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1 “Cose di Cosa Nostra” L’assemblea di marzo. L’American Dre- am invade Roma - di Edoardo Speranza Fino al 7 maggio al Palazzo delle Esposizioni la mostra dedicata al Guggenheim Mu- seum di New York. Un’epoca di profondo cam- biamento e di transizione, quella compresa tra il 1945 e il 1980, che ha visto due paesi come l’Italia e gli Stati Uniti d’America affrontarla (segue a pag 9) Le Kantiadi - di Martina Musumeci Il 12 Aprile, si sono svolte le Kantiadi, le spe- ciali Olimpiadi del nostro liceo, nel campo di Tor Tre Teste. Nonostante il tempo non fosse dei migliori, si sono presentati quasi tutti gli studenti, molti dei quali hanno par- tecipato alle numerose discipline sportive che si sono svolte. (segue a pag 3) C’era una volta, serie tv a pag 20 - di Gabriella Santos Gonzalez Il 28 marzo il Kant si è riunito davanti al teatro Tendastrice per una nuova assemblea: que- sta volta si è parlato di quell’or- ganismo che giorno dopo giorno continua ad imprimere profonde modifiche all’aspetto quanto alla vita di questo no- stro bel Paese, la mafia, in par- ticolare di ciò che riguarda un argomento scottante di questi giorni, l’importanza che la ma- fia ha all’interno del progetto della TAV. I rappresentanti d’istituto han- no invitato per l’occasione di- versi ospiti: il vice presidente (segue a pag 4) -di Giulia Di Censi e Chiara Melis Venti anni fa, il 23 maggio 1992, alle ore 17 e 56 le tecnologiche strumentazioni dell’Isti- tuto di Geofisica e di Vulcanologia di monte Erice registrano “un piccolo evento sismi- co con epicentro fra i comuni di Isola delle Femmine e Capaci”. La lieve scossa fu il ter- remoto che devastò la dignità del nostro pa- ese : una carica di cinquecento chili di tritolo stronca la vita del giudice Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e degli uo- mini della sua scorta. E’ la strage di Capaci. (segue a pag 10) Il gabbiano Jona- than Livingston, di Richiard Bach a pag 18 Bimensile IX uscita 27 aprile 2012 Nel mare ci sono i coccodrilli, di Fabio Geda a pag 19 -ideato e disegnato da Federica Sasso

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“Cose di Cosa Nostra”

L’assemblea di marzo.

L’American Dre-am invade Roma- di Edoardo SperanzaFino al 7 maggio al Palazzo delle Esposizioni la mostra dedicata al Guggenheim Mu-seum di New York.Un’epoca di profondo cam-biamento e di transizione, quella compresa tra il 1945 e il 1980, che ha visto due paesi come l’Italia e gli Stati Uniti d’America affrontarla (segue a pag 9)

Le Kantiadi- di Martina MusumeciIl 12 Aprile, si sono svolte le Kantiadi, le spe-ciali Olimpiadi del nostro liceo, nel campo di Tor Tre Teste. Nonostante il tempo non fosse dei migliori, si sono presentati quasi tutti gli studenti, molti dei quali hanno par-tecipato alle numerose discipline sportive che si sono svolte.(segue a pag 3)

C’era una volta, serie tva pag 20

- di Gabriella Santos GonzalezIl 28 marzo il Kant si è riunito davanti al teatro Tendastrice per una nuova assemblea: que-sta volta si è parlato di quell’or-ganismo che giorno dopo giorno continua ad imprimere profonde modifiche all’aspetto quanto alla vita di questo no-stro bel Paese, la mafia, in par-ticolare di ciò che riguarda un argomento scottante di questi giorni, l’importanza che la ma-fia ha all’interno del progetto della TAV.I rappresentanti d’istituto han-no invitato per l’occasione di-versi ospiti: il vice presidente (segue a pag 4)

-di Giulia Di Censi e Chiara MelisVenti anni fa, il 23 maggio 1992, alle ore 17 e 56 le tecnologiche strumentazioni dell’Isti-tuto di Geofisica e di Vulcanologia di monte Erice registrano “un piccolo evento sismi-co con epicentro fra i comuni di Isola delle Femmine e Capaci”. La lieve scossa fu il ter-remoto che devastò la dignità del nostro pa-ese : una carica di cinquecento chili di tritolostronca la vita del giudice Giovanni Falcone, di sua moglie Francesca Morvillo e degli uo-mini della sua scorta. E’ la strage di Capaci.(segue a pag 10)

Il gabbiano Jona-than Livingston, di Richiard Bach a pag 18

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Nel mare ci sono i coccodrilli, di Fabio Gedaa pag 19

-ideato e disegnato da Federica Sasso

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Editoriale

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Eccovi la nona uscita, finalmen-te!“Finalmente” lo dico -per quan-to non sappia in quanti abbiate penato per l’attesa!- perché ab-biamo dovuto saltare un’usci-ta, facendo sì che parlassimo di un’assemblea di più di un mese fa.Mi dispiace che abbiamo dovu-to attendere così tanto quei già pochi studenti che non sanno ancora gestire i propri impegni: siete di fronte ad un’uscita orfa-na di redazione, proprio ora che la fine dell’anno rende così diffi-cile tenere a bada tutto.Eppure quest’uscita eccola qui.Ci sono, recensite da Martina Musumeci, le tanto attese Kan-tiadi, di cui, purtroppo, non sia-mo riusciti a trovare tutte le foto dei vincitori, potendo perciò inserire solo alcune, più “sceno-grafiche”: mi scuso ufficialmen-te con i vincitori, cui avrei volu-to dare più rilievo.C’è poi la succitata assemblea di marzo, sulla mafia, di cui ho fatto quasi un verbale, tanto ho sottolineato ogni parola impor-tante per la nostra cultura, di cittadini del futuro. Un’attenta analisi, dunque, quella dell’arti-colo sull’assemblea, in cui cro-naca interna ed esterna si fondo-

no in un unicum di Vox Kantis, che parte dalle esperienze vis-sute insieme, per le quali rin-graziamo di cuore i volenterosi rappresentanti d’istituto, per poi andare a scavare nel quoti-diano di un mondo sempre più grigio ed oscurato per i nostri giovani occhi. La verità è che la luce su quel mondo la dobbia-mo accendere noi, nessun altro. Ed un’assemblea così, beh, ce lo urla in faccia.Interessante anche l’articolo sul-la mostra di Guggenheim, in questi giorni a Roma, redatto con cura da un attento Edoardo Speranza.Un grande articolo, poi, che ri-prende l’argomento dell’assem-blea: Giulia Di Censi e Chiara Melis sono partite dalla rifles-sione su questi vent’anni tra-scorsi dall’omicidio di Falcone e Borsellino ad oggi, per ricolle-gare, con un filo peraltro molto poco sottile, come aveva spiega-to nell’assemblea don Cozzi, la vicenda Dell’Utri, molto recente e di notevole importanza stori-co-politica, checché ne pensino alcuni politici.Tornando poi alla cronaca in-terna, vi invitiamo soddisfatti a leggere le interviste ai nostri cari vincitori dei recenti certa-

mina, di Fabio Borzetti, France-sca Cicetti e Matteo Catania. Manca qualcuno, forse? Già e confesso che non è stata una gran bella sorpresa sentirsi dire che Antonio Sciurti e Clau-dia Radicchi del III B non han-no voluto farsi intervistare, per una sorta di avversione a Vox Kantis. Triste, più che altro, che non si riesca a fare corpo in un contesto così gradevole e fer-tile come quello di un liceo ed in particolare come quello del Kant.Infine un interessante scorcio, disegnato da Lorena Urucu, della periferia della nostra città, comunque attiva e viva, nel pro-prio disagio.Torna poi la rubrica di poesia, di Chiara De Felici, ed addirittura ne nasce una nuova, di viaggi, “In itinere”, con il racconto di Marco Lopetuso. Tornano le curiosità, di Alice Casalvieri, e le recensioni, una di Eleonora Gulli ed una mia su due libri, una di Andrea Cecchini su una serie tv. Per finire un racconto di Simone Di Lillo ed il tanto atteso ritorno del Sudokant di Marco Fulgaro, insieme a delle nuove vignette, che spero ap-prezziate! la direttrice,

Gabriella Santos Gonzalez

BimensileIX uscita27 aprile 2012

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Cronaca interna

(segue dalla prima pag)Le gare sono iniziate alle 9.00 con il getto del peso, di cui i vin-citori sono stati, per le gare femminili, Ele-onora Caraballo del biennio, Sara Fabri del triennio; mentre per le gare

m a -schili, Niletti per il b i e n -n i o , R e l l a per il t r ien-

nio.C ont e mp or a n e a -mente si sono svolte anche il salto in alto ed il salto in lungo: per il salto in alto, le vincitrici sono sta-te Sara della Canfo-ra del biennio e Irene Martinelli del triennio, i vincitori, invece,

sono stati A n d r e a S e v e r o -ni del b i e n n i o e Alessio

Torri del trien-nio; per il salto in lungo, le vincitrici sono state Valeria Sfregola del bien-nio ed Elena di Pietro per il trien-nio, i vincitori, invece, Francesco

