“Counseling Sanitario: tecniche di supporto al paziente” · di imparare, di modificarsi e di...

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Master di Primo Livello in “Counseling Sanitario: tecniche di supporto al paziente” Anno Accademico 2013-2014 Direttore Prof. Davide Festi “EMPATIA E COMUNICAZIONE NONVIOLENTA: L’ UMANITA’ CHE CURA” RACHELE BALDELLI RELATRICE PROF. SSA ROBERTA LORENZETTI

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Master di Primo Livello in

“Counseling Sanitario: tecniche di supporto al paziente”

Anno Accademico 2013-2014 Direttore Prof. Davide Festi

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“EMPATIA E COMUNICAZIONE NONVIOLENTA:

L’ UMANITA’ CHE CURA”

!!!!!

RACHELE BALDELLI

RELATRICE PROF. SSA ROBERTA LORENZETTI

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INDICE !!!1. Introduzione !!2. Le origini dell'empatia !!3. La Comunicazione Empatica: che cos'è? !

3.I Osservazione 3.II Imparare ad esprimere i sentimenti 3.III Prendersi la responsabilità dei sentimenti 3.IV Richieste che possono arricchire la vita 3.1 Il potere della rabbia nella Comunicazione Nonviolenta !!

4. Tirocinio in Comunicazione Nonviolenta ! 4.1 Praticandoci 4.2 Il capitolo 6: la mia sperimentazione !!

5. L'empatia nella Comunicazione Nonviolenta !!6. Bibliografia !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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1. INTRODUZIONE !!Questo lavoro parla di tutti gli occhi che ho incontrato, di tutti i paesaggi che mi hanno fatto scoprire e spesso riconoscere. Parla di quanto io sia me e altro da me, e quanto creda in questo arricchimento di orizzonti. Parla di quanto abbia scoperto lungo la strada che il silenzio può essere l'ascolto più alto e pieno di sé e degli altri, di quanto a volte ogni mancata parola sia l'esattezza dell'esserci; di quanto la presenza e l'empatia siano per me qualcosa di profondamente spirituale, che mi riporta a radici lontane, e di quanto abbia desiderio di crescere e comprendere. Questo percorso, due anni di questo Master, mi hanno ricordato da dove sono partita e dove vorrei andare, e soprattutto dove sono ora. Non che l'avessi proprio dimenticato, ma erano più pensieri che vere e proprie connessioni con me. Come una scossa, nel profondo. Il tirocinio in Comunicazione Nonviolenta mi ha mostrato e fatto vivere possibilità ed esperienze reali e vive, incontrato umanità nella differenza ed uguaglianza. Queste mie parole non vogliono essere bastevoli. Sono per me quanto rappresentano del mio vissuto di questi mesi, di quanto abbia tentato di dare un nome alle esperienze, anche se il nome più esatto mi rimane scritto tra le righe, come in sordina. Una musica, come quella dell'hang che mi ha fatto compagnia nella stesura di questo scritto. Rappresenta un lavoro che parte dalla riflessione di quanto l'attenzione di ognuno sia la chiave di svolta e di come l'empatia ci possa portare a comprensioni autentiche. Dal teatro greco, toccando l'architettura tedesca e la psicologia, proverò a fare un viaggio che ripercorra lo sviluppo dell'empatia ed i suoi notevoli o millesimali mutamenti di senso; passando dall'Einfuhlung di Theodor Lipps al sistema mirror di Rizzolati, dall'approccio centrato sulla persona di Carl Rogers alle riflessioni sull'empatia nelle relazioni di counseling di Rollo May, giungere fino alla Comunicazione Empatica di Rosenberg. !Mi vengono in mente alcune righe di Julia Cameron che nel suo libro La via dell'artista coglie una sfumatura dell'attenzione che mi sono ritrovata a leggere con trasporto ed un sorriso: !

Nello scrivere sull'attenzione, mi accorgo di aver scritto molto sul dolore, e questo non è un caso. Può darsi che per altri sia diverso ma, per quanto mi riguarda, è stato il dolore ad insegnarmi a prestare attenzione. In tempi dolorosi [...] ho imparato a prestare attenzione al presente perché il preciso momento in cui mi trovavo era sempre l'unico posto sicuro per me. Ogni momento vissuto in sé era sempre sopportabile: tutti stiamo bene nell'attimo esatto in cui viviamo […] e in quel preciso momento, in quell'istante, mi sentivo bene: stavo respirando e, accorgendomi di questo, mi rendevo anche conto che qualsiasi istante, anche quello all'apparenza più trascurabile, non è privo di bellezza. 1!

Hic et nunc. Attenzione verso sé e gli altri, in un continuo presente come ago dell'equilibrio, in una visione umanistica che ridona responsabilmente al qui ed ora la base da cui poter intraprendere una partenza, in quell'adesso assoluto di Perls che non considera ieri e domani, e che ci invita allo stimolo della riflessione di come ognuno possa essere già tutto nell'esatto istante che vive. !!!

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Julia Cameron, La via dell'artista (come ascoltare e far crescere l'artista che è in noi), Milano, 1

Longanesi, 1998, pp. 72-74

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2. LE ORIGINI DELL'EMPATIA !Incoraggia gli altri nei loro punti di forza e non sminuirli mai per le loro debolezze. Nel dare forza agli altri, anche tu diventerai più forte. Al contrario, mortificando gli altri, mortificherai solo te stesso. Il colore con cui dipingi una ringhiera è lo stesso colore che ti resta sulle mani. Swami Kriyananda !

Da che ricordo, sono sempre stata spinta alla comprensione dell'altro, al suo modo di comunicare, alle inflessioni, ai movimenti, e soprattutto a che cosa sentiva nell'esatto istante in cui parlava. Una sorta di attrazione. Cosa provava? Da dove nasceva quella sensazione? Potevo averla sentita anch'io e quindi tentare di comprendere davvero l'altro? Mi piace definirlo un po' una sorta di “gioco degli specchi”. Sicuramente ad uno sguardo più attento non sfuggirà la riflessione che se, ad esempio, io provo rabbia non è detto che corrisponda per modalità, sviluppo e carica alla rabbia dell'altro. Nel pieno rispetto delle diversità. Ma proverei ad aggiungere che, se pur vero e intoccabile questo, e quindi che la diversa esternazione e portata muta, il sentire nasce dalla stessa matrice. Sostanzialmente credo che quando ognuno di noi prova emozioni possano enormemente cambiare le sfumature (infinite) ma non i colori. Nel volerci avvicinare a noi stessi, e quindi anche all'altro, possiamo tentare di (ri)scoprire e conoscere quanti più colori possiamo. Sentire da dove nascono, comprenderne le ragioni, lavorare sull'accettazione e stimolare quel grado di attenzione tale da permetterci di sperare di camminare su quel filo dell'equilibrio dinamico. Tanti più colori e sfumature riusciamo a scoprire e comprendere in noi stessi, arricchendoci di dettagli mai uguali, tanto più possiamo provare a scoprire e comprendere l'altro da noi. Il concetto di empatia ha origini lontane: deriva primariamente dal greco empatéia (en- “dentro”, -pathos “sentimento”), che stava ad indicare il rapporto emozionale di partecipazione che legava l'autore di teatro al suo pubblico. Termine poi ripreso verso la fine dell'Ottocento dai tedeschi Theodor Lipps e Robert Vischer ed equiparato a Einfuhlung, applicandolo allo studio dell'architettura che seguiva i principi dell'Idealismo (una sorta quindi di “simpatia estetica”). !

Empatia è un termine equivoco e molto equivocato. Vi sono innanzitutto alcuni che con “sentimento” (Gefuhl) non vogliono intendere altro se non il sentimento di piacere (Lust) o dispiacere (Unlust), o che ritengono il “sentire” (Fuhlen) senz'altro equivalente al sentire piacere o dispiacere. Per chi limita in modo così illegittimo il termine “sentimento”, l'”empatia”, pur designando un sentire, non merita tuttavia tale nome. Poiché ciò che io empatizzo è in senso assolutamente generale vita. E vita è forza, un interiore operare, aspirare e portare a compimento. In una parola, vita è attività, liberamente fluente o ostacolata; lieve o affaticata; concorde o discorde in se stessa: in tensione o in distensione; concentrata in un punto o distribuita in molteplici attivazioni vitali, fino al punto di “perdersi in esse”. 2!

