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Corso di Formazione Specifica in Medicina Generale – Triennio 2006-2009
Direttore del Corso Dott. Emanuele Messina
Coordinatore delle Attività teoriche: Dott. Giovanni Carriero
“LE CEFALEE: APPROCCIO E GESTIONE IN MEDICINA GENERALE”
Tirocinante: Dott.ssa Sara Simoncioli
Corso di Formazione Specifica in
Medicina Generale
INDICE
1. Introduzione ....................................................... pag. 1
2. Fisiopatologia delle cefalee ............................... pag. 3
3. Approccio al paziente cefalalgico..................... pag. 6
4. Cefalee primarie ................................................. pag.20
Emicrania .............................................................. pag.25
Cefalea di tipo tensivo ............................................ pag.37
Cefalea a grappolo .................................................. pag.42
5. Terapia delle cefalee primarie .......................... pag.46
Trattamento dell’emicrania ..................................... pag.59
Trattamento della cefalea di tipo tensivo ................. pag.54
Trattamento della cefalea a grappolo....................... pag.57
6. Cenni sulle cefalee secondarie ......................... pag.59
Bibliografia ...................................................................... pag. I
1
1. Introduzione
La cefalea è uno dei sintomi maggiormente riferiti
nell’ambulatorio del Medico di Medicina Generale. Solo
il 4% dei pazienti riferisce di non aver mai sofferto di
cefalea mentre riferiscono di averne sofferto almeno
una volta nella vita il 99% della popolazione femminile
e il 93% di quella maschile.
In alcuni casi la cefalea si presenta
occasionalmente ma spesso è così frequente e severa
da compromettere l’efficienza, la capacità lavorativa, i
rapporti familiari e sociali e quindi influenzare
pesantemente la qualità della vita; in questi casi la
cefalea assume dignità di vera e propria malattia con
molteplici sfaccettature e caratteristiche che
necessitano di precisa analisi e definizione per portare
alla risoluzione del problema.
Purtroppo meno del 50% delle cefalee primarie
giunge all’attenzione del MMG o dello specialista;
spesso questi pazienti si consigliano con amici e
colleghi oppure si rivolgono a farmacisti con il risultato
che quasi il 90% pratica terapie improprie,
autoprescritte, rischiando di cadere in una condizione
di abuso di analgesici. Questo è la conseguenza di una
serie di credenze sul “mal di testa” considerato spesso
un disturbo banale il cui unico rimedio è solo un
2
“buon calmante”. Oggigiorno esistono comunque
anche pazienti che cercano una risposta esauriente al
loro problema e quindi ogni MMG, che in genere è il
primo ad essere interpellato dal paziente cefalalgico,
dovrebbe essere in grado di riconoscere e, se possibile,
curare le varie forme di cefalea che incontra nella sua
pratica quotidiana.
Purtroppo però ancora oggi la formazione
universitaria non affronta in modo approfondito
questa patologia e quindi, spesso, il medico inizia la
sua attività professionale con conoscenze non sempre
adeguate o incomplete riguardo ad un problema che
invece dovrà spesso affrontare con la conseguenza,
nella pratica clinica, di un gran numero di cefalalgici
privi di una corretta assistenza.
Il MMG [1] dovrebbe essere in grado di:
Riconoscere i cluster clinici generali di
presentazione delle cefalee
Valutare in modo mirato anamnesi ed obiettività
Riconoscere i sintomi di allarme
Sospettare o riconoscere le cefalee secondarie
Formulare direttamente la diagnosi delle cefalee
primarie a maggiore prevalenza
Inviare a consulenza specialistica i casi dubbi o
che richiedono una diagnosi di livello più avanzato
3
2. Fisiopatologia delle cefalee
Con il termine cefalea si definisce un dolore a
localizzazione prevalentemente neurocranica la cui
topografia non coincide necessariamente con il
territorio di distribuzione dei singoli tronchi nervosi.
Con questa definizione la cefalea si distingue dalla
nevralgia cranica dove l’area interessata dal dolore,
invece, si sovrappone rigidamente al territorio di
distribuzione di uno o più nervi cranici o spinali.
La cefalea può avere origine da un gran numero
di strutture craniche innervate da fibre nocicettive di
pertinenza principalmente del nervo trigemino, ma
anche dei nervi faciale, vago, glossofaringeo, secondo e
terzo cervicale.
Tra le strutture la cui stimolazione può essere
dolorosa figurano i tegumenti della faccia e del cranio
ma anche le mucose che rivestono la cavità della
bocca, la cavità naso-faringea, i seni della faccia e il
condotto uditivo esterno; vanno poi aggiunti i denti,
l’articolazione temporo-mandibolare, orecchio medio e
il globo oculare. Alla ricca innervazione delle strutture
esocraniche si contrappone invece l’insensibilità
relativa del contenuto della scatola cranica; sono
invece sensibili i seni venosi, la dura madre della base
4
cranica, i tronchi arteriosi principali, le arterie
meningee e i nervi cranici sensitivi. [2]
La cefalea implica l’attivazione delle fibre
dolorifiche che innervano le strutture algogene intra
e/o extracraniche.
La stimolazione delle strutture sensibili
intracraniche situate sopra al tentorio del cervelletto
provoca un dolore proiettato sulla metà anteriore del
cranio; la via afferente di questo dolore è il nervo
trigemino. Nel medesimo territorio si proiettano i dolori
che originano nel territorio esocranico del nervo: seni
frontali, cavità orbitarie, articolazione temporo-
mandibolare, arteria temporale superficiale.
La stimolazione delle strutture sensibili situate
nella fossa cranica superiore provoca un dolore
proiettato nella metà posteriore del cranio e
predominante a livello occipitale; le vie afferenti sono il
glossofaringeo, il vago, le prime tre radici cervicali. Nel
medesimo territorio si proiettano i dolori che nascono
nelle strutture esocraniche innervate da questi nervi:
prime articolazioni vertebrali, muscoli cervicali,
orecchio medio e mastoide, arteria occipitale e arteria
vertebrale.
La cefalea, come ogni sensazione dolorosa,
origina dalla complessa interazione di fattori
neurofisiologici e psichici. Questo evento doloroso va
5
oltre il semplice fenomeno percettivo, acquistando la
dimensione di una vera e propria esperienza
emozionale; solo chi patisce la cefalea può definire il
grado di sofferenza che questa gli procura, dipendendo
esso, strettamente, dalla struttura di personalità del
singolo individuo.
6
3. Approccio al paziente cefalalgico
Chiunque si ponga di fronte ad un problema
clinico, si trova ad affrontare una prima ma
fondamentale questione: inquadrare il sintomo nel
contesto di una sindrome o di una malattia,
raccogliere cioè quegli elementi che, nel loro insieme,
ci indirizzano verso un inquadramento diagnostico;
qualunque medico che si trovi ad affrontare una
cefalea, si trova di fronte ad un sintomo, il “mal di
testa”, molto spesso aspecifico e che, solo dopo
un’accurata raccolta anamnestica, può essere inserito
in un contesto sindromico definito.
Parliamo di anamnesi e non di accertamenti in
quanto ancora oggi rimangono fondamentali le parole
e il tempo che impieghiamo con il paziente. Dobbiamo
in questo contesto, come in altri, imparare ad
ascoltare la storia clinica valorizzando gli elementi che
ci interessano a fini diagnostici; solo dopo questo
processo, che ci porta alla formulazione di alcune
ipotesi diagnostiche, si potrà prendere in
considerazione l’effettuazione di accertamenti che
possano confutare o confermare le nostre
supposizioni.
La maggior parte dei pazienti che giungono in
ambulatorio per cefalea comunemente non soffre di
7
una malattia pericolosa; gli esiti degli esami non
danno molte “soddisfazioni” e spesso non si tratta
neppure di casi “interessanti”. Questo fa si che proprio
a questi pazienti venga dedicato poco tempo e poca
attenzione. Tutto ciò però crea sfavorevoli premesse
sia per riconoscere correttamente il 10% circa delle
cefalee non banali sia, soprattutto, per costruire un
valido rapporto con il paziente. Infatti alcune indagini
hanno documentato che ¾ dei pazienti hanno paura
di una malattia organica e che 2/3 potevano essere
tranquillizzati dalla visita e dal colloquio con il medico
[3] (tab.1).
La prima visita è quindi un momento decisivo per
l’instaurarsi di un rapporto costruttivo e di fiducia tra
medico e paziente il quale, solo di fronte ad
atteggiamenti aperti e rassicuranti del medico potrà
fornire tutte quelle informazioni necessarie per il
successo diagnostico e terapeutico del suo problema.
