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Alma Mater Studiorum · Università di Bologna SCUOLA DI SCIENZE Corso di Laurea Magistrale in Matematica Costruzione di Gruppi di Lie con tecniche di Equazioni Differenziali Ordinarie Tesi di Laurea in Analisi Geometrica Relatore: Chiar.mo Prof. Andrea Bonfiglioli Presentata da: Stefania Perugini Sessione Unica Anno Accademico 2016 - 2017

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Alma Mater Studiorum · Università di Bologna

SCUOLA DI SCIENZECorso di Laurea Magistrale in Matematica

Costruzione di Gruppi di Liecon tecniche di

Equazioni Differenziali Ordinarie

Tesi di Laurea in Analisi Geometrica

Relatore:Chiar.mo Prof.Andrea Bonfiglioli

Presentata da:Stefania Perugini

Sessione UnicaAnno Accademico 2016 - 2017

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Qualche volta si deve avere ancheil coraggio di gettare il cuore oltrel’ostacolo.

Ermanno Lanconelli

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Indice

Introduzione 4

1 Ipotesi necessarie alla caratterizzazione 61.1 Conseguenze dell’invarianza a sinistra . . . . . . . . . . . . . . . . . 6

2 La sufficienza delle condizioni necessarie 92.1 Una struttura topologico-differenziabile su g . . . . . . . . . . . . . 92.2 Mappa esponenziale di g . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 102.3 Costruzione del gruppo di Lie locale . . . . . . . . . . . . . . . . . . 122.4 Locale invarianza sinistra di g . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 162.5 Globalizzazione della struttura di gruppo di Lie locale . . . . . . . . 18

Appendice 32

A Teoria di Dipendenza per ODE 33A.1 Esistenza e Unicità . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 33A.2 Soluzioni massimali . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 36A.3 Dipendenza continua dai dati iniziali . . . . . . . . . . . . . . . . . 37A.4 Introduzione di parametri . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 41A.5 Dipendenza Ck . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 43

B Il Teorema di Campbell-Baker-Hausdorff-Dynkin per ODE 50B.1 Il Teorema Esponenziale e l’operazione di CBHD . . . . . . . . . . 50B.2 L’operazione di CBHD in algebre di Lie finito-dimensionali . . . . . 54B.3 Il Teorema di CBHD per ODE . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . 57

Bibliografia 65

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Introduzione

Nel presente lavoro di tesi ci proponiamo di caratterizzare le algebre di Lie di campivettoriali C∞ su RN che coincidono con le algebre di Lie di gruppi di Lie definitisu RN (con l’usuale struttura differenziabile).

Per prima cosa si andranno ad individuare alcune condizioni necessarie affinché,data un’algebra di Lie g di campi vettoriali C∞ in RN , sia possibile trovare ungruppo di Lie G =

(RN , ∗

)tale che Lie(G) = g.

Più precisamente dedurremo che:

1. ogni campo vettoriale di g deve essere globale;

2. g deve soddisfare la condizione del rango di Hörmander;

3. g deve essere N -dimensionale (intesa come sottospazio lineare dello spaziodei campi vettoriali C∞ su RN).

Dopo aver osservato l’indipendenza delle precedenti ipotesi, lo scopo principaledella tesi consisterà nel mostrare che queste condizioni necessarie sono in realtàanche sufficienti e procederemo come segue:

• la definizione della mappa esponenziale dell’algebra di Lie g e il Teorema diCampbell-Baker-Hausdorff-Dynkin per ODE permetteranno di munire RN diuna struttura di gruppo di Lie locale;

• utilizzando tecniche di ODE estenderemo al globale la struttura di gruppo diLie precedentemente costruita.

In particolare il Teorema di Campbell-Baker-Hausdorff-Dynkin renderà possi-bile la costruzione di un’operazione locale m = m(x, y) la cui associatività loca-le seguirà dall’esistenza dell’operazione di Campbell-Baker-Hausdorff-Dynkin (enon dall’associatività locale di questa).

Vedremo inoltre come l’associatività locale di m permetterà di ottenere unanotevole identità, simile a quella verificata in Teoria dei Gruppi di Lie dalla trasla-zione sinistra τx, avente quindi una profonda connessione con il Primo Teorema diLie e che, grazie ad un argomento di prolungamento per ODE, porterà ad ottenereun gruppo globale a partire dal gruppo locale.

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Una versione di questo problema, sotto l’ipotesi di regolarità analitica, è stataaffrontata in un precedente lavoro di tesi1 in cui la Unique Continuation ha resopossibile l’estensione di tutte le proprietà di gruppo locali a proprietà globali.

La novità della tesi sta quindi nell’estendere i risultati al caso C∞. A talfine l’unicità della soluzione di un opportuno Problema di Cauchy avrà un ruolofondamentale come strumento globalizzante, al posto della Unique Continuation.

1Tesi di Laurea Magistrale in Matematica: Applicazione ai Gruppi di Lie della Prolungabilitàper Equazioni Differenziali Ordinarie, Sara Chiappelli, 2015-2016

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Capitolo 1

Ipotesi necessarie allacaratterizzazione

Vogliamo dare una caratterizzazione per le algebre di Lie di campi vettoriali C∞su RN coincidenti con le algebre di Lie di gruppi di Lie definiti su RN , con l’usualestruttura differenziabile. A tal fine premettiamo alcune notazioni e definizioni:

• X(RN)indicherà lo spazio vettoriale reale dei campi vettoriali C∞ in RN

munito della struttura di algebra di Lie associata al commutatore [X, Y ] :=X Y − Y X;

• t 7→ γ(t,X, x) ≡ ΨXt (x) ≡ exp(tX)(x) sarà la curva integrale massimale del

campo vettoriale X uscente da x;

• diremo che un campo vettoriale è globale (o completo) se tutte le sue curveintegrali massimali sono definite su R;

• Lie(G) denoterà l’algebra di Lie del gruppo di Lie di G =(RN , ∗

), ovvero

l’algebra di Lie dei campi vettoriali invarianti a sinistra associati a G.

Ricordiamo che se X è un campo vettoriale C∞ su G, la condizione diinvarianza a sinistra è espressa dall’identità

X(τx(y)

)= Jτx(y)X(y), (1.1)

dove τx rappresenta la traslazione a sinistra di ampiezza x su G e Jτx la suamatrice Jacobiana;

• all’occorrenza useremo anche la notazione ∂·∂x

(x) per riferirci alla matriceJacobiana J·(x) .

1.1 Conseguenze dell’invarianza a sinistraL’obiettivo principale di questa sezione sarà l’individuare delle condizioni necessa-rie al seguente problema:

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(P ) Data un’algebra di Lie g ⊂ X(RN), trovare (se esiste) un gruppo di Lie

G =(RN , ∗

)(con l’usuale struttura differenziabile) tale che Lie(G) = g.

Sottolineiamo che l’uguaglianza voluta Lie (G) = g non è da intendersi in termi-ni di isomorfismo ma come un’uguaglianza tra due insiemi di operatori differenzialidel primo ordine lineari.Osservazione 1.1.1. La completezza di un campo vettoriale X appartenente al-l’algebra di Lie di un gruppo di Lie G è una conseguenza della sua invarianza asinistra, pertanto ogni elemento di g deve essere un campo vettoriale globale.

Infatti, sia t 7→ ΨXt (e) ≡ γ(t,X, e) la curva integrale massimale di X ∈ Lie (G)

uscente dall’elemento neutro e di G e sia D(X, e) il suo dominio massimale. Da(1.1) è facile riconoscere che

τα(ΨXt (x)

)= ΨX

t (α ∗ x) ∀ x, α ∈ G, ∀ t ∈ D(X, x) = D(X,α ∗ x). (1.2)

Di conseguenza tutti i domini massimali D(X, x) sono uguali al variare di x ∈ G,in particolare D(X, x) = D(X, e) per ogni x ∈ G.

Preso quindi ε > 0 tale che [−ε, ε] ⊆ D(X, e) si ha [−ε, ε] ⊆ D(X,ΨX±ε(e)).

Pertanto è possibile attaccare le curve integrali

[−ε, 0] 3 t 7→ γ(t,X,ΨX−ε(e)),

[−ε, ε] 3 t 7→ γ(t,X, e),

[0, ε] 3 t 7→ γ(t,X,ΨXε (e)),

ottenendo una curva integrale diX uscente da e definita su [−2ε, 2ε], in altri termini[−2ε, 2ε] ⊆ D(X, e). Iterando questo ragionamento si prova che D(X, e) = R. ]

Osservazione 1.1.2. Osserviamo che a priori non vi sono relazioni tra l’indipen-denza lineare dei campi vettoriali X1, ..., Xm come operatori differenziali lineari el’indipendenza lineare delle derivazioni in x date da X1(x), ..., Xm(x) come elemen-ti dello spazio tangente in x ad una varietà. Basti considerare i campi vettorialidefiniti da

X1 = ∂x1 , X2 := x1∂x2 .

E’ chiaro che X1 e X2 sono linearmente indipendenti in X (R2) in quanto le unichecostanti c1, c2 che rendono

c1X1 + c2X2 = c1∂x1 + c2x1∂x2

il campo vettoriale nullo sono c1 = c2 = 0. D’altra parte, identificando T0R2 conR2 e pensando X1(0), X2(0) come vettori colonna dei coefficienti in 0, si ha cheX1(0) = e1 e X2(0) = 0 sono linearmente dipendenti in R2.

D’altronde, nel caso in cui valga la proprietà di invarianza a sinistra, gli iso-morfismi tra Lie(G) e TeG (dove e è l’elemento neutro di G) e tra TeG e TxG perogni x ∈ G, fanno si che la dimensione di Lie X1(x), ..., Xm(x) come sottospa-zio di TxG sia indipendente dalla scelta di x ∈ G e sia uguale alla dimensione dispan X1, ..., Xm come sottospazio di Lie(G). ]

Dalle considerazioni precedentemente fatte possiamo dedurre il seguente risul-tato:

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Proposizione 1.1.3. Affinché un’algebra di Lie g ⊂ X(RN)possa essere un

candidato per il problema (P ), deve soddisfare le seguenti condizioni necessarie:

(G) ogni X ∈ g deve essere un campo vettoriale globale;

(H) g deve soddisfare la condizione del rango di Hörmander, cioè

dim X(x) ∈ RN : X ∈ g = N ∀ x ∈ RN ;

(ND) dim g = N (come sottospazio lineare di X(RN)).

Per distinguere ulteriormente le dimensioni in (H) e (ND) si noti che per ognisottospazio vettoriale V ⊂ X

(RN)vale

dimV ≥ dim X(x) ∈ RN : X ∈ V ,

per ogni x ∈ RN . Infatti la mappa

Λ : V → RN , X 7→ Λ(x) := X(x)

è lineare e Im(Λ) = X(x) ∈ RN : X ∈ V , pertanto

dimV = dim Ker(Λ) + dim Im(Λ) ≥ dim Im(Λ).

Proposizione 1.1.4. Le condizioni (G), (H) e (ND) sono tra loro indipendenti.

Mostriamone l’indipendenza fornendo alcuni esempi:

• (H) + (ND) ; (G) :Se X = (1 + x2

1)∂x1 su R si ha che g := spanX soddisfa (H) e (ND) maviola (G). Infatti la curva integrale di X uscente da 0 è la funzione t 7→ tan(t)che non è definita su tutto R.

• (G) + (ND) ; (H) :Se X = x1∂x1 su R si ha che g := spanX verifica (G) e (ND) ma non (H),in particolare la condizione di Hörmander non è soddisfatta per x1 = 0.

• (G) + (H) ; (ND) :Se X1 = x1∂x1 e X2 = ∂x1 su R si ha che g :=LieX1, X2 soddisfa (G) e (H)ma viola (ND). Infatti, poiché [X1, X2] = −X2, risulta g = spanX1, X2,pertanto dim g = 2 6= 1.

Inoltre g può verificare (G) e (H) senza essere finito-dimensionale, come adesempio g = ∂x1 , 1

1+x21∂x1.

Nel capitolo successivo ci dedicheremo alla costruzione di strumenti che permet-teranno di rispondere esaustivamente al problema (P ). Più precisamente otterremodei risultati fondamentali alla dimostrazione del seguente

Teorema 1.1.5. Sia g ⊂ X(RN)un’algebra di Lie verificante le condizioni (G),(H)

e (ND). Allora esiste un gruppo di Lie G =(RN , ∗

)(con l’usuale struttura diffe-

renziabile) con elemento neutro 0, tale che Lie (G) = g.

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Capitolo 2

La sufficienza delle condizioninecessarie

Abbiamo visto che le ipotesi tra loro indipendenti (G), (H) e (ND) sono condizioninecessarie affinché sia possibile caratterizzare le algebre di Lie di campi vettorialiC∞ su RN coincidenti con le algebre di Lie di gruppi di Lie definiti su RN , conl’usuale struttura differenziabile. Ci proponiamo ora di mostrarne la sufficienza equindi di dimostrare il Teor.1.1.5.

Il primo ingrediente fondamentale sarà la definizione della mappa esponenzialeExpg di un’algebra di Lie g ⊂ X

(RN)che, sotto l’ipotesi (G) su g, ha una forte

connessione con la definizione della Mappa Esponenziale su un gruppo di Lie.Sfrutteremo le condizioni (ND) e (H) per ottenere un’ulteriore struttura topologico-

differenziabile sullo spazio vettoriale g con il fine di studiare la regolarità di Expg,che si rivelerà anche un diffeomorfismo in un intorno di 0 ∈ g.

Useremo Expg per costruire una mappa locale m = m(x, y) la quale, grazieal Teorema di Campbell-Baker-Hausdorff-Dynkin per ODE, permetterà di dotareRN di una struttura di gruppo di Lie locale con elemento neutro 0. In seguitoabbrevieremo i nomi Campbell-Baker-Hausdorff-Dynkin con l’acronimo CBHD.

L’associatività locale di m, ottenuta dall’esistenza dell’operazione di CBHD, si rivelerà a sua volta profondamente connessa alla proprietà di invarianza asinistra.

A questo punto si tratterà di globalizzare la struttura di gruppo di Lie localemostrando che m ammette un’estensione C∞ su RN×RN . A tale scopo proveremoche, per ogni fissati x, y ∈ RN , la curva γx,y(t) := m(x, ty) è ben definita in unintorno di 0 ∈ R e che soddisfa un Problema di tipo Cauchy avente una (unica)soluzione massimale ϕx,y definita su tutto R. Sarà quindi naturale estendere mcome segue: x ∗ y := m(x, y) := ϕx,y(1).

2.1 Una struttura topologico-differenziabile su g

Innanzitutto abbiamo bisogno di una struttura aggiuntiva sull’algebra di Lie g ⊂X(RN)che permetta di parlare di insiemi aperti e funzioni lisce. A tale scopo

osserviamo che l’ipotesi (ND) rende possibile munire lo spazio vettoriale g di una

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struttura topologico-differenziabile identificandolo con RN mediante la scelta diuna base.

Lemma 2.1.1. Sia g ⊂ X(RN)un’algebra di Lie verificante le ipotesi (ND) e

(H). Allora esiste una base J := J1, ..., JN di g (come sottospazio vettoriale diX(RN)) tale che

• J1(x), ..., JN(x) sono linearmente indipendenti per ogni x ∈ RN ;

• Ji(0) = ei per ogni i ∈ 1, ..., N.

Dimostrazione. Essendo g N -dimensionale è possibile trovare Z1, ..., ZN ∈ g taliche Z := Z1, ..., ZN sia una base di g.

D’altra parte, fissato x, la condizione del rango di Hörmander su g assicural’esistenza di W1, ...,WN in g tali che W1(x), ...,WN(x) siano linearmente indipen-denti.

Dall’inclusione

SpanW1(x), ...,WN(x) ⊆ SpanZ1(x), ..., ZN(x)

segue che anche Z1(x), ..., ZN(x) devono essere linearmente indipendenti per ognix ∈ RN .

Infine, ponendo Jj :=∑N

i=1 ai,jZi con ai,j = (Z(0))−1 per j = 1, ..., N , si ha cheJ := J1, ..., JN è la base cercata.

Osservazione 2.1.2. Assumendo come ipotesi la condizione (ND) e la tesi delLem.2.1.1, è possibile ottenere la condizione di Hörmander su g. ]

Osservazione 2.1.3. Nelle ipotesi del Lem.2.1.1, supponiamo che esista un gruppodi Lie G =

(RN , ∗

)con elemento neutro 0 tale che Lie (G) = g, allora la base J

è unica. Infatti, ogni campo vettoriale invariante a sinistra su G è completamentedeterminato dal suo valore in 0. ]

Nel seguito denoteremo sempre con J := J1, ..., JN la base di g come nelLem.2.1.1. Quando sarà necessario fissare una norma su g considereremo, persemplicità, la norma Euclidea ottenuta dall’identificazione di g con RN mediantela base J , cioè

‖N∑k=1

ξkJk‖g :=√ξ2

1 + ...+ ξ2N .

Useremo anche le seguenti notazioni:

• B sarà usato come prefisso per le palle aperte rispetto ‖ · ‖g;

• B sarà usato come prefisso per le palle Euclidee in RN .

2.2 Mappa esponenziale di gIniziamo ora a costruire una struttura di gruppo di Lie locale su RN rispetto allaquale ogni campo vettoriale di g risulti essere (localmente) invariante a sinistra.

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Osserviamo che se (G, ∗) è un gruppo di Lie su RN con elemento neutro e edalgebra di Lie Lie(G), posta

Exp : Lie(G)→ G, Exp(X) := γ(1, X, e) ≡ ΨX1 (e)

la Mappa Esponenziale di G, si ha, per ogni X ∈ Lie(G) e x ∈ G,

γ(1, X, x) = ΨX1 (x ∗ e) (1.2)

= τx(ΨX

1 (e))

= x ∗ Exp(X).

Supponendo che Exp sia globalmente invertibile e denotando con Log : G→ Lie(G)la mappa inversa, una diretta applicazione della formula di cui sopra al campovettoriale Lie(G) 3 Y = Log(y) dà

x ∗ y = γ(1,Log(y), x), per ogni x, y ∈ G. (2.1)

L’identità (2.1) mostra che, in teoria di Gruppi di Lie, la composizione di gruppo(x, y) 7→ x ∗ y è in qualche modo anche un oggetto ODE. Questo fatto evocativosuggerisce che può essere possibile collegare una struttura di gruppo di Lie ad ido-nee classi di algebre di Lie di campi vettoriali lisci sfruttando la rappresentazionedi ∗ in termini della Mappa Esponenziale di G.

