Cristo sposo di mons. Marco Frisina 5... · Le nozze in Cana di Galilea e l’Ora della Croce Le...

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FORMAZIONE LITURGICA Culmine e Fonte 5-2005 1 I l Regno dei cieli è simile a un Re che fece un banchetto di nozze per suo figlio. (Mt 22,1) L’immagine di Cristo Sposo è mol- to presente nel Nuovo Testamento e si pone in continuità con tutta la tradizione veterotestamentaria che ci mostra l’Alleanza di Dio con Israe- le come un’Alleanza nuziale, descri- vendo con l’immagine del rapporto Sposo-Sposa la relazione che Dio viene a stringere con il suo popolo. Su questa linea troviamo tanti brani, sia nei Vangeli, sia nell’Apocalisse, che guardano a Cristo come allo Sposo che viene a compiere le sue nozze con la Chiesa. Sia nei Vangeli sinottici, sia in Giovanni troviamo allusioni a questa lettura della redenzione di Cristo, ma è soprattutto il quarto Vangelo a sviluppare in modo più coerente e completa questa immagine. Nel Vangelo di Giovanni l’inaugu- razione della missione messianica di Gesù e il suo compimento sono mes- si in relazione perfetta. Le nozze di Cana (Gv 2,1-12) e tutto l’episodio di Maria sotto la Croce e del costato trafitto (Gv 19,25-37) sono in rela- zione stretta tra di loro e formano una sorta di inclusione di tutto il Vangelo. Sono le due cerniere su cui si poggia la costruzione giovannea, le due ante attraverso cui entriamo nella contemplazione del mistero dell’Alleanza con Dio stipulata nel- l’amore. Le nozze in Cana di Galilea e l’Ora della Croce Le nozze di Cana rappresentano l’inizio del tempo messianico nuovo, la rivelazione che l’”Ora” è giunta. Tutto il brano ruota su questo ter- mine. Che c’è tra me e te, o donna?. La mia Ora non è ancora giunta. (Gv 2,4) L’Ora di Cristo è la sua glorifica- zione da parte del Padre (Cfr Gv 17), anticiparla non è conveniente e so- prattutto riguarda soltanto la vo- lontà del Padre. Questo già ci fa comprendere la portata simbolica delle nozze di Cana, che non rap- presentano solo un miracolo ma un evento simbolico fondamentale. Già il contesto del brano ambien- ta l’episodio in modo molto preciso. La scena è temporalmente collocata nel settimo giorno di una settimana inaugurale di Cristo. In Gv 1,19-28 è descritto il primo giorno, con la testimonianza del Battista agli inviati da Gerusalem- me. Il “giorno dopo” (1,29) il Battista incontra Gesù e lo chiama “Agnello di Dio”. Il “giorno dopo” (1,35) il Battista invita i suoi discepoli a seguire Ge- sù. Il “giorno dopo” (1,43) Gesù invi- ta i discepoli a seguirlo. “Tre giorni dopo” ci sono le noz- ze in Cana di Galilea. Questa settimana culmina con Cristo sposo di mons. Marco Frisina

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    Culmine e Fonte 5-2005 1

    I l Regno dei cieli è simile a un Reche fece un banchetto di nozzeper suo figlio. (Mt 22,1)L’immagine di Cristo Sposo è mol-

    to presente nel Nuovo Testamento esi pone in continuità con tutta latradizione veterotestamentaria checi mostra l’Alleanza di Dio con Israe-le come un’Alleanza nuziale, descri-vendo con l’immagine del rapportoSposo-Sposa la relazione che Dioviene a stringere con il suo popolo.Su questa linea troviamo tanti brani,sia nei Vangeli, sia nell’Apocalisse,che guardano a Cristo come alloSposo che viene a compiere le suenozze con la Chiesa.

    Sia nei Vangeli sinottici, sia inGiovanni troviamo allusioni a questalettura della redenzione di Cristo,ma è soprattutto il quarto Vangelo asviluppare in modo più coerente ecompleta questa immagine.

    Nel Vangelo di Giovanni l’inaugu-razione della missione messianica diGesù e il suo compimento sono mes-si in relazione perfetta. Le nozze diCana (Gv 2,1-12) e tutto l’episodio diMaria sotto la Croce e del costatotrafitto (Gv 19,25-37) sono in rela-zione stretta tra di loro e formanouna sorta di inclusione di tutto ilVangelo. Sono le due cerniere su cuisi poggia la costruzione giovannea,le due ante attraverso cui entriamonella contemplazione del misterodell’Alleanza con Dio stipulata nel-l’amore.

    Le nozze in Cana di Galilea el’Ora della Croce

    Le nozze di Cana rappresentanol’inizio del tempo messianico nuovo,la rivelazione che l’”Ora” è giunta.Tutto il brano ruota su questo ter-mine.

    Che c’è tra me e te, o donna?. Lamia Ora non è ancora giunta. (Gv 2,4)

    L’Ora di Cristo è la sua glorifica-zione da parte del Padre (Cfr Gv 17),anticiparla non è conveniente e so-prattutto riguarda soltanto la vo-lontà del Padre. Questo già ci facomprendere la portata simbolicadelle nozze di Cana, che non rap-presentano solo un miracolo ma unevento simbolico fondamentale.

    Già il contesto del brano ambien-ta l’episodio in modo molto preciso.La scena è temporalmente collocatanel settimo giorno di una settimanainaugurale di Cristo.

    In Gv 1,19-28 è descritto il primogiorno, con la testimonianza delBattista agli inviati da Gerusalem-me.

    Il “giorno dopo” (1,29) il Battistaincontra Gesù e lo chiama “Agnellodi Dio”.

    Il “giorno dopo” (1,35) il Battistainvita i suoi discepoli a seguire Ge-sù.

    Il “giorno dopo” (1,43) Gesù invi-ta i discepoli a seguirlo.

    “Tre giorni dopo” ci sono le noz-ze in Cana di Galilea.

    Questa settimana culmina con

    Cristo sposo di mons. Marco Frisina

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    una festa di nozze in cui c’è Maria ea cui è invitato Gesù, particolare im-portante in quanto egli è ospite,mentre Maria è di casa. Ciò spiegal’attenzione della Donna nei con-fronti dello svolgimento della festa,ma questo diviene un elemento im-portante nella lettura giovanneadell’evento. Maria rappresenta coleiche apre la porta alla rivelazionenuova e con la sua fede permettel’inizio della salvezza. Infatti è lei anotare la mancanza del vino, l’e-spressione usata è quella presentenella profezia di Isaia:

    Lugubre è il mosto, la vigna lan-guisce, gemono tutti.

    È cessata la gioia dei timpani, èfinito il chiasso dei gaudenti,è cessata la gioia della cetra.

    Non si beve più il vino tra i canti,la bevanda inebriante è amara perchi la beve. (Is 24,7-9)

    A cui fa eco il brano di Geremia:Io farò cessare nelle città di Giu-

    da e di Gerusalemme le grida digioia e la voce dell’allegria,

    la voce dello sposo e della sposa,perché il paese sarà ridotto a de-

    serto. (Ger 7,34)Il contesto della festa di nozze

    chiarisce ancora meglio sia le profe-zie, sia l’allusione al vino. In ognifesta nuziale il vino, che ne rappre-senta l’aspetto festoso e allegro, eraun simbolo molto forte della pro-sperità e della fertilità della vigna.Israele è rappresentata dai profeticome la vigna del Signore; il fattoche non abbia più vino significa chela benedizione di Dio si è allontana-ta e il contesto nuziale, tanto inIsaia quanto in Geremia, ci ricorda

    che il rapporto di Dio con il suo po-polo è come una festa di nozze sen-za gioia e amore, anzi piena di de-solazione e dolore. Le parole di Ma-ria hanno quindi un valore fortissi-mo e un significato pregnante. Lasettimana inaugurale descrive l’An-tico Testamento che si volge verso ilNuovo (il Battista che indica Gesù,l’Agnello) e nello stesso tempo l’Orache comincia a compiersi.

    Il prodigio dell’acqua delle idriedella purificazione, simbolo dell’an-tica legge, come ci ricorda sant’Ago-stino nel suo commentario a Gio-vanni, nelle quali l’acqua viene tra-sformata in vino buono, diventa il“segno” dell’Ora che si compie. Cri-sto è il vero Sposo della festa cheviene a riprendersi la Sposa una vol-ta abbandonata (Is 62,4-5). Proprioquesta realtà è quella che il Battistaspiega a chi gli chiede qual è il suoruolo:

    Nessuno può prendersi qualcosase non gli è stato dato dal cielo.

    Voi stessi mi siete testimoni cheho detto: Non sono io il Cristo, maio sono stato mandato innanzi a lui.Chi possiede la Sposa è lo Sposo; mal’amico dello sposo (paranymphos)che è presente e l’ascolta, esulta digioia alla voce dello sposo.

    Ora questa mia gioia è compiuta.Egli deve crescere e io invece dimi-nuire. (Gv 3,27-30)

    Tutto l’episodio di Cana è dun-que il segno di tutto questo, ovveroil momento in cui l’evento rivela ilMistero. Così come dice nel v.11:

    Così Gesù fece l’inizio(archè) deisuoi segni (semeion).

    L’arché ton semeion, non è sem-

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    plicemente il primo di una lista dimiracoli ma l’archetipo, il principiodi tutti i segni salvifici in quanto inquesto segno tutti gli altri possonoriconoscersi. Inoltre il legame con ilgrande segno dell’Ora della Crocefa’ sì che il segno di Cana sia l’anti-cipo e l’inizio del compimento fina-le e che tutto l’evento di Cristo, isuoi segni e miracoli, le sue parole,la sua passione e morte, siano un in-sieme unico che compie il Misteronascosto. La risurrezione segneràl’ottavo giorno, che inaugurerà iltempo nuovo. Il grande segno com-posto da tutti i segni, da Cana allaCroce, sarà il compimento dell’Orache dà inizio al giorno senza tra-monto, alla Prima Dies.

    L’episodio giovanneo della tra-sfissione del costato, e soprattuttodell’uscita del sangue e dell’acqua.danno una ulteriore lettura nuzialeall’evento della Croce.

    Cristo è il nuovo Adamo, addor-mentato nel sonno di morte, dal cuicostato nasce la nuova Eva, la Chie-sa, vivificata dai sacramenti, adom-brati dal sangue e dall’acqua. Lapresenza di Maria sotto la Croceche genera i figli nuovi dello SposoCristo rappresenta la Chiesa, fecon-data dalla Croce, che partorisce neldolore e nello stesso tempo nellagloria che deriva da Cristo i figli diDio (Cfr la donna vestita di sole diAp 12).

    Nella coerenza della visione diGiovanni, l’Agnello Sposo che vienea prendersi la Sposa stipula la suaAlleanza nuziale attraverso questosacrificio d’amore.

    Le parabole delle nozze

    Nei vangeli sinottici appare l’im-magine di Cristo Sposo legata al Re-gno dei cieli “che è come un ban-chetto di nozze” (Mt 22,1). L’imma-gine del banchetto è presente spes-so nell’Antico Testamento a signifi-care l’Alleanza stipulata al Sinai (Es 24) e la gioia dei tempi messia-nici (Is 25,6; 55,1-2). La festa nuzia-le aggiunge qualcosa in più, inse-rendo anche l’amore degli sposi chela festa celebra: Cristo è lo sposoche sta con noi, la sua presenza dàgioia così come la sua assenza è oc-casione di lutto (Mt 9,15).

    La parabola del banchetto nuzia-le di Mt 22 ci mostra un re che alle-stisce la festa di nozze per suo fi-glio e, dopo aver macellato gli ani-mali per il banchetto, chiama gli in-vitati a far festa.

    Il loro rifiuto e la loro prepoten-za nei confronti dei suoi servi scate-na l’ira del re che decide di uccide-re gli assassini e di invitare al ban-chetto i poveri che sono in strada,gli ultimi sostituiscono così gli invi-tati e riempiono la sala del ban-chetto.

