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Corso di Diploma Accademico di secondo livello in discipline musicali Musica Elettronica e Tecnologie del suono Indeterminismo e processi improvvisativi nell’ambito della musica elettroacustica A.A. 2015/16 Relatore M° Luca Richelli Tesi finale di: Alessandro Arban Matr. 3384 Anno Accademico 2015-2016

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Corso di Diploma Accademico

di secondo livello in discipline musicali

Musica Elettronica e Tecnologie del suono

Indeterminismo e processi improvvisativi

nell’ambito della musica elettroacustica A.A. 2015/16

Relatore

M° Luca Richelli

Tesi finale di:

Alessandro Arban

Matr. 3384

Anno Accademico 2015-2016

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ABSTRACT 4

1. L’IMPROVVISAZIONE NELLA MUSICA ELETTROACUSTICA 6

1.1. PREMESSE 61.2. GLI ANNI ’60 E ‘70 81.3. GLI ANNI ‘80 171.4. DAGLI ANNI ’90 AD OGGI 21

2. REALIZZAZIONE DELLA PERFORMANCE 25

2.1. LIVE ELECTRONICS ED IMPROVVISAZIONE 252.2. ESTETICA DELLA PERFORMANCE: ISPIRAZIONI E STESURA FORMALE 272.3. ESECUZIONE E STRUMENTAZIONE ADOPERATA 302.4. LE SCENE 322.5. DIFFUSIONE MULTICANALE 36

3. AMBIENTE ESECUTIVO IN MAX 40

3.1. MAIN 423.2. INTERFACCIA ESECUTIVA 433.3. HARMONIZER 463.4. PITCH SHIFTER 493.5. DELAY 513.6. GRANULATORE 523.7. RIVERBERO 533.8. ANALISI SPETTRALE 543.9. SPAZIALIZZAZIONE 563.10. CONTROLLI E ROUTING ANALOGICO DEL SEGNALE 58

CONCLUSIONI 60

SVILUPPI FUTURI: AMBIENTI ESECUTIVI PER LA DIDATTICA MUSICALE 61

RINGRAZIAMENTI 62

4. APPENDICE: SCHEMI E IMPOSTAZIONI 63

4.1. SCENA I 634.2. SCENA II 664.3. SCENA III 694.4. SCENA IV 734.5. SCENA V 76

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4.6. DISPOSIZONE DEI DIFFUSORI 79

LISTA TRACCE CD 80

BIBLIOGRAFIA 81

SITOGRAFIA 83

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ABSTRACT

In questo lavoro di tesi sarà illustrato il percorso attraverso il quale, partendo da un’indagine storica,

sono giunto alla realizzazione di una live performance improvvisativa assieme al collega Yuri

Dimitrov.

La ricerca storica preliminare non ha la pretesa di essere esaustiva, riguardo tutto quanto è stato

sperimentato nell’ambito dell’improvvisazione musicale elettroacustica, bensì nasce con lo scopo di

trasmettere al lettore quelle che sono state le principali fonti d’ispirazione durante la stesura della

performance, tra le quali spiccano sicuramente l’opera di Franco Evangelisti e del suo “Gruppo di

Improvvisazione Nuova Consonanza” e gli studi sulla forma per momenti e sulla spazializzazione

compiuti da Karlheinz Stockhausen durante gli anni ’60 e ‘70.

Nella pratica esecutiva, infatti, il nostro lavoro tenta di riprendere il percorso tracciato dal gruppo di

Evangelisti, cercando di ampliarne le possibilità espressive attraverso gli strumenti di sintesi e il live

electronics.

Dal punto di vista della stesura formale, invece, è servito molto approfondire le strategie adoperate

da Stockhausen in molte sue opere composte nel periodo citato, caratterizzate dalla presenza di un

elemento d’indeterminazione che rende unica ogni esecuzione.

La seconda parte della tesi descriverà le scelte estetiche compiute e la costruzione formale della

performance, mentre l’ultimo capitolo servirà al lettore per ricostruirne l’ambiente esecutivo,

qualora volesse rieseguirla (oppure utilizzarlo per altri scopi).

La performance consiste di cinque momenti, caratterizzati dall’interazione tra diversi strumenti

acustici ed elettronici. Attraverso l’elaborazione in tempo reale dei suoni provenienti dagli

strumenti, si genera un dialogo fra timbri genealogicamente distanti, a livello morfologico,

semantico e spaziale. I timbri prodotti dagli strumenti acustici processati emulano quelli sintetici,

mentre il suono dei sintetizzatori è scolpito su imitazione dei suoni acustici. A livello semantico

interviene la pratica manuale degli interpreti, che con la propria gestualità pongono l’attenzione sul

dialogo tra essi e gli strumenti. La diffusione dei suoni, controllata dai dati estrapolati da un’analisi

spettrale in tempo reale, è in viva comunicazione con i musicisti; riflettendo nello spazio i loro

gesti, ne enfatizza il movimento.

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In alcune conferenze tenute a Brema e Amburgo nel 1959, epoca in cui si scatenò la famosa

polemica sulla validità dell’opera aperta, parlai dei limiti che questa portava in sé e della

possibilità dei suoi ultimi sviluppi. Dovendo l’interprete completare nell’esecuzione gli schemi

che il compositore forniva, io dissi, sarebbe stato necessario l’avvento di un nuovo tipo di

esecutore che fosse anche compositore, in modo che potesse legare certi elementi musicali che,

in esecuzioni date da interpreti di tipo tradizionale, vengono resi schiavi da una prassi che tale

tipo di esecutore porta con sé. Auspicavo così una situazione più favorevole, ricordando il caso

della musica indiana: da più di duemila anni in India gli esecutori sono anche compositori,

essendo quella musica legata a forme momentanee. È da notare, altresì, che le opere cosiddette

“aperte” hanno limiti strumentali stabiliti dal compositore, risultandone l’opera aperta

soltanto ad alcuni strumenti o a più strumenti; dissi così che il limite di questa forma sarebbe

stata una specie di “summa” di elementi con i quali l’interprete o gli interpreti-concreatori

potessero agire all’istante senza una precisa determinazione strumentale, in modo che ne

risultasse un’opera spersonalizzata in senso tradizionale, quindi opera risultante dal concorso

di numero x di interpreti-compositori possibili.

Franco Evangelisti, Presentazione del Gruppo Internazionale di Improvvisazione Nuova Consonanza, in programma-

dépliant del III Festival di Nuova Consonanza, Roma 1965.

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1. L’IMPROVVISAZIONE NELLA MUSICA ELETTROACUSTICA

1.1. PREMESSE

Nel 1955, il fisico e ingegnere del suono Werner Meyer Eppler fornisce una prima definizione del

termine alea, quale “procedimento il cui decorso generale è determinato, mentre le singole

componenti dipendono dal caso”1. Sebbene alcuni elementi d’indeterminazione si trovino già in

partiture di Cage e Feldman, antecedenti a tale data, soltanto a partire dagli anni ’56-’57 se ne rileva

l’assunzione da parte delle avanguardie darmstadtiane2.

La dodecafonia di Schoenberg, esposta per la prima volta dal compositore nel 19233, è il primo

forte segno di rottura con il passato, le successive generazioni di compositori cercheranno di

elaborare nuovi linguaggi personali, aventi come minimo comune denominatore l’abbandono

(parziale o totale) del sistema tonale, in favore di nuovi sistemi, costituiti alla base da una serie

numerica precedentemente determinata.

Nel 1952, a soli 29 anni dalla nascita del sistema dodecafonico, in un articolo pubblicato sulla

rivista “The Score”, Pierre Boulez dichiara4 con una certa dose di dogmatismo ingenuo (nel ’52

Boulez aveva appena 27 anni) che “Dalla penna di Schoenberg abbondano i clichés di scrittura

temibilmente stereotipi del romanticismo più ostentato e desueto[…]”.

Boulez conclude il suo articolo con un enunciato in lettere maiuscole: SCHOENBERG È MORTO.

Con lui nasce (grazie anche al contributo del suo maestro Olivier Messiaen) l’era del serialismo

integrale, tecnica compositiva che preordina uno o più parametri musicali in successioni stabilite,

chiamate serie.

Questo nuovo modo di comporre, è per Boulez l’unica via per liberare le possibilità di uno sviluppo

funzionale dell’opera che “genera ogni volta una sua gerarchia”. Come ogni moto d’innovazione, è

riduttivo stabilire con precisione un vero e proprio “iniziatore”, piuttosto è importante soffermarsi

sul percorso generale dell’arte per comprendere a fondo i sentimenti che hanno ispirato tali idee.

Sicuramente Boulez ha fatto tesoro di quanto auspicava in precedenza Webern, parlando di una

1 W. Meyer Eppler, Statistische und psychologische Klang Probleme, “Die Reihe”, pp.22-8, 1955.

2 D. Tortora, Nuova Consonanza, Trent’anni di musica contemporanea in Italia (1959-1988), LIM 1990, p. 125.

3 A.Schoenberg, Komposition mit 12 Tönen 1923.

4 P. Boulez, Note di Apprendistato, Einaudi, 1968.

4 P. Boulez, Note di Apprendistato, Einaudi, 1968.

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musica nella quale “[…]si ha la sensazione di non essere più di fronte ad un’opera dell’uomo,

bensì della natura”5.

Parallelamente, in campo pittorico, Paul Klee afferma che “L’opera d’arte è principalmente

genesi”6, concependo essa come metafora della creazione e l’opera come “formazione della forma”.

A distanza di un decennio dal provocatorio articolo di Boulez del ’52, la crescente presenza delle

nuove tecnologie nella produzione musicale, e soprattutto nell’esecuzione live, provoca una nuova

crisi nelle accademie, la quale è il punto di partenza di questo lavoro di ricerca che si concentrerà

sulla pratica improvvisativa nell’ambito della musica elettroacustica, concludendosi con la

realizzazione di una live performance.

5 A. Webern, Verso la nuova musica. Lettera a Hildegard Jone e Josef Humplik. Milano, Bompiani, 1963.

6 P. Klee, Pädagogisches Skizzenbuch, Neue Bauhausbücher, 1925.

Gruppo di Improvvisazione Nuova Consonanza.

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1.2. GLI ANNI ’60 E ‘70

Negli anni ’50, l’Europa ha assistito alla nascita e lo sviluppo dei primi centri di produzione

musicale elettroacustica, a Parigi (GRM), Colonia (WDR) e Milano (RAI), grazie anche al supporto

economico delle emittenti radiofoniche nazionali.

Grazie ad una maggior accessibilità economica delle nuove tecnologie, durante gli anni ’60

fioriscono nuovi centri e un maggior numero di produzioni indipendenti.

Per fornire un quadro globale di quanto accaduto in questo decennio e in quello successivo, occorre

procedere per gradi, soffermandoci sugli avvenimenti dei singoli paesi maggiormente coinvolti

nella ricerca e produzione musicale.

A circa un decennio di distanza dalla

nascita della musique concrète di Pierre

Schaeffer, la domanda che si pongono le

nuove generazioni di compositori francesi è

se sia possibile reintegrare il materiale

esterno a quello costituente la grammatica

dei suoni di Schaeffer, senza tradirne le

regole.

Boulez critica aspramente la musica

concreta definendola dilettantistica,

riscontrando un limite nella catalogazione

dei suoni di Schaeffer.

Nel frattempo le nuove tecnologie compiono un passo avanti, permettendo ora la manipolazione in

tempo reale. Ciò provoca delle fratture nel clima formalista che si è respirato nei precedenti anni:

l’obiettivo per molti ora è il contenuto, a discapito della forma che diventa mera conseguenza della

manipolazione del materiale sonoro.

Luc Ferrari, dapprima fedele seguace di Schaeffer, getta scompiglio nel GRM (Groupe de

Recherches Musicales), producendo brani che contengono i cosiddetti “campioni”, cioè suoni

continui e imprevedibili, non tollerati dalla grammatica schaefferiana.

Dopo uno scontro iniziale, Ferrari decide di lasciare il GRM per aprire un suo studio.

Con “Presque rien IA”, Ferrari conia il termine provocatorio di “musica aneddotica”. Il brano è

composto di registrazioni effettuate nel ’67 su un’isola della Dalmazia.

Figura 1.1 Pierre Schaeffer presso il GRM di Parigi.

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La referenzialità dei suoni è in questo caso un valore aggiunto, poiché gli eventi sonori non sono

realmente imprevedibili, in quanto selezionati in precedenza da lui, nei momenti in cui la natura

“eseguiva” passaggi musicali.

Anche Bernard Parmegiani,

che si trova al GRM nel

servizio di ricerca, per un

periodo adotta un

atteggiamento informale

durante la composizione,

lasciando che siano i processi

di manipolazione a decidere la

forma finale dell’opera, che lui

non prefigura durante il lavoro.

Nella produzione di quegli

anni, è importante ricordare lo

stretto rapporto di Parmegiani

con la produzione video,

principale causa del trend

surreale dei suoi brani, spesso nati come sonorizzazioni d’immagini ma fruibili anche

separatamente.

Inoltre va menzionato la passione di Parmegiani per la musica jazz e in generale per

l’improvvisazione libera, in effetti nella produzione di quegli anni è ricorrente da parte sua l’utilizzo

di materiali provenienti da repertori “pop”.

Ne sono un chiaro esempio brani come “Ponomatopeès” del ’64, “Pop Eclectic” del ’68 o “Du pop

à l’âne” del ’69, dove Parmegiani lavora con la tecnica del collage, montando tra loro passaggi

provenienti da diversi repertori (rock, jazz, classica, elettroacustica).

Negli anni ’70 Parmegiani sceglie un ritorno alla forma, avvertendola probabilmente come

un’eredità di cui deve farsi carico. La forma per lui diventa un’idea, la proiezione mentale del

risultato finale dei processi. Con questo spirito compone l’opera del ’75 “De Natura Sonorum”,

nella quale si serve del suono di diapason come metafora della scintilla primordiale generatrice di

tutti i suoni. È importante segnalare che i suoni di sintesi presenti nell’opera sono generati

dall’utilizzo di sintetizzatori a tastiera, quindi veri e propri strumenti musicali, a differenza dei più

“austeri” oscillatori a manopola presenti negli studi di Colonia e di Milano.

Figura 1.2 Bernard Parmegiani al GRM.

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La Germania, nel frattempo, è

diventata la vera e propria patria

dell’integralismo seriale, grazie

soprattutto all’enorme influenza

dell’Internationale Ferienkurse für

Neue Musik di Darmstadt, i corsi estivi

di composizione attraverso i quali sono

passati numerosi compositori affermati

del secondo novecento. L’avvento

della sperimentazione elettronica in

tempo reale impone una revisione della

pratica compositiva.

Il passaggio dall’universo strumentale

a quello elettronico ripropone il

problema della forma, risolto in maniera empirica, con la pratica manuale.

Stockhausen realizza “Kontakte” presso gli studi della WDR di Colonia, tra il ’58 e il ’60.

In un’intervista egli dichiara che “In the preparatory work for my composition Kontakte, I found,

for the first time, ways to bring all properties [i.e., timbre, pitch, intensity and duration] under a

single control”7.

Il titolo dell’opera si riferisce al contatto tra i suoni strumentali e quelli elettronici, ma anche ai

contatti tra i vari segmenti del brano, che il compositore chiama “momenti” (strutture con regole di

costruzione interne, indipendenti tra loro), e infine ai contatti tra i vari movimenti di

spazializzazione del suono.

Il dualismo fra “manualità” e serialità provoca una crisi in Stockhausen, che egli risolve

documentando tutti i passaggi manuali svolti in studio.