Giannone del bien-nio e Giuseppe Ber-gamo del triennio.In seguito si sono svolte le qualificazio-ni per la finale dei 60 metri piani e dopo questa i 100 metri. Le vincitrici dei 100 meti sono state Nicolai Altea del triennio e del biennio Sara Dasto-

li, che, nonostante all’inizio non fosse prima, ha rimontato piano piano su tutte le sue avversarie fino a giungere per prima al traguardo; i vinci-

tori, invece, sono stati Francesco Martella del biennio e Denis Alta-rocca del triennio. Successivamente si sono svolte le finali dei 60 metri, i cui vincitori sono stati anco-ra Francesco Giannone del biennio e Daniele Giorgi del

triennio per le gare maschili,e Raffaella Nardozza del biennio e di nuovo Elena Di Pietro del triennio.Si è svolta inoltre la staffetta, i cui vincitori sono stati il grup-po Ketchup e Maionese; poi si è svolta la maratona dei docen-ti, alla quale hanno partecipato

quasi più studenti che professori, ma, nono-stante que-sto, i primi tre classi-ficati sono stati Sion,

il professor Sisca ed il professor Cirelli.Si sono svolte, infine, le premia-zioni ad opera del Preside, che si è complimentato con tutti i ragazzi che hanno partecipato e con quelli che hanno vinto nelle varie discipline di questa mani-festazione sportiva, che speria-mo si svolgerà negli anni a ve-nire, con ancora più entusiasmo

e parteci-p a z i o n e da parte di noi kantiani.

Il Kant si mette in gioco:le Kantiadi!

Un’uscita in ritardo ed orfana.

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(segue dalla prima pag)nazionale di Libera don Marcello Cozzi, il magistrato della Corte di Cassazione Ferdinando Im-posimato, che da anni si occupa di lotta alla mafia e alla camorra, il responsabile di Libera a Roma Ferdinando Secchi ed infine Di Biasi, un membro della CGIL.Dopo gli interventi iniziali del preside, che ha annunciato il de-siderio proprio e dei rappresen-tanti di improntare l’assemblea sugli interventi di noi studenti, e del rappresentante d’istituto Lo-renzo Cipriani, che ci ha ricor-dato di come gli argomenti “ma-fia” e “TAV” riguardino in prima persona tutti noi, don Cozzi ha preso la parola: il suo intervento è stato incentrato su di un certo “saccheggio”. Quale saccheggio?Il saccheggio che stanno facen-do ad ognuno di noi, ad ogni cittadino ed in particolare a chi come noi una cultura da cittadi-no se la sta facendo proprio ora: un saccheggio di parole, di parole come “mafia”.Cosa significa, infatti, “mafia”, oggi?Per alcuni è qualcosa di indefi-nito e lontano da sé, qualcosa di riconducibile a bande, a gang cri-minali: don Cozzi è venuto a dir-ci che non è così. La criminalità mafiosa, ora come ora, è molto

più di “una guerra tra guardie e la-dri”: “se parlassimo di Provenzano e company -ha aggiunto- avremmo finito da un pezzo”. Ci hanno ru-bato questa parola, se non abbiamo ancora capito che “non sono quat-tro gangster a tenere in ostaggio il nostro Paese”!Così come ci hanno derubato del-la parola “legalità”, ha continuato don Cozzi: “Non riusciamo più a distinguere ciò che è lecito da ciò che è illecito”.

Il suo è stato un discorso intera-mente attuo a parlarci di come la realtà mafiosa non sia qualcosa di lontano dalla nostra, ma di colluso con essa, soprattutto nei momenti in cui subentra il substrato cultu-rale made in Italy che lui ha chia-mato “Se lo fanno gli altri perché io non posso?”Una mentalità che diventa ancora più difficile da sradicare in un Pae-se in cui le leggi vengono cambiate

in corso d’opera.Don Cozzi ha anche narrato la storia di un collaboratore di giu-stizia (un mafioso pentito): la lettera che alcuni mafiosi hanno scritto al padre di questo penti-to, dopo alcuni scippi commessi all’età di 12 anni, ci ha dimostrato come la mafia usi il nostro stes-so linguaggio. È l’ennesimo fur-to. Il messaggio che don Cozzi ci ha voluto trasmettere con quella semplice lettera, con la lettera di Matteo Messina Denaro (quarto criminale più ricercato al mon-do) ad un familiare e quella del-lo stesso Provenzano durante la latitanza è stato quello di uno scenario in cui “i buoni ed i cat-tivi” si confondono, non sono su diversi spalti, ma sono spalla a spalla ogni giorno.C’è infine un altro importante saccheggio di cui ci ha parlato: il saccheggio di memoria, soprat-

tutto di una memoria “scomoda”, fatta di giudici uccisi, di pagine dimenticate anche di storia recen-te, perché parlano di quelli che ha definito “scomodi compagni di strada della mafia.” Ha poi aperto un vero squarcio su queste pagi-ne di storia recente, come quella degli anni novanta in cui la stam-pa italiana ha provato a mandare il messaggio che la mafia è stata sconfitta, attraverso le fotografia

dello squallido covo di Provenza-no, sotto la commuovente scritta “Se questo è un boss”; o anche quella meno recente, dello scan-dalo della banca romana, in cui Giolitti stesso parla ad Umberto I dei moltissimi criminali assolti.Dopo questo inte-ressante e denso di-scorso, ha preso poi la parola il magistra-to Imposimato, il cui intervento è stato volto principalmen-te a farci capire l’im-portanza dell’infor-mazione nella lotta alla mafia, parlan-doci dello sdegno che prova nei confronti di quei concittadini di mafiosi che non si sono saputi di-fendere dall’ingiustizia.Interessante l’excursus sulla sua esperienza di giovane magistrato che, giunto a Roma dalla Sicilia, sperava di vivere una vita tran-quilla, al riparo dalle infiltrazioni mafiose, ma si è ritrovato ad ave-re il primo impatto con la mafia del Lazio, tramite un tentativo di omicidio da parte di Frank Cop-pola e Badalamente. Ed è stato grazie a quell’indagine, le cui in-tercettazioni hanno fatto sì che Coppola contattasse il suo stesso superiore, il procuratore generale della Corte d’Appello, che Impo-simato ha capito quanta collusio-ne ci fosse tra quelle istituzioni cui si appellava per fare giustizia e quella mafia che gli era sino ad allora sembrata così lontana dal-la pulita Roma. È stato così che

ha scoperto, anni ed anni or sono, cose che molti di noi, forse, non sanno: ha scoperto quanti perico-losi infiltrati avesse Frank Coppola nella stessa Commissione Antima-fia e quanti amici politici avesse Badalamente, tra cui lo stesso vi-

vente (e “regnante”) An-dreotti!È a questo punto che il magistrato, parlando di quanta preoccupazione gli dava la pericolosità di quei soggetti mafiosi, ha detto una frase che mi ha colpita e che voglio riportarvi: “Diffondeva-no droga, usura, paura.”

Dopo averci parlato della sua car-riera, al magistrato è andato il compito di parlare della costruzio-ne della TAV e di cosa c’entri in tut-to ciò la mafia. È stato strabiliante sentire, per la pri-ma volta, qualco-sa di così grande, di così vero e di così trasparente, in un contesto si-mile: ha iniziato, come si suol dire, “ab ovo”, parten-do dall’83, in cui alcuni attentati per mano della mafia alle imprese che lavoravano per la costruzione della TAV lo hanno portato a capi-re che la mafia voleva avere il con-trollo di quella grande opera, che ai suoi occhi era un’enorme occasio-ne di profitto. Dopo qualche mese dalla nascita di quel progetto, ci ha detto Imposimato, alcune grandi aziende, come la Fiat, la Eni o la Iri,

hanno preso il nome di “general contracts”, con cui garantiva-no la riuscita della TAV: dopo-diché, logicamente, le aziende hanno deciso di incassare il 40% solo per il disturbo, mentre, tra tasse e burocrazia, per la co-struzione vera è rimasto il solo 10%, che non bastava neanche a pagare gli operai, molti dei quali sono quindi stati assunti in nero. Triste sentirsi dire, in un momento in cui peraltro i “lavori” per la TAV continuano, che Imposimato ha dovuto ab-bandonare la relazione sul caso al suo successore perché tutti quanti lo avevano abbandona-to, era rimasto da solo a com-battere. E, al contempo, quasi scioccante sentirsi rivelare che è tutto lì il movente dell’omici-dio di Falcone e Borsellino, che

indagavano sulle grandi opere pub-bliche: nel 1992, due eroi della lotta anti-mafia sono stati assas-

sinati solo perché cercavano di ridare dignità all’Italia indagan-do un malsano progetto come la TAV e, nel 2012, mentre li si loda si sta ancora parlando di questa TAV? A volte mi chiedo come si possa avere la memoria così corta.Dopo questo fondamentale in-tervento e dopo averci infine parlato delle infiltrazioni mafio-

L’assemblea del 28/04/12:la mafia ed i suoi saccheggi.