    L’appendice del la parabola cimostra il giudizio del re sull’invita-to che non porta l’abito nuziale, laveste della festa; egli viene cacciatofuori nelle tenebre perché non èdegno di stare alla festa.

    Il racconto sottolinea diversi ele-menti.

    Innanzitutto il regno dei cieli èuna festa di nozze, un banchettocome quelli che venivano allestitinei giorni di festa dopo la celebra-

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    zione delle nozze in Israele. Le noz-ze di Cana ne sono un esempio e ciaiutano a capire anche il contestoche soggiace a questa parabola.

    Il banchetto viene fatto dal reper suo figlio. Il rapporto che legail re con il figlio fa comprendere laseverità del comportamento del renei confronti di coloro che rifiutanol’invito. Non accettare l’invito allenozze del figlio del re è un’offesaal re stesso. Dio invita Israele allenozze di suo figlio, è nel Figlio cheDio stringe l’alleanza nuova ma gliinvitati rifiutano. L’invito passa al-lora ai lontani, agli stranieri, aigentili.

    L’abito nuziale rappresenta lostato di grazia che riveste i parteci-panti al “banchetto di nozze dell’A-gnello” così come l’Apocalisse diràin Ap 19,8.

    Analogamente la parabola delledieci vergini ci mostra un momentopreciso della festa di nozze: l’arrivodello Sposo (Mt 25,1ss). Le verginisono chiamate ad attendere vigi-lanti, nella notte dell ’esistenza,l ’arrivo di Cristo, lo Sposo dellaNuova Alleanza, per entrare con luialla festa. Anche qui c’è una condi-zione per parteciparvi: la vigilanza,segno dell’amore e del rispetto perlo Sposo.

    L’Agnello – Sposo.

    Nel libro dell’Apocalisse, comegià si accennava prima, le immaginigiovannee che mettono in relazio-ne l’Agnello immolato e Cristo Spo-so vengono sviluppate. La storia del

    mondo dalla Pasqua all’ultima ve-nuta è un tempo di attesa che sepa-ra la stipula delle nozze, la Croce,dal compimento dell’unione nuzia-le, le nozze dell’Agnello (Ap 19,7).La Sposa è la fidanzata che deveprepararsi a questo incontro viven-do le vicende storiche nella fede enell’amore (Ap.21,9). Gli invitativengono chiamati “beati” (Ap 19,9)perché essi parteciperanno alla glo-ria dell’Agnello e saranno uniti alui per sempre. La Chiesa discendeda Dio come “Sposa adorna” (Ap 21,2), risplendente di luce e dibellezza, che realizza tutte le pro-fezie messianiche (Cfr Is 62) in cui laSposa del Signore, che era dettaAbbandonata, sarebbe tornata adessere Sposa amata.

    Il finale del libro sottolinea inmodo ancora più forte questa atte-sa dello Sposo da parte della Chie-sa. In un mistico dialogo la Chiesa,insieme allo Spirito che la vivifica ela conduce, invoca il ritorno di Cri-sto che risponde come Sposo affet-tuoso.

    Lo Spirito e la Sposa ti dicono:Vieni! E chi ascolta r ipeta: Vie-ni!....Sì, verrò presto. (Ap 22,17.20).

    L’intera Bibbia sembra così con-cludersi come era iniziata. Al princi-pio ci sono l’uomo e la donna, crea-t i come punto culminante del laCreazione nel giardino dell’Eden,nella loro bellezza e innocenza; allafine l ’Agnello Sposo e la ChiesaSposa redenta, uniti per semprenella gloria. Il Mistero d’amore sicompie così con la piena rivelazionedel Figlio Sposo e con il banchettogioioso del cielo.

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    “D omani sono di matrimo-nio”. “Dove?” “Al risto-rante tale”.Questo è un dialogo tra amici che

    si sente spesso. Il matrimonio si identi-fica con il pranzo. Per esso ci vuole unabito di cerimonia, per cui sembra unasfilata di moda.

    La “cerimonia” che si fa in chiesaè una premessa, che interessa sologli sposi e – tutt’al più – i testimoni. Ipresenti in chiesa sono gli “invitati”,non importa se cristiani o no. Essi vistanno come spettatori: non rispon-dono, non cantano, non partecipa-no, non si comunicano: non sanno diessere un’assemblea radunata percelebrare non uno, ma due sacra-menti, cioè l’eucaristia e il matrimo-nio. Molti sacerdoti giustamente la-mentano: si celebra male, sono le as-semblee peggiori.

    Eppure il matrimonio cristiano è sa-cramento della Chiesa, e come tutte lecelebrazioni liturgiche – non è “azio-ne privata, ma dell’intero corpo eccle-siale, lo interessa e lo coinvolge; i sin-goli vi sono però impegnati in variomodo secondo la diversità dei ruoli,dei ministeri e dell’attuale partecipa-zione” (cfr SC 26).

    Per una celebrazione nuziale, spe-cialmente se avviene durante la Mes-sa, bisognerebbe suonare le campane,cioè convocare la comunità ecclesiale,non semplicemente accogliere coloroche sono stati “invitati” dagli sposi.

    Il ruolo della comunità, sia nellapreparazione, sia nella celebrazione

    del sacramento, è richiamato più voltenelle premesse al nuovo Rito.

    n. 12: “La preparazione e la cele-brazione del matrimonio, … perquanto attiene alla dimensione pasto-rale e liturgica, è competenza del Ve-scovo, del parroco e dei suoi vicari e,in qualche modo almeno, di tutta lacomunità ecclesiale”.

    n. 14: “I pastori d’anime devonoaver cura che questa assistenza sia of-ferta nella propria comunità…”.

    n. 26: “Altri laici possono…, in varimodi, svolgere compiti sia nella pre-parazione dei fidanzati sia nella cele-brazione stessa del rito. È necessariopoi che tutta la comunità cristianacooperi a testimoniare la fede e a ma-nifestare al mondo l’amore di Cristo”.

    n. 28: “Poiché il matrimonio è ordi-nato alla crescita e alla santificazionedel popolo di Dio, la sua celebrazioneha un carattere comunitario che consi-glia la partecipazione anche della co-munità parrocchiale, almeno attraver-so alcuni dei suoi membri”.

    Ma perché ciò si possa realizzare ènecessario che “il matrimonio sia cele-brato nella parrocchia di uno dei fi-danzati, oppure altrove con licenzadel proprio Ordinario o del parroco”(n. 27).

    Tenuto conto di tutto questo, è ne-cessaria un’opportuna e costante cate-chesi perché i presenti a una celebra-zione nuziale abbiano coscienza di es-sere una comunità cristiana e una as-semblea, a suo modo “celebrante”.

    L’Assemblea Nuziale di p. Ildebrando Scicolone, osb

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    Nella stessa celebrazione è quantomai opportuno che il sacerdote e altrieventuali ministri stimolino alla parte-cipazione. Se nessuno, per esempio, ri-sponde al saluto iniziale, è bene che ilsacerdote, con opportuni modi, esortia rispondere, perché non ci sono spet-tatori, ma popolo celebrante, chiama-ti cioè a partecipare con il corpo e lamente. Bisogna far capire che sono lì,non solo per pregare per gli sposi econ loro.

    Il rito stesso fa rivolgere la parola atutta l’assemblea. Così l’invito a farmemoria del Battesimo è rivolto a tut-ta la comunità presente:

    “Fratelli e sorelle, ci siamo riuniticon gioia nella casa del Signore, nelgiorno in cui N. e N. intendono forma-re la loro famiglia. In quest’ora di par-ticolare grazia siamo loro vicini conl’affetto, con l’amicizia e la preghierafraterna. Ascoltiamo attentamente laParola che Dio oggi ci rivolge … sup-plichiamo Dio Padre… Facciamo oramemoria del Battesimo…”

    Il popolo tutto poi acclama alla for-mula trinitaria. I fedeli (“fratelli e so-relle”) sono invitati, dopo il consensodegli sposi, a pregare perché essi man-tengano ciò che hanno promesso. Essiinvocano “ascoltaci, o Signore”. Anco-ra, prima della benedizione nuziale, ilsacerdote invita tutti, “fratelli e sorel-le” ad invocare “con fiducia il Signo-re…”, e in alcune di queste benedizio-ni il popolo è chiamato ad acclamaree a supplicare.

    Si noti che l’espressione “fratelli esorelle” con cui il sacerdote si rivolgeall’assemblea, non è utilizzata nel ca-pitolo terzo, cioè nel “Rito del matri-monio tra una parte cattolica e una

    parte catecumena o non cristiana”. Aln. 166 il sacerdote invita solo “coloroche credono in Cristo” a invocare ilPadre “con la preghiera della famigliadi Dio”. E la rubrica precisa: “Tutti icristiani continuano Padre nostro…”

    Un elemento importante di una ce-lebrazione festiva è il canto. Ora, neimatrimoni, difficilmente l’assembleacanta. Ci si contenta (!) di sentire bra-ni di organo, o si invita un tenore oun soprano a cantare pezzi d’opera,che nulla hanno a che fare con unacelebrazione eucaristica o liturgica. Iln. 30 recita: “I canti da eseguire sianoadatti al rito del matrimonio ed espri-mano la fede della Chiesa, in modoparticolare si dia importanza al cantodel salmo responsoriale nella liturgiadella Parola”.

    Come si può fare ciò, se i presentinon sono abituati a farlo, o se in quelmomento, non sanno di essere assem-blea celebrante?

    Non potrebbe il sacerdote, o un altroministro, nell’attesa della sposa (che ar-riva sempre all’ultimo momento) fareun minimo di preparazione, almeno deicanti più necessari, quali il ritornello delsalmo, l’Alleluia e il Santo?

    Un’ultima osservazione, che ritrovonelle Premesse, al n. 37: “Anche se ipastori sono ministri del Vangelo diCristo per tutti, abbiano tuttavia unaspeciale premura verso coloro che, siacattolici sia non cattolici, mai o quasimai partecipano alla celebrazione del-l’Eucaristia”. La celebrazione deve riu-scire attraente e diventare essa stessauna catechesi, per sollecitare il deside-rio di ritornare in chiesa, dal momen-to che si è “gustato e visto quanto èbuono il Signore”.

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    I l nuovo Rito del Matrimonio1, nella

    sua struttura equilibrata tra se-quenze rituali ed eucologia, “indu-

    ce a un ripensamento della ministeria-lita’ del sacramento” in cui sia supera-ta la visione che pone in antitesi la fi-gura del ministro ordinato e quelladegli sposi. Una “ministerialità com-plessa”, come nel caso del Matrimo-nio, è in grado di armonizzare i lati diquesto “organismo sacramentale”2.

    Nell’Assemblea riunita per celebra-re il matrimonio sia la presidenza delministro ordinato3 che l’esercizio daparte degli sposi della loro ministeria-lità sacramentale, contribuiscono inmodo organico all’unica celebrazione.I due sacramenti del servizio della co-munione, “ordinati alla salvezza al-trui……servono all’edificazione delpopolo di Dio”4 oltre che, naturalmen-te, alla salvezza personale.

    “I teologi del secolo scorso amava-no dire che gli sposi sono ministri delsacramento… Tale modo di dire non èstato ripreso nei numerosi documentiecclesiastici in merito”5: l’attuale Ritodel Matrimonio afferma che “Gli spo-si, nell’esprimere il loro consenso, so-no ministri della grazia di Cristo”6 eche la loro ministerialità viene vissutacompiutamente nella partecipazioneattiva ai diversi momenti della cele-brazione. Se ne deduce che la sola mi-nisterialità degli sposi non è sufficien-

    te per esprimere l’ecclesialità del sa-cramento del Matrimonio ma che oc-corre una contemporaneità e sinergiatra le varie componenti ministeriali:ordinata, istituita, coniugale e laicale.

    Di seguito si prende in esame la so-la ministerialità dei ministri ordinati equella degli sposi tralasciando tutte lealtre forme di ministerialità che il ritoprevede, esplicitamente o implicita-mente.