L’idea della forma per momenti si solidifica sempre di più nella mente del compositore8, che

sperimenta nelle produzioni successive nuove forme di notazione, schematiche o di cornice, che

lasciano margini di libertà all’esecutore, rendendo la percezione del tempo fluttuante.

Un brano significativo di questo periodo è sicuramente “Solo” del ’66, per strumento monodico ed

elettronica. In questo brano l’esecutore ha facoltà di scegliere l’ordine d’esecuzione delle sei

sequenze costituenti l’opera.

7 K. Stockhausen, The Concept of Unity in Electronic Music (Die Einheit der musikalischen Zeit), Perspectives of New

Music 1, n°1 (Autunno): pp.39–48, 1962.

8 K. Stockhausen, The British Lectures, Institute of Contemporary Arts, Londra, 1972.

Figura 1.3 Karlheinz Stockhausen durante una lezione a Darmstadt.

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Anche in Italia la scena elettroacustica vive un periodo fiorente, diversi talentuosi compositori

frequentano i corsi di Darmstadt e s’interfacciano con i colleghi europei, riportando le loro

esperienze all’interno delle loro composizioni e promuovendo la nascita di varie attività

concertistiche, che hanno lo scopo di divulgare la nuova musica al popolo italiano.

Sebbene negli anni ‘60 lo studio di Fonologia della RAI di Milano sia uno dei più all’avanguardia

in quanto a strumentazione elettroacustica (ne sono chiare testimonianze le numerose produzioni di

Luciano Berio, Bruno Maderna, Luigi Nono…), la musica contemporanea in Italia vanta un’altra

scena di prestigio, costituita da giovani compositori del Meridione, come il pugliese Domenico

Guaccero, il siciliano Aldo Clementi e il romano Franco Evangelisti. Sebbene alcuni di questi

compositori producano un piccolo numero di brani elettroacustici, è evidente l’influenza delle

sonorità elettroniche nella loro ricerca timbrica, seppur attraverso l’utilizzo di strumenti tradizionali.

Nell’ambito della produzione elettronica di Aldo Clementi, il brano Collage III del ’67, ottenuto

mediante la manipolazione di brani dei Beatles9, rappresenta un esempio dell’atteggiamento

informale assunto in questo periodo dal compositore catanese, in parte dovuto alla sua vicinanza ad

artisti nel campo delle arti visive, come Achille Perilli o il gruppo Forma1.

Il volto più rilevante che questa scena musicale

può vantare è tuttavia Franco Evangelisti.

Studente di composizione a Roma, sotto la guida di

Daniele Paris, frequenta i corsi estivi di Darmstadt,

dove entra in contatto con il fisico Werner Meyer-

Eppler, affascinato dal concetto di alea nella

musica e dall’universo dell’elettronica.

“La cosiddetta forma momentanea, o

aleatoria, o mobile, o aperta, è quel

particolare tipo di forma musicale, che si è

sviluppata in questi ultimi anni, e che si

oppone con la sua speciale maniera di essere

del tutto, o in parte, “indeterminata”, allo

sviluppo della musica seriale, totalmente

determinata […]”10.

9 A. Lanza, Il secondo Novecento, vol. 12, p.135, 1991.

10 F. Evangelisti, Dalla forma momentanea ai gruppi di improvvisazione, in programma-dépliant dei concerti della

Biennale Musica, Venezia 1969; anche in Di Franco Evangelisti cit., p. 122.

Figura 1.4 Franco Evangelisti prepara il pianoforte per

un'esibizione del GINC.

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Evangelisti mostra ben presto

una certa insofferenza nei

riguardi del serialismo integrale,

trova nella premeditazione un

limite da superare, attraverso la

sperimentazione,

l’improvvisazione.

Nel ’60 fonda, insieme ai

colleghi Aldo Clementi e

Francesco Pennisi,

l’Associazione Nuova

Consonanza, con l’intento di

diffondere la musica

contemporanea a Roma e in Italia

e, a quattro anni di distanza,

forma il Gruppo di

Improvvisazione Nuova

Consonanza (GINC).

La formazione del GINC è

composta esclusivamente da compositori-interpreti, accomunati dall’intento di sperimentare

attraverso l’improvvisazione libera nuove sonorità. Di questo gruppo fa parte per un buon periodo il

compositore Ennio Morricone, che in un’intervista11 ricorda che “La musica che facevamo era

improvvisata a partire da esercizi mirati: facevamo mesi e mesi di improvvisazione su parametri

molto precisi, ci registravamo, la sera ci riascoltavamo e ci criticavamo. Era una cosa molto

attenta”.

Il GINC si esibisce per la prima volta a Roma nel 1965 durante il III Festival di Nuova Consonanza,

con un assetto che vede Franco Evangelisti, gli americani Larry Austin, John Heineman e John

Eaton ed il tedesco Roland Kayn agli strumenti elettronici. Nelle note di programma12, Evangelisti

dichiara che “[…] Il compositore Larry Austin mi portava a conoscenza di un gruppo di esecutori-

compositori che operavano in questo senso da me auspicato fin dal 1963: il “New Music

Ensemble”. Questo gruppo, che opera in California, si può considerare il primo esistente nel

11 V. Mattioli, Roma 60. Viaggio alle radici dell'underground italiano. Parte seconda, Blow Up, Tuttle Edizioni, 2014.

12 F. Evangelisti, Presentazione del Gruppo Internazionale di Improvvisazione Nuova Consonanza, in programma-

dépliant del III Festival di Nuova Consonanza, Roma 1965.

Figura 1.5 "the feed-back" del 1970, album in cui il GINC sonda i terreni della

cultura Pop psichedelica di quegli anni.

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sistema occidentale che lavori su schemi veramente attuali. Per la formazione di questo gruppo

“Nuova Consonanza”, il primo del genere in Europa, la presenza di Austin è stata determinante,

così altrettanto valida la cooperazione di tutti i colleghi che ne fanno parte”.

Le successive performances del GINC sono sempre più caratterizzate dall’utilizzo di strumenti

tradizionali, fatta eccezione per una breve parentesi “pop” del gruppo, che nel ’70 cambia nome in

“The Feedback”, pubblicando un omonimo album dalle sonorità rock e psichedeliche, ottenute

grazie all’utilizzo della chitarra elettrica e ricorrendo a ritmi definiti e ossessivi.

Il GINC è stato ispiratore per altre formazioni nate in Italia in quegli anni, tra le quali spiccano i

MEV (Musica Elettronica Viva), gruppo che fonde sonorità acustiche ed elettroniche, modulando

suoni reali attraverso l’utilizzo del sintetizzatore Moog. Nel ’67 i MEV prendono parte a un

concerto, accanto a John Cage, nel quale eseguono la composizione del musicista americano “Solo

for Voice 2”, modulando la voce di Carol Plantamura con il Moog.

Parallelamente, la musica estemporanea

inglese negli anni ’60 e ’70, vede nel

chitarrista Keith Rowe un’enorme fonte

d’ispirazione. Rowe inizia la sua carriera in

alcune formazioni di musica jazz, ma presto

si allontana dalla forma per ricercare un suo

linguaggio personale, influenzato dalla

passione per le arti visive e dall’estetica di

Jackson Pollock.

Nel ’65 fonda gli AMM, una formazione in

cui gli elementi, provenienti dalla scena jazz,

improvvisano assieme in maniera libera:

“Ciascun musicista rappresenterebbe un'attività autonoma che si sovrappone alle altre generando

una struttura cumulativa”13. L’ensemble incide nel 1966 “AMMMusic”, un disco d’improvvisazione

libera, dalle sonorità elettroacustiche (nell’organico della band sono inserite tre radio FM a

transistor), più vicino ai lavori di LaMonte Young che al free jazz di Ornette Coleman. Gli AMM e

Keith Rowe sono stati fondamentali nella nascita della musica psichedelica inglese, il leader

fondatore dei Pink Floyd, Syd Barrett, ha più volte dimostrato di ispirarsi a Rowe nella sua tecnica

chitarristica.

13 AMM, AMMMusic 1966: Le recensioni di Ondarock, 2010.

Figura 1.6 Keith Rowe e la sua chitarra elettrica in laboratorio.

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Nel “Nuovo Mondo”, intanto, si

respira un’aria fresca, non

gravata dal peso della tradizione,

come invece accade da secoli nel

nostro continente.

Ciò permette a menti brillanti di

aprirsi alla sperimentazione

senza preconcetti, liberando la

creatività e il genio.

La musica contemporanea deve,

a mio avviso, gran parte della sua

evoluzione all’americano John

Cage, che con le sue idee rivoluzionarie ha stravolto il ruolo del compositore, rimuovendo la scelta

dal processo creativo. Dopo un primo periodo nel quale il compositore sperimenta l’utilizzo di

formule e proporzioni matematiche, oltre la “preparazione” del pianoforte e l’inserimento

nell’organico strumentale di vari oggetti d’uso comune, Cage inizia a interessarsi al concetto

d’indeterminazione nella musica, a causa anche del suo avvicinamento alla filosofia Zen.

Dalla seconda metà degli anni ’40, compone diversi lavori utilizzando la tecnica divinatoria dell’I

Ching abbinata ad un sistema di combinazioni numeriche assegnate ai vari parametri del suono.

Eliminando la centralità del compositore all’interno dell’opera, egli distrugge l’idea europea di

musica, e questo è possibile grazie alla sua nazionalità americana, che lo svincola dal peso della

tradizione colta.

Negli anni ’50, pioniere degli Happening, Cage si concentra sulla multimedialità, realizzando dei

veri e propri “eventi” in cui lo spettatore diventa parte attiva della performance, tessendo un forte

legame tra arte e vita. “Musicircus” del ’67 vede sul palco varie formazioni che si sovrappongono

eseguendo musiche provenienti da diversi repertori; la scelta del momento in cui ogni gruppo deve

suonare avviene tramite procedure casuali. “HPSCHD” del 1969 è un lavoro multimediale dalla

durata di circa cinque ore, in cui si uniscono sette clavicembali che eseguono degli estratti

"sorteggiati" di repertorio classico e composizioni di Cage, cinquantadue cassette di segnali generati

da calcolatori, sessantaquattro proiettori ciascuno contenente cento diapositive, quaranta pellicole.

Durante la performance, il pubblico è libero di attraversare l'auditorium, entrare ed uscire. In questo

modo l’interesse singolo e centrale sull’opera è eliminato, per fornire al fruitore una vasta gamma di

elementi.

Figura 1.7 John Cage in veste di concorrente nello show televisivo italiano

"Lascia o Raddoppia", insieme al conduttore Mike Bongiorno.

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Nel ’65, il compositore Alvin

Lucier realizza la performance

“Music for Solo Performer”, nella

quale mette in risonanza alcune

percussioni attraverso dei

diffusori, che amplificano le onde

alfa emesse dal suo cervello

durante uno stato meditativo,

catturate in tempo reale mediante

l’utilizzo di elettrodi.

Nello stesso anno, la compositrice

Pauline Oliveros progetta e crea

l’Expanded Instrument System, un

sistema per l’elaborazione (in

principio analogica, in seguito anche digitale) del segnale del suo accordion in tempo reale, che

utilizza in esibizioni dal vivo dal carattere puramente improvvisativo.

Pauline Oliveros s’interessa in questi

anni alle modalità di miglioramento

del processo di attenzione applicato

all’ascolto musicale, conducendo

importanti studi presso l’Università

della California a San Diego. La sua

propensione all’improvvisazione è

evidente anche nei suoi lavori su

supporto, come “A Little Noise in the

System” del ’66, un unico flusso

estemporaneo eseguito al sintetizzatore

Moog, senza effettuare montaggio del

nastro. Al contrario il compositore di

Los Angeles Morton Subotnick,

preferisce selezionare il materiale registrato nel corso d’improvvisazioni, per eseguirne un

montaggio, come nel caso di “Silver Apples of the Moon” del ’67.

Figura 1.9 Pauline Oliveros ed il suo accordion.

Figura 1.8 Alvin Lucier durante l'esecuzione di "Music for solo performer".

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Il panorama colto del ventennio compreso tra

la fine degli anni ’50 e quella degli anni ’70,

viaggia su un percorso simultaneo a quello

tracciato dalle correnti “pop” tutt’altro che

parallelo.

Le due strade s’incontrano, a volte coincidono

e si confondono tra loro. Mentre i Beatles,

omaggiando Stockhausen ed il suo “Gesang

der Jünglinge im Feuerofen”, compongono

esperimenti come “Revolution 9” del ’68, i loro

dischi vengono riprodotti ed ascoltati dai

giovani compositori che frequentano i

Ferienkurse di Darmstadt14.

Le nuove scoperte in campo tecnologico permettono l’utilizzo dello studio di registrazione come un

vero e proprio strumento musicale, di supporto alla composizione. Chi può permetterselo, acquista i

nuovi sintetizzatori e li integra nel sound della band.

I Pink Floyd sono tra i primi a inserire suoni generati elettronicamente all’interno della loro musica

psichedelica, ancora fortemente improvvisativa in questi anni.

L’interesse nell’improvvisazione è vivo anche nel mondo rock, dando vita alle nuove correnti

progressive mondiali, come la scena di

Canterbury in Inghilterra,

caratterizzata da gruppi come i Soft

Machine, o il Krautrock tedesco dei

Tangerine Dream e dei Can, i quali

membri Holger Czukay ed Irmin

Schmidt sono allievi di Stockhausen.

In Italia, gruppi come gli Area di

Demetrio Stratos (per il quale Cage

compone un mesostico) fondono le

sonorità del jazz con la

sperimentazione elettronica, il tutto

unito alla strabiliante ricerca vocale compiuta dal cantante di origini greche. La Factory di Andy

Warhol a Manhattan ospita feste ed eventi in cui si confrontano artisti provenienti da diverse 14 R. Worby, Crackle goes pop: how Stockhausen seduced the Beatles, The Guardian, 26 Dic 2015.

Figura 1.10 Syd Barrett in concerto con i Pink Floyd.

Figura 1.11 Il cantante Demetrio Stratos.

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estrazioni, come il compositore e

polistrumentista John Cale e il

carismatico chitarrista e cantante

Lou Reed. L’uso di droghe

psichedeliche è senz’altro un

amplificatore percettivo per molti

artisti, che in questi anni

sperimentano lunghe parti

d’improvvisazione durante i loro

brani, alla ricerca di nuovi stati di

coscienza. Altri invece, come

Robert Fripp dei King Crimson,

sono mossi da una ricerca

spirituale; in questi anni esplode,

infatti, la curiosità del mondo

occidentale verso le culture

orientali.

Infine c’è chi, come Frank Zappa, è interessato ad ampliare gli orizzonti musicali e a muoversi

controcorrente, spaziando tra elementi di musica contemporanea, pop, rock, jazz ed elettronica,

uniti ad una notevole dose di irriverenza e critica sociale.

Zappa compone alcuni lavori più contemporanei ispirandosi a Edgar Varèse, il quale stima l’opera

del chitarrista italo-americano.

1.3. GLI ANNI ‘80

Sul finire degli anni ’70, la ricerca nel campo

delle nuove tecnologie applicate alla produzione

musicale permette finalmente l’utilizzo del

calcolatore in tempo reale, come assistente alla

composizione ed all’esecuzione in concerto. Nel

’77 la ditta Roland introduce sul mercato il

rivoluzionario MC-8 MicroComposer, un

sequencer dotato di microprocessore, in grado Figura 1.13 Roland MC-8 MicroComposer.

