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DELIBERAZIONE n.1/2015/PAR Repubblica Italiana la Corte dei Conti Sezione regionale di controllo per il Molise nell’adunanza del 15 gennaio 2015 *********** composta dai magistrati: dott. Silvio Di Virgilio Presidente f.f. dott. Tommaso Miele Consigliere dott. Luigi Di Marco I Referendario dott. Alessandro Verrico Referendario, relatore *********** Visto l’art. 100, comma 2, della Costituzione; Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con Regio Decreto 12 luglio 1934, n. 1214 e successive modificazioni; Vista la legge 21 marzo 1953, n. 161; Vista la Legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante disposizioni in materia di giurisdizione e controllo della Corte dei conti; Vista la deliberazione delle Sezioni riunite della Corte dei conti n. 14/2000 del 16 giugno 2000, che ha approvato il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo della Corte dei conti, modificata con le deliberazioni delle Sezioni riunite n. 2 del 3 luglio 2003 e n. 1 del 17 dicembre 2004;

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DELIBERAZIONE n.1/2015/PAR

Repubblica Italiana

la

Corte dei Conti

Sezione regionale di controllo per il Molise

nell’adunanza del 15 gennaio 2015

***********

composta dai magistrati:

dott. Silvio Di Virgilio Presidente f.f.

dott. Tommaso Miele Consigliere

dott. Luigi Di Marco I Referendario

dott. Alessandro Verrico Referendario, relatore

***********

Visto l’art. 100, comma 2, della Costituzione;

Visto il testo unico delle leggi sulla Corte dei conti, approvato con Regio Decreto 12 luglio

1934, n. 1214 e successive modificazioni;

Vista la legge 21 marzo 1953, n. 161;

Vista la Legge 14 gennaio 1994, n. 20, recante disposizioni in materia di giurisdizione e

controllo della Corte dei conti;

Vista la deliberazione delle Sezioni riunite della Corte dei conti n. 14/2000 del 16 giugno

2000, che ha approvato il regolamento per l’organizzazione delle funzioni di controllo

della Corte dei conti, modificata con le deliberazioni delle Sezioni riunite n. 2 del 3 luglio

2003 e n. 1 del 17 dicembre 2004;

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Visto il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 recante il Testo unico delle leggi

sull’ordinamento degli enti locali;

Vista la Legge 5 giugno 2003, n. 131 recante disposizioni per l’adeguamento

dell’ordinamento della Repubblica alla Legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ed in

particolare l’art. 7, comma 8;

Visto l’atto d’indirizzo della Sezione delle Autonomie del 27 aprile 2004, avente ad

oggetto gli indirizzi e criteri generali per l’esercizio dell’attività consultiva, come integrato

e modificato dalla deliberazione della medesima Sezione del 4 giugno 2009, n. 9;

Vista la deliberazione della Sezione delle Autonomie del 17 febbraio 2006, n. 5;

Vista la deliberazione delle Sezioni Riunite di questa Corte n. 54/CONTR/10 del 17

novembre 2010;

Vista la nota del 24 novembre 2014, registrata al protocollo di questa Sezione n. 2506

del 24 novembre 2014, con la quale il Sindaco del Comune di Casacalenda ha avanzato

richiesta di parere;

Vista l’ordinanza n.1/PRES/2015 del 13 gennaio u.s. di convocazione della Sezione per

l’odierna seduta per deliberare sulla suddetta richiesta;

Udito il relatore, Ref. Alessandro Verrico;

Oggetto del parere

Il Sindaco del Comune di Casacalenda ha trasmesso una richiesta di parere nella

quale si chiede di conoscere “se sia legittimo e conforme alle regole di contabilità

pubblica che un Comune affidi in comodato d’uso gratuito ad una Cooperativa sociale

ONLUS un immobile appartenente al patrimonio disponibile del Comune per finalità di

interesse pubblico, individuabile segnatamente nella necessità di ospitare presso tale

immobile una struttura ad alta intensità terapeutico socio-riabilitativa (CRP), gestita dalla

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medesima cooperativa in regime di accreditamento istituzionale con il servizio sanitario

regionale, addossando ad essa tutti gli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria”.