Husserl più tardi, rifacendosi alle teorie di Lipps, estese il campo dell'empatia a quell'intuizione che ha come oggetto gli altri individui. Agli inizi del Novecento Edith Stein ne individua il fondamento in quella condizione esistenziale che è l'”essere-in-un-mondo-comune” (Mitwelt), giungendo a maturazione l'idea dell'empatia come atto originario che pone il soggetto in un processo che gli consente di allargare lo sguardo agli aspetti sconosciuti della sua persona. Interessante notare come il senso dell'empatia abbia quindi le sue radici nell'arte, soprattutto quando l'arte utilizza le parole per la narrazione. Anche se non tutti possiamo

! ! �4 T. Lipps, Empatia e godimento estetico, Quodilibet, 20022

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dipingere, scrivere, suonare, certo è che molti di più invece possono provare nella parola a raccontare. Un senso artistico esteso, ampliato trasversalmente ad un numero maggiore di individui. Un accenno alle scienze umane, dove per il termine empatia sono fondamentali, oltre che gli studi di Darwin sulla comunicazione mimica delle emozioni, quelli più recenti sui neuroni specchio (sistema mirror) scoperti da Rizzolati, il quale pochi anni fa ha teorizzato come la comprensione immediata del comportamento altrui la dobbiamo a queste piccole cellule nervose motorie che risuonano nel nostro cervello come se fossimo proprio noi a compiere quei gesti. Da un punto di vista scientifico quindi secondo i neuroscienziati il sistema mirror ci permette una visione di quello che accade intorno a noi, immedesimandoci nell'altro ed entrando in empatia, nonché di imparare per imitazione. Nel percorso umanistico-psicologico sullo studio dell'empatia, passando da Sigmund Freud, si arriva a quello che maggiormente connota il campo del quale qui vorrei trattare: gli studi e le riflessioni di Carl Rogers. Per Rogers l'empatia rientra fra le condizioni necessarie e sufficienti che possono dar luogo ad una modificazione costruttiva della personalità, dove per quest'ultima si intende !

[…] un'evoluzione esteriore e profonda nella struttura personale dell'individuo verso quello stadio che i clinici definirebbero di “maggiore integrazione”, di minore conflittualità, di maggiore disponibilità di energie per una vita produttiva; una modificazione del comportamento che perde gli aspetti generalmente definiti “immaturi” per acquisire quelli definiti “maturi”. 3!

Oltre all'empatia, le altre condizioni necessarie secondo Rogers sono: il tipo di relazione (intendendo con questa la necessità che ci si trovi all'interno di una relazione interpersonale, in contatto psicologico), la situazione del cliente (che deve trovarsi in uno stato definito di “incongruenza”), l'autenticità del terapeuta (dove con “autentico” si intende che sia liberamente e profondamente se stesso) e l'accettazione incondizionata (dove il terapeuta accetta con calore ogni parte dell'esperienza del cliente). Il concetto di empatia assume quindi in questa sede un ruolo essenziale: quella condizione che fa in modo che “il terapeuta provi una profonda comprensione empatica di quanto il cliente sente a livello cosciente”. 4!

Sentire il mondo personale del cliente “come se” fosse nostro, senza però mai perdere la qualità del “come se”, questa è empatia. […] Sentire la sua confusione, o la sua 5

timidezza, o la sua ira o il suo sentimento di essere trattato ingiustamente come se fossero propri, senza tuttavia che la propria insicurezza, o la propria paura, o il proprio sospetto si confondano con i suoi. […] E' questa specie di empatia profondamente sensibile che è importante per rendere capace una persona di avvicinarsi a se stessa, di imparare, di modificarsi e di evolvere. Forse ognuno di noi si renderà conto che questo tipo di comprensione è poco frequente: raramente la riceviamo e altrettanto raramente la offriamo. […] Ciò che in genere offriamo o riceviamo è una comprensione che valuta dall'esterno. 6!

“Comprendo cosa ti sta succedendo” o “capisco cosa stai passando”: sono entrambe espressioni che spesso usiamo quotidianamente e rientrano in quella che è stata appena

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C. Rogers, La terapia centrata sul cliente, Giunti Editore, 2013, p. 483

Idem, p. 544

Ibid.5

Idem, p. 89-906

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definita “comprensione esterna”. Che cosa blocca un possibile passaggio successivo? La paura. Se siamo davvero aperti all'altro, a cercare di comprendere ciò che l'altro da noi sperimenta, se possiamo concedergli di far entrare il suo mondo nel nostro, il rischio che possiamo correre è quello di cambiare noi stessi. E questo spesso ci spaventa. !

Così tendiamo a vedere il mondo dell'altra persona soltanto dal nostro punto di vista, non dal suo. Lo analizziamo e lo valutiamo; non lo capiamo. Ma quando qualcuno capisce come sento e come penso di essere, senza volermi analizzare o giudicare, allora sento di potere, in una tale atmosfera, aprirmi a crescere. Sono certo di non essere solo in quel sentimento. 7!

L'empatia può essere molto potente. Ed anche questo può spaventare. Sono stata in parte turbata nel ricordare quanto anche l'empatia possa avere effetti differenti dall'ampliare la coscienza. A tal proposito Rollo May ne parla in modo molto trasparente: !

La discussione sull'empatia ci porta infine a parlare dell'influenzamento. […] L'influenzamento è uno dei risultati dell'empatia. Ovunque vi sia empatia si verificherà una qualche influenza e ovunque vi sia influenza ci si può aspettare una certa identificazione di stati psichici. 8!

Influenzamento sotto varie forme e livelli: influenzamento delle idee, influenzamento temporaneo sulla personalità, fino ad arrivare ad un influenzamento profondo della personalità. Per questo ad oggi credo risulti impossibile etichettare l'empatia con aggettivi come buona o sana a prescindere; dipende dall'utilizzo che ognuno sceglie coscientemente o meno di farne. È uno strumento potentissimo, usato spesso in passato sia per creare meraviglie sia per distruggerne. Chi arriva a padroneggiare l'empatia, può applicarla per usi differenti ed opposti. Mi sono sentita molto coinvolta nell'immensa attenzione con cui sto tentando di presentare l'argomento: rispecchia una dualità che è insita in ogni cosa. È un concetto intenso in me, e di grande argomentazione. L'accettazione che nella vita ogni cosa influenza l'altra e viceversa è un passaggio a volte dolente: si è portati a pensare a quanto ognuno di noi sia chiamato a scegliere, a quanto il grado di consapevolezza e coscienza del sentire e del fare siano la chiave per tentare di utilizzare l'empatia come ampliamento e non come forme di sostituzione nell'altro. La linea di confine tra una zona e quella attigua è rappresentata quindi da ogni essere, e da come responsabilmente e con rispetto si confronta ad essa e con se stesso. !

Concludiamo sottolineando alcune implicazioni particolarmente importanti per il counselor. Primo, va notato che il processo di influenzamento è inconscio da entrambe le parti. […] Il processo imitativo avviene come parte della partecipazione mistica.[...] La seconda implicazione è chiara: in quanto counselor, insegnanti o religiosi, noi abbiamo una responsabilità. Infatti influenzeremo gli altri, che lo desideriamo o no, ed è bene che lo ammettiamo. […] Un'altra implicazione emerge: in quanto counselor noi siamo tenuti a sviluppare la nostra capacità di empatia. Ciò comporta imparare a rilassarsi, mentalmente, spiritualmente, e anche fisicamente, imparare ad abbandonare il proprio sé all'altro e, in questo processo, essere disposti a venire trasformati. Si tratta di morire a se stessi per vivere con gli altri. È la grande rinuncia al proprio sé, la perdita temporanea della propria personalità, per ritrovarla, infinitamente più ricca, nell'altro. […] 9

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C. Rogers, La terapia centrata sul cliente, Giunti Editore, 2013, p. 907

Rollo May, L'arte del counseling, Casa editrice Astrolabio, 1991, p. 598

Idem, p. 639

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3. LA COMUNICAZIONE EMPATICA: CHE COS'E'? !“Quello che desidero nella mia vita è l'empatia – afferma M.B. Rosenberg – un continuo scambio tra me stesso e gli altri[...]”. Ma che cos'è la Comunicazione Empatica? Proverò di seguito a trattare quelli che sono i temi fondamentali o, meglio, riporterò quello che io ho vissuto e capito di questo splendido e difficile linguaggio. La Comunicazione Empatica, denominata anche Comunicazione Nonviolenta, si basa sul principio secondo cui sentire empatia faccia parte della nostra natura e che tutte le strategie fisiche o verbali definite violente non sono altro che il risultato di un comportamento appreso dalla nostra cultura, che quest'ultima sostiene e (oserei dire) incoraggia, allontanandoci da noi stessi e dagli altri. Nel 1960, spinto da questo principio e dagli studi di Carl Rogers, di cui era allievo, Marshall Rosenberg sviluppa un processo comunicativo che possa portare più autenticità, comprensione e connessione, e che possa essere utilizzato anche per la risoluzione di conflitti. Empatia quindi come il cuore del processo della Comunicazione Nonviolenta. Nel libro Le parole sono finestre (oppure muri) Introduzione alla Comunicazione Nonviolenta tra i ringraziamenti si legge Rosenberg che scrive: !

Sono grato per aver avuto la possibilità di studiare e lavorare con il professor Carl Rogers nel periodo in cui stava svolgendo una ricerca sulle componenti delle relazioni di aiuto. I risultati di questa ricerca hanno avuto un ruolo cruciale nell'evoluzione del processo di comunicazione che descriverò in questo libro. 10!

Entrando nel processo, possiamo quindi ritrovare tre aspetti fondamenti della Comunicazione Empatica: ascolto di se stessi (o empatia verso se stessi o auto-empatia), ascolto dell'altro (empatia), espressione autentica del proprio sentire e dei propri bisogni. Fondamentale inoltre che questi aspetti debbano poter essere espressi (e ricevuti) senza critiche né colpe. !