Figura 1.12 Frank Zappa dirige la Ensemble Modern durante la prima

esecuzione di "Yellow Shark", poche settimane prima della sua morte, nel

'93.

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di modulare in tempo reale diversi parametri del suono e, grazie a una memoria RAM di 16 KB,

permette di programmare sequenze contenenti un massimo di 5200 eventi, rispetto ai precedenti

step sequencer che hanno un limite da otto a sedici note. Esso permette inoltre un utilizzo

polifonico, poiché è possibile assegnare più controlli in voltaggio d’altezza a un singolo canale.

Gli studi compiuti da John Chowning sulla sintesi FM nel precedente ventennio permettono lo

sviluppo di strumenti come il sintetizzatore DX7 di casa Yamaha, che uniti allo sviluppo dei più

economici chips digitali e microprocessori, aprono le porte alla generazione di musica elettronica in

tempo reale. I suoni elettronici devono essere fluidi e cangianti, per rimanere “freschi” all'orecchio.

Nella computer-music questa caratteristica è soggetta a un alto costo di calcolo, in termini di

numero di elementi richiesti in partitura e di quantità di lavoro interpretativo che gli strumenti

devono svolgere per realizzare questi suoni particolari15. Il calcolatore permette diverse soluzioni,

catalogabili in tre macro-categorie; la prima fra tutte è la musica generata ed eseguita dal

calcolatore.

Questa tipologia di computer-music nasce in realtà ben prima degli anni ’80. Compositori come

Iannis Xenakis o Gottfried Michael Koenig (il quale collabora in studio con numerosi compositori

tra i quali Stockhausen, in brani come “Kontakte” o “Gesang der Jünglinge im Feuerofen”),

sperimentano l’utilizzo del calcolatore per la costruzione di strutture matematiche applicate alla

generazione di partiture, eseguite in un primo momento dall’uomo, in seguito dalla macchina stessa.

Nei primi anni ’80 nasce il

protocollo MIDI, acronimo di

Musical Instrument Digital

Interface,

ad opera di due progettisti della

Sequential Circuit, Dave Smith e

Chet Wood16.

Attraverso il MIDI diventa

possibile il collegamento fisico tra

vari dispositivi, la praticità, la

leggerezza dei file e l’economicità

dei costi di produzione lo rendono

15 D. Gareth Loy, C. Roads, ed. The Music Machine: Selected Readings from Computer Music Journal. MIT Press,

p. 344, 1992.

16 D. Smith, C. Wood, The complete SCI MIDI, 1981.

Figura 1.14 Dave Smith, "padre" del protocollo MIDI.

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tutt’ora uno standard molto diffuso nelle produzioni musicali di qualsiasi livello. Nel 1983 le

specifiche MIDI raggiungono il massimo livello, quindi sono presentate alla famosa fiera di Los

Angeles NAMM (National Association of Music Merchants), ottenendo un’immediata popolarità

che causa una momentanea divisione all’interno del comitato fondatore. Nel 1985 le divergenze si

risolvono, grazie all’IMA (International MIDI Association), che pubblica la versione 1.0 del

protocollo trasformandolo in uno standard. Il primo sintetizzatore dotato d’interfaccia MIDI è il

PROPHET 600 della SCI, anche se la versione definitiva del protocollo MIDI è implementata per la

prima volta dal DX7 Yamaha. Grazie a questo nuovo protocollo, diversi compositori lavorano alla

realizzazione di programmi che mappano gli eventi MIDI attraverso algoritmi, generando suoni

eseguibili attraverso una scheda audio. In questi anni è molto diffuso l’utilizzo di algoritmi basati

sulla geometria frattale. Nel corso degli anni nascono diversi programmi per la generazione di

melodie basate su un’enorme banca dati di frasi, utilizzati soprattutto per scopi didattici, quali

Band-in-a-Box o Impro-Visor.

Un’altra corrente musicale nata con il

calcolatore è la composizione algoritmica

assistita.

Diversi compositori legati all’ambito

della composizione algoritmica trovano

nel calcolatore un valido assistente, in

grado di compiere calcoli notevolmente

complessi in breve tempo. Partendo da

prime ricerche sulla sintesi vocale, Max

Mathews elabora il primo prototipo di

MUSIC nel ’57 17 , all’interno dei

laboratori Bell di Murray Hill, nel New

Jersey.

Dopo anni di progressi, si giunge alla prima “popolare” versione del software, MUSIC 4. James

Tenney ottiene una borsa di studio come ricercatore, il suo compito è realizzare brani elettroacustici

per verificare le prestazioni del software di Mathews. In questi anni, dopo primi esperimenti in cui

utilizza MUSIC come un sintetizzatore per la creazione di suoni nodali, Tenney è interessato al

controllo di strutture generate da fattori casuali, quindi all’automazione di processi di montaggio

mediante fogli di calcolo digitali. 17 P. Manning, Computer and Electronic Music, Oxford University Press, 1993.

Figura 1.15 Max Mathews lavora alla creazione di MUSIC, presso i

laboratori Bell.

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Questo suo atteggiamento informale lo discosta dalla computer-music, prettamente algoritmica e

deterministica. All’interno dei laboratori Bell anche il compositore francese Jean Claude Risset

sperimenta l’utilizzo di MUSIC, interessato però alla riproduzione di suoni reali mediante tecniche

di sintesi. Essendo allievo di André Jolivet, Risset è in parte legato alla musica strumentale e alla

tradizionale scrittura su pentagramma. In questi anni c’è una forte reazione conservatrice in Francia,

emergono notevoli idiosincrasie tra la serialità e l’improvvisazione, problemi che, in una terra

“libera” come l’America, non trovano terreno fertile. In questo clima di libertà, Curtis Roads

elabora per primo l’utilizzo della sintesi granulare nel dominio digitale. Egli lavora su un linguaggio

basato su tre “dimensioni”, il punto, la linea e la nuvola. Il punto corrisponde a un singolo “grano”,

un evento isolato, la linea è formata dalla successione ravvicinata di più grani, mentre la nuvola è

un insieme caotico di grani che produce masse sonore mutevoli e fluttuanti.

L’ultima tra le tre macro-categorie menzionate è caratterizzata dall’improvvisazione del calcolatore.

In questo caso, la macchina si serve di algoritmi per creare un’improvvisazione su materiale

musicale esistente. Ciò è possibile attraverso una raffinata ricombinazione di frasi musicali estratte

da musiche esistenti, eseguite in tempo reale o pre-registrate. Per rendere credibile

l’improvvisazione, il calcolatore “apprende” algoritmi di analisi del materiale inserito, restituendo

nuove variazioni in “stile”. Questo processo differisce dalla composizione algoritmica, nella quale

manca l’aspetto dell’analisi del materiale musicale. Tale analisi è di tipo statistico, serve a

individuare ridondanze di frasi contenute nella banca dati. Una delle più note implementazioni di

questo tipo è OMax, un ambiente di programmazione sviluppato all’IRCAM di Parigi, che combina

l’utilizzo di OpenMusic e Max/MSP. Pietro

Grossi, pioniere della musica elettronica italiana,

primo tra l’altro a ottenerne la cattedra, nel 1980

inizia a utilizzare il sistema di sintesi del suono

IRMUS, progettato dall’Istituto di Ricerca sulle

Onde Elettromagnetiche del CNR di Firenze,

reduce dalla precedente esperienza del ’78 con le

apparecchiature del CNUCE (Centro Nazionale

Universitario di Calcolo Elettronico) di Pisa, con

le quali sperimenta il suo primo “…tentativo di far

suonare il calcolatore a tempo indeterminato e con procedure completamente automatiche”18.

18 P. Grossi, Intervista televisiva per il 41° Maggio Musicale Fiorentino, Firenze, 1978.

Figura 1.16 Pietro Grossi e Sergio Maltagliati.

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1.4. DAGLI ANNI ’90 AD OGGI

Nel corso degli anni ’90, l’informatica entra a far

parte della vita quotidianità di ognuno e Internet

cambia per sempre la vita dell’uomo. Il mondo è

avvolto in una grande rete che mette in

comunicazione i popoli lontani, miscela le culture

e nutre di nuova linfa vitale la creatività e

l’ingegno. I computer diventano sempre più

piccoli, fino a divenire veri e propri oggetti di

design, da inserire nell’arredamento di casa.

L’incontrollabile flusso d’informazioni

proveniente da quello schermo permette di creare

musica nella propria stanza, importando nel

computer suoni campionati ed elettronici

provenienti dalla rete. Se, fino a poco tempo prima,

il nastro permetteva alle giovani band di effettuare delle semplici registrazioni in presa diretta, il

digitale permette di montare e rimontare il materiale a proprio piacimento. È l’era del DJ, il Disk

Jockey che muove le masse di giovani nelle

discoteche, in principio miscelando tra loro

brani su vinile, in seguito suonando in tempo

reale mediante l’utilizzo di molteplici

apparecchi. Il decennio dei ’90 si potrebbe

riassumere nella parola “Mix”: Internet è un

enorme frullatore nel quale tutto si miscela, la

musica colta si fonde con la cultura “pop”, ai

concerti si affiancano le performance, nelle

quali gli artisti mescolano più media, musica,

pittura, scultura e video-arte.

In questo calderone si ritrovano correnti

musicali molto diverse tra loro, caratterizzate da

un utilizzo molto vario delle tecnologie.

Figura 1.17 Uno dei primi Personal Computer Macintosh.

Figura 1.18 Due consolle da DJ a confronto, una

analogica anni '70 ed una digitale anni '90.

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Il newyorkese Tod Machover, giunto a

Parigi nell’autunno del 1978, entra a far

parte dell’IRCAM, calorosamente

invitato da Pierre Boulez che lo vuole

come compositore in sede.

Dopo i primi anni trascorsi a

sperimentare il sintetizzatore digitale 4X

dell’italiano Giuseppe di Giugno

(considerato la prima stazione di lavoro

musicale interamente digitale per la

sintesi e l'analisi del suono digitale in

tempo reale), Machover alimenta il

desiderio di espandere la performance dell’esecutore, elaborando così il primo concetto di Iper-

strumento nel 1986. Trasferitosi al MIT (Massachussetts Insitute of Technology) come docente,

studia diversi modi di espandere le potenzialità esecutive di strumenti tradizionali, applicando

sensori di varia natura. Il sistema processa il suono proveniente dallo strumento in differenti modi,

secondo i gesti dell’esecutore. Machover è interessato inoltre a un fine didattico: i suoi iper-

strumenti possono aiutare le giovani leve di musicisti nel loro percorso di apprendimento.

Sempre a un americano si deve la “scoperta” del Circuit Bending.

Con il termine Circuit Bending

s’intende la manipolazione

creativa di circuiti provenienti da

varie apparecchiature elettroniche

a basso voltaggio, come pedali

per chitarra, giocattoli per

bambini e piccoli sintetizzatori

digitali. Modifiche di questo tipo,

talvolta casuali, enfatizzano la

spontaneità e l’indeterminabilità

dei suoni generati, tanto da

associare questa tecnica alla

Noise music. La paternità di tale

invenzione è generalmente

attribuita a Reed Ghazala.

Figura 1.19 Tod Machover e il suo HyperCello.

Figura 1.20 Reed Ghazala mentre sperimenta in studio.

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Negli anni ’60 si accorge per caso

che un giocattolo a transistor,

venuto a contatto con oggetti

metallici, produce suoni “strani”.

Da allora Ghazala dedica la sua

vita alla produzione di nuovi

strumenti musicali di questo tipo.

Tra le varie forme d’arte nate in

questo decennio, meritano inoltre

particolare attenzione le

installazioni multimediali.

Tramite l’utilizzo di sensori o di

circuiti programmati, prendono

vita performances di varia natura

nelle quali è spesso protagonista il

fruitore, che interagisce in maniera più o meno significativa con l’installazione. Spesso si tratta di

opere multimediali, dove la presenza simultanea e l’interazione fra vari media, coinvolge il

pubblico per la vasta gamma d’informazioni che esso riceve, sebbene in molti preferiscano adottare

il termine multimodale, che sposta l’attenzione sui modi di fruizione piuttosto che sul media di

provenienza.

Installazioni di prestigio sono regolarmente presentate nel corso d’importanti manifestazioni presso

mostre quali la Biennale di Venezia o la Tate Modern di Londra.

Tornando in ambiti prevalentemente

musicali, è doveroso citare la

corrente Laptronica. La parola Laptronica è un

portmanteau prodotto dalla fusione

di Laptop ed Elettronica, indica

quindi la categoria di musica

prodotta più o meno in tempo reale

tramite l’utilizzo del laptop

(computer portatile). In questa

categoria rientrano differenti generi

di musica elettronica, dal Live Set

Figura 1.21 "Acqua Ferita", un'installazione dell'iracheno Azad Nanakeli,

presentata nel 2011 alla Biennale di Venezia.

Figura 1.22 Un'esibizione dei jazzisti Carl Craig, Francesco Tristano &

Moritz von Oswald.

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dei DJ e produttori di musica “dance”, alle nuove sperimentazioni Nu Jazz, nelle quali

l’improvvisazione di tipo jazzistico si combina con l’utilizzo di sintetizzatori e portatili per

l’elaborazione in tempo reale del segnale proveniente dai vari strumenti presenti sul palco.

Tra i vari artisti che si cimentano in questo genere di musica, spicca il norvegese Bugge Wesseltoft,

che dagli anni ’90, dopo una prima fase più tradizionale, vira su sonorità elettroniche contaminate

dalla cultura pop.

Nella “Terra di Mezzo” che

separa le installazioni dalla

Laptop Music, possiamo

trovare il Live Coding.

Conosciuta anche come

“programmazione

interattiva”, la tecnica del

Live Coding consiste nella

compilazione del software in

tempo reale, durante la

performance. La maggior

parte degli ambienti di

programmazione dedicati alla

musica è costituita da

“semplici” compilatori, nati per i primi computer, aventi ridotte possibilità di calcolo. Questo

genere di approccio è in realtà molto complesso per chi non conosce il linguaggio di

programmazione, perciò alcuni software integrano gradualmente alcuni controlli in tempo reale, ad

esempio utilizzando il protocollo MIDI.

Tra gli artisti di maggior rilievo in questo genere spicca Ryoji Ikeda. Compositore eccentrico e

poliedrico, nelle sue performance unisce principalmente suoni provenienti da apparecchiature

digitali a proiezioni di visual concettuali.

In “Test Pattern” del 2008 utilizza un software da lui compilato per elaborare diverse tipologie di

files, dai quali estrapola dati per la generazione di suoni “puri” (sinusoidi e rumore bianco) o di

visual composti esclusivamente da codici a barre.

Figura 1.23 Royji Ikeda esegue il suo Test Pattern dal vivo.

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2. REALIZZAZIONE DELLA PERFORMANCE

2.1. LIVE ELECTRONICS ED IMPROVVISAZIONE

Come naturale conclusione di un lavoro di ricerca, il musicista avverte la necessità di mettere in

pratica il suo studio, al fine di arricchire il proprio linguaggio.

Tale conclusione coincide con quella del mio percorso di studi in Conservatorio, grazie al quale ho

potuto apprendere tecniche di elaborazione e di spazializzazione del segnale audio, le quali fanno

ormai parte del mio linguaggio musicale.

Coltivo da molti anni un interesse particolare per la musica di tipo improvvisativo, sia per aspetti

musicali, sia per altri più “spirituali”.