Tab.1
MOTIVI CHE RENDONO DIFFICILE L’APPROCCIO AL PZ CEFALALGICO DA
PARTE DEL MMG
- patologia sine materia
- carenze culturali
- inquadramento diagnostico ritenuto lungo e difficile
- possibilità terapeutiche ritenute insufficienti
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Per il MMG così come per il medico di Pronto
Soccorso che si trova ad affrontare un paziente con
cefalea, compito fondamentale è quello di distinguere
una cefalea primaria in cui la cefalea e i sintomi
eventualmente associati rappresentano il fulcro del
problema da una cefalea secondaria espressione
questa di una patologia organica potenzialmente
pericolosa per la vita.
La raccolta dell’anamnesi deve essere scrupolosa
e dettagliata, eseguita con domande mirate in modo
che le risposte fornite permettano di individuare gli
aspetti salienti del quadro clinico. I dati anamnestici
irrinunciabili sono:
Età di comparsa della cefalea: le cefalee primarie
insorgono prevalentemente in età pediatrica-
adolescenziale; quando una cefalea compare per la
prima volta intorno ai 50 anni è più probabile che sia
una forma secondaria
Eventi associati all’esordio della cefalea: ad
esempio una cefalea che compare dopo un trauma
cranico potrebbe essere una cefalea post-traumatica;
l’insorgenza in gravidanza o nel puerperio deve far
pensare ad una trombosi del seno venoso sagittale.
Durata e periodicità della malattia: una cefalea
si definisce acuta se è comparsa per la prima volta da
ore o giorni, subacuta se l’insorgenza risale ad alcune
9
settimane, cronica se il paziente ne soffre da mesi o
anni.
Durata, frequenza e cadenza di ogni singolo
episodio: la durata del dolore è importante come
orientamento diagnostico. Per quanto riguarda la
frequenza occorre tener conto che il paziente può
riferire come due episodi di cefalea una singola crisi
che dura da più giorni o una crisi che recidiva dopo
un’interruzione dovuta per esempio all’assunzione di
un farmaco sintomatico.
Tipologia del dolore: l’intensità del dolore viene
in genere misurata con una scala verbale a 3 gradi (1-
lieve, 2-medio, 3- forte). L’intensità del dolore si
associa alla disabilità intesa come incapacità a
svolgere le comuni attività quotidiana e anch’essa
misurata in scala da 1 a 3.
Sede del dolore
Disturbi di accompagnamento
Fattori aggravanti, scatenanti e migliorativi
Tipi di cefalea associati
Trattamenti utilizzati: indagare a quali terapie il
paziente ha fatto ricorso e la loro efficacia. Importante
è anche verificare la presenza di un uso eccessivo e
prolungato di farmaci sintomatici perché questa
condizione conduce alla comparsa di una cefalea
quotidiana da abuso di sintomatici con caratteristiche
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cliniche completamente diverse da quelle della cefalea
per cui erano stati assunti.
Familiarità e sesso: una storia positiva per lo
stesso tipo di cefalea è presente in circa il 70% dei
familiari di I° grado degli emicranici e nel 20-30% di
quelli dei pazienti con cefalea di tipo tensivo, mentre è
più rara nei familiari dei soggetti affetti da cefalea a
grappolo. L’emicrania e la cefalea di tipo tensivo sono
più frequenti nelle donne, mentre la cefalea a grappolo
è più frequente nei maschi.
Tab.2
ANAMNESI DEL PAZIENTE CEFALALGICO
- Chi della sua famiglia soffre o ha sofferto di cefalea?
- A che età ha iniziato a soffrire di cefalea?
- Ogni quanto ha cefalea?
- Quanto dura ogni attacco?
- Che intensità ha?
- Come descriverebbe il dolore?
- Mi mostri dove di solito inizia il dolore e, se si diffonde,
dove va
- Oltre al dolore ha altri sintomi?
- Come si comporta quando la cefalea è forte?
- Cosa la scatena, la peggiora, la migliora?
- Prende qualcosa per la cefalea? E’ efficace?
- Di recente la sua cefalea è cambiata?
- Pensa di avere più di un tipo di cefalea?
- Perché ha deciso di farsi visitare?
11
Nonostante l’anamnesi resti uno strumento
fondamentale nella definizione di una cefalea, spesso
accade di trovarsi di fronte a pazienti che presentano
difficoltà a descrivere i loro sintomi. Spesso le loro
risposte sono legate allo stato d’animo presente al
momento della visita a sua volta condizionato dalle
caratteristiche degli ultimi attacchi con il risultato di
presentare una situazione più grave di quella che è
realmente o, meno frequentemente, banalizzando il
loro problema. Queste difficoltà hanno portato nel
corso degli anni a ricercare uno strumento che potesse
rendere più obiettivabile la cefalea: è nato così il diario
della cefalea che si è mostrato utile perché consente
una più corretta diagnosi con migliore definizione della
gravità e permette una più attenta valutazione
dell’efficacia o meno dei trattamenti farmacologici.
Il diario prevede la registrazione di molte
informazioni impegnando così il paziente a focalizzare
con maggiore attenzione il suo problema.
Dovranno essere registrati:
Ora di insorgenza e cessazione della cefalea
Presenza di disturbi che precedono e/o
accompagnano la cefalea
Sede e qualità della cefalea
Gravità della cefalea (intensità e disabilità)
Rapporti con il ciclo mestruale
12
Tipo e quantità dei farmaci sintomatici assunti,
ora di assunzione e di cessazione dell’attacco.
Anche quando la storia clinica è tipica per un
determinato tipo di cefalea, il medico non può esimersi
dall’eseguire l’esame obiettivo generale con particolare
riguardo alla regione della testa e del collo. Infatti, se
da un lato la visita consente di produrre elementi
ulteriori all’anamnesi, dall’altro rappresenta la
premessa affinché si instauri un rapporto di fiducia
tra medico e paziente che si sente così “preso in cura”.
L’esame obiettivo inizia con una valutazione dello
stato psichico per cogliere eventuali stati d’ansia,
depressione, ipocondria, segni di torpore,
rallentamento ideo-motorio, amnesia. Occorre poi
misurare la pressione arteriosa e la frequenza cardiaca
non trascurando la semeiotica toracica e addominale.
Particolare attenzione andrà posta all’esame
obiettivo del cranio per ricercare eventuali alterazioni
morfologiche, segni di pregressi traumi, anomala
pulsatilità delle arterie temporali, dolorabilità alla
pressione manuale, trigger points. E’ richiesto anche
un esame dei nervi cranici individuando eventuali
asimmetrie facciali e pupillari e alterazioni della
motilità oculare.
13
Dovrebbe essere sempre esaminata la cavità
orale, la funzionalità delle articolazioni temporo-
mandibolari ed eventualmente un controllo otoiatrico.
Il collo va esaminato per rilevare dolorabilità dei
muscoli alla palpazione, linfoadenopatie, alterazioni
della tiroide, presenza di soffi carotidei. Per quanto
riguarda l’esame neurologico dovranno essere valutati
la forza muscolare, la postura, la sensibilità e i riflessi.
Tab.3
ESAME OBIETTIVO REGIONE CERVICALE E TESTA
Ricerca della dolorabilità pericraniale con piccoli movimenti
rotatori e di pressione del 2° e 3° dito sui mm.frontali,
temporali, massetere, sternocleidomastoidei, pterigoidei, trapezi
Ricerca di segni di cefalea cervicogenetica: digitopressione LC e
occipitale bilaterale; valutazione range rotazione dx e sn; ricerca
mialgia e cellulalgia su spalla, braccio e avambraccio
omolaterale
Ricerca dei tender points nelle sedi tipiche bilateralmente
(sindromi somatiche funzionali): inserzione occipite del trapezio,
mm laterocervicali, trapezio, sovraspinoso, 2°-3° articolazione
sterno-costale, 2 cm distalmente all’epicondilo, quadrante
supero-esterno dei glutei, trocanteri, ginocchio medialmente.
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Tab.4
ESAME OBIETTIVO GENERALE E NEUROLOGICO
MANOVRA DI SEMEIOTICA UTILITÀ PER LA DIAGNOSI
Misurazione PA Cefalea da ipertensione se
>180\110 o > 160\120 se crisi
Esame riflessi pupillari Ricerca di iso-anisocoria
Ricerca simmetria ROT Segni focali nelle cefalee
secondarie
Ricerca ipostenie Segni focali nelle cefalee
secondarie, TIA
Fundus oculi Papilledema nella ipertensione
endocranica
Valutazione campo visivo Cefalea da lesione occupante
spazio
Ricerca punti dolorosi
laterocervicali, mialgia,
cellulalgia
Cefalea a partenza dal rachide
cervicale
Ricerca tender points Cefalea di tipo tensivo con
contrazione muscolare;
sindromi algiche funzionali
(fibromialgia)
Ricerca dolorabilità muscoli
pericraniali
Cefalea tensiva episodica con
contrazione muscolare
pericraniale; cervicogenica da
irritazione di C1-C2
Pressione sui seni paranasali Cefalea da rinosinusite
Ricerca rigidità nucale Cefalea da meningite
Segno di Kerning-Brudzinski Cefalea da meningite
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Generalmente l’anamnesi e l’esame obiettivo
permettono di fare precise conclusioni diagnostiche,
talvolta, però, soprattutto nel sospetto di una relazione
con una patologia organica, può essere fatto ricorso
ad indagini strumentali. Tra gli esami di laboratorio
particolare rilievo ha l’esame emocromocitometrico
spia di eventuali processi infettivi sia di alterazioni
della crasi ematica. L’aumento della VES, specie in
pazienti con cefalea di recente insorgenza e di oltre 50
anni di età può deporre per un’arterite temporale a
cellule giganti, ma può essere indice anche di processi
infettivi o neoplastici.
