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DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA Cattedra di Public Comparative Law IL DIRITTO ALLA FELICITÀ IN PROSPETTIVA COMPARATA . RELATORE CANDIDATO Chiar.mo Prof. Lorenzo Buscicchi Andrea De Petris Matr. 100663 CORRELATORE Chiar.mo Prof. Gino Scaccia ANNO ACCADEMICO 2013-2014

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DIPARTIMENTO DI GIURISPRUDENZA

Cattedra di Public Comparative Law

IL DIRITTO ALLA FELICITÀ IN PROSPETTIVA COMPARATA

.

RELATORE CANDIDATOChiar.mo Prof. Lorenzo BuscicchiAndrea De Petris Matr. 100663

CORRELATOREChiar.mo Prof. Gino Scaccia

ANNO ACCADEMICO 2013-2014

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INDICE

Il diritto alla felicità: storia di un’idea pag. 1

L’esperienza americana pag. 46

Il diritto alla felicità nella Costituzione italiana e nella

giurisprudenza pag. 86

Conclusioni pag. 109

Bibliografia pag. 118

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Il diritto alla felicità: storia di un'idea

“Tutti gli uomini, senza eccezione, cercano di essere felici; anche se usano

mezzi diversi, tendono tutti a questo fine. Ciò che spinge alcuni ad andare

in guerra, e altri a non andarci, è sempre questo desiderio, che è negli uni

e negli altri, anche se vissuto sotto diversi punti di vista. La volontà non si

muove mai di un passo se non in questa direzione. E' il movente di tutte le

azioni di tutti gli uomini, anche di quelli che decidono di impiccarsi” scrive

Blaise Pascal nei suoi Pensieri1.

Secondo il vocabolario, la parola “felicità” è definita come “stato e

sentimento di chi è felice”2 e la parola “felice” come dell'uomo “che si

sente pienamente soddisfatto nei propri desideri, che ha lo spirito sereno,

non turbato da dolori o preoccupazioni e gode di questo suo stato”3.

La parola viene dal Latino felicitas e prima ancora da felix, cioè

prosperoso, abbondante di frutti4. Nella cultura latina erano felices gli

arbores, cioè gli alberi che davano molti frutti (Livio), mentre era infelix la

terra non adatta alla coltivazione del grano (Virgilio)5.

1 Blaise Pascal, Pensieri

2 Vocabolario Treccani

3 Idem

4 Antonio Trampus, Il diritto alla felicità, Storia di un'idea, Editori Laterza 2008, p.3

5 Idem

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La stessa radice fe- la rinveniamo nei vocaboli come fecundus, fetus,

foemina e filius; appare evidente come per gli antichi Latini la felicità

corrispondesse alla salute e alla fecondità.

I Greci designavano quel che noi intendiamo felicità con il termine

eudaimonia che, però, nella lingua greca significa anche fortuna;6 la parola,

infatti, ha la stessa radice del verbo daiomai che vuol dire partire,

dispensare in sorte.

In base all'etimologia, la felicità corrisponde alla buona (eu) sorte

(daimon); secondo i Greci, quindi, la felicità è un bene indisponibile,

qualcosa che tocca in sorte.

Vedendo la felicità come un bene non disponibile per l'Uomo, appare

difficile parlare di un diritto alla felicità.

Proseguendo l'analisi semantica, troviamo la stessa idea di felicità in molte

lingue europee: in tedesco viene utilizzata la parola “Gluck” che allo stesso

tempo ha il significato di fortuna.7

Lo stesso accade in inglese dove il termine happiness, ovvero felicità, si

ricollega, attraverso la radice, con il verbo to happen ovvero accadere;

anche in questo caso la felicità è un accadimento (happening) e, dunque,

l'instabilità della situazione umana e l'incerta sorte sono dominanti8.6 Salvatore Natoli, La felicità, Saggio di teoria degli affetti, Saggi-Universale economica Einaudi

2011,p.18

7 id.p.20

8 id.pp.20-21

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Nicola Abbagnano nel suo Dizionario di Filosofia definisce la felicità come

“uno stato di soddisfazione dovuto alla propria situazione nel mondo”.

Per questo concetto di situazione la nozione di felicità si differenzia dalla

nozione affine di beatitudine, la quale rappresenta uno stato di

soddisfazione indipendente dal rapporto dell'uomo col mondo e perciò

ristretta alla sfera contemplativa o religiosa9. Al contrario, il concetto di

felicità è umano e mondano10; così è sorto nella Grecia antica dove Talete

riteneva felice colui che ha un corpo sano, buona fortuna ed un'anima ben

educata11.

Democrito, allo stesso modo, definiva la felicità in termini umani e

mondani come la misura del piacere e la proporzione della vita, cioè come

il tenersi lontani da ogni difetto e da ogni eccesso12.

Aristippo sosteneva la tesi secondo la quale la felicità consiste nel sistema

dei piaceri; solo il piacere è il bene perché esso viene desiderato per se

stesso e, quindi, è il fine in sé13.

Egesia negava la possibilità della Felicità proprio per il fatto che i piaceri

9 Giovanni Fornero, Felicità (voce) in Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia (terza ed. agg. Da G. Fornero), Utet 1998 p.467

10 Idem

11 Diogene Laerzio, I, 1, 37

12 Frammenti, 191, Diels

13 Giovanni Fornero, Felicità (voce) in Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia, Op.cit p.467

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sono troppo rari e labili.14

D'altro canto, Platone negava che la felicità consistesse nel piacere e la

riteneva, invece, connessa alla virtù: I felici sono felici per il possesso della

giustizia e della temperanza e gli infelici, infelici per il possesso della

cattiveria; nel Gorgia15 e nel Convito16 sono detti felici coloro che

posseggono bontà e bellezza.

Se Platone resta collegato alla visione della felicità relativa alla situazione

dell'uomo nel mondo, di diverso avviso è Aristotele che ha, al contrario,

insistito sul carattere contemplativo della felicità.

Interessante è che nel pensiero di Aristotele il concetto di eudaimonia viene

declinato anche in una chiave politico-giuridica: la felicità non è solo

qualità della perfezione umana ma anche scopo della comunità; la giustizia

è identificata con quella organizzazione dei rapporti umani che tende a

salvaguardare la felicità della comunità politica e lo scopo della migliore

Costituzione è la felicità pubblica.17

Le persone felici, secondo Aristotele, devono possedere i beni esterni,

quelli del corpo e quelli dell'anima; è vero però che i beni esteriori, come

14 Diogene Laerzio, II, 8, 94

15 Platone, Gorgia (508 b)

16 Platone, Convito (202 c)

17 Grodin Joseph.R, Rediscovering the state Constitutional right to happiness and Safety, “Hasting Constitutional Law Quarterly” 1997, vol.25, fasc.1, p.11

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ogni strumento, hanno un limite entro il quale adempiono la loro funzione

di essere utili, come mezzi, ma oltre il quale diventano dannosi o inutili per

chi li possiede. E che i beni spirituali invece, quanto più sono abbondanti

quanto più sono utili.

In generale, si può dire che ciascuno merita tanta felicità, per quanto virtù,

senno e capacità di agire in conformità egli possiede e si può chiamare a

testimonio la divinità che è felice e beata non per i beni esteriori ma di per

se stessa, per quello che è per natura18.

Nell'Etica nicomachea la felicità è perciò più agilmente accessibile al

saggio che sa bastare a se stesso ma è ciò a cui in realtà devono tendere

tutti gli uomini e le città.

L'etica post-aristotelica si occupa, invece, esclusivamente della felicità del

saggio: la divisione che operano gli Stoici fra saggi e pazzi rende superfluo

occuparsi di questi ultimi19.

Il saggio è colui che basta a se stesso e che, perciò, trova esclusivamente in

sé la sua felicità che meglio si direbbe beatitudine20.

Plotino rimprovera alla nozione aristotelica di felicità il fatto che,

consistendo essa per ogni essere nel compiere la sua funzione e nel

raggiungere il proprio fine, può applicarsi benissimo anche agli animali e 18 Aristotele, Politica, VII, 1, 1323 b 8

19 Giovanni Fornero, Felicità (voce) in Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia, Op.cit p.468

20 Idem

7

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alle piante21, mentre agli Stoici rimprovera l'incoerenza di porre la felicità

nell'indipendenza dalle cose esterne e nello stesso tempo di additare come

oggetto della ragione proprio queste cose stesse22.

Per Plotino, invece, la felicità è la vita stessa e, di conseguenza, appartiene

a tutti gli esseri viventi ma, nel grado più alto, solo alla vita più completa e

perfetta che è quella dell'intelligenza pura23.

Il saggio, in cui tale vita si realizza, è bene a se stesso, non ha bisogno che

di se stesso per essere felice e non cerca le altre cose o, almeno, le cerca

solo perché sono indispensabili alle cose che gli appartengono (per esempio

al corpo) e non a lui stesso24.

La felicità del saggio non può essere distrutta né dalla cattiva sorte né dalle

malattie fisiche e mentali né da alcuna circostanza sfavorevole, come non

può essere aumentata dalle circostanze favorevoli: è perciò la stessa

beatitudine di cui godono gli Dei25.

Appare evidente che anche con questa visione della felicità, come

imperturbabilità del saggio, è difficile parlare di diritto alla felicità perché

niente e nessuno possono togliere o garantire la felicità a chi basta a se

21 Plotino, Enneadi, I, 4,1 sgg.

22 Giovanni Fornero, Felicità (voce) in Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia, Op.cit p.468

23 Idem

24 Idem

25 Idem

8

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stesso.

La filosofia medievale ha ribadito e fatto propri questi concetti, talora

adattando ad essi (come ha fatto San Tommaso d’Aquino) la stessa dottrina

aristotelica, estendendoli alla generalità degli uomini26.

Dall'Umanesimo in poi la nozione di felicità comincia a essere strettamente

collegata, come era già stata per Cirenaici ed Epicurei, con quella di

piacere27.

Il De voluptate di Lorenzo Valla è imperniato su questa connessione che si

accentua nel mondo moderno28.

Essa trova concordi John Locke e Gottfried Wilhelm Leibniz29.

Locke dice che la felicita è il massimo piacere di cui siamo capaci e

l'infelicità è la massima pena; e l'infimo grado di ciò che può essere

chiamato felicità è di essere tanto liberi da ogni pena e di avere tanto

piacere presente da non poter essere contenti con meno30. Leibniz invece

sostiene: Io credo che la felicità sia un piacere durevole, ciò che non

potrebbe accadere senza un progresso continuo verso nuovi piaceri31.

26 Idem

27 Idem

28 Lorenzo Valla, De voluptate

29 Giovanni Fornero, Felicità (voce) in Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia, Op.cit p.468

30 John Locke, Saggio I, I, 21, 43

31 Gottfried Wilhelm Leibniz , Nouveaux Essais sur l'entendement humain

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La nozione della felicità come piacere, come somma o meglio come

“sistema” di piaceri secondo l'espressione del vecchio Aristippo, comincia

con David Hume ad acquistare un significato sociale: la felicità diventa

piacere diffusibile, il piacere del maggior numero di persone e in questa

forma la nozione di felicità diventa la base del movimento riformatore

inglese dell'80032.

Nel frattempo Immanuel Kant, dopo aver affermato come impossibile porre

la felicità a fondamento della vita morale, ne chiariva tuttavia

efficacemente la nozione senza ricorrere a quella di piacere33.

Nella Critica della ragion pratica possiamo leggere: “la felicità è la

condizione di un essere razionale nel mondo al quale, nell'intero corso

della sua vita, tutto avvenga secondo il suo desiderio e la sua volontà”34.

Kant ritiene che la felicità faccia parte integrante del sommo bene, il quale

è per l'uomo la sintesi di virtù e felicità35, ma tale sommo bene non è

realizzabile nel mondo naturale, sia perché nulla garantisce in questo

mondo la perfetta proporzione tra moralità e felicità in cui il sommo bene

consiste, sia perché nulla garantisce quel soddisfacimento pieno di tutti i

32 Giovanni Fornero, Felicità (voce) in Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia, Op.cit p.468

33 Idem

34 Immanuel Kant, Critica della ragion pratica, Dialettica, Sez.5

35 Giovanni Fornero, Felicità (voce) in Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia, Op.cit p.468

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desideri e tendenze dell'essere razionale in cui la felicità consiste36.

Nel mondo naturale, pertanto, la felicità è dichiarata da Kant impossibile e

rinviata in un mondo intellegibile che è il regno della grazia37.

Kant ha avuto il merito, in primo luogo, di enunciare in modo rigoroso la

nozione di felicità e, in secondo luogo, quello di mostrare che tale nozione

è empiricamente irrealizzabile38.

Non è possibile infatti che si concretizzino tutte le tendenze, inclinazioni,

volizioni dell'uomo perché, da un lato, la natura non si preoccupa di venire

incontro all'uomo in vista di tale soddisfazione totale e, dall'altro, gli stessi

bisogni e le stesse inclinazioni non rimangono mai ferme nella quiete

dell'appagamento39.

Ricondotta al concetto di soddisfazione assoluta e totale, sul quale insiste

anche Friedrich Hegel, la felicità diviene l'ideale di uno stato o condizione

inattingibile, salvo che in mondo soprannaturale e per intervento di un

principio onnipotente40.

Non fa quindi meraviglia che tutta quella parte della filosofia moderna che

è passata attraverso il filtro del kantismo abbia trascurato la nozione di

36 Idem

37 Immanuel Kant, Critica della ragion pura, Dottrina del metodo, cap II, sez.2

38 Giovanni Fornero, Felicità (voce) in Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia, Op.cit p.468

39 Immanuel Kant, Critica del giudizio

40 Giovanni Fornero, Felicità (voce) in Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia, Op.cit p.468

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felicità e non se ne sia avvalsa per l'analisi di ciò che l'esistenza umana è e

deve essere41.

Tuttavia, l'empirismo inglese aveva iniziato con Hume (come già si è detto)

un nuovo sviluppo in senso sociale della nozione, sviluppo che è proprio

dell'utilitarismo42.

Hume aveva osservato che nel far le lodi di qualche persona benefica e

umana non si manca mai di mettere in luce la felicità e la soddisfazione

che derivano alla società umana dalla sua azione e dai suoi buoni uffici43.

Pertanto, aveva identificato ciò che è moralmente buono con ciò che è utile

e benefico.

Dopo di lui Jeremy Bentham riprendeva come fondamento della morale la

formula di Cesare Beccaria: la massima felicità possibile del maggior

numero possibile di persone, formula a cui si ispirarono anche James Mill e

John Stuart Mill, accentuandone sempre di più il carattere sociale44.

Non si trova in questi autori un concetto rigoroso di felicità ma non si

rinviene anche quell'irrigidimento e assolutizzazione della nozione che essa

aveva subìto in Kant e che l'aveva resa socialmente “inservibile”45.

41 Idem

42 Giovanni Fornero, Felicità (voce) in Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia, Op.cit p.468

43 David Hume, An Enquiry Concerning the Principles of Morals

44 Giovanni Fornero, Felicità (voce) in Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia, Op.cit p.469

45 Idem

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Essi sanno anche che la felicità, dipendente com'è da condizioni e

circostanze oggettive oltreché dagli atteggiamenti dell'uomo, non può

appartenere all'uomo nella sua singolarità, ma all'uomo in quanto è membro

di un mondo sociale46, e se collegano la felicità con il piacere distinguono

tra piacere e piacere, ammettendo l'identificazione solo per quei piaceri che

sono socialmente partecipabili47.