Da sempre mi affascinano le musiche provenienti da culture extraeuropee, per via della sensazione

di libertà che si respira ascoltandole. In effetti, tali musiche sono spesso legate alla vita spirituale

dell’uomo durante le più varie celebrazioni. Nell’Europa centrale invece, l’attenzione si è sin da

subito rivolta sul ruolo centrale del compositore/genio, che padroneggia le regole del sistema

matematico-musicale al fine di comporre meravigliose opere, per divenire “immortale”.

Nel caso delle musiche tradizionali

orientali, africane, ma anche del sud

dell’Europa, spesso si ricerca, attraverso

ritmi ossessivi o lunghe improvvisazioni

modali, uno stato di trance, nel quale tutto

si fonde assieme, portando il musicista in

una condizione di “immortalità”. Tale

condizione, diversa dalla precedente

poiché basata sull’annullamento del

proprio ego, si sperimenta nell’attimo

presente, e non in un secondo momento

attraverso la memoria dei successori.

Questo punto di vista, trasforma l’idea di musica, ampliandola da una forma d’arte a un vero e

proprio linguaggio, mediante il quale poterci rapportare con le più differenti culture senza

impedimenti linguistici.

Inoltre, improvvisare impone di rivolgere l’attenzione verso l’interno, obbligandoci a guardare

dentro noi stessi impariamo a conoscerci meglio.

Figura 2.1 La Taranta in Puglia è una musica popolare dal forte

carattere improvvisativo, capace di condurre chi la balla ad uno

stato di trance.

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Questa mia passione per l’improvvisazione è stata

nutrita di nuovi stimoli quando ha incontrato il

live electronics, quindi negli ultimi anni di studio

ho sperimentato la creazione di ambienti esecutivi

in MAX, che ampliassero la gamma timbrico-

espressiva dei miei strumenti acustici.

La ricerca timbrica è il trait d’union fra il mio

percorso e quello del collega e amico Yuri

Dimitrov, il quale ha concentrato i suoi studi sui

sintetizzatori, in particolar modo su quelli di

concezione modulare, collezionando nel tempo

alcuni moduli analogici moderni. Il suo intento

era processare in tempo reale il segnale

proveniente dai moduli e spazializzare il suono, utilizzando MAX come un modulo della sua

strumentazione.

Durante un periodo di studio è necessario suonare ed esercitarsi da soli, lo scontro con noi stessi ci

conduce a una crescita, la quale in seguito va esperita con qualcuno, poiché il dialogo favorisce un

nuovo sviluppo per il musicista. La ricerca di un collega musicista, con cui sperimentare il mio

setup, si è subito sposata con il progetto di Yuri, considerando la mia strumentazione come un

ulteriore modulo assemblabile alla sua performance.

La nostra indagine, rivolta alla ricerca di un dialogo fra timbri, genealogicamente distanti, procede

parallelamente su tre livelli: morfologico, semantico e spaziale. I timbri prodotti dagli strumenti

acustici, elaborati in tempo reale, emulano quelli sintetici generati dagli oscillatori analogici e

digitali. Allo stesso tempo, attraverso varie tecniche di sintesi e la manipolazione dell’inviluppo

d’ampiezza, il suono dei sintetizzatori è modellato su imitazione dei suoni acustici. A livello

semantico interviene la pratica manuale degli interpreti, la gestualità è da considerarsi un valore

aggiunto poiché, derivando dalla pratica strumentale, pone l’attenzione sul dialogo tra i musicisti e

quello tra loro e lo strumento. L’utilizzo di un sistema di diffusione ottofonico offre, infine, la

possibilità di allargare il campo d’indagine, donando ai suoni una posizione nello spazio e la

capacità di movimento.

Figura 2.2 Luigi Archetti ed Ernst Thoma eseguono la

performance TRANSELEC, durante il Pod’Ring Festival

di Bienna del 2003

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2.2. ESTETICA DELLA PERFORMANCE: ISPIRAZIONI E STESURA

FORMALE

Per decidere la direzione da percorrere, da un punto di vista estetico, è stato necessario fare una

cernita di tutte le fonti d’ispirazione che hanno mosso i nostri studi individuali, ascoltando

registrazioni di repertorio e ricercando numerose interviste.

Ci ha subito colpito un’altra intervista rilasciata da Ennio Morricone19 (oltre quella già citata a pag.

12), nella quale il compositore, parlando di alcuni esercizi svolti dal GINC durante le prove, li

descrive come “esercizi che facevamo su un parametro unico. Esempio: gioco delle coppie;

risposta positiva all’intervento di un esecutore (vuol dire che a un mio intervento, rispondeva

l’intervento di un altro); oppure: risposta negativa (l’altro non rispondeva, o meglio rispondeva

con un altro linguaggio). E così via”.

Abbiamo deciso quindi di applicare strategie simili a quelle utilizzate dal gruppo di Evangelisti,

nelle varie fasi di stesura della performance.

Per la scelta della strumentazione abbiamo riascoltato e selezionato materiali registrati nel corso di

lunghe sessioni d’improvvisazione, come descritto nel paragrafo seguente.

Una volta selezionati i materiali migliori, il passaggio successivo è stato quello di costruire singoli

momenti musicali, da noi nominati “scene”, ciascuno incentrato su un particolare dialogo fra gli

strumenti acustici ed elettronici, talvolta a livello timbrico, talvolta ricercato nell’inviluppo

d’ampiezza.

Le tipologie di dialogo scelte sono tre: imitazione, contrasto e contrappunto; i processi d’imitazione

e contrasto, inoltre, possono avvenire per accumulazione o per rarefazione.

In un dialogo di tipo imitativo, gli strumenti emulano reciprocamente l’inviluppo d’ampiezza, la

fusione tra i timbri crea tessiture di suoni lunghi piuttosto che nuvole di eventi puntuali.

In un momento di contrasto invece, le risposte tra gli strumenti divergono per linguaggio musicale e

caratteristiche dell’inviluppo d’ampiezza.

Nel dialogo per contrappunto, nonostante le similitudini nell’inviluppo dei suoni, le voci

mantengono un alto grado d’indipendenza.

La scelta di strutturare la perfomance concentrandoci su brevi sezioni trova ispirazione negli studi

sulla Moment Form compiuti da Karlheinz Stockhausen (citati a pag. 10).

Come avviene per alcuni brani di Stockhausen, l’intento iniziale era quello di poter scegliere in

maniera estemporanea la successione temporale degli eventi.

19 V. Mattioli, Superonda: la storia segreta della musica italiana, Baldini&Castoldi, 2016.

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Tuttavia, in un secondo momento abbiamo preferito definire l’ordine delle scene, in modo da

costruire una forma che procede in maniera quasi simmetrica dagli estremi verso il centro.

Tale decisione è stata dettata anche da un’esigenza temporale, dovendo eseguire la performance

durante la discussione della tesi in Conservatorio in un tempo limitato. Per la prima esecuzione

quindi, la durata totale sarà di circa dieci minuti, suddivisi in cinque scene della durata di circa due

minuti ciascuna. Nei paragrafi 2.3 e 2.4 saranno descritte le caratteristiche interne di ogni scena, con

rimandi agli esempi audio contenuti nel CD in allegato alla tesi.

Come anticipato, le scene sono disposte in maniera speculare; la terza scena funge da specchio

deformante di quanto avviene nei precedenti momenti, ripresentando le tipologie di dialogo

ascoltate in precedenza ma in direzione opposta:

• SCENA I: dialogo per imitazione, diretto verso l’accumulazione: suoni lunghi e

riverberati creano una stratificazione sempre più fitta;

• SCENA II: dialogo per contrasto, diretto verso la rarefazione: suoni brevi e impulsivi

formano nuvole di grani che lentamente si sfaldano perdendo l’attacco in favore di un tempo

di decadimento più lungo;

• SCENA III: dialogo per contrappunto: suoni sintetici e acustici dal carattere percussivo

procedono su linee indipendenti, con intersezioni rapide e irregolari;

• SCENA IV: dialogo per contrasto, diretto verso l’accumulazione: suoni lunghi emergono

da uno sfondo granulare sempre più fitto;

• SCENA V: dialogo per imitazione, diretto verso la rarefazione: suoni brevi caratterizzati

da veloci modulazioni in ampiezza e in frequenza si alternano in maniera sempre più

diradata, dissolvendosi gradualmente.

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La tecnica esecutiva degli strumenti acustici è incentrata sull’utilizzo di metodi di produzione

sonora non convenzionali, atti a ricercare sonorità collaterali caratterizzate dalla fisionomia degli

strumenti stessi. Questa metodologia, ampliamente impiegata dal GINC, consente di ampliare

notevolmente la gamma timbrica degli strumenti, soprattutto utilizzando vari oggetti (ad esempio

corde, chiodi, bacchette…) per sollecitare lo strumento.

Per quanto riguarda la spazializzazione dei suoni, abbiamo tratto ancora una volta ispirazione da

Stockhausen; la scelta di utilizzare un sistema di diffusione multicanale riduce in maniera

considerevole di fatto ogni possibile situazione di staticità (come descritto a pag. 36), permettendo

una migliore comprensione dei dettagli nelle singole voci provenienti dal DSP, distribuite nello

spazio d'ascolto.

Lo spostamento dei suoni è regolato da un sistema di feature extraction20: i dati estrapolati dallo

spettro e dall’inviluppo d’ampiezza dei suoni controllano la direzione degli stessi attorno

all’ascoltatore. In questo modo la spazializzazione segue i gesti dei musicisti, trasformandoli in

movimento.

20 https://en.wikipedia.org/wiki/Feature_extraction

Figura 2.3 Schema formale della performance. Sullo sfondo, spettro di un’esecuzione di prova.

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2.3. ESECUZIONE E STRUMENTAZIONE ADOPERATA

La realizzazione di questa performance ha richiesto una fase preliminare di progettazione (durata

circa un anno), durante la quale abbiamo effettuato molti campionamenti dei nostri strumenti.

Abbiamo preso ad esempio il metodo di lavoro del GINC di Evangelisti 21 , riascoltando

meticolosamente le registrazioni, appena terminata una sessione improvvisativa.

La scelta di strumenti di piccole dimensioni, unita alla ripresa microfonica, ha subito permesso

l’utilizzo di una vasta gamma timbrica, ulteriormente ampliata dalle notevoli potenzialità dei

sintetizzatori utilizzati nella prima fase di sperimentazione.

In questa fase d’ascolto, sono emersi i timbri e i momenti musicali più interessanti, caratterizzati da

un forte dialogo tra i suoni. Abbiamo quindi selezionato gli strumenti definitivi, per ottimizzare i

gesti esecutivi, i calcoli delle macchine e gli spazi d’esecuzione.

Il mio setup è costituito da

strumenti acustici quali un

glockenspiel, un’armonica

cromatica, percussioni africane

in legno e in metallo e un ukulele

hawaiiano.

Con l’utilizzo di un microfono

cardioide a condensatore e un

microfono a contatto, il suono

degli strumenti acustici è

catturato e inviato a MAX,

quindi elaborato in tempo reale e

infine diffuso.

Ciascuno strumento rientra in una diversa categoria della classificazione Hornbostel-Sachs22, il più

diffuso metodo di classificazione degli strumenti che, presentato nel 1914, comprende quattro

“famiglie”: idiofoni, membranofoni, cordofoni ed aerofoni.

21 Descritto da Morricone e riportato da Valerio Mattioli nel libro “Roma 60 - Viaggio alle radici dell'underground

italiano - Parte seconda”.

22 La classificazione Hornbostel-Sachs è stata pubblicata per la prima volta nel 1914, all’interno della Zeitschrift für

Ethnologie. Successivamente, ne è stata pubblicata una traduzione in inglese dal Galpin Society Journal, nel 1961.

Figura 2.4 Il setup da me utilizzato durante la performance.

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31

Il Galpin Society Journal nel ‘37

include una quinta categoria, gli

elettrofoni, ovvero strumenti in grado

di generare un suono elettricamente.

Il mio collega utilizza due strumenti di

sintesi, ciascuno caratterizzato da una

differente concezione: il primo è un

sintetizzatore modulare analogico,

costituito da moduli di recente

concezione, il secondo un

sintetizzatore digitale virtual analog,

poiché la generazione del suono è

digitale e non con circuiti analogici.

Nonostante le differenti tecniche di sintesi utilizzate, ciò che rende distanti tra loro i due strumenti è

la presenza di una tastiera nel secondo, al contrario del modulare.

Ciò comporta un approccio gestuale e

musicale totalmente diverso, poiché nel primo

caso si è naturalmente portati ad indagare più

sul timbro che sulle altezze, lasciando che sia

lo strumento a “suonare”.

L’attenzione è quindi rivolta all’enorme

possibilità di cablaggio e quindi di

modulazioni. La presenza di una tastiera, nel

secondo caso, focalizza presto l’attenzione

sulla costruzione armonico-melodica,

riponendo nuovamente le redini nelle mani

del musicista.

Figura 2.6 Strumenti di sintesi impiegati nella performance.

Figura 2.5 Prima pagina dell'articolo di Hornbostel-Sachs del 1914 e

della traduzione inglese del 1961.

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2.4. LE SCENE

Il lavoro preliminare di ascolto, analisi e selezione, ci ha condotto alla realizzazione di brevi

momenti musicali, caratterizzati dall’utilizzo di pochi strumenti per volta, nominati “scene”.

In queste scene abbiamo cercato di sondare nel dettaglio il maggior numero di possibilità offerte

dall’interazione fra i nostri strumenti e l’ambiente esecutivo in MAX.

Questi momenti non sono caratterizzati da una partitura precisa, esiste tuttavia un’idea comune

riguardante la direzione da seguire, con ampi margini di libertà.

Le scene sono collegabili tra loro oppure fruibili individualmente, come piccole miniature musicali.

La modularità nella performance assume perciò un valore estetico importante, poiché caratterizza

non solo le forme musicali, mutevoli e permutabili, ma anche le scelte compiute all’interno della

singola scena e soprattutto l’intero impianto tecnico-informatico, dagli strumenti all’ambiente

esecutivo. Dopo una serie di prove, abbiamo focalizzato l’attenzione su cinque delle scene

realizzate. Ciascuna scena è incentrata sull’utilizzo di strumenti rappresentativi di una categoria

della classificazione Hornbostel-Sachs, in dialogo con gli elettrofoni, tranne la quinta, dedicata alla

voce umana. In allegato alla tesi è possibile ascoltare una dimostrazione delle cinque scene in

versione stereofonica, oltre ai suoni dei singoli strumenti con e senza elaborazione.

La prima scena (traccia 01 del cd in allegato) è

dedicata agli aerofoni, quindi agli strumenti in

grado di produrre suono attraverso la

generazione di colonne d’aria.

Per questo momento musicale, utilizzo

prevalentemente un’armonica a bocca

cromatica, strumento affascinante poiché tra i

pochi nella sua categoria a essere polifonico,

nonché l’unico ad essere in grado di emettere

suoni con ambedue le direzioni dell’aria,

ovvero sia soffiando che aspirando.

Il passaggio dell’aria all’interno dei fori,

provoca la vibrazione di piccole ance metalliche, disposte su due file parallele, in modo tale che

ogni foro sia in grado di produrre due note: la direzione dell’aria sollecita una o l’altra ancia.

Figura 2.7 Il modello di armonica cromatica, prodotto da

Hohner, utilizzato nella performance.

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Il timbro dell’armonica, processata da un harmonizer, crea una tessitura fluida e cangiante (traccia

06 del cd), nella quale s’innestano nuvole di grani sintetici e una lenta pulsazione ritmica, data da

un timbro simile a quello del

didgeridoo australiano (traccia 07),

ottenuto mediante sintesi sottrattiva.

