Corso di Laurea in Scienze della Società e del Servizio...
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Corso di Laurea in Scienze della Società e del Servizio Sociale
Tesi di Laurea
L’approccio narrativo nel contesto dei Servizi Sociali
Relatore
Ch. Prof.ssa Anna Rita COLLOREDO
Tesi di Laurea di Massimiliano GUERCI
Matricola 841454
Anno Accademico 2015 / 2016
1
Introduzione
Tra il 2014 e il 2015 ho avuto la fortuna di svolgere l’attività di tirocinio formativo
presso il Comune di Vittorio Veneto (Unità Operativa Sociale – Condizione giovanile),
a contatto con le Assistenti Sociali1 di tutte le Aree preposte (Minori, Adulti, Famiglie,
Anziani, con l’AS di quest’ultima area mia supervisore). Durante questi nove mesi ho
assistito a colloqui, visite domiciliari, redatto il Diario del Caso, oltre ad aver
partecipato quotidianamente alla vita del Servizio.
Tra le varie attività svolte il colloquio (che si sia trattato di primo colloquio o di
aggiornamento) è stata quella che mi ha colpito maggiormente. È stato molto
interessante, oltre che istruttivo, osservare le varie fasi del colloquio: dal primo
contatto per avere un successivo appuntamento, al colloquio vero e proprio, presso
la sede dei servizi o a domicilio, e via via fino agli accordi finali e al congedo.2 Ma ciò
che mi ha particolarmente impressionato sono state le modalità con le quali le
persone si relazionano, non solo con le AS, ma anche fra familiari, nel caso di
colloqui con più persone.
Chi si presenta ha sempre qualcosa da portare: un carico di dolore, di fatica, un
problema, un caso proprio o di altre persone (parenti, vicini di casa…), una richiesta,
o anche, più genericamente, un bisogno non immediatamente specificabile. Ciò che
gli utenti portano viene quindi molto spesso “filtrato” attraverso codici interpretativi
(spesso espliciti, ma talvolta anche latenti) che permettano di dare o meno una
risposta adeguata al tipo di domanda. Ci tengo a sottolineare che tutte le AS con cui
sono stato a contatto nel Servizio sono molto attente e sensibili e cercano di
instaurare una proficua relazione d’aiuto, generando fiducia e responsabilizzando gli
utenti, facendoli sentire al centro del progetto e non semplicemente un caso, a cui
rispondere con un’elargizione, di qualunque tipo.
Chiunque si rivolga al Servizio, poco importa che sia un utente conosciuto o un
cittadino in cerca di informazioni, porta dunque sempre qualcosa che è suscettibile di
svariate interpretazioni e/o di classificazioni (richieste economiche, di aiuto
domestico, consigli etc.), ma prima di tutto porta una storia. Dopo aver oltrepassato
1 Di seguito AS 2 Per le tipologie di colloquio e le sue varie fasi si veda Allegri E., Palmieri P., Zucca F., Il colloquio nel servizio sociale, Carocci, 2006
2
la soglia della stanza personale dell’AS l’utente inizia a raccontare il motivo della sua
visita, e contemporaneamente (e spesso inconsapevolmente) ha luogo una vera e
propria narrazione dei fatti che vedono se stesso o i suoi congiunti come protagonisti.
“Tutto è iniziato qualche mese fa, quando è successo che…” “Il problema è che mia
mamma…” “La mia situazione è molto complicata…” “Guardi, la storia è questa…”
Una narrazione senza dubbio non sempre ordinata, non sempre coerente, e a volte
neanche del tutto vera, ma sicuramente sempre propria, al di là del contenuto di
veridicità espresso, se non altro perché esprime sempre l’essere qui e ora di quella
persona. A questo proposito, partendo dal pensiero autobiografico, che qui si può
forse utilizzare, Demetrio dice:
“Il problema non è più quello di rintracciare il vero io, il vero personaggio che siamo stati o che siamo.
Lo scopo diventa la ricerca dei molti ruoli, delle molte parti recitate e della figura che più ci interessa
impersonificare in quel momento o istante di vita”.3
Certamente uno dei compiti dell’AS è ascoltare queste storie, dar loro un ordine,
attribuire un significato, e di conseguenza aprire una prospettiva di intervento,
pensare un progetto adeguato per quella situazione, su misura per quella persona.
La prospettiva può cambiare molto se durante un colloquio il pensiero dell’AS si
dirige subito all’intervento, occupandosi solo della richiesta esplicitamente formulata
da un utente, o del caso da classificare entro il “giusto” schedario, anziché
appropriarsi della narrazione che è stata portata e cercarne i confini, i contatti con
tutti i possibili protagonisti dalla trama (termine non a caso sinonimo di rete).
Negli ultimi anni il legame fra il tema della narrazione e le scienze sociali, e più nello
specifico i Servizi Sociali, si sta stringendo sempre di più, diventando un tema di
grande interesse nel dibattito contemporaneo: l’idea di una legittimità del pensiero
basata su costrutti di razionalità e oggettività, caratteristica del pensiero moderno, sta
lentamente tramontando per lasciare sempre più spazio a modelli dinamici, ad
approcci e prospettive relazionali in cui il focus del procedimento conoscitivo si
sposta verso la comprensione e l’interpretazione dei modi in cui le persone mettono
ordine alla propria esperienza. Ed è in questa prospettiva che ha senso parlare di
approccio narrativo.
3 Demetrio D. Raccontarsi – L’autobiografia come cura di sé, Cortina, 1995, pag. 35
3
“Alle certezze della razionalità positivista, l’orientamento narrativo privilegia i policromi modi di
conoscere dell’arte e della letteratura, valorizzando forme di pensiero connotativo, figurale, analogico,
legati ai vissuti e alle esperienze individuali. All’enfasi sulla verità o sulla falsità sostituisce l’attenzione
per la trama delle storie, ovvero per il modo in cui gli eventi sono messi in relazione e dotati di
significato.”4
Mi è sembrato quindi interessante cercare di fare un lavoro di tesi partendo da un
possibile studio di questo approccio.
Il lavoro è diviso in tre capitoli principali. Nel primo provo a spiegare cosa si intende
per narrazione, quali sono gli orizzonti culturali da cui nasce, i valori, quali ambiti
tocca e quali sono le sue prospettive di utilizzo oggi.
Nel secondo inserisco la narrazione nel Servizio Sociale, illustrando in quale senso si
può parlare di approccio narrativo, in che modo si presenta e in che modo si può
utilizzare. Sarà importante anche spiegare la relazione con l’utente, il suo punto di
vista e la raccolta delle informazioni.
Nel terzo cerco di rintracciare la narrazione dietro i Servizi Sociali, come ipotesi
organizzativa, ovvero in che modo l’approccio narrativo può essere un codice
alternativo per l’emersione e la soluzione di problemi e se la narrazione può essere
utilizzata come risorsa gestionale dei processi comunicativi al fine di ottimizzare le
risorse.
4 Poggio B. Mi racconti una storia? – Il metodo narrativo nelle scienze sociali, Carocci, 2004, pag. 17
4
1. Che cosa è la narrazione
In questo primo capitolo si proverà a stabilire relazioni con alcuni temi culturali
dell’epoca contemporanea e a tracciare un profilo generale della narrazione.
1.1 L’importanza della narrazione nel dibattito culturale contemporaneo
Un punto di partenza basilare al quale si può fare risalire l’importanza del sapere
narrativo come possibile modello di sviluppo della conoscenza, può essere
rintracciato in Lyotard. In La condizione post-moderna5 il filosofo francese descrive
l’epoca contemporanea come fortemente caratterizzata dal progressivo tramonto
delle grandi ideologie totalizzanti che pretendevano di interpretare la realtà
unicamente attraverso rigidi modelli di razionalità, sui quali edificare la propria
legittimità scientifica. Nel dibattito contemporaneo, non solo filosofico, ma che
abbraccia tutte le scienze umane, assistiamo da qualche anno alla fine di questo
modo di pensare: non è più possibile passare da un modello di conoscenza ritenuto
insufficiente, ad un altro ritenuto più consono e aderente alla realtà, in modo univoco
e diretto. L’idea di progresso non è data dal passaggio da un paradigma a un altro
semplicemente perché le conoscenze aumentano, in tutti i campi del sapere, e non
può più esistere un modello unico, universalmente accettato, in grado di
comprenderle e giustificarle tutte. Esistono e co-esistono invece pluralità di modelli,
che possono funzionare a seconda del contesto in cui vengono applicati, ed è questo
che caratterizza il passaggio da una società moderna ad una post-moderna.
In questo contesto il sapere narrativo trova (o forse si potrebbe anche dire ri-trova)
una propria dimensione progettuale e una propria dignità perché è in grado di
abbracciare molte di quelle dimensioni relazionali e umane che sfuggono ai rigidi
parametri razionalistici.
5 Lyotard, J.F., La condizione post-moderna, Feltrinelli, 1979
5
1.2 Paradigma o approccio narrativo?
Proprio per questo motivo sarebbe indebito parlare di paradigma (che rimanda a
qualcosa di definito e stabile), preferendo la locuzione approccio narrativo, in cui i
contorni appaiono più sfumati, e in cui si privilegia maggiormente l’attenzione a
particolari che difficilmente, e comunque non sempre, possono essere suscettibili di
generalizzazione. È un approccio decisamente più induttivo, ideografico, che può
tuttavia essere utile per rintracciare comunque delle caratteristiche comuni e
allargare la visione verso scenari non altrimenti percepibili. La parola approccio
inoltre riesce a dare meglio l’idea di un avvicinamento progressivo, anche prudente
se si vuole, ma difficilmente di un approdo definitivo, acquisito una volta per tutte.
1.3 Narrazione e scienze sociali
Il legame della narrazione con le scienze sociali si colloca però sul piano della
relazione, ed è in questo senso che si può affermare che la narrazione e l’atto stesso
di narrare siano radicati nell’azione sociale.6
In particolare si può rinvenire l’effetto sociale della narrazione in almeno tre ambiti:
prima di tutto la narrazione comprende sempre un interlocutore, che, sebbene possa
essere formalmente assente dalla scena, fornisce comunque il riferimento su cui
destinare il racconto: nella narrazione avviene sempre uno scambio, ed è attraverso
questo scambio che si trascendono le singolarità delle persone e chi racconta può
vedere riconosciuta la propria esistenza dal destinatario. In secondo luogo la
narrazione è fondata sul linguaggio, che è un costrutto che esiste attraverso
l’interazione fra gli individui. E in terzo luogo la narrazione è un’azione sociale, cioè
una costruzione che mette in relazione degli eventi, e consente alle persone di
riconoscere la propria vita, di trasmettere le esperienze e di collegare passato,
presente e futuro: attraverso il racconto delle esperienze soggettive gli uomini
costruiscono quelle convinzioni che finiranno poi con il determinare i loro
comportamenti e le loro azioni. La conoscenza narrativa acquisisce quindi sia valore
6 Per questi aspetti si veda Poggio B. (2004), cit., e Bruner J., La costruzione narrativa della realtà in Ammaniti M., Stern D. N. (a cura di) Rappresentazioni e narrazioni, Laterza, 1991
6
epistemologico, in quanto utile per la comprensione del mondo, sia valore ontologico,
in quanto dimensione attraverso la quale gli uomini si presentano a sé stessi e agli
altri.