L’esecuzione di una rachicentesi presuppone che
sia presente il sospetto clinico di una malattia che
determini alterazioni liquorali, quali una
meningoencefalite, un’emorragia subaracnoidea.
L’EEG come indagine di routine nel paziente
cefalalgico è del tutto ingiustificato sia per l’alta
incidenza di falsi positivi o negativi che per
l’aspecificità delle alterazioni elettroencefalografiche
rilevate nelle cefalee primarie; può tuttavia trovare
indicazione nei pazienti in cui la cefalea si associ a
sintomi che possono indurre a pensare ad un
disordine epilettico.
Troppo spesso eseguite e praticamente poco utili
a fini diagnostici sono le radiografie tradizionali del
16
cranio e del rachide cervicale che possono trovare
indicazione nelle cefalee post-traumatiche per rilevare
eventuali fratture del cranio o lesioni osteoligamentose
del rachide cervicale.
L’indicazione ad indagini neuroradiologiche deve
essere riservata a casi selezionati. Tra gli esami
neuroradiologici la TC cranio è l’indagine di scelta per
l’emorragia subaracnoidea, traumi cranici,
malformazioni ossee mentre la RM encefalo è
preferibile per lo studio delle strutture cerebrali in
particolare quelle della fossa cranica posteriore, del
tronco encefalico e del cervelletto. La RM rispetto alla
TC presenta maggiore affidabilità per lo studio delle
lesioni espansive, degenerative e vascolari del cervello
e del midollo spinale; resta comunque indicazione alla
TC per la diagnosi precoce di eventi emorragici
cerebrali.
L’angiografia cerebrale rappresenta il golden
standard per la diagnosi delle alterazioni strutturali
del circolo cerebrale. Restano utili anche le tecniche ad
ultrasuoni soprattutto il doppler transcranico per
evidenziare una sintomatologia suggestiva per
emicrania con aura.
17
Tab.5
INDAGINE UTILITÀ PER LA DIAGNOSI
Rx rachide cervicale conferma cervicogenica se positivo
per OA
rettilineizzazione: segno di cattiva
prognosi nei traumi distorsivi
cervicali
RM/TC encefalo modificazioni recenti cefalea
epilessia di nuova insorgenza
segni neurologici focali
EEG alterazioni della coscienza
aura con sintomi atipici
Puntura lombare ESA
Alterazioni pressione liquorale
Meningite, encefalite
RX cranio Fratture teca cranica
Consulenza oculistica Esame fundus per papilledema
Ricerca difetti di rifrazione
Ricerca di aumentata pressione
oculare
Valutazione campo visivo
Consulenza
neurologica
Sospetto cefalea secondaria
Per definire il 3°-4° livello diagnostico
Dopo fallimento terapia
VES Arterite temporale
Glicemia La ipoglicemia può essere fattore
precipitante l’emicrania
Urine Proteinuria nella preeclampsia ed
eclampsia
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Quando ci troviamo di fronte, per la prima volta,
ad un paziente con cefalea l’obiettivo primario del
medico deve essere quello di individuare una patologia
potenzialmente pericolosa. Per ottenere una rapida
diagnosi differenziale tra cefalea pericolosa e cefalea
benigna occorre innanzitutto capire le motivazioni che
hanno spinto il paziente a farsi visitare. Si possono
verificare due situazioni: la cefalea lamentata si
inserisce nell’ambito di una serie di crisi che, per le
loro caratteristiche, hanno ridotto il paziente in uno
stato di prostrazione (la “goccia che fa traboccare il
vaso”) oppure il paziente si rivolge d’urgenza al medico
per la comparsa di una cefalea che lo allarma o perché
di prima insorgenza o perché diversa da quelle
abituali.
Anche se spesso sono mal delineabili i confini tra
un attacco emicranico acuto, soprattutto se il primo,
da una cefalea pericolosa, il quesito può essere risolto
solo da un esame neuroradiologico da praticare
quando sussistano segni clinici predittivi di gravi
patologie cerebrali quali:
Insorgenza improvvisa di una cefalea grave o
della peggior cefalea mai avuta o diversa da
quelle abituali
Inspiegabile progressivo peggioramento di una
cefalea già esistente
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Comparsa dopo sforzi fisici, colpi di tosse, attività
sessuale
Presenza di sintomi neurologici e/o generali
associati
Comparsa del primo episodio dopo i 40 anni
Tab. 6 CHECK-LIST PER I SEGNALI DI ALLARME
CEFALEA
BENIGNA
CEFALEA
POTENZIALMENTE
PERICOLOSA
NO Pz molto giovane o anziano? SI
NO Cefalea recente? (< 6 mesi) SI
NO Andamento ingravescente? SI
NO Dolore violento? SI
NO Cefalea ad insorgenza molto
acuta?
SI
NO Sintomi atipici o diversi dai
soliti o segni focali all’esame
neurologico?
SI
NO Sono presenti: rash, deficit
neurologici che non si
risolvono rapidamente,
vomito, traumi cranici,
infezioni, perdita di peso,
ipertensione
SI
20
4. Cefalee primarie
Le cefalee primarie sono costituite da quelle
forme essenziali in cui, esclusa qualsiasi causa
organica, la cefalea costituisce la malattia in sé. Nel
2004, la Società Internazionale delle Cefalee (IHS) ha
pubblicato la seconda edizione della classificazione
comprendente tutte le forme di cefalea sia primarie
che secondarie. Questo sistema classificativo
considera tre i più comuni tipi di cefalea primaria:
emicrania, cefalea di tipo tensivo e cefalea a grappolo e
vi include anche un quarto tipo che comprende le
cefalee non associate a lesioni strutturali (cefalea
trafittiva idiopatica, cefalea da compressione esterna,
cefalea da freddo, cefalea benigna da tosse, cefalea
benigna da attività fisica, cefalea associata all’attività
sessuale). Nel corso della vita la prevalenza delle
cefalee primarie è molto alta e può variare dal 79%
della cefalea di tipo tensivo allo 0,1% della cefalea a
grappolo.
Le cefalee primarie, manifestandosi con maggiore
prevalenza nella popolazione in età produttiva,
presentano un notevole impatto individuale e
soprattutto sociale anche se l’entità di tale fenomeno è
stata per molto tempo sottovalutata in quanto, spesso,
il paziente cefalalgico non si rivolgeva al medico o il
21
suo disturbo veniva preso scarsamente in
considerazione. Recenti studi hanno cercato di
colmare questa lacuna esaminando la qualità di vita
dei pazienti durante gli attacchi acuti e nella fase
intercritica. E’ emerso che durante la cefalea
emicranica spesso si verifica una limitazione nella
capacità di svolgere normali attività quotidiane sia in
ambito lavorativo che ricreativo. Quando la cefalea si
fa intensa nella maggior parte dei cefalalgici si giunge
alla completa sospensione di qualunque tipo di attività
e, quando gli attacchi sono frequenti e gravi il 60% dei
pazienti vede peggiorare la propria qualità di vita.
Molti vivono nella paura di crisi successive,
modificando le proprie abitudini fino ad arrivare ad
una menomazione della capacità sociale; circa la metà
dei pazienti non si sente più in grado di svolgere la
propria attività lavorativa né fare programmi per il
futuro favorendo così l’insorgenza di stati depressivi e
perdita dello stato di salute (cioè condizione di pieno
benessere fisico e psichico).
L’OMS (World Health Report 2001) identifica
l’emicrania al diciannovesimo posto tra le principali
cause responsabili di anni di vita vissuta con
disabilità.
Importante da considerare è anche l’impatto
sociale delle cefalee primarie di cui uno degli aspetti
22
predominanti è la perdita di produttività. La
menomazione della capacità lavorativa si estrinseca
sia in termini di assenze dal lavoro/scuola, sia come
riduzione dell’efficienza lavorativa con un incremento
notevole dei costi sia diretti (consumo di risorse per
gestione della malattia: visite, ricoveri, farmaci) sia
indiretti (mancati guadagni, assenze dal lavoro,
riduzione della produttività).
Infatti, se è vero che il dolore rappresenta il
sintomo più importante per il paziente cefalalgico, la
disabilità che ne deriva rappresenta la conseguenza
più dannosa per la società.