La seconda scena, dedicata agli

strumenti idiofoni, ha come

protagonista il glockenspiel,

strumento tedesco a percussione nato

nel XVIII secolo, costituito da barre

metalliche rettangolari intonate e

disposte su due file, come la tastiera

di un pianoforte.

In questa scena, il dialogo con i

sintetizzatori, i quali attraverso

wavetables e filtri producono timbri

metallici (traccia 09), è inizialmente puntuale; gradualmente, decostruendo l’inviluppo d’ampiezza

dell’oscillatore e processando il glockenspiel con un pitch shifter e un granulatore (traccia 08), gli

interventi brevi e percussivi si sfaldano, creando tessiture fluide che ricordano quelle ottenute da

J.C.Risset nei suoi esperimenti di risintesi delle campane, contenuti nel “Catalogo introduttivo dei

Suoni Sintetizzati al Computer” del 1969.

Per la scena con i membranofoni,

abbiamo preso in esame i timbri di due

percussioni africane differenti nei

materiali di costruzione.

Il djembe è ricavato da un unico blocco di

legno duro, la pelle, di capra, è tesa da un

insieme di corde legate a due cerchi

metallici. La sua forma a calice consente

di ottenere una vasta gamma di suoni, dal

grave all’acuto.

La darabouka invece ha il corpo in

Figura 2.8 Glockenspiel Angel a 25 note.

Figura 2.9 Da sinistra, djembe ghanese e darabouka tunisina.

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metallo, la pelle in questo caso è tesa da due cerchi uniti da un sistema di tiranti.

Ciò rende il timbro di quest’ultima notevolmente più brillante di quello del suo parente in legno, pur

mantenendo una certa varietà di suoni, a causa delle similitudini nella forma.

Il DSP, in questo caso, racchiude i processi utilizzati nelle precedenti scene. Una serie di linee di

ritardo, con tempi molto brevi e feedback elevato, genera un filtraggio a “pettine” e una coda

intonata (traccia 10).

Il dialogo con i sintetizzatori, un generatore di forme d’onda casuali

con inviluppo percussivo e un modulo di cross-synthesis che emula

la coda di risonanza di una membrana (traccia 11), è rapido, frenetico

e in costante accumulazione.

Nella quarta scena, i cordofoni sono rappresentati dall’ukulele.

Strumento hawaiiano simile al cavaquinho portoghese, le sue piccole

dimensioni rendono molto brillante l’attacco del suono e rapido il

decadimento.

Dopo vari esperimenti ho deciso di microfonare lo strumento con un

microfono a contatto, posto a un centimetro dal ponte. La particolare

microfonazione enfatizza il suono delle corde, addolcendone

l’attacco. I processi in tempo reale sono affidati al granulatore, pitch

shifter e delay (traccia 12).

Attraverso la percussione, lo sfregamento di vari oggetti sulle corde,

l’ukulele crea delle nuvole di grani sullo sfondo, mentre in primo

piano c’è il sintetizzatore, il quale produce una forma d’onda che

ricorda quella di una grande corda sfregata da un archetto (traccia

13).

L’ultima scena vede come protagonista la voce, primo strumento utilizzato dall’uomo per

comunicare con la natura e i propri simili. La combinazione fra corde vocali, emissione dell’aria e

articolazione muscolare, la rende lo strumento più duttile che esista, in grado di produrre timbri

molto vari e distanti tra loro.

Nel corso dei secoli, l’utilizzo in musica della voce è mutato, per assecondare i gusti estetici delle

epoche e le esigenze tecniche (nella musica lirica, ad esempio, si utilizza una particolare

impostazione della voce che, attraverso il sostegno e l’azione del diaframma, permette alla voce di

emergere dal suono dell’orchestra).

Figura 2.10 Ukulele soprano.

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Nella musica occidentale si è gradualmente

formata una tecnica vocale che ha escluso, fino

al ‘900, una vasta gamma di timbri e sonorità

ottenibili mediante le cosiddette “tecniche

vocali estese” (Extended Vocal Tecniques),

accuratamente descritte da Deborah Kavasch nel

suo articolo An Introduction to Extended Vocal

Techniques: Some Compositional Aspects and

Performance Problems23. Con “Stimmung” del

1968, Stockhausen è il primo noto compositore

occidentale a riprendere tecniche di canto

armonico, molto diffuse ad esempio nelle regioni della Tuva siberiana e della Mongolia e, in forma

diversa, in altre parti del mondo (ad esempio nel canto a tenore della Sardegna). Attraverso una

modulazione della gola, della lingua e delle cavità orali, è possibile enfatizzare alcune formanti

dello spettro vocale, al fine di far emergere una componente

armonica ben distinta.

Trevor Wishart invece ha fatto dell’improvvisazione vocale al

microfono la sua peculiarità.

Registrando e selezionando materiale vocale nel corso di

lunghe improvvisazioni al microfono, Wishart processa i

suoni spesso attraverso l’utilizzo di convoluzioni spettrali e

sintesi incrociata.

Questi esempi sono stati fonte d’ispirazione per la

realizzazione di questo momento all’interno della

performance, dove la voce umana (traccia 14) dialoga con i

filtri a formanti dei sintetizzatori (traccia 15), giocando

talvolta su veloci contrappunti, talvolta su lunghe tessiture

cangianti.

23 D. Kavasch, An Introduction to Extended Vocal Techniques: Some Compositional Aspects and Performance

Problems , contenuto in Reports from the Center, vol. 1, n. 2, Center for Music Experiment, Università della California,

San Diego, 1980.

Figura 2.11 Nel canto a Tenore sardo, l'armonizzazione delle

quattro voci produce la risonanza di un'armonica comune,

creando l'illusione di una quinta voce.

Figura 2.12 Trevor Wishart.

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2.5. DIFFUSIONE MULTICANALE

In una conferenza tenuta a

Darmstadt nel ’5824, Stockhausen

parla già allora di come sia

diventato indispensabile per la

musica elettronica aggiungere il

parametro “spazio” all’interno delle

nuove composizioni, al fine di

rimuovere la staticità derivata da

un’eccessiva omogeneità nelle

manipolazioni del materiale sonoro

in tutte le sue proprietà (altezza,

intensità, timbro).

Inoltre l’utilizzo dello spazio

aumenta l’intellegibilità dei suoni, poiché distribuendo gruppi di eventi puntuali sovrapposti, è

possibile comprendere meglio le singole voci.

L’elemento spaziale all’interno del Live Electronics non ha, tuttavia, ancora trovato una forma di

notazione universale, probabilmente perché frequentemente è il compositore stesso a curare

direttamente la regia del suono, senza contare le problematiche introdotte dall’ambiente dove

avviene l’esecuzione, spesso in

contrasto, per via delle dimensioni, con

lo spazio virtuale del brano25.

È perciò necessario, secondo Francois

Bayle26, elaborare un’interpretazione che

sia utile a organizzare lo spazio acustico

secondo le caratteristiche della sala e lo

spazio psicologico secondo le

caratteristiche dell’opera. Il musicista

24 K. Stockhausen, Musik im Raum (Musica nello Spazio), 1958, tad. It. di D. Guaccero, in La Rassegna Musicale,

32(4), 1961.

25 A. Vidolin, Suonare lo Spazio Elettroacustico, CSC – Centro di Sonologia Computazionale dell’Università di

Padova, 2001.

26 F. Bayle, Musique acousmatique : propositions... positions, Buchet/Chastel, Parigi, 1993.

Figura 2.13 Stockhausen alle prese con il suo diffusore rotante, progettato

per Kontakte nel 1959.

Figura 2.14 François Bayle e il suo acusmonium al GRM di Parigi.

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alla consolle concepisce un’orchestrazione e un’interpretazione vivente, intervenendo sul timbro,

sulla dinamica e sul movimento dei suoni nello spazio.

È interessante notare come le diversità tra filosofia concreta e sintetica si riflettano anche

nell’utilizzo dello spazio. La musica concreta tende a sfruttare lo spazio acustico esecutivo come

elemento caratterizzante, al contrario, nella musica elettronica sintetica, il compositore progetta uno

spazio virtuale. Il primo caso vince sul secondo soprattutto per ragioni economiche e pratiche: per

godere dell’ascolto di uno spazio virtuale è necessario proiettare il suono in ambienti privi di

particolari caratteristiche acustiche, quindi vanno escluse le normali sale da concerto, i teatri e gli

auditorium. Inoltre progettare uno spazio virtuale richiede una certa competenza in merito alla

programmazione, della quale i compositori/musicisti non sempre sono in possesso.

“Suonare” lo spazio richiede una notevole capacità d’ascolto, il regista del suono è ormai una figura

importantissima e determinante per la riuscita di un concerto elettroacustico.

Per questo motivo sono nate diverse “scuole” interpretative, che studiano la disposizione dei

diffusori secondo il programma da eseguire, e i giusti routing dei segnali per riprodurre i movimenti

desiderati.

Tra molte, ho trovato interessante l’approccio strutturale utilizzato dalla compositrice belga Annette

Vande Gorne. Lei “compone” lo spazio intendendolo come un luogo d’intersezione di punti, linee e

piani. I movimenti diventano

parte della forma, e sono da lei

suddivisi in figure spaziali

(dissolvenza incrociata,

smascheramento,

accentuazione, scintillamento,

oscillazione, altalenare, onda,

rotazione, spirale e rimbalzo)27.

Volendo applicare questo tipo

di spazializzazione ai nostri

suoni, è sorta la problematica

di avere un regista del suono.

Seguendo lo spirito che ha

caratterizzato la progettazione

27 A. Vande Gorne, L’interprétation spatiale. Essai de formalisation méthodologique, rivista DEMéter, Università di

Lille, 2002.

Figura 2.15 La compositrice belga Annette Vande Gorne.

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del DSP, ho deciso di affidare la spazializzazione a un’analisi in tempo reale dello spettro dei suoni

in ingresso.

L’analisi estrapola in tempo reale tre dati, noiseness (quantità di rumore), brightness

(concentrazione di energia spettrale nelle zone acute) e loudness (intensità sonora), i quali, una

volta riscalati, sono assegnati rispettivamente all’angolazione, all’altezza e alla distanza della

sorgente rispetto ad un punto centrale della sala: l’inviluppo spettrale dei suoni disegna il loro

movimento nello spazio.

La disposizione degli altoparlanti può assumere diverse connotazioni, in base alle esigenze e alle

disponibilità del luogo, la patch è ricalibrabile al momento, inserendo il numero dei diffusori e la

loro collocazione su coordinate polari.

L’inviluppo d’ampiezza dei suoni caratterizza molto il loro movimento nel sistema di diffusione,

producendo interessanti figure di spazializzazione, ma anche qualche piccolo problema.

Il carattere percussivo di alcuni strumenti rischia di causare dei vuoti improvvisi, seppur brevi, che

disturbano il movimento.

Durante i corsi di “Percezione uditiva dello spazio” e di “Esecuzione ed interpretazione del

repertorio elettroacustico”, si è affrontato spesso questo tipo di problema e le sue possibili

soluzioni. Parlando di Luigi Nono, il maestro Marinoni ha spiegato come il compositore veneto

utilizzasse spesso aggiungere alla spazializzazione una “amplificazione trasparente”, ovvero una

lieve diffusione dell’uscita generale in ciascun diffusore, dopo aver calibrato il sistema con un

fuoco centrale nell’ambiente d’ascolto.

Il collega Dante Tanzi, profondo conoscitore delle tecniche di regia e diffusione del suono, mi

suggeriva l’utilizzo di un “rinforzo” generale su una coppia di diffusori frontali, poiché, in effetti, i

movimenti spaziali sono percepiti maggiormente dal fronte anteriore rispetto a quello posteriore.

Infine il maestro Sapir ha più volte posto l’accento sull’importanza di un utilizzo sapiente del

riverbero, sia naturale sia artificiale. Spesso accade di dover eseguire musiche che prevedono un

utilizzo importante del riverbero, in ambienti già molto riverberanti. Trovare il giusto equilibrio non

è semplice ed implica una notevole capacità di ascolto.

Facendo tesoro dei preziosi consigli, ho trovato una soluzione che riassume ciascuna strategia. Il

riverbero del DSP è diffuso in maniera stereofonica su tutte le coppie di diffusori, coprendo quindi i

vuoti che si presentavano in precedenza, mentre l’uscita diretta di ciascuna coppia di altoparlanti è

inviata anche alla coppia stereofonica frontale, “addolcendo” la percezione dei movimenti di

spazializzazione.

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In questo capitolo ho cercato di fornire al lettore una panoramica generale sul mio lavoro, nella

speranza di trasmettere una piccola parte del percorso che mi ha portato alla sua realizzazione.

Ho cercato di non dilungarmi troppo sugli aspetti più tecnici che riguardano la programmazione

dell’ambiente esecutivo, per mettere maggiormente in luce le ragioni che mi hanno spinto a

imboccare questo cammino, e le fonti d’ispirazione che mi hanno aiutato a percorrerlo.

Nel capitolo successivo saranno illustrati i passaggi che hanno portato alla realizzazione

dell’ambiente esecutivo in MAX, con un’attenzione particolare a ciascun modulo.

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3. AMBIENTE ESECUTIVO IN MAX

In numerosi corsi in Conservatorio, si è frequentemente discusso con i docenti sulle svariate

modalità di programmazione degli ambienti esecutivi.

MAX è un ambiente ideale per la realizzazione di progetti artistici, poiché l'approccio nei suoi

confronti risulta abbastanza immediato anche per i non esperti di linguaggi informatici, grazie

soprattutto alla sua concezione modulare, che si sposa perfettamente con l’estetica della nostra

performance.

A differenza di ambienti più ostici, dove è richiesta la compilazione di un codice, la modularità del

linguaggio ad oggetti adoperato da MAX permette rapidamente di assemblare, modificare e

soprattutto ascoltare in tempo reale il risultato.

Tutto ciò lo rende uno strumento ideale per il controllo e la gestione del flusso audio in un live

electronics. Questa sua duttilità permette di impostare lo stile di programmazione in conformità a

quelle che sono le esigenze dell'esecutore.

Figura 3.1 Patch in esecuzione durante la performance.

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Ad esempio, l’utilizzo di oggetti grafici

permette una maggiore accessibilità a

un utente che non abbia una particolare

familiarità con il linguaggio di

programmazione.

Per questo motivo ho deciso di

realizzare una finestra d'esecuzione,

nella quale è possibile gestire i livelli, il

routing del DSP e il lancio delle scene.

In questo modo la patch è eseguibile

anche da un interprete non pratico di

MAX, senza doversi addentrare nella

programmazione più strutturale.

Tuttavia l’interfaccia grafica comporta

un maggior dispendio di energie da

parte del processore, è quindi opportuno trovare il giusto equilibrio tra praticità e velocità di

calcolo.

Il maestro Vigani, durante i corsi di composizione, ci

ha illustrato come, programmando il DSP e la

spazializzazione attraverso liste e messaggi, sia

possibile avviare processi d'elaborazione molto

complessi, con un minimo lavoro da parte del

processore.

L'utilizzo di liste e messaggi può risultare scomodo

nel caso in cui si volessero modificare dei parametri

in maniera dinamica, mentre è l'ideale per

l'organizzazione di cue che impostino una

configurazione precisa del DSP.

