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Corso di approfondimento in Fisica Moderna A.S. 2006-2007

LA FISICA DEI QUANTI E L’ATOMO

Marco Ostili

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La fisica classica in crisi“Quando in un lontano avvenire, verrà scritta la

storia della scienza dei nostri tempi, la prima metà del secolo XX apparirà come un periodo particolarmente notevole non solo per la scoperta di molti nuovi fatti e lo sviluppo di nuove concezioni, ma anche per la loro diretta e indiretta influenza sull’organizzazione della vita umana.”

Con queste parole il fisico italiano Edoardo Amaldi (1908-1989) esordiva nel 1955 in suo scritto commemorativo del famoso scienziato Enrico Fermi (1901-1954), scomparso l’anno precedente.

(foto di Amaldi)

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Amaldi continuava: “E’ proprio tra la fine del secolo XIX e l’inizio del XX secolo che alcune osservazioni sperimentali pongono in crisi le concezioni classiche del mondo fisico: da un lato il comportamento della luce rispetto a diversi sistemi di riferimento in moto fra loro, dall’altro i primi indizi sulla struttura granulare dell’energia emessa od assorbita dai vari corpi sotto forma di radiazione.

E’ nel secolo XX che questi primi quesiti, e molti altri da essi derivati, trovano la loro risposta, gli uni nella teoria della relatività, gli altri nella teoria quantistica della materia e della radiazione.”

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Queste parole sono effettivamente il risultato di una superba sintesi degli avvenimenti che hanno costituito una rivoluzione del pensiero scientifico paragonabile solo a quella che diede inizio nel XVII secolo alla scienza moderna, con Galilei e Newton.

La conoscenza dei principi di base che regolano tali scoperte non ha costituito però un mero esercizio teorico, astratto e confinato in qualche laboratorio specializzato, ma è entrata a far parte prepotentemente della nostra vita quotidiana, anche se, all’opinione dei più, tutto questo è o ignorato o semplicemente dimenticato: il laser, la cellula fotoelettrica, le centrali nucleari, alcune apparecchiature medicali per la diagnostica o per la cura e la prevenzione di malattie, le memorie e i microprocessori dei calcolatori elettronici, l’ingegneria genetica, sono solo alcune delle applicazioni che sono state realizzate dalla tecnica e dall’industria grazie all’estremo dettaglio con cui riusciamo a controllare tali fenomeni.

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La fisica classica Meccanica

Cinematica Statica e dinamica dei punti materiali, dei

corpi rigidi e dei fluidi Onde e oscillazioni meccaniche

Termodinamica Origine e natura del calore Teoria delle macchine termiche Entropia: misura del disordine

Elettromagnetismo Cariche e correnti elettriche. Campi elettromagnetici Teoria ondulatoria della luce (ottica) e della

radiazione elettromagnetica

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I fenomeni che hanno messo in crisi la fisica classica.

Il corpo nero. L’effetto fotoelettrico. I raggi X. L’effetto Compton.

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La scoperta dell’atomo

Il modello di Thomson. Il modello planetario di Rutheford L’atomo di Bohr. I numeri quantici e lo “spin” dell’elettrone Il sistema periodico degli elementi. I limiti del modello di Bohr. L’emissione stimolata

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“Stranezze” nel mondo dei quanti

Il dualismo onda-corpuscolo. L’interpretazione probabilistica. Il principio di indeterminazione.

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Paradossi della meccanica quantistica:

Il linguaggio della fisica classica Il “pesce quantistico” Il paradosso EPR e l’esperimento di Aspect Il gatto di Schrödinger La scelta ritardata

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Il corpo neroE’ un modello, in pratica assimilabile a un “forno” ideale,

che, una volta riscaldato, emette radiazione elettromagnetica sotto forma di luce.

