EPOCHE STORICHE26 ottobre Dalle origini alla formazione dell’anno liturgico9 novembre Dall’epoca medioevale al Concilio di Trento16 novembre Dalla Riforma tridentina al Concilio Vaticano II23 novembre Documenti di attuazione del Concilio Vaticano II

LIBRI LITURGICI30 novembre Il Messale, I14 dicembre Il Messale, II11 gennaio 2006Il Lezionario18 gennaio Il Benedizionale25 gennaio Gli altri libri liturgici

LITURGIA DELLA PAROLA – PROCLAMAZIONE1 febbraio Fondamenti: DV, SC (I parte)8 febbraio Fondamenti: DV, SC (II parte)15 febbraio Lettore: servo della Parola (aspetti pratici - dizione)

LITURGIA DEI SACRAMENTI22 febbraio L’iniziazione cristiana8 marzo Liturgia battesimale15 marzo Liturgia della Confermazione22 marzo Liturgia eucaristica29 marzo Liturgia penitenziale5 aprile Liturgia dell’Unzione degli infermi19 aprile Liturgia del Matrimonio26 aprile Liturgia dell’Ordine sacro10 maggio Conclusione e consegna degli attestati

III ANNOSettore Nord, Parrocchia Santa Francesca Cabrini

P.za Massa Carrara, 15 – Roma, tel. 06 8604503 – fax 06 8610055Segreteria: dott. Vittoria Scanu.Le lezioni si tengono il giovedì, dalle ore 18,30 alle ore 20,00.

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CALENDARIO E PROGRAMMA:27 ottobre 2005 Introduzione3 novembre La cena ebraica e l’Ultima Cena, I10 novembre La cena ebraica e l’Ultima Cena, II17 novembre La celebrazione eucaristica24 novembre Fonti e struttura della preghiera eucaristica1 dicembre Il Canone Romano e la Seconda Preghiera Eucaristica15 dicembre La Terza e la Quarta Preghiera Eucaristica12 gennaio 2006 Il Canone della Svizzera, le due PE della Riconciliazione,

le tre PE dei fanciulli19 gennaio La tradizione liturgica d’Oriente26 gennaio La Tradizione liturgica d’Occidente9 febbraio Il Tempio cristiano in Oriente e Occidente16 febbraio Il dialogo ecumenico23 febbraio Il dialogo interreligioso2 marzo Le religioni monoteistiche9 marzo Il culto ebraico sinagogale16 marzo La preghiera islamica23 marzo Le altre religioni30 marzo Sette e nuovi culti

Visita alla sinagogaVisita alla moscheaVisita alla Basilica di San Lorenzo al VeranoVisita alla Badia di San Nilo a GrottaferrataVisita alle Catacombe

27 aprile Conclusione e consegna dei diplomi

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MINISTERI ISTITUITI DEL LETTORATO O DELL’ACCOLITATO

La preparazione formativa ai ministeri istituiti prevede 3 anni di frequenza dei corsi mensili e, inmodo non derogabile, la frequenza del Corso triennale al Pontificio Istituto Liturgico.

Sede: Pontificio Seminario Romano Maggiore - P.za S. Giovanni in Laterano, 4 – RomaOrario: dalle ore 18,00 alle ore 19,30 - Il I mercoledì del mese, ottobre-giugno.

CALENDARIO - PROGRAMMA

22 settembre 2005 S. Messa e adorazione Eucaristia, Basilica Lateranense, ore 19,30-21,30

7 ottobre Primo venerdì: Chiesa del Gesù. Inizio Anno pastorale con tutti gli Operatori della Liturgia.

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9 novembre Io credo- Noi crediamo in Dio Padre Onnipotente, Creatore.14 dicembre Credo in Gesù Cristo il quale fu concepito di Spirito Santo,

nacque da Maria Vergine.11 gennaio 2006 Gesù, il Figlio Unigenito e Signore.1 febbraio La vita pubblica, l’annuncio del Vangelo, i miracoli.8 marzo Patì sotto Ponzio Pilato, fu crocifisso, morì e fu sepolto,

discese agli inferi.5 aprile il terzo giorno risuscitò da morte, salì al cielo.3 maggio Credo nello Spirito Santo, che è Signore è da la vita.7 giugno Credo la Chiesa.23 giugno Solennità del Sacro Cuore: Chiesa del Gesù, ore 19,00