L’approccio modulare, infine, permette infinite

possibilità di routing tra i vari effetti, i quali possono

essere racchiusi come astrazioni in singoli oggetti,

collegabili tra loro come se fossero moduli analogici. Questa strategia permette di ottenere un

ambiente esecutivo aperto a ogni soluzione, i moduli precostruiti possono essere ampliati, sostituiti,

invertiti o eliminati in qualsiasi momento.

Figura 3.2 Interfaccia grafica per il controllo dinamico dei livelli e delle

assegnazioni del DSP.

Figura 3.3 Liste di dati da inviare al DSP.

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3.1. MAIN

La finestra principale della patch è

costituita esclusivamente dall'insieme

dei moduli costituenti la performance:

l'interfaccia d'esecuzione, gli effetti

(harmonizer, pitch shifter, delay,

granulatore e riverbero), l'analizzatore di

spettro e il modulo di spazializzazione.

Cliccando su ognuno di essi è possibile

aprirli, visionare la loro

programmazione e modificarne i

parametri dinamicamente.

Ciascuno dei moduli non presenta né

ingressi né uscite, poiché il flusso del

segnale audio e dei dati di controllo sono gestiti

tramite send e return e liste di messaggi.

Questa finestra è utile soprattutto nel caso in cui si

voglia suonare con l'ambiente esecutivo in maniera

libera, senza seguire le configurazioni prestabilite

dalla performance.

La presenza dell’oggetto dac~ (digital-analog

converter) consente all’utente la selezione immediata

del sistema di input/output (scheda audio, entrate e

uscite analogiche), nonché l’impostazione della

frequenza di campionamento, del numero di

quantizzazione e della dimensione della finesra di

buffer.

Per un funzionamento ottimale della patch, a

prescindere dal computer utilizzato, è preferibile

utilizzare una finestra non inferiore ai 512 campioni,

per non rischiare un sovraccarico di lavoro da parte

del processore.

Figura 3.4 Finestra principale della patch.

Figura 3.5 Digital-Analog Converter.

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3.2. INTERFACCIA ESECUTIVA

Il modulo d’interazione con la patch è studiato per ottimizzare i controlli, al fine di gestire

dinamicamente i parametri più importanti, come i livelli d’ingresso dei segnali o il routing tra gli

effetti del DSP.

Per ogni canale è presente un VU meter,

per controllare che non avvengano

distorsioni in ingresso.

I fader sono controllabili dinamicamente

tramite un hardware MIDI collegato al PC

e precedentemente mappato.

I controlli MIDI sono assegnati a coppie di

canali, uno per i miei microfoni ed uno per

i sintetizzatori di Yuri, per ottimizzare il

numero di fader da gestire durante la

performance.

Un terzo controllo gestisce la quantità di segnale diretto da inviare alla coppia stereo dei diffusori

frontali, in modo da “correggere” gli inconvenienti percettivi dovuti alla spazializzazione (si veda il

paragrafo 2.3).

Figura 3.6 Livelli d’ingresso dei segnali audio e mandata al fronte stereofonico dell’uscita totale.

Figura 3.7 ReMOTE 25SL, il controller MIDI della Novation

utilizzato nella performance.

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La quantità di segnale inviato al DSP è regolata da un fader per ciascun effetto; anche in questo

caso il livello è controllabile attraverso un vu meter. In questo modo è possibile gestire sul momento

eventuali problemi di dinamica, senza causare vuoti

improvvisi o clipping.

Il routing tra segnali audio ed effetti è gestito da una

matrice a quattordici colonne e diciannove righe.

Le colonne riguardano i segnali audio diretti (in

ordine dall'1 al 4 i due microfoni, i moduli e la

tastiera) e le uscite stereofoniche dei singoli effetti

(harmonizer, pitch shifter, delay, granulatore e

riverbero), mentre le righe rappresentano la

destinazione da assegnare.

Tramite l'oggetto grafico è possibile gestire

rapidamente il flusso del segnale, cliccando sui punti

di congiunzione fra righe e colonne, mentre per le

scene della performance le configurazioni sono

richiamate tramite messaggi, come si vedrà più

avanti.

In una sub-patch è contenuta invece la

programmazione vera e propria della matrice, nella

Figura 3.8 Controlli sulle mandate agli effetti.

Figura 3.9 Matrice grafica per il routing degli effetti.

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quale il segnale passa attraverso una serie di send e return, i quali risparmiano l’utilizzo di cablaggi

intricati e poco comprensibili.

Le prime cinque uscite si collegano agli effetti del DSP tramite outlets, per poterne controllare il

livello in maniera dinamica, le quattro successive servono ad inviare i segnali diretti (non effettati)

alle uscite, mentre le altre sono inviate direttamente al sistema di spazializzazione.

Durante la performance occorre cambiare rapidamente, tra una scena e l’altra, la configurazione

della matrice, oltre ai parametri che riguardano gli effetti.

Per gestire tutti questi controlli, è

stato necessario semplificare il

tutto attraverso l’utilizzo di cue

richiamabili tramite la tastiera del

computer, poiché, essendo già

impegnati nel suonare gli

strumenti, non è possibile gestire

a dovere troppi fader.

I numeri della tastiera, dall'uno al

cinque, servono per richiamare le

configurazioni della matrice e

degli effetti di ciascuna scena. Il primo messaggio da destra inizializza gli effetti utilizzati nella

scena e azzera la matrice, il secondo e il terzo messaggio configurano il DSP con i parametri

desiderati, il quarto messaggio imposta il routing della matrice e l'ultimo assegna i parametri al

granulatore, il quale è programmato in maniera diversa dagli altri effetti.

Il tasto “invio” è assegnato all'inizializzazione dell'intero sistema, mentre il tasto “spazio” arresta la

riproduzione.

Questo sistema permette di ridurre i controlli all'essenziale, in modo tale da non dover impiegare

una terza persona alla regia del suono.

Figura 3.10 Programmazione della matrice.

Figura 3.11 Partitura contenente le liste di parametri da assegnare al DSP

durante le scene.

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Un breve tempo di interpolazione

è assegnato alla matrice, così da

evitare clipping dovuti ad un

repentino cambio di

configurazione, che spesso può

coincidere con il decadimento

dell'inviluppo d'ampiezza generato

da effetti quali il delay o il

riverbero.

3.3. HARMONIZER

Per la costruzione del DSP ho preferito adoperare una programmazione basata sull’invio di liste

tramite messaggi, utilizzando frequentemente l’oggetto poly~, grazie al quale è possibile generare

diverse istanze dello stesso effetto, ottenendo così un notevole risparmio di CPU.

Alcuni degli effetti utilizzati nella performance sono stati realizzati dal maestro Andrea Vigani

presso l’IRCAM di Parigi, il quale me li ha forniti durante i suoi corsi di composizione.

Figura 3.12 Configurazione del DSP e del routing della matrice nella scena I.

Figura 3.13 Controlli dinamici dell'harmonizer.

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Il primo fra questi è l’harmonizer, strumento che genera più copie del segnale in ingresso, trasposte

in altezza.

Aprendo la patch dell’effetto, si trovano i controlli dinamici dello strumento, inseriti in

un’interfaccia grafica che tuttavia non è utilizzata nel corso della performance.

L’oggetto poly~, contenuto nell’harmonizer,

richiede come argomenti un nome ed un

numero di voci, in questo caso non

modificabile dinamicamente.

Questi argomenti indicano la destinazione

(l’istanza) alla quale inviare i parametri di

controllo, attraverso le liste contenute nei

messaggi delle scene.

Il poly~ riceve da un unico inlet sia il segnale da processare, sia le liste di controllo, mentre dai due

outlet invia alla matrice il segnale stereofonico risultante dal DSP.

I parametri generali sono l'attivazione dell'effetto, il tempo massimo di delay (questo harmonizer

permette di assegnare un tempo di ritardo diverso per ciascuna voce/istanza), il feedback, il

guadagno in ingresso ed in uscita dall'effetto e il missaggio fra segnale diretto ed effettato.

Scendendo maggiormente nel dettaglio, è

possibile visionare la programmazione del

poly~, al fine di poterne comprendere meglio il

funzionamento.

L'oggetto racchiude due percorsi, uno per il

segnale ed uno per i controlli, caratterizzati da

un ricco utilizzo di sub-patch, contenenti

espressioni matematiche e minuziosi

accorgimenti utili ad evitare errori di calcolo e

clipping.

Ad esempio, il segnale audio passa attraverso

una serie di sub-patch che effettuano

un'interpolazione lineare del guadagno in

ingresso.

Figura 2.14 Oggetto poly~ contenuto nell'harmonizer.

Figura 3.15 Programmazione del poly~ dell'harmonizer.

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In seguito il segnale è duplicato per essere

inviato al DSP vero e proprio, nonché alle uscite

dirette.

I controlli generali dell'effetto sono ricevuti e

smistati dall'oggetto route.

Essi comprendono il tempo massimo di delay e

la quantità di feedback (ciascuna voce

dell'armonizzazione può avere un tempo di

ritardo rispetto al segnale originale), il guadagno

in ingresso e in uscita, l'attivazione dell'effetto ed

il missaggio con il suono diretto.

L'armonizzazione vera e propria del segnale

audio avviene tramite un secondo poly~,

contenuto all'interno del precedente.

In questo poly~ i messaggi di controllo, sempre

gestiti da un oggetto route, assegnano all’effetto

valori sul panning, sul livello d’uscita, sulla

trasposizione, il ritardo e l’attivazione di

ciascuna voce, oltre che sulla dimensione

della finestra di buffer, registrata dall’effetto

per processare il segnale.

La trasposizione dell'altezza del segnale

originale avviene tramite un'alterazione

della velocità di lettura della finestra di

buffer, tecnica che richiama la metodologia

con la quale si otteneva questo effetto

nell'era analogica, attraverso

un'accelerazione del nastro o della velocità

del vinile.

Nonostante esistano ormai tecniche digitali

moderne, in grado di ottenere risultati

qualitativamente superiori grazie all'utilizzo

dell'analisi di Fourier, la scelta di adottare

questa metodologia si sposa meglio a livello

Figura 3.16 Interpolazione lineare del guadagno in ingresso.

Figura 3.17 Il poly~ che effettua le armonizzazioni.

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concettuale con il resto della performance, poiché l'effetto è ottenuto tramite oscillatori sinusoidali e

a “dente di sega”, assemblati ancora una volta in maniera modulare. Inoltre, tale tipologia di

programmazione è sicuramente più “leggera”, e permette al computer di eseguire il calcolo con uno

sforzo minimo. La trasposizione si compie su centesimi di tono, mentre il delay è calcolato in

millisecondi.

3.4. PITCH SHIFTER

Il secondo effetto inserito nel routing è un frequency shifter, in altre parole un traspositore di

frequenza.

Anche in questo caso la polifonia ha quattro voci, però, a differenza dell’effetto precedente, la loro

esecuzione è simultanea, poiché non è presente il delay.

Come per l’harmonizer, è presente un’interfaccia grafica per il controllo dinamico dei parametri,

tuttavia le impostazioni riguardanti le scene sono inviate all’effetto tramite messaggi.

Anche qui la trasposizione è calibrata su centesimi di tono, inoltre ciascuna voce ha un controllo

sulla posizione nello spazio e sul livello d’ampiezza.

Figura 3.18 Interfaccia grafica del Pitch shifter.

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Il poly~ contenente l’effetto ha una

programmazione simile a quella

dell’harmonizer, l’assenza del delay rende

più semplice la comprensione del percorso

del segnale audio e dei parametri di

controllo, che in questo caso sono il

guadagno in ingresso e in uscita, il

missaggio fra suono diretto ed effettato e

l’attivazione del traspositore.

L’audio in ingresso passa attraverso il

sistema d’interpolazione già visto

all’interno dell’harmonizer; in seguito una

copia è inviata al poly~ traspositore, mentre

un’uscita diretta è sommata al risultato

stereofonico del processo, prima di essere

inviata al sistema di analisi e diffusione.

La trasposizione avviene all’interno di un

altro poly~, stavolta per mezzo dell’oggetto freqshift~, il quale compie in sostanza una modulazione

ad anello, andando ad agire sul dominio del tempo.

In questo caso non è necessaria una

finestra di buffer, poiché la

modulazione avviene in tempo reale

sul segnale in entrata.

Questa differenza di

programmazione rende il risultato

timbricamente diverso dall’effetto

precedente, la simultaneità delle voci

fa sì che si abbia l’impressione di

ascoltare la scomposizione di un

ricco spettro nello spazio ottofonico.

Figura 3.19 poly~ del pitch shifter.

Figura 3.20 L'oggetto freqshift~ contenuto nel traspositore.

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3.5. DELAY

Per il modulo di delay ho

apportato alcune modifiche

rispetto all’originale del maestro

Vigani, senza però alterarne il

meccanismo principale di

funzionamento.

Ho scelto di poter controllare

delle bande numeriche, all’interno

delle quali è selezionato

casualmente un valore

metronomico assegnato a una

linea di ritardo ed espresso in

millisecondi.

È possibile inoltre variare

dinamicamente il valore di

feedback generale e decidere il livello d’ampiezza e il panning di ciascuna linea.

Come nei precedenti effetti, il segnale

è interpolato e se ne può controllare il

bilanciamento dry/wet. Il feedback è

controllato nel poly~ principale,

mentre il DSP importante è sempre

contenuto in un altro poly~.

Un buffer~ registra una finestra di 512

campioni.

Attraverso questa finestra, il delay

contenuto nel secondo poly~

sovrappone due copie della stessa

linea di ritardo, attraverso l’utilizzo

dell’oggetto sah~ (sample and hold).

Figura 3.21 Controlli dinamici sui tempi delle linee di ritardo.

Figura 3.22 Il poly~ contenuto nel delay.

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Tutto ciò serve a evitare di incorrere nell’effetto Doppler, qualora cambiasse repentinamente la

velocità del delay.

3.6. GRANULATORE

Il modulo di sintesi granulare è

costituito dall’oggetto munger~

programmato da Dan Trueman.

Gli argomenti inseriti nell’oggetto

sono la lunghezza massima del

buffer in millisecondi, il numero di

canali d’uscita e il numero massimo di polifonia.

In effetti, munger~ permette già da sé una spazializzazione multi-fonica.

Il risultato tuttavia era piuttosto caotico, rispetto a quello che cercavamo e siamo riusciti ad ottenere

con l’analizzatore di spettro, ovvero delle masse sonore di grani in movimento.

Figura 3.23 Programmazione del delay. A destra la sub-patch "p vdelay~".

Figura 3.24 Granulatore munger~.

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Durante la performance,

le impostazioni del

granulatore sono inviate

tramite una lista, la quale

è poi smistata alle varie

caselle numeriche tramite

l’oggetto unpack.

I controlli riguardano i

range di separazione,

dimensione e altezza dei

grani, oltre all’apertura stereofonica.

L’effetto varia i propri parametri in maniera aleatoria all’interno dei suddetti range, creando una

vasta gamma di timbri, talvolta assai diversi tra loro.

Data la sua ricca espressività, è tra gli effetti più utilizzati all’interno della performance.

3.7. RIVERBERO

Il modulo di riverbero, programmato partendo da Gigaverb~ di Juhana Sadeharju, presenta sette

controlli: la dimensione della stanza, l’apertura stereofonica, un coefficiente d’attenuazione, la

durata della coda, il tempo di riverberazione, la larghezza di banda del filtro (il filtraggio serve a

emulare il naturale decadimento delle frequenze acute) e le prime riflessioni.

L’effetto è costituito dall’oggetto gen~, il quale è in grado di generare numerosi processi nativi di

elaborazione del segnale audio.