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Il corpo nero CLASSICO Secondo le teorie accreditate sino alla fine dell’’800,

la radiazione elettromagnetica (e quindi anche la luce come parte di essa) si propaga come un’onda nello spazio alla velocità costante c (300000 Km/s), è dotata di una lunghezza d’onda e di una frequenza; queste ultime sono legate f dalla semplice relazione:

c = ·f Essendo c una costante, e f sono grandezze

fisiche inversamente proporzionali.

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Il corpo nero CLASSICO

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Il periodo e la frequenza sono legati dalla semplice relazione: f=1/T

L’ENERGIA CHE UN’ONDA TRASPORTA CRESCE AL CRESCERE DELLA FREQUENZA:

E

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Il corpo nero CLASSICO Cosa non funziona nella teoria classica del corpo? La

previsione dei dati sperimentali. Poiché l’energia cresce con la frequenza, quando si scalda

un corpo nero la gran parte dell’energia dovrebbe essere assorbita dai componenti della materia che emetterebbero radiazioni ad alta frequenza, ossia a piccola lunghezza d’onda, (previsione errata detta catastrofe ultravioletta, cosa che invece non accade in realtà: ad es. quando apriamo un forno in cucina per controllare la cottura di un arrosto, non veniamo investiti da una micidiale radiazione elettromagnetica ultravioletta…!

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Il corpo nero QUANTISTICO e l’ipotesi di Planck

Quale particolare meccanismo risiede all’interno degli atomi, che genera un particolare colore quando il corpo viene portato a una certa temperatura (la temperatura-colore è un concetto ben noto tra i fotografi professionisti)?

Lo scienziato tedesco Max Planck, ipotizzò nell’anno 1900 un particolare meccanismo, basato sulle seguenti ipotesi: la distribuzione statistica dell’energia; l’energia E assorbita dal corpo NON VARIA CON CONTINUITA’, ma è distribuita in pacchetti, cioè in piccoli granuli, ed è proporzionale

alla frequenza f secondo la costante di Planck h:

Con , chiamata anche quanto d’azione.

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La distribuzione spettrale di Planck Per una particolare temperatura, in corrispondenza di una

lunghezza d’onda media esiste un massimo della potenza, ossia dell’energia irradiata dal corpo nero ad ogni istante di tempo, sotto forma di radiazione elettromagnetica (anche di luce); la distribuzione ha una caratteristica forma a campana, tipica delle distribuzioni statistiche (media delle popolazioni, ecc..)

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La spiegazione di Planck del corpo nero

Vengono “eccitati”, ossia “attivati”, dapprima i componenti della materia (assimilabili a piccoli oscillatori, perché generano le onde elettromagnetiche) aventi poche esigenze in termini energetici, per poi arrivare a tutti gli altri.

In questo modo tutta l’energia a disposizione si può distribuire tra un numero maggiore di oscillatori (è una tra le tante regole di equità possibili).

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Serbatoio energetico

Oscillatori

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Meccanismo della radiazione di corpo nero

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Serbatoio energetico

Oscillatori

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Meccanismo della radiazione di corpo nero

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Meccanismo della radiazione di corpo nero

Facciamo un istogramma della distribuzione, sommando i contributi per ciascun tipo di oscillatore (classificandoli per lunghezza d’onda).

Otteniamo la tipica forma a campana della distribuzione spettrale di Planck

Oscillatori

Serbatoio energetico

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Conseguenze dell’ipotesi di Planck Gli oscillatori a bassa energia contribuiscono

poco, anche se sono tutti eccitati. Gli oscillatori ad alta energia eccitati sono

pochissimi, quindi anch’essi non danno un grosso contributo all’economia generale.

La maggior parte dell’energia (per una data temperatura) si concentra intorno a una lunghezza d’onda media.

L’energia si distribuisce perciò statisticamente. Per irradiare, un oscillatore deve possedere

un’energia quantizzata, esatta, né minore né maggiore di E=hf, altrimenti o non irradia affatto, oppure, se già è stato eccitato, non irradia con frequenza maggiore di quella propria.