PREMESSO

La funzione consultiva delle Sezioni regionali si inserisce nel quadro delle

competenze che la legge n. 131 del 2003, recante adeguamento dell’ordinamento della

Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, ha attribuito alla Corte dei

conti.

Deve essere dunque innanzi tutto esaminata la circostanza se la richiesta

proveniente dal Comune di Casacalenda rientri nell’ambito delle funzioni attribuite alle

Sezioni regionali della Corte dei conti dall’art. 7, comma 8, della legge 6 giugno 2003, n.

131. In virtù di tale norma Regioni, Province e Comuni possono rivolgere a dette Sezioni

richieste di pareri in materia di contabilità pubblica, nonché ulteriori forme di

collaborazione, ai fini della regolare gestione finanziaria e dell’efficienza ed efficacia

dell’azione amministrativa.

A tal proposito, va osservato che diverse sezioni regionali, in più occasioni, hanno

avuto modo di precisare che la funzione di cui al comma ottavo dell’art. 7 della legge n.

131/2003 si connota come facoltà conferita agli amministratori di Regioni, Comuni e

Province di avvalersi di un organo neutrale e professionalmente qualificato per acquisire

elementi necessari ad assicurare la legalità dell’attività amministrativa.

Ne consegue che i pareri, al pari delle altre forme di collaborazione, si inseriscono

nei procedimenti amministrativi degli enti territoriali consentendo loro, nelle tematiche in

relazione alle quali la collaborazione viene esercitata, di operare scelte adeguate e

ponderate nello svolgimento dei poteri che appartengono agli amministratori pubblici,

senza che ciò implichi alcuna forma di cogestione o coamministrazione con l’organo di

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controllo esterno (si veda, per tutte, la deliberazione della Sezione di Controllo della

Lombardia n. 36/2009).

Va infatti precisato che i pareri resi dalle Sezioni di controllo attengono sempre a

profili di carattere generale anche se, ovviamente, le richieste provenienti dagli enti

pubblici sono motivate, prevalentemente, dalla necessità di assumere specifiche decisioni

in relazione a situazioni contingenti. L'esame e le analisi svolte nei pareri, tuttavia, si

devono limitare all’individuazione dell’interpretazione di disposizioni di legge e di principi

generali dell'ordinamento in relazione alla materia prospettata dal richiedente,

competendo sempre a quest'ultimo, ovviamente, la decisione in ordine alle modalità

applicative delle norme interpretate in relazione alla specifica situazione che ha originato

il quesito.

Pertanto, in riferimento a quanto richiesto dal Sindaco del Comune di

Casacalenda, si deve osservare quanto segue.

In via preliminare va verificata la sussistenza dei requisiti soggettivi ed oggettivi di

ammissibilità della richiesta di parere.

Con particolare riferimento all’ambito di legittimazione soggettiva, per l'attivazione

di questa particolare forma di collaborazione, nel caso del Comune si ritiene per

consolidato orientamento che il Sindaco sia l’organo istituzionalmente legittimato a

richiedere il parere, in quanto riveste il ruolo di rappresentante dell’ente ai sensi dell’art.

50 T.U.E.L. Pertanto, nel quesito formulato dal Comune di Casacalenda, il presupposto

soggettivo sussiste.

Sotto il profilo oggettivo, i pareri sono previsti, dalla Legge n. 131 del 2003,

esclusivamente nella materia della contabilità pubblica.

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L’ambito oggettivo di tale locuzione, in conformità a quanto stabilito dalle Sezioni

Autonomie nel citato atto di indirizzo del 27 aprile 2004, nonché nella deliberazione n.

5/2006, deve ritenersi riferito “alle normative e ai relativi atti applicativi che disciplinano

in generale l’attività finanziaria che precede o che segue i distinti interventi di settore,

ricomprendendo in particolare la disciplina dei bilanci ed i relativi equilibri, l’acquisizione

delle entrate, l’organizzazione finanziaria contabile, la disciplina del patrimonio, la

gestione della spesa, l’indebitamento, la rendicontazione ed i relativi controlli”.