Figura 3.25 Dettagli della programmazione del granulatore.

Figura 3.26 Interfaccia grafica per il controllo del modulo di riverbero.

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In questo caso l’oggetto gen~ contiene un

banco di quattro delay in parallelo per le

prime riflessioni, con la possibilità di

impostare anche un pre-delay.

Ciascun delay ha un corrispettivo feedback,

il risultato stereofonico passa da un nuovo

banco di tre delay in serie, per creare la

coda. L’uscita ha un controllo di

bilanciamento con il suono non processato.

Nel corso della performance, questo è

l’unico modulo ad essere controllato in

maniera dinamica, per poter equilibrare in

qualsiasi momento il riverbero artificiale

con quello naturale dello spazio

d’esecuzione.

3.8. ANALISI SPETTRALE

In questo modulo

avviene l’estrapolazione

dei parametri che

andranno a controllare

la spazializzazione.

Nell’interfaccia grafica

è presente solo un

controllo di guadagno

per ogni segnale e la

visualizzazione in tempo reale dei dati di Loudness, Brightness e Noisiness ricavati dallo spettro.

Figura 3.27 Programmazione dell'oggetto gen~ contenuto nel

riverbero.

Figura 3.28 Livelli dei segnali all'interno degli analizzatori ed estrapolazione in tempo reale

dei dati di Loudness, Brightness e Noisiness.

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Tutto ciò avviene grazie all’oggetto analyzer~ di

Tristan Jehan, che è inoltre in grado di estrarre il pitch

(in MIDI e in Hertz, anche polifonicamente), la banda

della scala Bark (scala psicoacustica di altezze ideata da

Eberhard Zwicker28 , basata sulla suddivisione delle

frequenze udibili in bande critiche) interessata, il

transiente d’attacco, il valore generale d’ampiezza in

dB e infine i dati di frequenza e ampiezza delle singole

componenti sinusoidali.

Gli argomenti dell’analyzer~ sono la dimensione delle

finestre di buffer e della loro sovrapposizione, la

dimensione della finestra di analisi FFT (Fast Fourier

Transform), la tipologia di finestra (rettangolare,

Hanning o Hamming), il tempo di ritardo iniziale, il

numero di pitch da estrarre, quello dei picchi da rilevare

e da inviare in uscita e il formato d’uscita del valore sulla

scala Bark.

La Loudness è misurata attraverso l’energia spettrale, è

quindi un valore in dB, mentre la Brightness riporta un

valore in Hz corrispondente all’altezza del centroide

spettrale, cioè il punto medio dove si colloca la maggiore

intensità nello spettro.

La Noisiness invece è misurata sulla scala Bark, che in

questo caso, data la frequenza di campionamento a 44100

Hz, suddivide lo spettro in venticinque bande.

Questi tre dati sono campionati ogni 200 millisecondi

attraverso l’oggetto speedlim~, quindi riscalati nei range

richiesti dai tre parametri di spazializzazione ai quali sono

infine assegnati: azimuth, elevazione e distanza.

Oltre ai segnali diretti, sono soggette a questo sistema

anche le uscite stereofoniche degli effetti harmonizer, pitch

shifter, delay e granulatore. 28 E. Zwicker, The Journal of the Acoustical Society of America: Subdivision of the audible frequency range into

critical bands, ed. 2, vol. 33, p. 248, 1961.

Figura 3.29 L'analyzer~ in funzione durante la

performance.

Figura 10 Assegnazione dei valori estrapolati

dallo spettro alla spazializzazione.

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3.9. SPAZIALIZZAZIONE

L’interfaccia di presentazione del

modulo di spazializzazione si presenta

semplice, munita di pochi controlli. Nel

grafico a sinistra è possibile seguire i

movimenti delle singole voci nello

spazio di diffusione, mentre in quello di

destra si può configurare il numero e la

posizione dei diffusori, in conformità

con lo spazio d’esecuzione.

In alto a sinistra, è possibile eseguire un

reset del sistema e modificare il tempo

d’interpolazione dei movimenti, in

modo da renderli più o meno fluidi.

All’interno di una sub-patch sono contenuti i receive~ che trasportano il segnale dalle entrate dirette

e dalle uscite stereofoniche di harmonizer, pitch shifter, delay e granulatore.

Queste entrano nell’oggetto

ambipanning~, il quale, attraverso

il sistema Ambisonics (sviluppato

da Gerzon, Barton e Fellgett negli

anni ’70 29 ), spazializza i suoni

sulla base delle coordinate ricevute

dal modulo di analisi spettrale.

Il metodo Ambisonics, inzialmente

chiamato anche perifonìa, nasce

come tecnica di ripresa e diffusione

multicanale, mirata a immergere

l’ascoltatore in uno spazio sonoro.

29 M. A. Gerzon, Periphony: With-Height Sound Reproduction, Mathematical Institute, University of Oxford, 1973.

Figura 11 Strumenti di visualizzazione e impostazione della

spazializzazione.

Figura 12 Matrice ambipanning~ per la diffusione ottofonica.

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Il segnale è codificato vettorialmente in un

insieme di “armoniche sferiche”, quindi

decodificato nel sistema di diffusione30.

Il visualizzatore sulla sinistra dell’interfaccia

grafica mostra la posizione dell’immagine

sorgente, all’interno di un campo sferico visto

dall’alto.

L’assegnazione dei valori dello spettro alle

coordinate spaziali è stata stabilita, a seguito di

varie prove d’ascolto, in maniera arbitraria.

Il fatto che i movimenti dipendano dallo spettro,

rende la spazializzazione viva e imprevedibile.

Inoltre l’assegnazione scelta si sposa perfettamente con i caratteri dei timbri, provocando dei

movimenti decisi che evocano quelli catalogati da A. Vande Gorne.

L’aggiornamento di questi valori avviene

con un’interpolazione lineare, della quale

si può controllare la velocità.

I tre valori sono quindi racchiusi in una

lista, denominata aed (azimuth, elevation,

distance), tramite l’oggetto pak.

La lista è infine diretta all’oggetto

ambipanning~ per la decodifica e la

diffusione nel sistema, in questo caso

ottofonico.

30 A. Uncini, Audio Digitale, McGraw-Hill Education, 2006.

Figura 13 Armoniche sferiche del campo acustico.

Figura 14 Routing dei dati relativi alle coordinate spaziali.

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3.10. CONTROLLI E ROUTING ANALOGICO DEL SEGNALE

Pochi controlli hardware interagiscono con la

patch via MIDI.

Otto fader del controller sono mappati secondo

quest’ordine:

• 1l primo fader controlla il livello

d’ingresso dei microfoni;

• Il secondo controlla il livello d’ingresso

dei sintetizzatori;

• Dal terzo al settimo troviamo i controlli

delle mandate agli effetti (in ordine harmonizer, pitch shifter, delay, granulatore e

riverbero);

• L’ultimo controlla l’uscita master diretta alla coppia stereofonica di diffusori frontali.

Le otto uscite dell’oggetto ambipanning~

sono inviate alle uscite analogiche della

scheda audio, quindi collegate a un mixer

per la regia e la diffusione del suono.

I canali sono suddivisi in coppie

stereofoniche di diffusori, partendo dal

fronte verso il retro dell’ascoltatore,

mediante l’utilizzo di panning e

assegnazione ai bus.

La somma delle otto uscite è inviata, a un

livello molto inferiore, al fronte

stereofonico, mentre il riverbero è diffuso

in egual misura su ciascuna coppia di

altoparlanti.

Figura 15 Fader per il controllo dei livelli d'ingresso dei

microfoni e dei sintetizzatori (1, 2), delle mandate agli

effetti (3, 7) e dell'uscita del fronte stereofonico (8).

Figura 16 Mixer analogico per la regia del suono.

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Nonostante sia presente un modulo di riverbero nella patch, è possibile utilizzare un hardware

esterno, qualora se ne abbia uno a disposizione.

Durante le prove in Conservatorio abbiamo avuto la possibilità di sperimentare questa soluzione,

con un riverbero Lexicon presente in aula.

Un’uscita stereofonica ausiliare del mixer è cablata alle entrate stereofoniche del riverbero, quindi i

due outputs del modulo rientrano nei canali 9 e 10 del mixer per poi essere assegnati a tutte le

uscite, sempre a coppie stereofoniche.

Con queste brevi nozioni sul routing analogico del segnale nel sistema di diffusione, termina il

capitolo dedicato agli aspetti tecnici ed esecutivi della nostra performance.

In appendice saranno elencati i valori assegnati a ciascun modulo del DSP e alla matrice durante

l’esecuzione delle scene, in modo tale da rendere la patch ricostruibile dal lettore.

Figura 17 Uscita stereofonica ausiliare inviata al riverbero hardware e reinserita nel sistema di diffusione.

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CONCLUSIONI

Siamo giunti alla fine di questo percorso che, attraverso un’indagine storica preliminare, ha portato

alla realizzazione di una performance improvvisativa basata sul live electronics.

Il lavoro di ricerca e la fase di sperimentazione pratica, atta alla costruzione della performance,

sono avvenuti parallelamente; le fonti storiche dalle quali abbiamo tratto ispirazione ci hanno

guidato passo dopo passo nelle scelte estetiche e nella stesura formale.

Gli intenti iniziali sono stati soddisfatti, le numerose sessioni di prova hanno portato un ottimo

livello d’interazione tra le parti, rendendo il dialogo musicale vivace e interessante.

Performances come questa accendono i riflettori sulla pratica esecutiva e le sue possibili soluzioni.

Sono tanti, infatti, gli elementi che concorrono al risultato finale, partendo dalla scelta della

strumentazione adoperata, passando per l’elaborazione in tempo reale e terminando con il sistema

di diffusione e spazializzazione. Se consideriamo le potenzialità degli strumenti adoperati, e la loro

modularità, ci rendiamo conto di avere a che fare con un vero e proprio “iper-strumento”, la cui

esecuzione può prendere le più svariate pieghe (esecuzione aleatoria, interpretazione di partiture

precise, improvvisazione, riproduzione “stand-alone”), anche mediante la variazione di materiali

sonori di base, spazi d’esecuzione e sistemi di diffusione.

Il percorso che ha portato alla realizzazione di questa tesi e della performance è stato lungo ma

avvincente. Il lavoro di coppia con il collega Yuri è servito ad arricchire le mie conoscenze,

apprendendo nuove nozioni dal punto di vista tecnico e storico, e al contempo le competenze di

musicista, estendendo il mio linguaggio improvvisativo con forme di comunicazione per me

totalmente nuove. Per quanto riguarda la mia semplice curiosità di musicista, infatti, questo lavoro è

servito a intraprendere strade da me mai percorse prima, in particolar modo grazie alla “scoperta” di

Franco Evangelisti. Tuttavia, giunti a conclusione di un lavoro del genere, spesso si avverte la

tentazione di ripartire da zero, facendo tesoro dell’esperienza maturata. Questa tentazione è uno

stimolo per proseguire su questo percorso intrapreso; È per me molto importante continuare a

sperimentare l’ambiente esecutivo, cercando di raggiungere un alto grado di estemporaneità anche

sul piano formale.

In conclusione, mi sento di affermare che lo studio dell’improvvisazione è l’unica strada che un

musicista può percorrere per raggiungere un alto grado di consapevolezza e padronanza del

materiale musicale, arrivando alla formulazione di un linguaggio fortemente personale.

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SVILUPPI FUTURI: AMBIENTI ESECUTIVI PER LA DIDATTICA

MUSICALE

La scelta di utilizzare gli strumenti a disposizione per realizzare una performance estemporanea,

nasce sia da una personale curiosità in merito all’improvvisazione nelle sue molteplici forme che da

un’esigenza didattica, essendomi trovato per la prima volta “dall’altra parte della cattedra” rispetto

a dove siede lo studente.

In passato, da allievo, ho talvolta incontrato delle difficoltà nel corso dei miei studi musicali, spesso

dovute a metodi d’insegnamento anacronistici e poco accattivanti per un bambino di età inferiore ai

12/13 anni.

Durante una lezione presso il Conservatorio, un mio docente, parlando dei metodi didattici, accese

in me una riflessione importante riguardo al processo di apprendimento dei bambini. Egli sosteneva

che l’allievo andrebbe stimolato sin dalle prime lezioni a inventare, comporre piccole melodie

utilizzando le nozioni apprese a lezione, come avviene per l’insegnamento delle lingue.

Questo metodo, che ho sperimentato con alcuni allievi, rende lo studio più “leggero”, portando a dei

risultati importanti, poiché nel corso degli studi l’allievo sviluppa delle capacità compositive, quali

una maggiore consapevolezza armonica, oltre a quelle meramente tecniche, necessarie

esclusivamente ai fini dell’esecuzione.

Il mio collega Luca Indelli da qualche anno sperimenta un suo metodo d’insegnamento delle scale

basato sull’improvvisazione. L’allievo si esercita tecnicamente sulla diteggiatura della scala

suonando le note in un ordine libero, mentre il maestro lo accompagna con alcuni accordi. Anche in

questo caso l’allievo sviluppa una capacità importante, che spesso non è coltivata con alcuni metodi

più tradizionali: l’ascolto.

La tecnologia in questo può giocare un ruolo fondamentale, essendo una potente lama a doppio

taglio. Il computer e tutti i moderni apparecchi tecnologici possono diventare materiale didattico, ho

notato che alcuni miei allievi ad esempio, oltre ad utilizzare applicazioni quali l’accordatore o il

metronomo, registrano il loro studio con il cellulare per poi riascoltarsi oppure seguono video-

lezioni online. Talvolta però, è facile incorrere in informazioni errate o prive di fonti accertate.

Il maestro deve essere quindi il mediatore tra l’allievo e la tecnologia, guidando lo studente al

corretto utilizzo degli “strumenti”.

L’odierna accessibilità economica delle apparecchiature elettroacustiche favorisce un rinnovamento

dei metodi didattici; è indispensabile, a mio avviso, che gli allievi di qualsiasi strumento si

approccino all’utilizzo consapevole degli strumenti elettronici sin dai primi anni di studio.

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In un corso di musica d’insieme, per bambini di età compresa tra gli otto e gli undici anni, ho

iniziato da poco a sperimentare l’utilizzo di piccoli ambienti esecutivi in MAX, notando per ora

un’accesa curiosità da parte degli allievi.

RINGRAZIAMENTI

Prima di terminare, è per me importante oltre che doveroso ringraziare il maestro Luca Richelli, per

i preziosi consigli e la sua pazienza e disponibilità.

Ringrazio i maestri Giovanni Cospito, Giorgio Klauer, Marco Marinoni, Sylviane Sapir e Andrea

Vigani, per quanto mi hanno trasmesso in questi anni di Conservatorio e per la loro dedizione

all’insegnamento.

Ringrazio i miei genitori per ogni giorno del mio cammino, per i loro sacrifici e il loro Amore.

Ringrazio nonna Lina, alla quale dedico questo lavoro, per avermi insegnato sin da bambino

l’importanza di vivere la cultura con gioia e leggerezza.

Vorrei inoltre ringraziare Yuri, per avermi accompagnato in questo percorso di tesi, offrendomi

spesso nuovi interessanti spunti di riflessione.

Infine ringrazio Elisabetta, per avermi sempre incoraggiato e sorretto.

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4. APPENDICE: SCHEMI E IMPOSTAZIONI

Di seguito sono riportate le liste dei parametri assegnati al DSP, divise per scene.