La CNV ci guida nel ripensare il modo in cui esprimiamo noi stessi ed ascoltiamo gli altri. Invece di limitarsi ad essere reazioni automatiche, abituali, le nostre parole diventano risposte coscienti basate sulla solida consapevolezza di ciò che percepiamo, ciò che sentiamo e ciò che vogliamo. Siamo perciò indotti ad esprimere noi stessi con onestà e chiarezza, allo stesso tempo prestando agli altri un'attenzione rispettosa ed empatica.[...] Quando la CNV sostituisce i nostri vecchi schemi di difesa, rinuncia o 11

attacco di fronte alla critica e al giudizio, arriviamo a percepire noi stessi e gli altri, così come le nostre intenzioni e le nostre relazioni, in una luce nuova. La resistenza, l'atteggiamento di difesa e le reazioni violente vengono mimetizzate. Quando ci concentriamo sul fare chiarezza su ciò che osserviamo, ciò che proviamo e ciò di cui abbiamo bisogno, anziché sull'emettere diagnosi e giudizi, scopriamo la profondità della nostra empatia. 12!

La qualità dell'empatia cui Rosenberg spesso si riferisce è il “dare dal cuore”, intendendo con questo la bellezza che esiste sia nell'atto di ricevere che in quello del donare, sospinti dalla gioia che proviamo nel provare ad arricchire volontariamente la vita dell'altro. !

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Marshall Bertram Rosenberg, Le parole sono finestre (oppure muri) Introduzione alla 10

Comunicazione Nonviolenta, Edizioni Esserci, 2003, p. 6

Idem, p.2111

Idem, p.2212

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Sto pensando ad un modo di dare e ricevere nel quale non si riesce a distinguere chi dà e chi riceve, è una situazione nella quale entrambe le persone sembrano provare piacere nello scambio. […] Chi dona prova piacere a dare e chi riceve prova piacere nel ricevere, non c'è niente da pagare e il rapporto tra le persone migliora. 13!Dare e ricevere sono in fondo tutt'uno, secondo che si viva aperti o chiusi. Vivendo apertamente si diventa veicoli, trasmettitori; vivendo così, come un fiume, uno fa piena esperienza della vita, fluisce con la corrente della vita, e muore per tornare a vivere come oceano. 14!

Alla base della Comunicazione Empatica vi sono quattro componenti: osservazione, sentimenti, bisogni, richieste. Ognuna di queste rende possibile la successiva. !!

I. OSSERVAZIONE Il primo passo è partire dal fenomenologico: separare l'osservazione dalla valutazione. Quando ciò non avviene creiamo ciò che all'altro può arrivare come una critica o giudizio, provocando una resistenza all'ascolto e al fluire dell'empatia. La Comunicazione Nonviolenta inoltre scoraggia forme di generalizzazioni, a favore invece di osservazioni circostanziali precise, nel tempo e nello spazio. Esempio: “Giada non ha più scritto e pubblicato un libro da due anni” anziché “Giada è una scrittrice scadente”. !! II. INDIVIDUARE ED ESPRIMERE SENTIMENTI !

Lo psicanalista Rollo May sostiene che “la persona matura diviene capace di distinguere i sentimenti in tante sfumature, in esperienze forti e passionali, oppure delicate e sensibili, come nei diversi passaggi della musica di una sinfonia”. Per molti di noi, tuttavia, i sentimenti sono, come li descriverebbe May “limitati come le note del corno”. 15!

Spesso la parola “sentire” nel nostro linguaggio abituale non è associata ad un sentimento. Ad esempio “Mi sento di non aver concluso nulla”. In realtà potremmo sostituire “sento” con “penso” o “credo”. Rosenberg ci spiega come in realtà i sentimenti non sono espressi chiaramente quando il verbo “sentire” è seguito da: parole come che, come, come se, di (“Sento di aver fallito”); pronomi personali come io, tu, lei etc (“Mi sento che – io – sono sempre al lavoro”); nomi riferiti a persone (“Sento che Giulia è stata molto lungimirante”). Al contrario quando vogliamo esprimere davvero un sentimento non è sempre necessario usare la parola “sento”, come ad esempio “Sono felice”. A tal proposito, un altro aspetto rilevante nella Comunicazione Nonviolenta è distinguere le parole che esprimono dei veri sentimenti e quelle che invece descrivono come noi pensiamo di essere. Un esempio potrebbe essere: “Mi sento incapace come scrittrice” (questo è ciò che si pensa) e “Mi sento ansiosa di progredire come scrittrice” (questo è ciò che si sente). Lo stesso meccanismo spesso scatta anche verso gli altri. Quando ad esempio diciamo “Mi sento rifiutato” stiamo in realtà descrivendo il modo in cui pensiamo che gli altri si stiano comportando nei nostri confronti, ovvero stiamo interpretando. L'emozione, il

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Marshall Bertram Rosenberg, Il linguaggio giraffa, una comunicazione collegata alla vita, Edizioni 13

Esserci, 2012, pp. 8-9

Henry Miller, Il colosso di Marussi, Adelphi, Milano, 2000, p.20114

Marshall Bertram Rosenberg, Le parole sono finestre (oppure muri) Introduzione alla 15

Comunicazione Nonviolenta, Edizioni Esserci, 2003, p. 58

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sentimento sottostante ad un'affermazione di questo tipo probabilmente sarà la tristezza, la frustrazione, lo sconforto. È importante riuscire a ritornare su di noi, tentando di dare un nome alle emozioni e servirsi di parole specifiche che si riferiscano esattamente a ciò che sentiamo, non a ciò che pensiamo. !!

III. PRENDERSI LA RESPONSABILITA' DEI PROPRI SENTIMENTI La terza componente della Comunicazione Nonviolenta riguarda l'accettazione di ciò che sentiamo. Questo linguaggio si potrebbe dire che “riporta al dentro ciò che imputiamo al fuori”. La causa dei nostri sentimenti non risiede in ciò che gli altri fanno o dicono, ma in come noi scegliamo di riceverlo, nonché dei bisogni e aspettative. Siamo quindi chiamati a sperimentare la responsabilità come ciò che davvero sta alla base del nostro sentire. Quando riceviamo un messaggio negativo, Rosenberg ci parla di quattro possibilità attraverso cui rispondiamo: !

• incolpare noi stessi: se scegliamo di prendere in modo personale qualcuno che ci dice “Sei la persona più egoista che abbia mai incontrato” e pensiamo che saremmo dovuti essere più altruisti, decidiamo di accettare il giudizio dell'altro e finiamo per provare sentimenti di colpa e vergogna, nonché di conseguente disistima. La nostra risposta potrebbe quindi risultare “Hai ragione, sarei dovuta essere più disponibile verso di te”;

• incolpare gli altri: un'altra possibilità è, all'opposto, quella di criticare chi abbiamo di fronte. Sottostante a questa modalità c'è probabilmente un sentimento di rabbia e la nostra risposta potrebbe essere “Non hai alcun diritto di dirmi questo! Io mi preoccupo sempre di aiutarti. Sei tu l'egoista!”;

• percepire i nostri sentimenti e bisogni: cerchiamo di entrare in contatto con ciò che sentiamo e con i nostri bisogni, e si potrebbe quindi rispondere “Quando ti sento dire che sono egoista mi sento frustrata e addolorata, perché ho bisogno che i miei sforzi di tener conto delle tue necessità siano visti”. In questo modo diventiamo consapevoli che il sentimento di dolore e frustrazione deriva dal bisogno di riconoscimento;

• percepire i sentimenti e bisogni dell'altro: la nostra risposta suonerebbe come “Ti senti triste e amareggiato perché hai bisogno che le tue necessità siano tenute in maggior considerazione?”. !

Non prenderci la responsabilità dei nostri sentimenti e attribuirla invece ad altri fa scattare il meccanismo del motivare le persone attraverso il senso di colpa. A tal proposito Rosenberg ci consiglia di agganciare l'espressione “Mi sento...” all'espressione “... perché io...”: “Mi sento frustrata quando non metti in ordine la tua stanza perché ho bisogno di considerazione e rispetto”. I giudizi e le critiche ci vengono delineate quindi come espressioni alienate dei nostri bisogni: !

Purtroppo a molti di noi non è mai stato insegnato a pensare in termini di bisogni. Siamo abituati a chiederci che cos'è che non va nelle altre persone quando i nostri bisogni non sono soddisfatti. [...] 16!

E quando gli altri ricevono una critica è molto probabile che attueranno meccanismi di

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Marshall Bertram Rosenberg, Le parole sono finestre (oppure muri) Introduzione alla 16

Comunicazione Nonviolenta, Edizioni Esserci, 2003, p. 74

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difesa e attacco. Più facilmente riusciamo a creare una connessione tra i nostri sentimenti ed i nostri bisogni ed esporla chiaramente, tanto più le persone potranno riuscire a risponderci con empatia. Un punto dolente risiede nella difficoltà in cui spesso ci imbattiamo, e che ci hanno insegnato, ad esprimere i nostri sentimenti, spesso visti e giudicati come debolezza e possibilità quindi di essere sottoposti a critica. A tal proposito Rosenberg ci parla dei tre stati che molti di noi possono attraversare per giungere ad una responsabilità emotiva: !

