Cortelazzo 2
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Michele A. Cortelazzo
IL PARLATO GIOVANILE
[…]
2. Lingua dei giovani: definizione, collocazione nel repertorio, funzioni
2.1. Definizione
Prima di procedere oltre è però necessario precisare che cosa si intenda per lingua dei
giovani2. Si sarà infatti notato che fino ad ora si è evitato di usare la dizione "lingua dei
giovani" o "linguaggio giovanile" e si è ricorsi alla formulazione più generale "uso linguistico
dei giovani". Se, infatti, l'obiettivo di questo saggio è quello di delineare le caratteristiche del
parlato giovanile, oggetto del discorso saranno tutte le componenti che entrano a far parte
dell'uso della lingua da parte dei giovani. Secondo Sobrero3, quest'uso è caratterizzato dalla
presenza di cinque elementi, con un dosaggio che varia nelle diverse realtà socio-culturali:
a) una base di italiano colloquiale informale, scherzoso;
b) uno strato dialettale;
c) uno strato gergale «tradizionale»;
d) uno strato gergale «innovante» (spesso effimero);
e) uno strato proveniente dalla lingua della pubblicità e dei mass-media;
ad essi aggiungerei:
f) uno strato costituito da inserti di lingue straniere (particolarmente inglese, ma anche
spagnolo).
Escludendo la componente compresa sotto il punto d), cioè lo strato che in senso più
stretto può essere chiamato «linguaggio giovanile» (e così, nel prosieguo, lo chiamerò), non si
tratta di elementi esclusivi dell'uso della lingua da parte dei giovani: quello che pare essere
loro caratteristico è la miscela di questi elementi, e quindi il prodotto complessivo che ne
risulta, nonché la funzione per la quale elementi di ciascuno di tali strati vengono accolti nel
parlato giovanile.
[…]
4. Descrizione della lingua dei giovani odierna
4.1. Le componenti della lingua dei giovani
Nel passare a descrivere le caratteristiche della lingua dei giovani, l'esposizione deve
basarsi sulla classificazione delle componenti che entrano a far parte dell'uso linguistico
giovanile proposta nel paragrafo 2.117.
Ognuna di queste componenti risponde ad alcune delle funzioni e delle motivazioni
della lingua dei giovani (l'affettività e l'espressività trovano la massima realizzazione nei
dialettalismi, l'aspetto ludico trova buona espressione negli internazionalismi, il senso di
identità del gruppo emerge con particolare forza nel gergo innovante, e così via). Nella
miscela di questi ingredienti riconosciamo una tensione tra spinte diverse, ad es. tra
l'affermazione dell'individualità del gruppo che porta a privilegiare le proprie coniazioni
innovanti e il desiderio di omologazione che, soprattutto nei centri periferici, induce ad
assumere le forme di prestigio irradiate dalle metropoli e diffuse dai mass-media; oppure tra
provincialismo (segno del radicamento del gruppo nel proprio ambiente geografico) e
internazionalismo (indice della volontà di inserirsi nel contesto sovranazionale che è ormai
alla base delle culture giovanili). Ecco quindi che la lingua parlata da ogni gruppo giovanile
appare composta da elementi unitari, che la accomunano alla lingua parlata dagli altri gruppi
giovanili italiani e, per certi versi, anche non italiani (italiano colloquiale, apporti
internazionali, gergo tradizionale, forme irradiate dai mass-media), elementi locali (dialetto),
elementi caratteristici del singolo gruppo (gergo innovante).
[…]
4.3. Dialetto
Una delle componenti fondamentali dell'uso linguistico dei giovani è costituita dagli
inserti dialettali. Per quanto le giovani generazioni siano sempre più italofone, elementi
dialettali si trovano con una certa abbondanza in tutti i gruppi giovanili di cui è stata studiata
la lingua; ad es. in un'inchiesta sul campo effettuata a Milano e a Trento (quindi in due
situazioni sociolinguisticamente diverse), tra le parole del linguaggio giovanile segnalate
spontaneamente dai giovani intervistati, i dialettalismi appartenenti al dialetto locale si situano
al 4° posto (con il 7,40%) fra le diverse categorie individuate dai raccoglitori (dopo
'sexualese', romanismi / meridionalismi, cultismi) a Milano e al 2° posto (con l'11,96%) a
Trento29. Come si vede, il rilievo quantitativo delle forme dialettali (ma anche, si può
aggiungere, la loro tipologia) varia da gruppo a gruppo, soprattutto in relazione alla vitalità del
dialetto nella comunità linguistica di cui fanno parte i giovani, ed anche al grado e tipo di
scolarizzazione degli appartenenti al gruppo (meno rilevante pare, invece, la provenienza
socio-economica30); naturalmente varia nelle diverse zone del Paese anche l'inventario delle
forme dialettali usate.