Bertrand Russell è stato uno dei pochi contemporanei a difendere il

concetto tradizionale di felicità48, a cui aggiunge (oltre alla persuasiva

analisi delle forme moderne di infelicità), una condizione che ritiene

indispensabile ovvero la molteplicità degli interessi, dei rapporti dell'uomo

con le cose e con gli altri uomini, e da qui l'eliminazione dell'egocentrismo,

della chiusura in se stessi e nelle proprie passioni49: la felicità non può

essere autoreferenziale.

Si tratta di una condizione che pone la felicità al polo opposto di quella

autosufficienza del saggio in cui gli antichi ponevano il grado più alto di

essa50.

Dall'altro lato i filosofi non riuscendo più ad utilizzare la nozione di felicità

46 Idem

47 Idem

48 Bertrand Russell, La conquista della felicità

49 Idem

50 Giovanni Fornero, Felicità (voce) in Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia, Op.cit p.469

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come fondamento o principio della vita morale, si sono, di regola,

disinteressati della nozione stessa51.

In seguito alla riabilitazione della filosofia pratica e alla rinascita dell'etica

normativa la felicità è tornata ad attirare l'attenzione dei filosofi (analitici e

continentali) pur nella consapevolezza del carattere estremamente

complesso e pluridimensionale di tale concetto, per usare le parole di

Robert Nozick nel La vita pensata52.

Questa situazione ha fatto sì che, parallelamente alle varie trattazioni del

tema (da Wladyslaw Tatarkiewcz a Julian Marìas, da Robert Nozick a

Salvatore Natoli ecc.) e alla ripresa creativa dei modelli tradizionali

(eudaimonismo, edonismo, utilitarismo ecc.) si sia riproposta la spaccatura

tra:

1 coloro per i quali la felicità coincide con una situazione di

appagamento parziale di esigenze umane ritenute, di volta in volta,

centrali o imprescindibili (significato debole di felicità);

2 coloro per i quali la vera felicità non si esaurisce al livello 1, ma

coincide, nella sua pienezza, con una (ipotetica) situazione di

appagamento totale (significato forte di felicità)53.

51 Idem

52 Robert Nozick, La vita pensata

53 Giovanni Fornero, Felicità (voce) in Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia, Op.cit p.469

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I fautori del significato forte di solito approdano ad una soluzione di tipo

metafisico-religioso fondata sulla tesi, presente nei classici della filosofia

cristiana, secondo cui niente può appagare la volontà umana, se non il

bene universale (totale, infinito) che non si trova in un bene creato, ma

soltanto in Dio (San Tommaso), oppure pervengono alla pessimistica

conclusione che il desiderio umano di felicità completa è destinato ad

urtare contro il silenzio irragionevole del mondo (Camus)54 e, quindi, a

rimanere inappagato (lo psichiatra Gerard Schmit e lo psicanalista Miguel

Benasayag chiamano la contemporaneità L'epoca delle passioni tristi55 ed il

tema è trattato anche dall'antropologo Marc Augé in Le nuove paure56).

Una posizione intermedia tra 1 e 2 è rappresentata da coloro che, pur

constatando la presenza nell'uomo di un desiderio strutturale di pienezza

(ovvero di un anelito verso l'infinito) non credono nell'esistenza (o nella

conoscibilità) di un referente oggettivo di esso e, quindi, ripiegano

(consapevolmente) sulla nozione di felicità relativa (o debole) ritenuta la

sola che si possa sperimentare e di cui si possa filosoficamente discutere, in

termini sia etici sia socio-politici57.

54 Idem

55 Benasayag Michel, Schmit Gerard, L'epoca delle passioni tristi, Universale economica Feltrinelli, 2013

56 Auge Marc, Le nuove paure, Che cosa temiamo oggi?, Bollati Boringhieri, 2013

57 Giovanni Fornero, Felicità (voce) in Nicola Abbagnano, Dizionario di filosofia, Op.cit p.469

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Quindi, come abbiamo visto esistono due dimensioni della felicità: quella

individuale e quella pubblica ed è questo secondo aspetto

sociale/politico/giuridico che si collega maggiormente con l'oggetto del

presente lavoro.

Al riguardo si è interrogato Remo Bodei, nel suo articolo Felicità e

politica, il quale parte dalla percezione diffusa della fine di una fase

caratterizzata dalla fede nelle capacità della politica, sottolineando come si

sia chiuso un ciclo bicentenario, dalla Rivoluzione francese alla fine

dell'Unione sovietica (1991), in cui si è creduto in un potere salvifico della

politica e della storia, le quali avrebbero condotto finalmente gli uomini

alla felicità (il regno della libertà, la società senza classi, il progresso)58.

Anche Mussolini aveva sottolineato il concetto nella voce Fascismo, scritta

di suo pugno, dell'Enciclopedia italiana (1932): “Perciò il fascismo è

contro tutte le astrazioni individualistiche, a base materialistica, tipo sec

XVIII; ed è contro tutte le utopie e le innovazioni giacobine. Esso non

crede possibile la felicità sulla terra, come fu nel desiderio della

letteratura economicistica del'700, e quindi respinge tutte le concezioni

teologiche per cui ad un certo periodo della storia ci sarebbe una

sistemazione definitiva del genere umano”.

A riguardo anche Michel Onfray in Politiche della felicità, riprendendo il

58 Remo Bodei, Felicità e politica in www.swif.uniba.it

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pensiero di Bakunin, Fourier, Owen, Bentham, Stuart Mill e Flora Tristan,

sottolinea come in nessun periodo storico come nell'Ottocento i filosofi

hanno saputo immaginare la felicità in terra, il benessere per il maggior

numero possibile degli esseri umani; all'Ottocento materialista ed edonista

dobbiamo tornare, secondo Onfray, per rinnovare le idee e le ispirazioni

della nostra società in crisi59.

La storia del pensiero economico incontra l’espressione e il concetto di

pubblica felicità nell’Italia e poi nella Francia illuminista.

In particolare, la tradizione dell’economia civile della Napoli di Antonio

Genovesi e della Milano di Pietro Verri definiva la nascente scienza

economica come la «scienza della pubblica felicità»60, indicando nella

felicità pubblica l’obiettivo della nuova scienza economica e

differenziandosi così dalla contemporanea tradizione scozzese e inglese

che, invece, sceglieva la ricchezza delle nazioni come l’oggetto della nuova

political economy (The wealth of nations, è il titolo, e non a caso, della

celebre opera di Adam Smith del 1776)61.

Legata al concetto di pubblica felicità è anche il mito dell'isola o città felice

di cui si occupa Antonio Trampus62: interessante in tal senso è l'opera Città

59 Michel Onfray, Politiche della felicità, Controstoria della filosofia V, Adriani Salani Editori S.p.a, 2012

60 Luigino Bruni, Economia e felicità (voce) in Enciclopedia Treccani, 2009

61 Idem

62 Antonio Trampus, Il diritto alla felicità, Storia di un'idea, Op.cit p.40

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felice (1553) di Francesco Patrizi.

Patrizi riparte dall'analogia umanistica tra la società umana e il corpo fisico

attribuendo alla città felice funzioni fisiologiche che si esprimono nel suo

ordinamento politico e sociale: deve prendersi cura dei corpi degli uomini

che l'abitano perché essa stessa è un corpo, che serve al nutrimento

dell'anima e consente di raggiungere la felicità, intesa come esperienza di

vita compiuta, come “abbondanza del vivere e del vestire” e ecome buon

governo63.

Accanto a tante utopie, la cultura del '500 inventa anche un altro mito di

città felice: quello di Venezia64.

La città dei Dogi diventa il paradigma della città felice, “un porto

tranquillo di quiete”, come scrive il filosofo Bernardino Tomitano; sempre

su questa città il fiorentino Donato Giannotti afferma che la sua felicità

“non consiste nella grandezza dello imperio, ma sì bene nel vivere con

tranquillità e pace universale”65.

Francesco Sansovino parla di Venezia come la città in cui l'uomo è “del

tutto felicissimo” in quanto padrone “assoluto di sé medesimo et della sua

facoltà, senza tema di essere spogliato o tiranneggiato”66.

63 Idem

64 id.pp.41,42,43

65 Antonio Trampus, Il diritto alla felicità, Storia di un'idea, Op.cit p.42

66 Idem

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A Venezia “finalmente ogni uno, per la parte sua, gode et è partecipe di

quella piena contentezza che si può desiderare”67.

Sansovino parla anche dell'isola d'Utopia narrata da Moro e la definisce

“governata da ottime leggi, et ridotta in somma pace et in felicità,

acciocché gli uomini imparassero dalla sua piacevolissima fitione di trovar

il vero modo di viver bene et felicemente”68.

Anche Francesco Bacone si occupa dell'aspetto sociale del concetto di

felicità nei suo Saggi morali (1597) in uno dei quali, Dell'amicizia, parte

dall'idea di solitudine per affermare che l'uomo solitario è infelice e che la

felicità è raggiungibile soltanto mediante la vita in società.

E' evidente che una nuova fase del discorso sulla felicità si sta aprendo:

esso non investe più l'individuo considerato isolatamente ma coinvolge il

suo rapporto con la società, all'interno di un più ampio processo di

secolarizzazione che tende sempre di più a spostare il dibattito sulla felicità

verso il terreno della politica69.

Nel Trattato teologico-politico (1670) Baruch Spinoza afferma: “la felicità

e la tranquillità di chi coltiva l'intelletto naturale dipendono

principalmente non dal dominio della fortuna (cioè dall'ausilio esterno di

67 Idem

68 id.p.43

69 id.p.58

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Dio), ma dalla sua interna virtù (cioè dall'ausilio interno di Dio) poiché,

vigilando agendo e decidendo con senno, costui provvede per il meglio alla

propria conservazione”.

I veri filosofi, secondo Spinoza, “ripongono la vera felicità nella sola virtù

e tranquillità dell'animo e non pretendono che la natura si conformi ai loro

desideri, perché sono essi a conformarsi alla natura. Sanno infatti con

certezza che Dio dirige la natura secondo leggi universali, e non esigono

che lo faccia secondo le leggi particolari della natura umana; sanno

quindi che Dio tiene conto di tutta la natura, e non solo del genere

umano”.

Per Spinoza sul piano politico la via individuale alla ricerca della felicità,

che è l'utilità, può essere rafforzata da un patto comune tra gli uomini che la

trasforma in una pratica collettiva all'interno della forma di governo più

razionale in cui può evolversi, cioè la democrazia70.

E' difficile infatti accettare l'idea che siano invece l'obbedienza e la

sottomissione, cardini delle religioni rivelate, le vie di accesso alla salvezza

e alla beatitudine eterna; in una democrazia, quindi, ciascuno potrà

accedere a una felicità adeguata alle proprie capacità e prospettive di vita71.

Anche Giacomo Casanova nelle sue riflessioni filosofiche afferma che

70 id.p.69

71 id.p.69

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“l'adempimento di quei taciti patti che ogni sovrano contrae con li suoi

sudditi e non la coartata docilità di questi nell'eseguir i decreti da quello

emanati sono li fondamenti che costituiscono la felicità delle nazioni”72.

L'Illuminismo si innamorerà del tema della felicità (Saint-Just arriverà a

dire che la felicità è un pensiero nuovo in Europa73): interessante ed

esemplificativa è la voce Società della famosa Enciclopedia, scritta da

Diderot in persona74.

Essa afferma che “l'intera economia dell'umana società si basa su questo

principio generale e semplice: io voglio essere felice, ma io vivo con

uomini che, come me, vogliono ugualmente essere felici, ciascuno per loro

conto; cerchiamo i mezzi di procurare la nostra felicità procurando la loro,

o quanto meno senza mai nuocervi”.

Naturalmente anche la cultura giuridica sarà influenzata da questo

“pensiero nuovo” trasformandosi in strumento regolatore dei rapporti

sociali e della vita pubblica, in particolare grazie al diritto naturale75.

Già dal Seicento giuristi come Grozio e Pufendorf si erano posti il

problema di come rendere la società felice e la loro riflessione sarà ripresa

72 StOA, fondo Casanova, Marr 12-82

73 Remo Bodei, Geometria delle passioni, Paura, speranza, felicità: filosofia e uso politico, Saggi- Universale Economica Feltrinelli, 2010 p.403

74 Antonio Trampus, Il diritto alla felicità, Storia di un'idea, Op.cit p.146

75 id.p.147

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da Montesquieu in vari punti dello Spirito delle leggi (1748)76.

Egli si interroga soprattutto su quale sia la miglior forma di governo: ecco

quindi che “l'amore della democrazia è anche l'amore della frugalità.

Dovendo infatti ciascuno avervi la stessa felicità e gli stessi vantaggi, vi

deve godere gli stessi piaceri e formare le stesse speranze; cosa che non si

può pretendere che dalla frugalità generale”. E ancora: “il buon senso e la

felicità dei privati consistono molto nella mediocrità del loro ingegno e

delle loro ricchezze. Una repubblica in cui le leggi avranno formato molta

gente mediocre, composta di persone sagge, si governerà saggiamente;

composta di persone felici sarà felicissima”.

Ephraim Gerhard nei suoi Lineamenti di diritto naturale (1712) nota come

è chiaro, a partire dall'esperienza, che l'uomo cerca e deve cercare di

raggiungere la sua felicità e di conservarla. Quindi la giurisprudenza

naturale deve essere trattata a partire dai principi della sapienza. Quanti

sono i mezzi per il raggiungimento della felicità, altrettanto sono le norme

delle azioni umane e altrettante sono le specie di moralità.

Elie Luzac pubblica nel 1754 a Berlino La felicità, ossia nuovo sistema di

giurisprudenza naturale in cui ricava giusnaturalisticamente un catalogo

dei diritti e dei doveri77.

76 id.p.147

77 id.p.149

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Anche gli Illuministi italiani si occupano del tema.

Pietro Verri, ad esempio, stampa nel 1763 Meditazioni sulla felicità nelle

quali riutilizza, però, ampiamente lo schema della costruzione di una

società attraverso la massimizzazione del piacere, di una società in cui la

felicità appare una garanzia per il benessere di ciascuno78.

Scrive infatti: “tutte le leggi fittizie [nel senso di fatte dall'uomo] devono

dunque avere per iscopo la pubblica felicità, ed essendo interesse di ogni

membro mantenere sì fatta unione, è interesse pure di ogni membro che si

osservino le leggi per le quali sussiste, giacché violandole ecciterebbe gli

altri a rimettere contro di lui unitamente in vigore la primigenia legge

della forza. La legislazione più perfetta di tutte è quella in cui i doveri e i

diritti dell'uomo sieno chiari e sicuri, e dove sia distribuita la felicità colla

più eguale misura possibile su tutti i membri”.

Anche Beccaria, nel suo Dei delitti e delle pene (1766), insiste

ripetutamente sul tema della felicità79.

La felicità nella vita terrena nasce “dalle sorgenti dalle quali derivano i

principi morali e regolatori degli uomini”, che sono la Rivelazione la legge

di natura e i patti tra gli uomini, ma la pubblica felicità, quella della società

nel suo insieme, è amministrata solo dai governanti che sono “i benefattori

78 id.p.167

79 id.p.168

23

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dell'umanità che ci reggono” (A. Genovesi in Delle lezioni di commercio o

sia di economia civile definisce il sovrano come colui “che è supremo ed

indipendente moderatore per la pubblica felicità, cioè per la felicità di

tutto il corpo e di ciascun membro”).

Nella stessa opera Beccaria scrive: “è meglio prevenire i delitti che punirli.

Questo è il fine principale di ogni buona legislazione, che è l'arte di

condurre gli uomini al massimo di felicità o al minimo di infelicità

possibile”.