Al fine di concretizzare quanto auspicato andiamo a definire la mappa esponen-ziale di g, protagonista della sezione corrente.

Definizione 2.1. Sia g ⊂ X(RN)un’algebra di Lie verificante la condizione (G).

Definiamo la mappa esponenziale di g ponendo

Expg : g 7→ RN , Expg(X) := γ(1, X, 0) ≡ exp (X) (0).

Osserviamo che l’ipotesi (G) risulta fondamentale alla definizione, infatti, seun campo vettoriale X ∈ g non fosse globale, la curva integrale massimale di Xuscente da 0 potrebbe non essere definita per t = 1.Osservazione 2.2.1. Sia g N -dimensionale e come nella Def.2.1 e supponiamo cheesista un gruppo di Lie G =

(RN , ∗

)con elemento neutro 0 tale che Lie (G) =

g. Allora la mappa esponenziale dell’algebra di Lie g precedentemente definitacoincide con la Mappa Esponenziale sul gruppo di Lie G. Pertanto, con abuso dinotazione, nel seguito scriveremo Exp invece che Expg. ]

Supponiamo ora che g verifichi, oltre alla condizione (G), le condizioni (ND) e(H). Avendo a disposizione una struttura topologico-differenziabile su g andiamo astudiare alcune proprietà di Exp:

• poiché g è costituita da campi vettoriali C∞, per il Teor.A.5.5 in appendice,Exp risulta essere di classe C∞ su g;

• ponendo

E (ξ) := Exp

(N∑k=1

ξkJk

), ξ ∈ RN

e considerandone lo sviluppo di Maclaurin

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E (ξ) = ξ +O(‖ξ‖2

)per ξ → 0,

possiamo facilmente constatare che Exp ha differenziale non singolare in 0, inquanto JE(0) = IN dove IN è la matrice identità N×N . Di conseguenza, peril Teorema della Funzione Inversa, Exp è un diffeomorfismo in un opportunointorno aperto connesso di 0 ∈ g.

Riassumiamo i risultati ottenuti:

Proposizione 2.2.2. Sia g ⊂ X(RN)un’algebra di Lie verificante le ipotesi (G),

(H) e (ND). Allora Exp è una mappa C∞ su g ed esiste un intorno aperto connessoU di 0 ∈ g tale che Exp|U è un diffeomorfismo sulla sua immagine.

Definizione 2.2. Nelle notazioni precedenti, definiamo la mappa logaritmica di g(relativamente ad U)

Log : Exp (U)→ U

come l’inversa di Exp|U : U→ Exp (U).

Ricordando la formula (2.1) e tenendo presente l’Oss.2.2.1, sarà naturale defi-nire l’operazione locale m = m(x, y) come il punto di arrivo al tempo 1 della curvaintegrale di Log(y) uscente da x.

Di questo ci occuperemo nella sezione successiva.

2.3 Costruzione del gruppo di Lie localeRichiamiamo brevemente la mappa esponenziale e la mappa logaritmica di g rela-tivamente all’aperto U della Prop.2.2.2:

Exp : U→ Exp(U), Log : Exp

(U)→ U.

Accostando a queste il Teor.B.3.7 di CBHD per ODE, siamo ora in grado di dotareRN di una struttura di gruppo di Lie locale con elemento neutro 0.

Definizione 2.3. Definiamo le seguenti mappe locali

m : RN × Exp (U)→ RN m(x, y) := exp(Log(y)

)(x),

i : Exp (U)→ RN i(x) := Exp(−Log(x)

).

Osserviamo che la definizione di m è ben posta grazie all’ipotesi (G) su g. E’chiaro inoltre che la regolarità dei campi vettoriali di g rende m e i di classe C∞nei loro rispettivi domini (sempre per il Teor.A.5.5).Osservazione 2.3.1. Supponiamo che esista un gruppo di Lie G =

(RN , ∗

)con

elemento neutro 0 tale che Lie (G) = g, si ha:

m(x, y) = x ∗ y per ogni x ∈ RN , y ∈ Exp (U) ,

i(x) = x−1 per ogni x ∈ Exp (U) .

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Infatti, sotto le ipotesi fatte, la mappa esponenziale di g coincide con la MappaEsponenziale su G. Pertanto, presi x ∈ RN , y ∈ Exp (U) e Y = Log(y) ∈ g,possiamo scrivere:

m(x, y) = exp(Log(y)

)(x) = γ(1,Log(y), x)

(2.1)= x ∗ y.

Analogamente, presi x ∈ Exp (U) e X = Log(x) ∈ g, dalle definizioni di i ed Expsegue:

x ∗ i(x) = x ∗ Exp(−Log(x)

)= x ∗ exp (−X) (0) = exp (−X) (x)

= exp(−X)(Exp(X)

)= exp(−X)

(exp(X)(0)

)= 0.

]

Ci proponiamo dunque di provare che:

• m è associativa vicino l’origine;

• 0 ∈ RN funge da elemento neutro per m;

• i provvede da inverso locale per m.

Forniamo innanzitutto una potente rappresentazione di m in termini dellemappe Exp, Log e dell’operazione di CBHD definita in Def.B.1.

Teorema 2.3.2. Sia g ⊂ X(RN)un’algebra di Lie verificante le condizioni (G),

(H) e (ND). Allora esiste un intorno U dell’origine in RN , U ⊂ Exp (U), ed esisteuna funzione Z : U × U → U ⊆ g tale che

m(x, y) = Exp(Z(x, y)

), ∀ x, y ∈ U.

Più precisamente, la mappa Z può essere definita come

Z(x, y) := Log(x) Log(y) ∀ x, y ∈ U,

dove è l’operazione di CBHD sull’algebra di Lie finito-dimensionale g.

Dimostrazione. Sia ‖ · ‖g la norma fissata su g identificando g con RN mediante labase J . Dal Teor.B.3.7 di CBHD per ODE sappiamo che è possibile trovare ε > 0tale che la serie di CBHD (si veda la Def.B.1)

X Y :=∞∑h=1

Zh (X, Y )

converge totalmente su B(0, ε)×B(0, ε), dove

B(0, ε) := W ∈ g : ‖W‖g < ε.

Inoltre, presi arbitrariamente X, Y ∈ B(0, ε), si ha la seguente identità di tipoODE:

exp (Y )(exp (X) (x)

)= exp(X Y )(x) per ogni x ∈ RN . (2.2)

13

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Supponiamo ora che ε sia sufficientemente piccolo affinché B(0, ε) ⊂ U.Per continuità possiamo anche supporre che X Y ∈ U, per X, Y ∈ B(0, ε) epossiamo trovare δ > 0 tale che

Log (U) ⊂ B(0, ε), dove U := B(0, δ), (2.3)

essendo Log(0) = 0.Definiamo

Z : U × U → U Z(x, y) := Log(x) Log(y)

e mostriamo che m(x, y) = Exp(Z(x, y)

)per ogni x, y ∈ U . Sfruttando la defini-

zioni di m ed Exp e i risultati sopra ottenuti, presi x, y ∈ U , si ha:

m(x, y) = exp(Log(y)

)(x) = exp

(Log(y)

)(Exp

(Log(x)

))= exp

(Log(y)

)(exp(Log(x)

)(0))

= exp(Log(x) Log(y)

)(0)

= Exp(Z(x, y)

),

da cui segue la tesi.

Muniti del Teor.2.3.2 è semplice provare l’associatività di m.

Teorema 2.3.3. Nelle ipotesi e notazioni del Teor.2.3.2, si ha che m è associativavicino l’origine, più precisamente

m(x,m(y, z)) = m(m(x, y), z) ∀ x ∈ RN , ∀ y, z ∈ U. (2.4)

Osserviamo che entrambi i membri in (2.4) sono ben definiti in quanto, perx, y ∈ U , m(x, y) ∈ Exp (U). Infatti, sfruttando la rappresentazione di m fornitadal Teor.2.3.2 e il fatto che Z prende valori in U, se x, y ∈ U si ha:

m(x, y) = Exp(Z(x, y)

)∈ Exp (U) .

Dimostrazione. Sia x ∈ RN e siano y, z ∈ U .Usando la definizione di m, il Teor.2.3.2 e il fatto che Z(y, z) ∈ U, per il membro

sinistro di (2.4) si ha:

m(x,m(y, z)) = exp(Log

(m(y, z)

))(x) = exp

(Log

(Exp

(Z(y, z)

)))(x)

= exp(Log

(Exp|U

(Z(y, z)

)))(x) = exp

(Z(y, z)

)(x). (?)

Ricordiamo inoltre che per y, z ∈ U , da (2.3) segue che Log(y),Log(z) ∈ B(0, ε),dalla notevole identità (2.2) è quindi possibile sviluppare il membro destro di (2.4)come

m(m(x, y), z) = exp(Log(z)

)(m(x, y)

)= exp

(Log(z)

)(exp(Log(y)

)(x)

)= exp

(Log(y) Log(z)

)(x) = exp

(Z(y, z)

)(x). (2?)

L’associatività locale di m segue confrontando (?) e (2?).

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Osservazione 2.3.4. Come già anticipato, è notevole il fatto che l’associatività di mnon viene dall’associatività dell’operazione di CBHD , ma solo dalla sua esistenza.In particolare, nella dimostrazione, tutto ciò che si è usato è stata l’esistenza diuna funzione F tale che

exp(Y )(exp(X)(x)

)= exp

(F (X, Y )

)(x), (2.5)

per ogni x e per X, Y campi vettoriali di norma sufficientemente piccola. Di fatto,tale funzione F eredita una sorta di proprietà associativa dall’associatività dellacomposizione di funzioni, più precisamente

F(F (X, Y ) , Z

)= F

(X,F (X, Y )

). (2.6)

Supponiamo infatti che sia legittima una ripetuta applicazione di (2.5), abbiamo

exp(Z)(exp(Y )

(exp(X)(0)

))= exp(Z)

(exp(F (X, Y )

)(0))

= exp(F(F (X, Y ), Z

))(0),

e, analogamente,

exp(Z)(exp(Y )

(exp (X) (0)

))= exp

(F (Y, Z)

)(exp(X)(0)

)= exp

(F(X,F (Y, Z)

))(0).

Infine, applicando Log ad entrambi i membri destri, si ha l’identità (2.6). ]

Concludiamo questa sezione con il seguente

Teorema 2.3.5. Nelle ipotesi e notazioni del Teor.2.3.2, valgono i seguenti fatti:

• 0 ∈ RN funge da elemento neutro locale per m, ovvero

m(x, 0) = x ∀ x ∈ RN , m(0, y) = y ∀ y ∈ Exp(U); (2.7)

• i provvede da inverso locale per m, cioè

m(x, i(x)) = 0 = m(i(x), x) ∀ x ∈ U. (2.8)

Osserviamo che m(x, i(x)) è ben definito in quanto i(x) ∈ Exp(U) per x ∈ U .Infatti, da (2.3) abbiamo che se x ∈ U , allora Log(x) ∈ B(0, ε) ⊂ U, ed essendoB(0, ε) simmetrica rispetto la moltiplicazione per −1, anche −Log(x) ∈ B(0, ε) ⊂U. Dunque, applicando la definizione di i, si ha:

i(x) = Exp(−Log(x)) ∈ Exp(U).

Dimostrazione. Le due identità in (2.7) discendono immediatamente dalle defini-zioni di m ed Exp. Infatti, presi x ∈ RN ed y ∈ Exp(U), abbiamo:

m(x, 0) = exp(Log(0))(x) = exp(0)(x) = x

edm(0, y) = exp(Log(y))(0) = Exp(Log(y)) = y.

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Al fine di dimostrare (2.8) fissiamo x ∈ U e sia X = Log(x). Per le considerazionifatte a riguardo della buona definizione di m(x, i(x)) si ha che i(x) ∈ Exp(U) e cheX,−X ∈ B(0, ε) ⊂ U. Osserviamo inoltre che

X (−X) = X + (−X) +∞∑h=2

Zh(X,−X) = 0.

Infine, sfruttando la definizione di i e l’identità (2.2), possiamo sviluppare comesegue:

m(x, i(x)) = exp(Log(i(x))

)(x) = exp

(Log

(Exp

(−Log(x)

)))(x)

= exp(Log

(Exp(−X)

))(x) = exp(−X)(x)

= exp(−X)(Exp(X)

)= exp(−X)

(exp(X)(0)

)= exp

(X (−X)

)(0) = 0.

In modo analogo si prova che

m(i(x), x) = exp((−X) X

)(0) = 0.

Ciò conclude la prova.

2.4 Locale invarianza sinistra di gAbbiamo visto che m definisce una struttura di gruppo di Lie locale su RN . Mo-striamo ora come l’algebra di Lie g è in realtà profondamente connessa a talestruttura. In particolare, m risolverà un’identità simile a quella verificata, in Teo-ria dei Gruppi di Lie, dalla mappa (x, y) 7→ τx(y), identità nota anche come PrimoTeorema di Lie. Non a caso m(x, y) è destinata ad essere una traslazione a sinistrasu un gruppo di Lie.

Teorema 2.4.1. Sia g ⊂ X(RN)un’algebra di Lie verificante le condizioni (G),

(H) e (ND). Allora, per ogni X ∈ g, vale la seguente identità:

X(m(x, y)) =∂m

∂y(x, y)X(y) per ogni x ∈ RN e y ∈ U. (2.9)

Dimostrazione. Sia X ∈ g fissato ad arbitrio.Proviamo innanzitutto che X verifica (2.9) per y = 0, ovvero che

X(x) =∂m

∂y(x, 0)X(0), ∀ x ∈ RN . (2.10)

Sia quindi x ∈ RN e sia ε > 0 tale che, per |t| < ε, tX ∈ U. Ne verrà che

X(x) =d

dt |t=0exp(tX)(x) =

d

dt |t=0exp

(Log

(Exp(tX)

))(x)

=d

dt |t=0m(x,Exp(tX)) =

∂m

∂y(x, 0)

d

dt |t=0Exp(tX)

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=∂m

∂y(x, 0)X(0).

Abbiamo dunque provato l’identità iniziale nel caso y = 0.Al fine di dimostrare (2.9), richiamiamo l’associatività locale di m:

m(m(x, y), z) = m(x,m(y, z)) ∀ x ∈ RN , ∀ y, z ∈ U.

Differenziando rispetto a z e valutando in z = 0 si ottiene:

Jm(m(x,y),·)(0) = Jm(x,·)(m(y, 0))Jm(y,·)(0).

Usando la notazione della matrice Jacobiana mediante derivate parziali e moltipli-cando per X(0), si ha:

∂m

∂β(m(x, y), 0)X(0) =

∂m

∂β(x,m(y, 0))

∂m

∂β(y, 0)X(0). (2.11)

La tesi segue da (2.11) mediante applicazione di (2.10) e ricordando che m(y, 0) =y.

Dalla dimostrazione del Teor.2.4.1 si possono ottenere notevoli identità per m.A tal fine richiamiamo la base J = J1, ..., JN di g del Lem.2.1.1 per definire laseguente matrice N ×N

J(x) :=(J1(x), ..., JN(x)

), x ∈ RN .

Da (2.10), con X = Ji, si ha:

J(x) =∂m

∂y(x, 0) ∀x ∈ RN .

Di conseguenza, l’identità (2.11) diventa (in notazione m = m(x, y)):

J(m(x, y)) =∂m

∂y(x, y)J(y),

o equivalentemente, osservando che J è invertibile,

∂m

∂y(x, y) = J(m(x, y))J(y)−1. (2.12)

Uno degli obiettivi principali della prossima sezione sarà mostrare che è possibileprolungare m affinché (2.12) rimanga vera per ogni x, y ∈ RN .

In particolare vedremo che, così come l’associatività locale di m ha portatoalla nascita di (2.12), quest’ultima permetterà di ottenere l’associatività di taleprolungamento di m.

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2.5 Globalizzazione della struttura di gruppo diLie locale

Possiamo già renderci conto di come le profonde connessioni tra

Teorema di CBHDassociatività locale di mlocale invarianza di g

vanno a formare le fondamenta della dimostrazione del Teor.1.1.5, grazie al qualepotremo rispondere al nostro problema iniziale (P ).

Questi strumenti hanno reso possibile la costruzione della struttura di gruppodi Lie locale, si tratta quindi di estendere tale struttura al globale. Questo sarà loscopo principale della sezione corrente.

Grazie al Teor.2.4.1 siamo ora in grado di provare un importante risultato diprolungabilità. L’interazione tra questo e l’unicità della soluzione di un Problemadi Cauchy renderà possibile estendere la mappa m definita in precedenza a tuttoRN × RN .

Lemma 2.5.1 (Di prolungabilità). Sia g ⊂ X(RN)un’algebra di Lie verificante

le condizioni (G), (H) e (ND). Siano poi X1, ..., Xn ∈ g e α1, ..., αn ∈ C(R). Allora,per ogni ξ ∈ RN , la soluzione massimale del Problema di Cauchy

z(t) =∑n

k=1 αk(t)Xk(z(t))

z(0) = ξ(2.13)

è definita su tutto R.

Dimostrazione. Sia ϕ : D → RN la soluzione massimale di (2.13). La tesi seguiràuna volta provato che D = R.

Ragioniamo per assurdo assumendo D 6= R. Per fissare le idee possiamo sup-porre che 0 < T := sup(D) < ∞. Siano poi K := [0, T ] e h > 0 tale che l’insiemex ∈ RN : |x| ≤ h ⊆ U (U definito in Teor.2.3.2).

Consideriamo il Problema di Cauchy parametrico con parametro reale s:

(PCs)

x(t) =

∑nk=1 αk(t+ s)Xk(x(t))

x(0) = 0.

Per il corollario Cor.A.4.2 in appendice, è possibile trovare ε > 0 per il quale (PCs)ammette un’unica soluzione massimale

t 7→ us(t), definita su [−ε, ε], uniformemente per s ∈ K

e tale che

|us(t)| ≤ h, per ogni t ∈ [−ε, ε], uniformemente per s ∈ K. (2.14)

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Fissiamo τ ∈]0, T [ tale che T − τ < ε e sia x = ϕ(τ). Da (2.14) si ha che uτ (t) ∈U ⊂ Exp(U) per ogni t ∈ [−ε, ε], pertanto risulta ben definita la funzione

ν : [0, ε]→ RN , ν(t) := m(x, uτ (t)).