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L’effetto fotoelettrico Illuminando una lastra di metallo sotto determinate condizioni, si può generare una corrente elettrica, sia pur

debole, ossia è possibile rilevare elettroni in movimento sulla superficie del metallo. La spiegazione fu data da A. Einstein in una pubblicazione del 1905, grazie alla quale lo scienziato ottenne il

premio Nobel (quindi non per la teoria della relatività pubblicata tra l’altro nello stesso anno). Einstein, sulla scorta dell’ipotesi di Planck, dimostrò che nell’effetto fotoelettrico l’energia luminosa veniva

assorbita dal materiale “a pacchetti” sotto forma di FOTONI, assimilabili a vere e proprie particelle, benché prive di massa in quanto viaggiano alla velocità della luce. Un fotone è dotato di energia cinetica E=hf.

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La spiegazione quantistica dell’effetto fotoelettrico

Gli elettroni dell’atomo sono disposti, in quiete, su livelli ben definiti, e interagiscono con il fotone incidente

hf è l’energia del fotone incidente che si divide in due parti: hfs è l’energia di estrazione, cioè la minima energia di soglia

per poter estrarre il fotoelettrone (l’atomo è ionizzato) Ec è l’energia residua del fotoelettrone: Ec= hf-hfs = h(f-fs) che si

manifesta sotto forma di energia cinetica (di movimento)2

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I raggi X Nel 1895 W. Roentgen, lavorando con un tubo a raggi catodici, notò che

alcuni materiali erano “oltrepassati” da particolari radiazioni provenienti dal tubo; queste erano capaci anche di illuminare schermi a fluorescenza e perfino impressionare lastre fotosensibili di tipo fotografico. Continuando a studiare questi strani raggi, Roentgen trovò che sostanzialmente tutti i materiali erano ad essi trasparenti, cioè venivano in qualche modo attraversati. Cercò anche di scoprire se questi raggi fossero costituiti da qualche tipo di particelle cariche allora sconosciute, ma anche immergendo l’apparato in campi magnetici di forte intensità non notò alcuna deflessione. Rimaneva l’ipotesi di particolari forme d’onda, ma non riuscì a misurare alcuna figura di interferenza o di diffrazione. A causa di tutti questi dubbi, Roentgen diede loro il nome di raggi X. L’immediato uso in campo medicale, ancorché senza le dovute precauzioni a causa delle scarse conoscenze delle conseguenze dell’esposizione umana ai raggi X, portò nel 1901 il premio Nobel allo scienziato.

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La natura dei raggi X I raggi del tubo catodico sono elettroni

molto energetici che, colpendo un bersaglio, vengono decelerati.

L’energia persa si trasforma in radiazione elettromagnetica (Bremsstrahlung, o radiazione di frenamento) ad altissima frequenza, ben oltre la frequenza visibile dell’ultravioletto (la lunghezza d’onda è di circa 0,1 nm (1 nm 10-9 m)

I raggi X sono molto penetranti e attraversano tranquillamente i tessuti molli; vengono “oscurati” dalle ossa o da altri tessuti duri (la lastra del serpente in figura è al negativo)

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La diffrazione dei raggi X Per studiare meglio il fenomeno i collaboratori di

Roentgen fecero passare un fascio molto sottile e collimato di raggi X attraverso un cristallo, e raccolsero su una lastra fotografica una caratteristica figura, chiamata spettro di Laue.

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Promemoria: la diffrazione di un’onda

Quando la lunghezza dell’onda incidente su una fenditura (o di un ostacolo) è confrontabile con le dimensioni della fenditura stessa l’onda in prossimità dei bordi cambia direzione (diffrange).

La diffrazione è la capacità di un’onda di “aggirare” un ostacolo

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Lo spettro di Laue per la diffrazione dei raggi X

Oltre a una zona centrale luminosa gli scienziati notarono una serie molto regolare di tracce luminose alternate a zone d’ombra, sempre più sfumate verso l’esterno. Si trattava di una particolare figura analoga al reticolo di diffrazione prodotto dalle onde luminose, che dimostrava la diffrazione dei raggi X a opera dei cristalli.