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- di Gabriella Santos Gonzalez

Scuola di eccellenze, il Kant: ad ogni certamen che passa i nostri com-pagni lo dimostrano sempre di più. Matteo Colucci, Giada Freddoni, Pietro Rossi, Claudia Radicchi, Antonio Sciurti, i nostri vincitori di certamina: ci sono tanti modi per dare lustro al liceo, ma loro lo fanno nel modo più geniale e sicuramente più apprezzato dagli insegnanti di latino e greco! E allora perché non intervistarli?E’ per questo che abbiamo dedicato loro la rubrica Vox Populi di questa nona uscita. Peccato, davvero peccato, che Antonio Sciurti e Claudia Radicchi del IIIB abbiano deciso di non farsi intervistare...senza nean-che degnarci di una recusatio!Gli altri tre, eccoli qui, in un ordine ovviamente casuale.

VOX POPULI

se più vicine a noi, come quelle di Corchiano, cittadina vicino Roma in cui l’ambiente è distrutto dalla mafia e di cui nessuno parla, la pa-rola è passata a Ferdinando Secchi, che ha insistito molto sulla fatica di contrastare la mafia: “E’ impor-tante che vi mettiate all’opera -ha detto- non abdicando alla vostra educazione alla giustizia, ma prati-cando verità rivoluzionarie.”Dopo Secchi ha parlato Di Biasi, membro della CGIL, afferman-do semplicemente di voler fare un passo indietro ed ascoltare gli altri, considerato che l’assemblea si è fatta davvero interessante; c’è stato poi un intervento della prof.ssa Stirati, che ha ripreso la frase di don Milani già citata da don Coz-zi, affermando: “E’ vero, come dice don Milani, che dobbiamo ridare

sovranità alle parole: “democra-zia”, ad esempio, non significa “ar-bitrio”. (…) Il furto è per voi, che siete pieni di oggetti.”C’è stato infine un bel momento dedicato al dialogo tra gli esperti e noi studenti, il momento delle domande, che sono state davvero tante per essere riportate tutte. Grazie ad una domanda, ad esem-pio, il magistrato Imposimato ci ha spiegato che De Pedis, gran-de criminale mafioso, è sepolto in Sant’Apollinare per il semplice motivo che ha fatto favori ad al-cuni uomini di Chiesa: una sorta di pagamento delle indulgenze, insomma!Grazie ad altri interventi don Cozzi ci ha anche parlato delle bugie di Stato: ha citato la vicen-da di Andreotti, mai condannato

non perché, come ha detto Vespa, è innocente, ma perché il reato è caduto in prescrizione.E, invitato da una domanda a rac-contare come si viva la mafia nei piccoli paesini e di quali alterna-tive ci siano, Imposimato ha par-lato di come spesso di confidi, a torto, che la mafia dia lavoro: “E’ un problema devastante, la ma-fia distrugge lavoro e lavoratori. E non c’è mafioso che non abbia fatto una brutta fine, Provenzano e Riina compresi.”Insomma, un’assemblea davve-ro illuminante, illuminante sulle coscienze di ognuno di noi, che spero abbiamo sentito dentro l’importanza di quella frase di Imposimato “Bisogna avere il co-raggio di fare i nomi.”

-A che certamen hai partecipato e cosa ti ha spinta a farlo? E’ la pri-ma volta che partecipi?

Ho partecipato al Certamen Traie-neum, tenutosi a Civitavecchia dal 22 al 24 Marzo (oltre alla competi-zione vera e propria la manifesta-zione prevedeva conferenze e spet-tacoli sul mondo greco e latino). E’ stato il mio primo Certamen e non avrei mai partecipato se non fosse stato per l’incoraggiamento dei miei compagni, che, insieme alla prof.ssa Mastrocicco, mi hanno praticamen-te costretta ad andare.

-Perché pensi di esserti classificata così in alto?

In realtà non me lo aspettavo pro-prio, dal momento che avevo fatto delle imprecisioni nella traduzione. Non lo so, la commissione mi ha detto di aver apprezzato in partico-lare la capacità di collegamenti e di analisi riscontrata nel commento, ma io credo che l’impronta educa-tiva che la nostra scuola, il Kant, lascia in ognuno di noi si sia fatta sentire anche in quell’occasione.

-Ti senti “orgogliosa” per aver raggiunto questo piazzamento e ciò ha reso orgogliosi anche i tuoi professori?

Più che orgogliosa direi soddi-sfatta: in fondo quest’esperienza mi è servita per acquisire sicu-rezza e per diventare consapevo-le delle mie capacità. Per quanto riguarda i professori, sono stati felici e, sì, penso anche orgoglio-si, come ogni volta che un loro alunno raggiunge un qualche ri-sultato, perché in fondo è anche una gratificazione per il loro la-voro.

-Per quale motivo, secondo te, la gente dovrebbe partecipare di più a queste iniziative e il Kant dovrebbe impegnarsi di

più per favorirle, magari isti-tuendo un certamen del Kant (come molte scuole fanno)?

Certamente sono esperienze sti-molanti, anche se impegnative. Parteciparvi significa mettersi alla prova anche al di fuori del-le mura della propria scuola, scoprire altre realtà, per questo ritengo che il Certamen sia un’e-sperienza interessante, da fare. Beh, sì, è vero che al Kant manca l’organizzazione di un Certamen interno, ma comunque negli ul-timi anni molti Kantiani sono stati coinvolti in diverse com-petizioni esterne, nelle quali si sono distinti.

-Un’ultima domanda: cosa vor-resti fare, in futuro, una volta terminata la scuola?

Eh, bella domanda! Ancora non ho le idee molto chiare, perché mi dispiacerebbe lasciare gli stu-di umanistici, ma per il momen-to sono orientata verso Econo-mia o Medicina.

Intervista a Giada Freddoni, III C-di Fabio Borzetti

Intervista a Matteo Colucci, III C-di Francesca Cicetti

-Diamo il benvenuto a Matteo Co-lucci, che quest’anno si è classifica-to sesto all’ ΑΓΩΝ ΕΛΛΗΝΙΚΟΣ. Vuoi dirci che tipo di certamen è?

Dunque, il diciassette febbraio ho partecipato a questa gara, alla quale avevo preso parte anche lo scorso anno. Si tratta di una tra-duzione di un passo di oratoria

greca corredato di commento di carattere storico-letterario.

-Quindi non era il primo cer-tamen a cui partecipavi.

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L’American Dream invade Roma.(segue dalla prima pag)in modi diversi ma allo stesso

tempo con numerose somiglian-ze: il primo, da poco uscito dalla dittatura fascista, che ben presto si troverà ad affrontare il clamoroso boom economico, e a sua volta in-fluenzato dalla strapotenza ame-ricana, vera progenitrice di questi inevitabile fenomeno di cui anco-ra oggi assaporiamo i frutti.A più di sessant’anni di distanza, il sogno americano torna nel bel-paese con una mostra che tocca le tappe fondamentali della sto-ria contemporanea che ha segna-

to questo fenomenale esempio di agglomerato di culture, attraver-

so i più disparat i stili di pit-tura, che l a s c i a n o u n’ i n d e -lebile im-pronta di ciò che ha catturato l’attenzio-ne umana in que-gli anni.

L’esposizione, presente fino al 7 maggio al Palaz-zo delle Esposi-zioni di Roma, prende spunto da uno dei mag-giori scenari del-la rivoluzione culturale ameri-cana, il Guggen-heim Museum di New York, fondato nel 1937 per ospitare tut-

ta quell’arte che altrove sarebbe stata considerata inopportuna e priva di ogni senso, come quel-la realizzata da nomi del cali-bro di Mondrian e Kandiskij. La mostra abbraccia un vasto arco temporale, dalla Pop Art di Warhol e Lichtenstein al Fo-torealismo, dall’arte concettuale al minimalismo, tanti stili per descrivere quell’unico periodo. Un appuntamento dunque im-perdibile per chiunque voglia rivivere il boom della travol-gente cultura americana, o per chi voglia innamorarsene per la prima volta.

No, lo scorso hanno, oltre che alla seconda edizione proprio dell’ ΑΓΩΝ ΕΛΛΗΝΙΚΟΣ, ho parte-cipato al certamen florentinum, a cui tra l’altro prenderò parte anche il quindici di questo mese.

-Hai conseguito un buonissimo risultato. Come ti sei sentito?

Pensando all’anno passato, quan-do mi ero classificato secondo, ov-viamente penso che avrei potuto fare di più. Ad ogni modo sono rientrato tra i primi dieci, perché la mia traduzione, nonostante abbia avuto alcuni dubbi verso la fine, era comunque esatta e il mio commento apprezzabile. Gli orga-nizzatori della gara hanno anche detto che quest’anno il livello di preparazione dei partecipanti era più alto di quanto non fosse l’anno scorso.

-Chi o cosa ti ha spinto a parteci-pare a queste gare?