Inoltre, la regolarità di m rende ν di classe C∞ nel suo dominio.Mostriamo che ν risolve, su [0, ε], il seguente Problema di Cauchy:

(F)

z(t) =

∑nk=1 αk(t+ τ)Xk(z(t))

z(0) = x.

Dalla definizione di ν e dal ruolo di 0 come elemento neutro per m abbiamo

ν(0) = m(x, uτ (0)) = m(x, 0) = x.

Per il Teor.2.4.1 si ha invece

ν(t) =d

dtm(x, uτ (t)) =

∂m

∂y(x, uτ (t))uτ (t)

=n∑k=1

αk(t+ τ)∂m

∂y(x, uτ (t))Xk(uτ (t))

=n∑k=1

αk(t+ τ)Xk(m(x, uτ (t))

=n∑k=1

αk(t+ τ)Xk(ν(t)).

Avendo provato che ν è soluzione di (F), unendo opportunamente ϕ e ν si po-trà estendere ϕ oltre l’estremo T del dominio massimale, giungendo così ad unacontraddizione nel modo che ora mostriamo. Poniamo quindi

γ(t) :=

ϕ(t) se t ∈ [0, τ ]

ν(t− τ) se t ∈]τ, τ + ε],

e osserviamo che

• τ + ε > T poiché T − τ < ε;

• γ(0) = ϕ(0) = ξ;

• γ è continua dato che γ(τ) = ϕ(τ) = x e

limt→τ−

ϕ(t) = ϕ(τ) = x = ν(0) = limt→τ+

ν(t− τ);

• γ è C1 sull’intervallo [0, τ + ε] essendo che

γ(t) :=

ϕ(t) =

∑nk=1 αk(t)Xk(ϕ(t)) se t ∈ [0, τ [

ν(t− τ) =∑n

k=1 αk(t− τ + τ)Xk(ν(t− τ)) se t ∈]τ, τ + ε]

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=∑n

k=1 αk(t)Xk(γ(t)) se t ∈ [0, τ [

=∑n

k=1 αk(t)Xk(γ(t)) se t ∈]τ, τ + ε]

da cui

limt→τ−

γ(t) =n∑k=1

αk(τ)Xk(γ(τ)) = limt→τ+

γ(t).

Pertanto γ risulta essere un prolungamento di ϕ oltre [0, T [, contraddicendo l’ipo-tesi sulla massimalità di ϕ, da cui l’assurdo.

Fissiamo ora x, y ∈ RN e consideriamo la curva

t 7→ γx,y(t) := m(x, ty),

ben definita per piccoli valori di t: precisamente per ty ∈ U almeno fino a t = 1.Infatti, per definizione, m(x, ty) = exp

(Log(ty)

)(x) e Log è definito su U che è un

intorno dell’origine.L’idea consiste nel provare che γx,y risolve un Problema di Cauchy del tipo

(2.13). Osserviamo innanzitutto che vale

γx,y(0) = m(x, 0) = x

e ched

dtγx,y(t) =

(∂m

∂y(x, ty)

)y.

Inoltre, ricordando (2.12), possiamo scrivere:

d

dtγx,y(t) = J(m(x, ty))J(ty)−1y = J(γx,y(t))J(ty)−1y.

Pertanto γx,y risolve (2.13) rispetto la base J = J1, ..., JN di g con dato inizialeξ = x e con

α(t) := a(t, y) = (a1(t, y), ..., aN(t, y))T := J(ty)−1y.

Formalizziamo i risultati ottenuti con il seguente

Teorema 2.5.2. Siano x, y ∈ RN fissati e sia Iy un intervallo di R contenentel’origine tale che ty ∈ U per ogni t ∈ Iy. Allora il Problema di Cauchy

z(t) = J(z(t))J(ty)−1y

z(0) = x(2.15)

ha un’unica soluzione massimale t 7→ ϕx,y(t) definita su tutto R.Inoltre, la curva t 7→ γx,y(t) := m(x, ty) risolve (2.15) su Iy.Di conseguenza, ϕx,y(t) = γx,y(t) per ogni t ∈ Iy.

Dimostrazione. Segue dal Lem.2.5.1 e dalle argomentazioni precedenti.

Grazie al Teor.2.5.2 è naturale il seguente prolungamento di m:

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Definizione 2.4. Nelle notazioni del Teor.2.5.2, definiamo

M : RN × RN → RN , M(x, y) = ϕx,y(1).

Teorema 2.5.3. M estende m in modo C∞ su tutto RN × RN , precisamente:

M ∈ C∞(RN × RN ,RN

)e M(x, y) = m(x, y) ∀ x ∈ RN , ∀ y ∈ U.

Dimostrazione. La regolarità di M segue dal Teor.A.5.5 di dipendenza C∞ perODE. Inoltre, fissati x ∈ RN , y ∈ U e ricordando da (2.3) che U è stato definitocome una palla centrata nell’origine, dal Teor.2.5.2 si ha:

ϕx,y(t) = γx,y(t) := m(x, ty) ∀ t ∈ [0, 1].

In particolare, per t = 1 abbiamo:

M(x, y) := ϕx,y(1) = γx,y(1) = m(x, y).

Dall’arbitrarietà di x e y segue che M coincide con m su RN × U .

Ottenuta l’estensioneM di m, ciò che richiederà un notevole sforzo sarà proprioil provare che l’associatività è mantenuta globalmente.

Lemma 2.5.4. Siano x, y ∈ RN fissati, nelle notazioni precedenti, si ha

ϕx,y(t) = M(x, ty), per ogni t ∈ R.

Di conseguenza, t 7→M(x, ty) risolve (2.15) su R, esplicitamente:d

dtM(x, ty) = J(M(x, ty))J(ty)−1y

M(x, 0) = x.(2.16)

Dimostrazione. Fissato t ∈ R, proviamo che la curva

γ : R→ RN γ(s) := ϕx,y(ts)

risolve il Problema di Cauchy parametricoz(s) = J(z(s))J(sty)−1ty

z(0) = x,(2.17)

avente soluzione massimale ϕx,ty, da cui seguirà la tesi in quanto, per l’unicità dellasoluzione, si ha:

M(x, ty) = ϕx,ty(1) = γ(1) = ϕx,y(t).

Ora, essendo ϕx,y soluzione di (2.15), è chiaro che

γ(0) = ϕx,y(0) = x.

Inoltre,

γ(s) =d

dsϕx,y(ts) = t

d

du |u=tsϕx,y(u) = tJ(ϕx,y(u))J(uy)−1y|u=ts

= J(ϕx,y(ts))J(tsy)−1ty = J(γ(s))J(tsy)−1ty.

Questo conclude la prova.

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Corollario 2.5.5. Nelle notazioni precedenti, si ha:

∂M

∂y(x, y)y = J(M(x, y))J(y)−1y ∀ x, y ∈ RN . (2.18)

Dimostrazione. Segue dal Lem.2.5.4 con t = 1, essendo che

d

dtM(x, ty) =

∂M

∂y(x, ty)y.

Ci proponiamo ora di provare che la moltiplicazione a destra per y può esseretrascurata, risultato per niente ovvio osservando ad esempio che le matrici

A(y) =

[0 00 0

]B(y) =

[y2 −y1

0 0

]soddisfano A(y)y = B(y)y per ogni y ma A(y) = B(y) solo per y = 0.

La verifica di questo fatto risulterà essere molto elaborata e richiederà l’uso diun lemma tecnico sulle costanti di struttura dell’algebra di Lie g rispetto alla baseJ .

Lemma 2.5.6. Sia J = J1, ..., JN e consideriamo le costanti di struttura di grispetto a J , cioè le costanti Ck

i,ji,j,k≤N tali che

[Ji, Jj] =N∑k=1

Cki,jJk, ∀ i, j ∈ 1, ..., N. (2.19)

Fissato j ∈ 1, ..., N e posto C(j) := (Cki,j)k,i≤N si ha, per ogni z ∈ RN ,

C(j)J(z)−1z =

J(z)−1∂Jj∂z

(z)z − J(z)−1

(∂J1

∂z(z)Jj(z) . . .

∂JN∂z

(z)Jj(z)

)J(z)−1z. (2.20)

Dimostrazione. Prendendo i vettori colonna dei coefficienti dei campi vettoriali in(2.19) abbiamo

Ji(Jj(z))− Jj(Ji(z)) =N∑k=1

Cki,jJk(z), z ∈ RN

che, in termini del vettore Ci,j := (C1i,j, . . . , C

Ni,j)

T , diventa

∂Jj∂z

(z)Ji(z)− ∂Ji∂z

(z)Jj(z) = J(z)Ci,j.

Fissando j e facendo variare i = 1, ..., N possiamo pensare ogni membro dell’iden-tità di cui sopra come all’i-esimo vettore colonna di una matrice N ×N , ottenendola seguente identità matriciale:

∂Jj∂z

(z)J(z)−(∂J1

∂z(z)Jj(z) . . .

∂JN∂z

(z)Jj(z)

)= J(z)C(j).

Essendo J invertibile, (2.20) segue moltiplicando a destra e a sinistra per J(z)−1ze J(z)−1 rispettivamente.

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Osserviamo inoltre che vale il seguente fatto:

Lemma 2.5.7. Per z ∈ RN denotiamo sempre con ∂∂z

l’operatore Jacobiano. SeH(z) è una funzione differenziabile a valori nelle matrici invertibili N ×N , è verala seguente formula:

IN −∂

∂zH(z)−1zH(z) = H(z)−1

N∑k=1

(H(z)−1z)k∂Hk

∂z(z)H(z), (2.21)

dove Hk(z) è il k-esimo vettore colonna di H(z), (H(z)−1z)k è la k-esima entratadel vettore H(z)−1z e IN è la matrice identità N ×N .

Dimostrazione. Moltiplicando a destra per z ∈ RN entrambi i membri dell’identitàH(z)H(z)−1 = IN , si ha:

H(z)H(z)−1z = z.

Applicando alla formula sopra l’operatore ∂∂z, otteniamo:

H(z)∂

∂zH(z)−1z+

N∑k=1

(H(z)−1z)k∂Hk

∂z(z) = IN .

Quindi, moltiplicando a sinistra per H(z)−1 e a destra per H(z), segue che

∂zH(z)−1zH(z) +H(z)−1

N∑k=1

(H(z)−1z)k∂Hk

∂z(z)H(z) = IN ,

e ciò prova (2.21).

Teorema 2.5.8. Nelle notazioni precedenti, vale la seguente identità:

∂M

∂y(x, y) = J(M(x, y))J(y)−1 ∀ x, y ∈ RN . (2.22)

Osserviamo che (2.22) è esattamente la versione globale di (2.12). In particolare,una volta provato che G :=

(RN , ∗

)è un gruppo di Lie su RN , sarà facile verificare

che g è costituita da campi vettoriali invarianti a sinistra.

Dimostrazione. Fissiamo x, y ∈ RN e consideriamo le seguenti funzioni della va-riabile t ∈ R a valori nelle matrici reali N ×N :

t 7→ A(t) := tJ(M(x, ty))−1∂M

∂y(x, ty)J(ty),

t 7→ B(t) := tIN .

Proviamo che A(t) e B(t) risolvono uno stesso Problema di Cauchy con dato inizialeA(0) = 0 = B(0). Di conseguenza, per t = 1 avremo

J(M(x, y))−1∂M

∂y(x, y)J(y) = IN ,

da cui seguirà la tesi per l’invertibilità di J .

23

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Poiché a seguire x non verrà mai coinvolto, per semplicità di notazione scrive-remo M(ty) anziché M(x, ty).

Per prima cosa determiniamo una EDO per A(t):

A′(t) = J(M(ty))−1 d

dt

t∂M

∂y(ty)J(ty)

+

d

dt

J(M(ty))−1

t∂M

∂y(ty)J(ty)

= J(M(ty))−1 d

dt

t∂M

∂y(ty)

J(ty) + J(M(ty))−1t

∂M

∂y(ty)

d

dtJ(ty)

+d

dt

J(M(ty))−1

J(M(ty))A(t) =: (?).

Osservando ched

dt

t∂M

∂y(ty)

=

∂y

d

dtM(ty)

,

grazie a (2.16) possiamo ulteriormente sviluppare come segue:

(?) = J(M(ty))−1 ∂

∂y

J(M(ty))J(ty)−1y

J(ty)+J(M(ty))−1t

∂M

∂y(ty)

d

dtJ(ty)

+d

dt

J(M(ty))−1

J(M(ty))A(t)

=∂

∂y

J(ty)−1y

J(ty) + J(M(ty))−1

N∑k=1

(J(ty)−1y)k∂

∂yJk(M(ty)) J(ty)

+A(t)J(ty)−1 d

dtJ(ty) − J(M(ty))−1 d

dtJ(M(ty))A(t)

=∂

∂y

J(ty)−1y

J(ty)+J(M(ty))−1

N∑k=1

(J(ty)−1y)k∂Jk∂y

(M(ty))J(M(ty))A(t)

+A(t)J(ty)−1 d

dtJ(ty) − J(M(ty))−1 d

dtJ(M(ty))A(t).

A(t) soddisfa quindi la seguente ODE lineare:

A′(t) =∂

∂y

J(ty)−1y

J(ty)+J(M(ty))−1

N∑k=1

(J(ty)−1y)k∂Jk∂y

(M(ty))J(M(ty))A(t)

+A(t)J(ty)−1 d

dtJ(ty) − J(M(ty))−1 d

dtJ(M(ty))A(t).

Mostriamo che B(t) è soluzione della stessa equazione, ovvero che vale

IN =∂

∂y

J(ty)−1y

J(ty) + J(M(ty))−1

N∑k=1

(J(ty)−1ty)k∂Jk∂y

(M(ty))J(M(ty))

+tJ(ty)−1 d

dtJ(ty) − J(M(ty))−1t

d

dtJ(M(ty)) .

24

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Applicando la formula (2.21), l’identità sopra può essere riscritta come:

tJ(ty)−1 d

dtJ(ty) − J(ty)−1

N∑k=1

(J(ty)−1ty)k∂Jk∂y

(ty)J(ty) = (2.23)

J(M(ty))−1

(t

d

dtJ(M(ty)) −

N∑k=1

(J(ty)−1ty)k∂Jk∂y

(M(ty))J(M(ty))

).

Usando le notazioni(·)i,j,(·)ie(·)jper scrivere una matrice in termini dei suoi

elementi, vettori riga e vettori colonna rispettivamente, andiamo ad analizzare ilmembro sinistro di (2.23). Per quanto riguarda il primo addendo, è chiaro che

tJ(ty)−1 d

dtJ(ty) = tJ(ty)−1

(〈∇(J ij)(ty), y〉

)i,j

= J(ty)−1

(〈∇(J ij)(ty), ty〉

)i,j

.

Per il secondo addendo, osserviamo innanzitutto che

N∑k=1

(J(ty)−1ty)k∂Jk∂y

(ty) =N∑k=1

(J(ty)−1ty)k

((∂jJ

ik)(ty)

)i,j

=N∑k=1

(J(ty)−1ty)k

((∂jJk)(ty)

)j

=

(N∑k=1

(J(ty)−1ty)k(∂jJk)(ty)

)j

=

((∂jJ)(ty)J(ty)−1ty

)j

.

Inoltre, se A =(Ai,j)i,j≤N e B =

(Bi,j

)i,j≤N ≡

(Bj

)j≤N sono due matrici N ×N ,

posta C := AB, C =(Ci,j)i,j≤N , è possibile ottenere l’elemento di indici i e j di C

come Ci,j = eTi ABj. Detto questo, possiamo esprimere il membro sinistro di (2.23)nella seguente forma:

J(ty)−1

(〈∇(J ij)(ty), ty〉

)i,j

−(eTi J(ty)−1(∂jJ)(ty)J(ty)−1ty

)i,j

J(ty).

Ora, con l’intenzione di usare il Lem.2.5.6, rappresentiamo il membro destro di(2.23) in termini delle costanti di struttura

Cik,j

i,j,k≤N di g rispetto J . Poiché

td

dtJ(M(ty)) = t

(〈∇(J ij)(M(ty)),

∂M

∂y(ty)y〉

)i,j

(2.18)=

N∑k=1

(J(ty)−1ty)k

(〈∇(J ij)(M(ty)), Jk(M(ty))〉

)i,j

25

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=N∑k=1

(J(ty)−1ty)k

(∂Jj∂y

(M(ty))Jk(M(ty))

)j

=N∑k=1

(J(ty)−1ty)k

(Jk(Jj)(M(ty))

)j

eN∑k=1

(J(ty)−1ty)k∂Jk∂y

(M(ty))J(M(ty))

=N∑k=1

(J(ty)−1ty)k

(∂J ik∂y

(M(ty))

)i

(Jj(M(ty))

)j

=N∑k=1

(J(ty)−1ty)k

(∂J ik∂y

(M(ty))Jj(M(ty))

)i,j

=N∑k=1

(J(ty)−1ty)k

(Jj(Jk)(M(ty))

)j

,

otteniamo la seguente scrittura per il membro destro di (2.23):

J(M(ty))−1

N∑k=1

(J(ty)−1ty)k

(Jk(Jj)(M(ty))− Jj(Jk)(M(ty))

)j

= J(M(ty))−1

N∑k=1

(J(ty)−1ty)kJ(M(ty))(Cik,j

)i,j

=

(N∑k=1

Cik,j(J(ty)−1ty)k

)i,j

,

dove, nell’ultimo passaggio, si è usata l’invertibilità di J .Mettendo insieme i risultati ottenuti, si ha

J(ty)−1

(〈∇(J ij)(ty), ty〉

)i,j

−(eTi J(ty)−1(∂jJ)(ty)J(ty)−1ty

)i,j

J(ty)

=

(N∑k=1

Cik,j(J(ty)−1ty)k

)i,j

che, come identità tra vettori colonna, risulta essere (con z = ty)

J(z)−1∂Jj∂z

(z)z −N∑i=1

J ij(z)J(z)−1(∂jJ)(z)J(z)−1z = C(j)J(z)−1z,

dove abbiamo posto C(j) :=(Cik,j

)i,k

e per j = 1, ..., N . Il Lem.2.5.6 permette diconcludere la prova.

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Introduciamo ora le seguenti notazioni:

Definizione 2.5. Per ogni x, y ∈ RN , denotiamo

x ∗ y := M(x, y) = ϕx,y(1).

Inoltre, per ogni x ∈ RN fissato, definiamo le mappe

τx : RN → RN τx(y) = x ∗ y,

ρx : RN → RN ρx(y) = y ∗ x.