A ciò si può collegare anche la natura trasformativa della conoscenza narrativa:
raccontare degli episodi della propria vita ha un forte potere trasformativo, che
conduce a modificare l’idea che la persona ha di sé. Questo accade perché creando
e raccontando storie si assegnano significati alla propria vita, si ricostruiscono
scenari passati e si intravedono percorsi futuri. La narrazione permette quindi di
ricostruire e dare significato agli aspetti latenti della propria vita: attraverso
l’evoluzione la narrazione si connette anche ad alcuni modi di costruire l’identità7 e
alla capacità di progettare alternative possibili alla propria vita.
1.4 La narrazione come funzione mentale in ambito sociale
La capacità di narrare può essere intesa anche come una funzione mentale, una
funzione fondamentale per dare un’organizzazione al proprio mondo interiore.
Traducendo in storia la propria esperienza è possibile giungere ad una strutturazione
del proprio pensiero: nel momento in cui la storia viene raccontata subisce una
rielaborazione che permette una presa di coscienza dell’evento che si sta trattando.
Utilizzando il pensiero narrativo si possono costruire complesse trame di accadimenti
ed eventi, si mettono in relazione situazioni ed esperienze passate, presenti e future,
ma soprattutto si attivano processi di interpretazione, elaborazione e comprensione
che possono dare senso e significato a queste esperienze stesse.
La narrazione risulta allora particolarmente efficace nella comprensione di
accadimenti, esperienze e situazioni connotate da forte intenzionalità, in cui giocano
un ruolo centrale i soggetti umani, le loro storie, la loro cultura, l’etica di cui sono
portatori, le loro intenzioni, motivazioni, e scelte che interagiscono sia su un piano
cognitivo/culturale che su un piano affettivo/relazionale.
Attraverso la narrazione si riescono allora a rendere visibili e consapevoli non solo le
intenzioni e le motivazioni delle azioni indagate e narrate, ma anche le strutture di
conoscenza ai quali i soggetti si riferiscono nel pianificare e realizzare le proprie
7 Questo aspetto verrà preso in esame più avanti, nei paragrafi 1.7 e 3.5.
7
azioni. È in questo modo che la narrazione fa emergere i processi conoscitivi di cui i
soggetti sono portatori e le relative forme di razionalità cui fanno riferimento nel loro
agire: attraverso questi processi si possono costruire nuove forme di conoscenza che
hanno il potere di trasformare la realtà.8
1.5 Alcune caratteristiche della narrazione
È indubbio che, dal punto di vista comunicativo, l’acquisizione del linguaggio verbale
rappresenti la caratteristica che differenzia l’essere umano nel cammino onto-
filogenetico e che la narrazione vesta un ruolo fondamentale nelle società umane, un
ruolo che può essere caratterizzato dalla necessità sia di dare un’organizzazione al
proprio mondo interiore, sia di attribuire significati all’esperienza umana.
Non è qui possibile rintracciare un percorso esaustivo del concetto di narrazione, i cui
fondamenti teorici risalgono alla Poetica di Aristotele e che arrivano fino ai giorni
nostri attraverso numerosissimi studi.9 Si può però cercare di individuare alcuni punti
sui quali i ricercatori sono d’accordo e dai quali partire. Si ritiene importante cercare
di elencare brevemente tali proprietà proprio perché esse non esauriscono la loro
portata solo in un ambito di ricerca convenzionale (letteraria, filosofica, etc.), ma
perché potrebbero rivelarsi utili per cercare di inserire la narrazione anche nel
contesto sociale, cercando poi di avvicinarsi progressivamente ad un eventuale
legame con il Servizio Sociale.
1. La temporalità
La funzione narrativa è strettamente legata alla sua natura temporale: gli eventi
raccontati sono organizzati diacronicamente in modo da avere un inizio (uno stato
originale), un punto intermedio (un evento) e una conclusione. Alla base di questa
proprietà c’è l’idea di svolgimento, di trasformazione di una situazione.
8 Per un’analisi della narrazione come dispositivo conoscitivo e interpretativo si veda Bruner J., La mente a più dimensioni, Laterza, 1988. 9 Tra questi si possono citare almeno Barthes R., introduzione all’analisi strutturale del racconto, in AAVV L’analisi del racconto Bompiani, 1969, e Genette G., Figure III. Discorso del racconto, Einaudi, 1987
8
2. La specificità
Una narrazione riguarda sempre alcuni attori e avvenimenti specifici, situati cioè in
contesti particolari (spazio, tempo, contesto e scopi).
3. Gli obiettivi
L’azione che viene narrata ha sempre uno scopo: mettere in luce obiettivi, desideri e
anche sentimenti.
4. Il conflitto
A sua volta affinché obiettivi e desideri vengano realizzati vi è un conflitto da
superare. Non esiste infatti una narrazione senza una rottura dell’equilibrio o un
problema. Il conflitto può assumere la forma sia di evento inatteso che si verifica
improvvisamente e che rompe la situazione di equilibrio, sia di mancata realizzazione
di un evento atteso.
5. La credibilità
Le narrazioni non riescono a rispondere sempre ad un principio di verità, non è
questo il loro obiettivo: devono invece aderire alla logica delle azioni. Ciò che importa
è la credibilità, (ossia la coerenza interna, piuttosto che una verità non contraddittoria
in termini assoluti) che il narratore è in grado di esprimere legando e ricomponendo
tutti gli elementi di un accadimento.
6. La trama
Poiché una narrazione più che vera risulti coerente, ha bisogno di una trama (plot),
un intreccio, un filo conduttore che colleghi e sostenga tutti gli elementi in gioco. La
costruzione della trama è sempre a cura del narratore, che sceglie la disposizione più
consona per indurre nell’ascoltatore la propria interpretazione degli eventi. Ma allo
stesso tempo è anche l’ascoltatore stesso partecipe della costruzione dell’intreccio,
in quanto soggetto attivo nel ricercare il senso della storia raccontata.
Riassumendo quanto detto si può arrivare a questa prima parziale definizione della
narrazione:
• è un’attività umana universale, presente in ogni cultura e in ogni tempo
9
• è legata ai concetti di storia, racconto e discorso
• è una forma di organizzazione del discorso umano, caratterizzata dal mettere
in relazione degli eventi
• attribuisce un ordine causale a questi eventi
• ha degli elementi strutturali tipici, quali una struttura cronologica, una trama,
dei personaggi
• prevede il verificarsi di una situazione di cambiamento ai quali i personaggi
reagiscono
Condensando al massimo si arriva alla definizione asciutta ma calzante della
narrazione da parte di Herrnstein Smith, che specifica che la condizione essenziale è
che “qualcuno dica a un altro che è successo qualcosa”.10
Come si può vedere queste caratteristiche possono adattarsi anche in un contesto
sociale laddove necessiti una capacità di analisi strutturale del materiale portato dagli
utenti.
1.6 L’approccio narrativo come approccio adattivo
Assumendo il fatto che il Servizio Sociale, prima di essere un’attività di intervento, sia
soprattutto (ma non solo) un’attività di relazione, che gli ambiti in cui questa relazione
si esprime sono quelli della cosiddetta trifocalità11, e che il colloquio, il dialogo e
l’incontro siano i luoghi privilegiati per il consolidamento della relazione, allora è
possibile sostenere che le caratteristiche della narrazione possono essere viste in
un’ottica di empowerment e impiegate nella ricerca e nello sviluppo della relazione
d’aiuto. In questo senso l’approccio narrativo, proprio per la sua natura discorsiva
non centrata sulla ricerca di verità assolute, può costituirsi come una forma di lettura,
interpretazione del disagio e risposta che sia al contempo più agile e pertinente
rispetto a più rigidi parametri astratti basati su una supposta evidenza empirica.
10 Herrnstein Smith B., On Narrative, University of Chicago Press, 1984, pag. 228 11 I tre oggetti di attenzione della prospettiva trifocale sono i singoli individui, il loro contesto ambientale e sociale, e la struttura istituzionale. Per questo aspetto si veda Gui L., Le sfide teoriche del Servizio Sociale, Carocci, 2004, e la voce Trifocalità in (a cura di Campanini A.) Nuovo Dizionario di Servizio Sociale, Carocci, 2013.
10
In un contesto sociale come quello contemporaneo, caratterizzato dalla mancanza (o
comunque problematica) coerenza, il percorso narrativo può essere più adatto a
cogliere la complessità, quando non la contraddittorietà, dell’esperienza umana.
1.7 Narrazione e costruzione di identità
“Il principale modo in cui noi riveliamo noi stessi agli altri
sono le storie che raccontiamo”12
A partire da un discorso sulla difficoltà di rinvenimento di una forma di coerenza e
sulla contraddittorietà dell’esperienza umana tipica dell’epoca contemporanea, è
necessario affrontare brevemente il problema dell’identità.
Come si è detto il lavoro dell’AS è un’attività di relazione, di scambio, di dialogo e a
volte anche di scontro, comunque è per mezzo dell’incontro che si crea quel luogo
privilegiato dove le persone raccontano loro stesse, si mostrano per quello che sono
(o che non sono) ed esibiscono la loro identità. Ciò avviene attraverso il racconto di
esperienze e vissuti, attraverso la comunicazione verbale, ma anche quella non
verbale, la scelta delle parole e di cosa dire o cosa omettere: in ogni caso, qualunque
sia il modo di comunicare di una persona, essa rifletterà sempre almeno una parte
della propria identità.
In che modo la narrazione può essere utile alla dimensione di ascolto dell’AS, ovvero
come riuscire ad avere un adeguato strumento di comprensione proprio,
caratterizzante, ed evitare di utilizzare quelli pertinenti ad altre discipline?
Il dibattito su chi è l’AS, su come opera e su come dovrebbe operare è da sempre
ricchissimo di diversi punti di vista, anche molto diversi fra loro, e soprattutto sempre
in fieri, mai raggiungibile in modo concorde una volta per tutte, proprio per la sua
natura relazionale. E le modalità di relazione mutano, cambiano forma nel corso del
tempo e della storia, soprattutto perché cambiano le persone, il loro modo di
percepirsi, il loro modo di costruire e mantenere un’identità.
Ora, è assodato che un AS non sia un terapeuta, uno psichiatra o uno psicologo, e
nemmeno un criminologo o un Pubblico Ministero incaricato di “tracciare un profilo”, e
12 Lieblich A., Tuval-Mashiach R., Zilber T., Narrative Research, Sage, 1998
11
in questo senso non è interessato a conoscere una supposta “vera” identità di chi gli
sta di fronte, né è suo compito capirne la personalità o la struttura di personalità da
inserire poi all’interno di un rigido protocollo tassonomico. Tuttavia ha pur bisogno di
qualche strumento per comprendere le persone e ciò che raccontano. Quali
strumenti può utilizzare l’AS a questo scopo, o per così dire, in che modo può tenersi
ad una giusta distanza dal suo interlocutore, in modo cioè non troppo ravvicinato da
sconfinare in discipline che non gli appartengono, ma nemmeno troppo lontano da
perdere ogni forma di orientamento?