    La ministerialità dei ministri or-dinati.

    Il ministro ordinato (vescovo, presbi-tero, diacono) è competente, perquanto attiene alla dimensione liturgi-co pastorale, sia della preparazione, siadella celebrazione del Matrimonio7.

    Innanzitutto esercita la sua mini-sterialità in un “impegno previo” me-diante la catechesi che istruisca i fede-li cristiani “piccoli, giovani e adulti”sul significato del Matrimonio. Assicu-rando una preparazione personale eadeguata dei fidanzati alla celebrazio-ne del Matrimonio come via alla san-tità e impegno ad assumere i doveridella loro nuova condizione8 (prepara-zione che richiede un congruo tempoe chiama in causa anche la partecipa-zione di altri laici). Accogliendo i fi-danzati e ridestando e alimentando lafede che il sacramento del Matrimo-nio “suppone ed esige”9.

    La ministerialità del ministroordinario e degli sposinel rito del matrimonio di Antonio Cappelli, diacono

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    In secondo luogo, con un “impegnosuccessivo” nella cura pastorale delMatrimonio, offrendo agli sposi “gliaiuti necessari affinché la vita matrimo-niale si conservi nello spirito cristiano eprogredisca nella perfezione”10.

    Momento alto dell’esercizio dellasua ministerialità, il ministro ordinatolo ha proprio nella celebrazione del Ri-to del Matrimonio ove, rendendo pre-sente il Cristo pastore, accoglie la co-munità e i nubendi mediante i riti diingresso11, con le varie monizione edesortazioni che può rivolgere agli spo-si, nell’invito a fare memoria del Batte-simo, presentando il Vangelo alla vene-razione degli sposi, illustrando nell’o-melia il mistero del Matrimonio par-tendo dal testo sacro.

    È proprio l’esercizio del suo ministe-ro che garantisce la dimensione eccle-siale del sacramento del Matrimonio:“è la Chiesa raccolta nel Signore cheaccoglie gli sposi: il saluto di colui chepresiede e la monizione aiutano findall’inizio a evitare che la celebrazioneassuma un carattere privato”12.

    È davanti a lui “ministro della Chie-sa e davanti alla comunità”13 che glisposi esprimono le loro intenzioni pri-ma di manifestare il consenso, ed è luiche a nome della Chiesa accoglie ilconsenso espresso dagli sposi.

    Attraverso l’atto sacerdotale dellasolenne benedizione nuziale e guidan-do la preghiera dei fedeli il ministro or-dinato di nuovo evidenzia ed esercita ilsuo ministero.

    Ma il vertice della sua ministerialitàsi ha nella presidenza dell’Eucaristia odella Liturgia della Parola.

    Nel rito del Matrimonio vi sono altridue atti che, compiuti dal ministro ordi-

    nato, rendono evidente la funzione pa-storale che Cristo esercita verso i fedelimediante il servizio dei suoi ministri.

    Il primo è quando “risultato vanoogni sforzo, i fidanzati apertamente edespressamente affermano di respinge-re ciò che la Chiesa intende quando sicelebra il matrimonio di battezzati” eal pastore d’anime non è lecito ammet-terli alla celebrazione spiegando chenon la Chiesa ma loro stessi rendonoimpossibile la celebrazione14.

    Il secondo è la consegna della SacraScrittura fatta agli sposi al terminedella celebrazione, dopo la sottoscri-zione dell’atto matrimoniale15. Interes-santissime le parole della rubrica cheillustrano le motivazioni di questascelta: la Parola di Dio, per il ministerodei pastori che sono ministri del Van-gelo, ha illuminato il cammino di pre-parazione16, ha nutrito i fedeli nellamensa della Parola imbandita durantela Celebrazione17, ora ha la funzionedi custodire e accompagnare la vitadella nuova famiglia18.

    La ministerialità degli sposi“Gli sposi, in quanto ministri del sa-

    cramento, sia pure in correlazione concolui che presiede la celebrazione, par-tecipano in modo attivo a tutta quantala celebrazione. È previsto perciò che indiversi momenti di essa... gli sposi assu-mano un ruolo attivo in particolari se-quenze della celebrazione sacramenta-le”19. Il principio di partecipazione hafavorito l’orientamento a valorizzaremaggiormente l’agire rituale degli spo-si. L’attenzione centrata su di loro eracosì grande che non si prestava atten-zione adeguata alle possibilità ritualiloro offerta tranne quella del consenso.

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    Il Rito del Matrimonio in vigore in-dica il modo di far uscire gli sposi da“un’immobilità rituale”20 attraverso lapossibilità di scegliere tra i vari elemen-ti rituali ed eucologici quelli più adattitenendo presente le situazioni, le per-sone e le possibilità logistico-cineticheofferte dal luogo dove si celebra.

    Un primo momento di impegno mi-nisteriale degli sposi è la processione alfonte per la memoria del Battesimo21:con questo atto gli sposi riconosconoche se loro sono i soggetti della cele-brazione, il soggetto integrale è la co-munità dei battezzati, l’assemblea pre-sente. Con questo atto gli sposi inten-dono sfuggire a ogni privatizzazionedel sacramento per celebrarlo per Cri-sto, in Spirito Santo e nell’ecclesialità.

    Il secondo momento di ministeria-lità degli sposi è la venerazione all’E-vangeliario22, gesto a loro riservato eche storicamente non è una novità as-soluta. “Con tale gesto gli sposi espri-mono il loro legame con la parola diDio e attestano di voler mantenere vi-vo sempre questo rapporto”23.

    Altro momento di esercizio ministe-riale degli sposi è la scelta che possonofare, insieme al celebrante, delle lettu-re da proclamare nella celebrazione, lascelta stessa della formula da usare nel-l’esprimere il consenso e per invocarela benedizione.

    Il momento peculiare della funzioneministeriale degli sposi si ha nella ma-nifestazione del consenso (delle treformule la seconda è certamente la piùdinamica) in cui la loro “unione coniu-gale viene assunta nell’amore di Cristoe arricchita della forza del suo sacrifi-cio”24 ed “esprimono e partecipano almistero di unità e di amore fecondo

    tra Cristo e la Chiesa”25. Questo mo-mento ministeriale degli sposi è sottoli-neato anche dal mutamento della posi-zione degli sposi che solitamente dan-no le spalle all’assemblea in quanto fa-centi parte della stessa insieme con tut-ti gli altri partecipanti, ma nel momen-to centrale del rito, cioè al momentodel consenso, in quanto esercitano ilministero loro proprio, assumono unaposizione di visibilità rispetto all’assem-blea volgendosi l’uno verso l’altro26.

    Nella liturgia eucaristica, “alla pre-sentazione dei doni, lo sposo e la sposapossono portare all’altare il pane e ilvino”27 con questo gesto “si portano al-l’Altare il pane e il vino che diventeran-no il Corpo e il Sangue di Cristo”28; ungesto che assume un particolarissimosignificato in quanto gli sposi in questacelebrazione “partecipano dell’allean-za sponsale di Cristo e della Chiesa e ri-cevono la grazia di viverla e manife-starla nel loro rapporto di coppia e nel-la vita familiare29”. Questo segno vuolindicare che gli sposi intendono amarsil’un l’altro “con amore di donazione”30che sia un riflesso del sacrificio pasqua-le di Cristo.

    Conclusione: una ministerialitàarticolata

    Nel nuovo Rito del Matrimonio, at-traverso piccole novità, che potrebberoanche passare inosservate, si può sco-prire una visione di Assemblea cele-brante in cui presidenza e ministerialitàsacramentale, debitamente distinte,contribuiscono all’unica celebrazione.

    Attraverso l’esercizio di una plurimi-nisterialità si ha il superamento di unavisione ecclesiale antitetica (coniugi enon prete / prete e non i coniugi).

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    10 Culmine e Fonte 5-2005

    L’emergere della ministerialità fami-liare ed ecclesiale della coppia non è adanno della ministerialità ordinata, manel comune servizio di testimonianzaalla verità si riconosce anche il valore diogni specifica ministerialità.

    L’Unico Amore, di cui i ministri or-dinati e i coniugi sono “sacramen-to”, ognuno nella sua forma propria,è la comune fonte per il servizio, latestimonianza e la comunione eccle-siale.

    ————————

    1 Conferenza Episcopale Italiana, Rito delMatrimonio, LEV, 2004.

    2 A. GRILLO, Il matrimonio e la salvezza del-l’altro. Per una teologia liturgica del ritosecondo l’edizione italiana in “Rivista Li-turgica” 6 (2004), p. 1033.

    3 Il testo italiano del Rito del Matrimonioprevede sempre, nelle sue forme celebra-tive, la presenza di un ministro ordinato(vescovo, sacerdote o diacono) che accol-ga il consenso degli sposi. Infatti la CEInon ha inserito nel Rito l’adattamento delcapitolo terzo dell’edizione tipica latinadel 1990 sul “Rito del Matrimonio conl’assistenza di un laico” (Rito del Matri-monio – Presentazione n. 3).

    4 Catechismo della Chiesa Cattolica n. 1534.5 L. DALLA TORRE, Ministeri laicali nella cele-

    brazione del matrimonio in “Rivista di Pa-storale Liturgica” 3 (1990), n. 160 p. 55.

    6 Rito del Matrimonio – Presentazione, n. 8.7 Rito del Matrimonio – Premesse Generali,

    n. 12.8 Rito del Matrimonio – Premesse Generali,

    n. 14.9 Rito del Matrimonio – Premesse Generali,

    n. 16.10 Rito del Matrimonio, Premesse Generali,

    n. 13.11 Rito del Matrimonio, n. 46.49.97.101.148.12 Rito del Matrimonio, Presentazione, n. 5.13 Rito del Matrimonio, n. 66.14 Rito del Matrimonio, Premesse generali n.

    21.15 Rito del Matrimonio, n. 95. Purtroppo

    mentre ci si è impegnati a introdurre l’in-coronazione degli sposi, ignorando che

    questa è riservata “ai luoghi dove già esi-ste la consuetudine”, oppure occorre ri-chiedere il “permesso dell’Ordinario” (RMn. 78), non sembra che ci si sia impegnatialtrettanto ad accogliere e attuare questosuggerimento.

    16 Rito del Matrimonio, Premesse Generalin. 20.

    17 Rito del Matrimonio, Premesse Generalin. 29b.

    18 Rito del Matrimonio, Premesse Generalin. 13, 14d.

    19 A. GRILLO, Il matrimonio e la salvezza del-l’altro. Per una teologia liturgica del ritosecondo l’edizione italiana, in “Rivista Li-turgica” 6 (2004), p. 1033.

    20 S. MAGGIANI, La seconda edizione del “Ritodel Matrimonio” per la chiesa che vive inItalia alla luce dei principi dell’adattamen-to liturgico, in “Rivista Liturgica” 6 (2005),p. 959.

    21 Rito del Matrimonio, n. 55, 107; da nonconfondere con quella di ingresso sugge-rita al n. 46; 49.

    22 Rito del Matrimonio, n. 63, 114; 23 M. BARBA, Il Rito del Matrimonio. Tra edi-

    tio typica altera e nuova edizione italianain “Rivista Liturgica” 6 (2004), p. 990.

    24 Rito del Matrimonio, Premesse Generali,n. 7.

    25 Rito del Matrimonio, Premesse Generali,n. 8.

    26 Rito del Matrimonio, n. 70, 121.27 Rito del Matrimonio, n. 82.28 Ordinamento Generale del Messale Ro-

    mano, n. 73.29 Rito del Matrimonio, Presentazione n. 1.30 Rito del Matrimonio, Presentazione n. 4.

  • FORMAZIONE LITURGICA

    Culmine e Fonte 5-2005 11

    L e troviamo sedute in prima fila,come le dame che assistono allagiostra dei cavalieri, una al pri-mo banco di destra e una al primobanco di sinistra. Sono la mamma del-lo sposo e la mamma della sposa, conaccanto i loro mariti.