Sempre sul rapporto tra diritto penale e felicità Francesco Mario Pagano nel

Progetto di costituzione della repubblica napoletana (1799) scriverà: “il

criminale processo, stabilendo la forma de' pubblici giudizi, è la custodia

della libertà, la trincera contro la prepotenza, l'indice certo della felicità

nazionale”.

Il napoletano Gaetano Filangieri nell'introduzione al primo libro della

Scienza della legislazione (1780) scrive: “La scena si è mutata, ed i

Principi hanno cominciato a conoscere che la vita e la tranquillità degli

uomini meritano rispetto e che le buone leggi sono l'unico sostegno della

felicità nazionale”.

Nel La morale pubblica scrive: “siccome lo scopo della morale è la felicità

quello della morale pubblica sarà la pubblica felicità. In ogni Nazione

bisogna cercare i mezzi per ottenerla, così nell'interno, come nell'esterno

24

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di essa. […] L'interna felicità di una Nazione non può essere che l'effetto di

una buona legislazione”.

Anche d' Holbach si occupa del tema e nel Sistema della natura (1770)

spiega come ciascuno di noi desidera una felicità coerente con le proprie

passioni e facoltà intellettuali, con i propri desideri e caratteri, secondo una

strategia che è assolutamente individuale e che, quindi, non autorizza l'altro

a giudicare di noi stessi80.

L'unica cosa che ci accomuna agli altri uomini è il fatto di desiderare una

felicità duratura e di riunirci in società per rendere questo obiettivo

raggiungibile, al di là della diversità dei temperamenti: e tutto questo

nonostante l'esperienza dimostri che “di tutti i nostri progetti, il più

ineseguibile per un essere che vive in società è quello di voler rendere

felici esclusivamente se stessi”81.

D'Holbach ricollega il discorso sulla felicità alla sua polemica contro la

religione: “Quanto più l'uomo è ignorante, o privo d'esperienza, tanto più

soggiace al terrore, la solitudine, l'oscurità delle foreste, il silenzio e le

tenebre della notte, il fischio dei venti, i rumori improvvisi e confusi, sono

per chiunque non vi sia abituato oggetti di terrore; l'uomo ignorante è un

bambino che tutto sorprende e fa tremare […] Nel seno appunto

80 id.p.171

81 Idem

25

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dell'ignoranza, delle apprensioni e delle calamità gli uomini hanno sempre

attinto le prime nozioni della divinità […] L'idea della divinità risveglia

sempre in noi idee di desolazione: se risalissimo all'origine delle nostre

paure di oggi, e dei pensieri lugubri che sorgono nel nostro spirito ogni

volta che ne udiamo pronunciare il nome, la ritroveremmo nei diluvi, nelle

rivoluzioni, nei disastri che hanno distrutto una parte del genere umano e

costernato gli infelici sfuggiti alla distruzione della terra”.

La diagnosi è precisa: la religione nasce da uno stato di infelicità e

missione dell'uomo e dei legislatori è uscire da questo stato82.

La vera felicità, secondo il filosofo, non può essere separata dal contesto

sociale in cui si vive e compare solo quando vengono assecondati l'amore e

l'interesse alla propria conservazione83.

Qui ritroviamo un primo dovere dell'uomo, reso evidente dalla morale, cioè

dall'arte “di rendere l'uomo felice attraverso la conoscenza e la pratica dei

suoi doveri”84.

Nel 1770 anche Diderot si butta nel dibattito sulla felicità e lo fa scrivendo

una recensione a una raccolta di saggi morali apparsa con il titolo Il tempio

della felicità.

Scrive: “ero molto giovane quando mi venne in mente che la morale intera 82 id.p.172

83 Idem

84 Idem

26

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consistesse nel provare agli uomini che, dopotutto, per essere felici non

c'era niente di meglio da fare, in questo mondo, che essere virtuosi; subito

mi sono messo a meditare su questo problema e ci sto ancora meditando”

arrivando così a “...capire quanto la felicità di un uomo differisca da quella

di un altro e a provare disgusto per tutti quei trattati sulla felicità che sono

soltanto la storia della felicità di coloro che li hanno composti”.

“L'io vuole essere felice. Questa tendenza costante è la fonte eterna,

permanente di tutti i suoi doveri, anche i più minuziosi. Qualunque legge

contraria è un crimine di lesa umanità, un atto di tirannia”.

“Io sono convinto che non può esservi una vera felicità per la specie

umana se non in uno stato sociale in cui non vi sarebbero né re, né

magistrati, né preti, né leggi, né tuo, né mio, né proprietà mobiliare, né

proprietà fondiaria, né vizi né virtù; e questo stato ideale è maledettamente

ideale”.

Nei Colloqui con Caterina II Diderot afferma più moderatamente:

“bisogna innanzitutto che la società sia felice; e lo sarà se la libertà e la

proprietà sono garantite; se il commercio non viene intralciato; se tutti gli

ordini di cittadini sono ugualmente soggetti alle leggi, se le tasse vengono

pagate in ragione della possibilità o ben suddivise; se non oltrepassano le

esigenze dello Stato; e se la virtù e i talenti vi trovano una ricompensa

sicura” (Nel 1897 il grande studioso di scienze dell'amministrazione

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Lorenz Von Stein dirà in La scienza della pubblica amministrazione che

compito dell'amministrazione è garantire l'ofelimità dei cittadini85) .

Sempre Diderot: “il filosofo parla invano per il momento presente […]

illumina gli uomini sui loro diritti inalienabili e […] prepara alle

rivoluzioni, che sopraggiungono sempre quando si è arrivati all'estremo

dell'infelicità”: si sta aprendo la stagione delle rivoluzioni.

Ma per capire la genesi del diritto alla felicità bisogna fare un passo

indietro e spostarsi verso un luogo che all'epoca era veramente una periferia

del Continente europeo, la Corsica.

L'isola, dal Quattrocento dominio dei Genovesi, nel 1730 si ribella:

vengono nominati due “generali” della nazione Corsa e vengono presentate

una serie di richieste al governo di Genova86.

Alla risposta delle armi segue l'inizio di una lunga resistenza destinata a

protrarsi per quasi quarant'anni87.

Nel 1755 sbarca sull'isola, proveniente da Napoli, un giovane condottiero

che assume la guida del movimento rivoluzionario: Pasquale Paoli88.

Nel Novembre dello stesso anno, in occasione di una assemblea chiamata

85 Rosario Ferrara, Il diritto alla felicità e il Diritto amministrativo in Follieri E. e Iannotta L. (a cura di), Scritti in ricordo di Francesco Pugliese, ed.Scientifiche Italiana, 2010 p.87

86 Antonio Trampus, Il diritto alla felicità, Storia di un'idea, Op.cit p.183

87 Idem

88 Idem

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“Dieta generale”, si delinea la nuova architettura politica del paese e viene

stesa una dichiarazione finale che viene considerata una delle prime

costituzioni moderne89.

Con questo documento il tema della felicità, che è stato prima un'idea

religiosa e filosofica e, poi, un principio politico, entra a far parte della

cultura costituzionale trasformandosi in un diritto90.

Vi si legge infatti: “La Dieta Generale del popolo della Corsica,

lecitamente Patrone di se medesimo, secondo la forma dal Generale

convocata nella Città di Corte sotto i giorni 16-17-18 Novembre 1755.

Volendo, riacquistata la sua libertà, dar forma durevole e costante al suo

governo riducendoli a costituzione tale che da essa ne derivi la felicità

della Nazione, ha decretato e decreta... [seguono le disposizioni adottate]”.

In Europa e in America nasce il mito della rivoluzione Corsa91.

La felicità é diventata quindi un diritto?

Voltaire ci ha creduto sin dal 1738, avendo auspicato nel Primo discorso

sull'uomo: “aver stessi diritti alla felicità, questa è per noi uguaglianza

perfetta” e le precoci esperienze costituzionali della Corsica sembrano

dargli ragione92.

89 Idem

90 Idem

91 Id.p.184

92 id.p.185

29

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Altro tassello dell'affermarsi di questo diritto è l'esperienza americana che

affronterò in un capitolo interamente dedicato.

Degno di nota in questo percorso storico è ciò che succede in Toscana,

governata dagli Asburgo, alla fine del XVIII secolo.

Il Granduca Pietro Leopoldo, figlio di Maria Teresa e fratello

dell'Imperatore Giuseppe II, comincia nel 1778 a lavorare su un progetto

costituzionale per la Toscana, abbandonato soltanto quando, nel 1789,

comincerà a levarsi in Francia il vento della Rivoluzione.

Il Granduca scrive: “in una ben composta società tutti e qualunque membro

componente la medesima [hanno] un egual diritto alla felicità, ben'essere,

sicurezza e proprietà, che consiste nel libero, tranquillo e sicuro godimento

e dominio dei propri beni e per conseguenza anche al poter invigilare alla

medesima ed all'influenza nella legislazione, che deve obbligare tutti”93.

Quello che è interessante di questa rivendicazione del diritto alla felicità è

che essa si inserisce in un quadro politico molto diverso da quello

dell'America repubblicana94.

In Toscana governa un Principe, seppur illuminato, il cui potere discende

per grazia divina e che ha il dovere di provvedere al benessere dei sudditi95.

Nelle successive versioni sempre il Granduca parla della “possibile felicità 93 id.p.195

94 Idem

95 Idem

30

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umana nel carattere dell'onesta libertà civile”, contrapposta all'infelicità

dell'epoca in cui governava la precedente dinastia dei Medici, e, qualche

tempo dopo, precisa che occorre assicurare “la possibile felicità umana nel

carattere dell'onesta libertà sociale ed il godimento pacifico, sicuro e

tranquillo della loro proprietà industria e libertà”96.

Nel frattempo, anche a Napoli si diffonde l'ideale della felicità pubblica:

nel 1779 Isidoro Bianchi pubblica Meditazioni su vari punti di felicità

pubblica e privata dove tratta del rapporto tra morale e felicità, del governo

e della relazione tra i diritti e i doveri97.

Bianchi sostiene che: “la forma di governo, la legislazione, le scienze,

l'economia politica, la virtù e l'industria de' privati cittadini, il genio delle

arti, l'educazione, la morale sono, per così dire, tante parti della pubblica

felicità”; per questo motivo “dunque dobbiamo parlare di felicità nello

stato in cui ci troviamo, nel sistema cioè della ineguaglianza degli uomini e

della loro necessaria dipendenza e debolezza, nel sistema de' nostri

molteplici e reciproci bisogni e delle passioni più furiose, che dominano

tutti gli enti morali, che convivono insieme”.

Un anno dopo (1780) il suo allievo Gaetano Filangeri pubblica la Scienza

della legislazione.

96 Idem

97 id.p.196

31

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Felicità, uguaglianza, libertà, repubblicanesimo e diritti dell'uomo vengono

ora riletti attraverso l'entusiasmo per l'esperimento politico che si sta

realizzando nel Continente americano98.

Bisogna eliminare le vestigia del feudalesimo, avviare un progetto di

emancipazione dell'uomo e della società con lo stesso coraggio dimostrato

dagli americani, eliminando quanto di antico ancora si oppone alla

rigenerazione dell'individuo99: “tolti adunque tutti questi ostacoli, altro non

ci resta che intraprendere la riforma della legislazione. Pare che questa sia

l'ultima mano che resta a dare per compiere l'opera della felicità degli

uomini; e pare che la situazione stessa delle cose l'abbia preparata. […]

L'Europa divenuta per undici secoli il teatro della guerra e della discordia,

l'Europa schiacciata […] dalle dispute religiose che hanno alterata la

morale e perpetuata l'ignoranza; oppressa finalmente dalla tirannia di

tanti piccioli despoti, coperta di fanatici e di guerrieri ed accesa in ogni

parte dal fuoco distruttore dei partiti, oggi è divenuta la sede della

tranquillità e della ragione”100.

Osserva Filangeri: “un istante felice, una vittoria d'un giorno può

compensare le sconfitte di più anni, ma un errore politico, un errore di

legislazione può produrre l'infelicità d'un secolo e può preparare quella de' 98 id.p.197

99 Id.p.198

100 Idem

32

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secoli avvenire”101.

La Rivoluzione francese vede il passaggio dal diritto alla ricerca della

felicità al diritto alla felicità102.

In una prima fase, il dibattito si svolge prevalentemente all'interno

dell'Assemblea nazionale: il deputato Pétion, futuro sindaco di Parigi, ad

esempio, pubblica un progetto di dichiarazione dei diritti dell'uomo e del

cittadino nel quale, all'art. 2, si recita che “lo scopo di ogni associazione

[politica] deve essere di procurare agli individui che la compongono la

maggior somma di felicità, di libertà e di sicurezza”103.

Il 27 Luglio 1789 il deputato Mounier presenta un progetto di Costituzione

il cui primo articolo afferma solennemente che “tutti gli uomini hanno una

invincibile tendenza alla ricerca della felicità; è per giungervi mercè la

riunione dei loro sforzi che essi hanno formato la società e stabilito dei

governi. Ogni governo deve dunque avere come scopo la felicità

generale”104.

Si prosegue affermando “che gli uomini, per essere felici, devono avere il

libero ed intero esercizio di tutte le loro facoltà fisiche e morali” (art 4) e

che “il governo, per procurare la felicità generale, deve dunque proteggere

101 Id.p.199

102 Id.p.203

103 Idem

104 Id.p.204

33

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i diritti e prescrivere i doveri” (art 9).

Gli stessi concetti sono ripresi in diversi progetti di Costituzione: Target

scrive che “i governi sono istituiti soltanto per la felicità degli uomini;

felicità che, applicata a tutti, non esprime che il pieno e libero esercizio dei

diritti naturali” (art 1) e il deputato Crénière che “la natura ha messo nel

cuore dell'uomo il bisogno e il desiderio imperioso della felicità. Lo stato

di Società politica lo conduce verso questo scopo, riunendo le forze

individuali per assicurare la felicità comune”.

La sesta commissione della stessa Assemblea nazionale predispone, poi,

uno schema in cui l'art 1 si stabilisce che “ogni uomo tiene dalla natura il

diritto di vegliare alla sua conservazione e il desiderio di essere felice”105.

Nella stesura definitiva della dichiarazione dei diritti la felicità si sposta nel

preambolo, dove si afferma che i diritti dell'uomo e del cittadino sono

riconosciuti e dichiarati “affinché i reclami dei cittadini, fondati da ora

innanzi su dei principi semplici ed incontestabili, abbiano sempre per

risultato il mantenimento della costituzione e la felicità di tutti”.

Sieyès afferma che “la libertà, l'ordine e la pubblica felicità possono

trovare solide basi solo nei principi immutabili della giustizia e della

ragione”106.

105 Idem

106 Id.p.205

34

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Con la presa del potere dei giacobini (che istituiranno una festa dell'anno

dedicata alla “felicità sociale”) si progetta una nuova Costituzione, votata il

24 giugno 1793, il cui art. 1 dichiara che “lo scopo della società è la

felicità comune”.

Saint-Just, nel rapporto del Comitato di salute pubblica, si rivolge ai

francesi e ai membri della Convenzione affinché “l'Europa sappia che non

volete più un despota né un oppressore sul territorio francese; che

quest'esempio produca frutti sulla terra; che serva a propagare l'amore per

la virtù e la felicità!”107.

Deluso e sfiduciato dal degenerare della rivoluzione, alla fine del 1793,

l'economista e filosofo triestino Antonio de Giuliani indirizza un appello

alla Convenzione in cui leggiamo: “avete ridotto ad infallibili assiomi

l'umana felicità […]; non si parla che di felicità; e gli uomini si lamentano

sempre di essere infelici. Siam giunti al quarto anno di questa felice

rivoluzione che, diretta da uomini pieni di talento, dovea cangiare il

destino della Francia […]. Ma si è egli mai veduto finora altra cosa che

carnefice, eccessi terribili e saccheggi; uomini arrabbiati scannarsi a

vicenda, prigioni ripiene di vittime dimenticate, innocenti immolati da un

popolo furioso, e finalmente orrori inauditi, che hanno fatto fremere

l'umanità? E questa è dunque la strada per cui si va alla felicità?”.