Una soluzione potrebbe giungere dal confronto tra la costruzione identitaria e il
processo narrativo, in particolare
“(…) mostrando come sia soprattutto attraverso la narrazione che gli individui cercano di produrre dei
Sé coerenti e soddisfacenti sullo sfondo dei valori e delle aspettative della cultura di riferimento.”13
Non meno che i paradigmi scientifici fondati sulla legittimità razionale, anche la
nozione stessa di identità sta attraversando lo stesso tipo di crisi: il venir meno della
fiducia in un mondo oggettivo e osservabile si ripercuote anche sulla certezza di
rintracciare un Sé fondato e “reale”. I processi di saturazione sociale tipici dell’epoca
contemporanea espongono gli individui a un numero sempre maggiore di relazioni,
dove i tratti dominanti dell’identità stanno diventando la molteplicità, la
frammentazione, distanziando sempre più il centro, il nucleo identitario della persona,
in favore di una pluralità di frammenti di sé a seconda del contesto relazionale. Si
può dire che il Sé identitario non sia più collocabile staticamente all’interno di
ciascuno, ma che esso sia qualcosa di più mobile, adattabile e dinamico a seconda
del contesto sociale e culturale di cui ciascuno è parte. È a partire da questo sfondo
che è possibile parlare allora di identità narrativa: un’ipotesi di orientamento più
flessibile che tenga conto di tutte le forze contrastanti e di tutti i diversi stati di sé.14
Da questo punto di vista è proprio la narrazione a fare da “collante” a tutti i nostri
diversi sé e l’unità è data dal considerare la nostra vita come un’unica storia che si
sviluppa attraverso il tempo. Nell’epoca dell’eclissi di un centro e di un’identità
immutabile ciò che invece rimane costante è il patrimonio di storie di ciascuno di noi
13 Poggio B. (2004), cit., pag. 49. 14 La nozione è stata introdotta da P. Ricoeur in Tempo e racconto, Jaca Book, 1986.
12
è portatore, e che quindi diventa non solo la fonte della propria stabilità, ma anche il
tratto attraverso il quale vogliamo essere riconosciuti, pensati e… identificati.
“Il principale desiderio che anima ogni narratore è che la propria esistenza venga riconosciuta da chi
ascolta il suo racconto.”15
1.8 Il valore della memoria familiare
In questo primo capitolo un accenno può essere fatto anche in merito all’importanza
del contesto familiare: la famiglia rappresenta infatti il luogo originario dove nasce,
prende vita l’uso della narrazione e dove parte il processo di condivisione di quei
valori che formeranno i primi strati del nucleo identitario. Ed è attraverso le narrazioni
familiari che vengono rivissute insieme tutte quelle esperienze che saranno poi la
base per dare senso agli eventi e per affrontare la vita. Si pensi ad esempio al
legame tra generazioni, dove le storie che gli anziani raccontano ai bambini
rappresentano non solo un patrimonio in cui viene conservata e tramandata la
memoria familiare, ma anche una guida e una funzione formativa a cui attingere per
fronteggiare le situazioni di crisi:
“Raccontando ciò che sono stati, ciò che hanno vissuto, ciò che sono giunti a comprendere, gli adulti
trasmettono indirettamente ai bambini un lessico per la vita e le relative istruzioni d’uso.”16
La narrazione come memoria collettiva da una parte definisce i valori a cui attenersi,
dall’altra circoscrive, confina i comportamenti da evitare: ai membri della famiglia
vengono fornite in questo modo le regole relative al giusto modo di comportarsi,
attribuendo ruoli diversi a ciascun membro e stabilendone i modelli relazionali.
Lo storytelling familiare viene inoltre utilizzato in alcuni approcci terapeutici (ad
esempio quello sistemico) sia per ricostruire le interazioni e le dinamiche fra i diversi
membri della famiglia, sia per restituire a ciascuno la propria individualità: ascoltando
le storie altrui e utilizzando le narrazioni emergenti, il terapeuta cercherà di evitare la
tendenza da parte della famiglia di confinare un suo membro all’interno di una visione
15 Jedlowski P., Storie comuni, Mondadori, 2000. 16 Formenti L., La famiglia si racconta, San Paolo, 2002
13
stereotipata, ma promuoverà una maggiore tolleranza attraverso il riconoscimento
delle prospettive di tutti i familiari, al fine di sviluppare nuove soluzioni per il futuro.
1.9 La narrazione autobiografica
Si può concludere questo primo capitolo cercando in qualche modo di chiudere il
cerchio con quanto si diceva all’inizio a proposito del vivere sociale e individuale
contemporaneo caratterizzato da molteplicità, frammentazione e difficoltà nel trovare
una coerenza unitaria. Nonostante i rischi di dispersione a cui siamo esposti emerge
tuttavia sempre più spesso la necessità, l’urgenza di ricompattare in qualche modo i
fili della propria vita, o per così dire, della propria storia. Ecco allora che il raccontarsi
diventa una delle forme a cui si ricorre per cercare di ridare senso alla vita.
Come sostiene Demetrio17 il pensiero autobiografico non è solo il tentativo di ritrovare
qualche sperduto ricordo, ma diventa un luogo interiore di benessere e cura, di auto
presa in carico che può aiutare, seppur con difficoltà e dolore, ad arrivare a una
riconciliazione e assoluzione di e con se stessi. Una tregua, quindi, un
ripatteggiamento con sè e gli altri che dovrebbe rappresentare un’importante cifra
interpretativa dell’età adulta di questa nostra epoca: accettare il fatto che in noi
possano coabitare tanti sé diversi, spesso contraddittori e in opposizione fra loro, e
che una delle tappe dell’età adulta sembra essere proprio la capacità di riconoscere
tutte queste parti. Come si è visto nel paragrafo sull’identità, il Sé contemporaneo
tende a distribuirsi, disperdersi e una delle funzioni del pensiero autobiografico
diventa allora la capacità di ritrovarsi, di darsi pace e di venire a patti con se stessi.
È in tal senso che Demetrio parla di io tessitore, un io che in qualche modo prevale
su tutti gli altri con il compito di fungere da mediatore capace di suturare le varie parti
disconnesse e riconoscere legittimità a tutte. Questo è lo scopo della narrazione
autobiografica, uno scopo autoterapeutico che sappia non solo ripercorrere il
passato, ma anche rendersi aperti al cambiamento e a nuove possibilità.
“La complessità della vita umana è costituita dalle sue zone d’ombra, dagli enigmi irrisolti o effimeri,
dalle rarefazioni e dalle evanescenze dei sentimenti, dei vizi, delle debolezze quotidiane. (…) Lo
17 Demetrio D., Raccontarsi, 1995, (cit.): si vedano in particolare i primi due capitoli.
14
spazio autobiografico, se da istante costellato di intervalli lunghi, tra un ricordare e l’altro, si rende
percorso più sistematico di auto riflessività applicata alla propria vita, approda sempre a un’idea di
maturità più matura.”18
Se affrontare la propria biografia significa allora attribuire un significato a tutte le varie
svolte che ne hanno costellato il percorso, sviluppare un’attività di negoziazione tra le
varie componenti di sé e attribuire ad esse una valenza emancipatoria, ci sembra che
un discorso simile possa riguardare anche il Servizio Sociale.
18 Ivi, pag. 40.
15
2. La narrazione nel Servizio Sociale
In questo capitolo si cercherà analizzare più da vicino l’approccio narrativo,
individuando e descrivendo le varie fasi della metodologia condivisa dai ricercatori,
fino all’analisi di un caso all’interno di un Servizio Sociale italiano.
2.1 Colloquio e ascolto
L’ambito di sorgenza della narrazione nel Servizio Sociale è il colloquio, uno degli
strumenti fondamentali dell’AS. La definizione di colloquio nel Servizio Sociale
prevede la presenza di (almeno) uno scopo finalizzato alla produzione di un
cambiamento. Esso viene utilizzato sia nel rapporto diretto con gli utenti, sia nei
diversi contesti operativi: da una parte è necessario per favorire un rapporto
significativo con l’utente, per la raccolta delle informazioni, per la definizione del
processo di aiuto; dall’altra si caratterizza come elemento qualificante per la
progettazione di interventi, la valutazione degli effetti e in generale la costruzione dei
contesti collaborativi con i diversi attori sociali. Possono esserci diverse tecniche e
strategie di colloquio a seconda dei contesti ambientali e relazionali, ma ciò che
concorre maggiormente a sviluppare l’abilità relazionale è l’ascolto19. Si parla infatti di
ascolto empatico ogni volta che l’operatore riesce a condividere sia le parole che i
sentimenti di chi parla, mettendosi dal punto di vista dell’altro e accedendo senza
pregiudizi al sistema valoriale dell’interlocutore: in questo modo si possono avviare
quei processi di accettazione e riconoscimento dell’altro, premesse a loro volta per
l’abbandono di eventuali atteggiamenti di difesa e lo sviluppo di una relazione
autentica. In questo spazio di interazione il colloquio può diventare luogo di
narrazione.
2.2 Quali colloqui?
C’è da sottolineare che non tutti i colloqui possono essere ricondotti a un approccio e
19 Si vedano li voci Colloquio e Ascolto nel Nuovo Dizionario di Servizio Sociale, 2013, (cit.) e Allegri E., Palmieri P., Zucca F., 2006, (cit.)
16
ad un’analisi di tipo narrativo. I brevi colloqui informativi e di segretariato sociale, ad
esempio, difficilmente riescono ad aprire quello spazio necessario
all’approfondimento relazionale; allo stesso modo anche i colloqui di intervento,
finalizzati cioè al raggiungimento di un obiettivo specifico e alla valutazione di un
piano di lavoro concordato all’interno di un progetto specifico, si collocano su un
livello operativo molto definito. In entrambi i casi si tratta di colloqui la cui
strutturazione molto marcata lascia poco spazio alla libera espressività della
narrazione.20
Sono invece i colloqui terapeutici, i colloqui di indagine sociale e a volte anche i primi
colloqui quelli si prestano maggiormente al racconto di una storia. In questi casi l’AS
può favorire questa forma chiedendo all'utente stesso di raccontare o raccontarsi,
come d’altra parte può succedere che gli utenti si prestino a raccontare i loro
avvenimenti utilizzando spontaneamente la forma narrata, allo scopo di descrivere
meglio la situazione.21 Ecco allora che la narrazione è in grado di occupare uno
spazio considerevole nell’economia del colloquio, spazio che l’AS decide
consapevolmente di lasciare affinché si producano quelle dinamiche di ascolto,
comprensione e fiducia reciproca, necessarie per lo sviluppo di una proficua
relazione di aiuto.
2.3 Problemi di metodo
La particolare natura delle narrazioni si presta ad una grande varietà di approcci
metodologici al fine di rinvenire gli strumenti più adatti per tentarne un’analisi. E
proprio in virtù di questa peculiarità non può esserci una metodologia esclusiva che
possa essere ritenuta più affidabile di un’altra.
Gli studi che hanno cercato di affrontare l’argomento si qualificano per le numerose
variabili presenti nei diversi approcci: possono esserci infatti differenti punti di vista a
seconda che l’oggetto di indagine siano le tematiche affrontate, oppure obiettivi
particolari, o non ultima anche la personale sensibilità del ricercatore. D’altra parte se
20 Non è detto tuttavia che un colloquio inizialmente qualificato come informativo, riveli poi l’emergenza di situazioni di difficoltà e che dia l’avvio a una narrazione vera e propria, richiedendo successivi approfondimenti. 21 Sono stati qui citati alcuni tipi di colloquio, a puro titolo esemplificativo e non esaustivo.