Ci sono, però, tratti comuni alla lingua di tutti i gruppi giovanili. Innanzi tutto la
funzione che assumono i dialettalismi nella lingua dei giovani: non sono inserti neutri, con
funzione prevalentemente denotativa, ma elementi marcati in senso espressivo o, più
raramente, emotivo, od usati in chiave scherzosa. Si pensi alla frequenza di forme esclamative
od allocutive: mùchela! 'smettila' a Milano e mucala ad Alessandria; vecio! 'ehi tu (forma
allocutiva)' a Trento; ocio! 'attento' nel Veneto (registrato anche come titolo di un serissimo
manifesto murale alla Facoltà di Lettere di Venezia ed assurto a diffusione nazionale in uno
sketch pubblicitario della fascia pomeridiana di Canale 5); Atò, Atò, Atonna mia! 'Madonna
mia' o l'intercalare nah a Lecce. L'uso di forme dialettali, sia insediatesi stabilmente nel lessico
giovanile, sia inserite occasionalmente nel discorso, fa sì che l'identità del gruppo si estenda
dal solo punto di vista generazionale a quello geografico.
Il trapasso da una funzione denotativa a una scherzosa, espressiva od emotiva,
comporta spesso una modifica del significato originario, secondo i classici meccanismi della
metafora (ad es. bol. raspa 'lima' --> 'avaro', oppure trent. carega 'sedia' --> 'un 4 a scuola'),
dell'allargamento di significato (bol. bazza 'acquisto favorevole' --> 'occasione favorevole'),
della specializzazione semantica (mil. cattare 'prendere' --> 'conquistare una ragazza / un
ragazzo'). Sul piano formale si deve osservare che quasi sempre si tratta di dialettalismi
adattati fono-morfologicamente all'italiano.
Si possono individuare alcune costanti semantiche negli apporti dialettali alla lingua
dei giovani: fortemente rappresentata, a ulteriore riprova del carattere espressivo del ricorso al
dialetto, è l'area degli insulti, o comunque della designazione di caratteristiche personali
ritenute negative dal gruppo (un settore semantico comunque presente nel lessico giovanile
con un gran numero di sinonimi): così abbiamo, a Bologna, bagaglio, 'persona di poco conto',
raspa, 'persona avara'; a Genova baletta, 'pivello, sbarbino', besugo, 'insulto generico',
scrosone, 'sporco', uegia, 'omosessuale'; a Milano ancora uregia, 'omosessuale', poi balordo,
baluba, barbone, 'tipo strano, trasandato', bigolo, picio, pirla, 'membro virile' poi 'sciocco'; a
Trento baccano e malgaro, 'rozzo'; a Roma scrauso 'sciocco, balordo, non valido'; segue tutto
il settore del corteggiamento e del sesso (a Milano: brögna 'organo genitale femminile',
cattare 'fare una conquista', pucciare 'fare l'amore, letter. intingere'; a Trento: guzzare 'fare
l'amore', manego 'fidanzato'; a Bologna: buridone 'approccio sessuale', muffo 'rifiuto del
corteggiamento', trappolo 'garçonniere'). Sia a Trento che a Bologna si osserva il ricorso a
parole dialettali per indicare la paura: strizza (censito a Bologna, ma diffuso pressoché
ovunque), scaia, sghega (entrambi trentini). Per il resto, si nota una sorta di specializzazione
degli apporti dialettali nelle diverse località: a Trento fa la parte del leone tutto quanto è legato
alla vita scolastica (argomento principe, assieme al sesso, del discorso giovanile; l'ampio
ricorso al dialetto proprio in questo settore è una spia evidente dell'ancora buona familiarità
dei giovani trentini con il dialetto, ma anche del ruolo esorcizzante svolto dalle parole della
tradizionale dialettale): carega 'un 4 a scuola', maccone e mecca 'brutto voto a scuola', andare
in maranza 'bigiare la scuola', secia 'studiosissimo'; a Bologna, invece, si incontra un settore
meno prevedibile, le designazioni della testa o di sue parti: gaggia 'mento', mazzocca 'testa',
musta 'faccia'.