107 Id.p.207

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Contemporaneamente nella lontana Prussia orientale Kant si scaglia contro

il diritto alla felicità108 e nell'opera Sul detto comune (1793) afferma che

sulla base della felicità “non può assolutamente essere dato alcun

fondamento valido per le leggi”109.

Una politica ispirata al principio della felicità pubblica, privo di ogni reale

contenuto determinato razionalmente, non può che produrre dispotismo110:

“il sovrano vuole fare felice il popolo secondo i suoi concetti e diventa

despota; il popolo non vuole lasciarsi portare via l'universale diritto di

tutti gli uomini alla propria felicità e diventa ribelle”111.

Interessante la notazione secondo la quale, mentre attacca il diritto alla

felicità, Kant sembra rimarcare l'importanza del diritto alla ricerca della

felicità.

In nessun modo si può pensare ad un ordine politico e giuridico razionale

che faccia leva sull'idea di felicità112 ma l'ordine politico razionale deve

ruotare intorno ai concetti di libertà e di diritto e la libertà individuale

consiste nel dare a ciascuno la possibilità di ricercare la sua felicità per la

108 Fulvia de Luise, Giuseppe Farinetti, Storia della felicità. Gli antichi e i moderni, Piccola Biblioteca Einaudi, 2001 p.497

109 Idem

110 Idem

111 Idem

112 Idem

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via che gli sembrerà migliore, purché non renda pregiudizio alla libertà

degli altri113: “nessuno mi può costringere ad essere felice a suo modo”.

“Il massimo dispotismo pensabile” consiste proprio in un governo paterno

che indichi ai suoi sudditi “come debbano essere felici”114.

Successivamente Hegel si scaglia tout court contro l'idea della felicità115:

“la felicità ha il contenuto affermativo solo negli impulsi, ad essi è affidata

la decisione; ed è il sentimento ed il capriccio soggettivo a dover stabilire

in ultima istanza dove debba essere riposta la felicità” (Enciclopedia delle

scienze filosofiche).

Secondo Hegel fino alla filosofia kantiana “ogni morale, dai Greci ai

moderni, si è fondata sul primato dell'eudaimonismo, della felicità”.

Prima di Kant “nel campo morale predominava … la cosiddetta teoria

della felicità: il concetto dell'uomo e il modo in cui deve realizzare questo

concetto erano intesi nella morale come un appagamento dei suoi impulsi.

Kant ha giustamente dimostrato che anche questo modo di vedere è

eteronomia, non autonomia della ragione, una determinazione secondo

natura, quindi senza libertà” (Lezioni sulla storia della filosofia)116.

113 Idem

114 Idem

115 Id.pp.498,499,500

116 Id.p.499

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“Felice si dice infatti colui che si trova in armonia con se stesso”, colui che

realizza la “sua particolarità” e non si può pensare la storia dal punto di

vista degli individui: “la storia non è il terreno della felicità. I periodi di

felicità sono in essa pagine vuote” (Lezioni sulla filosofia della storia)117

Rinunciando alla loro felicita “privata” “gli attori della storia universale,

che hanno perseguito tali fini, hanno certo soddisfatto se stessi, ma non

hanno voluto essere felici”118.

Nel frattempo Bentham nella Deontologia,opera incompiuta di integrazione

tra la felicità privata e i doveri pubblici, propone una modificazione di

lessico che sottolinea l'abbandono definitivo di modelli ad alta

connotazione intensiva: la parola felicità andrà sostituita con “benessere”

(well-being), termine che non esclude dolori e fastidi, limitandosi ad

attestare un saldo positivo, mantenuto per un tempo abbastanza lungo da

risultare soddisfacente119: “la parola felicità invece di ben-essere non sarà

ugualmente adatta al proposito. Sembra non solo escludere dal bilancio il

dolore in ogni sua forma, ma anche dare per scontato che i piaceri

sperimentati lo siano in un grado elevato e per così dire superlativo”120.

117 Idem

118 Id.p.500

119 Id.p.503

120 Idem

38

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L'idea di felicità muore in diversi modi: la parola perde la sua densità

filosofica121.

Abbiamo visto come nella prospettiva utilitaristica (la sola che mantenga

un filo diretto con il secolo della felicità e il suo riformismo civile), viene

sostituita da un più realistico richiamo al “benessere” e alla definizione di

questo in termini di “interesse”122.

E' significativo che John Stuart Mill, rendendo conto di una svolta

importante della sua filosofia di vita, dichiari senz'altro l'impraticabilità

della felicità come fine123.

La felicità che sfugge a chi la persegue tutta intera (e trova così

insufficiente ogni piacere) si offrirà con la spontaneità di una funzione

vitale a chi lavora “per qualche fine esterno ad essa”: “respirerete la

felicità con l'aria che respirate, senza soffermarvici o pensarci sopra,

senza anticiparla nell'immaginazione o metterla in fuga con domande

fatali. Una siffatta teoria diviene la base della mia filosofia di vita”, scrive

Mill nell'Autobiografia124.

Anche i romantici si scagliano contro il valore della felicità: “il cosiddetto

121 Id.p.513

122 Id.cap.28

123 Id.pp.504,505,506

124 Id.p.513

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eudaimonismo è un'evidente insensatezza”, scrive Novalis nel 1798 in una

lettera a August Schlegel: è assurdo “ fare di un'entità così fugace, com'è la

felicità,il fine ultimo, farne, in un certo senso, l'architrave dell'universo

spirituale”125.

Schopenhauer si allontana dal sogno della felicità: la vita è come un

pendolo che oscilla tra il dolore del bisogno e la noia che segue

l'appagamento: “Ogni felicità positiva è chimerica, mentre il dolore è reale

“( L'arte di essere felici)126.

Wittgenstein, nel 1916, in piena Prima Guerra Mondiale, afferma: “ Come

può l'uomo essere felice, se non può tenere lontana la miseria di questo

mondo?”Mediante la vita di conoscenza. La buona coscienza è la felicità

procurata dalla vita di conoscenza. La vita di conoscenza è la vita che è

felice nonostante la miseria del mondo” (Quaderni)127.

Nel bel mezzo delle tragedie del XX secolo è, dunque, difficile parlare di

felicità tanto più di quella pubblica.

Con Freud si arriva a parlare di disagio della civiltà: “ le nostre possibilità

di essere felici sono già limitate dalla nostra costituzione” “Provare

infelicità è assai meno difficile”“ Se la civiltà impone sacrifici tanto

125 Id.p.514

126 Id.p.517

127 Id.p.532

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grandi non solo alla sessualità, ma anche all' aggressività dell'uomo,

allora intendiamo meglio, perché l'uomo stenti a trovare in essa la sua

felicità” (Il disagio della civiltà, 1930)128.

Forse, dunque, non è un caso che dovremo aspettare molto tempo prima di

rivedere il diritto alla ricerca della felicità consacrato in un testo

costituzionale e, precisamente, bisogna attendere il 1946, anno in cui è

approvata la Costituzione giapponese il cui art. 13 recita: “All of the people

shall be respected as individuals. Their right to life, liberty, and the pursuit

of happiness shall, to the extent that it does not interfere with the public

welfare, be the supreme consideration in legislation and in other

governmental affairs”129.

La Costituzione, redatta all'indomani della sconfitta subita nel secondo

conflitto mondiale, nasce nel clima di democratizzazione e nelle drastiche

riforme introdotte durante il periodo dell'occupazione alleata sotto il

comando supremo del Generale Mac Arthur; redatta dallo staff del

generale, manifesta la sua evidente parentela con la Costituzione

americana130.

Un'altra Costituzione dove ritroviamo il tema della felicità é quella della

128 Id.pp.521-530

129 Www.japan.kantei.go.jp (sito ufficiale del Governo Giapponese) 15/12/14

130 Trampus Antonio, Il diritto alla felicità, Storia di un'idea, Op.cit p.220

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Corea del Sud, datata 1987.

Nel preambolo leggiamo: “[...]To elevate the quality of life for all citizens

and contribute to lasting world peace and the common prosperity of

mankind and thereby to ensure security, liberty and happiness for ourselves

and our posterity forever, Do hereby amend, through national referendum

following a resolution by the National Assembly, the Constitution [...]”131.

L'art. 10 recita: “All citizens shall be assured of human worth and dignity

and have the right to pursue happiness. It shall be the duty of the State to

confirm and guarantee the fundamental and inviolable human rights of

individuals”132.

Interessante notare come il diritto alla ricerca della felicità, reso famoso

dalla Dichiarazione d'indipendenza americana, sia riuscito a superare gli

steccati ideologici.

Infatti, la Dichiarazione d'indipendenza della Repubblica democratica del

Vietnam, pronunciata da Ho Chi Minh in persona il 2 settembre 1945,

recita: "All men are created equal. They are endowed by their Creator with

certain inalienable rights; among these are Life, Liberty, and the pursuit of

Happiness. This immortal statement was made in the in the Declaration of

131 Www.korea.assembly.go.kr (sito del parlamento coreano) 15/12/14

132 Www.korea.assembly.go.kr (sito del parlamento coreano) 15/12/14

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Independence of the United States of America in 1776. In a broader sense,

this means: All the peoples on the earth are equal from birth, all the

peoples have a right to live, to be happy and free. The Declaration of the

French Revolution made in 1791 on the Rights of Man and the Citizen also

states: All men are born free and with equal rights, and must always

remain free and have equal rights. Those are undeniable truths”133.

L'art 3 della Costituzione della Repubblica socialista del Vietnam,

approvata nel 1992, dichiara: “The State guarantees and unceasingly

promtites the people's mastery in all fields, and severely punishes all acts

violating the interests of the motherland and the people; it strives to build a

rich and strong country in which social justice prevail, all men have

enough to eat and to wear, enjoy freedom, happiness, and all necessary

conditions for complete development”134.

Da una tradizione filosofica molto diversa, quella buddista, proviene il

riferimento alla felicità che troviamo in un'altra Costituzione, quella del

Bhutan.

Questo regno si è reso famoso per aver sostituito, nel 1972 grazie

all'impulso del Re Jigme Singye Wangchuck, il calcolo della Felicità interna

lorda (Gross National Happiness) a quello del Prodotto interno lordo

133 Www.legacy.fordham.edu/halsall/mod/1945vietnam.asp (sito della Fordham university) 02/11/14

134 www.na.gov.vn (sito del parlamento vietnamita) 03/11/14

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(delineando così un nuovo paradigma di sviluppo)135.

Nel 2008 lo Stato si è dotato di una Costituzione il cui preambolo recita:

“Solemnly pledging ourselves to strengthen the sovereignty of bhutan, to

secure the blessings of liberty, to ensure justice and tranquillity and to

enhance the unity, happiness and well-being of the people for all time;”136.

Ancora più interessante è l'art. 9 comma 2: “The State shall strive to

promote those conditions that will enable the pursuit of Gross National

Happiness”137.

Provando a mettere un attimo da parte tutta la simpatia che questo regno

himalayano suscita, le sue vicende sono esemplificative del fatto che

l'obiettivo politico-giuridico della felicità pubblica possa condurre a

soluzioni illiberali.

Ad esempio, nel 2010 è stato approvato il Tobacco Control Act, legge che

proibisce la produzione e la vendita di tabacco prevedendo severe sanzioni

penali138.

Spostandoci dall'altra parte del Globo, nel 2010 la Commissione affari

costituzionali del senato brasiliano ha approvato l'emendamento

135 www.gnhc.gov.bt (sito della commissione governativa per la felicità interna lorda) 20/11/14

136 www.bhutanaudit.gov.bt (sito governativo) 25/11/14

137 www.bhutanaudit.gov.bt (sito governativo) 25/11/14

138 www.nationalcouncil.bt (sito del parlamento) 25/11/14

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costituzionale 19/10, chiamato “Pec da felicidade”, che così riscrive l'art. 6:

“social rights essential to the pursuit of happiness are: education, health,

food, work, housing, leisure, safety, welfare, protection of motherhood and

childhood, assistance to the destitute”139.

Degno di nota come in questo testo la ricerca della felicità venga collegata

strettamente alla garanzia dei diritti sociali.

Importante, in conclusione, è anche un atto di soft law: il 28 giugno 2012

l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha approvato la risoluzione

66/281 il cui testo recita:

“The General Assembly,

Recalling its resolution 65/309 of 19 July

2011, which invites Member States to pursue the

elaboration of additional measures that better

capture the importance of the pursuit of happiness

and well-being in development with a view to

guiding their public policies,

Conscious that the pursuit of happiness is

a fundamental human goal,

Recognizing the relevance of happiness

and well-being as universal goals and aspirations 139 Www.senado.gov.br (sito del senato) 07/01/15

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in the lives of human beings around the world and

the importance of their recognition in public

policy objectives,

Recognizing also the need for a more

inclusive, equitable and balanced approach to

economic growth that promotes sustainable

development, poverty eradication, happiness and

the well-being of all peoples,

1. Decides to proclaim 20 March the

International Day of Happiness;

2. Invites all Member States,

organizations of the United Nations system and

other international and regional organizations, as

well as civil society, including non-governmental

organizations and individuals, to observe the

International Day of Happiness in an appropriate

manner, including through education and public

awareness-raising activities;

3 Requests the Secretary-General to bring

the present resolution to the attention of all

Member States, organizations of the United

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Nations system and civil society organizations for

appropriate observance”140.

L’esperienza americana

140 www.un.org (sito dell'ONU) 01/02/15

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Il contesto politico-costituzionale americano è senza dubbio quello in cui il

diritto alla ricerca della felicità ha acquisito maggior fama141.

Ben nota è la Dichiarazione di Indipendenza del 4 Luglio 1776 che in un

passo celebre afferma: "Quando nel corso di eventi umani, sorge la

necessità che un popolo sciolga i legami politici che lo hanno stretto a un

altro popolo e assuma tra le potenze della terra lo stato di potenza

separata e uguale a cui le Leggi della Natura e del Dio della Natura gli

danno diritto, un conveniente riguardo alle opinioni dell’umanità richiede

che quel popolo dichiari le ragioni per cui è costretto alla secessione. Noi

riteniamo che sono per se stesse evidenti queste verità: che tutti gli uomini

sono creati eguali; che essi sono dal Creatore dotati di certi inalienabili

diritti, che tra questi diritti sono la Vita, la Libertà, e il perseguimento

della Felicità; che per garantire questi diritti sono istituiti tra gli uomini

governi che derivano i loro giusti poteri dal consenso dei governati; che

ogni qualvolta una qualsiasi forma di governo tende a negare questi fini, il

popolo ha diritto di mutarla o abolirla e di istituire un nuovo governo

fondato su tali principi e di organizzarne i poteri nella forma che sembri al

popolo meglio atta a procurare la sua Sicurezza e la sua Felicità"142.

141 Joseph R. Grodin, Rediscovering the state constitutional right to happiness and safety, Hastings Constitutional Law Quaterly, 1997, vol.25, fasc.1, p.1

142 “When in the course of human Events, it becomes necessary for one People to dissolve the Political Bands which have connected them with another, and to assume among the Powers of the Earth, the separate and equal Station to which the Laws of Nature and of Nature’s God entitle them, a decent Respect to the Opinions of Mankind requires that they should declare the causes which impel them to the Separation. We hold these Truths to be self-evident, tWhen ihat all Men are created equal, that they are

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Nel momento storico in cui il Secondo Congresso Continentale approva la

Dichiarazione, le colonie americane sono in guerra con la Gran Bretagna da

più di un anno e da allora il significato di quella guerra cambia

radicalmente nel senso che da atto di resistenza contro atti ingiusti del

governo britannico adesso diventa una lotta per l'indipendenza: le colonie si

sono unite per formare una nuova nazione.