L’identità (2.22) può essere quindi scritta nella seguente forma:

Jτx(y) = J(x ∗ y)J(y)−1 ∀ x, y ∈ RN . (2.24)

Osserviamo che, essendo J non singolare, da (2.24) e dal Teorema della FunzioneInversa segue che τx è un diffeomorfismo locale di classe C∞ in RN , in particolareè una mappa aperta.

A questo punto resta da provare che ∗ globalizza tutte le proprietà di gruppolocale di m così che, ottenuto che G =

(RN , ∗

)è un gruppo di Lie su RN , le

notazioni della Def.2.5 non saranno più in ambiguità con quelle usate in Teoria deiGruppi di Lie.

Teorema 2.5.9. 0 ∈ RN funge da elemento neutro globale per ∗, precisamente:

x ∗ 0 = x = 0 ∗ x ∀ x ∈ RN .

Dimostrazione. Sia x ∈ RN fissato. Ricordando le notazioni precedenti, abbiamo

x ∗ 0 = ϕx,0(1) e 0 ∗ x = ϕ0,x(1).

Poiché ϕx,0 è soluzione del Problema di Cauchyz(t) = 0

z(0) = x,

è chiaro che ϕx,0 risulta identicamente costante e uguale al dato iniziale x, da cui

x ∗ 0 = ϕx,0(1) = x.

Analogamente, ϕ0,x risolvez(t) = J(z(t))J(tx))−1x

z(0) = 0,

ma essendo soluzione anche la funzione z(t) = tx, per l’unicità si ha

0 ∗ x = ϕ0,x(1) = x,

da cui la tesi.

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Teorema 2.5.10. ∗ è globalmente associativa in RN , esplicitamente:

x ∗ (y ∗ z) = (x ∗ y) ∗ z ∀ x, y, z ∈ RN .

Dimostrazione. Proviamo che la curva

γ : R→ RN γ(t) := x ∗ (y ∗ (tz)) = τx(y ∗ (tz))

risolve il Problema di Cauchyv(t) = J(v(t))J(tz)−1z

v(0) = x ∗ y,

avente soluzione massimale ϕx∗y,z da cui, per l’unicità, segue la tesi dato che

x ∗ (y ∗ z) = γ(1) = ϕx∗y,z(1) = (x ∗ y) ∗ z.

Ora, poiché 0 è elemento neutro per ∗, si ha:

γ(0) = x ∗ (y ∗ 0) = x ∗ y.

Inoltre, richiamando (2.16) e (2.24), abbiamo che:

γ(t) =d

dtτx(y ∗ (tz)) = Jτx(y ∗ (tz))

d

dty ∗ (tz)

= Jτx(y ∗ (tz))J(y ∗ (tz))J(tz)−1z

= J(x ∗ (y ∗ (tz)))J(y ∗ (tz))−1J(y ∗ (tz))J(tz)−1z

= J(x ∗ (y ∗ (tz)))J(tz)−1z

= J(γ(t))J(tz)−1z.

Con questo la prova è conclusa.

Vogliamo ora trovare un inverso locale per ∗ che estenda la mappa

i : Exp(U)→ RN

definita precedentemente.

Osserviamo innanzitutto che per la continuità di i è possibile trovare un intornoaperto connesso W ⊂ U di 0 tale che i(W ) ⊂ U ⊆ Exp(U). Pertanto, dal fatto che∗ coincide con m su RN × U e che i provvede da inverso per m su U , si ha:

x ∗ i(x) = 0 = i(x) ∗ x ∀ x ∈ W. (2.25)

Nel seguito ci riferiremo sempre a questo W quando verrà usata tale notazione.

Lemma 2.5.11. Vale il seguente risultato:

RN =∞⋃n=1

w1 ∗ ... ∗ wn : w1, ..., wn ∈ W.

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Dimostrazione. Per semplicità di notazione poniamo:

An := w1 ∗ ... ∗ wn : w1, ..., wn ∈ W,

A := ∪∞n=1An.

Osserviamo che A 6= ∅ in quanto 0 ∈ A. Proviamo che A = RN mostrando che Aè aperto e chiuso.

• A è aperto: infatti A1 = W che è aperto. Inoltre, l’associatività locale di ∗permette di scrivere per n ≥ 2:

An = w1 ∗ ... ∗ wn : w1, ..., wn ∈ W

= (w1∗...∗wn−1)∗wn : w1, ..., wn−1, wn ∈ W

= x ∗ wn : x,wn ∈ W

= ∪x∈An−1τx(W ).

Ricordando che τx è una mappa aperta e che l’unione di aperti è aperta si hache A è un aperto.

• A è chiuso: sia x0 ∈ A, proviamo che x0 ∈ A.Per la continuità di i esiste un intorno aperto V ⊂ W di 0 tale che i(V ) ⊂ W .Osserviamo che x0 = τx0(0) ∈ τx0(V ), in particolare, per quanto detto su τx0 ,τx0(V ) è un intorno aperto di x0, dunque è possibile trovare σ > 0 tale cheB(x0, σ) ⊂ τx0(V ). D’altra parte, essendo x0 ∈ A, si ha che B(x0, σ)∩A 6= ∅.

Abbiamo quindi ottenuto che τx0(V ) ∩ A 6= ∅, di conseguenza esistonow1, ..., wn ∈ W, v ∈ V tali che w1 ∗ ... ∗ wn = τx0(v) = x0 ∗ v.Sempre per l’associatività locale di ∗ si ha:

(w1 ∗ ... ∗ wn) ∗ i(v) = (x0 ∗ v) ∗ i(v) = x0 ∗ (v ∗ i(v)) = x0 ∗ 0 = x0.

Pertanto x0 ∈ A, essendo w1, ..., wn, i(v) ∈ W .

Abbiamo quindi provato che A = RN , da cui la tesi.

Il Lem.2.5.11 permette di dimostrare il seguente risultato:

Proposizione 2.5.12. Per ogni x ∈ RN esiste un unico yx ∈ RN per cui

x ∗ yx = 0 = yx ∗ x. (2.26)

Dimostrazione. Il Lem.2.5.11 permette di scrivere x ∈ RN come

x = w1 ∗ ... ∗ wn, con w1, ..., wn ∈ W.

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Inoltre, essendo W ⊂ U , è ben definito

yx := i(wn) ∗ ... ∗ i(w1).

Dall’associatività di ∗ e da (2.25) si ha:

x∗yx = (w1 ∗ ...∗wn)∗ (i(wn)∗ ...∗ i(w1)) = (w1 ∗ (...∗ (wn ∗ i(wn))∗ ...)∗ i(w1)) = 0.

In modo analogo si prova che yx ∗ x = 0.Supponiamo infine che esista un altro y ∈ RN tale che

x ∗ y = 0 = y ∗ x.

Sempre per l’associatività di ∗ abbiamo

y = y ∗ 0 = y ∗ (x ∗ yx) = (y ∗ x) ∗ yx = 0 ∗ yx = yx,

da cui l’unicità.

Risulta ora naturale estendere i come segue:

Definizione 2.6. Per ogni x ∈ RN , sia yx ∈ RN l’unico punto verificante (2.26),definiamo la mappa

I : RN → RN I(x) := yx.

Teorema 2.5.13. Nelle notazioni precedenti, I estende i in modo C∞ su tutto RN ,precisamente:

I ∈ C∞(RN ,RN) e I(x) = i(x) ∀ x ∈ W.

Dimostrazione. Al fine di provare la regolarità prendiamo x0 ∈ RN e definiamo

y0 := I(x0),

in tal modo x0 ∗y0 = 0. Consideriamo ora la matrice Jacobiana di M(x, y) := x∗yvalutando in x = x0 e y = y0 che, in termini delle mappe τx e ρy, risulta essere:(

∂M

∂x(x0, y0),

∂M

∂y(x0, y0)

)=

(∂ρy0∂x

(x0),∂τx0∂y

(y0)

)=(Jρy0 (x0),Jτx0 (y0)

).

Poiché τx0 è un diffeomorfismo locale di RN si ha che Jτx0 (y0) è non singolare.Per il Teorema della Funzione Implicita possiamo quindi trovare due intorni Ux0 ,Uy0 di x0 e y0 rispettivamente, ed una funzione f : Ux0 → Uy0 di classe C∞, conf(x0) = y0 = I(x0), tali che

(x, y) ∈ Ux0 × Uy0 : M(x, y) = 0 = (x, f(x)) : x ∈ Ux0.

Pertanto, per ogni x ∈ Ux0 , si ha che

x ∗ f(x) = 0,

e dall’unicità provata nella Prop.2.5.12 segue che

f(x) = I(x), ∀ x ∈ Ux0 .

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Dall’arbitrarietà di x0 viene che I è C∞ su RN . Infine, sempre grazie alla Prop.2.5.12,è facile provare che i(x) = I(x) per x ∈ W , ricordando che, con tale scelta di x, siha

x ∗ i(x) = 0 = i(x) ∗ x.

Questo conclude la prova.

Facciamo un riepilogo dei risultati ottenuti.

L’unicità della soluzione del Problema di Cauchy (2.15) ha permesso, tramite ilLem.2.5.1 di prolungabilità, di costruire un’estensione C∞ ∗ di m definita su tuttoRN × RN .

D’altra parte, un argomento di unicità è stato usato più volte anche per otteneresia una versione globale (2.22) della proprietà di invarianza a sinistra (2.12), siaper dimostrare il ruolo di 0 come elemento neutro per ∗, ma anche, servendoci diquest’ultimo risultato, per provare l’associatività di ∗.

Quest’ultima si è poi rivelata uno strumento potente per estendere i in modoC∞ su RN ad una mappa I, che ha provveduto da inverso globale per ∗.

Possiamo quindi definireG :=

(RN , ∗

)ed affermare che G è un gruppo di Lie su RN con elemento neutro 0.

Ora, ricordando che (2.22) è stata scritta in termini della base J di g, svilup-piamo (2.22) nell’identità

X(x ∗ y) = Jτx(y)X(y),

vera per ogni x, y ∈ RN e per ogni X ∈ g. In altre parole ogni campo vettoriale di gè invariante a sinistra rispetto G, il che significa g ⊆ Lie(G). Infine, grazie all’ipo-tesi (ND) su g, per motivi dimensionali deve necessariamente essere che g = Lie(G).

Questo prova definitivamente il Teor.1.1.5.

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Appendice

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Appendice A

Teoria di Dipendenza per ODE

Con la presente appendice ci proponiamo di esporre in modo dettagliato i risultatirelativi alla Teoria delle Equazioni Differenziali Ordinarie ai quali abbiamo fattoricorso in questo lavoro di tesi. Più precisamente, dopo aver richiamato i bennoti teoremi di esistenza e unicità, verrà affrontato il problema dell’esistenza disoluzioni massimali, investigandone anche la regolarità in riferimento ai parametrie condizioni iniziali.

A.1 Esistenza e UnicitàNel seguito sia Ω un aperto di R × RN e sia f : Ω → RN una funzione continua.Indichiamo con (t, x) il generico punto di R× RN .

Una soluzione dell’equazione differenziale ordinaria

x = f(t, x) (A.1)

è, per definizione, una funzione γ ∈ C1(I,RN), dove I indica un intervallo di R,tale che

(t, γ(t)) ∈ Ω e γ(t) = f(t, γ(t)) per ogni t ∈ I.

Fissato un punto (t0, x0) ∈ Ω, si chiama soluzione del Problema di Cauchy

(PC)

x = f(t, x)

x(t0) = x0

una funzione γ ∈ C1(I,RN) soluzione dell’equazione differenziale in (PC) tale che

t0 ∈ I e γ(t0) = x0.

E’ ben noto il seguente risultato:

Proposizione A.1.1. Sia I un intervallo di R contenente t0 e sia γ : I → RN

una funzione tale che (t, γ(t)) ∈ Ω per ogni t ∈ I. Allora γ è soluzione di (PC) see solo se γ ∈ C(I,RN) e verifica l’equazione integrale di Volterra

γ(t) = x0 +

∫ t

t0

f(s, γ(s)) ds ∀ t ∈ I.

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Dati (t0, x0) ∈ R×RN e h, r > 0, useremo la seguente notazione per indicare ilcilindro chiuso in R1+N

Ch,r(t0, x0) := [t0 − h, t0 + h]×B(x0, r),

dove B(x0, r) denota la palla euclidea chiusa di centro x0 e raggio r.Chiameremo cilindro di sicurezza per f : Ω→ RN ogni cilindro chiuso Ch,r ⊂ Ω

tale chemax

(t,x)∈Ch,r‖f(t, x)‖ · h ≤ r.

Osservazione A.1.2. E’ semplice dimostrare che, per ogni aperto Ω ⊆ R1+N , perogni funzione f ∈ C(Ω,RN) e per ogni (t0, x0) ∈ Ω, esiste sempre almeno uncilindro di sicurezza Ch,r(t0, x0) per f . Infatti, se CH,R(t0, x0) è un cilindro chiusocontenuto in Ω (che esiste poiché Ω è aperto), è sufficiente scegliere r = R e h > 0abbastanza piccolo in modo che

h ≤ min

H,

R

maxCH,R ‖f‖

.

Osserviamo che se f ≡ 0 su CH,R(t0, x0), quest’ultimo è banalmente di sicurezzaper f . ]

Definizione A.1. Una funzione f = f(t, x) : Ω → RN si dice localmente lipschi-tziana in Ω rispetto ad x se per ogni insieme compatto K ⊂ Ω esiste una costanteL = L(K) > 0 tale che

‖f(t, x1)− f(t, x2)‖ ≤ L‖x1 − x2‖ per ogni (t, x1), (t, x2) ∈ K.

Si ha il noto risultato:

Teorema A.1.3. Sia Ω un aperto di R1+N e sia f : Ω→ RN una funzione continuae localmente lipschitziana in Ω rispetto ad x. Se (t0, x0) ∈ Ω e se Ch,r(t0, x0) è unqualche cilindro di sicurezza per f , allora posto I = [t0 − h, t0 + h] proiezione diCh,r sull’asse t, esiste un’unica soluzione γ ∈ C1(I,RN) di (PC) tale che, inoltre,

(t, γ(t)) ∈ Ch,r(t0, x0) per ogni t ∈ I.

L’unicità è intesa nel senso seguente: se ψ ∈ C1(J,RN) è un’altra soluzione di(PC), allora ψ ≡ γ su J ∩ I.

Ripercorriamo brevemente una dimostrazione del teorema sopra, basata sulTeorema di Punto Fisso di Banach-Caccioppoli.

Una ripetuta applicazione della proprietà di lipschitzianità locale permette diprovare che la mappa

u 7→ F (u)(t) := x0 +

∫ t

t0

f(s, u(s)) ds, t ∈ I

è tale che F n è una contrazione (per un adeguato n) sullo spazio metrico completo

X := u ∈ C(I,RN) : ||u(t)− x0|| ≤ r se |t− t0| ≤ h

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equipaggiato con la norma uniforme, in quanto, per ogni u, v ∈ X, risulta

maxt∈I||F n(u)(t)− F n(v)(t)|| ≤ (L(Ch,r)h)n

n!·maxt∈I||u(t)− v(t)||.

Osserviamo che il ruolo di Ch,r come cilindro di sicurezza assicura che F mappi Xdentro X, infatti:

||F (u)(t)− x0|| ≤∫ t

t0

||f(s, u(s))|| ds ≤ max(t,x)∈Ch,r

||f(t, x)|| · h ≤ r.

Esiste quindi un elemento u ∈ X tale che F (u) = u, di conseguenza u risolve (PC)nell’equivalente forma di Volterra.

Per l’unicità si può ragionare con un argomento di connessione: se γ ∈ C1(I,RN)e ψ ∈ C1(J,RN) sono soluzioni di (PC), sfruttando ancora la lipschitzianità localedi f si può mostrare che il sottoinsieme chiuso non vuoto t ∈ I ∩ J : γ(t) = ψ(t)del connesso I ∩ J è anche relativamente aperto in tale intervallo.

Lemma A.1.4 (Ricoprimento con cilindri di sicurezza). Sia Ω ⊆ R1+N

un aperto e sia f : Ω → RN una funzione continua. Sia poi K un sottoinsiemecompatto di Ω. Allora esistono h, r > 0 ed esiste un compatto K ′ tali che K ⊂ K ′ ⊂Ω e Ch,r(t, x) è un cilindro di sicurezza per f , contenuto in K ′, uniformemente per(t, x) ∈ K.

Dimostrazione. Segue da un semplice argomento di compattezza.

I risultati precedenti permettono di dimostrare il seguente fondamentale

Teorema A.1.5. Sia Ω un aperto di R1+N e sia f : Ω → RN una funzionecontinua e localmente lipschitziana in Ω rispetto ad x. Sia poi K un sottoinsiemecompatto di Ω. Allora esistono h, r > 0 (dipendenti da Ω, K e ||f ||) tali che perogni (t0, x0) ∈ K, posto I := [t0−h, t0 +h], esiste un’unica soluzione γ ∈ C1(I,RN)di (PC) tale che, inoltre,

||γ(t)− x0|| ≤ r per ogni t ∈ I.

L’unicità è intesa nel senso del Teor.A.1.3.

Dimostrazione. Segue dal Lem.A.1.4 e dal Teor.A.1.3.

Il precedente risultato assicura la risolubilità di un Problema di Cauchy al va-riare del dato iniziale (t0, x0) in un compatto K. Mostra inoltre che il dominio dellasoluzione ha lunghezza dipendente solo da K e che il suo grafico vive interamentein un compatto fissato.

Queste ultime proprietà verranno riprese in modo più dettagliato nella sezionesuccessiva.

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A.2 Soluzioni massimaliA seguire denoteremo sempre con f = f(t, x) una funzione continua dall’apertoΩ ⊆ R1+N ad RN , localmente lipschitziana in Ω rispetto ad x.

Sia γ ∈ C1(I,RN) una soluzione dell’ODE (A.1), chiameremo prolungamentoproprio di γ ogni altra soluzione ψ ∈ C1(J,RN) della stessa ODE tale che

I $ J e ψ ≡ γ su I.

Se non esiste alcun prolungamento proprio di γ diremo che γ è una soluzio-ne massimale di (A.1). In tal caso ci riferiremo ad I con il termine di dominiomassimale.