    Noteremo nei loro saluti reciprociuna certa convenzionalità: mentre iloro figli si sentono ormai pronti aunirsi per sempre in una cosa sola, trai consuoceri resta sempre una certa di-stanza.

    La loro parentela acquisita restalontana, lo stesso nome di “consuo-ceri” non indica neppure un rappor-to diretto tra loro, ma soltanto unruolo condiviso da due coppie. È fa-cile allora che tra loro si chiamino si-gnor…, signora…, mantenendo cosìuna certa distanza. I consuoceri nonsi scelgono tra loro, nulla di strano,quindi, se tra loro non nasca nessuntipo di legame.

    In tutti i matrimoni d’Italia si usache sia il padre della sposa ad accom-pagnare la figlia fino all’altare, dovela consegna al braccio dello sposo.Non capita sempre ma la tradizioneha affidato un compito anche allamamma dello sposo: ella può entrareinsieme al figlio in chiesa e attendereal suo fianco l’arrivo della futuranuora.

    Tutto qui. Anche la liturgia del ma-trimonio, in realtà, ignora i genitoridello sposo e della sposa. La festa in-fatti è tutta per gli sposi, per la nuovafamiglia che sta nascendo.

    Abbandonerai il padre e lamadre

    È vero: con il matrimonio nasceuna nuova famiglia. È così da sempre:questo passaggio è osservato nel librodella Genesi (2,24) “…l’uomo abban-donerà suo padre e sua madre e siunirà a sua moglie e i due sarannouna carne sola”.

    Il distacco dei genitori è un cammi-no che inizia dall’infanzia, che prose-gue con l’adolescenza e dovrebbe ar-rivare a compimento verso i venti-quattro, venticinque anni… Ma sap-piamo bene che oggi non è così. Peruna serie di motivi, molti dei quali in-dipendenti dalla volontà dei diretti in-teressati, troviamo uomini e donnetrentenni ed ultratrentenni ancora acasa dei genitori.

    È una realtà che tutti devono com-prendere: lo sposo e la sposa devonoessere consapevoli che da loro due ènata una nuova famiglia, la loro fami-glia.

    I genitori devono capire che il fi-glio o la figlia hanno una loro fami-glia, non appartengono più a quelladi prima.

    Questa nascita, come ogni nascita,nella sua grande gioia, comprende ildolore del distacco. C’è infatti il dolo-re di allontanarsi dalla propria fami-glia di origine e il dolore di chi perdela presenza di un figlio in casa. È chia-ro che il primo dolore è ben compen-sato e “travolto” dalla gioia di vivereassieme alla persona che si è scelta per

    I genitori degli sposi di Luca Pasquale

  • FORMAZIONE LITURGICA

    12 Culmine e Fonte 5-2005

    tutta la vita, mentre il dolore del geni-tore non ha questa contropartita. C’èsolo la soddisfazione di vedere il figlioo la figlia felici e – come si dice – “si-stemati”.

    La chiamano sindrome del “ni-do vuoto”

    Questo dolore dei genitori oggi èoggetto di studi ed è stato chiamatosindrome del “nido vuoto”, ovvero lamalinconia, il senso di assenza cheprende i genitori quando un figlio la-scia la loro casa. Sono soprattutto ledonne a soffrirne, perché improvvisa-mente viene meno il lavoro di cura deifigli che aveva assorbito il loro tempo,le loro energie, il loro slancio affetti-vo. E se, a causa di questo, non aveva-no mai coltivato altre attività e com-petenze, ecco che comprensibilmentela loro casa, ma anche la loro vita, laloro giornata diventano vuote.

    La coppia dei genitori degli spositorna al suo principio: a quello che –molti anni prima – avevano desideratocon tutte le loro forze: vivere assieme,loro due. I figli sono venuti dopo. Glianni sono passati, il modo di amarsi ècambiato, lui e lei sono cambiati, la vi-ta stessa e il rapporto con i figli li han-no resi diversi. Ma questa vita a duedeve restare il loro obiettivo.

    Si deve arrivare preparati a questomomento, a questa fase di passaggiodella propria vita. Ogni fase di passag-gio è delicata, qualunque sia l’età incui avviene.

    Il rapporto dei due genitori si mo-difica. Quando i figli si sposano (oanche vanno via da casa per lavoro,

    studio o per vivere da soli) moltecoppie reagiscono positivamente:hanno più tempo da dedicarsi l’unoall’altra, hanno più opportunità percondividere attività ed esperienzegradite a entrambi (cinema, teatro,viaggi…).

    Ma se il matrimonio si teneva inpiedi solo per i figli, quando questivanno via i genitori si trovano di fron-te a un rapporto di coppia che non c’èpiù. Purtroppo le statistiche ci parlanodi un alto numero di separazioni e didivorzi che avvengono anche in que-sta fase della vita matrimoniale.

    Questo è un vero problema.Ma, attenzione, c’è il rischio che

    questo problema, interno alla coppiadi genitori con il figlio o la figlia spo-sati, possa disturbare la nuova fami-glia che si è formata.

    Se la vita della coppia con il “nidovuoto” è diventata problematica, eccoche uno dei due genitori rischia di vi-vere come un vero e proprio tradi-mento il fatto che il figlio li abbia la-sciati.

    Può scatenare una competizionecon la nuora o col genero il cui fine èdimostrare, anche a se stessi, che ilproprio figlio o figlia non si è resoper niente autonomo, non ha forma-to una coppia adulta con un’altrapersona, ma continua a essere quelloche ha bisogno della mamma o delpapà così come ne aveva bisogno dapiccolo.

    Da qui può nascere anche l’inva-denza, il bisogno di entrare in tutto eper tutto all’interno della vita dellacoppia per controllare ciò che accade,per rinnovare il bisogno del figlio fe-difrago, per continuare l’illusione che

  • FORMAZIONE LITURGICA

    Culmine e Fonte 5-2005 13

    egli non sia cresciuto ma sia parte in-tegrante della famiglia originaria.

    Un genitore invadente è sempre unelemento distruttivo per la nuova fa-miglia che ha bisogno, soprattutto neiprimi tempi, di intimità, di crearsi dasola tempi e abitudini.

    Una ragazza appena sposata avevapoca dimestichezza con i fornelli. Ilmarito, per lavoro, era sempre fuoriper il pranzo e lei avrebbe mangiatoda sola. La soluzione? I genitori di leisi sono offerti di ospitarla tutti i giornia pranzo. “Mangia da noi” le avevadetto la mamma. Ma quel pranzoquotidiano non faceva altro che ral-lentare la nascita di una nuova fami-glia. “Già vai via?” le dicevano i geni-tori tutti i giorni e la ragazza, per nondar dispiacere ai propri genitori, resta-va tutto il pomeriggio nella casa diorigine, esattamente come quandoera fidanzata. Questo fa capire comeanche le soluzioni più pratiche e fun-zionali non sempre sono le migliori,quelle che veramente aiutano la nuo-va coppia. Diradare i pomeriggi tra-scorsi con i genitori sarebbe stata ladecisione meno pratica ma più saggia.

    C’era poi la mamma che aveva ilbuon cuore di portare da mangiare alfiglio e alla nuora. Cucinava per loro,si vestiva e andava a trovarli. Ma an-dava a casa loro la domenica mattinapresto, senza avvisare, senza preoccu-parsi di sapere se erano svegli e… pre-parati per ricevere gente, anche se difamiglia. Nei giorni feriali apriva la lo-ro casa con le chiavi e riempiva il fri-gorifero, naturalmente se trovavaqualcosa fuori posto provvedeva a si-stemarla... a modo suo. Il risultato?Proviamo a immaginarlo. Gli sposi in

    casa loro non si sentivano mai liberi,né quando erano presenti, né quandoerano assenti. Di qui le liti su cosa sidovesse fare con la suocera invadente.

    Se non ci sono seri motivi, è consi-gliabile non dare ai genitori l’abitudi-ne del “tutti i giorni passo” oppure“tutte le domeniche siamo a pranzoda voi”.

    Così come è importante essere indi-pendenti economicamente: megliouna casa piccolissima ma propria, me-glio un appartamento in affitto in pe-riferia piuttosto che una convivenza incasa dei suoceri. Meglio rinunciare acomprare una cosa piuttosto che sen-tirsi in debito per averla ottenuta sen-za fatica dai genitori.

    C’è una legge non scritta

    Durante il rito gli sposi hanno pro-nunciato il consenso, hanno così ade-rito alle leggi del matrimonio: fedeltà,unicità, apertura alla vita. Ogni coppiasa o, almeno, dovrebbe sapere, che ilrispetto di queste leggi sarà motivo difelicità e serenità.

    Nulla è detto riguardo al legamecon le loro famiglie di origine. Ma,salvo i casi in cui vi sono gravi motivi,la regola di una coppia di sposi è quel-la di mantenere i legami con esse.Nessuno deve desiderare la rottura,l’urto o la “chiusura dei ponti”. Anchese fosse il figlio stesso a chiedere unpassaggio simile, è compito dell’altrofar sì che questo non avvenga.

    Questa è una regola di vita dellecoppie cristiane, è una legge del ma-trimonio che non è scritta, non vienepronunciata, ma esiste. Il suo rispetto

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    14 Culmine e Fonte 5-2005

    fa capire che, anche quando ci si la-menta dei suoceri, non si vuole la rot-tura con loro: si desidera solo maggio-re armonia e rispetto.

    “Rispetto” è la parola adatta allasituazione. Non si può pretendere af-fetto e stima da parte dei suoceri e vi-ceversa, ma il rispetto sì.

    Se apriamo la Bibbia troviamo pes-simi esempi di suoceri: Lamaro, il suo-cero del patriarca Giacobbe, è unchiaro modello di despota e imbro-glione. Ma troviamo anche bellissimestorie di suocere e nuore: prendiamoil libro di Ruth e della suocera Noemi,il dolore della perdita del marito del-l’una e del figlio dell’altra non le hadivise, ma unite in una storia delicatae bellissima.

    Un bell’esempio di invito all’affettoverso i suoceri si trova nel libro di To-bia, quando il padre della sua sposaSara saluta la figlia che parte per spo-sarsi, invitandola a onorare il suoceroe la suocera “poiché da questo mo-mento essi sono i tuoi genitori, comecoloro che ti hanno dato la vita” (To-bia 10,12).

    I “miei”, i “tuoi”

    È normale che i giovani sposi sianocritici nei riguardi dei loro genitori.Ogni adulto è in grado di riconoscerepregi e difetti di coloro che lo hannomesso al mondo ed educato alla vita.Anche due genitori eccezionali fannoi loro sbagli e i figli, senza dimenticarel’affetto per loro, sanno di poter ave-re la libertà di criticarli.

    Se quindi lo sposo può dire maledei propri genitori e la sposa può dire

    male dei propri, in ogni coppia scattaun meccanismo particolare: guai a di-re male dei genitori dell’altro. Scattasubito l’istinto di difesa della famigliadi origine. È come se venisse toccatauna parte di se stessi e quindi la difesadiventa un obbligo, come se invece dicriticare i suoceri si criticasse lo sposoo la sposa.

    Ma i difetti del genitore non di-pendono dal figlio o dalla figlia.

    Una parola da imparare nella cop-pia è “nostro”. Questa parola deve so-stituire la parola “mio” e “tuo”, a me-no che non parliamo di spazzolini dadenti o di biancheria personale… Tut-to il resto nella coppia è da condivide-re: c’è la nostra casa, la nostra macchi-na, le nostre foto, il nostro computer(anche per le cose acquistate da uno eportate dalla casa di origine…)

    Anche i genitori dovrebbero diven-tare i “nostri”. Condividere l’apparte-nenza a loro, il legame stretto con lo-ro, ma anche il giusto distacco da loro,la visione il più possibile oggettiva deipregi e dei difetti. I suoceri possonoessere considerati i peggiori soggettidella terra, ma sicuramente hanno ilpregio di aver educato la persona chesi ha accanto. I pregi che si sono sco-perti in lei o in lui sono sicuramenteanche dovuti in parte ai genitori.Quindi non sono certo persone dabuttar via…

    Insieme si possono vedere luci eombre nel rapporto con i genitori.Nella coppia si ha infatti bisogno ditutte le prospettive, di quattro occhi,perché i due occhi propri non basta-no.