Quest’anno è stato più semplice, perché avevo alle spalle l’esperien-za dell’anno passato. La proposta è venuta dai professori Dell’Omo e Mastrocicco, che mi hanno spin-to ad esercitarmi e ad impegnarmi sempre di più, anche grazie ai corsi pomeridiani di preparazione.

-Cosa pensi di questo tipo di sfi-de? Pensi che il Kant dovrebbe im-pegnarsi di più, magari istituendo un certamen del Kant?

Senza dubbio gare di questo genere stimolano gli alunni più bravi a fare sempre meglio. Rimanere nell’am-bito della classe a volte può essere riduttivo, mentre confrontarsi con alunni bravi come loro e più di loro sprona a cercare sempre di miglio-rarsi. Come dice Seneca: ‘marcet sine adversario virtus’. Anche il fat-

to che siano in palio premi in denaro senza dubbio aiuta. Sa-rebbe bello se il Kant riuscisse ad istituire un certamen, come il Visconti, anche se probabil-mente è piuttosto difficile dal punto di vista economico. E comunque la scuola è già mol-to impegnata sotto questo pun-to di vista.

-Visto il tuo talento nell’abito delle lingue antiche, pensi di proseguire su questa strada anche dopo il liceo?

Nonostante tutti lo sconsigli-no, e nonostante i pochi sboc-chi lavorativi, mi piacerebbe molto fare l’insegnante di gre-co e latino. Il piacere con cui studio queste letterature mi ha mostrato che per me non ci sa-rebbe nulla di più bello che tra-smettere ad altri ragazzi questa mia passione.

Intervista a Pietro Rossi, III A-di Matteo Catania

-Ciao Pietro, a che Certamen hai partecipato e cosa ti ha spinto a farlo?

Ho partecipato all’Agon Helle-nikos, traduzione dal greco con commento dell’opera. All’inizio non ero convinto di partecipare, poi però mi è venuta la voglia e incoraggiato dalla prof e dai miei compagni mi sono voluto mettere in gioco.

-Qualcuno a scuola potrebbe

pensare che queste competizio-ni siano troppo impegnative, adatte a “mostri che traduco-

no al volo”, e magari con questi pensieri non si iscrive alla gara.

E’ così? Com’era questa versio-ne?

Beh sicuramente io non sono un “mostro” e neanche i miei com-pagni che hanno partecipato con me; mi sono allenato, diciamo che sono cinque anni che un po’ mi alleno traducendo, quindi chiunque ci potrebbe riuscire. La versione non era particolarmente complicata, magari le ultime due righe erano un po’ più complesse per la resa, ma nel totale si poteva

fare.

-Credi sarebbe una buona idea fare un Certamen interno al Kant?

Penso sarebbe un’ottima idea. Mol-ti ignorano le potenzialità che pos-

siedono e una competizione del genere potrebbe stimolare molte menti. Mi auguro che questo pro-getto vada in porto.

-Ti senti orgoglioso del tuo ri-sultato?

Avrei potuto fare molto meglio ma mi posso ritenere soddisfatto. Ai partecipanti dei prossimi anni dico di tenere alto il nome della scuola visto che si è sempre clas-sificata bene. Un saluto a tutti!

Cronaca esterna

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(segue dalla prima pag)La domenica del 19 luglio dello stesso anno alle sei del pomerig-gio, in via D’Amelio una 126 con il bagagliaio imbottito di 90 kg di dinamite esplode uccidendo Paolo Borsellino e con lui i cinque agenti della scorta. Gli attentati di Capaci e via D’Amelio sono stati teatri di un’operazione di sterminio. Dopo quasi vent’anni ci troviamo a riflettere sulla morte di due eroi che hanno cercato davvero di combattere ed estirpare la ma-fia. Falcone e Borsellino aveva-no un conto aperto con Cosa Nostra da quando nell’83 nasce il pool di magistrati con il com-pito di contrastare il fenomeno mafioso in Sicilia. Il gruppo è coordinato da Antonio Capo-netto capo dell’Ufficio Istruzione di Palermo dopo la morte di Rocco Chinnici ucciso il 28 luglio dell’83 da un autobomba. L’idea dell’anzia-no giudice è mutuata dall’esperien-za maturata a Torino in ambito di lotta al terrorismo. Un magistrato che si occupi da solo delle indagini più vulnerabile , più facile da inti-midire o addirittura da eliminare. Cio’ diviene più difficile se il giudi-ce è parte di un pool per ragioni di continuità , sicurezza e per un più efficace scambio di informazioni e di idee. L’arma di cui si servono

Falcone , Borsellino e i loro collegi per scardinare l’omertoso mondo della mafia siciliana è rappresen-tata dai collaboratori di giustizia : i pentiti . Coloro che non sono mossi da un reale rimorso per i cri-mini commessi , ma sono aderen-ti alla mafia perdente e decidono di ottenere protezione dallo Stato. Il più noto è Tommaso Buscetta.

Soprannominato il boss dei due mondi, in quanto ha coordinato un traffico di stupefacenti tra Si-cilia, Usa e Brasile, “don Marsino” ha consentito a Giovanni Falcone di leggere il fenomeno mafioso , di contemplarne la struttura, le tec-niche di reclutamento, le funzioni. Buscetta mette in guardia Falcone sui pericoli che il giudice correrà dopo l’inizio della collaborazione : lo avrebbero distrutto professio-nalmente e fisicamente ed il conto aperto con Cosa Nostra non si sa-rebbe mai chiuso. Assieme a Bu-

scetta che svela l’ organigramma di Cosa Nostra divisa in famiglie , il giuramento cui sono sottoposti gli “uomini d’onore” , la gerarchia il cui vertice è rappresentato dalla “Commissione” o “Cupola” parla-no Francesco Marino Mannoia, Salvatore Contorno e Antonino Calderone. Le dichiarazioni dei collaboratori di giustizia permet-

tono l’emissione di nume-rosi mandati di cattura. Il 29 settembre 1984 , scatta il “blitz di San Michele”. Centinaia di arresti in una sola giornata: intere fami-glie mafiose sono trasferite in sette carceri di massima sicurezza. E’ il preludio al maxiprocesso a Cosa No-stra. Un evento senza pre-

cedenti. La mafia è portata alla sbarra. Il 10 febbraio del 1986 nell’aula bunker , appositamente costruita a Palermo e ribattezzata dai giornalisti “l’astronave verde” per il colore dominante , Cosa Nostra viene processata come or-ganizzazione unitaria con strut-tura verticistica e piramidale. Gli imputati sono 474. 349 udienze , per un totale di 1820 ore , 1314 interrogatori , 635 arringhe difensive, 200 avvocati. Il 16 dicembre 1987 , il presidente della Corte d’Assise legge la sen-

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tenza : 19 ergastoli , 2665 anni di carcere. Il maxiprocesso segna l’apice di Falcone e del suo metodo di in-dagine , di Borsellino e dei com-ponenti del pool antimafia di cui fanno parte oltre a Antonino Ca-ponnetto , Leonardo Guarnotta, Giuseppe di Lello, Gioacchino Natoli , Ignazio De Francisci e Giacomo Conte . Inoltre un ruolo fondamentale hanno rivesti-to due pubblici ministeri del processo : Giuseppe Ayala e Domenico Signorino. Nomi di chi non ha esitato a lot-tare contro un sistema che aveva giurato loro vendet-ta. Infatti dopo la sentenza storica che aveva inchio-dato boss, inizia l’ opera di demolizione professionale del giudice nemico nume-ro uno della mafia con la man-cata designazione alla poltrona di capo dell’ufficio di Istruzione come successore di Caponnetto. Il consiglio superiore della magi-stratura preferì a lui il più anzia-no Antonio Meli. Inoltre non fu trovato il consenso necessario per designare Falcone né come alto Commissario per il coordina-mento della lotta alla mafia né per la carica di Procuratore Naziona-le Antimafia. Fallì , infine , anche l’elezione di Falcone al CSM, qua-si ad avverare quanto Leonardo Sciascia aveva scritto a proposito della storia siciliana come “storia di sconfitte : sconfitte della ragio-ne , sconfitte degli uomini ragio-nevoli”. Perfino si tentò di uccide-re Falcone il 19 giugno 1989 con