Guardare alle cefalee come malattie disabilitanti
è un requisito fondamentale nella pratica clinica in
quanto aiuta a comprendere meglio l’impatto della
cefalea nell’individuo, a migliorare la comunicazione
medico-paziente, aiuta il medico a comprendere i
bisogni del paziente, a migliorare la diagnosi e la
terapia [4], nella ricerca scientifica soprattutto per
valutare quali sono i fattori che influenzano la
disabilità e studiare soluzioni mirate, non solo
farmacologiche, al problema ed anche nella
programmazione sanitaria politico-economica per
riconoscere l’importanza del problema e destinare ad
esso fondi ed interventi di educazione e formazione.
23
La disabilità può essere misurata attraverso scale
e questionari che valutano impedimenti, limitazioni e
restrizioni in ruoli definiti (attività lavorativa,
ricreativa, socialità, sfera emozionale…) Per quanto
riguarda le cefalee, soprattutto l’emicrania, sono due
le scale che si sono dimostrate più semplici da
applicare e complete, la scala MIDAS e l’HIT-6 [5]
MIDAS (Migraine Disability Assessment Questionnaire)
Negli ultimi 3 mesi quanti giorni di lavoro/scuola ha perso
a causa del mal di testa?
Negli ultimi 3 mesi per quanti giorni la sua produttività,
in ambito scolastico o lavorativo, è stata ridotta di più della
metà a causa del suo mal di testa? (non consideri le giornate
incluse nella risp.1)
Negli ultimi 3 mesi, per quanti giorni ha dovuto rinunciare
a svolgere gli abituali lavori domestici a causa del suo mal di
testa?
Negli ultimi 3 mesi, per quanti giorni la sua produttività
nei lavori domestici è stata ridotta di più della metà a causa del
suo mal di testa? (non consideri le giornate incluse nella risp.3)
Negli ultimi 3 mesi, per quanti giorni ha dovuto rinunciare
ad attività sociali, familiari o ricreative a causa del suo mal di
testa?
Negli ultimi 3 mesi, per quanti giorni ha avuto mal di
testa?
Su una scala da 1 a 10 che valore darebbe mediamente
all’intensità del suo mal di testa?
24
Istruzioni per la compilazione: risponda ai
seguenti quesiti facendo riferimento a tutti i mal di
testa che ha avuto negli ultimi 3 mesi. Scriva la
risposta nella colonna a fianco di ogni quesito.
Qualora non sia stato impegnato nelle attività
menzionate nelle varie domande scriva 0.
Classificazione MIDAS:
I disabilità minima o infrequente 0-5
II disabilità lieve o infrequente 6-10
III disabilità moderata 11-20
IV disabilità severa >21
25
4.1. Emicrania
L’emicrania è un disturbo che interessa un’alta
percentuale di popolazione generale che, pur non
risparmiando l’età infantile, prevale nell’età media e
quindi in una fascia di età economicamente attiva. Si
stima che la prevalenza mondiale dell’emicrania sia di
circa il 12% con un rapporto M/F = 1:3 [6] non
esistono differenze legate al sesso in età prepuberale
mentre l’aumento della prevalenza nel sesso femminile
si verifica con la pubertà, in genere dopo il menarca,
per poi decrescere dopo i 50 anni pur mantenendosi
maggiore anche in età avanzata (dopo i 70 anni la
prevalenza si aggira intorno al 7-9% nelle donne e 3-
4% negli uomini). L’emicrania resta comunque un
mondo sommerso: considerando la prevalenza del 12%
su una popolazione di circa 56 milioni di abitanti, i
pazienti emicranici dovrebbero ammontare a circa 6,8
milioni. Questo significa che un MMG con 1500
assistiti dovrebbe aspettarsi di avere circa 180 pazienti
emicranici di cui un 75% (135) donne e 25% (45)
uomini. Ma questo non è il percepito attuale del MMG:
infatti, su 400 MMG intervistati con una media di
1247 assistiti risultavano solo 7 visite mensili per
emicrania e 8 pazienti seguiti per tale patologia. [7]
26
E’ stata osservata una frequente aggregazione
familiare (linea materna) anche se, vista l’elevata
prevalenza, questa potrebbe essere del tutto casuale.
Russel e Olesen in uno studio condotto nel 1995 a
Copenhagen segnalano un rischio di emicrania senza
aura quasi doppio nei parenti di I grado dei soggetti
affetti e un rischio di emicrania con aura quasi
quadruplo nei parenti di I grado dei soggetti colpiti
rispetto alla popolazione generale, suggerendo per
l’emicrania con aura un’importanza dei fattori genetici
e per la forma senza aura una combinazione tra fattori
genetici e ambientali. [8]
La crisi emicranica può presentarsi come una
successione di 5 fasi; quando queste fasi, raramente
nella pratica clinica, sono tutte presenti si parla di
emicrania completa. Le fasi sono:
I. sintomi premonitori o prodromi
II. aura
III. cefalea e sintomi di accompagnamento
IV. risoluzione
V. recupero
Fase I: I sintomi premonitori sono presenti in
circa 1/3 degli emicranici e precedono di ore o giorni
la cefalea. Possono consistere in alterazioni del tono
dell’umore o disturbi vegetativi; il paziente impara a
riconoscerli come segnale di attacco incombente
27
poiché, quando presenti, tendono ad essere nello
stesso paziente piuttosto costanti.
Fase II: L’aura emicranica indica quel complesso
di fenomeni neurologici focali e transitori che
compaiono nel 20% circa dei pazienti emicranici.
Questi fenomeni, in genere, iniziano e terminano
prima dell’insorgere della cefalea. L’aura talvolta può
essere così importante da rendere difficile una
diagnosi differenziale con un TIA oppure talmente
sfumata che il paziente la riferisce solo su richiesta
esplicita del medico. La maggior parte dei sintomi
dell’aura si sviluppa in 5-20 minuti e in genere non
dura oltre i 60 minuti e il paziente può apparire molto
spaventato anche quando il disturbo dura da molto
tempo ed è consapevole della sua benignità.
Raramente l’aura può comparire ripetutamente nello
stesso giorno mantenendo questo andamento anche
per mesi; dopo 5 giorni consecutivi si parla di stato di
aura emicranica.
I sintomi dell’aura sono correlati ad alcune aree
della corteccia cerebrale o del tronco encefalico. L’aura
corticale si distingue in aura visiva, sensitiva, motoria,
con disturbi del linguaggio.
L’aura visiva è la più comune; i disturbi visivi
possono iniziare come offuscamento della visione
seguito da scotomi. Questi sono rappresentati da
28
fenomeni visivi positivi e negativi. I fenomeni visivi
positivi sono luminosi e spesso colorati, in genere
rappresentati da fosfeni quali lampi, linee ondulate e
tremolanti; un disturbo comune è lo spettro di
fortificazione cioè una linea luminosa scintillante a zig-
zag che ricorda le mura fortificate di una città
medioevale viste dall’alto. Di solito inizia al centro del
campo visivo come una piccola macchia rotonda
circondata da linee a zig-zag, lucenti e colorate, che si
espandono verso la periferia e, prima di scomparire, si
apre all’interno a forma di mezza luna; lo scotoma
scintillante dura in genere 10-30 minuti. I fenomeni
visivi negativi, percepiti come macchie scure che
impediscono la visione degli oggetti a cui si
sovrappongono, rappresentano 1/3 delle aure visive;
talvolta può esservi visione a tunnel con perdita della
visione periferica. In genere i fenomeni visivi sono
presenti in un solo quadrante dell’emicampo visivo
(quadrantopsia omonima).
29
Tab.7
CARATTERISTICHE DELL’AURA VISIVA
Fenomeni positivi/negativi
Forma Fosfeni-visione a tunnel-
spettro di fortificazione
Espansione Tutti i tipi di scotoma si
espandono
Migrazione Gli scotomi “marciano”dal
centro alla periferia di un
campo visivo, raramente al
contrario
Gradualità Espansione e migrazione sono
graduali (>5 min)
Tremolio La frequenza può variare
durante il decorso dell’aura
Colore Spesso scotomi bianco
luminescente
L’aura sensitiva inizia in genere dopo quella
visiva. Si manifesta con parestesie che in genere
interessano un emisoma e la regione cheirorale;
possono essere seguite da disturbi sensitivi negativi
come ipoestesie/anestesie.
L’aura motoria è la più rara e compare quasi
sempre associata a quella visiva. Si manifesta come
un’ipostenia di pochi minuti a carico di un arto; più
rara è la forma paralitica.
30
L’aura del tronco encefalico è caratterizzata da
deficit neurologici che originano dalle strutture
cerebrali del circolo posteriore; si manifesta
soprattutto con disturbi dell’ equilibrio, dell’udito e
dello stato di coscienza.
Fase III: Il dolore è prevalentemente unilaterale
oppure accentuato unilateralmente anche se può
alternare lato o presentarsi bilateralmente; le sedi più
coinvolte sono le regioni orbitarie, frontali e temporali.