• quella definita “schiavitù emotiva”, durante la quale ci sentiamo responsabili dei sentimenti altrui;

• il passaggio allo “stadio scontroso”, durante il quale rifiutiamo di ammettere il nostro interesse verso quello che gli altri sentono e desiderano;

• infine la “liberazione emotiva”, in cui arriviamo ad accettare la responsabilità di ciò che proviamo ma non di quella altrui e, soprattutto, ci rendiamo consapevoli che non possiamo soddisfare i nostri bisogni a discapito di quelli degli altri. !!

IV. RICHIESTE CHE POSSONO ARRICCHIRE LA VITA L'ultima componente della Comunicazione Empatica è quella grazie alla quale facciamo seguire alle prime tre una richiesta specifica. Chiediamo agli altri la partecipazione a compiere azione che possano soddisfare i nostri bisogni. È necessario utilizzare un linguaggio di azione positivo, poiché se le richieste vengono formulate in modo negativo quello che possiamo contribuire a creare nell'altro è confusione (“cosa mi stai chiedendo concretamente?”) e, di conseguenza, probabile resistenza. Le richieste devono essere formulate in modo consapevole, contenere sentimenti e bisogni. Spesso infatti quando diciamo qualcosa a qualcuno, stiamo anche chiedendo qualcosa, anche solo una connessione empatica. È importante inoltre, per ovviare alla confusione, chiedere un riscontro per essere sicuri di essere stati chiari e compresi. Una modalità potrebbe essere quella di chiedere all'altro di ripeterci, se è d'accordo, con parole sue quello che ci ha appena sentito dire: in questo caso è necessario riuscire a dare apprezzamento quando la nostra richiesta viene accolta e condivisa, ma ugualmente empatia se questo non dovesse accadere. Nell'esprimerci con onestà, è fondamentale ricordarci la differenza tra richieste e pretese: le prime saranno ricevute come pretese quando l'altro crederà di essere incolpato o punito se non si conformerà, innescando il comportamento che segue la domanda “sottomettersi o ribellarsi?”. Se chi parla non giudica e non critica, soggetti alla base di una pretesa, ma riesce comunque a dare empatia anche ai bisogni dell'altro, riusciremo ad ascoltare una richiesta. La Comunicazione Nonviolenta segue il desiderio e la necessità di un cambiamento a cui ognuno di noi sceglie coscientemente di rispondere, non desidera cambiare ciò che in noi non è pronto al cambiamento; è invece basata sul desiderio di creare relazioni autentiche, oneste ed empatiche, che possano poi soddisfare i bisogni di tutti. !!3.1 IL POTERE DELLA RABBIA NELLA COMUNICAZIONE NONVIOLENTA Un paragrafo a parte merita l'introduzione di questo concetto. Si potrebbe essere erroneamente portati fin qui a pensare che questo tipo di forma comunicativa, così empatica e solidale, basata su connessioni e rispetto, esuli dalla trattazione della rabbia. La rabbia si porta radici lontane di un sentimento definito da molti con aggettivi quali “spregevole, sbagliata, violenta, paurosa”, e molti altri. In realtà per me la rabbia richiama

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qualcosa di estremamente vitale, un forza energetica molto potente, una spinta. La Comunicazione Empatica in effetti rivaluta questo sentimento troppo spesso criticato e bistrattato, fornendogli un compito anzi molto importante: quello di campanello di allarme. Rabbia quindi non come qualcosa di indesiderabile o che dobbiamo reprimere o eliminare, ma la quale essenza abbiamo invece la possibilità di vivere in modo pieno e sentito. Provare a fare quello che Stephen Levine ipotizza come: !

Prendere il tè accanto al fuoco... prendere il tè con la nostra indignazione o la nostra confusione... incontrarla a quattr'occhi. Imparare a rapportarci alla rabbia, piuttosto che con rabbia. 17!

Il primo passo, ci spiega Rosenberg, per esprimere la rabbia in maniera piena e totale è quello di sollevare l'altra persona da qualunque responsabilità. Sganciare il concetto secondo cui la mia rabbia dipende dalle azioni dell'altro; in realtà non ci arrabbiamo mai per qualcosa che qualcuno ha fatto o detto, ma per quello che questo ha richiamato in noi in termini di sentimenti e bisogni insoddisfatti. Distinguere dunque lo stimolo dalla causa: !

Il primo passo nel gestire la rabbia, tramite la Comunicazione Nonviolenta, è essere consapevoli che lo stimolo, che scatena la nostra rabbia, non ne è la causa. In altre parole, non è quello che gli altri fanno che ci fa arrabbiare, ma la vera causa della rabbia è dentro di noi e riguarda il modo in cui reagiamo al comportamento altrui. 18!

Rosenberg ci parla poi dei quattro gradini di cui possiamo avvalerci per l'espressione della rabbia: !

• fermiamoci e respiriamo • individuiamo i nostri pensieri di giudizio verso noi stessi o l'altro • connettiamoci ai nostri bisogni • esprimiamo i nostri sentimenti e bisogni insoddisfatti !

Abbiamo sicuramente bisogno di “prenderci il tempo” per arrivare a questo tipo di pratica. Veniamo da comportamenti abituali che la nostra educazione ha reso automatici. Rispettare i nostri tempi è necessario sia nell'apprendere che nell'applicare il processo della Comunicazione Nonviolenta. !!!!!!!!!!!!!

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Stephen Levine, Healing into Life and Death, Anchor Press, New York, 1987, p. 22817

Marshall B. Rosenberg, Le sorprendenti funzioni della rabbia, come gestirla e scoprirne il dono, 18

Edizioni Esserci, 2005, p. 16

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4. TIROCINIO IN COMUNICAZIONE NONVIOLENTA !Mi sento così condannata dalle tue parole, mi sento giudicata e allontanata, prima ancora di aver capito bene. Era questo che intendevi dire? !Prima che io mi alzi in mia difesa, prima che parli con dolore o con paura, prima che costruisca un muro di parole, dimmi, ho davvero compreso bene? !Le parole sono finestre, oppure muri, ci imprigionano o ci danno la libertà. Quando parlo e quando ascolto, possa la luce dell'amore splendere attraverso me. !Ci sono cose che ho bisogno di dire, cose che per me significano tanto, se le mie parole non servono a chiarirle, mi aiuterai a liberarmi? !Se sembra che io ti abbia sminuito, se ti è parso che non mi importasse, prova ad ascoltare, oltre le mie parole, i sentimenti che condividiamo. !Ruth Bebermeyer !!

Arrivai alla Comunicazione Nonviolenta per una sincronicità di eventi. Alcuni direbbero per caso, io non credo. Iniziai il mio tirocinio una sera di martedì. E' così che ci siamo conosciute. Ricordo che non sapevo bene cosa quando come avrei dovuto o potuto fare pensare sentire. Era la mia parte razionale che tentava disperatamente di incastrare e dare un senso alle poche informazioni che avevo. Il resto è storia e percorso. Sono poi riuscita a lasciar andare il capire e tornare al sentire. Al mio arrivo alla prima serata di tirocinio venni accolta da un cerchio di persone sedute. Un posto vuoto, era il mio. Non posso dire che i primi incontri furono per me semplici, anzi. Una modalità di parola che mi sembrava per lo più sconosciuta, un approccio tra le persone a cui non ero del tutto abituata nel quotidiano, un'iniziale difficoltà di comprensione di alcuni passi dell'argomento. Posso però dire che è stata un'esperienza straordinaria, che mi ha preso per mano e ricondotto alle parole e al senso primari, che pur tra persone sconosciute fino a quel momento mi ha fatto sentire accolta e partecipe anche nelle mie difficoltà. Mi sono sentita parte di un meraviglioso processo di conoscenza di sé e dell'altro attraverso la (ri)scoperta di un linguaggio antico, che tenta di mettere in connessione le anime e non la materia, in una danza che ha sapore di spiritualità. !Ricordo con affetto un episodio del primo incontro quando, durante il momento di condivisione iniziale del nostro vissuto settimanale e dello stato emotivo del momento, una ragazza del gruppo disse: “E in quell'istante di rabbia sentii lo Sciacallo dentro me ululare! Ora almeno ne sono cosciente... potei quindi concedermi la volta successiva, riconosciuti i miei stati ed i miei bisogni, di indossare le orecchie Giraffa e lasciarmi andare con cuore pieno ed empatia alla danza della Comunicazione Nonviolenta”. Con onestà ammetterò che in quel momento pensai: “Che cos'è che ha detto?”. Anche se la sensazione che sentivo era di profondo calore, serenità e commozione. Un po' smarrita tentai di seguire i

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discorsi successivi e la risposta arrivò presto: scoprii quindi che la Giraffa è animale simbolo della Comunicazione Nonviolenta, mammifero terrestre dal cuore più grande e che grazie al suo lungo collo riesce a guardare lontano, laddove uno sguardo troppo ravvicinato potrebbe ingannare e che pur potendo sferrare calci molto potenti, non ha quasi mai bisogno di farlo; in antitesi lo Sciacallo rappresenta, per la sua natura predatrice e aggressiva, l'alienazione dalle emozioni e l'espressione dei bisogni attraverso urla, giudizi e pretese. !Ci siamo liberamente ispirati e lasciati guidare dal libro di Marshall Bertram Rosenberg, Le parole sono finestre (oppure muri) Introduzione alla Comunicazione Nonviolenta, Edizioni Esserci, 2003. Il libro è suddiviso in capitoli tematici, in un percorso che introduce e guida al Linguaggio Giraffa. In parallelo abbiamo seguito gli esercizi proposti da Lucy Leu, Manuale pratico di Comunicazione Nonviolenta per lo studio individuale o di gruppo del libro “Le parole sono finestre (oppure muri)”, Edizioni Esserci, 2003. !Gli incontri sono stati strutturati nel modo seguente: !