58 candelotti di dinamite piazzati tra gli scogli nei pressi di una villa che il giudice aveva preso in affitto all’Addaura e che , fortunatamente non esplosero . fu alimentato il so-spetto secondo il quale ne era stato lui l’artefice. Restare a Palermo per il nemico numero uno della mafia era oramai impossibile , quel pa-lazzo di giustizia era divenuto il “palazzo dei veleni” che accettò la

proposta del Ministro della giusti-zia Claudio Martelli per la carica di Direttore generale degli affari penali. Si trasferì dunque a Roma , ma Falcone non aveva gettato la spugna , anzi più efficacemente ebbe modo combattere la piovra di Cosa Nostra , finchè il tragico attentato non spense la vita di un “fuoriclasse” che tutto il mondo ci invidiava e tutt’ora ci invidia, come Paolo Borsellino erede naturale di Giovanni Falcone. Sapeva di essere “un morto che cammina” , sape-va che un grosso quantitativo di esplosivo era giunto in Sicilia , no-nostante ciò continuò fino alla fine a opporsi allo squallore , all’omertà , alla criminalità di Cosa Nostra, voleva indagare sulla morte di Falcone : accettò il suo destino di

morte , senza arrendersi . Em-blematica la sua nota citazione “Chi ha paura muore tutti i gior-ni , chi non ha paura muore una volta sola”: espressione di tena-cia, coraggio e dignità. Fondati motivi permettono di credere che Borsellino sia stato ucciso per non aver ceduto alla cosiddetta trattativa che vertici dello Stato avrebbero intrapreso

con Cosa Nostra e con il capo dei capi Totò Ri-ina. Allo stesso tavolo si sarebbero riuniti uomini di Stato e uomini “d’ono-re”. I dettagli di tale patto sono ancora poco chiari , forse il fine del con-fronto era la costituzione di una sorta di pacifica convivenza tra le parti in causa. Viene il sospetto

che l’uccisione di Borsellino non sia stata il solo prodotto della strategia mafiosa . D’altronde lo stesso giudice , di fronte all’even-tualità di una morte annunciata , aveva confidato “non sarà la ma-fia ad uccidermi , ma saranno gli altri. E questo accadrà per-ché qualcuno lo permetterà. E fra quel qualcuno ci sono anche i miei colleghi”. Il fedele collega di Falcone aveva intuito l’insi-nuarsi nel sistema di giustizia e governo del fenomeno mafioso e le sue parole nuovamente ci svelano i macabri retroscena del potere: “Politica e mafia sono due poteri che vivono sul con-trollo dello stesso territorio : o si fanno la guerra o si mettono d’accordo.”

“Cose di Cosa Nostra”Falcone e Borsellino : due vite spente dall’alleanza tra stato e Mafia.

Dell’Ultri : il mediatore che legò il Cavaliere alla Piovra.

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Ad uccidere Falcone e Borselli-no è stata quella combinazione di vertici mafiosi e centri occulti del potere, quelle che Falcone definì, all’indomani dell’attentato fallito all’Addaura, con la lucidità che lo contraddistingueva “menti raffinatissime” e che non po-tevano identificarsi solo con i boss : occorre cercare i man-danti esterni i cui interessi sono convergenti con quelli di Cosa Nostra.Dopo le stragi di Capaci , via D’Amelio, le esplosioni di via Fauro a Roma , di via dei Gergofili a Firenze , di via Palestro a Milano , di piazza S. Giovanni in Laterano e davanti alla chiesa di San Giorgio al Velabro a Roma , tutte avvenute tra i mesi di maggio e luglio del 93 , la mafia si è inabissata. Non spara più. Non mette più bombe . For-se ha individuato nuovi referenti politici e ricevuto ampie rassicu-razioni : è diventata invisibile , ma senza sparire .Recenti avvenimenti anche di ca-rattere giudiziario ci riportano al nodo irrisolto dei rapporti tra Cosa Nostra e la politica , su cui Falcone e Borsellino hanno con passione indagato. Personaggio che risulterà rilevante e interessante a riguardo è il sena-tore del PDL Marcello Dell’Utri per il quale la Corte di Cassazione ha deciso di annullare la sentenza d’appello che lo aveva condannato a 7 anni di reclusione per concor-so esterno in associazione mafiosa. Ricordiamo che in primo grado il

senatore era stato condannato a nove anni . In appello lo sconto dei due anni era stato motivato dal fatto che non si era riusciti a provare che avesse appoggiato la mafia dopo il ’92 . Va sottolineato

come intanto il processo è arrivato in cassazione nel febbraio del 2011 ed è stato celebrato solo dopo 13 mesi davanti ad un presidente , Aldo Grassi, allievo prediletto di un giudice molto chiacchierato ai tempi del pool antimafia di Falco-ne e Borsellino : Corrado Carne-vale . Quest’ultimo era sopranno-minato l’”ammazzasentenze” in quanto individuava le irregolarità formali che consentivano di ri-mettere in libertà un numero con-sistente di “uomini d’onore” . Gli stessi che Falcone e Borsellino si sforzavano di rinchiudere in pri-gione. Vale la pena di rammentare che Carnevale aveva definito Fal-cone un “incompetente” e un “cre-tino” .Occorre ribadire che il Sostituto Procuratore Generale della Cas-sazione che si è occupato della requisitoria del processo Dell’Utri

ha sostenuto durante il suo in-tervento che “al concorso ester-no in associazione mafiosa non crede più nessuno”. In sostanza non sarebbe reato essere compli-ci della mafia pur non facendone

parte dall’interno. Ep-pure proprio Falcone e Borsellino nella senten-za-ordinanza del pro-cesso a Cosa Nostra del 17/07/1987 codificano la figura giuridica del concorso esterno , iden-tificandola come la con-vergenza di interessi con il potere mafioso in gra-do di causare la crescita di Cosa Nostra e della

“sua natura di contropotere” . il concorso esterno in associazione mafiosa si configurerebbe come il reato dei colletti bianchi (avvoca-ti, magistrati , politici , poliziotti, medici e perfino sacerdoti) che fanno favori alla mafia e da essa ne ricevono. Il concorso esterno appare essere idoneo a colpire l’intera area grigia della contigui-tà mafiosa, del fiancheggiamento e della collusione. Nello specifico Dell’Utri avrebbe consentito a Cosa Nostra di agganciare Berlu-sconi agli inizi degli anni settanta del secolo scorso. Berlusconi era un imprenditore in rapida ascesa economica. Acosa Nostra il Cava-liere , ex Presidente del Consiglio si sarebbe garantita la protezione della sua persona , dei suoi fami-gliari e delle attività economiche (i particolare i magazzini Standa che a Catania erano sottoposti

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a continui attentatie le antenne delle sue televisioni in Sicilia) in cambio di denaro. Dell’Utri era il mediatore, consolidò e rafforzò l’organizzazione criminale con la sua opera. Occorre tuttavia evi-denziare come la Cassazione non abbia sostenuto che Dell’Utri sia innocente ma che la motivazione del processo d’appello è viziata. Dunque il processo d’appello do-vrà essere nuovamente celebrato e Dell’Utri potrà solo allora essere giudicato o innocente o colpevo-le. Se in Italia si mette in dubbio il reato di concorso esterno in as-sociazione mafiosa, al di fuori dei suoi confini si pongono in essere iniziative volte al contrasto delle

mafie. Il crimine organizzato non è solo un problema italiano, ma internazionale. Per questo è nata la commissione parlamentare eu-ropea antimafia (oltre anticorru-zione e antiriciclaggio) nel marzo di quest’anno. Decisamente un segno incoraggiante anche per il nostro paese, membro dell’U-nione Europea, in cui numerose sono le cooperative di giovani che lavorano le terre sequestrate alla mafia, come l’associazione Libera. All’inizio del terzo millennio la piovra non è stata sconfitta. Si è mimetizzata. E’ agenzia o regi-sta del potere. Va affrontata non secondo un’ottica di emergenza,

ma con l’impegno e il contributo quotidiano di ciascuno per evita-re che i fedeli servitori dello Stato finiscano per essere isolati e ucci-si . Borsellino concepiva noi gio-vani e la nostra istruzione le fon-damentali armi per annientare il fenomeno mafioso, disse : “ Se la gioventù le negherà il consenso anche l’onnipotente e misteriosa mafia svanirà come un incubo!” E infine ad infondere fiducia sono le parole di Falcone che ci descri-ve Cosa Nostra come un nemico temibile, ma non invincibile: “La mafia è un fenomeno umano e come tutti i fenomeni umani ha un principio, una sua evoluzione e avrà quindi anche una fine.”

Notizie da un altro mondo.-di Lorena UrucuPeriferia. Vista sotto una connota-zione negativa, per quanto possa essere vero, e per quanto non solo essa abbia del buono come del ne-gativo, come ogni altro luogo; que-sta volta stupisce. Parlo della perife-ria dell’VIII municipio.Pur avendo problemi ambientali, subendo continui ta-gli per i fondi che do-vrebbero andare per la cultura e l’educazione, una periferia non trop-po lontana dalla nostra scuola cerca non solo di far valere i suoi diritti, ma anche che non mol-la facilmente.