Nel 1760, quando Re Giorgio III sale al trono, il sentimento anti-britannico,

come il sentimento anti-monarchico, é poco diffuso in America perché i

Britannici non hanno quasi mai interferito con il governo delle colonie.

Le radici della nascita di tale sentimento indipendentista si rinvengono

nella guerra combattuta tra Britannici e Francesi (e i rispettivi alleati nativi)

nel continente americano tra il 1754 e il 1763.

La Gran Bretagna esce vittoriosa dal conflitto allontanando i Francesi dal

Canada con il risultato, però, di trovarsi appesantita da un grosso debito che

il Parlamento Britannico ritiene di far ricadere sui coloni americani,

inaugurando una nuova politica di tassazione.

Con il Revenue Act del 1764, conosciuto come Sugar Act, vengono

aumentate le tasse su tutti i prodotti d'importazione dall'Europa; otto

endowed by their Creator with certain unalienable Rights, that among these are Life, Liberty, and the

pursuit of Happiness.That to secure these Rights, Governments are instituted among Men, deriving their

just Powers from the Consent of the Governed, that whenever any Form of Government becomes destructive of these Ends, it is theRight of the People to alter or abolish it, and to institute a new Government, laying its Foundation on such Principles, and organizing its Powers in such Form, as to them shall seem most likely to effect their Safety and Happiness.”

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colonie inviano petizioni al Re perché riveda il suo provvedimento e, così,

si da' inizio a una campagna di boicottaggio dei beni sottoposti a dazi.

Non è un caso che molti dei più appassionati indipendentisti siano

mercanti, per

esempio Samuel Adams e John Hancock, l'ultimo dei quali, all’epoca

Presidente del Secondo Congresso continentale, ha visto confiscarsi una

delle sue navi dai Britannici per violazione delle leggi doganali.

Un uguale effetto disastroso ha lo Stamp Act del 1765, con il quale ci si

aliena il consenso di liberi professionisti e degli intellettuali.

Inizia così a diffondersi il verbo indipendentista e la campagna di

boicottaggio riscuote un vasto consenso.

Nello Stamp Act Congress i rappresentanti di nove delle tredici colonie

affermano il celebre principio "No taxation without rappresentation" al

quale, alla fine, i Britannici si adeguano abrogando, nel 1766, lo Stamp Act.

Nuove tasse seguono: nel 1767, i Townshend Acts, poi il Tea Act che

concede alla Compagnia delle Indie Orientali il monopolio

sull'importazione di questa bevanda.

Tali provvedimenti sfociano nel Boston Tea party, la protesta in cui i

patrioti americani, travestiti da nativi, abbordano tre navi britanniche

riversando il loro carico nell'Oceano.

Nel frattempo, poco avvedutamente, i Britannici perseverano nella politica

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di privare le colonie del maggior numero di poteri e ciò rappresenta il

motivo per il quale nella Dichiarazione d'Indipendenza si rinviene una serie

sistematica di accuse verso il Re.

Altre doglianze riguardano l'acquartieramento dei militari nelle comunità

americane, decisione dalla quale scaturiscono numerosi incidenti tra cui

l'uccisione di cinque civili a Boston, il 5 Marzo 1770.

Nel 1774, i Britannici rincarano la dose con i Coercive Acts che chiudono il

porto di Boston, attribuiscono ai Britannici il controllo diretto dell'area e

consentono la confisca di proprietà da parte dell'esercito britannico.

Come reazione l'Assemblea della Virginia convoca un Congresso dei

rappresentanti di tutte e tredici le colonie, il 12 settembre 1775 a

Philadelphia, il Primo Congresso Continentale il cui scopo é, ancora, la

riconciliazione con la Gran Bretagna e non la rivoluzione.

Il Parlamento britannico reagisce con il North Conciliatory Resolve il quale

garantisce l’esenzione dalle tasse alle colonie in grado di autofinanziare il

proprio governo e la propria difesa ma i Coercive Acts non vengono

abrogati: è troppo poco e troppo tardi.

Il 18 aprile 1775, il Generale britannico Gage invia le proprie truppe a

confiscare le armi ai ribelli a Concord, Massachusetts, e il giorno

successivo si accende una battaglia a Lexington: è il primo atto della

Rivoluzione Americana.

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Il 10 Maggio 1775, viene convocato il Secondo Congresso Continentale

che pone George Washington al Comando dell'esercito.

Seguono alcuni ulteriori tentativi di riconciliazione con i Britannici ma, un

anno dopo la convocazione del Congresso, viene adottata una risoluzione

che esorta le colonie a formare i propri governi senza la presenza dei

Governatori britannici.

Il 7 Giugno 1776, Richard Henry Lee, un delegato della Virginia, propone

una mozione che afferma: “These United Colonies are, and of right ought

to be, Free and Independent States”.

Approvata la mozione, il Congresso elegge un comitato allo scopo di

redigere la Dichiarazione di Indipendenza, comitato i cui membri più

famosi sono lo scienziato Benjamin Franklin e il patriota del Massachusetts

John Adams, che più tardi diventerà il secondo Presidente degli Stati Uniti.

Gli altri membri sono Roger Sherman, Robert Livingston e Thomas

Jefferson a cui viene dato l'incarico di scrivere il documento.

Jefferson é influenzato dal pensiero di Algernon Sidney e di John Locke e

trae gran parte delle sue idee anche dalla Dichiarazione dei Diritti inglese

del 1689, utilizzata per molto tempo dai patrioti americani per motivare le

loro rimostranze al Re.

Anche la Costituzione della Virginia e la Dichiarazione dei Diritti della

stessa colonia, entrambe degli inizi del 1776, rappresentano fonti su cui

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Jefferson basa la stesura della Dichiarazione di Indipendenza.

Quando il Congresso approva la Dichiarazione, vi apporta rilevanti

modifiche e tagli: circa un quarto del documento originale viene eliminato,

gli attacchi nei confronti dei Britannici vengono mitigati e vengono

aggiunti due riferimenti a Dio. Assai importante é l'eliminazione di ogni

riferimento alla schiavitù: infatti, il progetto di Jefferson contiene una lunga

e appassionata condanna della tratta degli schiavi.

Dopo l'approvazione, il 4 Luglio, la Dichiarazione viene ufficialmente

firmata il 2 Agosto, ne vengono stampate molte copie, vengono organizzate

letture collettive e celebrazioni pubbliche sul territorio americano.

Dall'altra parte dell'Oceano, sia il Re che il Parlamento ritengono più

opportuno non replicare al fine di non conferire alla Dichiarazione

d'Indipendenza il benché minimo riconoscimento.

La vittoria della Rivoluzione, però, non tarda ad arrivare: nel 1783

l'Indipendenza viene riconosciuta dalla Gran Bretagna con la firma del

Trattato di Parigi che pone fine alla guerra143.

È ben nota la trilogia di diritti consacrata nella Dichiarazione di

Indipendenza (“vita, libertà e ricerca della felicità”) dei quali solo i primi

due sono stati costituzionalizzati a livello federale, mentre il diritto alla

ricerca della felicità lascia il posto, nel quinto emendamento, ai diritti di 143 Floyd G. Cullop (a cura di), The declaration of indipendence and Constituion of the United States of America, Signet Classics, 2009. pp.3-9

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proprietà; al contrario, pochi sanno che due terzi delle Costituzioni degli

Stati americani provvedono a garantire il diritto alla ricerca della felicità o,

insieme alla sicurezza, il diritto tout court a ottenerla144 (al riguardo sarebbe

interessante capire quanto lo Stato possa garantire la felicità ai propri

cittadini appartenendo quest’ultima alla sfera interna dell’essere umano).

I giuristi non hanno preso molto in considerazione questi diritti

derubricandoli a retorici strascichi della Dichiarazione d’Indipendenza145.

In questo capitolo, facendo innanzitutto riferimento alla giurisprudenza, si

intende dimostrare che questi diritti detengono una loro forza precettiva e

che, essendo presenti nei testi costituzionali, non possono essere considerati

al pari di mere affermazioni di principio di carattere eminentemente

politico, dal valore giuridico limitato.

Analizzando i casi in cui il riferimento alla felicità compare nelle Carte

fondamentali, possiamo individuare due tecniche costituzionali: il primo

caso, che Joseph Grodin chiama “governmental purpose provisions”146,

riguarda quelle Costituzioni in cui la felicità (forse sarebbe più corretto

parlare di “felicità pubblica”, tanto per usare un’espressione cara ai filosofi

illuministi del secolo diciottesimo), o per le quali la felicità insieme alla

sicurezza sono fini a cui deve tendere il governo.144 Joseph R. Grodin, Rediscovering the state constitutional right to happiness and safety, Op.cit. p.1

145 Idem

146 Id. p.2

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Il riferimento alla felicità lo troviamo nel preambolo della Costituzione o

nella Carta dei Diritti.

Esemplificativa al riguardo è la Dichiarazione dei Diritti del Vermont,

datata 1777, che dichiara: “Whereas, all government ought to be instituted

and supported, for the security and protection of the community, as such,

and to enable the individuals who compose it, to enjoy their natural rights,

and the other blessings which the Author of existence has bestowed upon

man; and whenever those great ends of government are not obtained, the

people have a right, by common consent, to change it, and take such

measures as to them may appear necessary to promote their safety and

happiness.”

Allo stesso modo, la Costituzione dello Stato del Rhode Island sostiene

che: “All free governments are instituted for the protection, safety, and

happiness of the people.”

L’altra tecnica costituzionale, che lo stesso autore chiama “rights

language”147, consiste nell’inserire il riferimento alla felicità nelle

Dichiarazioni dei Diritti, diritti definiti come “inalienabili” o “naturali” fra i

quali troviamo solitamente la vita la libertà e la proprietà.

Ben trenta di queste Dichiarazioni, però, fanno riferimento anche alla

“felicità” o “alla felicità e alla sicurezza” congiuntamente, e di queste circa

147 Idem

55

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la metà sancisce il diritto alla ricerca della felicità, mentre l’altra metà si

spinge più in avanti sancendo anche il diritto ad ottenerla, oltre che a

ricercarla (una precisazione tutt’altro che scontata, considerata, dal punto di

vista filosofico, la corrispondenza biunivoca che viene istituita tra ricerca e

raggiungimento della stessa).

Un esempio è la Costituzione dell’Iowa che all’art. 1 prevede: “All men

and women are, by nature, free and equal, and have certain inalienable

rights - among which are those of enjoying and defending life and liberty,

acquiring, possessing and protecting property, and pursuing and obtaining

safety and happiness.”.

La medesima affermazione la ritroviamo nelle Costituzioni di California,

Colorado, Nevada, New Jersey, New Mexico, North Dakota, Ohio,

Vermont e, con ulteriori varianti, anche nelle Costituzioni di Virginia e

West Virginia nelle quali i cittadini hanno diritto a “the enjoyment of life

and liberty, with the means of acquiring and possessing property, and of

pursuing and obtaining happiness and safety."

In Massachusetts i cittadini hanno diritto a "seeking and obtaining their

safety and happiness”, in Florida "to pursue happiness, to be rewarded for

industry, and to acquire, possess, and protect property.".

La Costituzione del New Hampshire garantisce il diritto al "the enjoying

and defending life and liberty; acquiring, possessing, and protecting,

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property; and, in a word, of seeking and obtaining happiness" e anche

quella dell’Idaho assicura il diritto alla ricerca della felicità e alla garanzia

della sicurezza.

Interessante notare che il diritto alla ricerca della felicità non viene

dimenticato con il tempo tanto è vero che viene ripreso, nel 1970, dalla

Costituzione dell’Illinois che sancisce: "All men are by nature free and

independent and have certain inherent and inalienable rights among which

are life, liberty and the pursuit of happiness. To secure these rights and the

protection of property, governments are instituted among men, deriving

their just powers from the consent of the governed.".

Altre formule simili le troviamo ancora nelle Costituzioni di Pennsylvania

e Arkansas, che garantiscono ai cittadini il diritto di "pursuing their own

happiness", nella Costituzione del Kentucky, che prevede il diritto per i

cittadini di "seeking and pursuing their safety and happiness” e in quella

del Montana la quale statuisce il diritto per i cittadini di "seeking their

safety, health and happiness in all lawful ways".

Particolarmente interessante la Costituzione del Wyoming in quanto

ricollega, per la prima volta, il diritto alla ricerca della felicità al diritto

all’uguaglianza: "In their inherent right to life, liberty and the pursuit of

happiness, all members of the human race are equal”.

Una volta accertata la pervasività del diritto alla ricerca della felicità nel

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costituzionalismo statunitense, appare impossibile continuare a vederlo

come una reliquia giusnaturalistica o della teoria del contratto sociale con

nessuna rilevanza per la contemporaneità.

Ci si chiede, però, se esso vada considerato come una statuizione di

carattere programmatico, rilevante sì per il potere esecutivo e legislativo

ma priva di un’azionabilità giudiziale o come un diritto a tutti gli effetti

giustiziabile.

Per capire ciò, si rende necessaria un’analisi del senso profondo di questo

diritto rifacendosi alle sue origini storico-filosofiche.

A tal fine bisogna mettere da parte l’errata opinione che il modello su cui si

basano le Costituzioni degli Stati americani sia la Dichiarazione

d’Indipendenza e, quindi, il pensiero di Thomas Jefferson.

In realtà, il reale punto di partenza é costituito dalla Dichiarazione dei

Diritti della Virginia e dal suo autore principale, George Mason148.

Sfortunatamente abbiamo meno notizie sulla formazione intellettuale di

Mason di quanto conosciamo di Jefferson, motivo per il quale non ci è noto

con precisione su quali letture e su quali fonti sia sorto il suo progetto

riguardo al diritto alla ricerca della felicità149.

Un autore che senza dubbio ha esercitato un grande influsso sulla cultura

148 Id. pp.8,9

149 Id. p.9

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americana del diciottesimo secolo è John Locke il quale, in “Essay

Concerning Human Understanding”, arriva a sostenere che l’essere umano

è stato creato esclusivamente al fine della sua felicità150.

Anche il pensiero di Francis Hutcheson, figura chiave dell’Illuminismo

scozzese, é molto diffuso nelle colonie americane: nel suo saggio del 1747

“A Short Introduction to Moral Philosophy” egli sostiene che il fine di ogni

potere civile è rappresentato dalla sicurezza e dalla felicità dell’intera

comunità.

E’ interessante notare che l’affermazione di Hutcheson va oltre la

concezione liberale del pensiero di Locke in quanto, mentre il pensiero

dell’inglese è tutto incentrato sull’autonomia individuale, quello dello

scozzese si interseca con una visione organicistica della società dove

l’attenzione è più concentrata sulla felicità pubblica che su quella

individuale151.

Contemporaneo di Hutcheson è il filosofo svizzero Jean Jacques

Burlamaqui e anche lui identifica nella ricerca della felicità il senso della

vita umana così come anche per lui la promozione della felicità é lo scopo

del potere politico152.150 John Locke, An essay concerning human understanding, bk. II, para. 243

(Fraser ed., Dover 1959) (1690)

151 Francis Hutcheson, A Short Introduction to Moral Philosophy (1747), ristampa in 4 Collected works of francis hutcheson 302 (georg olms verlagsbuchhandlungbuch ed. 1969).