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Conseguenze dell’esperimento di Laue

I raggi X sono radiazioni elettromagnetiche ad alta frequenza

I cristalli sono costituiti da strutture regolari che permettono la figura di un reticolo di diffrazione.

Questo esperimento mostra la stretta relazione tra l’energia cinetica classica degli elettroni e una radiazione elettromagnetica di frequenza ben oltre il visibile, evidenziata solo grazie alle piccolissime distanze interatomiche tra i cristalli.

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L’effetto Compton

E’ la spiegazione di un “urto non centrale” (come accade tra le boccette di un biliardo) tra un fotone in moto, considerato come una vera e propria particella, e un elettrone inizialmente fermo

La quantità di moto associata al fotone è p=h/.

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Diffusione (o scattering) Compton -interazione fotone-elettrone-

Dopo l’urto l’elettrone guadagna una quantità di moto qe, mentre l’effetto sul fotone è una diminuzione della quantità di moto, quindi un aumento della sua lunghezza d’onda (p=h/). Il fotone usato nello scattering è costituito da una radiazione X molto energetica.

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La scoperta dell’atomo

Atomo=indivisibile; gli esperimenti di spettroscopia di fine ottocento facevano presagire però una struttura interna più complessa.

La luce emessa dai gas eccitati dal passaggio di una scarica elettrica presenta una caratteristica figura a righe (spettro di emissione):

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Il modello di Thomson Per spiegare il comportamento alquanto singolare dello

spettro atomico furono proposti di versi modelli. Il modello di J.J. Thomson (plum pudding budino di

prugne prevedeva che gli elettroni carichi negativamente fossero sparsi all’interno di una massa fluida carica positivamente. Questo semplificazione non spiegava però la stabilità degli atomi, e la configurazione stabile delle righe di emissione

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Il modello di Rutheford Un allievo di Thomson, E. Rutheford, investigò più a fondo la natura dell’atomo, facendo

interagire particelle che attraversavano delle lamine sottili composte da diverse sostanze. Queste particelle sono i nuclei di elio (He), carichi positivamente, che vengono emessi da atomi di radio radioattivo (era già noto il fenomeno della RADIOATTIVITA’)

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L’ipotesi del nucleo e il modello planetario

Rutheford ipotizzò l’esistenza di un piccolissimo sistema centrale, dotato di massa propria e carico positivamente, chiamato nucleo atomico, e di uno sciame di elettroni che ruotava attorno al nucleo per effetto dell’attrazione coulombiana tra cariche opposte, analogamente al moto dei pianeti del sistema solare.

Poiché gli atomi in natura sono complessivamente neutri la carica positiva del nucleo deve uguagliare la carica totale degli elettroni orbitanti

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La debolezza del modello planetario Niels Bohr, un fisico danese rivelò una grossa

contraddizione nel modello planetario: l’elettrone, che è una particella carica in moto circolare, secondo le leggi dell’elettromagnetismo classico, emette radiazione elettromagnetica verso l’esterno, pertanto perde parte della sua energia e dovrebbe cade inesorabilmente spiraleggiando verso il nucleo, sino a ricongiungersi con esso (il nucleo è positivo e attrae l’elettrone negativo).

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Il modello di Bohr Bohr pensò che gli elettroni nell’atomo non

seguissero più le leggi classiche, ma si dovessero trovare su stati discreti di energia, ossia quantizzati, chiamati stati stazionari (stabili) dell’atomo, nei quali la rotazione degli elettroni non si modifica al passare del tempo.

Il modello di Bohr prevedeva la successione di tanti livelli atomici a partire da uno stato fondamentale.

I livelli successivi a quello fondamentale si chiamano stati eccitati.