Esempi lampanti sono i gior-nali di quartiere come “AL “CHE”NTRO DELLA NOTI-ZIA” o “La Fiera dell’est”. Il primo è visibilmente scritto da una rosa di piccoli e grandi giornalisti: ab-biamo anche i ragazzi delle me-die e delle elementari! Il secondo riporta invece notizie di un po’

tutta la periferia. Ma ci sono anche numerose at-tività oraganizzate per esempio dalla Biblioteca Borghesiana, op-pure da associazioni, o infine dai cittadini stessi. Un progettodi in particolar modo è stato curato dalla Biblioteca Borghesiana : “Letture e lettori”,

del quale si è occupa-to la Dottoressa Mar-gherita Rossi, psicolo-ga ed educatrice, che lavora sia con ragazzi che con adulti.Il progetto, pensato sia per le medie che per le superiori, ac-colto solo dalla scuo-

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la media “Ferrara”, consisteva nell’uscire dall’abitudine per an-dare più a fondo di noi stessi. Erano tre incontri, ciascuno di tre ore, forse troppo poche per ampliare una tematica così com-plessa. “Era necessario più tem-po perché il tempo cronologico -come la dottoressa stessa dice- non va sempre allo stesso passo di quello interiore.”Cosa hanno fatto i ragazzi du-rante questi incontri?Una volta scelto il libro, “La mia famiglia ed altri animali” di Dur-rell, se ne sono lette alcu-ne parti. “Si inizia sempre da un libro, ma non più un libro che ti insegna delle nozioni sulle quali verrai interrogato, bensì delle nozioni che sono già presenti, la materia prima è già fornita, noi dobbia-mo solo modellarla.” Il testo è autobiografico, ap-punto perché i ragazzi si dovevano calare nella loro realtà ed appropriarsene. “I ritmi della società sono troppo veloci forse. Dovremmo forse assecondarli o fermarci un attimo?”, puntualizza la dottores-sa. Superato lo scoglio del primo incontro, i ragazzi hanno cen-trato in pieno l’obiettivo: se pri-ma un pò perplessi sui lavori da fare (collage, moduli da riempire ecc.), hanno poi trovato non solo utile ma anche divertente quest’e-sperienza.“Il lavoro che io faccio non è una

psicoanalisi di gruppo, bensì è una prevenzione contro quei mali che spesso ci affliggono crescen-do. E’ un’educazione alla vita, all’i-dentità e ai valori. Mette a fuoco.” Attività di questo tipo, ma anche mostre per esempio, vengono fat-te non solo nella periferia ma an-che in altre biblioteche, ma non è nulla i confronto all’estero.In Europa le biblioteche sono sempre aperte, sono vive, ma noi siamo sempre il fanalino di coda.Ma non è finita qui. Nonostante le famose mancate risorse, si va

avanti con altre attività. Questa volta mettiamo i riflettori sulla Collina della Pace. Impor-tanti sono stati il 21 e il 24 mar-zo, nei quali, nell’omonimo parco, sono state organizzate delle gior-nate in memoria per ricordare le vittime della mafia.Non per nulla è stato istituito il 21, giorno della Primavera, sim-bolo di speranza che si rinnova, questa importante ricorrenza, fondata dall’associazione “Libera”,

che già da tempo è ospite delle nostre assemblee di marzo.Il parco dove è stato fatto l’evento è un bene confiscato alla Banda della Magliana e riutilizzato, se-condo la morale dell’associazio-ne, dedicato a Peppino Impasta-to.Un altro tema caro al munici-pio è il problema rifiuti. A que-sto proposito sono stati fatti due incontri (16 dicembre 2011 e 14 gennaio 2012), che hanno perciò previsto due giorni di dibattito presso i locali del centro socia-

le del “CHE”ntro sociale di Tor Bella Monaca. Ciò è stato organizzato dal Mo-vimento 5 stelle di Roma.La questione ruo-tava attorno al fatto che il problema deve diventare risorsa ap-plicando le tre R: ri-duco, riciclo, riuso. Si è pensato alla rac-colta “porta a porta”, già applicata più al

Nord Italia.Questo permetterebbe di gesti-re meglio la situazione già criti-ca. Se venisse applicato il piano, ci farebbe poi un confronto, in modo da poter così premiare o penalizzare coloro che hanno contribuito di più o meno per la realizzazione del progetto. Pre-mio: l’abbassamento delle tasse.

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Rubrica di poesiaPer questa uscita, vi propongo una poesia di Costantino Kavafis, “Quanto più puoi”. Chi è Costantino Kavafis? Nasce ad Alessandria d’Egitto il 29 aprile 1863. Ad Alessandria approfondisce la sua conoscenza della letteratura greca e bizantina e nel 1892 diventa im-piegato al Ministero dell’Irrigazione. Con i suoi versi, Kavafis ci parla di tempi perduti, di errori degli eroi, di beffe del destino. L’essenza della precarietà è al centro della sua poetica.

Quanto più puoi

Farla non puoi, la vita,come vorresti? Almeno questo tentaquanto più puoi: non la svilire tropponell’assiduo contatto della gente,nell’assiduo gestire e nelle ciance.

Non la svilire a furia di recarlacosì sovente in giro, e con l’esporlaalla dissennatezza quotidianadi commerci e rapporti,sin che divenga una straniera uggiosa.

Con questi versi Kavafis ci ammonisce a fare la vita come vorremmo e a custodirla, evitando di esporla inutilmente in situazioni inutili che ci fanno solo perder tempo. Parole sante, che ini-zialmente ci sembrano inattuabili, perché spesso pare che sia la vita a fare noi, e non viceversa. Siamo talmente spossati dal tran tran quotidiano da somigliare a dei robot, senza quasi nem-meno accorgerci che viviamo. Così, per esempio, la mattina ci alziamo, ci laviamo e vestiamo, andiamo di corsa in fermata e, una volta davanti scuola, ci mettiamo a chiacchierare; in tutto questo, magari non abbiamo nemmeno notato se c’è il sole o è nuvoloso. Ma Kavafis meglio di noi aveva capito quanto la vita sia precaria e breve, quindi tanto vale fare quello che ci piace ve-ramente. Fare la vita come vorremmo non significa trasformare la realtà in una specie di paese dei balocchi (anche se sarebbe divertente), ma fare ciò che ci rende veramente felici, tralasciare tutto il resto e, per quanto sia banale, seguire il proprio cuore. Per fare un esempio, quando abbiamo scelto questa scuola, lo abbiamo fatto pensando alle materie che avremmo preferito

di Chiara de Felici

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Rubrica di poesiastudiare, proprio per essere felici nel nostro percorso scolastico. In un cero senso, quindi, abbiamo “fatto la vita come vogliamo” e se oggi siamo qui è perché, nel bene o nel male, lo abbiamo scelto noi. Chissà quante persone, conoscendo la nostra scuola, ci hanno consigliato di lasciar perdere. Noi però non lo abbiamo fatto, d’altronde la vita è la nostra ed anche se quando suona la campanella siamo stremati, molti di noi, se potessero tornare indietro, rifarebbero tale scelta. Questo discorso si può applicare anche alle amicizie, visto che a tutti noi ogni tanto capita di frequentare persone che non ci interessano e con le quali passiamo il tempo solo per paura di restare soli, però la maggior parte delle volte interrompiamo queste amicizie, capendo che stiamo solo sprecando tempo, tempo che potremmo trascorrere con chi ci interessa davvero. Credo inoltre che sia importante soffermar-si sulle parole “straniera uggiosa”. I due aggettivi riassumono in modo conciso cosa accade qualora non facciamo la vita, la nostra vita, come vogliamo: alla fine diventa una straniera, perché esterna a noi, ed anche uggiosa, dal momento che ci annoia. Allora invece di desiderare una vita ideale, sarebbe più utile fare, come dice Kavafis, la nostra come vorremmo. Potremmo cominciare con l’essere noi stessi e non avendo paura di scegliere quello che desideriamo, che sia un amore, un’ami-cizia, un liceo, una facoltà universitaria o un mestiere. Forse non otterremmo mai u na vita perfetta, ma avremo fatto quanto più possiamo.

In Itinere

Più che per descrivere la città scrivo questo articolo per raccontare la mia esperienza personale in una gita che all’inizio non prometteva nulla di buono. Non mi pia-ceva l’idea di partire per una città che probabilmente pochi sanno indicare sulla cartina geografica (me com-preso prima di partire), ma mi sono dovuto ricredere su molte cose: prima di tutto i professori accompagnatori si sono rivelati molto meno rigidi di quanto mi aspet-tassi e, anzi, hanno saputo organizzare bene le giornate anche in modo coinvolgente; la città, piccola e con vie caratteristiche piene di negozi con prodotti tipici, è faci-

STRASBURGO di Marco Lopetuso

In Itinerele da visitare essendo una città universitaria e ha come punto centrale la piazza con un’imponente cattedrale. L’unica nota negativa va al cibo, ma questo accade spes-so quando si va all’estero. Sono state invece interessanti le visite al Parlamento Europeo e alla Linea Maginot, anche se quest’ultima è stata piuttosto faticosa. L’aspetto assolutamente positivo è quello della coesione che si è creata con il 5DL che ha reso tutto più divertente. Infine un giudizio positivo alla gita e ringrazio tutti quelli che hanno partecipato e consiglio di visitare Strasburgo a chiunque sia interessato.