152 Ray Forrest Harvey, Jean Jacques Burlamaqui: a liberal

59

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Quello che differenzia il pensiero di Burlamaqui da quello di Locke è il

fatto che mentre quest’ultimo ha una visione dei diritti come libertà

negative, il primo configura una vera e propria obbligazione dei governanti

di accrescere la felicità dei cittadini; documenti storici ci dimostrano che il

pensiero di Burlamaqui è molto ascoltato e discusso dai patrioti

americani153.

Se le prime Costituzioni vengono redatte nell’ottica comunitaria (oggi si

direbbe “socialista”) di Burlamaqui e Hutcheson, o nell’ottica liberale di

Locke, è impossibile stabilirlo.

Probabilmente, o almeno verosimilmente, su queste due concezioni del

governo e della felicità si basa la distinzione tra le Costituzioni che

riconoscono il mero diritto a ricercare la felicità e le Costituzioni che

invece riconoscono il diritto a ottenerla154.

Certo è che il pensiero di Burlamaqui lo ritroviamo negli scritti di un

patriota americano, James Wilson, uno strenuo federalista, il quale svolgerà

un ruolo particolare in quanto sarà uno dei primi giudici a formare la Corte

Suprema.

Nel 1794, Wilson, successivamente Professore all'Università della

Pennsylvania, scrive un saggio intitolato Considerations on the Nature and Tradition in american constitutionalism (1937)

153 Joseph R. Grodin, Rediscovering the state constitutional right to happiness and safety, Op.cit. p.15

154 Id. pp.17,18,19

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Extent of the Legislative Authority of the British Parliament nel quale

leggiamo: "The happiness of the society is the first law of every

government. This rule is founded on the law of nature: it must control every

political maxim: it must regulate the legislature itself. The people have a

right to insist that this rule be observed; and are entitled to demand a

moral security that the legislature will observe it"155.

Da notare che, nel suo saggio, Wilson cita esplicitamente Burlamaqui.

Se ci si volesse addentrare sul significato profondo delle parole "felicità" e

"sicurezza" per coloro che le usano, poco possiamo dire con certezza.

Nella tradizione di Hutcheson e Burlamaqui (che a loro volta si inseriscono

nel solco dei filosofi classici) la felicità corrisponde all'autorganizzazione e

alla più profonda essenza dell'individuo.

Nell'atmosfera scientifica tipica dell'Illuminismo rinveniamo la credenza

che ogni cosa è quantificabile, felicità compresa (ancora nel 1881

l'economista anglo-irlandese Francis Ysidro Edgeworth teorizza uno

strumento, l'edonimetro, in grado di misurare costantemente il piacere

provato da un individuo) ma, analizzando il pensiero di vari autori, regna la

discordia su come debba avvenire questa misurazione.

Allo stesso modo, anche il termine "sicurezza" ha uno spettro di significato

155 James wilson, consideration on the nature and extent of the legislative authority of the british parliament (1774), in 2 The works of James Wilson 721, 723 (Robert Green Mccloskey ed., 1967)

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molto ampio perché, letto indipendentemente dal termine "felicità”, questo

vocabolo fa pensare a un senso di incolumità fisica e, probabilmente, deriva

dal pensiero giusnaturalistico di Thomas Hobbes secondo il quale il popolo

rinuncia alla libertà associata allo stato di natura al fine di ottenere una

protezione collettiva dalle minacce interne ed esterne156.

Evitando di addentrarsi troppo nella portata semantica di queste due parole,

possiamo enucleare le possibili conseguenze delle formule sulla felicità

presenti in tutte queste Costituzioni:

1 che i cittadini hanno il diritto a perseguire e (eventualmente) a

raggiungere la felicità senza illegittime interferenze del governo;

2 che i governi hanno un obbligo positivo di promuovere la felicità e la

sicurezza dei cittadini.

3 È curioso che questi due corollari possono sia darsi manforte e

andare di pari passo l’un l’altro, sia, in alcuni casi, entrare invece in

conflitto tra di loro.

4 Sicuramente il secondo corollario è meno forte quando ci troviamo

di fronte a quelle Costituzioni che parlano di ricerca della felicità anche se,

al riguardo, Arthur Schlesinger157 e Gary Wills158, svolgendo una ricerca

156 Joseph R. Grodin, Rediscovering the state constitutional right to happiness and safety, Op.cit. p.16

157 Arthur M. Schlesinger, The lost meaning of 'the pursuit of happiness', 21 Qm. & Mary c.q. Hist. Mag. 325, 325-26 (1964)

158 Gary Wills, Inventing america p.247 (1978)

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filologica, sostengono che il termine "pursuit", nella sua accezione

settecentesca, indichi qualcosa di più di una mera aspirazione e arrivano a

negare ogni differenza tra "pursuit" e "obtain" riferiti alla felicità.

Andando ad analizzare la giurisprudenza, uno dei primi casi a basarsi sulla

formula "happiness and safety" è il caso Beebe vs State159 del 1857 in cui la

Corte Suprema dell'Indiana dichiara incostituzionali le leggi

proibizionistiche dello Stato in quanto, per il Giudice Perkins, il diritto

dell'individuo ad autodeterminarsi, per quanto riguarda cosa mangiare e

bere, è una conseguenza diretta del diritto alla libertà e alla ricerca della

felicità.

Curiosa l'argomentazione della Corte che, soffermandosi sull'uso delle

bevande alcoliche, afferma che "were created by the Almighty expressly to

promote his social hilarity and enjoyment" e che se la Divinità avesse

voluto proibire all'uomo l'alcool "He could have easily enacted a physical

prohibitory law by declaring the fatal apple a nuisance and removing it".

Lo spirito libertario inaugurato dalla Corte Suprema dell'Indiana non

sopravvive, però, all'era vittoriana.

Nel caso Territory v. Ah Lim160 del 1890, la Corte Suprema dello Stato di

Washington rigetta la tesi dell'attore secondo la quale il diritto alla ricerca

159 Joseph R. Grodin, Rediscovering the state constitutional right to happiness and safety, Op.cit. p.22

160 Id. p.23

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della felicità comprenda il diritto a fumare oppio nella privacy della sua

abitazione.

Nella sentenza, la Corte afferma che "the state has an interest in the

intellectual condition of each of its citizens, recognizing that the fact that

society is but an aggregation of individuals, and that the moral or

intellectual plane of society is elevated or degraded in proportion to the

plane occupied by its individual members.". Sulla pratica di fumare oppio

la Corte così si esprime: “is a loathsome, disgusting, and degrading habit,

that it is becoming dangerously common with the youth of the country, and

that its usual concomitants are imbecility, pauperism, and crime .... If the

state concludes that a given habit is detrimental to either the moral, mental

or physical well-being of one of its citizens, to such an extent that it is

liable to become a burden upon society, it has an undoubted right to

restrain the citizen from the commission of that act.".

Nel caso Sheppard v. Dowling161 (1899) riguardante le limitazioni dello

Stato sulla vendita di liquori, la Corte Suprema dell'Alabama afferma: "the

law does not allow him to pursue happiness in that direction. So his

individual sense of bliss attained may result from carrying on the liquor

traffic, but the law does not esteem that particular avocation, involving, as

it does, in the eye of the law, baneful consequences to society".

161 Sheppard v. Dowling, 28 So. 791,795 (Ala. 1899)

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Questa interpretazione del diritto alla ricerca della felicità di matrice

libertaria sembra destinata a ripetersi nel tempo.

A questo diritto, infatti, ci si appella nel caso National Org. for Reform of

Marijuana Laws v. Gain162 del 1979, questa volta per sostenere

l'incostituzionalità delle leggi riguardanti l'uso della Cannabis; anche questa

fattispecie, però, si risolve in una sconfitta per gli attori.

Il caso Jacobs v. Benedict163 del 1973 riguarda la vicenda di uno studente

rimosso dal ruolo di rappresentante del corpo studentesco, espulso dalle

attività extracurriculari e penalizzato nella media scolastica in quanto si é

rifiutato di adeguarsi al regolamento della scuola sulla lunghezza e lo stile

dei capelli.

Ebbene, la Corte dell'Ohio dà ragione al ricorrente basandosi sul diritto alla

ricerca della felicità.

Nella sentenza si afferma che "It seems to us strikingly important that our

founding fathers placed this section first in the Bill of Rights.... In non-

legal terms Section 1 establishes the principle that every American has the

right to be let alone and to be regulated by the government only so far as

such regulation is shown to be necessary to protect others or to advance

legitimate government purposes. This constitutional provision places a

162 National Org. for Reform of Marijuana Laws v. Gain, 161 Cal. Rptr. 181, 187 (1979)

163 Jacobs v. Benedict, 301 N.E.2d 723 (Ohio Misc. 1973)

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heavy responsibility on any governmental body to justify its interference

with a citizen's freedom, his right to enjoy liberty of decision and to seek

happiness in his own way".

Nel caso Exparte Shrader164 (1867), la Corte Suprema della California,

trattando il merito di una legge che vieta i mattatoi all'interno del perimetro

della città, fa discendere dalla Costituzione il diritto di "pursue a lawful

calling in a lawful manner, without other restraint than such as equally

affects all persons," e afferma, citando Blackstone, che la libertà civile "is

that state in which each individual has the power to pursue his own

happiness according to his own views of his interest, and the dictates of his

conscience, unrestrained except by equal, just, and impartial laws.".

Nel caso State v. Cromwell165 (1943), la Corte Suprema dell'Oklahoma

dichiara incostituzionale una legge che richiede una licenza per l'esercizio

della professione di fotografo e, citando un trattato del 1895 di Henry

Campell Black sul diritto costituzionale, afferma che la ricerca della felicità

"is really the aggregate of many particular rights, some of which are

enumerated in the constitutions, and others included in the general

guaranty of liberty. The happiness of men may consist in many things or

depend on many circumstances. But in so far as it is likely to be acted upon

164 Exparte Shrader, 33 Cal. 279 (1867)

165 State v. Cromwell, 9 N.W.2d 914,921 (N.D. 1943)

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by the operations of government, it is clear that it must comprise personal

freedom, exemption from oppression or individual discrimination, the right

to follow one's individual preference in the choice of an occupation and the

application of his energies, liberty of conscience, and the right to enjoy the

domestic relations and the privileges of the family and the home. The

constitutional right to pursue happiness can mean no less than the right to

devote the mental and physical powers to the attainment of this end,

without restriction or obstruction, in respect to any of the particulars thus

mentioned, except in so far as it may be necessary to secure the equal

rights of others. Thus it appears that this guaranty, though one of the most

indefinite, is also one of the most comprehensive to be found in the

constitutions.".

Nel caso Benjamin F. Wyeth v. Board of health of the city of Cambridge166

del 1909, la Corte statuisce che: "The right to enjoy life, liberty and the

pursuit of happiness is secured to every one under the Constitution of

Massachusetts. This includes the right to pursue any proper vocation to

obtain a livelihood. Substantially the same right is secured also by the

Constitution of the United States, which does not permit a State to deprive

any person of life, liberty or property without due process of law. ".

Anche nel caso Meyer v. Nebraska167 (1923), il diritto alla ricerca della 166 Www.law.justia.com 05/02/15

167 Www.findlaw.com 20/11/14

67

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felicità si sostanzia in un diritto di libertà e la libertà é protetta dal

quattordicesimo emendamento: "without doubt denotes not merely freedom

from bodily restraint but also the right of the individual to contract, to

engage in any of the common occupations of life, to acquire useful

knowledge, to marry, establish a home and bring up children, to worship

God according to the dictates of his own conscience, and generally to

enjoy those privileges long recognized at common law as essential to the

orderly pursuit of happiness by free men.

Allo stesso modo, nel caso Loving v Virginia168 (1967), la Corte afferma:

"the freedom to marry has long been recognized as one of the vital

personal rights essential to the orderly pursuit of happiness by free men".

In alcune fattispecie il diritto alla ricerca della felicità e alla sicurezza viene

utilizzato non per ricorrere contro comportamenti tenuti dal potere pubblico

ma per opporsi alla condotta di altri soggetti privati.

Nel caso Melvin v. Reid169 del 1931, per esempio, la Corte Suprema della

California accoglie le tesi del ricorrente ritenendo illegittimo il

comportamento del convenuto il quale ha realizzato un film sulla vita di

un'attrice, chiaramente riconoscibile, di cui si svela il suo passato da

prostituta.

168 Www.law.cornell.edu 07/09/14

169 297 P. 91,93 (1931)

68

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Nella sentenza, la Corte afferma che "any person living a life of rectitude

has that right to happiness which includes a freedom from unnecessary

attacks on his character, social standing or reputation.".

Come già accennato, dal diritto alla felicità e alla sicurezza è possibile far

discendere anche obblighi positivi di condotta in capo al governo: in altre

parole, il significato addizionale o alternativo attribuibile a questo diritto è

quello di essere fonte di obblighi, in capo al potere pubblico, di fornire,

quanto meno, quelle condizioni minime necessarie per la felicità umana e

per la sicurezza, come potrebbero essere il cibo, un'abitazione, l'assistenza

sanitaria e un ambiente salubre.

La lista potrebbe, però, ampliarsi notevolmente alla luce della riflessione

della scienza economica sul tema della nascita di nuovi bisogni o delle

scienze psicologiche sull'adattamento edonico per il quale le modificazioni

dello standard di vita hanno effetti sul benessere, in positivo o in negativo,

solo sul breve o brevissimo periodo, essendo il livello di benessere

destinato a tornare rapidamente su quel set-point determinato dai geni e

dalla cultura.

Applicando il principio, derivante dall'economia comportamentale, della

“avversione alla perdita”, principio per il quale una perdita ha un effetto

sul benessere in negativo assai più importante di quello positivo derivante

da un guadagno di pari valore, il diritto alla felicità e alla sicurezza

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potrebbe essere usato come baluardo tutte quelle volte che i diritti sociali

acquisiti sono minacciati.

Seppur questa configurazione del diritto alla felicità e alla sicurezza come

fonte di obblighi positivi collide con la giurisprudenza riguardante i diritti a

livello federale, le Costituzioni degli Stati, a differenza della Costituzione

federale, presentano disposizioni che impongono obblighi positivi ai

Governi.

Una fattispecie in cui si ha questa configurazione dei diritti è il caso Thiede

v. Scandia Valley170 affrontato dalla Corte Suprema del Minnesota nel 1944.

La situazione viene definita dalla Corte come un sequel del romanzo di

Steinbeck Furore (The Grapes of Wrath).

L'attore, Thiede, suo marito ed i suoi sei figli risiedono nella cittadina di

Scandia Valley ma ricevono l'assistenza sociale dalla cittadina di Fawn

Lake dove risiedevano in precedenza.

Quando la cittadina di Fawn Lake interrompe la erogazione di tali sussidi la

famiglia subisce il pignoramento delle sue proprietà dall'amministrazione

di Scandia Valley ed é costretta a trasferirsi nuovamente a Fawn Lake.

La Corte afferma: "The entire social and political structure of America,

rests upon the cornerstone that all men have certain rights which are

inherent and inalienable. Among these are the right to be protected in life,

170 14 N.W.2d 400 (Minn. 1944)

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liberty, and the pursuit of happiness; the right to acquire, possess, and

enjoy property; and the right to establish a home and family... Today the

care of the less fortunate members of our society is universally regarded as

a proper governmental function or duty to be assumed in the interest of

general welfare.... The protection afforded by our form of government is

not merely fair weather shelter. It may not be minified by reasons of

temporary economic expediency”.

La famiglia Thiede viene, in conclusione, risarcita dei danni dalla cittadina

di Scandia Valley.