L’intensità aumenta gradualmente: all’inizio è lieve e
non ben localizzato poi, nell’arco di poco tempo,
raggiunge il suo acme e si lateralizza associandosi
talvolta a sintomi neurovegetativi quali nausea,
vomito, fono e fotofobia. In genere il dolore è pulsante,
peggiora con il movimento e con gli sforzi ed è alleviato
transitoriamente dalla compressione dell’arteria
temporale superficiale omolaterale. La durata media di
un attacco è di 4-72 ore ed il paziente in genere
necessita di riposo in ambiente buio e silenzioso. La
frequenza delle crisi è molto variabile e può andare da
pochi attacchi durante tutta la vita a molti a
settimana.
A volte l’esordio dell’emicrania avviene in età
infantile; nei bambini l’attacco emicranico è
generalmente più breve e causa sintomi meno
pronunciati. Spesso al posto della classica
31
sintomatologia dolorosa cefalica si ha una sindrome
caratterizzata da disturbi gastrointestinali oppure
vertigini. [9]
Gli attacchi emicranici sono spesso innescati da
fattori o situazioni ricorrenti:
Ciclo mestruale: il 60% delle pazienti cefalalgiche
riconosce nelle mestruazioni un trigger della
cefalea sia per quanto riguarda l’emicrania che la
cefalea censiva. [10] La caduta improvvisa dei
livelli ematici di estradiolo che si verifica subito
prima e durante il flusso mestruale sarebbe
responsabile della cosiddetta “emicrania
mestruale”. Si parla di tale forma quando il 90%
degli attacchi si verifica intorno al periodo
mestruale (più o meno 3 giorni rispetto al giorno di
inizio del flusso).
Fattori ambientali come luci e rumori intensi,
odori forti, umidità, sbalzi di temperatura.
Stress e variazioni di tensione psico-fisica [11]
Alimenti: gluatammato monosodico, nitriti, alcool,
tiramina, feniletilamina
Pillola anticoncezionale
Variazione dei bioritmi del sonno e dei pasti.
Fase IV: La fase di risoluzione si sviluppa in
alcune ore e, talvolta, soprattutto nei bambini, dopo
un sonno profondo.
32
Fase V: La fase di recupero segue quella di
risoluzione specie quando gli attacchi sono gravi. In
questa fase di circa 24 ore il paziente non si presenta
ancora in pieno benessere, è astenico e si sente come
“svuotato” con pesantezza alla testa.
Da molti anni sono state studiate le possibili
associazioni tra emicrania ed altre patologie;
un’associazione non casuale ampiamente
documentata è quella tra emicrania con aura ed ictus
ischemico. In base ai dati della letteratura, l’emicrania
con aura sembra essere un fattore di rischio vascolare
in particolare in donne di età inferiore ai 45 anni e nei
sottogruppi di pazienti affetti che presentano
malformazioni cardiache predisponenti per episodi di
embolia parossistica. [12] Sulla base di queste
premesse, la Società Italiana dell’Ipertensione
Arteriosa (SIIA) e la Società Italiana per lo Studio delle
Cefalee (SISC) hanno promosso nel 2007 uno studio
epidemiologico italiano che coinvolge attivamente i
Medici di Medicina Generale: lo studio MIRACLES
(Migrain and Hypertension relationship: comorbidity
and risk of cerebrovascular events) che si propone di
stimare, sul territorio nazionale, la comorbidità tra
Ipertensione ed emicrania in pazienti afferenti agli
ambulatori dei Medici di Medicina Generale.
33
Per quanto riguarda la comorbidità tra emicrania
e disturbi psichiatrici è stato documentato un
incremento della prevalenza dell’emicrania nei pazienti
affetti da depressione maggiore con rapporto
bidirezionale [13] ma anche con attacchi di panico e
disturbo d’ansia generalizzato.
Esistono diverse forme cliniche di emicrania
previste dalla Classificazione IHS:
1.1 Emicrania senz’aura:
A. almeno 5 crisi con i criteri B-D
B. attacchi di cefalea della durata di 4-72 ore
C. cefalea con almeno due di queste
caratteristiche:
- unilateralità
- qualità pulsante
- intensità moderata-severa
- aggravata da o induce ad astenersi
dalle attività fisiche di routine
D. durante la cefalea almeno uno di:
- nausea e/o vomito
- fono e fotofobia
E. non attribuibile ad altri disturbi
34
1.2 Emicrania con aura:
A. almeno due attacchi che soddisfano B
B. Aura che soddisfa B e C per una delle
sottoforme 1.2.1-1.2.6
L’emicrania con aura è, a sua volta, distinta in
sei categorie:
1.2.1 Aura tipica con cefalea emicranica
1.2.2 Aura tipica con cefalea non emicranica
1.2.3 Aura tipica senza cefalea
1.2.4 Emicrania emiplegica familiare: è una
rara patologia geneticamente determinata, trasmessa
con carattere autosomico dominante, [14] il cui
elemento caratterizzante è la presenza di deficit
motorio nel corso dell'aura, per lo più unilaterale, in
associazione a disturbi sensitivi, visivi o del linguaggio;
segue poi la comparsa di cefalea. Nel 40% circa dei
pazienti si manifestano crisi più gravi con coma o
stato confusionale, emiplegia prolungata e febbre.
L'età d'esordio, la sintomatologia, la frequenza delle
crisi e il decorso della malattia possono variare da un
paziente all'altro, anche nell’ambito della stessa
famiglia. La patogenesi dell’emicrania emiplegica
familiare è riconducibile a mutazioni a carico di tre
diversi geni codificanti per canali voltaggio-dipendenti
di membrana, la cui alterazione comporta uno stato di
35
ipereccitabilità neuronale. [15,16] Le forme genetiche
di emicrania emiplegica familiare non differiscono dal
punto di vista della presentazione clinica, ad eccezione
della FHM1 in cui sintomi di tipo basilare
predominano su quelli tipici dell'aura, ed è possibile
una comorbidità con atassia e crisi epilettiche. La
diagnosi di emicrania emiplegica familiare [17] viene
formulata unicamente su base clinica e anamnestica
secondo i criteri ICHD-II, come accade per le altre
cefalee primarie. Nella pratica clinica sono attualmente
raccomandati test genetici molecolari esclusivamente
per i soggetti con FHM1, data la sua correlazione con
l’atassia spinocerebellare tipo 6 e l’atassia episodica
tipo 2.
1.2.5 Emicrania emiplegica sporadica
1.2.6 Emicrania basilare: compare
soprattutto in giovani donne ma anche in bambini. I
sintomi sono da ricondurre ad un disturbo
intermittente dell’irrorazione del tronco encefalico,
cervelletto e lobo occipitale. In genere l’aura dura
meno di un’ora ed è seguita da cefalea più spesso
occipitale; le crisi sono accompagnate da parestesie
bilaterali intorno alla bocca o alle estremità, vertigini,
atassia, disturbi visivi fino all’amaurosi e nausea,
nonché disturbi psichici fino ad un vero e proprio
stato confusionale. In questo caso si parla anche di
36
emicrania confusionale. Talvolta sono necessarie
indagini strumentali quali EEG per escludere la
presenza di attività epilettiforme e RM o TC cranio per
escludere malformazioni o processi espansivi.
37
4.2. Cefalea di tipo tensivo
E’ la più diffusa delle cefalee primarie e colpisce
prevalentemente il sesso femminile anche se dopo i 60
anni la differenza tra i due sessi tende a ridursi; l’età
di insorgenza è prevalentemente adolescenziale-
giovanile con massima prevalenza tra i 30 e 40 anni;
alcuni studi sostengono una maggiore frequenza in
soggetti con livello culturale medio-alto. [18] La
prevalenza nella popolazione generale va dal 30 al 86%
circa quindi un MMG con una media di mille assistiti
dovrebbe aspettarsi circa 310 casi di cefalea tensiva
tra gli uomini e 430 tra le donne. [19] Il profilo clinico
è molto eterogeneo e presenta una marcata differenza
tra i pazienti che afferiscono all’ambulatorio del MMG
e quelli che si rivolgono a strutture specializzate.
In genere il dolore è sordo, gravativo e/o
costrittivo a sede bilaterale in genere frontale e/o
temporale spesso diffuso “a casco” di intensità lieve o
moderata non aggravato dalle attività fisiche
quotidiane spesso riferito come sensazione di
pesantezza o testa confusa. Gli episodi di cefalea in
genere iniziano al mattino, aumentano di intensità
durante la giornata per poi attenuarsi verso sera, rara
è l’insorgenza durante il sonno con risveglio notturno.
Non è raro che il dolore interessi la zona cervicale o
38
che si localizzi alla faccia, talvolta può coesistere
modesta fotofobia o una vaga sensazione di nausea. I
principali fattori in grado di favorire ed aumentare
questo tipo di cefalea sono la tensione nervosa,
l’affaticamento mentale, condizioni protratte di
concentrazione, lo stress psicosociale e lo stress
muscolare come una prolungata malposizione durante
l’attività lavorativa.