    Riconoscere la sofferenza che i pro-pri genitori provocano nell’altro e ma-

  • FORMAZIONE LITURGICA

    Culmine e Fonte 5-2005 15

    nifestare la propria consapevolezzadel problema. Ma a volte la solida-rietà non basta: occorrono gesti e pa-role concrete per difendere il propriosposo o la propria sposa, con garboma con fermezza.

    Ci sono coppie che affidano il pro-blema a una regola che ricorda la parcondicio televisiva: tante volte vedia-mo i miei, tante volte i tuoi. È una re-gola difficile da rispettare, ma in ognicaso va sempre fatto salvo che il lega-me e la frequentazione non devonomai essere sbilanciati da una parte.Anche i nipotini devono essere messiin condizione di essere affezionati inpari misura a tutti e quattro i nonni.

    Quando poi la coppia di giovanisposi litiga ed è in crisi per proprioconto (questa volta non a causa deisuoceri), avviene nella maggioranzadei casi la presa di posizione dei geni-tori in difesa – a volte forzata – delproprio figlio e della propria figlia. Hoincontrato tante suocere e alcuni suo-ceri che mi hanno raccontato la crisimatrimoniale dei loro figli. Tra tutti,ho trovato solo una suocera che davala colpa della crisi al proprio figlio: untossicodipendente pregiudicato perrapina, furto e spaccio di sostanze stu-pefacenti. Mi diceva che la nuora, po-verina, “era una santa donna, che an-cora non aveva chiesto il divorzio daquel mascalzone”.

    Sarò nonno, sarò nonna

    Fino a quando gli sposi sono indue, la competizione tra consuoceri èquasi nulla. L’oggetto del contenderenon è comune. Ma nel momento incui l’oggetto di sfida, in questo caso il

    bambino, diventa uno, allora la garatra nonni si apre. Quale nonno nonteme che il nipotino si leghi di più aglialtri? Quale nonno non osserva il com-portamento dei consuoceri nei riguar-di del nipotino per potersi adeguare aquello che fanno loro?

    Si rischia una guerra pericolosa. Sipuò fare la guerra contando le ore incui il nipote viene affidato agli uni oagli altri, la fiducia riposta negli unio negli altri (a lei lo lasciano a dormi-re, a me mai; a lei lo fanno portaredal pediatra, a me mai…), i regali – eil loro valore economico – per il ni-potino nelle feste canoniche o fuoridai canoni.

    La complicazione della compli-cazione

    Trovate tutto questo complicato?Sì, indubbiamente è complicato. Semolti matrimoni falliscono perchénon si riesce a gestire il rapporto conle famiglie di origine significa che sitratta di una questione veramentedifficile. Vogliamo complicare ulte-riormente le cose complicate? È faci-le, ed è sempre più frequente. Se isuoceri fossero entrambi divorziati erisposati non saranno più quattro maotto, otto persone diverse (ci rendia-mo conto?). Oggi c’è chi parla bene diqueste famiglie allargate secondo lalogica del “siamo tanti e quindi stia-mo bene”, senza rendersi conto che ilegami familiari, di sangue o di pa-rentela, sono una questione estrema-mente delicata che non si risolve conla semplice equazione: siamo parte diun’unica famiglia.

  • FORMAZIONE LITURGICA

    16 Culmine e Fonte 5-2005

    ‘Chi possiede la sposa è lo sposo;ma l’amico dello sposo,che è presente e l’ascolta,esulta di gioia alla voce dello sposo’

    (Gv 3, 29)

    Dalla liturgia …

    I l Rituale del Matrimonio (RM)menziona i testimoni ai nn. 46-94,98-146, 148-170, rispettivamenteper i tre tipi di celebrazione prevista:il Matrimonio durante la celebrazioneeucaristica, nella celebrazione dellaParola e tra una parte cattolica e unaparte catecumena o non cristiana. Taliindicazioni rubricali si riferiscono amomenti pre e post celebrativi; infat-ti, nelle prime (nn. 46, 98, 148) si ri-manda alla possibile consuetudine chegli sposi, prima della celebrazione, sia-no accompagnati dai genitori e dai te-stimoni al luogo loro preparato:

    “Si svolge quindi la processione al-l’altare: precedono i ministranti, se-gue il sacerdote, quindi gli sposi. Que-sti, secondo le consuetudini locali,possono essere accompagnati dai ge-nitori e dai testimoni al luogo prepa-rato per loro…” (n. 46).

    Nelle seconde, invece, (nn. 94, 146,170) si richiama la compilazione e sot-

    toscrizione dell’atto di Matrimonio altermine del rito:

    “Si dà lettura dell’atto di matrimo-nio. Quindi gli sposi, i testimoni e il sa-cerdote lo sottoscrivono: le firme pos-sono essere apposte sia davanti al po-polo sia in sacrestia: mai però sull’alta-re” (n. 94).

    Pertanto, dal punto di vista liturgi-co, l’incidenza dei testimoni è quasidel tutto assente. Si rileva, infatti, solola loro possibile partecipazione allaprocessione d’ingresso insieme con iministranti, il sacerdote gli sposi e i lo-ro genitori.1

    … attraverso il diritto …

    Altra, invece, è l’importanza che itestimoni rivestono dal punto di vistagiuridico.

    Il Codice di Diritto Canonico (CIC)menziona i testimoni matrimoniali in al-cuni canoni (1105 §§ 2-3; 1108 § 1; 1116;1121 §§ 1-2; 1131 2°). Quelli che a noiinteressano più da vicino sono i cann.1108 e 1116 che trattano della ‘formadella celebrazione del Matrimonio’.2

    Il can. 1108 § 1 CIC presenta la co-siddetta forma canonica ordinaria erecita:

    Testimoni dell’Amore NuzialeI testimoni di Nozzenella Celebrazione Liturgica di don Riccardo Aperti

  • FORMAZIONE LITURGICA

    Culmine e Fonte 5-2005 17

    “Sono validi soltanto i matrimoniche si contraggono alla presenza del-l’Ordinario del luogo o del parroco odel sacerdote oppure del diacono de-legato da uno di essi che sono assi-stenti, nonché alla presenza di due te-stimoni, […]”

    Nel can. 1116 CIC è indicata la for-ma straordinaria, o meglio, la formacanonica in casi straordinari:

    “§ 1. Se non si può avere o andaresenza grave incomodo dall’assistentecompetente a norma del diritto, colo-ro che intendono celebrare il vero ma-trimonio, possono contrarlo valida-mente e lecitamente alla presenza deisoli testimoni:

    1° in pericolo di morte;2° al di fuori del pericolo di morte,

    purché si preveda prudentemen-te che tale stato di cose dureràper un mese.

    § 2. Nell’uno e nell’altro caso, se viè un altro sacerdote o diacono chepossa essere presente, deve esserechiamato ad assistere, insieme ai testi-moni, alla celebrazione del matrimo-nio, salva la validità del matrimonio inpresenza dei soli testimoni.”

    Il CIC, pertanto, distingue una du-plice forma giuridica (per situazioniordinarie e straordinarie) e stabilisce ilprincipio fondamentale per il qualesono validi per sé ‘in foro conscien-tiae’ e ‘in foro externo seu iuridico’soltanto quei matrimoni che si con-traggono in facie Ecclesiae, vale a direcon l’assistenza qualificata dell’Ordi-nario o del parroco del luogo in forzadel loro ufficio, oppure, di un sacerdo-

    te o di un diacono delegato a tal finedall’uno o dall’altro, e simultanea-mente dalla presenza di due testimo-ni.

    La forma prevista dal RM è logica-mente questa, vale a dire, quella ordi-naria, prevista dal can. 1108 CIC § 1.

    Se per il ministro sacro assistente innome della Chiesa si tratta di una pre-senza attiva, quella dei testimoni èuna presenza limitata a seguirne devisu e de auditu lo svolgimento del-l’atto celebrativo.

    Essi non sono qualificati in nessunamaniera, né per quanto riguarda l’età,il sesso, la religione, la situazione mo-rale, ecc… Di conseguenza, per esseretestimoni durante la celebrazione delMatrimonio è sufficiente che le perso-ne siano capaci di percepire quantosta accadendo nel momento della ce-lebrazione e quindi di poter testifica-re.

    Questo è il requisito più importan-te.

    Si tratta per loro solo di far fededell’avvenuta celebrazione del Matri-monio. Pertanto, possono far da testi-moni anche acattolici e non battezza-ti. Non è neppure necessario che sianodesignati formalmente al loro compi-to, né che abbiano l’intenzione diesercitarlo, ma solo che siano capaci diintendere e di volere e che al momen-to della celebrazione siano presenti epercepiscano ciò che sta accadendo.

    Va da sé, tuttavia, l’opportunità diaffidare questo ufficio a persone cat-toliche. Altrimenti verrebbe meno l’u-nica pista liturgico-celebrativa prevista

  • FORMAZIONE LITURGICA

    18 Culmine e Fonte 5-2005

    dal RM che li vede parte della proces-sione iniziale: che senso avrebbe il lo-ro procedere verso l’altare se la lorofede non fosse quella in Cristo Signo-re? Che senso avrebbe compiere ungesto liturgico ‘finto’, falsificato nelsuo nucleo dall’assenza di fede di co-loro che lo pongono?

    … per la vita …

    È per tale motivo che a questopunto tentiamo una lettura liturgico-spirituale della figura e della presenzadei testimoni durante il rito del Matri-monio.

    Molto più della scelta di padrini emadrine per i sacramenti del Battesi-mo e della Confermazione, quella deitestimoni di Matrimonio riguarda per-sone particolarmente significative nel-la vita e nell’affetto degli sposi.

    Ciò potrebbe essere la base per ca-ratterizzare meglio l’aspetto spiritualee teologico della loro scelta e per con-notare più adeguatamente, dal puntodi vista liturgico, la loro presenza du-rante la celebrazione.

    Il nuovo RM, infatti, prevede il ritodella ‘memoria del Battesimo’ comefondamento teologico del consensodei nubendi. In forza del loro sacerdo-zio battesimale, gli sposi partecipanoal mistero pasquale dell’alleanza: essicelebrano oggi (nel presente) ciò cheper loro hanno professato e creduto irispettivi genitori (nel passato), e ciòche dalla celebrazione inizia comecammino di fede, speranza e carità(per il futuro).

    La ripresa, all’interno dell’Ordo,del cammino di iniziazione ai mistericristiani è il punto di partenza pertentare di qualificare da questo pun-to di vista l’azione e la presenza deitesti di nozze. Un recupero che è cer-tamente da ‘inventare’ in senso pa-storale, e che probabilmente potreb-be consistere in una sfida interessan-te.

    Certo è che il legame celebrativo eteologico con il Battesimo pone il sa-cramento del Matrimonio nella lucedel compimento, a livello vocazionale,di un seme gettato nel passato. Inne-stare in questo contesto anche la pre-senza dei testimoni potrebbe caratte-rizzare ancora meglio questa dimen-sione che il RM ha voluto sottolinearee rivitalizzare.

    Scelti dagli sposi per il loro passato,che li ha legati fortemente a loro, i te-stimoni sono lì, nell’oggi liturgico, perdire la loro condivisione e la loro ami-cizia. Perché, dunque, non coinvolger-li come compagni nel percorso di vitadegli sposi stessi, quasi in uno statutodi ‘padrini/madrine di nozze’? Sareb-be utile (e forse anche necessario) ri-cuperare il sacramento del Matrimo-nio come una tappa significativa di uncammino di iniziazione cristiana: pun-to di arrivo di una storia e punto dipartenza di una nuova esperienza difede.

    Pastoralmente parlando si potreb-be far leva sull’amicizia particolareche ha legato e lega gli sposi ai testi-moni per ‘cementare’ nel futuro unrapporto spirituale con la nuova fami-glia nata dal sacramento.