17
la ricerca narrativa non può avere come obiettivo finale l’approdo a una verità unica,
questo deve essere visto non come un limite, bensì come una ricchezza: è proprio la
mancanza di un paradigma univoco in grado di permettere, senza comunque evitare
di fornire dei principi di coerenza, una prospettiva pluralista e soggettiva, autentici e
unici elementi caratterizzanti di tale approccio.
Ciò non esula comunque il ricercatore dal presentare una metodologia che abbia dei
requisiti di logicità e coerenza, che sia eticamente corretta e che sia in grado di
illustrare il percorso svolto, le tecniche utilizzate e il materiale raccolto.
In ogni caso, aldilà delle differenze interne di metodo, molti sembrano essere
concordi nel porre maggiore attenzione al “come” e al “perché” delle narrazioni
piuttosto che al contenuto vero e proprio (il “cosa”). Altri elementi che sono stati presi
in considerazione sono i nessi di sequenzialità e causalità, la scelta dei personaggi,
la posizione dell’autore-narratore ed anche quanto non viene raccontato.
Infine c’è da rilevare che un’analisi di questo tipo ha anche una natura riflessiva che
comprende anche il modo stesso in cui il ricercatore ricostruisce le storie e stabilisce
un ordine al materiale raccolto.22
2.4 La raccolta
Le narrazioni possono essere raccolte principalmente attraverso tre modalità:
1. L’osservazione etnografica Insieme alla ricerca etnografica, all’etnometodologia, e all’osservazione partecipante
costituiscono degli strumenti di tipo qualitativo e induttivo che prevedono
osservazioni prolungate fatte sul campo da un ricercatore che partecipi alla vita dei
gruppi studiati. Si tratta di un’indagine che cerca di stabilire un’empatia con soggetti
presi in analisi, in modo da rendere manifesto il loro punto di vista.23 Questo metodo
consente al ricercatore di accostarsi alle narrazioni nella loro cosiddetta “condizione
naturale”.
22 Per la metodologia dell’analisi narrativa si veda Riessman, C. K., Narrative Analysis, Sage, 1993. 23 Uno dei maggiori studi di riferimento per questo tipo di ricerca è quello di H. Garfinkel, Studies in Ethnomethodology, Polity Pr, 1984.
18
2. Le forme già “oggettivate” Si tratta di tutto il materiale che può essere messo a disposizione perché già
disponibile: lettere, diari, manoscritti, pubblicazioni, etc.
3. L’intervista È il metodo più utilizzato e quello che generalmente produce un materiale
qualitativamente molto ricco. In questo caso occorre sempre tenere conto
dell’importanza che può assumere un’eventuale influenza dell’intervistatore sul
narratore. Questa è la modalità che più si adatta ad un utilizzo nel contesto dei
Servizi Sociali.
2.5 L’intervista narrativa
L’intervista rappresenta la modalità più idonea per favorire l’emersione delle storie. A
livello concettuale la differenza maggiore tra intervista e l’intervista narrativa può
essere descritta in questo modo: l’elemento distintivo dell’intervista narrativa è quello
di sollecitare il racconto di storie ed esperienze, di vissuti ed emozioni, cercando in
particolare di suscitare quei processi di costruzione di senso, che a loro volta siano
rappresentativi del mondo e degli eventi che persone vivono. L’intervista invece, pur
producendo anch’essa dei resoconti narrativi, è strutturata in modo che l’interesse
dell’intervistatore ricada principalmente sulle modalità di generalizzazione dei dati
ottenuti, a discapito delle storie e dei loro significati che tendono così ad essere
trascurati.
Un altro elemento di particolare interesse, e che forse riguarda più da vicino la sua
relazione con il Servizio Sociale, è dato dal fatto che il rapporto tra intervistatore e
intervistato (che può essere visto anche come Assistente Sociale e utente)
incomincia come asimmetrico, tuttavia
“la simmetria è ricomposta attraverso lo scambio che si realizza tra l’intervistato, che mette a
disposizione la sua narrazione, e l’intervistatore che offrendo il suo ascolto dà all’intervistato la
possibilità di esprimere i suoi pensieri senza incorrere in possibili conseguenze pratiche.”24
24 Poggio B. (2004), cit., pag. 111.
19
Nella descrizione dei due poli troviamo da una parte un narratore/intervistato che
decide la trama, i tempi, i personaggi e tutti gli altri elementi della storia; dall’altra il
ricercatore/intervistatore (o anche Assistente Sociale?) che non si limita a una mera
raccolta di dati in modo neutro e disinteressato, ma è chiamato a partecipare
attivamente cercando di comprendere il materiale che si va creando. In questo senso
l’ ”attivazione” può essere rappresentata dal fatto che per entrambi è necessario il
ricorso a processi di negoziazione e cooperazione per fare in modo che l’uno capisca
cosa chiede l’altro, e l’altro a sua volta comprenda le risposte che gli vengono date.
A questo proposito sarebbe auspicabile che un’intervista di questo tipo favorisca la
produzione di narrazioni attraverso alcune “buone prassi”:
• cercare di instaurare una relazione positiva che incoraggi a parlare
• formulare domande utilizzando un linguaggio quotidiano e comunque consono
alla persona che sta di fronte
• formulare domande aperte, di ampio respiro, che consentano di mantenere a
lungo la parola (e quindi evitare domande chiuse o troppo articolate)
• favorire l’emergere di pensieri ed emozioni
• rispettare eventuali momenti di pausa e/o di silenzio senza essere
eccessivamente incalzanti
• riconoscere il momento in cui intervenire per focalizzarsi su qualche aspetto
particolare, evitando allo stesso tempo di influenzare il contenuto
• prestare attenzione al proprio tono della voce
Come si può notare tali indicazioni sono largamente assimilabili a ciò che viene
indicata come l’arte di generare buone domande presente in alcuni testi della
letteratura sul colloquio nel Servizio Sociale.25
2.6 Tra tecnica e arte
L’abilità nel condurre colloqui da parte del ricercatore si rivela qui come elemento
essenziale. In questo caso però non si può definire abilità soltanto nei termini di
25 Si veda il testo di Allegri E., Palmieri P., Zucca F., 2006 (cit.), in particolare il capitolo intitolato proprio L’arte di generare buone domande, pag. 52.
20
conoscenza di una o più tecniche: se da una parte il bagaglio tecnico, con tutta la
dimensione teorico-scientifica che lo precede, è una condizione assolutamente
necessaria per il buon esito di un colloquio, d’altra parte in alcune situazioni esso può
non essere sufficiente. È in questo contesto che può emergere la figura
dell’Assistente Sociale, come promotore e valorizzatore delle risorse della persona,
nel senso di figura professionale che deve mettere a disposizione delle persone tutte
le conoscenze tecniche e teoriche in suo possesso, ma che poi deve anche
sviluppare doti di intuito e improvvisazione non sempre quantificabili, per riuscire a
personalizzare l’intervento. Il colloquio basato sull’intervista narrativa sembra andare
in questa direzione: abbiamo una tecnica di base che dà sufficienti indicazioni su
cosa fare e non fare, ma si può trovare anche spazio per cogliere l’unicità del
momento e della persona che si ha di fronte attraverso spunti inaspettati che devono
essere riconosciuti e accolti come elementi fondamentali per il buon successo
dell’intervento. Anche in questo forse consiste la cosiddetta componente “artistica”
della professione: la capacità di farsi sorprendere e l’apertura a una dimensione che
contempli la sensibilità personale come requisito:
“… tanto più è necessario (per non cadere in grossolani errori e mistificazioni) dotarsi di una
razionalità forte che sappia analizzare, riconoscere e discernere, tanto più si aprono spazi in cui
occorre sviluppare anche intuito, sensibilità, capacità di giocare tra una partecipazione calda, viva ai
problemi sociali ed una distanza ragionata tale da poter leggere al di là di ciò che appare, e tale da
controllare i nostri desideri e i nostri abituali schemi di riferimento.”26
2.7 La registrazione
Occorre fare a questo punto un breve inciso sulle modalità di registrazione e
trascrizione di questo materiale. Sono sostanzialmente due le modalità descritte da
Gabriel e Riessman27, ciascuna con i propri vantaggi e i propri limiti. La prima
prevede l’utilizzo di supporti audio-video: il vantaggio è quello di riportare il testo
raccolto con maggiore affidabilità, mentre il limite è il forte rischio di inibire i
rispondenti e di perdere parte della naturalezza del setting. Calata nella dimensione
26 Neve E., Il Servizio Sociale. Fondamenti e cultura di una professione, Carocci, 2000, pag. 68. 27 Gabriel Y., The Use of Stories, in G. Symon, C. Cassell, Qualitative Methods and Analysis in Organizational Research, Sage, 1998, e Riessman, C. K., 1993 (cit.)
21
del Servizio Sociale credo che questa sia un’opzione molto difficilmente praticabile,
se non contestualizzata in particolari contesti. La seconda si basa semplicemente
sugli appunti e sulla memoria del ricercatore: in questo caso la registrazione ha
un’influenza minima o nulla sulla prestazione del soggetto, ma si espone all’influenza
dei processi selettivi della memoria del ricercatore, con il rischio di perdere elementi
importanti. A questo si può ovviare parzialmente trascrivendo entro breve tempo le
storie raccontate, ma in ogni caso gli studiosi sono unanimi nel ritenere che nessuno
strumento sia in grado di riportare fedelmente tutti gli aspetti di una narrazione, non
potendo riportare sempre tutte le sfumature del linguaggio parlato, lo stile,
l’intonazione, il linguaggio corporeo, etc. Anche nel caso della registrazione ci si trova
di fronte all’impossibilità di utilizzare un metodo rigoroso ed empiricamente valido, ma
si è esposti all’arbitrarietà e alla sensibilità del singolo ricercatore.
2.8 L’analisi
L’analisi si occupa della ricerca dei significati e delle possibilità di interpretazione
delle narrazioni. La letteratura esistente offre diverse prospettive per affrontare
l’analisi delle narrazioni, ancor prima però delle differenze tra ciascun tipo di analisi si
possono condividere alcuni assunti di fondo che ne rappresentano il presupposto
comune:
• l’analisi è un processo delicato per la natura dell’oggetto
• le narrazioni richiedono sempre un’interpretazione, perché ogni storia è
comunque influenzata dal contesto, dallo scopo e dall’interazione fra
narratore e ascoltatore
• ancora una volta l’obiettivo non è la ricerca di un vero significato, quanto
tentare un’interpretazione plausibile.
• l’analisi non può ridursi solo al cosa viene raccontato, ma deve prendere in
considerazione anche il come e il perché
• le narrazioni dovrebbero essere considerate in una prospettiva olistica,
evitando interventi di frammentazione all’interno delle singole unità narrative
22
Cercando di riassumere le possibili metodologie di analisi Poggio28 individua tre
correnti principali, ciascuna legata al cosa, al come e al perché delle narrazioni :
1. L’analisi paradigmatica È l’analisi più focalizzata sul cosa si racconta. La ricerca si concentra sulle
caratteristiche sia uniche che generali di ciascuna storia al fine di produrre delle
generalizzazioni teoriche legate ai processi e alle esperienze di vita. Il limite di questa
analisi è quello di smarrire l’unicità e la complessità delle narrazioni.