Le Sezioni riunite in sede di controllo, nell’esercizio della funzione di orientamento

generale assegnata dall’art. 17, comma 31, del decreto-legge 1 luglio 2009, n. 78,

convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, hanno fornito ulteriori

chiarimenti (cfr. del. n. 54/2010, emessa nell’esercizio della funzione di orientamento

generale ex art. 17, comma 31 D.L. n. 78/2009 conv. in L. n. 102/2009), evidenziando

che, in una visione dinamica della contabilità pubblica - che sposta l’angolo visuale dal

tradizionale contesto della gestione del bilancio a quello inerente ai relativi equilibri -

talune materie, estranee, nel loro nucleo originario, alla contabilità pubblica, possono

ritenersi ad essa riconducibili per effetto della particolare considerazione loro riservata

dal legislatore nell’ambito della funzione di coordinamento della finanza pubblica. Si è

precisato, infatti, che la funzione consultiva delle Sezioni regionali di controllo nei

confronti degli Enti territoriali deve svolgersi anche riguardo a quesiti che siano connessi

alle modalità di utilizzo delle risorse pubbliche, nel quadro di specifici obiettivi di

contenimento della spesa sanciti dai principi di coordinamento della finanza pubblica, e in

grado di ripercuotersi direttamente sulla sana gestione finanziaria dell’Ente e sui

pertinenti equilibri di bilancio. La funzione consultiva, poi, non può rivolgersi a quesiti che

implichino valutazioni di comportamenti amministrativi oggetto d’iniziative giudiziarie,

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proprie della Procura della stessa Corte dei conti, né può avere ad oggetto condotte

suscettibili di essere sottoposte all’esame di organi della giurisdizione ordinaria, contabile

o tributaria, al fine di evitare che i pareri prefigurino soluzioni non conciliabili con

successive pronunce giurisdizionali (Cfr. Sez. Contr. Piemonte n. 408/2013/PAR).

Infine, possono rientrare nella funzione consultiva della Corte dei conti le sole

richieste di parere volte a ottenere un esame da un punto di vista astratto e su temi di

carattere generale.

Tanto premesso, il quesito oggetto della richiesta di parere del Comune di

Casacalenda, che verte sulla richiesta di indicazione della concreta scelta gestionale da

effettuarsi da parte dell’Ente nel caso specifico prospettato, oltre a non potersi ritenere

afferente ad un quesito generale ed astratto, come sopra chiarito, in materia contabile, è

al contrario – evidentemente - rivolto ad ottenere da parte della Corte delle indicazioni

specifiche destinate a ripercuotersi sull’attività gestionale concreta, non potendo un

eventuale parere non avere implicazioni sulle concrete scelte gestionali che l’Ente si

troverà ad operare nell’ambito de quo e che, come tali, sono rimesse all’esclusivo

prudente apprezzamento dell’Ente stesso: ne consegue la sua inammissibilità sotto il

profilo oggettivo. Il quesito, infatti, non investe una questione di rilevanza generale, ma

richiede alla Sezione di esprimere una valutazione che attiene ad una attività gestionale

dell’Ente. In proposito, si richiama il principio per cui le richieste di parere devono avere

rilevanza generale e non possono essere funzionali all’adozione di specifici atti gestionali,

onde salvaguardare l’autonomia decisionale dell’Amministrazione e la posizione di

terzietà, nonché di indipendenza, della Corte: è potere-dovere dell’Ente, in quanto

rientrante nell’ambito della sua discrezionalità amministrativa, adottare le scelte concrete

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sulla gestione amministrativo-finanziario-contabile, con le correlative opportune cautele e

valutazioni che la sana gestione richiede.

Ad ogni modo, la Sezione ritiene opportuno delineare in questa sede i principi

generali che, in parte già espressi da questa Corte, potranno essere presi in

considerazione dall’ente nell’adozione del provvedimento gestionale oggetto della

richiesta di parere.