Restano semanticamente isolati: a Milano, lippare 'correre via rapidamente',
saccagnare 'conciare per le feste', sleppa 'molto'; a Trento: droghin 'drogato', sgorillare 'darsi
una mossa', smerdada 'brutta figura'; a Bologna, bazza 'occasione fortunata', boccia 'bottiglia',
durare 'resistere', ghignare 'ridere', ludro 'mangione', avere della pluma 'essere avari', avere
della rana 'essere senza soldi', smanazzo 'truffa', tafiare 'mangiare', tamugno 'robusto', zagnare
'molestare'; a Lecce, ncutugnare 'percuotere'.
Oltre alle forme del proprio dialetto, si incontrano forme di altri dialetti importate per
vie diverse, ma soprattutto attraverso la televisione. Prevalgono, in tutta Italia, parole di
provenienza centro-meridionale, irradiate, come del resto succede anche nella lingua comune,
da Roma (a Milano e a Trento: arrapare 'eccitare sessualmente', bono / bona 'ragazzo bello /
ragazza bella'; nella sola Milano, bambascione 'sciocco', fregna 'vulva', frocio 'omosessuale',
gnocco / gnocca 'ragazzo/a bono/a', racchia 'ragazza brutta', pischello 'tipo sveglio', scamorza
'apatico', scorfano 'bruttissimo', sgamato 'tipo sveglio'31, sorca 'vulva', tosto 'tipo in gamba,
che ci sa fare', zinne 'seno'; a Trento bombarolo 'uno che si droga', burino 'rozzo', buzzurro
'rozzo', pischella 'ragazzina', scocciato 'seccato', vaccaro 'tipo poco raffinato'- ma molte di
queste voci fanno ormai parte dell'italiano di tutti!). Fa la sua parte anche Milano, grande
centro di irradiazione di linguaggio giovanile (anche a Trento si usano cartone 'pugno ben
assestato' o pirla 'membro virile > scemo', o a Lecce ruscare 'lavorare sodo' e l'intercalare
neh), mentre altri centri minori devono la forza espansiva di parole del proprio dialetto
all'utilizzo in trasmissioni televisive: è il caso di genovesismi come i già citati besugo e
baletta, a cui si devono aggiungere gabibbo e imbibinarsi, diffusisi all'inizio degli anni
Novanta in tutta Italia (ed anche, grazie alla televisione e non per trasmissione diretta, tra i
giovani italofoni di Genova) dopo essere stati usati da un personaggio televisivo della
quotidiana "Striscia la notizia" di Canale 5.
In zone in cui il dialetto è ancora vitale si verifica, oltre all'uso di elementi dialettali
stabilizzati nel lessico giovanile, l'inserimento nel discorso di occasionali inserti dialettali, di
lunghezza variabile, che porta alla realizzazione di commutazioni di codice o di enunciati
mistilingui. Risalgono probabilmente a episodi di alternanze di codice di questo tipo le
realizzazioni dialettali attribuibili a giovani raccolte da Giuseppina Mosca a Palermo (del tipo:
Ti rumpu a matrici ri cuorna 'ti rompo la matrice delle corna' cioè 'ti rompo la testa', quartiati
'sta attento, perché è l'ora delle botte', scinni ca ti smacinu 'scendi che ti faccio a pezzi',
allargati ch'a pittura è frisca! 'allontanati che la pittura è fresca', cioè 'allontanati, quella
ragazza è impegnata').
Non è stata ancora studiata la dinamica che presiede ai mutamenti di codice nel
discorso giovanile, per verificare se essa risponda a criteri particolari, propri di questa
determinata interazione verbale; né i rapporti che esistono fra l'uso di dialettalismi stabilizzati
nel lessico giovanile e commutazione di codice. Alcune osservazioni svolte in area veneta
farebbero credere che l'uso di dialettalismi stabilizzati possa essere la chiave che dà il via al
cambiamento di codice, come avviene nel seguente esempio, che si situa all'interno di un
lungo colloquio in treno, condotto tutto in italiano:
A- Sei stato a ... [frammento non percepito, si riferisce comunque a una riunione dell'Azione Cattolica] B- No. A- Che brusone32. (breve pausa) Parla una che se diese ani che no ghe va più.
(in Storia della lingua italiana, II, Scritto e parlato, a cura di Luca Serianni e Pietro Trifone,
Torino, Einaudi, 1994, 291-317)