In modo analogo si parlerà di soluzione massimale del Problema di Cauchy(PC).Osservazione A.2.1. Siano γi ∈ C1(Ii,RN), per i = 1, 2, soluzioni di (A.1). SeI1 ∩ I2 6= ∅ e se γ1 ≡ γ2 su I1 ∩ I2, allora l’unione di γ1 e γ2

(γ1 g γ2) : I1 ∪ I2 → RN (γ1 g γ2)(t) :=

γ1(t) se t ∈ I1

γ2(t) se t ∈ I2

è una soluzione di (A.1) su I1 ∪ I2. ]

La precedente osservazione è la chiave dell’esistenza di una soluzione massimale,vale infatti il seguente risultato:

Teorema A.2.2. Sia (t0, x0) ∈ Ω. Allora in Problema di Cauchy (PC) ha almenouna soluzione massimale γ, definita su un intervallo aperto contenente t0.

Dimostrazione. Sia Knn una famiglia di compatti in Ω tali che

Kn ⊂ Int(Kn+1) per ogni n e Ω = ∪nKn.

Un argomento iterativo basato sul Teor.A.1.5 e sulla tecnica di unione in Oss.A.2.1permette di costruire, oltre ad una soluzione su [t0,∞[, delle successioni crescentinkk di naturali, tkk in ]t0,∞[ e una successione di funzioni γkk verificanti:

• γk è definita ed è C1 su [t0, tk], e risolve (PC) su tale intervallo;

• γk+1 è un prolungamento di γk, cioè γk+1 ≡ γk su [t0, tk];

• (tk, γk(tk)) /∈ Knk .

Ponendo β := limk→∞ tk, otteniamo una soluzione ψ+ ∈ C1([t0, β[,RN) di (PC)prolungante ogni γk e che non può essere ulteriormente prolungata oltre l’estremodestro β, in quanto la successione (tk, ψ+(tk))k non è limitata o possiede un puntodi accumulazione su ∂Ω. La stessa procedura può essere eseguita a sinistra di t0,da cui la tesi.

Ora che abbiamo l’esistenza di una soluzione massimale andiamo a vederel’unicità.

Proposizione A.2.3 (Fuga dai compatti). Sia ψ una soluzione massimale del-l’ODE (A.1) con dominio massimale ]α, β[. Allora per ogni compatto K di Ωesistono α(K), β(K) ∈]α, β[ tali che

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(t, ψ(t)) /∈ K, per ogni t ∈]α, α(K)[∪ ]β(K), β[.

Dimostrazione. Fissato un compatto K ⊂ Ω proviamo solo l’esistenza di β(K)come sopra, giacché per il caso di α(K) si ragiona in modo analogo. Distinguiamodue casi.

Sia β = +∞. EssendoK compatto, anche la sua proiezione sull’asse t è compat-ta, esiste dunque T > 0 tale che K ⊂ [−T, T ]× RN . Scegliamo allora β(K) := T ,è banale che

β(K) < β = +∞ e (t, ψ(t)) /∈ K per ogni t > β(K).

Assumiamo ora che β < +∞. Siano h, r > 0 come nel Lem.A.1.4 relativa-mente al compatto K e all’aperto Ω. Poniamo β(K) := β − h e dimostriamo cheβ(K) soddisfa l’asserto ragionando per assurdo. Supponiamo quindi che si abbia(t, ψ(t)) ∈ K per almeno un t ∈]β(K), β[. Si noti che t+ h > β.

Sia ψ una soluzione del Problema di Cauchyz = f(t, z)

z(t) = ψ(t).(A.2)

Grazie al Lem.A.1.4, essendo Ch,r(t, ψ(t)) un cilindro di sicurezza per f (dato che(t, ψ(t)) ∈ K), la soluzione di (A.2) esiste almeno sull’intervallo [t− h, t+ h].

D’altra parte, anche la funzione

ψ(t) :=

ψ(t) se t ∈]α, t[

ψ(t) se t ∈ [t, t+ h[

risolve (A.2), ed essendo t+h > β risulterebbe un prolungamento proprio a destradella soluzione massimale ψ. Dall’assurdo segue la tesi.

Dai Teor.A.1.5, Teor.A.2.2 e dalla Prop.A.2.3 otteniamo il seguente risultato:

Teorema A.2.4. Sia (t0, x0) ∈ Ω. Allora il Problema di Cauchy (PC) ammetteun’unica soluzione massimale ψ ∈ C1(D,RN) il cui dominio massimale D è unintervallo aperto ]α, β[ contenente t0.

Inoltre ψ(t) tende a ∂Ω per t→ α e per t→ β, nel senso della Prop.A.2.3.

A.3 Dipendenza continua dai dati inizialiDenotando con γ0(t) la soluzione del Problema di Cauchy x = f(t, x) con datoiniziale (t0, x0), se interpretiamo la traiettoria delle soluzioni come l’evoluzione neltempo del sistema fisico associato, ci aspettiamo che, variando di poco la posizioneiniziale e/o il tempo iniziale, la traiettoria corrispondente sia vicina a quella di γ0.

Più precisamente, faremo vedere come le soluzioni dipendono da t0 e x0 e os-serveremo che, sotto le usuali ipotesi su f , la funzione che associa ai dati (t0, x0)la soluzione, è una funzione "continua" (in un senso che specificheremo).

Premettiamo un noto lemma.

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Lemma A.3.1 (Lemma di Gronwall). Sia [a, b] ⊆ R e siano u, v ∈ C([a, b],R),con u non negativa, e sia C ≥ 0 una costante. Supponiamo che si abbia

v(t) ≤ C +

∫ t

a

u(s)v(s) ds, per ogni t ∈ [a, b]. (A.3)

Allora vale

v(t) ≤ C exp

(∫ t

a

u(s) ds

), per ogni t ∈ [a, b]. (A.4)

Dimostrazione. Consideriamo la funzione t 7→ F (t) membro destro di (A.3).Poiché u e v sono continue, F ∈ C1([a, b],R). Inoltre, essendo v ≤ F (moltipli-

cando per u ≥ 0) si ha:

F ′(t) = u(t)v(t) ≤ u(t)F (t), per ogni t ∈ [a, b].

Dalla disuguaglianza F ′ ≤ uF segue immediatamente che, per t ∈ [a, b],

w′(t) ≤ 0, dove w(t) := F (t) exp(−∫ tau(s) ds

),

e ciò implica che w è non crescente su [a, b], dunque

exp

(−∫ t

a

u(s) ds

)v(t) ≤ exp

(−∫ t

a

u(s) ds

)F (t) = w(t) ≤ w(a) = C,

per ogni t ∈ [a, b], e ciò è equivalente a (A.4).

Prima di proseguire, forniamo una definizione.

Definizione A.2. Una funzione β : A ⊆ Rn → R si dice inferiormente semicon-tinua (i.s.c.) in un punto z0 (del derivato di A) se

lim infz→z0

β(z) ≥ β(z0).

Equivalentemente, β è i.s.c. in z0 se per ogni L < β(z0) esiste un intorno V diz0 tale che L < β(z) per ogni z ∈ V ∩ A.

In modo analogo si definiscono le funzioni superiormente semicontinue (s.s.c.).

Teorema A.3.2 (Dipendenza continua dal dato di Cauchy). Sia Ω un sot-toinsieme aperto di R1+N e sia f = f(t, x) : Ω → RN una funzione continuae localmente lipschitziana in Ω rispetto ad x. Dato (t0, x0) ∈ Ω denotiamo cont→ γ(t, t0, x0) la soluzione massimale del Problema di Cauchy

(PC)

x = f(t, x)

x(t0) = x0,

definita sul dominio massimale D(t0, x0) =]α(t0, x0), β(t0, x0)[. Allora:

• l’insieme D := (t, t0, x0) ∈ R2+N : (t0, x0) ∈ Ω, t ∈ D(t0, x0) è aperto;

• la funzione (t, t0, x0) 7→ γ(t, t0, x0) è continua su D;

• β(t0, x0) è i.s.c. su Ω e α(t0, x0) è s.s.c. su Ω.

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Osservazione A.3.3. L’asserto della semicontinuità delle funzioni che formano gliestremi dell’intervallo massimale è equivalente al seguente: fissato (t0, x0) ∈ Ω,per ogni scelta di ε > 0, esiste un intorno Vε di (t0, x0) in Ω tale che le soluzionimassimali di tutti i Problemi di Cauchy (associati alla stessa ODE x = f(t, x)) condati iniziali in Vε hanno dominio massimale almeno [α(t0, x0) + ε, β(t0, x0)− ε]. ]

Dimostrazione. (Del Teor.A.3.2). Supponiamo che valga il seguenteCLAIM: Siano α, β in modo che α(t0, x0) < α < β < β(t0, x0). Preso comunque

un ε > 0 esiste un intorno V ⊂ Ω di (t0, x0) tale che, per ogni (t1, x1) ∈ V ,

• D(t1, x1) ⊃ [α, β];

• ||γ(t, t1, x1)− γ(t, t0, x0)|| < ε per t ∈ [α, β].

Assumiamo il CLAIM e proviamo il teorema. Per semplicità di notazioneponiamo

γi(t) = γ(t, ti, xi), αi = α(ti, xi), βi = β(ti, xi) i = 0, 1.

Iniziamo mostrando la continuità di γ0 su D. Fissiamo (t′, t0, x0) ∈ D, ε > 0 escegliamo α, β tali che α0 < α < t′ < β < β0. Per il CLAIM esiste un intorno V di(t0, x0) contenuto in Ω tale che la soluzione γ1 è definita per (t1, x1) ∈ V , t ∈ [α, β]e, inoltre,

||γ1(t)− γ0(t)|| < ε2

per t ∈ [α, β].

Osserviamo che t 7→ γ0(t) è continua su [α, β] in quanto soluzione di (PC), ricor-dando che [α, β] ⊂ [α0, β0]. Pertanto esiste δ > 0 con |t − t′| < δ ⊂ [α, β] taleche

||γ0(t)− γ0(t′)|| < ε2

se |t− t′| < δ.

Di conseguenza, per (t, t1, x1) ∈ |t− t′| < δ × V , si ha:

||γ1(t)− γ0(t′)|| ≤ ||γ1(t)− γ0(t)||+ ||γ0(t)− γ0(t′)|| < ε

2+ε

2= ε.

Questo prova la continuità della funzione γ su D.Notiamo che D è aperto, infatti se (t′, x0, t0) ∈ D, si è visto che l’insieme

|t− t′| < δ×V è un intorno di (t′, t0, x0) contenuto in D (dal fatto che |t− t′| <δ ⊆ D(t0, x0) e V ⊆ Ω).

Mostriamo infine la i.s.c. di β (la s.s.c. di α si prova in modo analogo). Usandoancora il CLAIM abbiamo che per ogni β < β0 esiste un intorno V ⊆ Ω di (t0, x0)per il quale, se (t1, x1) ∈ V , allora D(t1, x1) ⊃ [α, β], cioè β1 > β, da cui la i.s.c. diβ in (t0, x0).

Resta da dimostrare il CLAIM.Consideriamo il compatto K := (s, γ0(s)) : s ∈ [α, β]. Dal Lem.A.1.4 esistonoh, r > 0 e un insieme compatto K ′ ⊂ Ω contenente K tale che

Ch,r(s, γ0(s)) := (s′, x′) : |s′ − s| ≤ h, ||x′ − γ0(s)|| ≤ r ⊂ K ′, per s ∈ [α, β].

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Inoltre, sempre per il Lem.A.1.4, è noto che possiamo scegliere h e r in modoche tutti i cilindri Ch,r(s, γ0(s)) (al variare di s ∈ [α, β]) siano di sicurezza perl’equazione differenziale x = f(t, x). Siano poi M1 := maxK′ ||f(t, x)|| e M2 lacostante di lipschitz di f su K ′. Dato 0 < ε < r, scegliamo δ > 0 sufficientementepiccolo in modo che

δ < minh, r, [t0 − δ, t0 + δ] ⊂ [α, β] e δ(1 +M1) exp(M2(β − α)) < ε < r.

Poniamo V := (t, x) ∈ Ω : |t − t0| < δ, ||x − x0|| < δ e osserviamo che V ⊂Ch,r(t0, x0) ⊂ K ′. Fissato (t1, x1) ∈ V , essendo |t1 − t0| < δ, si ha

||γ0(t1)− x0|| ≤∫ t1

t0

||f(s, γ0(s))|| ds ≤M1|t1 − t0| ≤M1δ. (A.5)

Consideriamo quindi la funzione t 7→ γ1(t) definita sull’intervallo massimale ]α1, β1[e definiamo t∗ := supt : (s, γ1(s)) ∈ K ′, s ∈ [t1, t]. Dal fatto che il grafico di(t, γ1(t)) è destinato ad uscire dal compatto K ′ (si veda la Prop.A.2.3), abbiamoche t∗ < β1. Inoltre, per t < mint∗, β, si ha che (t, γi(t)) ∈ K ′ per i = 0, 1,pertanto:

γ1(t)−γ0(t) = x1−x0 +

∫ t

t1

f(s, γ1(s)) ds−∫ t

t0

f(s, γ0(s)) ds

= x1 − x0 −∫ t1

t0

f(s, γ0(s)) ds+

∫ t

t1

f(s, γ1(s)) ds−∫ t

t1

f(s, γ0(s)) ds

= x1 − x0 + x0 − γ0(t1) +

∫ t

t1

(f(s, γ1(s))− f(s, γ0(s))

)ds.

Per t1 < t < mint∗, β abbiamo la seguente stima:

||γ1(t)− γ0(t)|| ≤ ||x1 − x0||+ ||x0 − γ0(t1)||+∫ t

t1

||f(s, γ1(s))− f(s, γ0(s))|| ds

≤ δ + δM1 +

∫ t

t1

M2||γ1(s)− γ0(s)|| ds.

Nell’ultima stima si è usato, nell’ordine: (t1, x1) ∈ V e la definizione di V , lastima in (A.5), la definizione di M2 insieme al fatto che il grafico di γ0 giace inK ⊂ K ′ e che il grafico di γ1 giace in K ′ almeno per i tempi in [t1, t

∗]. Infine, dallaDisuguaglianza di Gronwall e dalla scelta di δ, otteniamo:

||γ1(t)− γ0(t)|| ≤ δ(1 +M1) exp(M2(t− t1)) < ε < r (A.6)

per t1 < t < mint∗, β. Questa stima prova anche che, in tale intervallo di tempo,si ha

(t, γ1(t)) ∈ Ch,r(t, γ0(t)) ⊂ K ′.

Ora, se per assurdo fosse t∗ < β, avremmo provato che

||γ1(t)− γ0(t)|| < ε < r per ogni t ∈]t1, t∗[

e, per continuità, la disuguaglianza si propaga a t = t∗. Quindi (t∗, γ1(t∗)) ∈Int(Ch,r(t

∗, γ0(t∗)))⊂ K ′ ed essendo Int

(Ch,r(t

∗, γ0(t∗)))un aperto contenuto in

K ′ viene contraddetta la definizione di t∗. Ne segue che t∗ ≥ β, dunque β1 > t∗ ≥β. La disuguaglianza (A.6) conclude la dimostrazione del CLAIM e il teorema èprovato.

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A.4 Introduzione di parametriE’ chiaro che la soluzione massimale di (PC) dipende sia dai dati iniziali sia da even-tuali parametri che possono comparire nell’equazione differenziale. Consideriamoquindi Problemi di Cauchy associati ad ODE del tipo

x = f(t, x, z)

dove f : Ω × O → RN con Ω ⊆ R1+N , O ⊆ Rm degli aperti e con la convenzioneche t ∈ R, x ∈ RN e z ∈ Rm. Qui O ha il ruolo di spazio di parametri.

Il trucco si basa sulla possibilità di "spostare" i parametri sia nell’incognita,sia nei dati iniziali. Più precisamente, fissati (t0, x0) ∈ Ω e z0 ∈ O, il Problema diCauchy

(PC1)

x = f(t, x, z0)

x(t0) = x0

è equivalente a x = f(t, x, z)

z = 0

x(t0) = x0

z(t0) = z0,

e quest’ultimo può essere pensato come un nuovo Problema di Cauchy

(PC2)

(x, z)′ = (f(t, x, z), 0)

(x, z)(t0) = (x0, z0)

definito sull’aperto Ω×O con dato iniziale (t0, x0, z0) e associato ad una ODE confunzione definente f(t, x, z) = (f(t, x, z), 0).

Supporremo f continua su Ω×O e che abbia derivate parziali

∂f

∂xi,

∂f

∂zj1 ≤ i ≤ N, 1 ≤ j ≤ m

continue su Ω×O, in tal modo viene garantita l’unica risolubilità sia di (PC1) siadi (PC2).

Denotiamo provvisoriamente con t 7→ x(t, t0, x0; z0) la soluzione massimale di(PC1), dipendente sia dai dati iniziali (t0, x0) sia dal parametro z0, e chiamiamot 7→ (x(t, t0, (x0, z0)), z(t, t0, (x0, z0))) la soluzione massimale di (PC2), dipendentedai dati iniziali (t0, (x0, z0)).

Non è difficile riconoscere che tali funzioni hanno lo stesso dominio massimale,che z(t, t0, (x0, z0)) ≡ z0 e che si ha

x(t, t0, x0; z0) = x(t, t0, (x0, z0)),

per ogni t nel comune dominio massimale.Riprendendo la solita notazione γ per la soluzione massimale nel seguito scri-

veremo, per semplicità, γ(t, t0, x0, z0) e denoteremo con

D(t, t0, x0, z0) =]α(t0, x0, z0), β(t0, x0, z0)[

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il suo dominio massimale.Possiamo quindi applicare il Teor.A.3.2 nel caso di (PC2) ed ereditare le infor-

mazioni per la soluzione di (PC1).

Teorema A.4.1 (Dipendenza continua dai dati e dai parametri). Nellenotazioni precedenti, si ha:

• l’insieme D := (t, t0, x0, z0) ∈ R2+N+m : (t0, x0, z0) ∈ Ω×O, t ∈ D(t0, x0, z0)è aperto;

• la funzione (t, t0, x0, z0) 7→ γ(t, t0, x0, z0) è continua su D;

• β(t0, x0, z0) è i.s.c. su Ω×O e α(t0, x0, z0) è s.s.c. su Ω×O.

Dal teorema di cui sopra segue il seguente risultato:

Corollario A.4.2. Preso s ∈ R, consideriamo il seguente Problema di Cauchyparametrico

(PCs)

x = f(t, x, s) t ∈ R, x ∈ RN

x(0) = 0,

con le usuali ipotesi su f . Detta γ(·, s) ∈ C1(D(s),RN) la soluzione massimale di(PCs), allora per ogni compatto K ⊂ R e h > 0, esiste ε = ε(K,h) > 0 tale che

• D(s) ⊃ [−ε, ε] per ogni s ∈ K;

• ||γ(t, s)|| ≤ h per ogni t ∈ [−ε, ε] e per ogni s ∈ K.