2. L’analisi strutturale Cerca di indagare il come (la struttura) allo scopo di individuare gli schemi ricorrenti
(ad es. trame che ricorrono e repertori condivisi) e la sequenza narrativa: attraverso
questa analisi è possibile far emergere gli elementi strategici che possono
caratterizzare una particolare comunità, un gruppo o un’organizzazione.
3. L’analisi contestuale Si occupa di capire perché un narratore racconta una storia in un modo piuttosto che
in un altro. Si concentra sul contesto in cui vengono collocate le narrazioni, provando
a mettere in luce in che modo una storia possa essere influenzata dal contesto
sociale di riferimento: si basa sul presupposto che nessuna narrazione sia neutrale, e
che ognuna legittimi una particolare visione del mondo escludendone altre.
Parallelamente a questi metodi si può anche affiancare quello della grounded theory
espresso da Strati29, in particolare per quello che riguarda la natura generativa del
processo di analisi: al centro di questa teoria vi è l’idea che questo procedimento dia
origine a nuove narrazioni, attribuendo nuovi significati e un nuovo ordine al
materiale raccolto, in una continua relazione circolare tra l’osservazione e
l’elaborazione teorica.
28 Poggio B. (2004), cit., pagg. 118 - 124 29 Strati, A. La Grounded Theory, in L. Ricolfi (a cura di) La ricerca qualitativa, Carocci, 1997
23
2.9 La validazione
La validazione riguarda i criteri di validità: il problema in questo caso è quello della
garanzia, ovvero come riuscire a garantire la validità dei propri risultati. I criteri di
verifica convenzionali (rappresentatività, affidabilità, replicabilità etc.) non sono qui
applicabili perché ogni narrazione può rispecchiare soltanto la propria esperienza
soggettiva, inoltre la natura del materiale narrativo non consente che una stesso
racconto possa essere raccolto e analizzato allo stesso modo da due ricercatori
diversi.
Tuttavia se si sposta il focus, l’assunto di base dal concetto di verità a quello di
fedeltà, è possibile individuare alcuni criteri di verifica. In particolare Riessman30
indica alcuni parametri sui quali si può reggere la validità dell’analisi narrativa. Essi
sono:
• la plausibilità: un’interpretazione è convincente se le conclusioni teoriche alle
quali approda sono confermate dai resoconti degli intervistati
• la corrispondenza: ai soggetti intervistati deve essere data la possibilità di
vedere il risultato finale (restituzione) in modo che possano avere voce in
proposito
• la coerenza: l’interpretazione deve essere coerente in e fra tutte le sue parti
e non presentare elementi di contraddizione
• l’utilizzo pragmatico: una ricerca deve potenzialmente essere una base
fruibile per uno sviluppo successivo da parte di altri ricercatori
Infine anche le modalità di presentazione scritta di un elaborato di questo tipo non
sono prive di elementi soggettivi e riflettono sempre le scelte operate dal singolo
scrivente. Aldilà degli obiettivi a cui si vuole giungere una buona prassi sarebbe
quella di tenere separati i singoli testi veri e propri, i commenti discorsivi e le
successive argomentazioni.
30 Riessman, C. K., 1993 (cit.)
24
2.10 L’utilizzo dell’approccio narrativo nel lavoro sociale: la letteratura
Quanto finora esposto rappresenta l’aspetto teorico dell’approccio narrativo e può
essere considerato una premessa; per valutare poi la sua efficacia bisognerebbe
vederlo applicato all’interno di casi specifici. Occorre quindi esaminare la letteratura
esistente in proposito, e qui sorge qualche problema.
Questa disciplina ha iniziato a essere presa in considerazione tra la fine degli ’80 e
l’inizio dei ’90 del secolo scorso, ed esistono numerose pubblicazioni che sono
esponenzialmente cresciute nel corso degli anni, soprattutto nel mondo
anglosassone ma anche nel panorama italiano. L’approccio è stato utilizzato per lo
più come una metodica legata alla ricerca sociale (un metodo ideografico-induttivo,
agganciato in qualche modo anche alla grounded theory sopra accennata) che grazie
all’ampio ricorso di interviste sul campo è riuscito ad avere una propria identità e
autorevolezza nella comunità dei ricercatori. In questo senso la ricerca sociale si è
rivelata utile nella descrizione su come fare a costruire un’intervista narrativa, su
come individuare i principali elementi strutturali o anche su come decostruire la
narrazione dominante al fine di far emergere le voci dissonanti.31
Tuttavia la ricerca sociale, pur avendo numerose connessioni, è cosa altra rispetto al
lavoro sociale e al lavoro degli Assistenti Sociali. La letteratura riguardante
l’applicazione dell’approccio narrativo nel lavoro sociale è decisamente inferiore: se
qualcosa inizia a muoversi in campo internazionale attraverso specifiche ricerche su
casi in carico ai servizi, il panorama italiano è ancora limitatissimo.
Riessman e Quinney 32 hanno individuato quattro gruppi di utilizzo dell’analisi
narrativa all’interno del servizio sociale:
Il primo gruppo, che comprende la maggioranza dei casi, è orientato alla pratica
clinica. L’attenzione è focalizzata sui casi in carico ai servizi (minori adottati,
tossicodipendenti etc.) e viene descritto come la decostruzione e la ricostruzione
delle storie di vita abbiano avuto effetti positivi, aiutando le persone a ridefinire le loro
31 Poggio B. (2004), cit., pagg. 129 - 130 32 Riessman C.K., Quinney L., Narrative in social work. Qualitative Social Work, 4, 391-411
25
situazioni.
Il secondo gruppo riguarda narrazioni autobiografiche degli assistenti sociali e dei
responsabili dei servizi, in cui vengono messe in luce situazioni complesse vissute in
prima persona, allo scopo di attribuire senso ad avvenimenti difficili.
Il terzo gruppo può essere definito pedagogico: interessa studenti di servizio sociale
e tirocinanti e mostra come riportare la propria esperienza attraverso il metodo
narrativo sia utile per sviluppare la riflessività critica.
Il quarto gruppo è legato al metodo di ricerca e impiega l’analisi narrativa per
comprendere in che modo le interazioni fra i vari operatori contribuiscono alla
costruzione sociale dei casi.
Fra questi è il primo il gruppo che desta maggiore interesse per le ricadute sulla
pratica del lavoro all’interno dei servizi sociali.
2.11 Possibili elementi di criticità
I motivi che determinano un’ancora limitatissima letteratura italiana sull’utilizzo
dell’approccio narrativo all’interno dei servizi sociali possono essere molteplici.
Nonostante non sia qui possibile analizzarli compiutamente, a titolo puramente
ipotetico si possono azzardare alcune supposizioni che coinvolgono la natura stessa
dell’approccio narrativo: premetto che queste sono libere considerazioni personali,
non supportate da alcun criterio scientifico né dall’esperienza, ma solo dedotte in
qualche modo dagli aspetti teorici sopra descritti, e che in questa sede esprimono
solo la valenza di dubbi che mi piacerebbe sottoporre ai ricercatori che se ne
occupano.
Un primo motivo potrebbe essere che l’approccio è ancora troppo giovane, e la
ancora forte scarsità di una casistica documentata a cui riferirsi e dalla quale partire
non induce ad una sua più diffusa applicazione: chi infatti se la sentisse di azzardare
un simile approccio dovrebbe in buona sostanza provvedere personalmente alla
propria formazione, con pochissime possibilità di un’eventuale supervisione, e
assumersi comunque la responsabilità dei risultati ottenuti rispetto ad altre modalità
più storicizzate. Un approccio forse ancora in una fase troppo sperimentale, dunque.
Un altro motivo, almeno in linea teorica, potrebbe essere legato al fattore tempo:
26
secondo quanto descritto infatti la raccolta del materiale e la sua analisi potrebbero
necessitare di una quantità di tempo superiore a quello normalmente impiegato per
fare una diagnosi sociale e progettare un intervento. Sospeso il giudizio su una reale
efficacia dell’approccio narrativo, esso dà l’impressione di essere, almeno
inizialmente, più lento: lasciando più spazio all’utente per raccontare e raccontarsi
l’AS potrebbe posticipare la decisione per un intervento piuttosto che un altro. Inoltre
se nella successiva fase di analisi il fatto di aver raccolto e analizzato numerose
testimonianze si rivelerebbe forse un fattore in cui l’esperienza accumulata dal
ricercatore potrebbe essere importante per individuare le criticità, nella fase iniziale
della raccolta si dovrebbe comunque lasciare a ogni persona il suo tempo per
raccontarsi e per favorire una relazione basata sulla fiducia, elementi assolutamente
individuali e non determinabili a priori.
C’è da dire infine che l’attuale epoca di crisi, con l’aumento della disoccupazione e
del disagio, dei fenomeni migratori e del numero di anziani bisognosi di aiuto, non
sembra giovare sul carico di lavoro degli AS. È tutto da verificare quindi quanto un
simile approccio possa essere realmente utile al lavoro dell’AS.
2.12 L’applicazione dell’approccio narrativo a un caso
Tornando alla possibilità di vedere l’approccio narrativo applicato a un caso seguito
da un Servizio Sociale italiano, l’occasione è arrivata da un lavoro di ricerca di
pubblicato sul web.33
Il caso è riportato da Cappello, AS di Genova, e si riferisce ad un colloquio-intervista
ad una anziana ex utente. Lavorando nell’area anziani l’autore effettuava frequenti
visite domiciliari, allo scopo di verificare la situazione, la qualità dei servizi erogati e di
fronteggiare situazioni di grande e piccola emergenza. I colloqui erano in gran parte
mirati all’analisi degli aspetti problematici emersi, anche se talvolta poteva accadere
che all’interno di qualche colloquio si aprisse uno spazio per il racconto spontaneo.
Questa situazione era stata osservata anche da altri colleghi e la valutazione comune
era che queste persone avessero sì bisogno, ma anche provassero piacere ad avere
33 Cappello F., Colloquio e analisi narrativa nella pratica di servizio sociale, 2010, sul sito: http://web.unitn.it/files/cappello_csw.pdf
27
un ascolto più mirato, anche se occasionale e frutto delle circostanze del momento,
laddove le possibilità di interazione e socializzazione erano molto limitate. Gli
assistenti sociali erano inoltre concordi nel favorire queste narrazioni, soprattutto
perché erano confortati dal fatto che questo ascolto favoriva la relazione fra AS e
anziano, e contribuiva perché il Servizio fosse percepito non solo come ente
erogatore di prestazioni, ma anche come presenza viva sul territorio.