4.1. SCENA I

Playersmixer:

• Gain in Mic 1 : 90<x<120;

• Gain in Mic2 : 0;

• Gain in Mod : 80<x<100;

• Gain in Key : 90<x<120;

• Dry Outs : 120;

• Harmonizer : 110;

• Pitch Shifter : 0;

• Delay : 100;

• Granulator : 100;

• Reverb : 100;

Matrix:

• mtx 0 0 1 20;

• mtx 0 3 1 20;

• mtx 2 3 1 20;

• mtx 2 7 1 20;

• mtx 3 4 1 20;

• mtx 3 8 1 20;

• mtx 4 2 1 20;

• mtx 4 4 1 20;

• mtx 5 2 1 20;

• mtx 5 4 1 20;

• mtx 8 4 1 20;

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• mtx 8 13 1 20;

• mtx 9 4 1 20;

• mtx 9 14 1 20;

• mtx 10 4 1 20;

• mtx 10 15 1 20;

• mtx 11 4 1 20;

• mtx 11 16 1 20;

• mtx 12 17 1 20;

• mtx 13 18 1 20;

• dello 1 20;

Harmonizer:

• harm1 pow on;

• harm1 maxdel 8250;

• harm1 fbk 46.875;

• harm1 gain-in 127;

• harm1 gain-out 127;

• harm1 mix 100;

• harm1 1 pow on;

• harm1 1 win 50;

• harm1 1 del 375;

• harm1 1 transp 2062.5;

• harm1 1 gain 107;

• harm1 1 pan 10;

• harm1 2 pow on;

• harm1 2 win 50;

• harm1 2 del 750;

• harm1 2 transp 93.75;

• harm1 2 gain 127;

• harm1 2 pan 30;

• harm1 3 pow on;

• harm1 3 win 50;

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• harm1 3 del 1125;

• harm1 3 transp -2250;

• harm1 3 gain 110;

• harm1 3 pan 80;

• harm1 4 pow on;

• harm1 4 win 50;

• harm1 4 del 1500;

• harm1 4 transp 46.875;

• harm1 4 gain 90;

• harm1 4 pan 110;

Delay:

• del1 pow on;

• del1 gain-in 127;

• del1 gain-out 127;

• del1 mix 100;

• del1 maxdel 9000;

• del1 fbk 93.75;

• del1 random off;

• del1 1 del 46.875;

• del1 1 gain 127;

• del1 1 pan 20;

• del1 1 pow on;

• del1 2 del 187.5;

• del1 2 gain 127;

• del1 2 pan 50;

• del1 2 pow on;

• del1 3 del 562.5;

• del1 3 gain 127;

• del1 3 pan 80;

• del1 3 pow on;

• del1 4 del 937.5;

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• del1 4 gain 127;

• del1 4 pan 100;

• del1 4 pow on;

Granulator:

• Grain separation : 100;

• Grain rate variation : 20;

• Grain size : 1;

• Grain size variation : 20;

• Grain pitch : 2;

• Grain pitch variation : 20;

• Stereo spread : 1;

4.2. SCENA II

Playersmixer:

• Gain in Mic 1 : 90<x<120;

• Gain in Mic2 : 0;

• Gain in Mod : 0;

• Gain in Key : 90<x<120;

• Dry Outs : 100;

• Harmonizer : 0;

• Pitch Shifter : 110;

• Delay : 110;

• Granulator : 100;

• Reverb : 90;

Matrix:

• mtx 0 3 1 20;

• mtx 3 2 1 20;

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• mtx 3 8 1 20;

• mtx 6 4 1 20;

• mtx 6 11 1 20;

• mtx 7 4 1 20;

• mtx 7 12 1 20;

• mtx 8 4 1 20;

• mtx 8 13 1 20;

• mtx 9 4 1 20;

• mtx 9 14 1 20;

• mtx 10 1 1 20;

• mtx 10 15 1 20;

• mtx 11 1 1 20;

• mtx 11 16 1 20;

• mtx 12 17 1 20;

• mtx 13 18 1 20;

• dello 1 20;

Pitch Shifter:

• shifter1 pow on;

• shifter1 gain-in 127;

• shifter1 gain-out 127;

• shifter1 mix 100;

• shifter1 1 pow on;

• shifter1 1 gain 90;

• shifter1 1 pan 30;

• shifter1 1 freq 1875;

• shifter1 2 pow on;

• shifter1 2 gain 187.5;

• shifter1 2 pan 0;

• shifter1 2 freq 100;

• shifter1 3 pow on;

• shifter1 3 gain 70;

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• shifter1 3 pan 50;

• shifter1 3 freq -5625;

• shifter1 4 pow on;

• shifter1 4 gain 40;

• shifter1 4 pan 110;

• shifter1 4 freq -93.75;

Delay:

• del1 pow on;

• del1 gain-in 127;

• del1 gain-out 127;

• del1 mix 100;

• del1 maxdel 7875;

• del1 fbk 46.875;

• del1 random on;

• del1 1 del 46.875;

• del1 1 gain 127;

• del1 1 pan 20;

• del1 1 pow on;

• del1 2 del 187.5;

• del1 2 gain 127;

• del1 2 pan 50;

• del1 2 pow on;

• del1 3 del 562.5;

• del1 3 gain 127;

• del1 3 pan 80;

• del1 3 pow on;

• del1 4 del 937.5;

• del1 4 gain 127;

• del1 4 pan 100;

• del1 4 pow on;

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69

Granulator:

• Grain separation : 400;

• Grain rate variation : 300;

• Grain size : 2000;

• Grain size variation : 500;

• Grain pitch : 2;

• Grain pitch variation : 1;

• Stereo spread : 1;

4.3. SCENA III

Playersmixer:

• Gain in Mic 1 : 90<x<120;

• Gain in Mic2 : 0;

• Gain in Mod : 90<x<120;

• Gain in Key : 0;

• Dry Outs : 80;

• Harmonizer : 100;

• Pitch Shifter : 90;

• Delay : 100;

• Granulator : 90;

• Reverb : 50;

Matrix:

• mtx 0 0 1 20;

• mtx 0 2 1 20;

• mtx 0 5 1 20;

• mtx 2 4 1 20;

• mtx 4 1 1 20;

• mtx 4 4 1 20;

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70

• mtx 4 9 1 20;

• mtx 5 1 1 20;

• mtx 5 4 1 20;

• mtx 5 10 1 20;

• mtx 6 11 1 20;

• mtx 7 12 1 20;

• mtx 8 0 1 20;

• mtx 8 3 1 20;

• mtx 8 13 1 20;

• mtx 9 0 1 20;

• mtx 9 3 1 20;

• mtx 9 14 1 20;

• mtx 10 4 1 20;

• mtx 10 15 1 20;

• mtx 11 4 1 20;

• mtx 11 16 1 20;

• mtx 12 17 1 20;

• mtx 13 18 1 20;

• dello 1 20;

Harmonizer:

• harm1 pow on;

• harm1 maxdel 10000;

• harm1 fbk 80;

• harm1 gain-in 127;

• harm1 gain-out 127;

• harm1 mix 100;

• harm1 1 pow on;

• harm1 1 win 50;

• harm1 1 del 30;

• harm1 1 transp -2062.5;

• harm1 1 gain 100;

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71

• harm1 1 pan 10;

• harm1 2 pow on;

• harm1 2 win 50;

• harm1 2 del 20;

• harm1 2 transp -375;

• harm1 2 gain 110;

• harm1 2 pan 30;

• harm1 3 pow on;

• harm1 3 win 50;

• harm1 3 del 50;

• harm1 3 transp -2250;

• harm1 3 gain 40;

• harm1 3 pan 80;

• harm1 4 pow on;

• harm1 4 win 50;

• harm1 4 del 80;

• harm1 4 transp -187.5;

• harm1 4 gain 60;

• harm1 4 pan 110;

Pitch Shifter:

• shifter1 pow on;

• shifter1 gain-in 127;

• shifter1 gain-out 127;

• shifter1 mix 50;

• shifter1 1 pow on;

• shifter1 1 gain 90;

• shifter1 1 pan 30;

• shifter1 1 freq 2062.5;

• shifter1 2 pow on;

• shifter1 2 gain 100;

• shifter1 2 pan 0;

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72

• shifter1 2 freq 187.5;

• shifter1 3 pow on;

• shifter1 3 gain 70;

• shifter1 3 pan 50;

• shifter1 3 freq 2250;

• shifter1 4 pow on;

• shifter1 4 gain 40;

• shifter1 4 pan 110;

• shifter1 4 freq 375;

Delay:

• del1 pow on;

• del1 gain-in 127;

• del1 gain-out 127;

• del1 mix 100;

• del1 maxdel 9000;

• del1 fbk 93.75;

• del1 random on;

• del1 1 del 46.875;

• del1 1 gain 127;

• del1 1 pan 20;

• del1 1 pow on;

• del1 2 del 187.5;

• del1 2 gain 127;

• del1 2 pan 50;

• del1 2 pow on;

• del1 3 del 62.5;

• del1 3 gain 127;

• del1 3 pan 80;

• del1 3 pow on;

• del1 4 del 93.75;

• del1 4 gain 127;

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73

• del1 4 pan 100;

• del1 4 pow on;

Granulator:

• Grain separation : 500;

• Grain rate variation : 157;

• Grain size : 500;

• Grain size variation : 74;

• Grain pitch : 19;

• Grain pitch variation : 36;

• Stereo spread : 1;

4.4. SCENA IV

Playersmixer:

• Gain in Mic 1 : 0;

• Gain in Mic2 : 90<x<120;

• Gain in Mod : 0;

• Gain in Key : 90<x<120;

• Dry Outs : 100;

• Harmonizer : 0;

• Pitch Shifter : 110;

• Delay : 100;

• Granulator : 100;

• Reverb : 90;

Matrix:

• mtx 1 3 1 20;

• mtx 3 1 1 20;

• mtx 3 4 1 20;

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74

• mtx 3 8 1 20;

• mtx 6 4 1 20;

• mtx 7 4 1 20;

• mtx 8 4 1 20;

• mtx 8 13 1 20;

• mtx 9 4 1 20;

• mtx 9 14 1 20;

• mtx 10 2 1 20;

• mtx 10 15 1 20;

• mtx 11 2 1 20;

• mtx 11 16 1 20;

• mtx 12 17 1 20;

• mtx 13 18 1 20;

• dello 1 20;

Pitch Shifter:

• shifter1 pow on;

• shifter1 gain-in 127;

• shifter1 gain-out 127;

• shifter1 mix 50;

• shifter1 1 pow on;

• shifter1 1 gain 127;

• shifter1 1 pan 100;

• shifter1 1 freq -18.75;

• shifter1 2 pow on;

• shifter1 2 gain 127;

• shifter1 2 pan 100;

• shifter1 2 freq -4.6875;

• shifter1 3 pow on;

• shifter1 3 gain 127;

• shifter1 3 pan 80;

• shifter1 3 freq 9.375;

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75

• shifter1 4 pow on;

• shifter1 4 gain 127;

• shifter1 4 pan 100;

• shifter1 4 freq 5.625;

Delay:

• del1 pow on;

• del1 gain-in 127;

• del1 gain-out 127;

• del1 mix 100;

• del1 maxdel 7875;

• del1 fbk 62.5;

• del1 random on;

• del1 1 del 46.875;

• del1 1 gain 127;

• del1 1 pan 20;

• del1 1 pow on;

• del1 2 del 187.5;

• del1 2 gain 127;

• del1 2 pan 50;

• del1 2 pow on;

• del1 3 del 56.25;

• del1 3 gain 127;

• del1 3 pan 80;

• del1 3 pow on;

• del1 4 del 93.75;

• del1 4 gain 127;

• del1 4 pan 100;

• del1 4 pow on;

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76

Granulator:

• Grain separation : 400;

• Grain rate variation : 300;

• Grain size : 5000;

• Grain size variation : 500;

• Grain pitch : 1;

• Grain pitch variation : 1;

• Stereo spread : 1;

4.5. SCENA V

Playersmixer:

• Gain in Mic 1 : 90<x<120;

• Gain in Mic2 : 0;

• Gain in Mod : 0;

• Gain in Key : 90<x<120;

• Dry Outs : 100;

• Harmonizer : 0;

• Pitch Shifter : 110;

• Delay : 110;

• Granulator : 100;

• Reverb : 90;

Matrix:

• mtx 0 3 1 20;

• mtx 3 2 1 20;

• mtx 3 8 1 20;

• mtx 6 4 1 20;

• mtx 6 11 1 20;

• mtx 7 4 1 20;

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77

• mtx 7 12 1 20;

• mtx 8 4 1 20;

• mtx 8 13 1 20;

• mtx 9 4 1 20;

• mtx 9 14 1 20;

• mtx 10 1 1 20;

• mtx 10 15 1 20;

• mtx 11 1 1 20;

• mtx 11 16 1 20;

• mtx 12 17 1 20;

• mtx 13 18 1 20;

• dello 1 20;

Pitch Shifter:

• shifter1 pow on;

• shifter1 gain-in 127;

• shifter1 gain-out 127;

• shifter1 mix 100;

• shifter1 1 pow on;

• shifter1 1 gain 90;

• shifter1 1 pan 30;

• shifter1 1 freq 1875;

• shifter1 2 pow on;

• shifter1 2 gain 187.5;

• shifter1 2 pan 0;

• shifter1 2 freq 100;

• shifter1 3 pow on;

• shifter1 3 gain 70;

• shifter1 3 pan 50;

• shifter1 3 freq -5625;

• shifter1 4 pow on;

• shifter1 4 gain 40;

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78

• shifter1 4 pan 110;

• shifter1 4 freq -93.75;

Delay:

• del1 pow on;

• del1 gain-in 127;

• del1 gain-out 127;

• del1 mix 100;

• del1 maxdel 7875;

• del1 fbk 46.875;

• del1 random on;

• del1 1 del 46.875;

• del1 1 gain 127;

• del1 1 pan 20;

• del1 1 pow on;

• del1 2 del 187.5;

• del1 2 gain 127;

• del1 2 pan 50;

• del1 2 pow on;

• del1 3 del 562.5;

• del1 3 gain 127;

• del1 3 pan 80;

• del1 3 pow on;

• del1 4 del 937.5;

• del1 4 gain 127;

• del1 4 pan 100;

• del1 4 pow on;

Granulator:

• Grain separation : 400;

• Grain rate variation : 300;

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79

• Grain size : 2000;

• Grain size variation : 500;

• Grain pitch : 2;

• Grain pitch variation : 1;

• Stereo spread : 1;

4.6. DISPOSIZONE DEI DIFFUSORI

Coppie stereofoniche di diffusori, in ordine dal fronte: S1+S2, S3+S4, S5+S6, S7+S8.

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LISTA TRACCE CD

1. SCENA I (02:16) versione stereo;

2. SCENA II (02:00) versione stereo;

3. SCENA III (02:08) versione stereo;

4. SCENA IV (02:00) versione stereo;

5. SCENA V (02:10) versione stereo;

6. Armonica dry/wet;

7. Didgeridoo + moduli dry/wet;

8. Glockenspiel dry/wet;

9. Bell Pad dry/wet;

10. Percussioni dry/wet;

11. Moduli dry/wet;

12. Ukulele dry/wet;

13. Violoncello dry/wet;

14. Voce dry/wet;

15. Sintetizzatore LFO dry/wet.

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81

BIBLIOGRAFIA

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dépliant dei concerti della Biennale Musica, Venezia 1969; anche in Di Franco Evangelisti

cit., p. 122;

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Consonanza, in programma-dépliant del III Festival di Nuova Consonanza, Roma 1965;

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SITOGRAFIA

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