La cefalea tensiva, in assenza di elementi
etiopatogenetici organici, viene inserita tra le malattie
psicosomatiche. [20] Infatti, la letteratura evidenzia
una struttura di personalità parzialmente simile a
quella riscontrata in soggetti affetti da altre
psicosomatosi con il riscontro o di uno stato nevrotico
o di uno depressivo. Numerosi studi hanno messo in
evidenza come le persone affette da cefalea tensiva
siano scarsamente efficaci nella gestione dello stress
psicosociale e nella elaborazione di risposte adeguate
alle problematiche legate alla quotidianeità. Nel
trattamento di questa cefalea sono stati pertanto
elaborati approcci combinati di tipo farmacologico-
psicoterapeutico da adattare alle caratteristiche del
singolo paziente; [21] a livello di trattamento
psicologico si rilevano efficaci i training di
rilassamento guidato associati a terapie cognitivo-
comportamentali.
39
La classificazione IHS distingue una forma
episodica e una forma cronica entrambe distinte, a
loro volta, in due sottotipi, con e senza contrattura dei
muscoli pericranici a seconda che sia presente o meno
una dolorabilità alla palpazione o una aumentata
attività elettromiografica.
2.1.Cefalea di tipo tensivo episodica
A. Almeno 10 episodi di cefalea che soddisfino
B-D. La cefalea è presente per meno di 180
giorni/anno (meno di 15 giorni/mese)
B. La cefalea dura da 30 min a 7 giorni
C. Il dolore presenta almeno 2 delle seguenti
caratteristiche:
- qualità gravativa-costrittiva
- intensità lieve o media
- sede bilaterale
- non è aggravato da attività di routine
D. Si verificano entrambe le condizioni:
- assenza di nausea o vomito (può
esserci anoressia)
- possono presentarsi, non
contemporaneamente, fono e fotofobia.
40
La cefalea tensiva episodica può cronicizzare
(cefalea cronica quotidiana) in due situazioni:
evolvendo naturalmente verso la cronicità o in seguito
ad abuso di farmaci sintomatici, più raramente
benzodiazepine.
2.2 Cefalea di tipo tensivo cronica:
A. La frequenza media della cefalea è > 15
giorni/mese per almeno 6 mesi e soddisfa B-D
B. Il dolore presenta almeno 2 delle seguenti
caratteristiche:
- qualità gravativa-costrittiva
- intensità lieve o media
- sede bilaterale
- non è aggravato da attività di routine
C. Si verificano entrambe le seguenti condizioni:
- assenza di vomito
- presenza di non più di uno tra nausea,
fono e fotofobia
La prevalenza della cefalea di tipo tensivo tende a
ridursi con l’età e, in circa la metà dei casi, si assiste
ad una remissione spontanea dopo i 60 anni; questo
41
fenomeno riguarda soprattutto le donne giustificando
l’annullamento, nel tempo, della differenza tra i sessi.
42
4.3. Cefalea a grappolo
E’ la forma più rara di cefalea primaria con netta
prevalenza nel sesso maschile (M/F = 6:1) ed esordio
tra 20-40 anni. E’ facile da diagnosticare perché è
contraddistinta da attacchi che presentano
caratteristiche cliniche specifiche e tendono a ripetersi
con aspetti che si mantengono costanti.
Gli attacchi sono particolarmente dolorosi tanto
che è stata chiamata anche “cefalea da suicidio”.
Nei casi tipici l’attacco di cefalea è sempre
unilaterale e, nello stesso paziente, colpisce
praticamente sempre lo stesso lato. E’ caratterizzata
da accessi parossistici di dolore lancinante di forte
intensità di durata variabile da 15 a 180 minuti, a
sede orbitaria, sovraorbitaria e/o temporale.
Molto caratteristica e responsabile della
denominazione di questa forma di cefalea è la maggior
frequenza delle crisi in determinati periodi dell’anno,
che poi sono seguiti da intervalli di tempo più o meno
lunghi privi di cefalea.
Il dolore è ben localizzato e di intensità tale da
impedire al paziente di rimanere in una posizione fissa
ed il suo comportamento è di estrema agitazione e
irrequietezza.
43
Spesso si possono osservare durante l’attacco dei
caratteristici fenomeni di accompagnamento, oppure
questi vengono riferiti dal paziente o dai familiari
presenti. L’occhio del lato colpito lacrima ed è spesso
arrossato; nella regione periorbitale è spesso presente
arrossamento della cute probabilmente secondario allo
strofinamento della stessa da parte del paziente che
non riesce a stare fermo. [22] Frequente è il
rigonfiamento della mucosa nasale omolaterale con
ostruzione nasale e difficoltà alla respirazione, spesso
associata a rinorrea oppure una sindrome di Horner
omolaterale spesso descritta dal paziente come
restringimento della rima palpebrale. Durante l’attacco
possono comparire fotofobia, fonofobia e nausea,
sudorazione facciale.
Le crisi, nella forma episodica, si presentano
giornalmente, spesso ad orari fissi per periodi di 3-6
settimane con cadenza annuale o biennale. Nella
cefalea a grappolo, oltre all’attacco, anche il decorso è
stereotipato e scandito da due fasi: la fase attiva
caratterizzata dal raggruppamento delle crisi
(grappolo) e la fase inattiva cioè di remissione della
sintomatologia. Le due fasi si susseguono anche per
decenni e, a volte, assumono un andamento ciclico
con una prevedibilità “da calendario” spesso
stagionale.
44
Anche la cefalea a grappolo può essere innescata
da stimoli esterni come l’alcool, i vapori di solventi
organici e di benzina, la ridotta tensione di ossigeno
atmosferico tipico dell’alta quota; la crisi compare
dopo una latenza di 30-45 minuti.
Si distingue una forma episodica caratterizzata
da fasi di remissione di almeno 14 giorni che separano
fasi attive di durata oscillante da 7 giorni a un anno
(senza trattamento); per porre diagnosi i periodi attivi
devono essere almeno due. Nella forma cronica gli
attacchi si presentano da almeno un anno senza
periodi inattivi o comunque con periodi di inattività
inferiori alle due settimane; rispetto alla forma
episodica, insorge più tardivamente (circa 40 anni) e
risponde meno alla terapia farmacologica. La forma
cronica può non avere fasi di remissione fin
dall’esordio e la gravità della sintomatologia ha, in
genere, un andamento fluttuante con periodi di
esacerbazione alternati ad altri di attenuazione delle
crisi.
Ancora oggi la cefalea a grappolo viene spesso
confusa con la nevralgia del trigemino. In questa
forma però, il parossismo doloroso si sussegue come
una scossa elettrica per decine di minuti e la singola
trafittura dura da pochi secondi a massimo 2 minuti
ed interessa soprattutto la II e III branca del nervo;
45
inoltre il dolore può essere scatenato da stimoli tattili
esercitati su punti tipici detti zone trigger o da alcune
attività quotidiane come il mangiare, parlare, lavarsi i
denti. Un ulteriore ed importante elemento distintivo è
rappresentato dall’età di insorgenza che è tipicamente
giovanile nella cefalea a grappolo e avanzata (oltre 50
anni) nella nevralgia del trigemino.
46
5. Terapia delle cefalee primarie
Una strategia terapeutica efficace deve sempre
iniziare con un colloquio informativo che stabilisce un
rapporto tra medico e paziente generando in
quest’ultimo l’idea che il medico si stia impegnando ad
affrontare la sua malattia. Se questo non accade è
probabile che il paziente non si rivolga più per molto
tempo al medico rifugiandosi nell’automedicazione o
ricorrendo alla medicina alternativa.
Nel paziente cefalalgico è frequente l’aspettativa
di esami “sofisticati” volti ad individuare la causa del
suo problema; è quindi compito del medico spiegare i
meccanismi che portano alla cefalea e che è questa la
malattia che può essere curata anche se non guarita.
La scelta della cura è legata alla gravità del
problema, per questo diventa fondamentale il ricorso
al diario per la valutazione della gravità e delle
caratteristiche del quadro clinico. Questo periodo di
osservazione deve protrarsi per almeno 3 mesi durante
i quali il paziente potrà assumere solo una terapia
sintomatica, e, al termine di questo, sarà valutata
l’opportunità di intraprendere o meno una terapia di
profilassi.
Ad oggi l’obiettivo principale del trattamento non
è tanto la risoluzione del sintomo dolore quanto il
47
recupero funzionale del paziente con miglioramento
della sua qualità di vita.
La maggior parte dei soggetti cefalalgici può
essere trattata dal medico di medicina generale anche
se, in alcuni casi selezionati, è consigliabile l’invio a
consulenza specialistica per esempio nel caso di un
paziente che non tragga beneficio da una terapia
appropriata per il tipo di cefalea diagnosticato o nel
caso in cui ci si trovi di fronte ad una cefalea cronica
quotidiana da abuso di sintomatici in cui occorre un
ricovero in ambiente protetto per la disassuefazione e
per la terapia della conseguente cefalea da
sospensione.