Cappello sottolinea il modo in cui in questi casi la narrazione sia stata utile a
migliorare il rapporto con il Servizio. Si può dire che l’autore descriva una sorta di
“effetto cascata”, un circolo virtuoso delle narrazioni: grazie a questi racconti sono
emersi alcuni elementi che hanno permesso di capire meglio i comportamenti delle
persone e certe difficoltà negli interventi; a sua volta ciò ha permesso di ridefinire gli
interventi in modo più efficace e personalizzato. La dinamica dell’intero intervento
può forse essere schematizzata in questo modo:
NARRAZIONE che porta a
-> EMERSIONE ELEMENTI NUOVI E SCONOSCIUTI che porta a
-> MIGLIORE COMPRENSIONE DELLE DIFFICOLTA’ NEGLI INTERVENTI che porta a
-> RIDEFINIZIONE DELL’INTERVENTO che porta a
-> NUOVO INTERVENTO PIU’ MIRATO
L’autore spiega che la scelta dell’anziana è stata determinata dal fatto che lei stessa
aveva iniziato a rivelare alcuni aspetti dolorosi, e determinanti, della sua vita. La
richiesta fatta alla signora da parte dell’AS è stata quindi quella di raccontare questi
episodi, cercando di interpretare e raccogliere la sua istanza di essere ascoltata,
sebbene non fosse stata esplicitamente formulata.
Nel corso di un’intervista audio registrata di due ore l’anziana ha ricostruito la propria
vita, ha elaborato un plot narrativo molto strutturato, e non privo di “colpi di scena”, in
cui è emerso un elemento centrale ricorrente, ovvero il timore di perdere i contatti con
il figlio, unica persona che costituiva di fatto la sua famiglia. Sono inoltre affiorati
numerosi elementi inaspettati, contribuendo in modo decisivo a ridefinire il quadro
individuale e a rivalutare gli interventi.
La conclusione alla quale Cappello giunge è che in generale l’attenzione per gli
anziani è forse troppo indirizzata alla soddisfazione dei bisogni primari, mentre
28
orientare gli interventi in modo più consapevole attraverso l’esplorazione dei vissuti,
potrebbe sia favorire la relazione, sia definire l’operatività con maggiore accuratezza
qualitativa:
“(…) l'utilizzo a livello di casi individuali, con la conseguente opportunità di favorire il supporto o la
ricostruzione di identità particolarmente fragili, mi pare possa essere considerato il terreno più fertile
all'interno del quale l'analisi narrativa potrebbe trovare un suo crescente spazio nelle pratiche
operative del lavoro sociale.”34
2.13 Possibili ricadute operative
Concludendo questo capitolo si può dire che l’approccio narrativo può essere visto
come una risorsa in grado di portare in superfice elementi che, nell’operatività rapida
in uso prevalente nei servizi, faticherebbero a emergere. E’ chiaro che l’approccio
narrativo non può, né deve, essere applicato ad ogni colloquio, non è questo
l’obiettivo che si vuole sottolineare: molti casi infatti (probabilmente la maggior parte!)
non si prestano o semplicemente non ne hanno bisogno. L’utilità operativa di questo
approccio potrebbe però essere riservata ad alcuni casi particolari, quelli ad esempio
di difficile o dubbia interpretazione, o quelli in cui la dimensione routinaria ha preso il
sopravvento e hanno bisogno di una ridefinizione, oppure ancora quelli in cui la
dimensione del racconto emerge spontaneamente e il cui incoraggiamento potrebbe
essere una buona base di partenza per l’avvio di una proficua relazione con un
utente.
Ricollegandosi quindi all’elemento di (ipotetica) criticità precedentemente descritto,
l‘approccio narrativo potrebbe sì nel breve periodo rivelarsi più lento per fare, ad
esempio, una diagnosi sociale, ma allo stesso modo potrebbe anche riconquistare il
tempo impiegato e dare risultati più consolidati nel medio e lungo periodo.
34 Cappello F. (2010), cit.
29
3. Narrazione e organizzazione
Un ambito in cui la narrazione viene utilizzata come approccio per lo sviluppo di
modelli esplicativi e metodologie applicative è anche lo studio delle organizzazioni.
Molti autori hanno dato rilievo al ruolo della narrazione quale pratica organizzativa,
ma, a differenza di quella relativa al Servizio Sociale, la letteratura in questo campo
consta di una produzione consolidata e ricca, che a partire dagli anni ’80 mette in
relazione i due termini in varie declinazioni.35
Non è questa la sede per affrontare un’esauriente ricognizione sul legame tra
narrazione e organizzazione, per questo ci si limiterà ad un breve sorvolo generale
finalizzato a individuare i principali legami e per capire se e in che modo questa
connessione possa riguardare anche l’organizzazione del Servizio Sociale.
3.1 Lo studio delle organizzazioni
Riprendendo brevemente quanto descritto all’inizio del primo capitolo (la lenta
erosione dei paradigmi universalistici e del progetto di una fondazione del sapere
basata su criteri razionalisti), è ormai dato per acquisito il fatto che i parametri entro
cui verificare l’attendibilità di nuove forme di conoscenza muovono sempre più dalla
rigidità alla flessibilità, dalla compartimentazione all’eterogeneità, dalla continuità alla
frammentazione, rappresentando in modo per così dire speculare le forme in cui si
rivela la società attuale. E uno dei principali strumenti di analisi della società è lo
studio delle sue organizzazioni.
Tra i vari modelli applicati per lo studio delle organizzazioni la narrazione si
differenzia per la sua diversa qualità euristica, se confrontata con i più classici
procedimenti “scientifici”. I ricercatori stanno sempre più prendendo coscienza che
ciò che deve entrare nel processo di analisi sono le connotazioni simboliche, cioè
tutte quelle pratiche di pensiero e comportamento che sottostanno all’agire umano,
che non possono essere classificate e misurate secondo i canonici strumenti
d’indagine, ma che sono ugualmente determinanti per comprendere le dinamiche dei
35 La letteratura critica sull’argomento appare abbastanza concorde nell’individuare almeno due testi come basilari: K. Weick, Senso e significato nell'organizzazione, Cortina, 1997, e B. Czarniawska, Narrare l’organizzazione, Einaudi, 2000.
30
processi organizzativi.
L’organizzazione viene definita come un sistema sociale capace di produrre senso e
significato, necessari per la sopravvivenza e l’orientamento nell’ambiente. Le
organizzazioni hanno cioè bisogno di senso per essere tali e raggiungere il proprio
scopo, ovvero
“generare identità, comunanza di valori e obiettivi, ma anche per costruire ordine, coesione, offrire
stabilità e garantire una maggior prevedibilità per le proprie azioni.” 36
Ma, altrettanto specularmente, anche lo studio delle organizzazioni inizia a risentire
della crisi dei paradigmi tradizionali, e per questo non riesce più a fornire
interpretazioni attendibili se utilizza solo criteri basati sulla funzionalità, quali la
performatività, l’ottimizzazione delle prestazioni, la logica del profitto.
3.2 Cosa lega l’organizzazione alla narrazione
Le organizzazioni contemporanee, dalle istituzioni alle aziende, si ritrovano infatti ad
operare sempre più entro scenari caratterizzati da complessità, incertezza,
ambiguità, in cui le variabili in gioco sono diventate molteplici e capaci di
destabilizzare gli ambienti in cui operano. Coerentemente, questa è una delle
motivazioni principali che spinge gli studiosi a prendere in considerazione strumenti
alternativi in grado di includere le varie spinte centrifughe della civiltà
contemporanea.
È da qui che ha iniziato a prendere avvio la diffusione dell’approccio narrativo nello
studio delle organizzazioni. La narrazione sta diventando una modalità di produzione
di conoscenza nelle e sulle organizzazioni da parte di chi ci lavora: nella misura in cui
un’organizzazione non può più essere considerata solo nei suoi aspetti strutturali e
basati sul controllo, allora può essere vista anche come un sistema vivente fatto di
persone che pensano, parlano, lavorano e allo stesso modo sognano, ridono e
giocano. Fra le varie forme del sapere quello narrativo si rivela un contenitore
36 S. Contesini, La produzione del senso nelle organizzazioni, nel sito: http://www.fabbricafilosofica.it/MA/02/02.html
31
sufficientemente flessibile e dinamico adatto a ospitare i molteplici registri discorsivi
della vita quotidiana, a creare nuove connessioni e nuove regole del gioco: per
questo la vita organizzativa può essere compresa anche attraverso la creazione e
l’interpretazione di storie.
3.3 La narrazione e la costruzione del significato
Un punto d’intersezione cruciale che unisce le due nozioni è dato dalla costruzione
del significato. Cerchiamo di vedere cosa voglia dire ciò a seconda di assumere il
punto di vista prima della narrazione e poi dell’organizzazione.
Come si è visto nel primo capitolo l’approccio narrativo si propone come ricerca che
intende le costruzioni del pensiero umano e le sue argomentazioni come forme di
narrazione. In questo senso anche la ricerca di significato viene intesa come
esigenza di offrire un’interpretazione e un senso plausibili del mondo, in modo da
fare delle previsioni che aiutino l’orientamento dell’agire umano. Ancora una volta
l’obiettivo non è quello di trovare leggi generali, ma costruire delle trame, delle cornici
di senso in grado di guidare il pensiero e l’azione: ecco allora che la narrazione e la
produzione di senso si incontrano su un percorso indirizzato verso l’individuazione di
nuove logiche organizzative. Occorre sottolineare il fatto che la narrazione, intesa
come pratica umana consolidata in tutte le culture, assolve inoltre un compito non
solo strettamente poetico, ma anche enciclopedico e normativo, funge cioè da
collettore dei casi della vita, da memoria storica attraverso l’organizzazione delle
esperienze e dei ricordi che si sono dimostrati utili, funzionali per generare un’azione
esperta, per conservare l’ordine e per creare quella condivisione di regole e valori,
necessari per la sopravvivenza della società di appartenenza:
“Se è vero che la narrazione è creazione di nuove connessioni, produzione di idee, possibilità di
creare fratture in un sistema di codici rigidi, per altri versi essa presenta anche un forte potere di
conservazione. Narrare infatti è un atto di memoria, una tecnica di memorizzazione che sovraintende
alla costruzione di un database delle esperienze da ricordare, consolidare e istituzionalizzare.
Raccontare una storia è un modo per ricostruire gli eventi, aiutare la comprensione, suggerire un
32
ordine e un’organizzazione dei fatti.”37
Queste valutazioni sono chiaramente di carattere generale, ma ci sembra che
possano essere applicate anche alla dimensione del Servizio Sociale.
3.4 L’organizzazione e la costruzione del significato
Sull’altro versante abbiamo l’organizzazione. Come si è detto lo studio delle
organizzazioni dovrebbe essere utile anche per fare delle analisi previsionali: in
questa direzione si inserisce la ricerca di Weick sul sensemaking38, (letteralmente:
costruzione del significato) ossia la capacità di costruire un significato che sia in
grado di leggere retrospettivamente il passato per dare delle indicazioni utili su
possibili sviluppi futuri. Questo ruolo può essere letto come una risposta all’esigenza
di comprendere le connessioni tra gli eventi, in modo da creare degli schemi di
riferimento sufficientemente coerenti e plausibili per orientare l’azione. Ciò che
cambia è il materiale a cui attingere: non più allora principi generali, modelli astratti e
leggi causali, non sempre attendibili ma anzi generatori di discrepanze tra previsioni
e aspettative, bensì trame locali, componenti individuali e attenzione alla dimensione
umana ed emotiva.