In particolare si ricorda che la giurisprudenza contabile ha già avuto modo di

precisare che, all’interno dell’ordinamento generale o nella disciplina di settore degli enti

territoriali, non sussiste uno specifico divieto normativo per la concessione in uso gratuito

di beni immobili facenti parte del patrimonio disponibile dell’ente locale. E ciò in quanto i

beni patrimoniali disponibili, appartenendo all’Ente pubblico uti privatorum, non hanno

una specifica destinazione o, comunque, un’utilità pubblica e vengono pertanto

assoggettati, in linea di principio, alla disciplina privatistica.

Tuttavia, occorre altresì considerare che la concessione in uso gratuito di un bene

immobile, facente parte del patrimonio disponibile di un ente locale, costituisce atto di

per sé idoneo a determinare un’attribuzione di “vantaggio economico” in favore di un

soggetto di diritto privato, nonostante sia previsto, come nel caso di specie, l’accollo in

capo ad esso degli oneri di manutenzione ordinaria e straordinaria. Dovrà, pertanto,

trovare applicazione la disciplina generale dei provvedimenti attributivi di vantaggi

economici contenuta nell’art. 12 della l. 7 agosto 1990, n. 241, che, sotto la rubrica

“Provvedimenti attributivi di vantaggi economici”, stabilisce che “la concessione di

sovvenzioni, contributi, sussidi ed ausili finanziari e l'attribuzione di vantaggi economici di

qualunque genere a persone ed enti pubblici e privati sono subordinate alla

predeterminazione ed alla pubblicazione da parte delle amministrazioni procedenti, nelle

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forme previste dai rispettivi ordinamenti, dei criteri e delle modalità cui le

amministrazioni stesse devono attenersi” e che “l'effettiva osservanza dei criteri e delle

modalità di cui al comma 1 deve risultare dai singoli provvedimenti relativi agli interventi

di cui al medesimo comma 1”.

In secondo luogo, occorre altresì considerare che l’indirizzo politico legislativo

degli ultimi anni riconosce alla gestione del patrimonio immobiliare pubblico una

valorizzazione ordinariamente finalizzata all'utilizzo dei beni secondo criteri privatistici di

redditività e di convenienza economica, il che finisce per rappresentare una delle forme di

attuazione da parte delle Pubbliche Amministrazioni del principio costituzionale di buon

andamento (art. 97 Cost.), del quale l’economicità della gestione amministrativa

costituisce il più significativo corollario (art. 1, legge n. 241/1990 e ss.ii.mm.).

Tuttavia, considerando che gli enti locali non devono perseguire, costantemente e

necessariamente, un risultato esclusivamente economico in senso stretto

nell'utilizzazione dei beni patrimoniali, ma, in quanto enti a fini generali, devono

comunque curare gli interessi e promuovere lo sviluppo della comunità amministrata, in

linea generale sono ammesse deroghe (come sarebbe per l’ipotesi del comodato ad uso

gratuito), ove venga perseguito un interesse pubblico equivalente o addirittura superiore

rispetto a quello che viene raggiunto mediante lo sfruttamento economico dei beni.

L’ente locale pertanto, oltre a dover rispettare le proprie norme regolamentari e i

principi generali dettati dalla l. n. 241/90, è tenuto non solo ad indicare “le finalità

pubblicistiche che intende perseguire con la stipula del negozio di comodato, bensì deve

altresì verificare che l’utilità sociale perseguita rientri nelle finalità a cui è deputato l’ente

locale medesimo” (Corte dei conti, Sezione regionale di controllo per la Lombardia,

deliberazione n. 672/2010/PAR). In particolare, “la concessione in comodato di beni di

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proprietà dell’ente locale è da ritenersi ammissibile nei casi in cui sia perseguito un

effettivo interesse pubblico equivalente o addirittura superiore rispetto a quello

meramente economico ovvero nei casi in cui non sia rinvenibile alcun scopo di lucro

nell’attività concretamente svolta dal soggetto utilizzatore di tali beni” (Corte dei conti,

Sezione regionale di controllo per la Lombardia, deliberazione n. 172/2014/PAR).