Essendo le cefalee primarie patologie
multifattoriali talvolta marcatamente influenzate
dall’assetto psicologico, si rende necessaria una
strategia terapeutica globale che preveda, oltre al
trattamento farmacologico, anche un intervento sulla
psiche. E’ indispensabile esaminare tutti gli aspetti
psicologici, analizzare i tratti di personalità, capire se
esiste un legame tra cefalea e stress, indagare su come
il paziente ed il proprio entourage familiare vivono il
problema.
Nonostante queste considerazioni, attualmente il
trattamento psicologico del paziente cefalalgico è poco
utilizzato nella routine terapeutica. La terapia
48
comportamentale, soprattutto il biofeedback, è
particolarmente indicata nei pazienti che non possono
utilizzare farmaci, nel trattamento delle cefalee
giovanili o in donne in età fertile che desiderano una
gravidanza.
La terapia comportamentale ha come obiettivo
principale quello di modificare il comportamento
cognitivo cioè insegnare al paziente a cambiare i propri
pensieri, azioni ed aspettative che, aumentando i livelli
di attivazione emozionale, influenzano la cefalea. E’
chiamato anche trattamento di autocontrollo perché
messo in atto dallo stesso paziente. Le tecniche più
utilizzate nella pratica clinica sono il relaxation
training in cui il paziente acquisisce la capacità di
ridurre il grado di tensione psichica attraverso esercizi
di contrazione e rilassamento di alcuni gruppi
muscolari ed il biofeedback che è un programma di
addestramento non invasivo volto a sviluppare la
capacità di controllo del sistema nervoso autonomo.
49
5.1. Trattamento dell’emicrania
Tentare di curare un’emicrania significa
innanzitutto cercare di individuare ed eliminare quei
fattori trigger che possono scatenare gli attacchi;
fattori di carattere alimentare quali cioccolato,
formaggi, bevande alcoliche; fattori ormonali quali
l’assunzione di contraccettivi orali; fattori psicofisici
come stress, tensioni, fame, perdita del sonno possono
contribuire a peggiorare o innescare gli attacchi e
devono essere pertanto aboliti.
La terapia di profilassi è indicata nei pazienti che
soffrono di attacchi intensi e frequenti capaci di
limitare le attività usuali per più di 4 giorni al mese. Il
beneficio di un trattamento profilattico compare in
genere dopo 1-2 mesi; la durata del trattamento non
può essere standardizzata perché la risposta
terapeutica è diversa da paziente a paziente
comunque, in genere, se il trattamento è efficace è
opportuno mantenerlo per 4-6 mesi. La sospensione
deve essere graduale per evitare la rapida ricomparsa
delle crisi; alla ricomparsa di queste il ciclo, se
efficace, può essere ripetuto. Anche quando la
profilassi è efficace la maggior parte dei pazienti
presenta attacchi sporadici che richiedono un
trattamento sintomatico. I farmaci raccomandati dalle
50
linee guida SISC per il trattamento profilattico sono i
β-bloccanti, i calcioantagonisti, i farmaci antiepilettici,
gli antidepressivi triciclici, gli antagonisti dei recettori
5HT2.
Esistono anche trattamenti profilattici non
farmacologici:
Agopuntura: i pochi dati disponibili mostrano che,
anche quando c’è un beneficio, questo scompare
dopo poco tempo dalla sospensione del
trattamento. L’azione analgesica della metodica è
oggi attribuita ad un incremento di attività degli
oppioidi endogeni, le endorfine.
Stimolazione elettrica transcutanea (TENS): non ci
sono studi controllati e randomizzati in proposito
Manipolazione della testa e del collo: queste
manovre esercitano l’allungamento dei muscoli
(stretching) o il cambiamento dei rapporti tra le
strutture articolari (chiropratica).
Per quanto riguarda il trattamento dell’attacco
acuto, lo scopo principale è quello di prevenire il
peggioramento dell’attacco (trattamento abortivo) e di
alleviare l’intensità del dolore. Il trattamento della crisi
è tanto più efficace quanto più è tempestivo; è buona
norma educare i pazienti ad assumere il farmaco al
momento giusto, al dosaggio adeguato e per la via più
51
adatta ad ottenere un beneficio. Il riposo, evitando
luce e rumore, migliora la compliance del paziente.
Esistono farmaci non specifici dell’attacco
(tab.8)come gli analgesici (FANS) di cui sono preferibili
quelli a più lunga emivita plasmatica per ottenere un
effetto più prolungato e gli antiemetici per ridurre
l’eventuale nausea e/o vomito e atonia gastrica e,
quando somministrati insieme agli analgesici, per
consentire un loro maggiore assorbimento, e farmaci
specifici quali i triptani e gli ergotaminici (tab.9).
Tab. 8 FARMACI NON SPECIFICI DELL’ATTACCO
FARMACO DOSE DI ATTACCO DOSE MAX/24 H
Paracetamolo 500-1000 mg os 2000
ASA 500-1000 mg os/ev 2000
Ibuprofene 400-600 mg os 1800
Naprossene sodico 550 os 1100
Diclofenac 100 os/75 im 200 os/150 im
Ketoprofene 100 im 200
Ketorolac 30 im 60
Acido mefenaminico 500 os 1000
Attualmente i triptani sono i farmaci più indicati
per il trattamento delle crisi di media e forte intensità.
Agiscono da agonisti selettivi dei recettori 5HT1b/1d
inducendo costrizione dei vasi cefalici e inibendo
52
l’infiammazione neurogena dovuta al rilascio di
neuropeptidi vasoattivi dalle terminazioni perivascolari
meningee.
Una metanalisi di confronto tra le varie molecole
(Lancet 2001) indica piccole differenze di efficacia e
tollerabilità. La maggiore rapidità d’azione (30-60
minuti) si ha con Rizatriptan seguito da Zolmitriptan,
Eletriptan e Almotriptan indicati quindi soprattutto
per le crisi di media durata; Frovatriptan e Naratriptan
sono invece indicati per le crisi di durata di almeno 24
ore caratterizzate da recidiva; Almotriptan,
Frovratriptan e Naratriptan hanno invece un profilo
migliore di tollerabilità e trovano maggiore indicazione
in quei pazienti che hanno presentato tendenza a
sviluppare effetti collaterali.
Tab.9 FARMACI SPECIFICI DELL’ATTACCO
FARMACO POSOLOGIA
Sumatriptan Sc 6 mg; max/24h 12 mg
Rettale 25 mg max/24h 50 mg
Os 50-100 mg max/24h 300 mg
Spray nasale 20 mg max/24h 40 mg
Almotriptan Os 12.5 mg max/24h 25 mg
Eletriptan Os 40 mg max/24h 80 mg
Rizatriptan Os 10 mg max/24h 20 mg
Zolmitriptan Os 2.5 mg max/24h 5 mg
Naratriptan Os 2.5 mg max/24h 5 mg
Frovatriptan Os 2.5 mg max/24 h 5 mg
53
Gli studi clinici controllati sono stati condotti su
popolazioni di età compresa tra 18 e 65 anni per le
quali sono limitate le indicazioni all’uso. Sono
generalmente ben tollerati; le reazioni indesiderate
sono in genere fugaci e di lieve intensità. Gli effetti
collaterali sono in genere legati alla dose e insorgono
entro 2-3 ore dalla somministrazione. Caratteristica è
la sindrome da triptani che consiste nella comparsa di
una sensazione di dolore e/o pressione alla nuca,
senso di costrizione alla gola, sensazione di costrizione
al torace; questa sindrome è assolutamente benigna,
non è legata a fenomeni ischemici, non si associa ad
alterazioni elettrocardiografiche e si risolve
spontaneamente entro 2 ore. I triptani sono comunque
una classe di farmaci con un potenziale rischio di
vasocostrizione coronaria e sono infatti controindicati
in pazienti con cardiopatia ischemica accertata o
presunta o con elevato rischio cardiovascolare.
Per quanto riguarda gli ergotaminici questi
agiscono da agonisti non selettivi dei recettori
5HT1b/1d con azione vasocostrittiva non limitata al
circolo cerebrale ma diffusa a tutto il sistema
vascolare; possono inoltre interferire con il sistema
dopaminergico e adrenergico in quanto hanno una
struttura molecolare simile a quella delle amine
biogene.
54
5.2. Trattamento della cefalea di tipo tensivo
Nonostante l’alta prevalenza nella popolazione, si
calcola che, per la cefalea di tipo tensivo, solo il 16%
dei pazienti si rivolga al MMG e il 4% allo specialista;
la maggior parte dei pazienti risolve questo problema
con il solo trattamento sintomatico in genere
autosomministrato.
Un fattore costante nella genesi della cefalea di
tipo tensivo è l’incapacità del paziente a rilassare i
muscoli della faccia e del collo con la peculiarità che
spesso questa “over contraction” non è limitata al
periodo della crisi ma prosegue anche quando il
paziente si sente tranquillo.