Celebrazione eucaristica a conclusione dell’Anno Pastorale

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ITINERARIO FORMATIVO DEI CANDIDATIAL MINISTERO STRAORDINARIO DELLA COMUNIONE

I corso: lunedì 7 - 14 - 21 - 28 novembre, 5 - 12 dicembre 2005 oppureII corso: lunedì 20 - 27 febbraio, 6 - 13 - 20 - 27 marzo 2006

Per essere ammessi a frequentare il corso occorre presentare la domanda del parroco (su modulodisponibile all’Ufficio Liturgico) e due fotografie formato tessera, uguali e recenti. Il mandato vie-ne conferito solo a chi ha frequentato integralmente il corso. In caso di assenze il mandato vienedato solo dopo il ricupero della lezione perduta, durante il corso seguente.

PROGRAMMA

L’Eucaristia nella Sacra Scrittura.Il sacramento dell’Eucaristia.La Chiesa comunità ministeriale.La spiritualità del ministro straordinario della comunione.La pastorale degli ammalati e degli anziani.L’esercizio del ministero nella parrocchia e nella diocesi.

Sede: Vicariato di Roma, P.za S.Giovanni in Laterano, 6/a - Roma, ore 17,00 – 18,30

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CORSO FORMATIVO PER ANIMATORI MUSICALI DELLA LITURGIA

Mercoledì 26 ottobre 2005 Che cos’è la musicaGiovedì 10 novembre I salmi e i cantici nella preghiera liturgica Mercoledì 30 novembre Musica profana, musica sacra, musica liturgicaMercoledì 14 dicembre I canti liturgici nei tempi forti di Avvento e Quaresima

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Mercoledì 11 gennaio 2006 I canti liturgici nei tempi di Natale e Pasqua Mercoledì 25 gennaio L’ordinario della messaMercoledì 8 febbraio I canti liturgici nel triduo pasqualeMercoledì 22 febbraio I canti liturgici nell’iniziazione cristianaMercoledì 8 marzo I canti liturgici nella celebrazione del matrimonioMercoledì 22 marzo Guida all’ascolto

Sede: Pontificio Seminario Romano Maggiore, ore 19,00 – 20,30

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GIORNATE DI FORMAZIONE E FRATERNITÀ

Sabato 26 novembre 2005 - Tema: Il Verbo si è fatto carneSabato 1 aprile 2006 - Tema: Morti con Lui, risorti con Lui

Sede: Auditorium, Nuovo Santuario - S.M. del Divino Amore, ore 8,30 – 18,00

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“ALLE SORGENTI DELLA SALVEZZA”Primo venerdì del mese, Chiesa del Gesù, ore 19,00 – 21,00

S. Messa, Adorazione Eucaristica, Preghiera litanica, Benedizione eucaristica

7 ottobre 20054 novembre2 dicembre3 febbraio 20063 marzo7 aprile5 maggio2 giugno23 giugno (Solennità del Sacro Cuore di Gesù)

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LECTIO DIVINA NEI TEMPI FORTI

AVVENTO - Tema: Le lettere di san Giovanni, apostoloI martedì: 29 novembre, 6 dicembre, 13 dicembre 2005

QUARESIMA - Tema: Il libro del profeta GeremiaI martedì: 7 marzo, 14 marzo, 21 marzo, 28 marzo, 4 aprile 2006

guida: mons. Marco FrisinaSede: Pontificio Seminario Romano Maggiore - ore 18,30 - 20,00

Ingresso libero, non occorre prenotazione.

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ESERCIZI SPIRITUALI PER GLI OPERATORI PASTORALI24 – 28 maggio 2006

Tema: Il Vangelo di Luca

Guida: mons. Marco Frisina

Sede: Casa di preghiera Domus Aurea, Via della Magliana, 1240 – Ponte Galeria (RM)Tel. 06 65 00 00 69 – 06 65 00 47 18

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LUNEDÌ DI SAN CARLO AL CORSOIncontri di catechesi

Tema: “Il Credo”

17 ottobre 2005 Credo in Dio14 novembre Credo in Gesù Cristo12 dicembre …si è incarnato16 gennaio 2006 …fu crocifisso13 febbraio …è risorto13 marzo Credo nello Spirito Santo 10 aprile Credo la Chiesa15 maggio Professo un solo battesimo12 giugno Aspetto la risurrezione

Sede: Chiesa dei Santi Ambrogio e Carlo al CorsoVia del Corso, 437 - RomaOre 20,30.