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Stato fondamentale e stati eccitati

Stato fondamentale

Stati eccitati

Nucleo

Elettrone

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I postulati di Bohr I postulato: gli elettroni possono ruotare stabilmente senza

irradiare solo su determinate orbite chiamate stati stazionari. L’irraggiamento avviene quando uno o più elettroni passano, per qualche motivo, da uno stato stazionario all’altro.

II postulato: la frequenza f della radiazione emessa non coincide con la frequenza di rotazione dell’elettrone (ciclotrone), ma corrisponde al valore ottenuto tramite la relazione di Planck, quando l’elettrone passa da uno stato iniziale a energia Ei a un altro finale a energia Ef:

Ef - Ei = hf

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Le transizioni energetiche dell’atomo di Bohr

Un elettrone può passare da un livello energetico più alto a uno più basso. In questo caso “perde” energia sotto forma di radiazione. L’atomo, inteso nel suo complesso, emette una radiazione elettromagnetica (un fotone) a frequenza f: hf è il valore esatto del “salto energetico” di livello.

Al contrario, un elettrone “sale di livello” perché l’atomo è stato investito da una radiazione elettromagnetica (ha assorbito un fotone) a frequenza f.

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La quantizzazione delle orbite Tutto ciò implica che le orbite degli elettroni sono

stazionarie (stabili) solo se sono quantizzate dalla regola:

n è un indice discreto (n=1,2,3…) del livello energetico dell’orbita, ed è chiamato numero quantico principale.

a0 è il raggio della prima orbita ottenuto per Z=1 (l’atomo di idrogeno).

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La formazione delle righe spettrali Con il modello di

Bohr si spiega efficacemente la formazione delle righe spettrali atomiche.

Nel disegno si tratta di emissione di fotoni, perché gli elettroni decadono” da un livello energetico più alto a uno più basso), ma invertendo le frecce, si ottiene l’assorbimento.

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Lo spettro dell’atomo di idrogeno

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Il principio di complementarietà Oltre ai contributi diretti alla ricerca, come la

spiegazione della Tavola Periodica degli elementi, Bohr studiò, discusse e mise in chiaro tutte le nuove ipotesi e scoperte della fisica atomica. Esemplare a questo proposito fu la sua interpretazione della meccanica quantistica sulla base di un principio da lui chiamato di complementarietà tra l’aspetto corpuscolare e l’aspetto ondulatorio dei fenomeni.

Nell’ambito della fisica classica, sostiene Bohr, il rapporto tra gli oggetti e gli strumenti di misura è in linea di principio perfettamente calcolabile e quindi possiamo stabilire con sicurezza se un oggetto è un corpuscolo o un’onda.

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Il principio di complementarietà In ambito quantistico, invece, dal momento che

«una realtà indipendente nel senso fisico usuale del termine non può essere attribuita né al fenomeno né agli strumenti di misura», a seconda del tipo di misurazione l’elettrone, per esempio, può essere un’onda o un corpuscolo.

Entrambi sono «aspetti complementari, ma mutuamente esclusivi della descrizione»: entrambe le considerazioni sono necessarie, ma non possono essere impiegate simultaneamente.

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I numeri quantici Per descrivere

completamente il moto dell’elettrone intorno al nucleo occorre fissare la sua distanza dal nucleo (quantizzata con il numero quantico principale n).

ma occorre considerare anche i modi di rotazione dell’elettrone intorno all’atomo, descritti dal numero quantico orbitale l.

Per ciascun valore di n, si hal = 0, 1, 2, …, n-1.

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L’effetto Zeeman Quando l’atomo è immerso in un campo magnetico si nota una

ulteriore suddivisione di ciascuna riga dello spettro. Il fenomeno è chiamato effetto Zeeman. Il numero quantico che lo descrive è chiamato numero quantico magnetico ml, che, per ciascun valore di l, può assumere i valori: ml = -l, …, 0, …, l

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Lo spin dell’elettrone Oltre ai numeri quantici n, l, ml, esiste un quarto numerico

quantico che descrive lo spin, una particolare caratteristica dell’elettrone, legato al momento magnetico intrinseco.