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    Va da sé che la scelta dei testimonidovrebbe essere tale da qualificarlicome persone ‘maggiori’, ‘adulte nel-la fede’. Persone capaci di assumersiun compito delicato e insieme impor-tante: confidenti e compagni di vitadegli sposi ora che la loro vita ha ri-cevuto un nuovo orientamento voca-zionale.

    È, qui, di riferimento la figura bibli-ca dell’ ‘amico dello sposo’ (Gv 3,29).Persona sulla cui fedeltà, presenza ediscrezione si faceva affidamento.

    La scelta dei testimoni e la loropresenza / azione nella celebrazionematrimoniale, al di là di ogni valenzagiuridica, potrebbe essere, pertanto,un momento pastorale significativoperché la loro non sia solo ‘presenzatestimoniale’, ma ‘azione testimonia-

    le’, accompagnatrice della fede pro-fessata dagli sposi.

    Ci soccorre ancora una volta, allafine di queste considerazioni, il pen-siero puntuale e profondo della Chie-sa espresso al n. 9 delle Premesse Ge-nerali del RM:

    “[…] Non si deve pensare che [il Ma-trimonio] si esaurisca con la celebrazio-ne. Esso investe tutta la vita degli sposi[…]. L’accompagnamento mistagogicorisulta necessario per rafforzare la ca-pacità di dialogo tra gli sposi, offrire oc-casioni di confronto e sostegno tra cop-pie di sposi, rendere gli sposi coscienti eresponsabili del proprio ruolo nellaChiesa e aiutarli a vivere il loro ministe-ro in armonica collaborazione con tuttigli altri ministeri”.

    ————————

    1 L’accompagnamento degli sposi, secon-do le consuetudini locali, da parte deigenitori e dei testimoni, potrebbe facil-mente tradursi, giunti al luogo prepara-to per i nubendi, in una serie di inter-venti, non solo necessari e dovuti (comead esempio la sistemazione del vestitodella sposa), ma in azioni capaci di oscu-rare il senso genuino dell’andare incon-tro a Cristo significato dal movimentoprocessionale all’altare (es: scambio de-gli sposi da parte dei genitori, fotogra-fie in posa, svelamenti, ricomposizionedel trucco…). La processione si trasfor-merebbe in una marcia di trasferimentoda un luogo a un altro, ancora una vol-

    ta in balìa degli stop o delle ‘pose’ for-zate prescritte dal maestro delle ceri-monie fotografiche, più attento ai ‘fuo-ri fuoco’ che al senso di quanto si sta fa-cendo e celebrando. Se nella regia cele-brativa si scegliesse di utilizzare questaforma di ‘processione allargata’, sareb-be bene prepararla e concordarla pre-viamente con i vari partecipanti e con ilfotografo stesso.

    2 Il can. 1105 CIC tratta del matrimonioper procura e i cann. 1121 e 1131 CICdelle annotazioni da porre per iscrittosuccessivamente alla celebrazione in ca-si particolari.

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    tutta questa faccenda. Alla fine daròqualche idea su come si possano tro-vare nuovi spazi per la musica nel ritodel matrimonio con attenzione alle in-novazioni apportate dall’introduzionedel nuovo rito del matrimonio..

    Il matrimonio cristiano nellanostra società

    Le osservazioni che farò possonoessere fatte da chiunque osservi conun pizzico di buon senso quanto ci cir-conda. Sappiamo che il matrimoniocelebrato secondo le consuetudini del-la Chiesa cattolica romana prevedeuna parte sacramentale e una parteistituzionale. Lo spostamento di ac-cento sull’uno o sull’altro aspetto nelcorso della storia ha denotato partico-lari visioni del matrimonio stesso. Tal-volta si è molto sottolineato l’aspettodel matrimonio come “contratto”, co-me evinciamo da questo testo: “La ca-ratterizzazione del matrimonio comecontratto giunge fino alla codificazio-ne del 1917; in essa l’istituzione coniu-gale viene considerata come ‘contrat-to matrimoniale’ (can. 1012, 2). Il cam-biamento avviene nel Codice di dirittocanonico del 1983, in cui il matrimo-nio passa ad essere compreso come‘alleanza matrimoniale’. Si tratta nonsolamente di un cambiamento termi-nologico, ma pure – e soprattutto – diuna variazione semantica”.1 Questocammino lungo quasi 80 anni ha comemomento centrale la svolta del Conci-lio Vaticano II, che ha introdotto unaconcezione centrata più sulla personanel matrimonio che sull’elemento con-

    La musica nel nuovo rito del matrimoniodi Aurelio Porfiri

    P osso assicurare che dopo aversuonato a centinaia e centinaiadi matrimoni e dopo aver parte-cipato a uno di questi come (non invo-lontario) co-protagonista, una ideaben precisa del rapporto che c’è at-tualmente tra la musica liturgica e ilrito del matrimonio me la sono fatta.La prima constatazione che faccio puòsembrare contraddittoria: non credoche sia utile parlare in prima battutadi musica liturgica per il rito del matri-monio. Voglio sperare di non far partedi quel gruppo di musicisti di chiesache pensa di risolvere “tutti i mali delmondo” (la crisi della “musica sacra”)non riuscendo a vedere al di là deineumi e dei tactus. Il buon senso midice che non si può risolvere il proble-ma della musica liturgica partendodalla musica, semplicemente perché ilproblema ha origini diverse, parte daaltre fonti, che inevitabilmente si ri-verberano nell’aspetto musicale-litur-gico della questione. È come quandouno ha un problema con il cuore e glifa male anche il braccio: nessun medi-co coscienzioso curerebbe il braccio,perché l’origine del dolore è altrove. Edov’è l’origine di questo dolore? Nonè semplice a dirsi, ma sicuramentel’ambiente sociale ha un ruolo fonda-mentale nella formazione dei giudizi(e soprattutto dei pre-giudizi) dell’in-dividuo. Credo quindi, che si possa in-nanzitutto dare uno sguardo al matri-monio per come è vissuto nella nostrasocietà, avvicinandoci poi a come glisposi cristiani vivono il rito e di conse-guenza quale posto ha la musica in

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    trattuale: “Detto brevemente, secon-do il Vaticano II, il matrimonio è unarelazione interpersonale; l’associazio-ne dei coniugi e la procreazione sonodue valori che in esso si giustappon-gono, senza che si attribuisca egemo-nia alcuna né all’uno né all’altro. LaGaudium et spes ha conferito alla co-munità coniugale il duplice significatodi relazione interpersonale e di fecon-dità, di amore e di procreazione. Spa-rirebbe così dalla dottrina canonicadel matrimonio il famoso dualismo in-trodotto da Agostino”.2 Dunque si èfavorita la visione dell’alleanza matri-moniale, che come sappiamo è splen-dida immagine anche dell’alleanza traCristo e la sua Chiesa. Questa splendi-da visione sponsale, che trova il suocanto più alto nel libro del Cantico deiCantici, potremmo così strutturarla:Cristo sposo e Chiesa sposa, matrimo-nio umano, Dio e l’anima. Questa se-rie di alleanze trovano nell’umanitàdel matrimonio cristiano un ancora-mento che è sì carnale e terreno, mache sembra pronto a disancorarsi dallasua necessaria umanità per vivere diquesto mistero che è l’amore di Dioper noi. Quanto detto fino ad ora,penso che tutti lo troviamo molto bel-lo, ma bisogna farsi una domanda sco-moda: quanto di questo entra vera-mente nei concreti matrimoni che sicelebrano oggi? Gli sposi sono consa-pevoli di questo? Sentono che questoli interpella? Credo che la risposta de-ve essere negativa su tutti i fronti. Equesto per varie ragioni. Innanzituttoall’altezza degli ideali proposti do-vrebbe corrispondere l’altezza delleaspirazioni di coloro a cui sono propo-sti. Non dimentichiamo che nella no-stra società le persone sono meno in-dipendenti di quello che pensiamo.

    Spesso non hanno difese di fronte allamartellante campagna dei mass mediache ci dice che la felicità consiste nel-l’essere sempre giovani, sempre ecci-tati, ricchi e potenti solo perché bravia giocare a calcio, ci dice che tutto è anostra disposizione. Più o meno que-ste sono le aspirazioni a cui veniamoformati. Pochi si ritraggono e moltisubiscono. Questo non si lega moltobene con alcuni aspetti del matrimo-nio, quegli aspetti che costano più pa-zienza e sopportazione. Tua moglie otuo marito invecchia? Non è giusto,prenditene uno più giovane, devi vi-vere la tua gioventù fino a che hai 80anni…

    C’è poi la questione del fidanzamen-to, il tempo della preparazione. Permolti (vorrei dire moltissimi), quando siarriva al matrimonio già si è moltoavanti con la conoscenza reciproca (abuon intenditor…). È giusto, è sbaglia-to? Sta di fatto che è così. Chi nega que-sto fatto, non vive in mezzo alla gentenormale, ma in un mondo ideale chesarà anche bello ma che ha il non tra-scurabile difetto di non essere vero. Siarriva al matrimonio quando il tempofisiologico della passione sta quasi perpassare. Allora molti, quando si vedonosenza più quell’attrazione forte che c’e-ra nei tempi precedenti, si preoccupano.Si legge ogni giorno sui giornali di atto-ri, attrici, calciatori, veline e via dicendoche si separano dai rispettivi coniugi di-chiarando costernati che non c’era piùla passione di un tempo (magari dopo 6mesi). Ma non ci deve essere la passionedi un tempo! Questa si trasforma in al-tro, che è diverso, ma non per questopeggiore! Se non si lavora sulla propriavita di coppia è certo che questa andràa morire. È come una pianta fiorita: senon la innaffiamo regolarmente, i fiori

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    inevitabilmente muoiono. Ma se unapassione finisce, perché darsi pena se ilmondo ti promette che ne puoi averequante ne vuoi?

    L’ideale cristianoL’ideale cristiano è molto alto. Pro-

    prio per questo, credo, nel passato si èmolto insistito sull’aspetto “contrattua-le”, per dare comunque un elemento fa-cilmente comprensibile a persone chedifficilmente afferrano concetti come“alleanza matrimoniale”, “valore uma-nizzante dell’amore coniugale” e via di-cendo. L’aspirazione di molte coppie èquella di unirsi stabilmente con un’altrapersona con cui ci si trova particolar-mente bene, avere dei figli e un buon la-voro, e che Dio ce la mandi buona… Intutto questo non c’è niente di male, cer-tamente; ma da qui a fare il salto versol’ideale cristiano ce ne vuole. E non sipretende che lo si viva immediatamente(sarebbe il massimo) ma almeno che sene capisca la grande importanza.