• per ogni serata a turno e secondo desiderio uno dei partecipanti si proponeva in anticipo come leader che avrebbe condotto il gruppo, predisposto il setting, portato e presentato al gruppo un “oggetto guida” di particolare significato da poter “far girare” tra i partecipanti a inizio e a fine incontro, spiegato il capitolo cui si era arrivati (con la possibilità di trattare anche il medesimo dell'incontro precedente, se fosse stato suo bisogno approfondire ulteriormente l'argomento), proposto e diretto esercizi di gruppo secondo l'approccio della Comunicazione Nonviolenta; !

• a turno un partecipante si proponeva come volontario per affiancare il leader come segnatempo, aiutandolo a rientrare in quelli che erano i tempi stabiliti e necessari per lo svolgimento di ogni parte della serata; !

• si viveva un giro iniziale di apertura e centramento dove, guidati dal leader, ognuno di noi a turno e al passaggio dell'oggetto guida prendeva, se era suo desiderio, la parola e condivideva sensazioni, emozioni, pensieri di quel momento. Il gruppo si impegnava a sostenere con empatia i momenti che da lì sarebbero nati; !

• al termine della fase d'apertura, il leader introduceva al gruppo il capitolo dell'incontro; !

• ci si addentrava poi nel cuore della serata dove il gruppo provava ad eseguire gli esercizi e le attività proposte dal leader. Attraverso la pratica condivisa si accresce la comprensione della Comunicazione Nonviolenta; !

• al termine degli esercizi ci si (r)accoglieva nel giro conclusivo. Sempre nel passaggio di parola dell'oggetto guida, condividevamo le nostre sensazioni, mutamenti, stati, ringraziamenti. !

Mi sembra strano oggi riportare su carta in modo del tutto approssimativo passaggi e vissuti di ore, quando anche solo una parola o una pratica producevano un effetto a volte così sorprendente. Abbiamo vissuto molti momenti di vuoto fertile, di pura energia, di empatia che accoglieva, di dolore di vissuti, di riflessioni e vere connessioni. !!

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4.1 PRATICANDOCI !Riporto di seguito alcuni degli esercizi che abbiamo svolto durante gli incontri, e ciò che tra noi abbiamo sperimentato. I riferimenti continuano ad essere i capitoli del libro di Rosenberg e il manuale di Lucy Leu. !!

• Per il capitolo 1, che riguarda il concetto di Rosenberg di “donare dal cuore”, la leader per quell'incontro ci ha proposto due esercizi. Il primo ispirato a quello proposto dall'Attività 1 a pagina 69 del manuale: chiudendo gli occhi entrare in connessione con noi stessi, osservarci, rilassarci, calmare corpo e mente. Dopo essere riusciti a ritrovare ognuno il nostro stato di quiete interiore, ricordarci un episodio in cui sentiamo di aver donato dal cuore: cosa abbiamo provato, le modalità in cui si è sviluppato, per poi ritornare al gruppo e condividerlo. Dopo la conclusione della prima attività nella condivisione, il secondo esercizio: ritornare a noi, con respiri profondi riconnetterci al nostro sentire, poi ognuno con il proprio tempo alzarci e vagare per la stanza condividendo, se volevamo, ognuno a nostro modo le nostre sensazioni incontrando l'altro, provando a donare dal cuore in libertà di spazi. !

La mia esperienza nel primo esercizio è stata molto morbida, fluida, sentita. Abbiamo condiviso quotidianità troppo spesso date per scontate, quei piccoli gesti che il nostro occhio non sempre ricorda di fermare come una fotografia, riuscendo credo a tornare a riempire di senso ciò che avevo per prima troppo bruscamente fatto scivolare via. Un'attenzione a spettro maggiore. Nella seconda attività mi sono mostrata qualche resistenza: riuscire ad abbandonarmi con fiducia all'altro, senza conoscerlo ancora, incontrandolo in spazi e tempi che percepivo come per me troppo limitanti non è stato semplice. Ma emotivamente molto profondo. Seppur in difficoltà ho incontrato occhi e braccia che mi hanno concesso di essere me, che mi hanno accolta con libertà, ritrovandomi a fine esercizio con un sorriso a praticare un massaggio. Che cosa era successo? Distanza colmata. La sensazione iniziale di paura, timore nella condivisione, si era trasformata. Questo credo sia grazie ad un grande bisogno di apertura che sento, di guardare dove è il limite del mio mondo e aver voglia di sapere cosa c'è dopo, sia grazie alla tanta e ricca umanità incontrata. Per me è stato un bel passaggio, dentro. Sperimentandomi differente provare un nuovo e ampio piacere in ciò che sentivo. Che sia stato “donare dal cuore”? !!

• Il capitolo 2 tratta la comunicazione che blocca l'empatia, intendendo con questa quel tipo di comunicazione che abbiamo imparato molto presto e che ci porta a parlare e comportarci in modi che feriscono noi stessi e l'altro. Si può riassumere questa forma di comunicazione che aliena dalla vita come le “Quattro A”: (I) Analizzare, emettere giudizi e critiche; (II) Assenza di responsabilità verso i propri sentimenti e bisogni; (III) Avanzare pretese; (IV) Assegnare meriti o colpe. La leader, ispirandosi al manuale della Leu, ha liberamente inventato l'esercizio, scegliendo di suddividere il gruppo in quattro sottogruppi di lavoro. Ad ogni gruppo è stato richiesto di creare un dialogo o monologo che fosse l'espressione piena di una delle 4A di cui sopra. Tornare poi a condividerlo nel gruppo nuovamente allargato, il quale aveva il compito di comprendere a quale delle 4A ci si era ispirati, e riformulare il dialogo in termini di Comunicazione Nonviolenta.

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Ciò che ho riscontrato in questa esperienza è stata la difficoltà di individuazione di quale delle 4A si stesse parlando, spesso celate sotto forme comunicative molto sottili. Ciò mi ha fatto riflettere su quanto in noi possa essere così tanto radicato un tipo di comunicazione che definirei “di distanza”, su quanto negli anni abbiamo appreso linguaggi, parole e a volte azioni di chiusura verso l'altro, e dei quali non ci rendiamo più neanche coscienti. Sradicare ciò che ci è stato insegnato credo potrebbe iniziare da un'attenzione profonda che possiamo rivolgere alla comunicazione, all'ascolto di quelle parole che ancor prima che nell'altro sentiamo in noi, a quei fili di alienazione che ci tessiamo attorno come una bolla, non solo a ciò che diciamo ma a come lo diciamo. !!

• Il capitolo 3 riguarda l'osservazione senza valutazione. In merito durante la pratica ci è stato proposto di riflettere su alcune frasi proposte dal manuale, e proporne noi stessi alcune, e comprendere quali fossero solo osservazioni e quali anche valutazioni. Riformularle poi in termini di Comunicazione Nonviolenta. !

L'impressione iniziale che ho avuto di questo esercizio è stata che fosse davvero semplice. Pochi minuti mi sono bastati ad accorgermi che sbagliavo. La differenza è risultata spesso molto sottile, e frasi quotidiane che non si direbbero mai contenere una valutazione l'avevano in realtà come presupposto di partenza. Un esempio: “Le persone sembrano stanche”. Si potrebbe pensare ad un'osservazione, ma in realtà racchiude anche una generalizzazione e interpretazione. La frase puramente osservativa suonerebbe invece “Ho visto tre di noi sbadigliare durante questo esercizio e ho visto un altro sfregarsi gli occhi”. Interessante quindi per notare tutte quelle piccole macchie quasi trasparenti, ma che possono arrivare all'altro o a noi stessi come montagne di valutazioni. !!

• Per il capitolo 4 lo step trattava l'individuazione ed espressione dei sentimenti. Gli esercizi richiesti dalla leader dell'incontro erano due, sovrapposti e contemporanei. Per la pratica di base ci era stato chiesto a turno di condividere con il gruppo una situazione della nostra vita in cui ci eravamo sentiti giudicati e successivamente avevamo il compito di riformularla in Comunicazione Nonviolenta. L'esercizio sovrapposto era la possibilità di ognuno di noi, in qualsiasi momento volessimo, di manifestare alzandoci in piedi il bisogno di interrompere ciò che stava avvenendo per un minuto, a seguito del quale avremmo espresso i nostri sentimenti e poi ripreso l'esercizio di base. !