CuriositàLa pipa degli innamorati di Alice Casalvieri

Durante uno scavo archeologico nel quartiere ebraico di Geru-salemme, è stato trovata una curiosa pipa in ceramica. Su tale pipa è incisa la scritta, in arabo, “Il cuore è la lingua per gli aman-ti”, ovvero “L’amore è la lingua degli amanti”.Secondo Shahar Puni, dell’Autorità Israeliana per le Antichità, questa pipa, intesa come dono fra amanti, risale al XVI o al IXX secolo, quando Gerusalemme faceva parte dell’impero Ottoma-no, uno stato turco, che si estendeva dal sud-est Europa in Africa settentrionale.Durante gli scavi archeologici, molto spesso, vengono scoper-te iscrizioni monumentali, che hanno valore religioso, oppure

commemorano un donatore e, a volte, iscrizioni di natura personale: versi di poesie oppure delle frasi, che possono aiutare nella vita quotidiana.Le pipe, come la pipa degli innamorati, erano molto utilizzate durante l’epoca ottomana per fumare tabacco o hashish. Le autorità ottomane cercarono di porre fine a questa pratica, ma fallirono. Queste pipe, inoltre, venivano utilizzate come gioielli, che erano indossati sopra un vestito. E fumare era popolare sia tra gli uomini sia tra le donne.Nei quadri del IXX secolo, le donne di Gerusalemme sono mostrate mentre fumano pipe d’argilla simili a quella ritrovata.Secondo Shahar Puni, però, la pipa ritrovata è sicuramente un regalo dato alla persona che si amava.

Ecco qui una nuova rubrica, un’ultima proposta per i nostri lettori: In itinere, una rubri-ca di viaggi. Viaggi di gruppi di studenti, viaggi di studenti solitari o con le loro famiglie, perché no viaggi di docenti e personale ATA. Perché viaggi? Perché anche studiare è un po’ viaggiare e viaggiare è vedere con altri occhi: cosa penserà un classicista della Grecia moderna? Ed un linguista della Germania, della Spagna o della Francia?

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RecensioniIl gabbiano Jonathan Livingstonedi Eleonora Gulli

Jonathan è un gabbiano, ma non si accontenta della monotona vita che trascorre il resto del suo stormo: il suo più alto obiettivo è raggiungere la perfezione nel volo.Gli altri gabbiani dello stormo Buonappetito, usano le ali come strumento unicamente volto al procac-ciarsi del cibo, e Jonathan si troverà presto a dover vivere da solo.Gli estenuanti tentativi di volo occupano tutte le sue giornate, e all’inizio non portano risultati.Ma un giorno, dopo innumerevoli picchiate, planate, virate da spezzar le ali, ecco che il limite che tutti gli al-tri avevano creduto (e quindi reso) invalicabile… per lui diventa una nuova straordinaria conquista.La perfezione però, non è un numero, non ha tra-guardi, e la ricerca di Jonathan continua.Ormai non può più imparare nulla dalle onde e dai venti del mare, e lo aspetta un nuovo mondo tutto per lui, un mondo dove altri gli insegneranno ad ol-trepassare limiti ancor più ardui.Ma a nulla vale possedere qualcosa se non se ne fa dono agli altri, ed è questo che, Jonathan imparerà, è ancor più difficile che cercare la perfezione.Lui tornerà dai compagni che un tempo lo avevano respinto, e cercherà di far capire loro che i gabbiani sono fatti per vivere “della luce e del calore del sole, del soffio del vento, delle onde spumeggianti del mare e della freschez-za dell’aria”. Cerca il potenziale che è in ognuno di loro, perché, sebbene lo avessero lasciato solo, lui non può abbandonarli nell’ignoranza e nella banalità della loro vita, deve mostrare loro quanto essa può essere sofferta e perciò emozio-nante!Alcuni gli daranno retta, altri continueranno a considerarlo un pazzo, ma se sarà riuscito a far cambiare almeno una di quelle menti, così chiuse e mediocri, ed aprirla alle molteplicità della vita, non sarà tornato invano.“Jonathan Livingstone Seagull” fu scritto nel 1970 da Richard Bach (23 giugno 1936, Oak park), e questo ro-manzo breve è stato un cult, letto sotto diverse prospettive ideologiche.Il personaggio di Jonathan Livingstone è stato ispirato ad un aviatore degli anni ’30, da cui l’ambizioso gabbiano ha preso il nome.Il libriccino è molto breve, ma offre spunti per pensare agli argomenti più vari…pensieri liberi e veloci, ma anche difficili e impegnativi come il volo di un gabbiano, che cerca la verità e la perfezione.

Nel mare ci sono i coccodrilli, la vera storia di Enaiatollah Akbari. Di Fabio Geda.- di Gabriella Santos Gonzalez

Da solo. Una mattina Enaiatollah Akbari si sveglia ed è da solo, con i suoi 10 anni indicativi -perché non sa neanche con precisione quando è nato- ed i vestiti che ha addosso, su di un tappeto di un samovat di Quetta, sopra al quale la sera prima la madre gli aveva detto le ultime parole prima di partire, nella notte. Ed è così che inizia il viaggio di questo novello Ulisse, che a differenza del paradigma omerico, però, non è affatto un eroe, ma solo un bambino che, come dice l’autore in un’intervista “sa farsi voler bene”: fugge da una realtà, quella dell’Afghanistan, in cui un ricco mercante, per la morte del padre, reclama anche la vita del piccolo Enaiat. Fugge da una madre e due fratelli ed un campo di buzul bazi, verso l’Iran, in cui lavora per un po’, in clandestinità, poi verso la Turchia, poi verso la Grecia: un viaggio nel drammatico mondo dei trafficanti di uomini, capaci di trasportare

decine di persone in un sottofondo alto 30 cm di un camion merci, un viaggio tra poliziotti corrotti che ringrazi perché ti lasciano passare la frontiera e poliziotti integerrimi ed incorruttibili che possono decidere anche cosa fare le tua vita, o tra poliziotti che possono prendere le tue impronte e segnare la tua vita in Grecia. Enaiat però ce la fa, ha una gran voglia di partire. Verso dove? Non lo sa. Un immigrato spesso non lo sa, cerca solo una migliore prospettiva di vita: “Una volta ho letto che il bisogno di emigrare nasce dal bisogno di respirare” afferma egli stesso, nel libro. Un libro che attra-versa anche il lettore, oltre che queste terre di tristi Ulissi che cercano queste introvabili colonne d’Ercole, questo luogo in cui vivere dignitosamente, senza essere schiavi di nessuno, e a volte anche solo per sbarcare in un’Italia capace solo di rimproverare loro un odore sgradevole, senza capire che, forse, quelle persone non hanno esatta-mente scelto di non avere un tetto sotto cui dormire, mangiare, lavarsi. Sembra assurdo, ma la drammatica storia vera di questo ragazzo, dipinta a tinte semplicemente vive ed umane da un grande Fabio Geda, che si rivela abile maestro della letteratura contemporanea grazie a flussi di pensieri a volte quasi sconnessi, ci dice proprio questo, che nel 2012 c’è chi una vita dignitosa ancora non ce l’ha, ma è costretto a fuggire da casa propria. E ci dice che a persone così andrebbe davvero perdonato tutto.

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Recensioni

Anche se voi foste stati lì prima del principio di tutto, non avreste visto nulla, proprio come non si scorge niente in una tela bianca, per quanto possa essere vivida l’immagine nella mente del pittore. Di norma il pittore, invece, è visibile: è un uomo speciale ma è pur sempre un uomo, inserito, come tutti, nello spazio e nel tempo. Ma quando spazio e tempo dovevano ancora essere? Di certo, anche se una coscienza capitasse per caso o per un volere superiore nel momento immedia-tamente precedente all’incipit dell’opera più grande che sia stata mai concepita, non percepirebbe che se stessa nel silenzioso buio. A me è successo proprio questo: la mia coscienza, spedita indietro nel tempo per chissà quale motivo, ha assistito allo spettacolare lavoro della forza creatrice dell’universo. Si proverà, dunque, nel modesto e breve scritto che segue a raccontare un’espe-rienza divina con parole ed espressioni umane come fece tempo fa un esule fiorentino di cui ora non mi sovviene il nome. Rapito da una forza misteriosa mi ritrovai sperduto nel nulla con i sensi apparentemente inibiti, consape-vole solo di esistere e temporaneamente immemore della mia vita passata. All’improvviso mi colpì la vista (mi accorsi di averla solo allora) una luce straordinaria che non mi accecò per non so quale prodigio. Abi-tuatomi subito a quello splendore mi accorsi che nella luce riuscivo a notare tutti i colori dell’arcobaleno che mi apparivano davanti con sfumature tanto varie da lasciarmi impegnato ad osservarle per molto. Ora mi è chiaro che dal primo attimo in cui potei percepire la luce iniziò tutto: la comparsa della luce era il segnale dell’inizio dell’attuazione del progetto. Allora non riuscivo a capire ciò poiché ero ancora stordito dal viaggio o perché si voleva che fossi in quelle condizio-ni. Quando riuscii a distogliere lo sguardo dal luccichio spettacolare dei colori, vidi che esattamente dalla parte opposta c’era il buio più totale. Con mia grande sorpre-sa, osservai che tra luce e tenebra stava una figura che