    Nel nuovo rito del matrimonio unacosa ha particolarmente colpito la stam-pa: la Chiesa avrebbe riconosciuto comenecessaria una gradualità nella celebra-zione dei matrimoni, riconoscendo chemolte persone oggi, pur volendo spo-sarsi in chiesa, non hanno in nessun mo-do una vita di fede o l’hanno molto te-nue. Trovo molto saggio accettare que-sta situazione. Perché ci si sposa in chie-sa? Perché fa parte della cartolina del“giorno più bello della tua vita”: l’abitobianco, l’Ave Maria, il riso fuori dallachiesa… Non è per tutti così, ma onesta-mente è così per una buona percentua-le di persone (sicuramente superiore alcinquanta per cento). Non ci nascondia-mo che la nostra società non è una so-cietà cristiana come lo era un tempo;farsi carico di questo vuol dire solo ave-

    re buon senso: “Nel contesto della di-scussione sull’atteggiamento pastoralenei confronti dei divorziati cattolici ri-sposatisi, il presidente della Congrega-zione per la Dottrina della Fede, J. Rat-zinger [ora papa Benedetto XVI], ha fat-to cenno a una proposta alternativa cheva in direzione contraria a quella uffi-ciale. Nella Introduzione che il cardinalepremette al libro Sulla pastorale dei di-vorziati risposati. Documenti, commentie studi (Vaticano, 1998), appare il se-guente paragrafo, che non è passatoinosservato tra gli specialisti: “È necessa-rio, al contrario, studiare in profonditàla questione se i cristiani non credenti –battezzati che mai sono stati credenti oche non credono più in Dio – possanoveramente contrarre un matrimonio sa-cramentale. In altre parole: è necessariochiarire se veramente ogni matrimoniotra battezzati sia ‘ipso facto’ un matri-monio sacramentale”.3

    Dalla cultura alla liturgiaDopo aver sorvolato sul quadro cul-

    turale in cui i nubendi si trovano, possia-mo facilmente intuire come si troveran-no ad affrontare il momento liturgicodella loro unione. Sappiamo bene che fi-no al Vaticano II la liturgia non era cosaper laici, ma era il recinto in cui solo ichierici avevano accesso. Questo stato dicose che il Vaticano II ha cercato di mo-dificare4 è ancora ben lungi dall’esserepienamente riparato. I laici ancora consi-derano la liturgia come cosa da preti eanche molti sacerdoti non mi sembranoconvinti che ai laici bisogna dare un piùlargo spazio. Quindi, poggiato su questoequilibrio del nulla, si continua a lasciareinattuate molte istanze che la riforma li-turgica portava avanti. Essendo gli sposilaici, sono pienamente coinvolti in que-sta faccenda. Hanno spesso una idea del

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    rito molto vaga. Ho parlato con moltissi-me coppie che preparavano il matrimo-nio, per la scelta del repertorio musicale.Una piccola parte sapeva di cosa stava-mo parlando, la gran parte mi dice di fa-re da solo perché tanto so come vannofatte queste cose (frase che qualche vol-ta serve a nascondere elegantemente ilfatto che loro non saprebbero da dovecominciare); e poi ci sono quelli che, purnon sapendo nulla di liturgia o sapendopoco (che è anche peggio), pretendonodi fare una riforma della riforma perl’occasione del loro matrimonio. Ma co-me si può pretendere diversamente se lavita liturgica non è vissuta pienamentefin da bambini, se non è fatta amare ecomprendere, se è sentita solo come ilprecetto da assolvere, come se fosse unabolletta da pagare? Il problema non sirisolve facilmente con i corsi pre-matri-moniali o con qualche sporadica lezionedi liturgia: bisogna veramente che ci sifaccia carico delle istanze della riformaliturgica, tra le quali c’è il maggiore coin-volgimento dei laici nella celebrazione.

    Dalla liturgia alla musicaVi confesso una cosa: se una coppia

    di ragazzi normali, che ascoltano quelloche tutti ascoltano e vedono quello chetutti vedono viene da me e mi dice chevuole un matrimonio tutto con musicarinascimentale, dubiterei della loro sa-nità. Non sarebbe normale, sarebbe in-naturale. Non che al sottoscritto dispia-cerebbe, ma mi rendo conto che la com-petenza musicale comune è ben al difuori non solo della musica “sacra”, maanche della musica classica. Il mondomusicale di gran parte della gente èquello delle canzoni, della musica pop.Questo è un altro fatto contro cui si puòinveire ma che è inutile negare. Nellepremesse al rito del matrimonio viene

    chiesto che i canti siano adatti alla cele-brazione matrimoniale e che esprimanola fede della Chiesa. Questo è moltogiusto ma come conciliare la cultura del-le persone che chiedono la celebrazionedel matrimonio con quello che dovreb-be essere una buona “sonorizzazione”del rito liturgico? Questa è naturalmen-te la questione che si dibatte da decennitra i liturgisti. Anche l’annosa questionedell’Ave Maria è intimamente connessa.Perché la gente tiene tanto all’Ave Ma-ria? Non tanto per un fatto musicale, se-condo la mia opinione. L’Ave Maria è di-venuta un segnale rassicurante (comel’abito bianco, le marce nuziali…) che,mi si permetta l’affermazione, dà vali-dità emotiva al matrimonio. Non entronella questione della liceità di questobrano,5 ma voglio cercare di capire per-ché la gente ci tiene tanto. Essa rappre-senta quel catalizzatore emotivo chepermette la commozione, anzi, che lafavorisce. Questo bisogno di “sfogoemotivo” va tenuto in buon conto nelmomento della catechesi pre-matrimo-niale; è un fattore psicologico importan-te che non va sottovalutato.

    Per cercare di elevare il livello dellamusica nella celebrazione del matrimo-nio, perché in uno degli ultimi incontricon gli sposi non li si fa incontrare con ilmusicista della parrocchia che, facendoalcune proposte di canti o musiche per ilmatrimonio, spieghi alle coppie il lorosignificato nell’ambito del rito?6

    Musica nel nuovo rito del ma-trimonio

    Il nuovo rito del matrimonio presen-ta la memoria del battesimo all’iniziodella celebrazione. Si può eseguire uncanto adatto durante l’aspersione. Sug-gerirei, visto che spesso si tratta di unmomento breve, di proporre una accla-

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    mazione con testo che può essere“Cantiamo al Signore con la nostra vi-ta” oppure “Il Signore è mia luce e miasalvezza” o altro. Non proporrei uncanto per intero, ma farei in modo chequesta acclamazione (anche su testopiù breve, se necessario) sia ripetuta co-me un mantra dall’assemblea che par-tecipa al rito del matrimonio. Non sipretenda troppo, si chieda solo di ripe-tere cose semplici e molto orecchiabili.Si faccia in modo che gli sposi possanoimparare questi brevi ritornelli primadel matrimonio, in modo da poter dareil buon esempio. Il parroco insista sulfatto che, se viene richiesto un cantore,deve essere in grado di poter proporreinnanzitutto il salmo responsoriale.7

    Il buon senso mi fa pensare che nonsia il caso di pretendere molti canti du-rante la celebrazione. Mi accontentereiche la gente possa cantare la breve ac-clamazione al rito dell’aspersione, il ri-tornello del salmo, l’acclamazione alvangelo e il Santo. Considerando che lamedia degli invitati di solito non ri-sponde a nulla durante la messa, que-sto sarebbe già un grande successo. Peril resto delle musiche da proporre, chein questo caso sarebbero strumentali,

    farei in modo che gli sposi possano con-siderare altre opzioni, oltre alle solitestabilite dalla “tradizione”. Ho consta-tato che spesso gli sposi non considera-no altre opzioni semplicemente perchénon le conoscono. Si può trovare nel re-pertorio organistico brani semplici e dieffetto alla portata anche di organistidi media preparazione.

    Al momento dello scambio delle pro-messe si usa ora la formula “accolgote”. Questo è un elemento catechisticoimportante anche per spiegare l’approc-cio che si deve avere alla liturgia (e allasua musica). Accogliere vuol dire farespazio in se stessi per un altro; così si de-ve chiedere che si faccia spazio al rito,che si tenti di accoglierlo nella propriaanima, innanzitutto comprendendolo ecomprendendone il senso. Bisogna invi-tare gli sposi ad aprirsi mentalmente, asuperare per un po’ le loro prevedibiliesitazioni. Dovrebbe essere compito de-gli uffici liturgici proporre un piccologruppo di persone che, mancando “per-sonale adatto” nelle parrocchie, possa-no partecipare a uno degli incontri pre-matrimoniali spiegando tutto questo,pronti anche a rispondere alle varieobiezioni prevedibili delle coppie.

    ————————1 M. VIDAL, Il matrimonio tra ideale cristiano e fragi-

    lità umana, Queriniana, Brescia 2005, p. 118.2 J. BERNHARD, “Dalla vita alla legge. A proposito del

    diritto matrimoniale e della relativa legislazione”(“Concilium”, 5/1996) in M. VIDAL, op. cit., p. 121.

    3 M. VIDAL, op. cit., p. 264.4 Per la verità storica, preceduto dal lavoro inces-

    sante del movimento liturgico e preparato an-che da insigni protagonisti della vita ecclesialedel XX secolo.

    5 Mi permetto di osservare una cosa: come proi-bire l’Ave Maria per la sua origine profanaquando in molti repertori parrocchiali si trova-

    no canti per la liturgia presi da musical o dacanzoni pop? Anche qui il discorso parte da piùlontano che dal rito del matrimonio….

    6 Immagino che alcuni commenteranno: ma ilmusicista della parrocchia spesso ne sa menodegli sposi…anche questo è un problema gran-de, il discorso si amplierebbe a dismisura.

    7 Basta dire ai cantori che se vogliono lavorare inquella parrocchia devono un po’ allargare il lo-ro repertorio. In fondo ci sono alcuni salmi re-sponsoriali proposti nel rito del matrimonio,basta impararne due o tre e averli a disposizio-ne per le celebrazioni.

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    L a risposta sembra facile: i cristia-ni si sposano in chiesa. In realtànon è così semplice, e non mi ri-ferisco al fatto che il matrimonio siapassato nel corso dei secoli dalla casapaterna alla “facies ecclesiae”, per poientrare in chiesa e trovare – oggi – lasua abituale collocazione nella celebra-zione dell’Eucaristia o in una celebra-zione della Parola. In questo interven-to ci atterremo all’attualità, fotogra-fando contesti e situazioni che sembra-no richiedere un ripensamento e un in-tervento.

    Con un po’ di pessimismo, qualchepastore noterebbe forse la contraddi-zione per cui molti non cristiani chie-dono di sposarsi in chiesa, mentre alcu-ni cristiani vorrebbero sposarsi altrove.Ci sono certamente pochi casi che ecce-dono il limite della stravaganza: coppiecon il passatempo delle immersioni chevorrebbero sposarsi sott’acqua, speleo-logi che sognano anfratti e speloncheinaccessibili, qualche amante dell’ariache vorrebbe sposarsi in volo, sospesoal paracadute. Naturalmente queste ri-chieste non vengono assecondate.Analoga risposta negativa incontra –almeno a Roma – la richiesta di sposareall’aperto, in luoghi più o meno im-provvisati: il semplice tavolino trasfor-mato in altare e posto sotto un pergo-lato di glicine nel giardino della villa odel ristorante, più frequentemente lospazio esterno che alcuni parroci diluoghi di villeggiatura hanno attrezza-to stabilmente per la celebrazione, siaper ovviare al disagio del caldo estivo,

    sia perché la piccola chiesa, più che suf-ficiente nel resto dell’anno, non po-trebbe contenere i numerosi turisti diluglio e agosto. Di fronte a queste ri-chieste, in primo luogo va spiegata aglisposi la differenza tra la liturgia cattoli-ca e gli usi di alcuni gruppi protestantiamericani, che da noi non hanno se-guaci, ma i cui usi in fatto di matrimo-nio passano nell’immaginario collettivoattraverso un gran numero di film; insecondo luogo occorrerà illustrare il va-lore simbolico dell’edificio chiesa cheper lo più è misconosciuto: per chi chie-de le nozze all’aperto spesso la chiesa,è solo un edificio un po’ demodé e co-munque troppo usuale (in chiesa ci sisposano tutti!), il cui tetto sottrae glisposi alla romantica luce del sole. C’èpoi il fascino della città d’arte o dellagemma paesaggistica – Roma, Firenze,Venezia come Ischia, Capri, Taormina –in cui le curie diocesane registrano nu-merose richieste di stranieri che nonhanno alcun legame con il territorio(quasi sempre neppure la conoscenzaminimale della lingua), ma che nel loroItalian dream vagheggiano un matri-monio di sogno in una cornice indi-menticabile. Che poi il sacerdote cele-bri l’Eucaristia in tedesco, in italiano oin latino, che faccia l’omelia (compresada quanti?) o si limiti a dire Best wishes– herzliche Glückwünsche e a chiamarel’applauso dei presenti (fedeli?), chespesso veda gli sposi per la prima voltaal loro ingresso in chiesa, che deva de-streggiarsi tra foglietti con traduzioniimprobabili dei testi biblici e lettori

    Dove si sposano i cristiani di Adelindo Giuliani

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    madrelingua o presunti tali, tutto que-sto è percepito come dettaglio secon-dario, che di solito non intacca mini-mamente l’entusiasmo degli sposi.