Porto ancora dentro nitida l'intensità delle reazioni. Ci fu una prima fase molto complessa, durante la quale regnava una grande frustrazione. Si immagini di raccontare un episodio doloroso di giudizi ricevuti, con la relativa carica emotiva, e all'improvviso qualcuno si alza in piedi e ferma il tutto per sua necessità. I minuti di silenzio che seguivano il secondo esercizio furono inizialmente carichi di ansia, tensione, in parte rabbiosi e pesanti. E l'espressione spesso trattenuta e mascherata. Poi mutò qualcosa. Durante quei minuti con il passare del tempo ci accorgemmo della necessità del rispetto che sceglievamo di sentire per noi stessi e per chi si alzava, di riconoscergli piena libertà nelle sue azioni e nei suoi sentimenti, senza per questo sentirli rivolti verso o contro di noi. Separare ciò che sentiva chi stava parlando, da ciò che sentiva chi stava ascoltando. Nel riuscire a non collegare le due cose, vivendo l'interruzione non come un giudizio o non cura nei nostri confronti, ma riconoscendo all'altro di scegliere una

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scissione autentica se era quello che davvero gli era necessario, iniziammo a ridere. Ridere di gusto potrei dire. Le tensioni si sciolsero, riuscimmo a comunicarci i nostri sentimenti senza paure o timori, la frustrazione e la rabbia lasciarono il posto ad una piena accoglienza e rispetto. Fu difficoltoso, ma quando riuscimmo a lasciarci andare si creò una situazione divertente, inaspettata, che si trasformò in gioco e la pesantezza dell'inizio fu catartizzata in risate, comprensione, riconoscimento dei nostri sentimenti e di quelli dell'altro. !!

• Il capitolo 5 è centrato sul prendersi la responsabilità dei propri sentimenti. L'esercizio proposto fu ispirato al manuale a pagina 92, e alle quattro opzioni che possiamo adottare per ricevere un messaggio “negativo” (sentire un'accusa e incolpare noi stessi, sentire un'accusa e incolpare l'altro, ascoltare i propri sentimenti e bisogni, ascoltare i sentimenti e bisogni dell'altra persona). Erano stati preparati un numero di biglietti corrispondenti al numero dei partecipanti all'incontro, ognuno recante al suo interno una delle quattro opzioni di reazione. A seguito di un messaggio negativo di esempio del leader, ciascuno era chiamato a rispondere con la modalità che era racchiusa nel biglietto. !

Ricordo e sento ancora cosa mi accadde durante questo incontro. La pratica partiva quindi da un role playing e dalla semplice messa in scena di un quotidiano accaduto. Nel nostro caso un ragazzo tra noi propose l'esempio di un datore di lavoro che critica l'operato del suo dipendente. La frase fu più o meno la seguente: “Non fai mai quello che ti dico di fare, devi rifare le cose almeno 10 volte prima che siano decenti. Tu non devi pensare con la tua testa, non sei pagato per questo. Tu devi fare quello che ti dico io e basta”. A caso ci veniva chiesto poi di pescare da un contenitore un foglietto chiuso, dove era scritta una delle quattro modalità di reazione di cui sopra, sentirla e impersonificarla. Farla nostra per quel momento. Pensai non fosse difficile, in realtà dentro ciò che sentivo era turbamento e ansia, poiché nel mio passato ritrovai una situazione vissuta molto simile a quella da riprodurre e a cui avevo reagito molto male per tanto tempo. “Casualità” volle che pescai il foglietto Incolpare se stessi. Pensai: ”Non ho reagito così in passato. Proviamoci ora”. Quello che mi accadde fu che iniziai riuscendo a sostenere una modalità a me estranea, ma poi il mio vissuto non ancora del tutto accettato fece sì che finii incolpando chi avevo davanti. Fu un passaggio difficile, ma che mi aiutò a sperimentare una profonda commozione ed auto-empatia verso me stessa. Passò un po' di tempo prima che riuscissi a riportarmi ad uno stato di rilassatezza e quiete. Fu un sentire che portai con me per ore, cercando di lasciarlo andare. Quello che poi è emerso in me, però, fu così intenso da condurmi ad una sorta di liberazione. Un semplice esercizio, un gruppo che sostiene, l'esatto istante in cui essere presenti e vivere. E sento che il mio ricordo di quel lontano vissuto ha finalmente trovato una collocazione nel percorso. Ritrovandosi in panni diversi, con un attacco o giudizio, e con il sostenere un tipologia di reazione distante dal sentire, la gestione delle emozioni fu difficile e pesante. Il sostegno del gruppo come “raccoglitore” fu fondamentale, l'empatia ci fu necessaria per lasciare andare e ritrovare la connessione con noi stessi. !!!!!

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4.2 IL CAPITOLO 6: LA MIA SPERIMENTAZIONE !Il giorno in cui scelsi di propormi anch'io come leader per un incontro venne quasi alla fine del mio tirocinio. Il capitolo che mi si prospettava ammetto che in realtà non mi suscitasse quella gioia nei preparativi che mi avrebbero suscitato molti altri. Ma pensai anche questo non fosse casuale. Avevo comunque la possibilità e libertà di scegliere di tornare indietro o rimanere al capitolo 5, ma decisi di andare avanti, sperando di trovare in me il mio modo migliore per condurre quelle ore. Toccò quindi al capitolo 6, “Richieste che possono arricchire la vita”. Mi sono poi domandata che cosa mi facesse desistere a trattarlo, come se mi sentissi una spanna indietro rispetto ad un'immaginaria linea di partenza. Il mio sentire mi condusse presto ad una risposta poco piacevole, nonché fastidiosa: in un vicino passato avevo avuto non pochi problemi a mantenere l'attenzione sulla distinzione tra richieste e pretese, preferendo il più delle volte scegliere di non chiedere affatto. È passato del tempo, ma il passaggio all'inizio di un qualche cambiamento non risale a più di qualche anno fa. Tentennamenti, dubbi, insicurezze, ansia. Quindi in realtà quello che sentivo era paura. Paura di non aver camminato ancora abbastanza, di non essere pronta a presentare un argomento per me così spinoso al resto del gruppo, di incagliarmi laddove potevo incespicare. Con onestà a tutt'oggi non so ancora rispondere se ci sia riuscita bene, ma con altrettanta onestà il saperlo ha perso di importanza nell'esatto istante in cui ho iniziato l'incontro. Ho trovato il mio modo, e ne sono felice. Sorrido nel pensare a quante volte sappia mettermi da sola in difficoltà inesistenti. Nel cammino, vedendole, imparo piano a riconoscerle, ogni giorno di più, e ogni giorno di nuove, e a sentire dove continuare a lavorare. Sentii di volermi preparare con passione, e nonostante la mia inesperienza, di contribuire con un po' di me a quel gruppo che stava contribuendo così tanto alla mia crescita. In Comunicazione Nonviolenta, e non solo. Mi procurai libri ed esercizi, studiai e presi appunti. Mi sentivo così partecipe e dentro che tentai di fare esperienza il più possibile, provando a sperimentare la Comunicazione Nonviolenta anche al supermercato, sull'autobus, in libreria. Quella sera arrivai per prima in Aicis per l'organizzazione del setting: sedie in acquario, un po' di albicocche al centro, incensi alla mirra, qualche piccola candela accesa. Rispecchiava un mio bisogno di donare parti della mia quotidianità. Accolsi chi arrivava, attendendo l'inizio. Riuscii a mettere da parte anche la timidezza che a volte mi assiste nel parlare in pubblico. Percepii tutto molto fluido. !Dopo il benvenuto e i saluti, iniziai con il presentare “l'oggetto guida”: una vecchia bussola di una barca, regalatami qualche giorno prima da un'amica e compagna di percorso di Master. Un oggetto molto prezioso, ricco della sua storia familiare, e in parte anche della mia. Un dono dal cuore, che mi riconduceva ad una profondità ricca di condivisione. Una bussola che potesse guidarmi ora nel mare di questo splendido linguaggio ritrovato, nel cuore della Comunicazione Empatica, che aveva incontrato tanti occhi e le loro storie. Un piccolo specchio su di essa a ricordarmi quanto la partenza, anche nella Comunicazione Nonviolenta, siamo noi. Quanto ognuno possa fare partendo dalla costruzione di sé. Al passaggio di quell'oggetto tra le nostre mani nel giro di apertura iniziale, fu intenso per me il constatare quanta emozione si portasse dietro; un vissuto tale da emozionare ed aiutare a centrarci e riconnetterci profondamente. Argomentato il capitolo, cercando di prestare cura ai tempi stabiliti, proposi un esercizio ispirato a quello del manuale a pag. 102, con la variante di provare a concentrare l'attenzione non su una richiesta non fatta in passato ma su una richiesta nel presente che non eravamo ancora riusciti a fare e provarci insieme in quell'incontro. Constatai che

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l'esercizio non era affatto semplice. Agganciarlo poi al presente, e non al passato, ne aumentava inoltre la complessità. Condividemmo pezzi di vita e la difficoltà di formulare richieste, senza che tuttavia risultassero pretese. Ricevetti aiuto e collaborazione dal gruppo nel sostegno della comunicazione ed empatia reciproca nei passaggi del vissuto personale. A fine esercizio per il giro conclusivo, feci passare dei foglietti di carta bianchi, dei quali ognuno se avesse voluto e liberamente, avrebbe potuto farne ciò che voleva: disegni, qualche riga, un aeroplano, nulla. Spiegai che questo rispecchiava un mio bisogno di libertà e creatività nella condivisione, e fu accolto con partecipazione ed empatia. !