riconobbi come umana, invisibile se non in quel parti-colare punto a causa del contrasto tra la luce multicolore ed il quieto nero dell’oscurità. Supposi che la figura non avesse materialità, che fosse uno spirito. Anche se non riuscii a notarlo se non per pochi attimi e solo in quell’oc-casione sono sicuro che quello spirito fosse l’artefice di tutto, il pittore di quell’immane dipinto che di lì a poco sarebbe diventato concreto davanti ai miei occhi. Il mio sguardo si posò di nuovo sui colori e scorsi un nuovo prodigio. Il blu, infatti, cominciò a riunirsi e a girare vorticosamente e a prendere forma e consistenza simili a quelle della tempera. Con due ampie e rapide pennellate il pittore invisibile disegnò due linee parallele ad una certa distanza tra loro. I due tratti assunsero, poi, sfumature diverse: più delicato uno, più scuro l’altro. Solo dopo realizzai con grande sorpresa che si trattava del cielo e degli oceani. Essi, pur essendo nati da due tocchi sfuggenti e apparentemente imprecisi si dimostrarono come opere d’arte meravigliose già da sole, senza bisogno di continuare e completare il dipinto. Ma il progetto era di gran lunga più grande, come potei notare a breve. Ad un tratto anche altri colori, trai quali spiccavano un verde brillante e un deciso marrone, si materializzarono e furono dipinti i continenti con le loro pianure e le alte montagne. Con un’opera certosina le terre furono pun-teggiate con il rosso caldo dei vulcani e il bianco gelido dei ghiacciai. Con pennellate sottili e precise d’azzurro, poi, furono segnate linee sinuose che tagliavano le terre e qui e là furono versate piccole quantità del medesimo colore che formarono macchie di diversa dimensione e forma. Voi conoscete quelle linee come fiumi e quelle macchie come laghi. Immediatamente dopo che fu dipinto ciò, la luce sfa-villante che era rimasta poiché ancora non era diventata materiale e non era stata utilizzata si condensò in una sfera luminosissima che poco dopo si divise in due. La parte più grande fu posizionata ad una certa distanza da quanto era stato creato fino ad allora e così l’altra. Queste iniziarono a ruotare attorno al dipinto illuminandolo

C’era una volta. (Once Upon a Time)-Serie TVdi Andrea CecchiniSe due anni fa trovavamo storie di Vampiri ovunque, tra amori impossibili e maledizioni che sembravano diffondersi come fosse un nuovo invincibile virus, pronto a decimare la nostra razza, questo è l’anno delle fiabe. Ai due lungometraggi in uscita al cinema, nuove rivisitazioni del classico ‘Biancaneve’, si aggiunge anche una nuova serie televisiva, dal prevedibile titolo ‘C’era una volta’. E la protagonista, giusto per non distaccarsi troppo dalle nuove tendenze, è proprio Biancaneve. Questa volta, però, ella si ritrova in un nuovo mondo, il nostro mondo, dimentica di quella che era stata la sua vita una volta. Insieme a lei, i personaggi delle altre Fiabe, molto più vicine alla concezione disneyana che a quella dei fratelli Grimm.E cosa, o meglio, chi si può nascondere dietro questo incredibile maleficio? Ovviamente, l’omonima Regina cattiva, aiutata dal fedele Specchio Magico e un soprav-vissuto Cacciatore. La storia inizia, tuttavia, con l’inserimento di un nuovo personaggio: Emma Swan, la figlia di Biancaneve. Infatti, prima della maledizione lanciata dalla regina su tutto il mondo delle fiabe, Biancaneve e il suo Principe

Azzurro riescono a salvare la piccola appena nata, la quale è cresciuta tra una famiglia affidataria e l’altra e si ritrova nella Boston di oggi, con qualche problema a legarsi alle persone. La sua vita cambia quando un bam-bino di nome Henry bussa alla sua porta, dandole la notizia di essere suo figlio, dato in adozione dieci anni prima, venuto per portare Emma nella misteriosa Storybrooke, dove lui vive, assieme ai personaggio delle fiabe. Secondo il bambino, Emma sarà la chiave per far ritornare a tutti la memoria.A rendere ancora più spinosa la situazione, c’è il fatto che Henry è figlio adottivo della Regina cattiva, con cui Emma si ritroverà subito in divergenza. La storia può probabilmente risultare banale, nonostante lo svago nell’indovinare i trascorsi di ogni personag-gio, presentati uno ad uno, puntata dopo puntata. Ma ciò che veramente cattura l’attenzione del pubblico è il complesso personaggio di Tremotino. Interpretato da un emozionante Robert Carlyle, il violento “Begbie” di Trainspotting, Tremotino è l’unico, oltre alla Regina e al piccolo Henry, a sapere della vera natura degli abitanti di Storybrooke, e la sua posizione a riguardo diventa sempre più misteriosa ed intricata. Insomma, è un Telefilm da tenere d’occhio, per chi ama appassionarsi alle storie d’amore piene di ostacoli, ma anche per chi sa apprezzare dei bravi attori, ogni tanto, sullo schermo.

Racconto AutoconclusivoLa cosmogonia dei coloridi Simone Di Lillo

BimensileIX uscita27 aprile 2012

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sempre da posizioni diverse così che non vi era mai un momento in cui un punto riceveva luce da entrambe le sfere. La cosa, che doveva essere frutto di un calcolo complicatissimo, riusciva a concedermi ogni attimo una visuale inedita dell’immane opera, cosa che la valorizzava ancora di più rispetto alla luce fissa e diffusa che la illuminava prima. Il pittore invisi-bile, così, aveva concesso al suo capolavoro di riuscire a mutare di continuo rimanendo sempre meraviglio-so ad ogni cambio di illuminazione. C’erano momen-ti in cui vedevo i colori brillare e regalarmi tutta la loro intensità e altri in cui la serenità di toni più pacati placava la mia coscienza dandomi un’insolita pace. Proprio quando pensavo che il dipinto fosse finito, fui estasiato da un ulteriore colpo geniale. Cominciai a notare, infatti, nuovi tratti precisi quanto microsco-pici disegnati sulle due grandi linee blu. Non capendo bene cosa stesse succedendo desiderai di potermi av-vicinare per poter osservare quale altra meravigliosa invenzione avesse deciso di attuare il pittore invisibile. In quell’istante esatto mi ritrovai, senza accorgermi dello spostamente, vicinissimo all’immane opera rispetto al mio precedente punto d’osservazione. Con grande sorpresa vidi che i piccolissimi segni si muo-vevano e che armonicamente interagivano tra loro creando effetti fantastici. Questi particolari erano di un’accuratezza incredibile e ogni figura che era stata delineata, non togliendo la scena al resto del quadro ma valorizzandolo, restituiva uno spettacolo visivo senza precedenti. Apparirono, poi, altre figure, stavolta sullo sfondo verde. Di queste una mi incuriosì particolarmente poiché sembrava modificare la porzione di dipinto attorno a sé dimostrando una certa bravura. Il pittore invisibile aveva quindi disegnato un piccolo artista per farsi aiutare? Pensai che sicuramente sarebbe stata una buona cosa, ma solo se questo fosse stato tanto capace da non rovinare con le sue aggiunte l’armonia del resto del dipinto. La fiducia del pittore invisibile, che consegnava il suo capolavoro nelle mani del piccolo artista, doveva, quindi, essere assoluta.

Racconto Autoconclusivo Fui riportato all’improvviso al mio punto d’osservazione originale. Supposi, allora, che eravamo giunti alla con-clusione del dipinto, che, da lì, mi pareva perfetto nelle forme, nella concordanza dei colori, nell’illuminazione e, perfino, nei minuscoli particolari. L’unica cosa che mi faceva restare un po’ perplesso era la decisione di dipingere anche quel piccolo artista, avendo io paura che potesse rovinare quella meravigliosa opera. La fiducia e la stima estrema nel suo autore, che avevo maturato durante la mia permanenza in quel tempo, fugarono, però, subito quel dubbio. Finite queste considerazioni tornai indietro, non so ancora come, da dove ero arrivato, un po’ frastornato ma desideroso di comprendere cosa mi fosse accaduto. Purtroppo ancora oggi trovo difficile dare una spiegazione almeno plausibile al mio viaggio e alle sue motivazioni. Da chi è stato voluto? Forse da quello spirito che avevo visto? Anche se penso spesso a quel che mi è accaduto non so rispondere a questi interrogativi. Mi sento, però, fortunato per essere stato spettatore del lavoro che ha reso possibile la più grande opera mai concepita e per questo regalo a voi, così che possiate avere almeno un’idea di quanto ho visto, questa piccola narrazione che rende con parole inadeguate uno spettacolo indicibile. Ora mi piace pensare che mentre facevo le mie consi-derazioni finali lì davanti al quadro, il pittore invisibile si compiaceva della sua opera orgoglioso e innamorato perdutamente della sua creatura e fiducioso di averla la-sciata in mani fidate, avendo il suo meritato riposo dopo il divino sforzo di ingegno e arte.

SUDOKANTdi Marco Fulgaro

BimensileIX uscita27 aprile 2012

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