A tal ultimo riguardo, si evidenzia inoltre che la Sezione regionale di controllo per

il Veneto (deliberazione n. 716/2012/PAR, in linea di continuità con quanto già affermato

dalla Sezione Lombardia - cfr., in particolare, deliberazione n. 349/2011/PAR e

precedenti ivi richiamati) ha precisato che la deroga al principio generale di redditività del

bene pubblico può essere giustificata “solo dall’assenza di scopo di lucro dell’attività

concretamente svolta dal soggetto destinatario di tali beni. A questo proposito, il Collegio

ritiene opportuno chiarire che la sussistenza o meno dello scopo di lucro, inteso come

attitudine a conseguire un potenziale profitto d’impresa, va accertata in concreto,

verificando non solo lo scopo o le finalità perseguite dall’operatore, ma anche e

soprattutto le modalità concrete con le quali viene svolta l’attività che coinvolge l’utilizzo

del bene pubblico messo a disposizione. […] La Sezione precisa, inoltre, che, oltre

all'accertamento in concreto dell’assenza di uno scopo di lucro dell’associazione di

interesse collettivo, ai fini di un corretta gestione del bene pubblico di cui si intende

disporre a suo favore, qualsiasi atto di disposizione di un bene, appartenente al

patrimonio comunale, deve avvenire nel rispetto dei principi di economicità, efficacia,

trasparenza e pubblicità, che governano l’azione amministrativa nonché nel rispetto delle

norme regolamentari dell’ente locale”.

Inoltre, con specifico riferimento al caso de quo, occorre precisare che la

particolare qualità di ente accreditato istituzionale, rivestita dalla cooperativa sociale

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ONLUS possibile destinataria dell’atto gestionale, deve portare l’ente, ove ricorra al

comodato d’uso gratuito, a porre particolare attenzione al fine di evitare l’eventuale

concretizzarsi di una indebita duplicazione di vantaggi in favore della beneficiaria stessa.

Invero, l'accreditamento istituzionale della cooperativa, ai sensi dell’art. 17 della l.r. n.

18/2008, sull’intero immobile per una struttura ad alta intensità terapeutico socio-

riabilitativa, del quale il Comune istante fa espressa menzione nella richiesta di parere,

potrebbe comportare in favore di essa l’assegnazione di contributi da parte della Regione

per l'erogazione del servizio specifico; contributi probabilmente quantificati anche in

ragione degli oneri derivanti dall'uso dell’immobile, i quali, pertanto, troverebbero una

idonea e sufficiente “copertura”.

Ebbene, nell’adozione dell’atto prospettato occorrerà considerare che una tale

eventualità potrebbe concretamente determinare il configurarsi di forme di indebito

arricchimento in favore della cooperativa, la quale verrebbe a percepire la detta

contribuzione e, al contempo, in virtù del comodato d’uso gratuito, disporrebbe già

dell’intero immobile in assenza di proprie controprestazioni onerose (non potendo valere

a tal fine l’accollo della manutenzione ordinaria e straordinaria).

In conclusione, la possibilità per l’ente locale di stipulare un negozio di comodato

ad uso gratuito avente ad oggetto un bene immobile facente parte del proprio patrimonio

disponibile rappresenta una scelta che, non essendo sindacabile dalla Sezione che non

può ingerirsi nelle concrete scelte amministrative dell’Amministrazione, risulta rimessa

esclusivamente alla discrezionalità ed al prudente apprezzamento dell’ente. Ad ogni

modo, il Comune, oltre a dover considerare le possibili conseguenze di un tale atto

gestionale, nei provvedimenti in concreto adottati dovrà dare conto, con una chiara ed

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esaustiva motivazione, delle finalità di interesse pubblico, unitamente alla compatibilità

finanziaria dell’intera operazione posta in essere.

La Sezione

P.Q.M.

ritiene che la questione sollevata attraverso il quesito proposto dal Comune di

Casacalenda sia inammissibile sotto il profilo oggettivo.

Dispone che della presente delibera sia data comunicazione all’Ente proponente.

Così deliberato in Campobasso nella camera di consiglio del 15 gennaio 2015.

Il Magistrato, relatore Il Presidente f.f. f.to (Ref. Alessandro Verrico) F.to (Cons. Silvio Di Virgilio)

DEPOSITATA IN SEGRETERIA IL 15 gennaio 2015.

IL DIRETTORE AMMINISTRATIVO F.to (dott. Davide Sabato)