L'universo non ha un centro, ma per abbracciarsi si fa così: ci si avvicina lentamente eppure senza motivo apparente, poi allargando le braccia, si mostra il disarmo delle ali, e infine si svanisce, insieme, nello spazio di carità tra te e l'altro. 19!

Salutai e ringraziai con questa poesia, parte di me viva e autentica. Quello che provo ancora oggi è commozione e riconoscenza, mi sono sentita coinvolta e accolta, apprezzata e stimolata. Un'esperienza affascinante, che mi ha lasciato piena e arricchita. E un concetto di nutrimento molto più ampio, in uno scambio armonico, un'aria leggera ma satura. Insegnamenti, nuovi orizzonti, e la capacità di scegliere di fare. !!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

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Chandra Livia Candiani, La bambina pugile ovvero La precisione dell'amore, Giulio Einaudi 19

Editore, 2014

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5. L'EMPATIA NELLA COMUNICAZIONE NONVIOLENTA !Le quattro componenti viste finora in Comunicazione Nonviolenta (osservazione, sentimenti, bisogni, richieste) riguardano l'espressione individuale. Per ampliare lo sguardo, è necessario uno spostamento applicando queste basi all'ascolto dell'altro, di cosa osserva, di cosa sente, del suo bisogno e richiesta. Rosenberg fa riferimento a questo processo come “ricevere con empatia”, nella piena comprensione di ciò che l'altro sta provando. Cita a tal proposito il filosofo cinese Chuang-Tzu, che mi ha particolarmente emozionato: !

Una cosa è quell'ascolto che sta solo nelle orecchie. Un'altra cosa è l'ascolto della comprensione. Ma l'ascolto dello spirito non è limitato ad alcuna facoltà, alle orecchie o alla mente. Esso esige dunque che tutte le facoltà siano vuote. E quando le facoltà sono vuote, l'intero essere è in ascolto. Si coglie allora direttamente ciò che è proprio lì davanti a noi, che non potrà mai essere udito con l'orecchio né capito con la mente. 20!

Il primo passo per una connessione empatica, quindi, è ciò che Martin Buber ha definito il dono più prezioso: la presenza a ciò che è vivo nel momento presente in relazione a ciò che è successo nel passato. !

Per essere pienamente presente devo liberarmi da tutta la mia formazione clinica, da tutte le mie diagnosi, da tutta questa conoscenza preliminare sugli esseri umani e sui loro comportamenti. Queste cose mi danno solo la comprensione intellettuale, ma bloccano l'empatia. Il modo migliore in cui posso descrivere la sensazione che mi dà l'empatia, è che mi fa sentire come se stessi cavalcando le onde su una tavola da surf. Mi sintonizzo con l'energia delle onde, ascolto ciò che è vivo in quel momento, entro in contatto con il ritmo della vita nell'altra persona. 21!

In secondo luogo, come continua Rosenberg, per costruire una connessione empatica è necessario verificare che ci stiamo realmente connettendo con i sentimenti e bisogni dell'altra persona. Questa è una delle due situazioni in cui possiamo chiedere un riscontro verbale, per verificare di essere sulla sua stessa onda. L'altra situazione in cui potremmo aver bisogno di esprimerci verbalmente è quando sentiamo che l'altra persona ha esposto la propria vulnerabilità, nel qual caso, se fossimo nella sua posizione, potrebbe farci molto piacere ricevere una conferma di essere stati compresi. Per tutte le altre situazioni dovremmo riuscire a donare silenzio. Un silenzio pieno, ampio. La nostra intenzione dovrebbe infatti essere quella di focalizzarci e sentire empatia, non di applicare tecniche meccanicamente. Il terzo passo è quello di rimanere, restare, con l'altro fino a che non ci indicherà che ha finito. !

Dobbiamo essere consapevoli del fatto che molto spesso le prime frasi che ci vengono dette non sono che la punta di un iceberg: non siamo andati fino in fondo. Ci sono alcuni segnali che ci aiutano a capire se la persona ha ricevuto l'empatia di cui aveva bisogno. Un segnale è il sollievo che si può percepire in lei [...] 22!

Se la quarta fase si sviluppa quindi quando si sente sollievo pieno, in ultimo luogo è necessario connetterci empaticamente con la richiesta dell'altro di 'post-empatia'; potrebbe

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Marshall Bertram Rosenberg, Le parole sono finestre (oppure muri) Introduzione alla Comunicazione 20

Nonviolenta, Edizioni Esserci, 2003, p. 115

Marshall Bertram Rosenberg, Superare il dolore tra noi, Edizioni Esserci, 2003, p. 2221

Idem, p. 3022

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voler sapere ad esempio come ci sentiamo dopo aver ascoltato ed accolto i suoi sentimenti e bisogni. Sembra semplice. E mi viene da sorridere. Leggere l'empatia e come riuscire ad applicarla è stato per me illuminante. Ma ancor più straordinario è stato il dopo. Provare a far miei questi concetti, tentare di sperimentarli nel mio mondo, sentirli nel loro essere. Mi è capitato spesso che più provavo a costruire una connessione empatica, più mi perdevo nelle riflessioni e modalità, meno risultati avevo; e volte in cui, nella più totale semplicità di un ascolto senza pensieri sul “come”, distaccata dal mio fare, mi ritrovavo un abbraccio e un grazie profondo. E la sensazione che rimaneva nell'aria mi arrivava come uno strumento che risuona all'ombra di una foresta, qualcosa di melodioso e intangibile, ma concreto allo stesso tempo. Come un respiro. Situazioni come queste mi hanno portato a comprendere come per me abbia un senso pieno il capire che aiuta il sentire, quanta preziosità c'è nelle parole dei testi che deriva però da uno sperimentare e sentire di chi le ha scritte. Questo concetto l'avevo smarrito nei miei passaggi tra lo studio e l'applicazione. Quando l'ho ritrovato, mi sono sentita riempita nuovamente. Si parte sempre dal sentire. Se non si sente, non ci si chiede. Per me questo aveva davvero senso. Il capire, lo studio, le tecniche sono state poi arricchimento enorme di esperienze, di vissuti letti e immaginati, ma mai fini a se stesse, e mai neppure energia che spinge ma molto di più ruote che sostengono e guidano. E ricordarmi poi quanto sia difficile dare empatia con grandi dolori, con silenzi e con i “no” dell'altro. !

A causa della nostra tendenza a leggere come un rifiuto messaggi quali “no” e “non voglio”, è molto importante riuscire ad empatizzare con essi. Se li prendiamo in modo personale, potremmo sentirci feriti senza aver compreso quello che in realtà sta accadendo nell'altro. […] Uno dei messaggi con cui ci è più difficile empatizzare è il silenzio. Questo è vero in particolare quando abbiamo espresso la nostra vulnerabilità e abbiamo bisogno di sapere in che modo gli altri reagiscono alle nostre paure. In queste occasioni, ci può accadere facilmente di proiettare sulla mancanza di risposta le nostre peggiori paure e di dimenticare di connetterci con i sentimenti e bisogni che vengono espressi attraverso il silenzio. 23!

Mi viene in mente una bellissima performance dal vivo dell'artista Marina Abramovic , 24

inserita in una sua retrospettiva al MoMA 2010 dal titolo “The Artist is Present” curata da Matthew Akers e Jaff Dupree. In questa occasione l'Abramovic è rimasta per tre mesi seduta su una sedia mentre, dall'altra parte del tavolo, a turno i visitatori potevano accomodarsi di fronte e condividere ciascuno almeno un minuto di silenzio con lei. Toccante anche perché il suo ex compagno di vita Ulay, con il quale non si incontrava da più di trent'anni, ha partecipato a sorpresa sedendosi sulla sedia: la reazione è stata commovente ed autentica. Oltre 700 ore, 1400 visitatori, alcuni dei quali sono rimasti su quella sedia per ore. Mi ha toccato molto questa performance, di un'artista che non ho mai particolarmente seguito e amato, che ha spinto a rivalutare il valore del silenzio, quanto la presenza non sia parola né azione, arrivando a donare ciò che di più prezioso possa esserci: la presenza nel silenzio. !Successe una cosa simile durante un workshop di un open week Aicis a cui partecipai questa primavera a Bologna. Era incentrato sull'elemento acqua e sui vari significati che poteva assumere nella nostra vita: acqua come nascita, come nutrimento, come purezza,

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Marshall Bertram Rosenberg, Le parole sono finestre (oppure muri) Introduzione alla 23