Dimostrazione. Fissiamo il compatto K ⊂ R, h > 0 e sia D(s) =]α(s), β(s)[.Per il Teor.A.4.1, α(s) e β(s) risultano rispettivamente s.s.c. e i.s.c. su R.

Poiché le funzioni s.s.c. (i.s.c.) su un compatto ammettono massimo (minimo),esistono s1, s2 ∈ K tali che

α(s) ≤ α(s1) per ogni s ∈ K e β(s) ≥ β(s2) per ogni s ∈ K.

Posti α := α(s1) e β := β(s2), deve necessariamente essere (essendo t0 = 0),

α(s) ≤ α < 0 < β ≤ β(s) per ogni s ∈ K.

Pertanto γ(·, s) è definita almeno su [α, β], uniformemente per s ∈ K.Dal Teor.A.4.1 segue inoltre che (t, s) 7→ γ(t, s) è definita e continua, quin-

di uniformemente continua, sul compatto [α, β] × K. Dunque, ricordando anchel’Oss.A.3.3, è possibile trovare ε > 0 (che dipenderà da K e h ma non da s) taleche [−ε, ε] ⊆ [α, β] ⊂ D, per ogni s ∈ K e,

||γ(t, s)− γ(0, s)|| = ||γ(t, s)|| ≤ h per ogni t ∈ [ε, ε] e per ogni s ∈ K.

Questo conclude la prova.

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A.5 Dipendenza Ck

Il Teor.A.4.1 assicura che la soluzione di un Problema di Cauchy dipende in modocontinuo dai dati iniziali e dai parametri. Vogliamo ora provare un più forte risul-tato di regolarità: questa dipendenza è tanto regolare quanto è regolare la funzionef definente l’equazione differenziale.

Iniziamo con un lemma tecnico.

Lemma A.5.1. Sia I =]a, b[ un intervallo di R e sia V ⊆ RN un insieme apertoconvesso. Sia poi f = f(t, y) ∈ C(I × V,R) e supponiamo che, per ogni t ∈ Ifissato, la mappa y 7→ f(t, y) sia differenziabile su V e che ∇yf sia continuo suI × V . Allora la funzione g ∈ C(I × V × V,RN) definita da

g(t, y1, y2) :=

∫ 1

0

(∇yf)(t, sy2 + (1− s)y1

)ds

verifica, per ogni (t, y), (t, y1), (t, y2) ∈ I × V , le seguenti proprietà:

g(t, y, y) = (∇yf)(t, y) e f(t, y1)− f(t, y2) = 〈g(t, y1, y2), y1 − y2〉.

Dimostrazione. La dimostrazione segue da una diretta applicazione del TeoremaFondamentale del Calcolo Integrale alla funzione

F (s) := f(t, sy2 + (1− s)y1

)0 ≤ s ≤ 1,

ben definita grazie all’ipotesi sulla convessità di V .

Il lemma precedente può essere facilmente esteso per funzioni a valori vettoriali.Più precisamente, consideriamo una funzione f ∈ C(I × V,Rp) e supponiamo che,per ogni t ∈ I fissato, la mappa y 7→ f(t, y) ∈ Rp sia differenziabile su V e cheJyf sia continua su I × V . Ragionando componente per componente, ad f verràassociata una funzione g continua su I × V × V a valori nelle matrici p×N datada

g(t, y1, y2) :=

∫ 1

0

∂f

∂y

(t, sy2 + (1− s)y1

)ds

verificante, per ogni (t, y), (t, y1), (t, y2) ∈ I × V ,

g(t, y, y) = ∂f∂y

(t, y) e f(t, y1)− f(t, y2) = g(t, y1, y2) · (y1 − y2).

Siamo pronti per enunciare il seguente

Teorema A.5.2 (Dipendenza C1). Sia Ω × O ⊆ R1+N × Rm un aperto e siaf = f(t, x, z) : Ω×O :→ RN una funzione continua dotata di derivate parziali

∂f

∂xi,

∂f

∂zj1 ≤ i ≤ N, 1 ≤ j ≤ N

continue su Ω × O. Dato (t0, x0, z) ∈ Ω × O, sia t 7→ γ(t, t0, x0, z) la soluzionemassimale del Problema di Cauchy

x = f(t, x, z)

x(t0) = x0,

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definita sul dominio massimale D(t0, x0, z) =]α(t0, x0, z), β(t0, x0, z)[. Allora lafunzione (t, t0, x0, z) 7→ γ(t, t0, x0, z) è di classe C1 sull’aperto

D = (t, t0, x0, z) ∈ R2+N+m : (t0, x0, z) ∈ Ω×O, t ∈ D(t0, x0, z).

Valgono inoltre i seguenti fatti:

• la funzione D(t0, x0, z) 3 t 7→ ∂γ∂x0

(t, t0, x0, z) è soluzione massimale delproblema di Cauchy lineare omogeneo

(F)

A = J(t)A

A(t0) = IN ,dove J(t) = Jt0,x0,z(t) :=

∂f

∂x(t, γ(t, t0, x0, z), z)

e IN è la matrice identità N ×N ;

• la funzione D(t0, x0, z) 3 t 7→ ∂γ∂z

(t, t0, x0, z) è soluzione massimale del pro-blema di Cauchy lineare non omogeneo

(2F)

B = J(t)B + g(t)

B(t0) = 0,dove g(t) = gt0,x0,z(t) :=

∂f

∂z(t, γ(t, t0, x0, z), z);

• ∂γ

∂t0(t, t0, x0, z) = − ∂γ

∂x0

(t, t0, x0, z) · f(t0, x0, z) per ogni t ∈ D(t0, x0, z).

Dimostrazione. Ricordando il gioco fatto per passare da (PC1) all’equivalente (PC2)possiamo supporre che f non dipenda da z. Pertanto, d’ora in avanti, consideriamoil Problema di Cauchy

x = f(t, x)

x(t0) = x0,

avente soluzione massimale t 7→ γ(t, t0, x0) definita sull’intervallo massimaleD(t0, x0) =]α(t0, x0), β(t0, x0)[.

Per il Teor.A.3.2, γ è continua sull’aperto

D = (t, t0, x0) ∈ R2+N : (t0, x0) ∈ Ω, t ∈ D(t0, x0),

ed essendo f ∈ C(Ω,RN) anche la funzione

(t, t0, x0) 7→ ∂γ

∂t(t, t0, x0) = f(t, γ(t, t0, x0))

è continua su D.Proviamo ora l’esistenza delle derivate parziali di γ rispetto t0 e x0. Fissiamo

(t∗, z) = (t∗, (t, x)) ∈ D e sia [a, b] ⊂ D(t, x) tale che t∗, t ∈ [a, b]. Sia poi r > 0 taleche

• K := [a, b]×B(z, r) ⊂ D;

• (t0, x0) ∈ B(z, r) se t0 ∈ [a, b].

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Dal fatto che gli asserti del teorema sono locali è sufficiente provarli nell’interno Udi K, che è un intorno di (t∗, (t, x)). Scegliamo quindi un punto (t0, x0) ∈ B(z, r).

Volendo provare l’esistenza di ∂γ∂x0

definiamo, per ogni h ∈ R sufficientementepiccolo tale che (t0, x0 + hek) ∈ B(z, r) e k ∈ 1, ..., N,

γh(t) := γ(t, t0, x0 + hek), t ∈ D(t0, x0 + hek).

Poiché K ⊂ D, γh è definita almeno su [a, b] 3 t0. Inoltre, essendo γ continua suD e K è compatto, abbiamo

limh→0

γh(t) = γ0(t) := γ(t, t0, x0), uniformemente per t ∈ [a, b]. (A.7)

Per il Lem.A.1.4, scelti η, δ > 0, possiamo trovare un compatto K ′ in Ω tale che[t − η, t + η] × B(γ0(t), δ) ⊆ K ′ per ogni t ∈ [a, b]. Inoltre, per (A.7) esiste ε > 0tale che

supt∈[a,b]

||γh(t)− γ0(t)|| < δ, per ogni h ∈ R, |h| ≤ ε. (A.8)

Osserviamo che per 0 < |h| < ε, la funzione

uh : [a, b]→ RN uh(t) :=(γh(t)− γ0(t)

)/h

verifica: uh(t) =

(f(t, γh(t))− f(t, γ0(t))

)/h

uh(t0) = (x0 + hek − x0)/h = ek.

Da (A.8) si ha che γh(t) ∈ B(γ0(t), δ) e, grazie al Lem.A.5.1, uh risolve sull’aperto]a, b[ il Problema di Cauchy

x = Jh(t)x

x(t0) = ek,

dove Jh(t) :=∫ 1

0∂f∂x

(t, sγh(t) + (1− s)γ0(t)

)ds, con |h| < ε.

Osserviamo inoltre che, per l’uniforme continuità di f su K ′ ⊂ Ω e le identità(A.7) e (A.8), abbiamo:

• (t, h) 7→ Jh(t) è continua su [a, b]×]− ε, ε[;

• Jh(t)→ J(t) =∂f

∂x(t, γ0(t)) per h→ 0, uniformemente per t ∈ [a, b].

Facciamo ora variare k = 1, ..., N e collezioniamo le funzioni uh così ottenuteponendole in colonna in una N ×N -matrice Uh, soluzione su ]a, b[ del Problema diCauchy matriciale

(PCh)

Ah = Jh(t)Ah

Ah(t0) = IN .

Il Teor.A.4.1 garantisce che il limite

U(t) := limh→0

Uh(t)

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esiste per ogni t ∈]a, b[ ed è l’unica soluzione massimale di

(PC0)

A = J(t)A

A(t0) = IN .

Dall’arbitrarietà di (t0, x0) ∈ B(z, r), abbiamo ottenuto che U(t) = ∂γ∂x0

(t, t0, x0)esiste per ogni (t, t0, x0) ∈ U .

Al fine di verificare che questa matrice Jacobiana ha entrate continue, riscri-viamo (F) nella forma più esplicita

A = J(t, t0, x0)A

A(t0) = IN ,dove J(t, t0, x0) =

∂f

∂x(t, γ(t, t0, x0)).

Poiché f fa derivate parziali continue su Ω e γ ∈ C(D,RN), la funzione (t, t0, x0) 7→J(t, t0, x0) è continua su U . Di conseguenza, per il Teor.A.3.2, la mappa (t, t0, x0) 7→∂γ∂x0

(t, t0, x0) è continua su U e, come funzione di t, è soluzione massimale di (F).Prendiamo ora in analisi l’esistenza e continuità di ∂γ

∂t0(t, t0, x0). Definiamo

quindi, per h ∈ R tale che (t0 + h, x0) ∈ B(z, r), la mappa

ψh(t) := γ(t, t0 + h, x0),

definita almeno su [a, b] per tale scelta di r. Con le solite notazioni per η, δ e K ′,dal fatto che

limh→0

ψh(t) = ψ0(t) := γ(t, t0, x0) uniformemente per t ∈ [a, b], (A.9)

è possibile trovare ε > 0 tale che

supt∈[a,b]

||ψh(t)− ψ0(t)|| < δ, per ogni h ∈ R, |h| ≤ ε.

Poiché la soluzione del Problema di Cauchyx = f(t, x)

x(t0) = x(t0, t0 + h, x0)

è la stessa di x = f(t, x)

x(t0 + h) = x0,

usiamo le dovute notazioni

γ(t, t0 + h, x0) = γ(t, t0, γ(t0, t0 + h, x0)),

per ogni t ∈ [a, b] ⊂ D(t0 + h, x0) = D(t0, γ(t0, t0 + h, x0)).Pertanto, per 0 < |h| < ε, la funzione

vh : [a, b]→ RN vh(t) :=(ψh(t)− ψ0(t)

)/h

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può essere riscritta come

vh(t) =(γ(t, t0, γ(t0, t0 + h, x0))− γ(t, t0, x0)

)/h.

Da (A.9) e dal fatto che γ(t0, t0, x0) = x0 possiamo supporre ε sufficientementepiccolo in modo che

(t0, γ(t0, t0 + h, x0)) ∈ B(z, r), per ogni |h| ≤ ε

e quindi applicare il Lem.A.5.1 ottenendo

vh(t) = Jh(t) ·(γ(t0, t0 + h, x0)− x0

h

), per t ∈ [a, b], 0 < |h| < ε

dove Jh(t) :=∫ 1

0∂γ∂x0

(t, t0, sγ(t0, t0 + h, x0) + (1− s)x0

)ds, con |h| < ε.

Inoltre, per la continuità di ∂γ∂x0

su D e dunque sul compatto K, si ha:

limh→0

Jh(t) = J0(t) =∂γ

∂x0

(t, t0, x0), uniformemente per t ∈ [a, b]. (A.10)

D’altra parte, poiché x0 = γ(t0 + h, t0 + h, x0), abbiamo

γ(t0, t0 + h, x0)− x0 = γ(t0, t0 + h, x0)− γ(t0 + h, t0 + h, x0)

= −h∫ 1

0

γ(t0 + (1− s)h, t0 + h, x0

)ds

= −h∫ 1

0

f(t0 + (1− s)h, γ(t0 + (1− s)h, t0 + h, x0)

)ds

= −h∫ 1

0

f(t0 + (1− s)h, ψh(t0 + (1− s)h)

)ds.

Passando al limite sotto al segno di integrale (per convergenza uniforme) si ha:

limh→0

γ(t0, t0 + h, x0)− x0

h= −f(t0, ψ0(t0)) = −f(t0, x0). (A.11)

Abbiamo quindi, da (A.10) e (A.11), che

limh→0 vh(t) = − ∂γ

∂x0

(t, t0, x0) · f(t0, x0) per ogni t ∈ [a, b].

Di conseguenza, dall’arbitrarietà di (t0, x0) ∈ B(z, r) e ricordando la definizione divh, otteniamo:

∂γ

∂t0(t, t0, x0) = − ∂γ

∂x0

(t, t0, x0) · f(t0, x0) per ogni (t, t0, x0) ∈ U .

Si noti che (t, t0, x0) 7→ ∂γ∂t0

(t, t0, x0) è continua su U per la continuità di f su Ω edi ∂γ

∂x0su U . Il teorema è così provato.

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Osservazione A.5.3. Nella prova di cui sopra è contenuto un notevole risultato,ovvero l’esistenza delle derivate seconde

∂t

(∂γ

∂x0

(t, t0, x0, z)

),

∂t

(∂γ

∂z(t, t0, x0, z)

)e

∂t

(∂γ

∂t0(t, t0, x0, z)

),

fornite nonché da funzioni continue in (t, t0, x0, z). D’altra parte, da

∂γ

∂t(t, t0, x0, z) = f(t, γ(t, t0, x0, z), z)

e avendo dimostrato che γ è C1 in tutti i suoi argomenti, segue che f(t, γ(t, t0, x0, z), z)è C1 rispetto a (t0, x0, z) (sotto la sola ipotesi di continuità di f rispetto a t), e,di conseguenza, anche ∂γ

∂t(t, t0, x0, z) è C1 rispetto a (t0, x0, z). Esistono quindi e

sono continue

∂x0

(∂γ

∂t(t, t0, x0, z)

),

∂z

(∂γ

∂t(t, t0, x0, z)

)e

∂t0

(∂γ

∂t(t, t0, x0, z)

).

Per il Teorema di Schwarz è possibile scambiare l’ordine di tali derivate seconde. ]Osservazione A.5.4. Apparentemente non abbiamo provato la formula (2F). Inrealtà essa discende dal seguente ragionamento: dalla prova sopra (avendo inglo-bato la dipendenza dal parametro z nella dipendenza dal dato x0), segue che lasoluzione γ(t, t0, x0, z) dipende in modo C1 da z. Possiamo quindi differenziarerispetto a z la seguente identità:

∂γ

∂t(t, t0, x0, z) = f(t, γ(t, t0, x0, z), z)

e, per quanto detto, scambiare ∂∂t

con ∂∂z. Ne segue, dalla regola della derivata

composta

∂t

∂γ

∂z(t, t0, x0, z) =

∂f

∂x(t, γ(t, t0, x0, z), z)

∂γ

∂z(t, t0, x0, z) +

∂f

∂z(t, γ(t, t0, x0, z), z),

con le posizioni

B(t) :=∂γ

∂z(t, t0, x0, z),

g(t) :=∂f

∂z(t, γ(t, t0, x0, z), z),

J(t) :=∂f

∂x(t, γ(t, t0, x0, z), z).

]

Un ragionamento induttivo su k, partendo dal caso k = 1 nella prova delTeor.A.5.2, permette di ottenere il seguente fondamentale risultato:

Teorema A.5.5 (Dipendenza Ck). Sia Ω × O ⊆ R1+N × Rm un aperto e siaf = f(t, x, z) : Ω×O → RN una funzione di classe Ck, con k ≥ 1 o k =∞. Dato

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(t0, x0, z) ∈ Ω × O, sia t 7→ γ(t, t0, x0, z) la soluzione massimale del Problema diCauchy

x = f(t, x, z)

x(t0) = x0,

definita sul dominio massimale D(t0, x0, z). Allora la funzione (t, t0, x0, z) 7→γ(t, t0, x0, z) è di classe Ck sull’aperto

D := (t, t0, x0, z) ∈ R2+N+m : (t0, x0, z) ∈ Ω×O, t ∈ D(t0, x0, z).

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Appendice B

Il Teorema diCampbell-Baker-Hausdorff-Dynkinper ODE

Lo scopo principale di questa seconda appendice consiste nel dimostrare il Teoremadi Campbell-Baker-Hausdorff-Dynkin per ODE, che ha avuto un ruolo da protago-nista nella presente tesi. Nel seguito, per brevità, ci riferiremo ai nomi sopracitaticon l’acronimo di CBHD.

B.1 Il Teorema Esponenziale e l’operazione di CBHDIniziamo con il costruire un’appropriata struttura algebrica astratta in cui enun-ciare il Teorema Esponenziale di CBHD, dal quale dedurremo importanti risultatiapplicabili in molti altri ambienti.

Nel seguito K sarà un campo a caratteristica nulla.Sia K〈x, y〉 l’algebra associativa unitaria dei polinomi a coefficienti in K nelle

indeterminate non commutative x e y (con l’usuale prodotto tra polinomi), natu-ralmente dotata di una struttura di algebra di Lie ponendo [p, q] := p · q− q · p, perp, q ∈ K〈x, y〉.