Esso si manifesta con un ulteriore sdoppiamento delle righe dell’atomo immerso in un campo magnetico, evidenziando una “struttura fine” delle righe dello spettro.

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Fermioni e bosoni Lo spin è una proprietà comune a tutte le particelle

quantistiche. Per gli elettroni vale ms=1/2, (spin semintero), mentre per altre particelle può valere ms=1, 2, …

Le particelle a spin semintero fanno parte della famiglia dei fermioni (dal nome di E. Fermi).

Le particelle a spin intero fanno parte della famiglia dei bosoni (dal nome di W. Bose).

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L’indistinguibilità delle particelle identiche

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Significato probabilistico della configurazione elettronica

L’insieme delle possibilità che si ottengono al variare dei numeri quantici n e l, descrive la configurazione elettronica dell’atomo.

Ad ogni valore di n e l corrisponde una PROBABILITA’ di trovare l’elettrone in una particolare zona di spazio intorno al nucleo

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Tavola periodica degli elementi

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I limiti del modello di Bohr Effetto schermatura: gli elettroni più esterni

risentono della carica degli elettroni più interni, che fungono da “schermo”, contrapponendosi all’attrazione del nucleo.

Effetto di penetrazione: esiste una probabilità non nulla che l’elettrone si trovi in un orbitale più interno rispetto a quello che gli spetterebbe seguendo il riempimento ordinario degli strati atomici.

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L’emissione stimolata E’ una particolare transizione dell’elettrone che si

trova già in uno stato precedentemente eccitato. Su questo principio funziona il laser (Light Amplification by Stimulated Emission of Radiation)

Il fascio laser di luce emessa è sottile e molto intenso

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Il dualismo onda-corpuscolo Come le onde elettromagnetiche possono essere assimilate a

fotoni, particelle vere e proprie benché prive di massa, così le particelle dotate di massa, come gli elettroni, in determinate condizioni sono dotate di caratteristiche ondulatorie, ossia si propagano come onde (onde elettroniche), manifestando il fenomeno della diffrazione, che è la capacità delle onde di aggirare gli ostacoli, e di propagarsi in direzioni diverse da quella originaria. La diffrazione è rilevante quando >>d

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La diffrazione degli elettroni

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L’ipotesi di de Broglie Il nobile francese L. de Broglie ipotizzò che gli

elettroni fossero dotati di una lunghezza d’onda propria, legata alla quantità di moto q=mv dalla semplice relazione, detta appunto relazione di de Broglie:

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L’interpretazione probabilistica della meccanica quantistica

Il profilo dell’onda elettronica è descritta da una funzione matematica, ideata da Schrodinger, e chiamata FUNZIONE D’ONDA , legata alla PROBABILITA’ di trovare l’elettrone in un punto dello spazio e in un certo istante: P ~ II 2.

L’elettrone in questo stato ha maggiore probabilità di trovarsi nei punti B e D del segmento AE ma è possibile trovarlo con minore probabilità altrove, tranne che nei punti A, C, E dove la probabilità è nulla.

In analogia alle equazioni della dinamica, l’equazione di Schrodinger della funzione d’onda permette di determinare la probabilità di trovare l’elettrone in un particolare stato energetico

E

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Esperimento della doppia fenditura• Se un cannone elettronico è posto prima delle due

fenditure, considerando la natura ondulatoria degli elettroni, ci aspettiamo di trovare sullo schermo una figura di interferenza, formata da una successione di massimi e minimi di intensità, analoga a quella trovata da Young nel ‘700 per dimostrare la natura ondulatoria della luce.

Nelle figure a,b,c, gli elettroni riempiono progressivamente gli spazi corrispondenti alla massima probabilità prevista dalla teoria ondulatoria 5

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Il principio di indeterminazione di Heisenberg

L’indeterminazione classica consiste nella limitatezza degli apparati sperimentali, che generano l’errore sperimentale di misura.