Comunicazione Nonviolenta, Edizioni Esserci, 2003, pp. 146-150

Video tratto dalla performance "The Artist is present" di Marina Abramovic24

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come parte scura; acqua come elemento comunicativo di tolleranza e condivisione. Durante un'attività esperienziale fummo divisi in coppie, posti uno di fronte all'altro seduti su un tappeto, forniti solo di un bicchiere e dell'acqua. Partendo da quell'elemento vissi minuti di profonda condivisione: io e la mia compagna d'esperienza, in silenzio, ci incontrammo in uno sguardo senza tempo. Senza parole e con riconoscenza ci scambiammo i nostri bicchieri colmi d'acqua, qualcosa di profondamente nostro che riuscimmo a condividere con semplicità e senza paure. Continuammo a sostenerci e conoscerci con gli occhi e la presenza, in un tempo che sembrò brevissimo e interminabile (durò in effetti circa mezz'ora), durante il quale ci commuovemmo entrambe, ci aiutammo a vicenda con presenza ed empatia, per poi lasciarci andare, rigenerate e ricche di un vissuto che fatico a raccontare. Ci ritrovammo poi, a fine serata, ad abbracciarci e parlarci di quanto fossimo riuscite a vedere a fondo l'una nell'altra senza l'ausilio di alcuna parola, di quanto ci fossimo viste e riconosciute, nelle nostre uguaglianze e differenze. E della ricchezza esperienziale immensa che ci saremmo portate a casa. !Oggi, ogni volta che mi accade che qualcuno mi dica “no”, tento di connettermi con tutte le volte che posso averlo detto io a mia volta e con i sentimenti e bisogni che avevo sotto la pelle. Questo mi aiuta a non guardare l'altro come altro da me, ma come parte entrambi di un tutto che proviene dalla stessa umanità. E non nego che questo mi commuova, il sentirci uniti seppur divisi. Differenti, non diversi. Voglio partire da me. Pronta a tornare cambiata. La prima vera connessione empatica che abbia mai provato, a cercarla nei ricordi, è verso me stessa. Il mio primo passo verso l'altro è stato verso di me, in quel profondo unico commovente chiudere gli occhi e prendermi per mano accompagnandomi un po' più in là dei giudizi, dei limiti, del dolore. La comprensione di cui avevo bisogno ero io stessa a non concedermela, ero io stessa ad aver bisogno di guardare ed accettare le sfumature e sostenerle, oltre il cercare soluzioni fuori, oltre il confine tra me e non me, oltre la mente che celava risposte ormai vestito troppo stretto. Mutare forma, conservando la stessa essenza. Empatia per i miei errori, per la mia parte d'ombra, per la dualità insita in ogni essere. Ed amarli, come parte essenziale che nel suo continuo connubio con la luce mi ha portato oggi qui ed ora, intera in ogni parte forse spezzata. Per tutte le volte prima in cui non sono arrivata, non sono rimasta, non sono partita, non mi sono ascoltata. Empatia verso noi stessi come partenza e arrivo, e di nuovo viaggio. Credo davvero che dentro me sia emerso qualcosa, in quell'esatto istante in cui mi sono scoperta mia risposta. È mutato anche il mio sguardo sul mondo. Le caselle, gli spazi, i motivi che sempre avevo cercato agli atteggiamenti e movimenti del mondo ora assumevano altri colori. Chissà se mai giungerò dove immagino, chissà se ora io non ci sia già un pò; ma sento che questa lunga strada è ciò che di più conosciuto e sconosciuto io abbia dentro. Quella vicinanza a me e all'altro così profonda da stupirmi ogni volta. Le sfumature di cui ho parlato in queste pagine. Quanta fatica, c'è anche questa in sincerità. Ma ha un sapore dolce e naturale, lieve mai greve. Di spinta sempre oltre il confine che si è appena tracciato da solo, di volontà di scoperta e crescita. L'essere umano al centro del sentire, ognuno in viaggio e con in valigia tutto ciò che di fondamentale possa servire. Ognuno con risposte solo sue, perfette nelle loro unicità, mai uguali. La presenza all'altro come presenza a noi, e viceversa, in un arricchimento esponenziale ed infinito. Lavarsi di dosso le pretese e gli ordini, riappropriarci di ciò che in questa dimensione ci è stato regalato, e provare a non fermarsi. Mi sono ricordata che allungare la mano non è sempre per chiedere. !!

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6. CAMPI DI APPLICAZIONE DELLA COMUNICAZIONE NONVIOLENTA !Durante l'ultimo incontro di tirocinio abbiamo trattato e argomentato tutte le nostre ipotesi e volontà di applicazione della Comunicazione Empatica. Quello che è emerso è risultato essere un spazio ed un tempo molto ampi, in cui trasversalmente questa tipologia di linguaggio può fungere da aiuto e sostegno in campi disparati della nostra quotidianità. Nel gruppo c'è stato chi ha proposto di portare la Comunicazione Nonviolenta nelle scuole, tra bambini in età elementare, provando insieme a loro a fare esercizi; chi di creare invece un “cerchio delle donne”, a sostegno di donne in difficoltà o che hanno subito forme di violenza; chi all'interno di aziende sanitarie in un progetto di comunicazione d'equipe; chi all'interno di comunità, lavorando come aiuto per gli operatori. Tutti avevamo un desiderio comune: continuare a crescere su questa strada, con la voglia di partecipare anche agli incontri a Reggio Emilia, e tentare dove potevamo di unirci e partire laddove ci fosse stata necessità e ci fosse stato concesso. Ci siamo resi disponibili, anche a vicenda, a sostegno di altri progetti futuri, ovunque laddove ci fosse la possibilità di continuare ad imparare e, se fortunati, essere utili a qualcun altro lungo il percorso. !Dopo aver tanto studiato la comunicazione, i suoi ambiti di applicazione, il linguaggio non verbale, fino ad arrivare alla semiotica e alla sociologia, ho compreso dopo averlo sentito e sperimentato, che parte del cuore della mia ricerca nella comunicazione era questo: la comprensione empatica, spingermi laddove la comunicazione interpersonale assume ai miei occhi un valore altro, dove il mio essere me sente di poter riuscire in qualche modo a risolversi, a guardarsi con nuovi paia di occhiali, ad ampliare orizzonti spesso troppo limitati e limitanti, a conoscere, a rispondersi. E pensare che poteva essere così semplice, era lì in quel cassetto di me che è fiamma accesa, in quel pezzetto che è interezza. E magari un giorno, partendo da qui e da me, con grande dono di autoempatia, poter esser un mezzo attraverso il quale anche l'altro può (ri)scoprirsi. !

Quindi, partiamo pure da noi stessi, ma stiamo attenti perché se facciamo sì che le persone siano calme, acquiescenti e gentili per tollerare le strutture pericolose, la nostra spiritualità può diventare reazionaria. La spiritualità che abbiamo bisogno di sviluppare per il cambiamento sociale è quella che ci mobilita per il cambiamento, che non si limita a permetterci di stare lì a goderci il mondo, qualunque cosa accada. Si crea una qualità di energia che ci mobilita all'azione.[...] 25!Il tipo di spiritualità che apprezzo è tale per cui otteniamo una grande gioia dal contribuire alla vita, non semplicemente dal sederci in meditazione, anche se la meditazione per tanti versi è certamente preziosa. A partire dalla meditazione, a partire dalla consapevolezza, vorrei che le persone si attivassero per creare il mondo in cui vogliono vivere. 26!!!!!!!!!

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Marshall B. Rosenberg, Il cuore del cambiamento sociale, Esserci edizioni, 2003, p. 1925

Marshall B. Rosenberg, Spiritualità pratica, Esserci edizioni, 2004, p. 5426

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7. BIBLIOGRAFIA !!Julia Cameron, La via dell'artista (come ascoltare e far crescere l'artista che è in noi), Longanesi, 1998 !T. Lipps, Empatia e godimento estetico, Quodilibet, 2002 !C. Rogers, La terapia centrata sul cliente, Giunti Editore, 2013 !Rollo May, L'arte del counseling, Casa editrice Astrolabio, 1991 !Marshall Bertram Rosenberg, Le parole sono finestre (oppure muri) Introduzione alla Comunicazione Nonviolenta, Edizioni Esserci, 2003 !Marshall Bertram Rosenberg, Il linguaggio giraffa, una comunicazione collegata alla vita, Edizioni Esserci, 2012 !Henry Miller, Il colosso di Marussi, Adelphi, Milano, 2000 !Lucy Leu, Manuale pratico di Comunicazione Nonviolenta per lo studio individuale o di gruppo del libro “Le parole sono finestre (oppure muri)”, Edizioni Esserci, 2003 !Chandra Livia Candiani, La bambina pugile ovvero La precisione dell'amore, Giulio Einaudi Editore, 2014 !Marshall Bertram Rosenberg, Superare il dolore tra noi, Edizioni Esserci, 2003 !Marshall B. Rosenberg, Il cuore del cambiamento sociale, Esserci edizioni, 2003 !Marshall B. Rosenberg, Spiritualità pratica, Esserci edizioni, 2004 !Stephen Levine, Healing into Life and Death, Anchor Press, New York, 1987 !Marshall B. Rosenberg, Le sorprendenti funzioni della rabbia, come gestirla e scoprirne il dono, Edizioni Esserci, 2005 !!!!!WEB !Video tratto dalla performance "The Artist is present" di Marina Abramovic

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