Denotiamo conL(x, y) :=

⋂x,y⊂g⊆K〈x,y〉

g

la più piccola sottoalgebra di Lie di K〈x, y〉 contenente x e y e chiamiamo i suoielementi Lie polinomi in x e y.

Indichiamo poi con T[[t]] l’algebra associativa unitaria delle serie di potenze for-mali nell’indeterminata t a coefficienti nell’algebra K〈x, y〉, avente quindi elementidella forma

p =∑∞

k=0 aktk con ak ∈ K〈x, y〉, per ogni k ≥ 0

e il solito prodotto di Cauchy per le serie di potenze formali.

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Chiamiamo grado minimo di p =∑∞

k=0 aktk ∈ T[[t]] il numero

deg(p) :=

mink : ak 6= 0 se p 6= 0

+∞ se p = 0.

E’ possibile dotare T[[t]] di una metrica ponendo, per p, q ∈ T[[t]],

d(p, q) := e−deg(p−q), con la convenzione e−∞ = 0.

Più precisamente, d munisce T[[t]] di una struttura di spazio ultrametrico in quan-to, per ogni p, q, r ∈ T[[t]], è soddisfatta la seguente formulazione più forte delladisuguaglianza triangolare:

d(p, q) ≤ maxd(p, r), d(r, q).

Osserviamo che, data una successione pnn in T[[t]], si ha

pnn→∞−−−→ 0 ⇔ deg(pn)

n→∞−−−→∞,

da cui è immediato riconoscere la convergenza di ogni successione di Cauchy inT[[t]], o, in altre parole, la completezza di (T[[t]], d).

In particolare, in uno spazio ultrametrico una successione è di Cauchy se e solose la distanza tra l’n-esimo e l’(n+ 1)-esimo termine tende a 0 per n→∞. Da ciòsegue, per l’invarianza per traslazioni di d, che ogni serie

∑n≥0 pn in T[[t]] soddisfa

la condizione di Cauchy, dunque è convergente, se e solo se pn → 0 per n→∞.Introduciamo ora l’endomorfismo di T[[t]]

Dt : T[[t]]→ T[[t]] Dt

(∑k≥0

aktk

):=∑k≥1

kaktk−1,

che risulta essere una derivazione continua di T[[t]] ed una biezione tra i due se-guenti sottoinsiemi delle serie di potenze formali con termine di grado 0 uguale a0 e ad 1:

T[[t]]+ :=

∑k≥0

aktk ∈ T[[t]] : a0 = 0

,

1 + T[[t]]+ :=

∑k≥0

aktk ∈ T[[t]] : a0 = 1

.

La "facile" convergenza delle serie nello spazio metrico T[[t]] (e la caratteristica0 di K) fa si che siano bel definite le mappe:

Exp : T[[t]]+ → 1 + T[[t]]+ Exp(p) :=∞∑k=0

pk

k!,

Log : 1 + T[[t]]+ → T[[t]]+ Log(1 + q) :=∞∑k=1

(−1)k+1

kqk.

Proposizione B.1.1. Le mappe Exp e Log sopra definite sono l’una l’inversadell’altra.

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Dimostrazione. Proviamo che Log(Exp(p)) = p per ogni p ∈ T[[t]]+, la prova cheExp(Log(1 + q)) = 1 + q per ogni q ∈ T[[t]]+ è analoga. Sia quindi p ∈ T[[t]]+, siha:

Log(Exp(p)) = Log

(1 +

∞∑i=1

pi

i!

)=∞∑j=1

(−1)j+1

j

(∞∑i=1

pi

i!

)j

=∞∑j=1

(−1)j+1

j

∞∑i1=1

pi1

i1!· · ·

∞∑ij=1

pij

ij!=∞∑k=1

pkk∑j=1

∑i1+···+ij=k

(−1)j+1

j

1

i1! · · · ij!=: (?).

Prendiamo innanzitutto in esame il caso in cui p = x ∈ R e 1+q = ex. Applicandolo sviluppo di Maclaurin di log(1 + q) con q ∈]− 1, 1[, cioè con x < log2, nel casoreale si ha:

x = log(ex) =∞∑k=1

xkk∑j=1

∑i1+···+ij=k

(−1)j+1

j

1

i1! · · · ij!.

Da ciò segue che l’identità

k∑j=1

∑i1+···+ij=k

(−1)j+1

j

1

i1! · · · ij!=

1 se k = 1

0 se k > 1

risulta vera in Q e di conseguenza in K, dato che ogni campo di caratteristica zerocontiene un sottocampo isomorfo a Q. Possiamo così concludere che (?) = p.

Nel seguito useremo anche la notazione compatta eu per Exp(u), con u ∈ T[[t]]+.Andiamo a formulare il Teorema Esponenziale nell’ambiente algebrico costruito.

Teorema B.1.2 (CBHD). Consideriamo la serie di potenze in T[[t]] definita da

Z := Log(Exp(xt) · Exp(yt)) (B.1)

e denotiamo con Zn(x, y) ∈ K〈x, y〉 i suoi coefficienti:

Z =∞∑n=1

Zn(x, y)tn.

Allora, per ogni n ∈ N, Zn(x, y) è un Lie polinomio in x e y:

Zn(x, y) ∈ L(x, y) per ogni n ∈ N.

Il teorema è altamente non banale infatti, dalle definizioni di Exp e Log, si ha:

Z = Log(Exp(xt) · Exp(yt)) = Log

(∑i+j≥1

xiyj

i!j!ti+j

)

=∞∑k=1

(−1)k+1

k

∑i1+j1+···+ik+jk≥1

xi1yj1 · · · xikyjki1!j1! · · · ik!jk!

ti1+j1+···+ik+jk .

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Dunque, il Teorema di CBHD assicura che, per ogni n ∈ N,

Zn(x, y) =n∑k=1

(−1)k+1

k

∑(i1,j1),···,(ik,jk)6=(0,0)i1+j1+···+ik+jk=n

xi1yj1 · · · xikyjki1!j1! · · · ik!jk!

∈ L(x, y).

L’idea della dimostrazione, che omettiamo per l’onerosità dei calcoli, si basasulla possibilità di manipolare (B.1) per ottenere uno sviluppo di ogni coefficientedi Z come combinazione lineare dei coefficienti di ordine minore, in cui Z1 = x+y eZ2 = 1

2[x, y] sono chiaramente Lie polinomi. Più precisamente, usando la notazione

Z(t) per Z (che verrà giustificata in seguito), tale rappresentazione ricorsiva degliZn(x, y) scaturisce dall’identità equivalente a Exp(Z(t)) = Exp(xt) · Exp(yt) eottenuta da questa mediante opportuni risultati di rappresentazione algebrica, datada

1− e−adZ(t)

adZ(t)(DtZ(t)) = e−adZ(t)(x) + y, (B.2)

dove (adx)(y) := [x, y] è la mappa aggiunta di x e usando la notazione compattae· per Exp(·).

Osserviamo che (B.2) contiene un profondo significato, il quale emerge chiara-mente se sviluppata nella seguente forma simmetrica:

DtZ(t) =adZ(t)

eadZ(t) − 1(x) +

−adZ(t)

e−adZ(t) − 1(y). (B.3)

Nel seguito ci riferiremo all’ODE autonoma non lineare in Z(t) di cui sopra con ilnome di ODE di Poincaré.

Ponendo b(z) :=z

ez − 1, l’ODE di Poincaré può essere scritta come:

DtZ(t) = b(adZ(t))(x) + b(−adZ(t))(y).

Pensando a z come una variabile complessa, non è difficile riconoscere che b èolomorfa sulla palla centrata nell’origine di raggio 2π e quindi che può essererappresentata come serie di potenze

b(z) =∑∞

n=0

Bn

n!zn, per ogni z ∈ B(0, 2π) ⊂ C.

Il seguente lemma permetterà di trovare una formula chiusa e non ricorsiva perdeterminare i coefficienti Zn che compaiono nel Teorema di CBHD.

Lemma B.1.3. Si consideri la mappa lineare φ : K〈x, y〉 → L(x, y) tale cheφ(1) = 0, φ(x) = x, φ(y) = y e, per ogni scelta di indici i1, j1, ..., ik, jk e k ∈ N,

φ(xi1yj1 · · · xikyjk) :=(adx)i1(ad y)j1 · · · (adx)ik(ad y)jk−1(y)

i1 + j1 + · · ·+ ik + jk.

Allora φ è una proiezione, precisamente è suriettiva e φ(l) = l per ogni l ∈ L(x, y).

Grazie al Teorema di CBHD, la mappa sopra definita dà, per ogni n ∈ N,l’espressione di Zn(x, y) come Lie polinomio

Zn(x, y) = φ(zn(x, y))(B.4)

53

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=1

n

n∑k=1

(−1)k+1

k

∑(i1,j1),···,(ik,jk)6=(0,0)i1+j1+···+ik+jk=n

(adx)i1(ad y)j1 · · · (adx)ik(ad y)jk−1(y)

i1!j1! · · · ik!jk!.

Teorema B.1.4. Dalla proprietà universale dell’algebra K〈x, y〉, la formula (B.4)vale per tutti gli elementi X, Y di un’algebra associativa unitaria (A, ∗), sostituendox con X, y con Y e il prodotto in K〈x, y〉 con il prodotto ∗.

Definizione B.1. Sia (g, [·, ·]) un’algebra di Lie, definiamo per ogni n ∈ N lemappe Zn : g× g→ g, (a, b) 7→ Zn(a, b) dove

Zn(a, b) :=1

n

n∑k=1

(−1)k+1

k

∑(i1,j1),···,(ik,jk)6=(0,0)i1+j1+···+ik+jk=n

(ad a)i1(ad b)j1 · · · (ad a)ik(ad b)jk−1(b)

i1!j1! · · · ik!jk!.

(B.5)Inoltre poniamo

a b :=∞∑n=1

Zn(a, b) (B.6)

se ciò a senso, (e.g., se la serie converge rispetto una qualche topologia su g).Chiamiamo (B.6) serie omogenea di CBHD.

Introduciamo anche la seguente notazione:

Ci,j(a, b) :=

i+j∑k=1

(−1)k+1

k

∑(i1,j1),···,(ik,jk)6=(0,0)

i1+···+ik=ij1+···+jk=j

(ad a)i1(ad b)j1 · · · (ad a)ik(ad b)jk−1(b)

(i+ j) · i1!j1! · · · ik!jk!,

(B.7)che permette di scrivere

Zn(a, b) =∑i+j=n

Ci,j(a, b), n ≥ 1

e, se lecito, di esprimere a b come

a b =∞∑

i,j=0

Ci,j(a, b).

B.2 L’operazione di CBHD in algebre di Lie finito-dimensionali

Ci proponiamo ora di provare un importante risultato di convergenza locale dellaserie di CBHD.

Sia (g, [·, ·]) un’algebra di Lie finito-dimensionale su K, dove K è R o C, e sia|| · || una norma su g verificante

||[a, b]|| ≤ ||a|| · ||b||, per ogni a, b ∈ g. (B.8)

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L’esistenza1 di tale norma è garantita dalla condizione sulla dimensione di g.Andiamo quindi a studiare la convergenza della serie

∑∞n=1 Zn(a, b), con a, b ∈ g.

Osserviamo che, usando la rappresentazione di Zn(a, b) fornita da (B.5) e ap-plicando (B.8), si ha:

∞∑n=1

||Zn(a, b)|| ≤∞∑k=1

1

k

∑(i1,j1),···,(ik,jk)6=(0,0)

||a||i1+···+ik · ||b||j1+···+jk

i1!j1! · · · ik!jk!

=∞∑k=1

1

k

∑(i,j) 6=(0,0)

||a||i

i!· ||b||

j

j!

k

=∞∑k=1

1

k

(e||a||+||b|| − 1

)k=: (?).

Si vorrebbe usare per (?) il noto sviluppo di Maclaurin∞∑k=1

1

kqk = −log(1− q), |q| < 1

ma ciò è possibile sotto la condizione che |e||a||+||b||−1| < 1, cioè se ||a||+||b|| < log2.Abbiamo quindi ottenuto che

||a b|| ≤∞∑n=1

||Zn(a, b)|| ≤ −log(2− e||a||+||b||) = log

(1

2− e||a||+||b||

)(B.9)

ogni qual volta che ||a||+ ||b|| < log2.

Abbiamo così provato il seguente fatto:

Teorema B.2.1. Sia (g, [·, ·]) un’algebra di Lie finito-dimensionale su K, dove Kè R o C, e sia || · || una norma su g verificante (B.8).

Allora esiste un intorno U di 0 ∈ g tale che la serie omogenea di CBHD

a b :=∞∑n=1

Zn(a, b)

converge totalmente2, quindi uniformemente, per ogni a, b ∈ U .Più precisamente, U è dato da

U :=

a ∈ g : ||a|| < log2

2

.

1 Se dimK g = N è possibile considerare una norma ||·||V su g identificando g con KN mediantela scelta di una base V = v1, ..., vN di g,

‖N∑

k=1

xkvk‖V :=√|x1|2 + · · ·+ |xN |2, (x1, ..., xN ) ∈ KN .

La bilinearità e continuità della mappa g× g 3 (a, b) 7→ [a, b] ∈ g rispetto alla topologia di spaziometrico (g, || · ||V) garantiscono l’esistenza di una costante M > 0 tale che

||[a, b]||V ≤M ||a||V · ||b||V , per ogni a, b ∈ g.

Ponendo || · || := M || · ||V si ottiene da || · ||V una norma || · || su g ad essa equivalente e verificante(B.8).

2∑∞n=1 supa,b∈U ||Zn(a, b)|| <∞.

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Vogliamo ora specializzare in un’algebra di Lie finito-dimensionale l’ODE for-male ottenuta nell’algebra T[[t]]

DtZ(t) = b(adZ(t))(x) + b(−adZ(t))(y),

dove Z(t) =∑∞

n=1 Zn(x, y)tn e b(z) =z

ez − 1.

Sia quindi g un’algebra di Lie finito-dimensionale su R equipaggiata di unanorma || · || verificante (B.8). Fissato z ∈ g in modo che ||z|| < 2π, consideriamola mappa

b(ad z) : g→ g x 7→ b(ad z)(x) :=∞∑n=0

Bn

n!(ad z)n(x).

Osserviamo che la definizione è ben posta, infatti ricordando che la funzione b èanalitica sul disco complesso di centro 0 e raggio 2π, con una diretta applicazionedi (B.8) si può verificare facilmente la convergenza assoluta della serie di cui sopra.

Per x, y ∈ g, con il solito significato per Zn(x, y), la stima (B.9) permette ditrovare ε > 0 sufficientemente piccolo affinché∑∞

n=1 ||Zn(x, y)|| < 2π, ogni qual volta ||x||, ||y|| < ε.

Più precisamente, la condizione

log(

1

2− e||x||+||y||

)< 2π, cioè ||x||+ ||y|| <log(2− e−2π),

porta a definire tale ε come ε := 12log(2− e−2π) (< log2

2).

Presi quindi x, y ∈ g tali che ||x||, ||y|| < ε, possiamo considerare il seguenteProblema di Cauchy su g:

γ = b(ad γ)(x) + b(−ad γ)(y)

γ(0) = 0,

risolto, sull’intervallo [−1, 1], dalla funzione

t 7→ γ(t) :=∞∑n=1

Zn(x, y)tn.

Inoltre, riprendendo la notazione Ci,j introdotta in (B.7), si possono dimostrare iseguenti fatti:

• Il Problema di Cauchy µ = b(adµ)(x)

µ(0) = y(B.10)

è soddisfatto, per t ∈ [−1, 1], dalla mappa

µ(t) := Z(tx, y) = tx+ y +∞∑i=1

(∞∑j=1

Ci,j(x, y)

)ti;

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• Il Problema di Cauchy ν = b(−ad ν)(y)

ν(0) = x(B.11)

è soddisfatto, per t ∈ [−1, 1], dalla mappa

ν(t) := Z(x, ty) = x+ ty +∞∑j=1

(∞∑i=1

Ci,j(x, y)

)tj.

B.3 Il Teorema di CBHD per ODESiamo quasi pronti per enunciare e dimostrare il Teorema di CDHB per ODE. Ri-chiamiamo prima alcuni risultati mettendoci nell’ambiente in cui verrà formulato.

Sia X(Ω) lo spazio vettoriale reale dei campi vettoriali C∞ sull’aperto Ω diRN , naturalmente dotato di una struttura di algebra di Lie ponendo [X, Y ] :=X Y − Y X, per X, Y ∈ Ω.

Dato X in X(Ω) e fissato x ∈ Ω useremo i seguenti simboli

γ(t,X, x), ΨXt (x), exp(tX)(x),

per riferirci alla soluzione massimale (come funzione di t) uscente da x, definita suldominio massimale D(X, x), del Problema di Cauchy

γ = X(γ)

γ(0) = x.

Denoteremo inoltre con ΩXt (possibilmente non vuoto) il dominio della mappa

x 7→ ΨXt (x) flusso del campo vettoriale X, cioè:

ΩXt := x ∈ Ω : t ∈ D(X, x).

Useremo anche la convenzione (Xf)(x) := Xx(f), se x ∈ Ω e f ∈ C∞(Ω).Dato un diffeomorfismo C∞ F : Ω → F (Ω) ⊆ RN e un campo vettoriale

X ∈ X(Ω), chiamiamo pushforward di X rispetto ad F , il campo vettoriale inX(F (Ω)) definito come:

(dFX)y := dF−1(y)F (XF−1(y)), y ∈ F (Ω)

dove dFx rappresenta il differenziale di F nel punto x. Indicando dFx con F∗,useremo anche le seguenti scritture equivalenti:

(F∗X)F (x) = dxF (Xx), per ogni x ∈ Ω,

(F∗X)g(F (x)) = X(g F )(x), per ogni x ∈ Ω, g ∈ C∞(F (Ω)).

Osserviamo che, nelle notazioni precedenti, si ha:

F (ΨXt (x)) = ΨF∗X

t (F (x)), per ogni x ∈ Ω, t ∈ D(X, x),

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cioè il diffeomorfismo F manda curve integrali di X in x ∈ Ω, in curve integrali diF∗X in F (x) ∈ F (Ω). Infatti, applicando la definizione di curva integrale,

d

dtF (ΨX

t (x)) = dΨXt (x)F (XΨXt (x)) = (F∗X)F (ΨXt (x)).