Ma in che modo, attraverso quali strumenti è possibile dar luogo a un processo di
questo tipo? Una risposta può forse essere questa:
“L’idea è che nel lavoro a contatto con le organizzazioni sociali, gli interventi di analisi, di consulenza,
di supervisione, trovino spazio abitando le narrazioni: storie e racconti sono quelli che gli attori sociali
producono ricercando o ricostruendo i significati del loro esser membri di un’organizzazione, e solo
considerando il carattere narrativo di questi pensieri e di queste narrazioni si potrà entrare in una
relazione finalizzata al cambiamento e all’apprendimento.”39
Attraverso una costruzione narrativa del significato e individuando nel racconto uno
spazio di produzione di senso, un approccio di questo tipo può mettere in luce alcuni
37 S. Contesini, La produzione del senso nelle organizzazioni, (cit.) 38 Weick K., (1997), cit. 39 Cavicchioli G., Bianchera L., L’approccio narrativo, in Supervisione e consulenza nell’organizzazione cooperativa sociale, Armando, 2005, pag. 56.
33
aspetti fondamentali del lavoro delle organizzazioni, come recuperare informazioni
preziose ma nascoste e offrire prospettive differenti in grado di promuovere il
cambiamento.
3.5 Di nuovo il problema dell’identità
Nel primo capitolo era emerso il problema dell’identità, in particolare di come
nell’epoca contemporanea sia difficile rintracciare un unico nucleo identitario della
persona e come questo si stia trasformando sempre più in una molteplicità dinamica
e adattabile a seconda del contesto sociale e culturale. Questa difficoltà si riscontra
anche all’interno delle organizzazioni, soprattutto laddove la comunicazione
prevalente avviene in modo unidirezionale, dall’alto verso il basso, dove prevale una
funzione di controllo piuttosto che di ascolto, e dove regole e direttive sono pensate
per essere valide per tutti in generale, ma che alla fine si rivelano per nessuno in
particolare, perché mancano di un sostrato di comune appartenenza che le renda
condivisibili. Tutto ciò si ripercuote non solo sulla qualità e l’adeguatezza di prodotti e
servizi offerti, ma anche e soprattutto sulle persone, cioè su chi offre (che può essere
un azienda ma anche un’istituzione, un Servizio Sociale) e chi riceve (un semplice
cliente libero di acquistare altrove, ma anche un utente, obbligato a rivolgersi a quel
Servizio, senza possibilità di scelta).
Un approccio narrativo invece può essere utile perché vede le organizzazioni come
una combinazione di persone in costante interazione fra loro. La narrazione riesce a
penetrare nelle pieghe della comunicazione, ascoltando e valorizzando ogni storia:
favorendo l’emersione della molteplicità dei linguaggi e dei registri narrativi, le
persone che abitano le organizzazioni hanno modo di accorciare le distanze, ciò che
separa e divide, e mettere in comune le proprie ricostruzioni di senso. In questo
modo viene soddisfatta la primaria necessità di integrazione e coerenza che facilita la
condivisione dei significati e permette all’organizzazione di avere finalmente, pur
nelle legittime diversità di ciascun componente, quella identità comune indispensabile
per essere percepita come elemento caratterizzante sia dall’esterno per i
clienti/utenti, che dall’interno per chi ci lavora:
34
“L’uso strategico della narrazione diviene dunque strumento d’analisi dell’organizzazione per
ridefinirne identità, conoscenza e per migliorarne la comunicazione. Attraverso un’analisi dei racconti
di vita e di lavoro delle persone, dei loro vissuti, dei loro modelli di relazione, le organizzazioni
possono raggiungere importanti obiettivi come: mostrare i risultati raggiunti, generare consenso e
senso di appartenenza, motivare i dipendenti, far conoscere e comprendere i cambiamenti in atto.”40
È per questo che l’epoca contemporanea sta guardando l’approccio narrativo con
sempre maggiore attenzione, considerandolo una prassi valida per una più efficace
comprensione delle organizzazioni, siano esse aziende o istituzioni.
3.6 Ritrovare la simmetria
Chi fa parte dell’organizzazione deve dunque essere riconosciuto come narratore
sociale, indipendentemente dall’assunzione del ruolo di narratore o uditore. Entrambi
sono infatti co-autori, necessari l’uno all’altro, ed è la relazione il vero ago della
bilancia, il rapporto che si crea e che diventa latore di tutte le istanze, i giochi, gli
elementi espliciti e impliciti, consci e inconsci che vengono riportati sulla scena del
racconto. Gli “io e i “sé” che entrano nella dinamica del racconto intervengono e
contribuiscono tutti allo stesso titolo, partendo dallo stesso piano, annullando
differenze di controllo del potere, di genere e di classe perché tutti partecipano nella
medesima misura, democraticamente, al processo di costruzione dell’identità e di
organizzazione del sapere.
Nell’organizzazione l’indagine narrativa, attraverso lo svelamento (almeno parziale)
delle ideologie dominanti, si propone per una trasformazione di tutti gli agenti sulla
scena. Allo stesso modo questo modello potrebbe essere applicabile anche nel
Servizio Sociale, in particolare per ridurre il rischio di asimmetricità delle relazioni:
l’adesione a standard predefiniti, procedure, regole codificate e modelli abituali
d’azione, che giocoforza si espongono alla costruzione di una soggettività generica,
possono così evolvere alla realizzazione dell’intersoggettività, intesa come luogo di
comunicazione, di scambio e di costruzione di significato.
In questo caso, più che lo sviluppo della relazione con il singolo utente, il riferimento
può essere il servizio sociale di comunità, nella sua accezione di sviluppo locale, di
40 S. Coraglia, G. Garena, Complessità, organizzazione, sistema, Maggioli, 2008, pag. 89.
35
lettura delle storie, della cultura e dei codici morali condivisi, al fine di suscitare
autentici rapporti di fiducia, processi decisionali inclusivi ed empowerment
comunitario.
3.7 L’utilizzo delle narrazioni nella ricerca organizzativa
Le precedenti considerazioni generali hanno condotto i ricercatori ad un’analisi più
specifica e a come servirsi delle narrazioni all’interno delle organizzazioni. In
particolare Czarniawska ha individuato tre ambiti di applicazione:41
1. La ricerca che raccoglie storie Si tratta di un’indagine sul campo e raccoglie le storie che vengono raccontate
all’interno di un’organizzazione. L’obiettivo è favorire l’emersione dei vissuti e dei
modelli culturali, ma anche delle dinamiche di potere. In questo caso i racconti
possono costituire l’accesso a fattori latenti, invisibili e tuttavia presenti nelle
organizzazioni, quali emozioni, ambivalenze e contraddizioni, forme di relazione. È
anche possibile confrontare organizzazioni diverse in modo da far affiorare
specificità, analogie e differenze di ciascuna.
2. La ricerca che produce storie
La seconda modalità riguarda il modo in cui le organizzazioni sono narrate. Aldilà
dello stile scelto dal ricercatore, ogni ricerca scritta riproduce infatti un atto narrativo
che può essere utilizzato non solo per il suo contenuto ma anche per presentare le
relazioni tra i fattori analizzati.
3. La vita dell’organizzazione come testo I diversi attori coinvolti contribuiscono, attraverso i loro racconti, report, analisi etc., a
rivelare anche l’agire organizzativo, ovvero come viene concettualizzata e
interpretata la vita dell’organizzazione entro cui operano.
41 Czarniawska B., (2000), cit.
36
3.8 Alcuni campi di ricerca
La ricerca narrativa applicata allo studio delle organizzazioni ha prodotto negli anni
una letteratura qualitativamente e quantitativamente importante. Numerosi sono i
ricercatori, provenienti da campi anche diversi, che hanno contribuito alla diffusione e
al confronto di questo metodo d’indagine.
Nel suo testo Poggio42 delinea i principali campi di applicazione che cerchiamo di
seguito di riassumere:
• La narrazione vista come strumento di produzione dell’identità organizzativa.
L’organizzazione viene qui intesa some un superindividuo (si parla infatti di
processo di antropomorfizzazione) che assumendo lo status di decisore
stabilisce scelte, delinea strategie e se ne assume la responsabilità
(accountability). La narrazione entra in questo campo per la sua natura
negoziale, ovvero la sua capacità di creare nuovi modelli identitari la cui
adeguatezza deve essere valutata da tutti gli attori coinvolti.
• La socializzazione. Attraverso l’analisi delle narrazioni dominanti viene qui
presa in considerazione la portata di diffusione di valori e significati condivisi
del gruppo, che in questo caso diventano anche depositari del giusto modo di
agire.
• Il genere. Permette l’emersione degli ordini simbolici riferiti al genere e delle
relazioni asimmetriche, trascurate perché rese occulte dal carattere
egemonico delle narrazioni al maschile.
• Il sense making. La produzione di storie contribuisce alla produzione di senso
da parte dei membri di un’organizzazione. Questa ricerca mette in luce come
la relazione tra storia e significato sia utile per costruire una coerenza
condivisa, per la rielaborazione e l’integrazione delle esperienze e per
spiegare le incongruenze.
• Il problem solving. Attingendo alle storie come ad un serbatoio delle memorie
dell’esperienza, questo campo individua le strategie di problem solving e
decision making di un’organizzazione. Vale la pena citare l’esempio utilizzato
da Orr in cui i narratori sono alcuni tecnici manutentori alle prese con il guasto
42 Poggio B. (2004), cit., pagg. 96 - 104
37
di una fotocopiatrice, la sua diagnostica e la sua riparazione:
“I tecnici manifestano un fine istinto da bricoleur nel raccontare le loro storie conservando
l’evento in tutti i suoi dettagli in vista di sue future possibilità di utilizzo. La storia della
riparazione della fotocopiatrice verrà poi raccontata, alcuni mesi dopo, durante una partita a
carte tra tecnici nella mensa aziendale e in tal modo diventerà patrimonio condiviso della
comunità, che potrà essere usato e modificato in altri contesti diagnostici.”43
Molto più brevemente altri possibili campi di applicazione possono servire a:
- mettere in luce le dinamiche di legittimazione del potere e il modo in cui viene
esercitato il controllo, aldilà di norme e regolamenti scritti
- svelare i meccanismi di definizione delle carriere e del percorso lavorativo
partendo dalla propria storia professionale
- esplorare emozioni e dinamiche inconsce
- richiamare le storie di successo e fallimento per evidenziare i cambiamenti
succeduti in un’organizzazione attraverso la narrazione delle possibili alternative
in gioco
In generale molto altro sarebbe il materiale da prendere in esame per una ricerca più
approfondita di questo ambito, tuttavia l’aspetto di peculiare importanza che può
accomunare tutti i vari campi di applicazione indicati è dato dall’importanza di
considerare tutte le voci mancanti, e non solo quelle appartenenti al gruppo
dominante:
“Molto più fruttuoso è guardare alle organizzazioni come a dei dialoghi che includono una pluralità di
voci e prospettive, tra cui quelle alternative alla cultura dominante, mettendone in luce la natura
caotica, asistematica, differenziata.”44
Con un’elegante espressione Poggio sottolinea l’importanza di aprire lo spazio per
una polifonia della narrazione organizzativa, spesso occultata da chi esercita il
43 Orr J., Condividere le conoscenze, celebrare l’identità. La memoria di comunità in una cultura di servizio, in Pontecorvo C., Ajello A. M., Zucchermaglio C., I contesti sociali dell’apprendimento, LED, 1995. 44 Poggio B. (2004), cit., pag. 104
38
potere.