E’ sempre utile consigliare al paziente di
rispettare un adeguato ritmo sonno/veglia, di evitare
di mantenere per lungo tempo una postura fissa e di
svolgere regolare attività fisica.
E’ forse in questa forma di cefalea che trovano
maggiore utilità i trattamenti non farmacologici come
quello psicologico e le terapie fisiche come il
massaggio, agopuntura, e TENS: questi due in
particolare sembrano avere effetto antidolorifico per un
aumento della concentrazione delle endorfine che
aumentano la soglia del dolore, favoriscono il
benessere e il rilassamento psicofisico.
55
Il trattamento farmacologico si basa su farmaci
sintomatici e di profilassi.
A differenza dell’emicrania, la cefalea di tipo
tensivo non richiede sempre un trattamento
sintomatico, in rapporto alla minore intensità del
dolore; inoltre gli analgesici non hanno in genere molta
efficacia. Tra i FANS i più usati ed efficaci sono
l’ibuprofene per la maggiore tollerabilità a livello
gastrointestinale seguito dal naprossene sodico per la
maggiore emivita che ne prolunga l’effetto. Nelle forme
ad alta frequenza la medicazione con analgesici
comporta il rischio di cadere nell’uso quotidiano di
farmaci con cefalea da abuso di analgesici.
Nelle forme croniche ed episodiche ad alta
frequenza, in cui non sono più sufficienti i sintomatici,
è opportuno un trattamento preventivo. I farmaci
utilizzati sono gli antidepressivi triciclici, gli SSRI e i
miorilassanti; l’amitriptilina è l’unico farmaco che ha
un alto livello di evidenza scientifica di efficacia ed è
pertanto quello di prima scelta.
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Tab.10 FARMACI PER LA PROFILASSI
FARMACO DOSAGGIO
Miorilassanti Tizanidina: Iniziare con 2 mg prima di
coricarsi aumentando gradualmente fino
a 8 mg/die in 3 somministrazioni
Ciclobenzaprina: iniziare con 5 mg la
sera fino a max 20 mg/die
Antidepressivi
triciclici
Amitriptilina: dosaggio iniziale 5-10mg la
sera da aumentare di 10 mg ogni 5-7
giorni fino ad una dose di mantenimento
di 60-100mg/die
SSRI
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5.3. Trattamento della cefalea a grappolo
La strategia più idonea per curare un paziente
con cefalea a grappolo sarebbe quella di prevenire la
fase attiva e quindi anticipare la riaccensione ciclica
della malattia; purtroppo questa strategia non è
attuabile data la scarsa prevedibilità dei tempi di
ricomparsa del periodo attivo.
L’attacco è difficile da trattare in quanto non ha
sintomi prodromici, raggiunge rapidamente la
massima intensità ed è di breve durata. Il farmaco di
prima scelta è il Sumatriptan preferibilmente per via
sottocutanea per la rapidità d’azione; più del 90%
degli attacchi vengono rapidamente interrotti in 5-15
minuti. Un’altra possibilità terapeutica è l’ossigeno
inalatorio che interrompe o attenua il 70% degli
attacchi grazie a una vasocostrizione diretta del circolo
cerebrale.
La farmacoprofilassi è parte fondamentale nel
trattamento della malattia e ha l’obiettivo di
determinare in pochi giorni la riduzione del numero
delle crisi di almeno il 50% e di mantenere la
remissione fino al termine del periodo attivo; il
trattamento profilattico deve essere iniziato appena
comincia la fase attiva facendo attenzione ad
un’eventuale cessazione prematura che potrebbe
58
portare ad una rapida ricomparsa degli attacchi. I
farmaci utilizzati sono il verapamile, litio carbonato,
prednisone, pizotifene.
Tab.11 FARMACI PER LA PROFILASSI
FARMACO DOSAGGIO
Verapamile 240-360 mg/die in 2-3
somministrazioni
Litio carbonato 900-1200 mg/die in 3-4
somministrazioni (litiemia tra
0.4-0.8 mEq/l). Indicato nelle
forme croniche e nelle forme
episodiche con grappoli > 2
mesi
Prednisone 40-60 mg/die non superare le
2-3 settimane di trattamento.
Indicato nelle forme episodiche
e nei pazienti< 40 anni
Pizotifene 3 mg in 3 somministrazioni
Tab.12 FARMACI SPECIFICI DELL’ATTACCO
Ossigeno 100% 6-7 l/min per 15 minuti; se
inefficace ripetere il
trattamento per 20 min dopo
una pausa di 5 min
Sumatriptan 6 mg sc non più di due
somministrazioni intervallate
da almeno 1 ora
59
6. Cenni sulle Cefalee Secondarie
A prima vista potrebbe sembrare semplice
classificare una cefalea come secondaria, in realtà la
diagnosi è resa difficoltosa dalla mancanza di
caratteristiche cliniche peculiari, dall’incertezza di un
nesso causale tra lesione organica e insorgenza della
cefalea e dalla frequente manifestazione con
caratteristiche del tutto sovrapponibili a quelle delle
cefalee primarie. Per tale motivo la Classificazione IHS
ha stabilito che i criteri diagnostici per cefalea
secondaria prendano in considerazione soprattutto la
relazione temporale esistente tra alterazione organica e
insorgenza di dolore cefalico.
La prevalenza delle cefalee secondarie nella
popolazione generale è molto variabile in base al tipo
come si mostra in tabella 13:
- Cefalea da assunzione o sospensione di sostanze
(escluso alcol)
3%
- Cefalea indotta da alcol 72%
- Cefalea associata ad infezioni non craniche 63%
- Cefalea associata a trauma cranico 4%
- Cefalea associata a patologie vascolari 1%
- Cefalea associata a patologie endocraniche non
vascolari
0.5%
- Cefalea associata a patologie metaboliche 22%
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- Cefalea associata a patologie del collo 1%
- Cefalea associata a patologie dell’occhio 3%
- Cefalea associata a patologie dell’orecchio 0.5%
- Cefalea associata a patologie del naso e seni
paranasali
15%
Illustrerò brevemente alcuni tipi di cefalea
secondaria soprattutto tenendo in considerazione i
casi che in genere afferiscono più frequentemente
nell’ambulatorio del medico di Medicina Generale.
Cefalea associata a patologia del naso e seni
paranasali: La cefalea da sinusite acuta è
caratterizzata da un dolore profondo, sordo, di qualità
pulsante e non, associato a sensazione di pesantezza.
Il dolore si accentua con la flessione del capo oppure
con manovre che aumentano la pressione venosa quali
il tossire e lo starnutire. Quando la sinusite cronicizza
il dolore si riduce notevolmente di intensità fino a
scomparire. La cefalea si localizza diversamente in
base a quali seni sono coinvolti dal processo
infiammatorio. Nella sinusite frontale il dolore si
localizza alla fronte e radice del naso con irradiazione
al vertice e di maggiore intensità la mattina al
risveglio. Nella forma mascellare il dolore è avvertito in
regione sottorbitaria, zigomo, mascella e arcata
61
dentaria; nella sinusite sfenoidale si manifesta dolore
al vertice, di tipo profondo, opprimente, diffuso al capo
e agli occhi con tendenza ad aumentare nell’arco della
giornata. Nella etmoidite il dolore è avvertito tra gli
occhi e dietro di essi ed è accentuato dai movimenti
dei bulbi oculari.
Cefalea associata a patologie oculari: Tra i dolori
prodotti dalle patologie dell’occhio è da ricordare
l’oculalgia da glaucoma acuto e, più frequenti, gli
errori di rifrazione che, se non corretti, possono dare
cefalee per lo più lievi localizzate in sede frontale o
all’interno dei globi oculari.
Cefalea associata a patologie vascolari: raramente
i disturbi ischemici cerebrali sono associati a cefalea,
solitamente omolaterale all’ischemia, modesta e
transitoria. La cefalea, anche se non rappresenta un
sintomo fondamentale, è di più frequente riscontro
nelle trombosi endocraniche. Molto più caratteristica e
importante è la cefalea in corso di emorragia
subaracnoidea dove si manifesta con dolore
lancinante, improvviso, localizzato inizialmente in
regione frontale con successiva irradiazione a livello
occipitale, associato a nausea e vomito e, talvolta, a
rialzo termico, rigidità nucale e segni neurologici focali
o diffusi.
62
Gli spandimenti emorragici meno massivi, come
le malformazioni arterovenose, le dissezioni carotidee,
determinano una cefalea ad insorgenza subdola,
maggiormente localizzata e comunque associata a
sintomi e/o segni neurologici.
Per quanto riguarda la cefalea da ipertensione
arteriosa, la maggiorparte degli Autori è concorde nel
sostenere che l’ipertensione di grado I e II non dia
cefalea. Questa, quando presente, si manifesta con
dolore diffuso più intenso a livello occipitale e frontale
a cui possono associarsi disturbi neurovegetativi e
visivi.
I
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