Uno dei casi che ha fatto più parlare di sé è quello Daugherty v. Wallace171.

Esso trae origine dalla decisione dello Stato dell'Ohio di effettuare pesanti

tagli all'assistenza sociale e gli attori lamentano una violazione del diritto

costituzionale alla felicità e alla sicurezza, adducendo che da questi diritti

discenda per i cittadini indigenti un diritto di ricevere un'assistenza minima

dallo Stato, tale da garantire le condizioni sufficienti per evitare il

vagabondaggio e per ottenere un'assistenza sanitaria.

Sebbene il diritto alla felicità e alla sicurezza sia presente nella

Costituzione dell'Ohio dal 1802, è la prima volta che una Corte si interroga

se questo diritto ricomprenda un diritto all'assistenza pubblica da parte

dello Stato.

171 Daugherty (No. 92-1206)

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La posizione degli attori è supportata da ben trentuno amici curiae, tra cui

associazioni di volontariato, associazioni religiose, le Amministrazioni

delle città di Cleveland, Cincinnati e della Contea di Lucas e l'University of

Cincinnati College of Law.

E’ proprio quest'ultima a richiedere alla Corte il riconoscimento del diritto

costituzionale a ottenere la felicità sostenendo che sia riconosciuto, di pari

passo con il diritto alla sicurezza, un obbligo positivo da parte dello Stato a

garantire condizioni minime di esistenza.

Secondo l'Urban Morgan Institute dell'Università di Cincinnati, questo

obbligo può essere adempiuto garantendo ai cittadini indigenti un sussidio

pubblico o attraverso la garanzia di un posto di lavoro, ipotesi quest’ultima

che, a ben vedere, é, forse, quella più collegata alla ricerca della felicità -

tanto è vero che, al riguardo, il Presidente Roosevelt in un celebre discorso

del 4 marzo 1933 afferma: “La felicità non consiste nel semplice possesso

di denaro: consiste nella gioia della ricerca, nel brivido dello sforzo

creativo. La gioia e lo stimolo morale del lavoro non devono essere ancora

dimenticati nella folle caccia a profitti illusori.”172.

Naturalmente la causa ha una eco anche in altri Stati dato che, come visto,

il diritto alla ricerca della felicità e alla sicurezza non è presente solo nella

172 Franklin D. Roosevelt, Inaugural Address, March 4, 1933, as published in Samuel Rosenman, ed., The Public Papers of Franklin D. Roosevelt, Volume Two: The Year of Crisis, 1933 (New York: Random House, 1938), 11–16.

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Costituzione dell'Ohio.

Nel 1991, lo Stato dell'Ohio rivede il budget del programma di pubblica

assistenza che fornisce aiuto finanziario e cure mediche ai cittadini

bisognosi che non soddisfanno i criteri d'eleggibilità dell'omologo

programma federale: i sussidi vengono ridotti a cento dollari al mese per un

massimo di sei mesi invece che di cento quarantotto dollari erogati per tutto

il tempo necessario.

Con questa nuova legislazione lo Stato mette fine alla politica, tenuta per

centonovanta anni, di erogare sussidi per l'intera la durata del bisogno.

Curioso come lo stesso Ohio Department of Human Services calcoli in

quattrocentottantasette dollari al mese la cifra necessaria per soddisfare

quei bisogni minimi come cibo, vestiario, abitazione, trasporti, non

soddisfatti i quali è ben difficile parlare di felicità.

Come conseguenza della riforma molte persone, incapaci di trovare lavoro,

terminato il periodo di assistenza, si sarebbero trovate senzatetto, la salute

dei cittadini sarebbe peggiorata per la mancanza di assistenza sanitaria; si

prospetta addirittura il verificarsi di casi di malnutrizione.

Inoltre, le forze dell'ordine e il sistema carcerario avvertono del pericolo di

un aumento della criminalità e dei relativi costi che sarebbero derivati da

questa ondata di disperazione173.173 Lockwood B.B. Jr; Owens, R.Collins III; Severyn, G.A; Litigating State constitutional rights to happiness and safety: a Strategy for ensuring the provision of Basic needs to the Poor, “The William and Mary Bill of rights journal”, 1993, vol.2, fasc.1, p.7

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Si decide, quindi, di intentare una class action: la legge, a detta degli attori,

deve essere dichiarata incostituzionale in quanto lesiva del diritto alla

felicità e alla sicurezza e, come conseguenza, si chiede che sia sancito il

diritto a ricevere dallo Stato una assistenza sufficiente per evitare il

vagabondaggio e un'assistenza medica basilare, diritto che gli attori

chiamano "right to subsistence".

Il nocciolo della questione consiste sempre nell'esistenza o meno di obbligo

positivo in capo allo Stato.

Per gli attori sarebbe un'ipocrisia riconoscere ai disoccupati non disabili un

diritto alla felicità e alla sicurezza senza far corrispondere un diritto

positivo sufficiente a garantire un riparo ed un'assistenza medica174.

Compito degli attori è dimostrare l'infondatezza del mito che i diritti

costituzionali hanno solo una natura negativa, dimostrando che molti diritti

civili e politici, tradizionalmente visti come obblighi d'astensione in capo al

governo, in realtà richiedono un'azione governativa e spese per la loro

protezione175.

A questo punto potrebbe sorgere il dubbio filosofico se il concetto di

felicità ricomprenda il concetto di benessere materiale e, al riguardo, è

possibile cercare aiuto nel senso comune e nella scienza economica.

174 Id. pp.8,9

175 Idem

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Forse per qualcuno può non essere così, ma per la maggior parte degli

esseri umani quel sentimento che si definisce felicità ha come condizione

necessaria il soddisfacimento di bisogni essenziali.

L'economista e demografo americano Richard A. Easterlin studia la

relazione tra reddito e felicità individuale, scoprendo il cosiddetto

paradosso della felicità in economia.

La ricerca si basa su autovalutazioni soggettive, in particolare sulla

seguente domanda: «presa la tua vita nel suo insieme, ti consideri: molto

felice, abbastanza felice, infelice, molto infelice?» e dai dati raccolti

emerge che fino a ventimila dollari annui l'aumento di reddito e quello

della felicità sono direttamente proporzionali.

Interessante, anche se meno significativo per il caso in questione, è che nel

confronto tra Paesi, non emerge una correlazione significativa tra reddito e

felicità, i Paesi più poveri non risultano essere significativamente meno

felici di quelli più ricchi e, quando si supera una soglia di ricchezza, ovvero

quella che consente di soddisfare i bisogni ordinari della vita, l’aumento di

reddito non si traduce più in felicità176.

La Corte di primo grado del Ohio177 afferma che dal diritto alla felicità e

alla sicurezza non discende nessun obbligo per lo Stato di fornire ai

176 Voce “Economia e felicità” di Luigino Bruni in XXI Secolo Treccani 2009

177 Daugherty (No. 92-1206)

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cittadini una pubblica assistenza la quale è vista, al contrario, come

discrezionale178.

La Corte ricostruisce il diritto alla felicità e alla sicurezza come l'analoga

interpretazione del quattordicesimo Emendamento della Costituzione degli

Stati Uniti: i cittadini hanno diritto a ricercare la propria felicità e sicurezza

come meglio credono, soggetti al discrezionale e ragionevole intervento

dell'autorità pubblica, ma lo Stato non ha alcun dovere di fornire questa

felicità (o meglio le condizioni minime di essa) o sicurezza.

Bisogna dire che niente vieta alla giurisprudenza costituzionale degli Stati

di distaccarsi dalla giurisprudenza relativa alla Costituzione federale; anzi,

più volte le Corti statali hanno rimarcato l'indipendenza e l'autonomia del

proprio ordinamento giuridico e costituzionale da quello federale179.

Questo vale a maggior ragione nel caso in questione, incentrato sul

contenuto del diritto alla felicità e alla sicurezza, che non hanno un

analogo riconoscimento nella Costituzione federale.

Per sostenere l'esistenza di un obbligo positivo, gli attori si attengono a una

interpretazione letterale del testo costituzionale facendo leva sul fatto che la

felicità e la sicurezza vengono garantiti dalla Carta a tutti e che il diritto si

spinge fino allo ”obtain”.178 Lockwood B.B. Jr; Owens, R.Collins III; Severyn, G.A; Litigating State constitutional rights to happiness and safety: a Strategy for ensuring the provision of Basic needs to the Poor, Op.cit. p.28

179 Lockwood B.B. Jr; Owens, R.Collins III; Severyn, G.A; Litigating State constitutional rights to happiness and safety: a Strategy for ensuring the provision of Basic needs to the Poor, Op.cit.

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Quindi, in primo luogo l'esistenza di un obbligo positivo deriva dal fatto

che tutti hanno diritto alla felicità e alla sicurezza e, in secondo luogo, dalla

parola “obtain” la quale non indica solo il possesso come conseguenza

dello sforzo individuale ma anche il possesso come frutto di una richiesta a

qualcuno180.

Gli attori fanno notare come, se i Costituenti avessero voluto limitare la

previsione a un obbligo negativo, avrebbero utilizzato un linguaggio del

tutto differente da quello prescelto181 e come nell'Articolo 1 Sezione 1

dell'Ohio Bill of Rights lo scopo del Governo sia costruito in termini

positivi: "All political power is inherent in the people. Government is

instituted for their equal protection and benefit.”

Già in un altro caso, Kiser v. Board of Comm'rs of Logan City182 (Ohio

1911), la Corte afferma che “The Ohio constitution is "constructed upon

the theory that the majorities can and will take care of themselves; but that

the safety and happiness of individuals and minorities need to be secured

by guarantees and limitations in the social compact, called a 'constitution”.

Gli attori, per ricostruire il diritto alla felicità e alla sicurezza, svolgono una

ricerca sulle sue origini storiche facendoli discendere, come abbiamo visto,

dalla Dichiarazione di Indipendenza e dalla Virginia Declaration of Rights.180 Id.p.12

181 Id.p.13

182 Kiser v. Board of Comm'rs of Logan City, 97 N.E.2d 52, 53 (Ohio 1911)

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Secondo i ricorrenti, la nozione di felicità non è sostanzialmente cambiata

dai tempi in cui questi documenti sono stati redatti: ora come allora la

parola felicità significa “uno stato in cui i desideri sono soddisfatti” e

“buona fortuna”.

Sia Jefferson che Mason ritengono che il miglior governo sia quello in

grado di garantire la massima felicità per il maggior numero di cittadini.

La visione di Jefferson sul punto viene ricostruita da una richiesta da lui

rivolta a un suo amico il quale si reca in Europa per studiare gli effetti della

politica sulla felicità dei popoli: "take every opportunity to enter into the

hovels of the labourers ... see what they eat, how they are cloathed,

whether they are obliged to labour too hard....”183.

Secondo i ricorrenti non si può negare che il concetto di felicità, già nel

pensiero dei Padri fondatori, è strettamente collegato con quello di

benessere materiale184.

Gli attori auspicano anche un'interpretazione evolutiva della Costituzione

che tenga conto delle moderne condizioni economiche185.

Al riguardo, già nel 1944, il Presidente Franklin D. Roosevelt nel Discorso

sullo Stato dell’Unione afferma: “As our Nation has grown in size and

183 Lettera di Thomas Jefferson al Rev. James Madison (oct. 28, 1785), in 8 Jefferson papers 682

184 Lockwood B.B. Jr; Owens, R.Collins III; Severyn, G.A; Litigating State constitutional rights to happiness and safety: a Strategy for ensuring the provision of Basic needs to the Poor, Op.cit. pp.14,15

185 Id. pp.15-18

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stature, however-as our industrial economy expanded-[political rights to

life and liberty] proved inadequate to assure us equality in the pursuit of

happiness. We have come to a clear realization of the fact that true

individual freedom cannot exist without economic security and

independence. Necessitous men are not free men."186.

Roosevelt prosegue con una lista di nuovi diritti: “The right to a useful and

remunerative job...;The right to earn enough to provide adequate food and

clothing and recreation...;The right of every family to a decent home;The

right to adequate medical care..;The right to adequate protection from the

economic fears of old age, sickness, accident, and unemployment;The right

to a good education”.

I ricorrenti sostengono la tesi che i cambiamenti economici che l'Ohio ha

attraversato negli ultimi 200 anni determinano il sorgere di un “right to

basic subsistence” e si appellano al Diritto internazionale, e più in

particolare al Diritto internazionale dei diritti umani, constatando che il

diritto al cibo, a un riparo, al vestirsi e a un'assistenza sanitaria hanno

ottenuto lo status di diritti umani fondamentali nel Diritto internazionale187.

La Dichiarazione Universale dei diritti umani, approvata all'unanimità nel

1948 dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite, è generalmente

186 90-1 CONG. REC. 55, 57 (1944)

187 Lockwood B.B. Jr; Owens, R.Collins III; Severyn, G.A; Litigating State constitutional rights to happiness and safety: a Strategy for ensuring the provision of Basic needs to the Poor, Op.cit.pp.19-22

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riconosciuta come una “Magna Carta Internazionale”188.

La Dichiarazione Universale riconosce il diritto a un adeguato standard di

vita: “Everyone has the right to a standard of living adequate for the health

and well-being of himself and of his family, including food, clothing,

housing and medical care and necessary social services, and the right to

security in the event of unemployment, sickness, disability, widowhood, old

age or other lack of livelihood in circumstances beyond his control.”

Allo stesso modo, l'International Covenant on Economic, Social, and

Cultural Rights, non ratificato dagli Stati Uniti, all'articolo 11 riconosce il

diritto a un adeguato standard di vita così come lo riconosce il Diritto

internazionale regionale: la Carta dell'OAS (Organizzazione degli Stati

americani), emendata con il Protocollo di Buenos Aires, riconosce un

diritto al benessere materiale e un diritto al lavoro che comprendono "a

system of fair wages, that ensure life, health, and a decent standard of

living for the worker and his family, both during his working years and in

his old age or when any circumstance deprives him of the possibility of

working.". La Carta, di cui gli Stati Uniti sono parte e a cui sono a tutti gli

effetti obbligati, inoltre obbliga le parti a compiere ogni sforzo per garantire

a tutti il diritto ad un'abitazione.

Allo stesso modo, la American Declaration of the Rights and Duties of

188 Id.p.20

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Man, di cui gli Stati Uniti sono parte e che costituisce un altro importante

strumento del sistema americano di protezione dei diritti umani, dichiara

che "every person has the right to the preservation of his health, through

sanitary and social measures, relating to food, clothing, housing and

medical care, to the extent permitted by public and community resources."

e che ogni cittadino ha il dovere “to cooperate with the state and the

community with respect to social security and welfare, in accordance with

his ability and with existing circumstances.".

Inoltre, il Comitato d'esperti incaricato di vigilare sull'implementazione

dello Economic and Social Covenant afferma che il trattato comporta un

obbligo a fornire dei livelli minimi essenziali di cibo, riparo e assistenza

sanitaria, che un fallimento nel fornire questi servizi essenziali non può

essere giustificato dalla mancanza di risorse a meno che lo Stato non

dimostri di aver compiuto ogni sforzo possibile per utilizzare tutte le risorse

disponibili al fine di soddisfare questo obbligo minimo.

Il Comitato si spinge anche oltre affermando che in tempi di scarsità di

risorse i soggetti più deboli della società possono e devono essere protetti189.

L'uso di ricorrere al Diritto internazionale per interpretare le norme è una

prassi ormai affermata sia nell'ordinamento federale sia in quello dei

singoli Stati, per esempio nel caso Rodriguez-Femandez v. Wilkinson190 o 189 Id.p.22

190 Rodriguez-Femandez v. Wilkinson, 654 F.2d 1382 (10th Cir. 1981)

81

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nel caso Boehm v. Superior Court191.