    Ma veniamo finalmente a coloroche vogliono sposarsi nella chiesa.Quale? Se fino a qualche decennio faera piuttosto ovvia, soprattutto nei pic-coli centri, la scelta della parrocchia,oggi non è più così. La normativa cano-nica per lo svolgimento delle pratichepropone tre possibilità: la parrocchiadello sposo, quella della sposa o quelladi futura residenza della coppia. Sicomprende il valore di questa norma ela logica vorrebbe che tale criterio ve-nisse considerato anche per la sceltadel luogo di celebrazione. Ma anchequi ciò che è ovvio per il pastore nonsempre lo è per gli sposi, che possonoessere toccati da altri luoghi, portandomotivazioni varie e di diversa consi-stenza. Occorre distinguere tra caso ecaso: una cosa è la fascinazione esteti-ca per la chiesa monumento, altro è unlegame affettivo che tocca la famigliae qualche volta la storia umana e di fe-de di uno o di entrambi: la chiesa dovesi sposarono i genitori, la chiesa delbattesimo, la chiesa dove i nubendi siconobbero perché parte dello stessogruppo o coro... Lo stesso luogo puòessere significativo per alcuni, inoppor-tuno per altri: la cappella di un anticopalazzo nobiliare sembra proprio daescludere se si tratta di un noleggio aterzi, ma se lo sposo è il fortunato ram-pollo dalla dinastia patrizia che abitaquel luogo da secoli, come si potrebbenegargli il matrimonio nella cappelladove si sono sposate generazioni di an-tenati? Chi scrive partecipò anche a unmatrimonio celebrato, con la necessa-

    ria dispensa del vescovo, nella cappelladi un monastero di clausura: la sposaera la sorella di una giovane monacacarmelitana e la celebrazione – toccan-te nella sua semplicità – vide riunitenella coralità della preghiera liturgicale famiglie degli sposi, la famiglia mo-nastica, la comunità giovanile in cui idue giovani erano cresciuti e che quelgiorno si era trasferita in massa nellacappellina del Carmelo.

    Certo, una felice eccezione, ma an-che il semplice desiderio di celebrare lenozze in un luogo bello e significativoè tutt’altro che da biasimare: la metafi-sica classica insegna che il bello è unaproprietà trascendentale dell’essere(unum, verum, bonum, pulchrum). Èinutile nascondersi dietro un dito: nonsono in questione solo le parrocchieche per povertà e necessità momenta-nea sono ospitate in scantinati; ci sonoanche molte chiese, costruite per lo piùnel corso dell’ultimo secolo, tanto pri-ma quanto dopo il Concilio, che sonosolo monumenti di bruttezza, inadattealla celebrazione per la disposizione in-felice degli spazi, per l’oscurità degliambienti, per l’insignificanza dei luo-ghi liturgici. Solo un’esperienza moltosignificativa di fede maturata fin dal-l’infanzia e dagli anni giovanili in queiluoghi potrebbe bilanciarne l’oggetti-va bruttezza: ma se gli sposi non han-no avuto la grazia di un’esperienza co-sì qualificante, perché dovremmo an-che colpevolizzarli e condannarli albrutto? Il naturale desiderio di bellezzanon potrebbe anzi essere un punto dipartenza per illustrare la bellezza on-tologica del sacramento celebrato?

    Di fronte alla richiesta di matrimoniin chiese non parrocchiali alcune dioce-

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    si hanno adottato una linea molto de-terminata, riservando la decisione aun’eccezionale dispensa del Vescovo,altre si mostrano più possibiliste e con-cedono anche a rettorie e santuari la li-cenza per la celebrazione.

    La Diocesi di Roma, ha regolamen-tato la possibilità del matrimonio fuoriparrocchia stabilendo alcune regole difondo, quali ad esempio: non si posso-no prendere prenotazioni che vadanooltre il periodo di un anno e non sipossono richiedere acconti sull’offerta,il cui ammontare è comunque stabilitodalla diocesi (in parrocchia l’offerta èlibera); la parrocchia o rettoria devemettere a disposizione il celebrante, segli sposi non preferiscono invitare unsacerdote amico; non si possono cele-brare più di tre matrimoni al giorno edeve intercorrere almeno un’ora tra lafine di una celebrazione e l’inizio dellaseguente; la scelta del fiorista e del fo-tografo è lasciata agli sposi. Si riservainvece al parroco o rettore la sceltadell’organista, per tutelare antichi or-gani di grande pregio storico e artisti-co, sui quali ovviamente non è il casoche metta le mani il nipotino che datre mesi studia pianoforte. Ma comenon condividere la protesta di un do-cente di organo in conservatorio alquale qualcuno, con poca lungimiran-za e nessuna comprensione della nor-ma in oggetto, voleva vietare di suona-re al matrimonio del fratello?

    Al momento della celebrazione, ameno che la coppia non abbia un coin-volgimento vivo in una comunità cri-stiana che partecipa alla celebrazione,la cosa che spesso risulta evidente a ri-marcare la distanza dalle abituali cele-brazioni è proprio… l’assenza della co-

    munità con il suo stile celebrativo, isuoi spazi, i suoi canti. L’assemblea de-gli “invitati” rispecchia nella media lasituazione della pratica religiosa locale:si oscilla tra il 10 e il 20 % di praticantiabituali. Ciò significa che, in alcune re-gioni italiane, su 200 presenti una ven-tina saranno quelli che frequentano lacelebrazione domenicale nelle loro co-munità (sono quelli che rispondono an-che al “Pregate, fratelli…” e che “osa-no” cantare se si propongono l’accla-mazione al vangelo o la risposta alle li-tanie), una cinquantina hanno una cer-ta familiarità con luoghi e riti (fanno ilsegno di croce, sanno a memoria il Pa-dre nostro, siedono e si alzano più omeno al momento opportuno,…), glialtri sono quasi totalmente passivi;qualcuno farà la spola con l’esterno,dove leggerà il giornale, chiacchiereràcon gli altri e fumerà qualche sigarettain attesa di lanciare il riso. L’assenzadella comunità si rileva anche in presbi-terio e intorno all’organo, dove man-cano le consuete figure di ministeria-lità: il diacono, l’accolito, i ministranti,la schola cantorum. Talvolta gli sposinon hanno considerato che una chiesaviene realizzata pensando anche all’as-semblea che dovrà accogliere e chenon tutte si prestano a ricevere ungruppo mediamente piccolo di invitati.Ripenso a basiliche gigantesche, capacidi accogliere un migliaio di persone se-dute, in cui il centinaio di partecipantisi perde e la voce del ministro rimbom-ba nel vuoto, a chiese monastiche econventuali in cui il coro desolatamen-te vuoto si frappone tra la sede e l’alta-re allontanando il celebrante e rele-gandolo in triste solitudine sul fondodell’abside. Qualche volta, per ovviare

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    a questi inconvenienti, sono gli stessirettori che propongono soluzioni deci-samente insoddisfacenti, duplicando iluoghi liturgici con oggetti che hannotutte le caratteristiche della precarietà:tavolini coperti da un drappo al postodell’altare antico, troppo lontano eforse ancora addossato al muro, sediee poltrone in un angolo del presbiterioal posto della sede, leggii metallici tra-ballanti al posto del pulpito inaccessibi-le.

    Negli sposi, anche nei meno prati-canti, resta evidente comunque il biso-gno rituale, che, in mancanza di com-petenza specifica, si esprime nel tenta-tivo di curare l’allestimento dei luoghi(il cosiddetto “addobbo”) e di sonoriz-zare la celebrazione. Non potendocontare sul sostegno di una comunità,si affidano a professionisti, i quali fini-scono per giocare un ruolo importantenella preparazione e nell’animazione:fotografo, organista, fiorista, canto-ri,… Di solito – fatte salve le solitesplendide eccezioni – ciascuno è con-vinto di potere / dovere badare al servi-zio che gli è stato richiesto in totale,professionale (quando va bene) auto-nomia. Ma questo è antitetico al con-cetto stesso di liturgia, che è azione diun popolo organicamente costituito ecompaginato in unità dal ministero dichi presiede. Spesso invece, anche se ilsacerdote è un amico degli sposi, le suepossibilità di intervento nella prepara-zione della celebrazione sono minime.Se già la composizione sociologica del-l’assemblea la rende molto disorgani-ca, l’affidamento di compiti di anima-zione e preparazione a battitori libericontribuisce in modo determinante al-la dissoluzione dell’armonia celebrati-

    va e all’insorgenza di altre ritualità,ciascuna peraltro molto precisa, ma dicui si cercherebbe invano traccia nei li-bri liturgici. Per farci comprendere, eper non rendere troppo pesante la let-tura, proviamo a fare la caricatura del-la situazione peggiore, che purtropponon pare molto lontana dalla media: ilsacerdote invitato arriva nella chiesaprescelta circa mezz’ora prima, se nonconosce il posto dà un’occhiata al pre-sbiterio prima di infilare la porta dellasagrestia. Solitamente si porta il cami-ce, qualche volta gli viene data una ca-sula di scarso pregio. Ha concordatocon gli sposi le letture e le particolaritàrituali; non gli resta che sperare che ilettori ci siano, che sappiano leggere e,soprattutto, che i microfoni funzioninodecorosamente. Il fotografo accompa-gna la sposa, ma manda in avanscoper-ta alcuni collaboratori che portano leapparecchiature e, senza nessun con-tatto previo con la chiesa, iniziano adisseminare il presbiterio di cavalletti,trespoli e cavi. Di solito si trascura laforma di ingresso che prevede l’acco-glienza degli sposi sulla soglia dellachiesa e l’ingresso processionale e il fo-tografo agisce come il gran maestro dicerimonia dell’ingresso della sposa, laquale prende ordini e li esegue pedis-sequamente. Lo sposo deve stare già alsuo posto, in piedi, e che guardi versoil fondo. I paggetti caudatari tengonolo strascico. Quanto al prete… facciaquel che vuole: che stia già all’altare oancora in sagrestia non è importante.L’ingresso della sposa diventa uno stuc-chevole e interminabile defilé: “Ferma-ti, guarda a sinistra, saluta i bambini,un passetto avanti, la rifacciamo, tornaindietro…” Quindi il cerimoniere foto-

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    grafo dà i segnali al padre della sposae allo sposo: l’uno consegni la sposa alsuo promesso, l’altro baci la mano (an-che se guantata, alla barba di monsi-gnor Della Casa!) e sollevi il velo.Sguardi languidi e scatti a raffica, quin-di si può poggiare il bouquet sul ban-co. Nel frattempo un secondo cerimo-niere (solitamente una parente di mez-za età) si occupa di distendere a rag-giera lo strascico. Interverrà ancora,ogni volta in cui, alzandosi o sedendo-si, la sposa abbia scompigliato la codadi pavone disegnata sul tappeto. I ritidi introduzione servono al fotografoper riprendere i parenti. Quando il let-tore va all’ambone è d’obbligo il faropuntato in faccia e acceso a tradimen-to (che il lettore sia lì per proclamareun testo e che l’abbaglio non lo aiuti èun particolare praticamente insignifi-cante), quindi il fotografo passa in ras-segna tutta l’assemblea (frapponendo-si tra fedeli e lettore e voltando le spal-le a quest’ultimo), poi di colpo spegneil faro (l’effetto è di oscuramento belli-co, ma non importa) e se ne va. Ormaitutti sanno che durante l’omelia non sifanno riprese, e qualche fotografo get-ta la spugna buttandosi a sedere dovecapita, spesso in presbiterio. È il mo-mento di dare istruzioni agli aiutanti,di verificare l’efficienza delle apparec-chiature, di smontare e rimontare gliobiettivi. Non mancano però i profes-sionisti più ardimentosi che, noncuran-ti del divieto, sbucano da posti impen-sati sperando di non essere visti: dadietro una colonna, da una vecchiacantoria; la palma dell’ardimento va aquello che scoprì la scala a chioccio