L’indeterminazione quantistica risiede invece nella natura ondulatoria delle particelle quantistiche.

Nel mondo quantistico, quando si fa interagire lo strumento di misura con la particella esso modifica lo stato della particella. Ciò che misuriamo è pertanto “un’altra cosa” rispetto al “valore intenzionale” che ci saremmo aspettati.

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Le regole dell’indeterminazione

Nessun oggetto può avere contemporaneamente quantità di moto e posizione determinate con precisione assoluta:

Non si può determinare contemporaneamente l’energia e il tempo impiegato da un oggetto con precisione assoluta:

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Onde di probabilità

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Paradossi della meccanica quantistica:

il linguaggio della fisica classica

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La sovrapposizione degli stati

Secondo “l’interpretazione di Copenhagen” della meccanica quantistica, l’equazione di Schrodinger non prevede una sola funzione d’onda, ossia una sola soluzione che descrive lo stato della particella, ma un “set completo”. L’idea è che la “composizione” di tutte le funzioni d’onda fornisce la soluzione generale (la sovrapposizione degli stati).

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Il significato probabilistico di una misura

La soluzione completa dell’equazione di Schrodinger per la traiettoria di elettrone che attraversa una doppia fenditura è = A + B ,perché la posizione della particella è descritta dalla sovrapposizione di due stati distinti A e B aventi la stessa probabilità. Nella logica della teoria della probabilità il segno + assume un significato disgiuntivo: La particella si può trovare in A o in B indifferentemente.

A

B

A

B

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Il “collasso” della funzione d’onda Quando inseriamo lo strumento di misura per verificare

esattamente la posizione dell’elettrone, la funzione d’onda “COLLASSA” in modo imprevedibile in uno dei due stati.

In tal modo l’inserimento dello strumento genera la “forzatura” che, da una sovrapposizione equiprobabile di due stati, fornisce solo uno dei due, con esclusione dell’altro.

B

A

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Il “pesce solubile” Esempio tratto da un libro di Ortuli, Pharabod “Il

cantico dei quanti”, 1989. Visione classica: un pescatore pesca in un lago

torbido in cui c’è un pesce che nuota nel fondo. Egli aspetta che il pesce abbocchi e poi vede che esso è appeso alla lenza. Prima della avvenuta pesca, il pescatore deduce che il pesce si aggirava dentro lo stagno percorrendo una traiettoria incognita.

Visione quantistica: Il pesce è “disciolto” nell’acqua dello stagno (c’è l’assoluta certezza di trovarlo da qualche parte al suo interno). Nel momento della rivelazione (l’abboccamento) la funzione d’onda del pesce collassa in uno stato particolare.

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L’azione a distanza Se invece di un solo pesce gettiamo nel lago due

pesci A, B, essi si disciolgono in un’unica entità sovrapposta (AoB). Prosciugando il lago e facendo confluire l’acqua in altri due stagni S1 e S2, distanziati spazialmente e non comunicanti fra loro, i due pesci disciolti continuano a formare un solo essere sovrapposto in entrambi gli stagni.

Se il pescatore pesca nello stagno S1 il pesce A, fa collassare la funzione d’onda della coppia (AB): spontaneamente e “istantaneamente” il pesce B salterà fuori dallo stagno S2 senza che nessuno lo peschi.

Il collasso della funzione d’onda del pesce A in S1 genera il collasso simultaneo “a distanza” della funzione d’onda del pesce B in S2.

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Il paradosso EPR Esperimento concettuale (Einstein, Podolsky, Rosen) tendente a

“screditare”, ossia a dimostrare l’incoerenza di alcuni risultati della meccanica quantistica.

Einstein fu molto attivo nel criticare la visione probabilistica della meccanica quantistica (“…Dio non gioca a dadi…”).

L’errore di fondo è quello di applicare il linguaggio proprio della meccanica classica al mondo dei quanti che invece “funziona” diversamente.