Dunque, la curva t 7→ γ(t) := F (ΨXt (x)), risolve il Problema di Caucy

γ(t) = (F∗X)γ(t)

γ(0) = F (x)

da cui, per l’unicità della soluzione, γ(t) = ΨF∗Xt (F (x)).

Non è difficile provare che la funzione flusso x 7→ ΨXt (x) risulta essere un

diffeomorfismo C∞ con inversa la mappa ΨX−t : ΩX

−t → ΩXt . L’idea consiste quindi

nel considerare il pushforward di un campo vettoriale Y rispetto al flusso di unaltro campo X, con il fine di ottenere un’interpretazione del commutatore [X, Y ]come peso della variazione di Y sotto l’azione delle curve integrali di X.

Presi dunque X, Y ∈ X(Ω), consideriamo

(dΨX−tY )x = dΨXt (x)Ψ

X−t(YΨXt (x)), per ogni x ∈ Ω, t ∈ D(X, x),

o, equivalentemente

(dΨX−tY )f(x) = Y (f ΨX

−t)(ΨXt (x)), per ogni x ∈ Ω, t ∈ D(X, x) e f ∈ C∞(Ω).

Abbiamo il seguente risultato:

Teorema B.3.1. Nelle notazioni precedenti, si ha:

d

dtY (f ΨX

−t)(ΨXt (x)) = [X, Y ](f ΨX

−t)(ΨXt (x)), (B.12)

vera per ogni x ∈ Ω, t ∈ D(X, x) e per ogni f ∈ C∞(Ω).

Dimostrazione. Proviamo (B.12) nel caso in cui f sia la mappa identità di RN ,cioè

d

dtY (ΨX

−t)(ΨXt (x)) = ([X, Y ]ΨX

−t)(ΨXt (x)), x ∈ Ω, t ∈ D(X, x). (B.13)

Se x ∈ Ω, t ∈ D(X, x), allora ΩXt 6= ∅ e sappiamo che ΨX

t : ΩXt → ΩX

−t è undiffeomorfiso C∞ con inversa ΨX

−t. Per ogni x ∈ ΩXt risulta quindi ben posta la

mappaD(X, x) 3 t 7→ F (t) := (YΨX

−t)(ΨXt (x)),

più esplicitamente, si ha:

F (t) = JΨX−t(ΨX

t (x))Y (ΨXt (x)).

Applicando le note formule di derivazione, abbiamo

F ′(t) = −JΨX−t(ΨX

t (x))JXI(ΨXt (x))Y (ΨX

t (x)) + JΨX−t(ΨX

t (x))X(Y I)(ΨXt (x))

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= JΨX−t(ΨX

t (x))

(− Y (XI)(ΨX

t (x)) +X(Y I)(ΨXt (x))

)= JΨX−t

(ΨXt (x))[X, Y ](ΨX

t (x))

= ([X, Y ]ΨX−t)(Ψ

Xt (x)).

Ciò prova (B.13) e (B.12) segue direttamente da essa.

Corollario B.3.2. Nelle notazioni precedenti, per ogni k ∈ N, si ha:

dk

dtkY (f ΨX

−t)(ΨXt (x)) =

((adX)kY

)(f ΨX

−t)(ΨXt (x)),

per ogni x ∈ Ω, t ∈ D(X, x), f ∈ C∞(Ω) e dove (adX)k(Y ) = [X, [X · · · [X, Y ] · ··]].

Dimostrazione. Segue dal Teor.B.3.1 con un argomento induttivo.

Un potente strumento quale la formula di Taylor con resto integrale permettedi ottenere la seguente versione integrale di (B.12):

(dΨX−tY )(x) =

k∑j=0

((adX)jY

)(x)

tj

j!

+1

k!

∫ t

0

(t− τ)kdΨX−τ((adX)k+1Y

)(x) dτ, k ∈ N

o, più in generale,

Y (f ΨX−t)(Ψ

Xt (x)) =

k∑j=0

((adX)jY

)f(x)

tj

j!

+1

k!

∫ t

0

(t−τ)k((adX)k+1Y

)(fΨX

−τ )(ΨXτ (x)) dτ, k ∈ N

per ogni x ∈ Ω, t ∈ D(X, x) e per ogni f ∈ C∞(Ω).

Ci chiediamo quindi se è lecito mandare k → ∞ nelle formule di cui sopra.Essendo interessati al caso in cuiX e Y sono dei campi vettoriali in una sottoalgebradi Lie di X(Ω) finito-dimensionale, il seguente risultato permette di rispondere atale domanda.

Teorema B.3.3. Sia Ω un aperto di RN e sia g ⊂ X(Ω) una sottoalgebra di Liefinito-dimensionale, allora

(dΨX−tY )(x) =

∞∑j=0

((adX)jY

)(x)

tj

j!, per ogni x ∈ Ω, t ∈ D(X, x), (B.14)

o, più in generale,

(dΨX−tY )f(x) =

∞∑j=0

(ad tX)jY

j!f(x), per ogni x ∈ Ω, t ∈ D(X, x), f ∈ C∞(Ω),

e le serie di potenze in t ai membri destri sono convergenti.

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Questo risultato è altamente non banale, infatti dati X, Y campi vettoriali C∞su Ω, è possibile dimostrare che, sotto opportune condizioni sulla norma uniformedi (adX)jY , per ogni x ∈ Ω fissato la funzione t 7→ (dΨX

−tY )(x) non è solo C∞ mabensì reale analitica su D(X, x), condizioni che risultano essere sempre verificatenel caso in cui si prendano X e Y in una sottoalgebra di X(Ω) di dimensione finita.

Nel seguito useremo la seguente notazione compatta

dΨX−tY = ead tXY su ΩX

t .

Osserviamo che sotto l’ulteriore ipotesi che ogni campo vettoriale di g sia globale,l’identità sopra diventa un’identità su Ω.

La dipendenza da X di ΨXt (x) suggerisce che questa può essere studiata, oltre

che come funzione di t e x, anche come funzione

g 3 X 7→ ΨXt (x) ∈ RN ,

quando x ∈ Ω e t ∈ D(X, x) sono fissati. In particolare, si vuole fornire unarappresentazione delle "derivate parziali"

d

dτ |τ=0ΨX+τYt (x)

per ogni X, Y ∈ g. Osserviamo che la funzione ΨX+τYt (x) è ben posta, infatti,

fissati x ∈ Ω e t ∈ D(X, x), il Teor.A.4.1 assicura l’esistenza di un ε > 0 tale chet ∈ D(X + τY, x), ogni qual volta τ ∈ [−ε, ε].

Forniamo ora un lemma.

Lemma B.3.4. Siano Ω ⊆ R1+N , O ⊆ Rm degli aperti e sia f = f(t, y, ξ) ∈C(Ω×O,RN). Supponiamo che le derivate parziali

∂f

∂yi,

∂f

∂ξj1 ≤ i ≤ N , 1 ≤ j ≤ m

esistano e siano continue su Ω × O. Detta t 7→ γξt,t0(x) la soluzione massimale,definita sul dominio massimale D(t0, x, ξ), del Problema di Cauchy parametrico

γ = f(t, γ, ξ)

γ(t0) = x,

si ha la seguente identità:

∂ξγξt,t0(x) =

∫ t

t0

(∂

∂xγξt,s

)(γξs,t0(x)

)·(∂f

∂ξ

)(s, γξs,t0(x), ξ

)ds

vera per ogni (t, (t0, x), ξ) ∈ R× Ω×O tali che t ∈ D(t0, x, ξ).

Dimostrazione. E’ una conseguenza del Teor.A.5.2 e della proprietà di semigruppoper ODE non autonome.

60

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Teorema B.3.5. Sia g ⊂ X(Ω) una sottoalgebra di Lie di dimensione finita esiano X, Y ∈ g. Fissati x ∈ Ω, t ∈ D(X, x), si ha:

d

dτ |τ=0ΨX+τYt (x) = JΨXt

(x) ·∞∑j=0

tj+1((adX)jY

)(x)

(j + 1)!.

Equivalentemente, in forma compatta,

d

dτ |τ=0ΨX+τYt (x) = JΨXt

(x) ·(ead tX − 1

ad tX(tY )

)(x).

Se ogni campo vettoriale di g è globale le formule sopra sono valide per ognit ∈ R, e le serie convergono per ogni t ∈ R.

Dimostrazione. Per definizione, la mappa s 7→ ΨX+τYs (x) risolve, su D(X + τY, x),

il Problema di Cauchy γ = (X + τY )(γ)

γ(0) = x.

Applicando il Lem.B.3.4 con t0 = 0, f(s, y, τ) = (X + τY )(y) e sostituendo γτs,rcon ΨX+τY

r−s si ha, per ogni s ∈ D(X + τY, x),

d

dτΨX+τYs (x) =

∫ s

0

JΨX+τYs−r

(ΨX+τYr (x)

)· Y(ΨX+τYr (x)

)dr

=

∫ s

0

(YΨX+τY

s−r) (

ΨX+τYr (x)

)dr.

Poiché per τ sufficientemente piccolo t ∈ D(X + τY, x), possiamo contempo-raneamente prendere τ = 0 e s = t. Inoltre, dalla proprietà di semigruppoΨXt−r = ΨX

t ΨX−r e dalla regola della Catena, abbiamo:

d

dτ |τ=0ΨX+τYt (x) =

∫ t

0

(YΨX

t−r) (

ΨXr (x)

)dr

=

∫ t

0

JΨXt

(ΨX−r(ΨXr (x)

))·(YΨX

−r) (

ΨXr (x)

)dr

= JΨXt(x) ·

∫ t

0

(YΨX

−r) (

ΨXr (x)

)dr

= JΨXt(x) ·

∫ t

0

(dΨX−rY

)(x) dr =: (?).

Poiché abbiamo presoX e Y in una sottoalgebra di Lie di X(Ω) finito-dimensionale,il Teor.B.3.3 assicura la validità di (B.14), pertanto è possibile integrare sotto ilsegno di serie, essendo la serie di potenze convergente, che dà:

(?) = JΨXt(x) ·

∫ t

0

∞∑j=0

((adX)jY

)(x)

rj

j!dr

= JΨXt(x) ·

∞∑j=0

((adX)jY

)(x)

tj+1

(j + 1)!.

Ciò conclude la prova.

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Osservazione B.3.6. Nelle ipotesi del teorema precedente, supponiamo che X1, ..., Xmsia una base di g. Fissati x ∈ RN e t ∈ R, esisterà ε > 0 tale che, sull’insiemeξ ∈ Rm : ||ξ|| ≤ ε, sia ben definita la mappa

ξ 7→ Et,x(ξ) := Ψξ·Xt (x), ξ ·X := ξ1X1 + · · ·+ ξmXm.

Se ogni campo vettoriale in g è globale, Et,x risulta C∞ su tutto Rm. Osserviamoinoltre che

∂Et,x∂ξi

(ξ) =d

dτ |τ=0Ψξ1X1+···+(ξi+τ)Xi+···+ξmXmt (x)

=d

dτ |τ=0Ψξ·X+τXit (x),

da cui, per il Teor.B.3.5, si ha la seguente identità

∂Et,x∂ξi

(ξ) = JΨξ·Xt(x) ·

(ead (ξ·X) − 1

ad (ξ ·X)Xi

)(x), (B.15)

per ogni i ∈ 1, ...,m e per ogni ξ ove ben definita Et,x. ]

Ricordando che exp(X)(x) denota la curva integrale, al tempo t = 1, del campovettoriale X uscente da x, possiamo finalmente enunciare il seguente

Teorema B.3.7 (Teorema di CBHD per ODE). Sia g ⊂ X(Ω) una sottoalgebradi Lie di dimensione finita, con Ω un aperto di RN , e sia || · || una norma fissatasu g. Valgono allora i seguenti fatti:

• Esiste ε > 0 (dipendente da || · ||) per il quale la serie omogenea di CBHD

Z(X, Y ) :=∞∑n=1

Zn(X, Y )

converge per ogni X, Y ∈ g con ||X||, ||Y || ≤ ε.

Inoltre, per ogni x ∈ Ω esiste ε(x) > 0 (dipendente anche da X e Y ) tale chel’identità tra ODE

exp(Y )(exp(X)(x)

)= exp

(Z(X, Y )

)(x) (B.16)

è soddisfatta da ogni X, Y ∈ g con ||X||, ||Y || ≤ ε(x).

Se K è un sottoinsieme compatto di Ω, lo stesso ε(K) > 0 può esseresostituito al posto di ε(x), uniformemente per x ∈ K.

• Se ogni campo vettoriale in g è globale, allora tale ε(x) di cui sopra nondipende da x ∈ Ω, ma solo da X e Y .

• Infine, se la serie di CBHD converge (in g) per ogni X, Y ∈ g e se ogni campovettoriale in g è globale, allora (B.16) risulta vera per ogni X, Y ∈ g e perogni x ∈ Ω, senza alcuna restrizione su ||X||, ||Y ||.

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Dimostrazione. Poiché g ha dimensione finita, possiamo supporre che la norma ||·||su g verifichi la proprietà (B.8). Per il Teor.B.2.1 di convergenza locale della seriedi CBHD, è possibile trovare ε > 0 (dipendente da g e da || · ||) tale che la serieZ(X, Y ) =

∑∞n=1 Zn(X, Y ) sia convergente in g ogni qual volta ||X||, ||Y || ≤ ε.

Ovviamente, se Z(X, Y ) converge per ogni X, Y ∈ g, è possibile prendere ε = ∞.Dal Teor.B.2.1 segue inoltre che anche la doppia serie

Z(X, tY ) = X + tY +∞∑j=1

(∞∑i=1

Ci,j(X, Y )

)tj

converge in g per ||X||, ||Y || ≤ ε e t ∈ [0, 1].Fissiamo quindi x ∈ Ω. Per il Teor.A.4.1 di dipendenza continua per ODE,

esiste ε(x) > 0, che possiamo supporre più piccolo di ε, tale che le funzioni

t 7→ F (t) := exp(tY )(exp(X)(x)

),

t 7→ G(t) := exp(Z(X, tY )

)(x)

sono ben poste per t in un intorno aperto di [0, 1], quando ||X||, ||Y || ≤ ε(x).Tale ε(x) non dipende da x ma solamente da K fintanto che K è un sottoinsiemecompatto di Ω e x ∈ K. Osserviamo inoltre che la stima

||Z(X, Y )|| ≤ log

(1

2− e||X||+||Y ||

)ottenuta in (B.9), è anche necessaria a garantire la buona posizione della curvaintegrale

s 7→ exp(sZ(X, tY )

)(x)

fino ad s = 1, uniformemente per t ∈ [0, 1].Nel caso in cui ogni campo vettoriale di g è globale (dunque, quando esiste,

lo è anche Z(X, Y )), è possibile prendere ε(x) = ε per ogni x ∈ Ω, dato che F (t)è definita per ogni t ∈ R e per ogni X, Y ∈ g, mentre G(t) è definita su [0, 1] econ ||X||, ||Y || ≤ ε. Se invece la serie Z(X, Y ) converge per ogni X, Y ∈ g, si puòscegliere ε(x) = ε = ∞, e F (t) e G(t) sono definite per ogni t ∈ R e per ogniX, Y ∈ g.

Resta da dimostrare che F (t) = G(t) per ogni t ∈ [0, 1], da cui seguirà latesi prendendo t = 1. A tal fine mostriamo che F e G risolvono, su [0, 1], lostesso Problema di Cauchy con dato iniziale F (0) = exp(X)(x) = G(0) (essendoZ(X, 0) = X).

Come conseguenza della definizione di curva integrale si ha

F ′(t) = Y (F (t)), t ∈ [0, 1].

Calcoliamo quindi G′(t). Fissata una base X1, ..., Xm di g, esisteranno dellefunzioni differenziabili ξ1(t), ..., ξm(t) tali che

Z(X, tY ) =m∑j=1

ξj(t)Xj =: ξ(t) ·X. (B.17)

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In tal modo possiamo scrivere G(t) = Ψξ(t)·X1 (x) e, per l’Oss.B.3.6 (riprendendo

anche le stesse notazioni), si ha:

G′(t) = Jξ 7→Ψξ·X1 (x)(ξ(t)) · ξ′(t)

(B.15)= J

Ψξ(t)·X1

(x) ·m∑j=1

(ead (ξ(t)·X) − 1

ad (ξ(t) ·X)Xj

)(x) · ξ′j(t)

= JΨξ(t)·X1

(x) · ead (ξ(t)·X) − 1

ad (ξ(t) ·X)

(m∑j=1

ξ′j(t)Xj

)(x) =: (?).

Essendo g un’algebra di Lie finito-dimensionale, possiamo servirci dei risultati ot-tenuti per l’ODE di Poincaré per derivare (B.17) rispetto a t, più precisamente,per (B.11), abbiamo:

m∑j=1

ξ′j(t)Xj =d

dtZ(X, tY ) = b

(− adZ(X, tY )

)(Y ).

Con la notazione più breve Z per Z(X, tY ), segue che

(?) = JΨZ1(x) · e

adZ − 1

adZ

(b(−adZ)

)Y (x) =: (2?).

Osservando che, per w ∈ C vicino all’origine, si ha

ew − 1

w· b(−w) =

ew − 1

w· −we−w − 1

= ew,

possiamo dedurre che

eadZ − 1

adZ

(b(−adZ)

)= e−adZ ,

e ottenere così (usando e−adZY = dΨZ−1Y ):

(2?) = JΨZ1(x) ·

(e−adZY

)(x) = JΨZ1

(x) ·(dΨZ−1Y

)(x) =

(dΨZ−1Y

)ΨZ

1 (x).

Ricordando che(dΨZ−1Y

)ΨZ

1 (x) = Y (ΨZ1 ΨZ

−1)(ΨZ1 (x)) e che ΨZ

1 ΨZ−1 = I, si ha:

G′(t) = Y (ΨZ1 (x)),

e, poiché ΨZ1 (x) = Ψ

Z(X,tY )1 (x) = exp

(Z(X, tY )

)(x) = G(t), possiamo concludere

G′(t) = Y (G(t)).

Di conseguenza, F e G soddisfano la stessa ODE, così la prova è conclusa.

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Bibliografia

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[03] S. Chiappelli, Tesi di Laurea Magistrale in Matematica: Applicazione aiGruppi di Lie della Prolungabilità per Equazioni Differenziali Ordinarie,2015-2016

[04] E. Lanconelli, Lezioni di Analisi Matematica 2, Pitagora, 2001

[05] T.C. Sideris, Ordinary Differential Equations and Dynamical Systems,Department of Mathematics, University of California, Santa Barbara, 2013

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