3.9 L’organizzazione dei Servizi oggi
Quanto esposto finora rappresenta un panorama sintetico dell’approccio narrativo
applicato ai contesti organizzativi. Resta da vedere se tale applicazione può costituire
una reale risorsa per i Servizi Sociali, soprattutto per come si delinea oggi
l’organizzazione nei Servizi. A questo proposito si farà riferimento al testo di Olivetti
Manoukian 45 che riesce a fornire un’analisi puntuale e aggiornata, ma anche
drammatica, sullo stato in cui versa oggi questa organizzazione.
L’ultimo decennio si è caratterizzato per l’aumento delle prestazioni, sia attese che
erogate, e per la contrazione delle risorse: ciò, in concomitanza con la crisi
economico-finanziaria globale, ha portato alla conversione delle organizzazioni verso
modelli gestionali di tipo aziendale. Le conseguenze di questo spostamento ricadono
a cascata una sull’altra e possono essere sintetizzate in questo modo:
• Tendenza a un funzionamento burocratico dei Servizi, dove
• → l’organizzazione è vissuta come una cornice impersonale a cui ci si deve
adattare, ed
• → è vissuta altresì come immobile, statica, intoccabile nella sua veste di
“Istituzione”; in questo modo
• → l’organizzazione appare disordinata, scoordinata e disattenta verso
l’utenza, mentre nei confronti di chi ci lavora prende il sopravvento
• → l’esigenza di valutazione e controllo, che a sua volta porta a una
• → penalizzazione della professionalità, in cui
• → gli obiettivi sfumano in adempimenti
• → Lavorando in queste condizioni vengono interiorizzati vissuti di
scomposizione nei gruppi di lavoro che necessiterebbero di relazione e
coordinazione, e di
• → scissione, frammentazione e generale fragilità dell’identità lavorativa
45 Olivetti Manoukian F., Oltre la crisi Guerini, 2015
39
soggettiva, causa di
• → presa di distanza e comportamenti improntati sull’autodifesa verso l’utenza
da parte dell’operatore, sia esso AS o altro
È facile intuire come questo clima susciti incertezza, stress e frustrazione, come
dovrebbe essere altrettanto semplice capire che sviluppare, favorire capacità e
competenze e vedere riconosciuto il proprio ruolo, sono le armi più efficaci per
sostenere motivazione e impegno, generativi a loro volta di autostima, di
identificazione nella professione, di una consapevole e “sana” messa a disposizione
di sé. Moltissimi testi che ho affrontato durante lo studio verso questa professione
ribadiscono come questo fattore sia fondamentale e determinante perché si verifichi
con successo il progetto di una reale sinergia trifocale, che sia decisiva nel percorso
di relazione, aiuto e crescita per tutti gli attori in gioco, istituzioni, gruppi e singole
persone, AS e altre figure professionali coinvolte.
3.10 Identità forti e deboli: una questione di stile?
A fronte di questo panorama, per certi versi sconsolante, si possono però indicare
alcuni fattori propositivi che devono essere presi in considerazione per non rischiare
di affogare in derive giustificative o ancor peggio vittimistiche.
Partendo da due domande precise (“Chi sono io?” “Quanto valgo?”) si può
individuare il vero focus di ogni attività professionale. E ciò vale forse ancor più per le
professioni di aiuto (in particolare connotate dalla parola Sociale, che ne delinea la
caratteristica principale), in cui la difficoltà nel rispondere è dovuta al fatto di operare
in una dimensione fortemente immateriale, cioè dove il riconoscimento della bontà
del proprio lavoro/intervento è spesso ambigua.
Olivetti Manoukian prova a motivare questo storico limite della professione sociale
contrapponendo l’identità statica delle professioni forti46, ad un’identità più dinamica
per le professioni qualificate come deboli, come ad esempio l’AS (anche se non
46 L’autrice identifica ad esempio la professione medica come forte (in quanto gode di prestigio sociale, rispetto, buon reddito) e statica (perché dispone di un modello preciso nel quadro istituzionale, ed ha una legittimità e una consistenza assicurata dalla sua stabilità nel tempo). Olivetti Manoukian F., (2015), cit., pagg. 164 – 166.
40
l’unica, l’autrice cita infatti anche la categoria degli insegnanti).
Il punto in questione è che l’elemento dinamico dell’AS dovrebbe essere invece
caratterizzato come forte, proprio per l’orientamento della società contemporanea, in
cui, lentamente ma inesorabilmente, stanno perdendo legittimità e forza le
professioni che fino a pochi decenni fa erano universalmente riconosciute come
garanti di reddito, stabilità, collocazione sociale. È l’idea stessa di staticità a
tramontare, e con essa altre importanti istituzioni sociali, quali i partiti, la Chiesa etc.
Ecco allora che una possibile strategia della professione sociale può essere quella di
non tentare più di inseguire strade già percorse dalle professioni forti, nella speranza
di acquisire maggior potere o prestigio. L’opportunità che si crea è invece quella di
provare ad aprire nuovi percorsi, e in questo senso la professionalità e l’esperienza
acquisita negli anni dagli Assistenti Sociali, unita al loro stile, dinamico appunto,
potrebbe rappresentare un modello anche per altri settori professionali.
Ritornando all’analisi delle organizzazioni, come si è visto molte delle quali oggi in
crisi, sta diventando più influente la capacità di rappresentare l’organizzazione come
un insieme di interazioni fortemente dinamiche (che devono saper essere “lette”) in
cui ognuno contribuisce alla sua costruzione nella doppia veste di attore e autore. E
ancora la flessibilità, la capacità di sviluppare convergenze e di cogliere la
molteplicità non sono solo strumenti, ma anche stili sempre più necessari per
cogliere le complessità:
“Non si tratta di costruire un’entità ma di pensare dei processi in cui si intrecciano interessi e attività di
diversi individui che vanno ricollegate e riordinate perché vadano in uno stesso senso e se ne possa
cogliere il senso. Si ha a che fare con eterogeneità perché gli individui provengono da storie e
ambienti diversi, da diverse culture e sono portatori di diverse motivazioni e aspirazioni, di
dissimmetrie di potere più o meno manifeste e pregnanti.”47
Proseguendo nel tracciare il profilo dell’identità dinamica, Olivetti Manoukian
sottolinea poi l’importanza di interiorizzare non solo saperi costituiti, ma anche input
in qualche modo creativi, meno provenienti da definizioni e più da riscontri con
interlocutori diversi:
47 Olivetti Manoukian F., (2015), cit., pag. 125
41
“Ciò che arricchisce sul piano concettuale è un aggiornamento costituito da una esplorazione
perseverante di questioni irrisolte o trattate in modo insoddisfacente attraverso contatti con diverse
ipotesi, con comparazioni, accostamenti di elaborazioni disparate, scoperte impreviste (…) a cui si
contribuisce senza certezze e da cui in forme diverse ciascuno trova acquisizioni direttamente o
indirettamente costruttive”48
Non è possibile sapere se tra queste ipotesi e tra le storie di cui ciascuno di noi è
portatore, anche un eventuale approccio narrativo, sia nella sua dimensione
individuale del colloquio, sia in quella di gruppo come voce polifonica di
un’organizzazione, possa essere utile in questo senso, a contribuire a fornire
strumenti professionali in grado di leggere in modo più olistico la realtà, a dare
risposte forse meno esatte ma più sincere, e che probabilmente anche la
contemporaneità che appare così frammentata e divisa in ogni suo componente, può
trovare una strada per avvicinare e riunire parti così lontane, e incontrare pacifiche
forme di conoscenza e comprensione.
Scopo del presente lavoro è stato quello di cercare di persuadere che un tentativo in
questa direzione può essere fatto e può valerne la pena.
48 Ibidem, pag. 169 – 170.
42
Conclusioni
Nel corso degli ultimi anni si è visto come il ricorso alla narrazione si sia rivelato un
approccio destinato a toccare vari ambiti delle scienze umane, che vanno dalla
filosofia, all’educazione degli adulti, alla psicologia culturale, solo per citarne alcuni. È
sempre più attraverso le storie, e sempre meno attraverso la razionalità positivista,
che ciascuno impara e si riconosce nel mondo quale portatore di un’identità che è
anche una finestra sul mondo, custode di un patrimonio culturale condiviso che ha
bisogno di essere raccolto affinchè si riveli.
Per questo anche il Servizio Sociale, nella sua dimensione di incontro e di
ricoscimento di tutte le potenzialità delle persone, può scorgere in questo approccio
qualche strumento, qualche indicazione utile nella navigazione della vita.
Aldilà di voler presentare una panacea per tutti i mali e di trarre ottimistiche quanto
frettolose supposizioni, specialmente in questo contesto storico così difficile e
contraddittorio, ritengo che l’Assistente Sociale possa avere anche questo metodo tra
le sue armi, che proprio per la specificità dell’approccio potrebbe porsi come risorsa
leggera che non inficia le sue abilità tecnico-professionali nè intacca le sue
connotazioni specifiche, ma anzi apre allo sviluppo di nuovi saperi e incrementa la
definizione del ruolo professionale, a partire dal dialogo come esperienza sia
esteriore che interiore.
La centralità della persona nel processo di aiuto e l’utente non come assistito,
spettatore, ma come protagonista e attore valorizzato nella sua storia e nel suo
percorso di vita anche perché qualcuno ha saputo ascoltarlo: questo è in estrema
sintesi il contributo che l’approccio narrativo può dare al contesto dei Servizi Sociali.
43
Bibliografia
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45
Indice Introduzione 1 Cap. 1: Che cosa è la narrazione 4 1.1 L’importanza della narrazione nel dibattito culturale contemporaneo 4 1.2 Paradigma o approccio narrativo? 5 1.3 Narrazione e scienze sociali 5 1.4 La narrazione come funzione mentale in ambito sociale 6 1.5 Alcune caratteristiche della narrazione 7 1.6 L’approccio narrativo come approccio adattivo 9 1.7 Narrazione e costruzione di identità 10 1.8 Il valore della memoria familiare 12 1.9 La narrazione autobiografica 13 Cap. 2: La narrazione nel Servizio Sociale 15 2.1 Colloquio e ascolto 15 2.2 Quali colloqui? 15 2.3 Problemi di metodo 16 2.4 La raccolta 17 2.5 L’intervista narrativa 18 2.6 Tra tecnica e arte 19 2.7 La registrazione 20 2.8 L’analisi 21 2.9 La validazione 23 2.10 L’utilizzo dell’approccio narrativo nel lavoro sociale: la letteratura 24 2.11 Possibili elementi di criticità 25 2.12 L’applicazione dell’approccio narrativo a un caso 26 2.13 Possibili ricadute operative 28 Cap. 3: Narrazione e organizzazione 29 3.1 Lo studio delle organizzazioni 29 3.2 Che cosa lega l’organizzazione alla narrazione 30 3.3 La narrazione e la costruzione del significato 31 3.4 L’organizzazione e la costruzione di significato 32 3.5 Di nuovo il problema dell’identità 33 3.6 Ritrovare la simmetria 34 3.7 L’utilizzo delle narrazioni nella ricerca organizzativa 35 3.8 Alcuni campi di ricerca 36 3.9 L’organizzazione dei Servizi oggi 38 3.10 Identità forti e deboli: una questione di stile? 39 Conclusioni 42 Bibliografia 43