Sostanzialmente il paradosso EPR è analogo alla situazione dei due pesci solubili; esso considera però la posizione e la quantità di moto di due particelle quantistiche e il limite inferiore della precisione con cui si possono misurare tali grandezze, dato dal principio di indeterminazione di Heisenberg:

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La “non località” della meccanica quantistica

Una scatola contenente due particelle in sovrapposizione di stati (AoB) (elettroni o fotoni) viene suddivisa in due parti.

Dopo la separazione, se misuriamo con precisione ad esempio la posizione di una delle due particelle, automaticamente e istantaneamente si causa, per il principio di indeterminazione, la perdita di informazione, oltre che per la particella considerata, anche per l’altra.

Ciò avviene in modo istantaneo e “indipendente” dalla distanza che separa le due particelle.

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L’esperimento di Aspect

Nonostante lo scetticismo di Einstein, la non località relativa ai fenomeni quantistici venne dimostrata sperimentalmente negli anni ’80 dal francese A. Aspect.

• Si è misurata la “polarizzazione” di due fotoni in sovrapposizione di stati (A o B).

• Se i due fotoni si allontanano in direzioni diverse, la misura della polarizzazione di un fotone ( ) causa il collasso istantaneo della funzione d’onda dell’altro fotone, ormai lontanissimo, nello stato di polarizzazione opposta ( ) .

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Il gatto di Schrödinger Schrödinger non si trovava d’accordo sul fatto che, considerando la

sovrapposizione degli stati, un osservatore potesse far collassare a piacimento la funzione d’onda in un unico stato.

Una sostanza radioattiva è posta dentro a una stanza insieme a un gatto. La sostanza potrebbe essere già decaduta, quindi inerte, o no al 50%. Un meccanismo rilascia una sostanza velenosa quando la sostanza decade. Se la stanza è isolata il gatto si trova nella sovrapposizione degli unici due stati possibili: (VIVO o MORTO).

Poiché la sostanza si trova in uno stato INDEFINITO, il gatto si trova contemporaneamente ad essere NE’ VIVO e NE’ MORTO. L’indeterminazione si mantiene sin quando non effettuiamo l’esperimento, ossia apriamo la stanza e verifichiamo lo stato del gatto.

Schrödinger affermò che prima della misura si avrebbe la sovrapposizione “di un gatto vivo e morto che è miscelato e spalmato in parti uguali….”!!!!

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A “ritroso” nel tempo Nell’esperimento della doppia fenditura se l’apparato

sperimentale sta sullo schermo, appare la figura ottenuta dall’interferenza dalle due fenditure.

Ponendo gli strumenti sulle fenditure o tra le fenditure e lo schermo otteniamo sempre due macchioline sullo schermo. Lo strumento di misura fa “collassare” la funzione d’onda in uno dei due stati.

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A “ritroso nel tempo” Se “accendiamo” il rivelatore subito dopo che la particella sia

passata dalle fenditure non otteniamo mai la figura d’interferenza (scelta ritardata).

Le particelle quantistiche si comportano come se fossero dotate di una “precognizione”, al momento della loro creazione, della presenza o meno dell’apparato sperimentale.

Ciò vuol dire: metto il rivelatore adesso, ma la particella in passato già si era messa nello stato opportuno per passare attraverso una delle fenditure e non diffrangere sullo schermo.

Non c’è da scandalizzarsi per questo fenomeno: il concetto che noi abbiamo del tempo è prettamente classico, ma nel mondo dei quanti esiste un tempo virtuale negativo che scorre a ritroso, in coesistenza con il tempo ordinario.

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TEMPUS FUGIT

Lezioni di meccanica quantistica - Prof. Marco Ostili -

Istituto M. Montessori ROMA

Figure, disegni e spunti tratti dal testo: Parodi, Ostili, Mochi “L’evoluzione della Fisica”; Ed. Paravia Torino, 2005.