Quindi, anche i riferimenti al diritto internazionale confermano che i diritti

costituzionali alla felicità e alla sicurezza comprendano un diritto positivo

all'assistenza sociale, sufficiente a prevenire il vagabondaggio e a fornire

un'assistenza sanitaria e che questo diritto debba essere garantito dagli Stati

con tutte le risorse disponibili.

Comunque, la Corte d'Appello dell'Ohio si esprime esplicitamente, seppur

negandoli, sull'esistenza di obblighi positivi in capo all'amministrazione

derivanti dal diritto alla felicità e alla sicurezza rimanendo ancorata a quella

concezione liberale dei diritti efficacemente espressa da Saint-Just: “Si

tratta non tanto di rendere felice un Popolo quanto di impedire che sia

infelice. Non opprimete: ecco tutto. E ognuno saprà trovare la propria

felicità. Un popolo nel quale si radicasse il pregiudizio che esso deve la

sua felicità al governo, non la conserverebbe a lungo”192.

La Corte, pur riconoscendo che i ricorrenti sarebbero andati incontro a

"life-threatening circumstances” e “be forced into homelessness ... [and]

lose needed health benefits.”193, nega che dal diritto alla felicità e alla

sicurezza nasca un dovere del governo di fornire ai cittadini un welfare

191 Boehm v. Superior Ct., 223 Cal. Rptr. 716 (1986)

192 Remo Bodei, Geometria delle passioni, Paura, speranza, felicità: filosofia e uso politico, Saggi-Universale Economica Feltrinelli, 2010, p.403

193 621 N.E.2d 1374 (Ohio Ct. App. 1993)

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adeguato.

Il diritto alla felicità e alla sicurezza viene definito come un diritto naturale

“upon which the state may not place unreasonable restrictions”194 e si

rimane ancorati alla configurazione del diritto come fonte di un semplice

dovere di astensione da parte dello Stato e come fonte di semplici libertà

negative.

La Corte argomenta che, se il diritto alla felicità e alla sicurezza fosse fonte

di obblighi positivi, lo stesso dovrebbe accadere per gli altri diritti sanciti

nella medesima sezione della Costituzione ("enjoyment" della vita e

"acquisition" della proprietà) il che, a detta della Corte, è impossibile.

In realtà, il ragionamento della Corte non è solido.

Non sussiste alcun ostacolo a che un diritto sia fonte di obblighi positivi e

altri diritti non lo siano, anche se contenuti nella stessa sezione della

Costituzione195.

Inoltre, la parola “obtain” è utilizzata dalla Carta Costituzionale solo in

riferimento alla felicità e alla sicurezza e non c'è alcun impedimento logico

nel considerare anche il diritto allo ”enjoyment of life” e alla “acquisition

of property” fonti di obblighi positivi196; anzi, è del tutto naturale

immaginare un obbligo in capo al governo di fornire quelle condizioni 194 621 N.E.2d 1378 (Ohio Ct. App. 1993)

195 Joseph R. Grodin, Rediscovering the state constitutional right to happiness and safety, p.32

196 Idem

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minime affinché il cittadino possa godere della sua vita e possa acquisire

una proprietà.

Allo stesso modo, anche le Corti del New Jersey si rivelano sorde

all'istanza di configurare il diritto alla felicità e alla sicurezza come fonte di

obblighi positivi in capo al governo.

Ad esempio, in Franklin v. New Jersey Department of Human Services197

(1988), i giudici si sono rifiutati di utilizzare l'articolo 1 sezione 1 della

Costituzione dello Stato per dichiarare l'incostituzionalità della limitazione

a cinque mesi per l'assistenza sociale rivolta alle persone senzatetto.

Comunque, in un caso di poco successivo, L.T. v. New Jersey Dep't of

Human Servs (1993), la Corte Suprema del New Jersey ha lasciato la

questione aperta198.

Abbiamo visto come la giurisprudenza degli Stati ha riflettuto

sull'interpretazione di questa formula, il diritto alla ricerca della felicità,

che si presta alla facile critica di avere scarse conseguenze pratiche.

A mio avviso è prevalsa un'interpretazione molto prudente e tutta la portata

di questo diritto deve ancora manifestarsi.

Innanzitutto, il diritto alla ricerca della felicità può svolgere il ruolo di

volano per tutte quelle libertà civili che ancora attendono una maggiore

197 543 A.2d 56 (N. J. Super. 1988)

198 L.T. v. New Jersey Dep't of Human Servs., 133 A.2d 964, 974 (N.J. 1993)

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tutela o, addirittura, il loro riconoscimento.

“Nessuno mi può costringere ad essere felice a suo modo”199, come

sintetizza Kant nella sua opera Sul detto comune (1793).

Appare evidente, infatti, che sarebbe un controsenso garantire il diritto alla

ricerca della felicità e contemporaneamente porre inutili ostacoli a questa

ricerca che, per sua natura, deve essere libera e potersi dirigere in tutte le

direzioni immaginabili.

Questa conclusione si attaglia, a maggior ragione, per la felicità che, come

tutti i sentimenti, appartiene alla sfera più intima dell'uomo: tutti

dovrebbero essere lasciati liberi di perseguire questo stato di grazia (o la

minore infelicità possibile) come meglio credono con l'unico limite di fare

sì che la ricerca di uno non leda quella di altri.

Più complessa la seconda linea interpretativa ovvero quella che utilizza il

diritto alla felicità per costruire un solido appiglio per i diritti sociali: anche

in questa direzione il diritto in questione deve ancora manifestare tutta la

sua forza precettiva.

A riguardo Gustavo Zagrebelsky, in La felicità della democrazia, sostiene

che la ricerca della felicità debba tornare a essere una rivendicazione sulla

bocca degli infelici, cioè degli oppressi quali si sentivano gli americani ai

tempi della loro rivoluzione anticoloniale, e non essere più invocata dai 199 Immanuel Kant, Uber den Gemeinspruch: Das mag in der theorie richtig sein, taugt aber nicht fur die praxis, 1793, trad it. Sul detto comune, in Scritti di storia, p.137

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potenti per giustificare le enormi disuguaglianze che caratterizzano la

nostra società200.

Il diritto alla felicità nella Costituzione italiana e nella giurisprudenza

Come è ben noto la Costituzione italiana non esplicita un diritto alla felicità

o alla ricerca della felicità ma, nonostante ciò, in questo capitolo si cercherà

di dimostrare l'esistenza di un diritto, costituzionalmente fondato, alla

felicità.

La tesi sarà affrontata con riferimento all'ordinamento costituzionale

italiano, sebbene le medesime conclusioni, se condivise, si possano

benissimo applicare ad altri ordinamenti liberal-democratici.

A riguardo è opportuno iniziare l'analisi del tema partendo dall'articolo di

Gladio Gemma Esiste un diritto costituzionale alla felicità?201, nel quale

l'autore sostiene che la felicità può essere oggetto di un diritto

200 Ezio Mauro, Gustavo Zagrebelsky, La felicità della democrazia, Un dialogo, Editori Laterza, 2012, p.238

201 Gladio Gemma, Esiste un diritto costituzionale alla felicità? In AFDUC, 12, 2008, pp.519-31

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costituzionale e cerca di definire la concretizzazione di questo diritto

dimostrando che esso dà luogo a pretese di natura costituzionale che non si

possono fondare su altri diritti sanciti dalla Costituzione202.

Più rigorosamente, Gemma ritiene che si possa parlare di un “interesse

costituzionale alla felicità”203, più che di un diritto costituzionale alla

felicità, trattandosi di un interesse trasversale ai diritti e non di un diritto

che si può porre sul medesimo piano di altri.

Il ricorso al canone dell'interpretazione teleologica (per applicare la legge

può essere necessario stabilire il suo scopo, in modo tale che la sua

applicazione sia conforme alle finalità per cui essa è stata emanata204) e a

quello dell'interpretazione sistematica (non essendo infatti la norma isolata,

ma inserita in un sistema unitario e concluso, essa va colta nelle sue

connessioni con le altre norme ed, in particolare, deve armonizzarsi con i

principi fondamentali che assicurano l'intima coerenza dell'ordinamento

complessivamente considerato205) consente a Gemma di ritenere che il

diritto alla felicità può essere desunto dalla Costituzione206 .

Secondo Gemma, è semplice ricostruire un diritto costituzionale alla

202 Id. p.519

203 Id. p.523

204 Www.altalex.com 09/02/15

205 Temistocle Martines, Diritto Costituzionale, (a cura di Gaetano Silvestri), Giuffrè Editore, 2007, p.60

206 Gladio Gemma, Esiste un diritto costituzionale alla felicità?, Op.cit. p.524

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felicità.

Settori della dottrina e della giurisprudenza hanno enucleato ulteriori diritti,

facendo ricorso a quella specifica norma della Costituzione rappresentata

dall'art 2 (“La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili

dell'uomo, sia come singolo sia nelle formazioni sociali ove si svolge la

sua personalità, e richiede l'adempimento dei doveri inderogabili di

solidarietà politica, economica e sociale.”), oltre quei diritti espressamente

menzionati da altre disposizioni207.

Gemma segue un processo logico diverso in quanto, a suo dire, il diritto

alla felicità non ha la stessa natura degli altri diritti sanciti dalla Carta

fondamentale o da essa dedotti in via interpretativa208.

In realtà, l'interesse costituzionale, che per comodità Gemma definisce

diritto alla felicità, è trasversale rispetto agli altri diritti costituzionali, è la

risultante teleologica di tutti questi ultimi, considerati come sistema209.

Vale a dire la felicità è la ratio dei diritti costituzionali e da essa può

dedursi il diritto alla felicità210.

Gemma non nasconde che possano ingenerarsi dubbi e perplessità sulla

207 Idem

208 Idem

209 Idem

210 Idem

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configurazione di detto diritto211, né ignora che possano sorgere riserve

sulla plausibilità di un diritto indeterminato, quale quello in esame, e,

quindi, resistenze a elevare la felicità al grado di pretesa di ordine

costituzionale.

In primo luogo, sostiene Gemma, prefigurare un diritto a contenuto

indeterminato non è una novità nelle vicende del costituzionalismo ma, al

contrario, rappresenta un fenomeno ormai consolidato212.

Nel Novecento, in particolare dopo la prima guerra mondiale, sono state

promulgate Costituzioni (emblematica a riguardo è quella della Repubblica

di Weimar) munite di norme programmatiche, con la prefigurazione di

diritti talora di contenuto indeterminato, così come, sempre in quel secolo, i

giuristi hanno ricostruito un significato più puntuale di dette norme e di

detti diritti (in Italia, per esempio, si è cimentato in questa opera Vezio

Crisafulli in La costituzione e le sue disposizioni di principio213).

Secondo Gemma, quindi, le vicende storiche del costituzionalismo e il

pensiero giuridico di cui sopra detto dimostrano che l'indeterminatezza del

diritto alla felicità non possa costituire un valido motivo per negare la sua

configurabilità214.

211 Id. p.525

212 Idem

213 Vezio Crisafulli, La costituzione e le sue disposizioni di principio, Giuffrè, 1952

214 Gladio Gemma, Esiste un diritto costituzionale alla felicità?, Op.cit. p.525

89

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Gemma si pone alcune domande: quale è il significato pratico di un “diritto

costituzionale alla felicità”? Può tale interesse costituzionale generare

pretese costituzionalmente fondate accanto a quelle già individuate

nell'ordinamento?

Il ragionamento prende le mosse dalla moltiplicazione, nel processo di

interpretazione della carta fondamentale, di diritti costituzionali di varia

natura215, un fenomeno che rinveniamo sia nell'ordinamento italiano che in

altri.

La dottrina e la giurisprudenza costituzionale italiana hanno disatteso la

teoria della tassatività dell'elenco dei diritti sanciti espressamente dal testo

della Costituzione procedendo, passo dopo passo, alla individuazione di

numerose situazioni giuridiche soggettive implicitamente deducibili da

quest'ultima216.

Per dirla con le parole di Franco Modugno217 si può configurare un diritto

non espresso ogniqualvolta esso rientri “come implicito, strumentale,

conseguente in una specificazione o nella combinazione di più

specificazioni costituzionali”.

Secondo Gemma, esiste un collegamento fra il diritto alla felicità e la

215 Id. p.526

216 Idem

217 Franco Modugno, I nuovi diritti nella giurisprudenza costituzionale, Giappichelli, 1995, p.8

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sovraesposta teoria circa la ricostruzione dei diritti: il diritto alla felicità è

in un rapporto logico non con singoli diritti, bensì con la costellazione dei

diritti costituzionali; esso costituisce il presupposto logico dei diritti di

varia natura che la Costituzione sancisce a beneficio degli individui218.

Conseguentemente, allora, è proprio il diritto alla felicità a consentire, sulla

base di un parametro che ha una maggior determinabilità di altre figure, la

configurazione di pretese di natura costituzionale, configurazione altrimenti

ardua in assenza di tale diritto219.

Gemma, a questo punto, però, si rende conto che è necessaria una

precisazione metodologica.

I termini ed i concetti del linguaggio legislativo possono avere significati

estensivi; così pure è possibile da principi espressamente richiamati

dedurne molti altri per relazione logica (come s'è visto nell'esperienza

costituzionale)220 ma limiti a tali operazioni221 dovranno pur esistere.

Possiamo dare tutta la pluralità di significati che vogliamo a termini e

concetti giuridici ma tali significati non debbono mai essere totalmente

arbitrari, pena la loro inutilità222.

218 Gladio Gemma, Esiste un diritto costituzionale alla felicità?, Op.cit. p.527

219 Idem

220 Idem

221 Idem

222 Id. p.528

91

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Nella realtà dei rapporti sociali il significato dei concetti dipende, o meglio,

deve dipendere “da regolarità e regole...consuetudinarie

e...convenzionali”223 e, se un termine può significare tutto o da un concetto

può ricavarsi, con una pretesa e forzata relazione logica, tutto, il linguaggio

e le nozioni giuridiche divengono inutili e perdono qualsiasi utilità

sociale224.

Inoltre, dedurre diritti da altri attraverso forzature logico-giuridiche è

operazione che ha un debole fondamento e non potrà mai apparire

convincente e, quindi, solo evitando arbitrarietà e forzature potrà risultare

persuasiva la configurazione di un diritto non menzionato nel testo

costituzionale225.

Questa precisazione di metodo consente a Gemma di sviluppare il suo

ragionamento verso una conclusione, appunto non forzata, secondo la quale

la configurazione dell'interesse costituzionale alla felicità costituisce il

fondamento razionale di pretese che non potrebbero dedursi da singoli

diritti costituzionali226.

Esistono molteplici bisogni di natura psicologica che non sono

riconducibili ai diritti di libertà, sociali o politici che il Costituente ha

223 V. Scarpelli, Il metodo giuridico, in Rivista di diritto processuale, 1971, p.568

224 Gladio Gemma, Esiste un diritto costituzionale alla felicità?, Op.cit. p.528

225 Idem

226 Idem

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sancito227.

L'interesse costituzionale alla felicità può, allora, essere fonte di pretese che

non possono dedursi altrimenti e può consentire di trasformare bisogni,

sopratutto quelli di ordine psicologico, in diritti, con la ulteriore

precisazione che ciò potrà realizzarsi solo in quanto quei bisogni possano

fondarsi su pretese di ordine giuridico, vale a dire su pretese a

comportamenti attivi ed omissivi di altri soggetti, in primis, quelli pubblici

ma non solo essi228.

In realtà, sembra possibile un'altra linea interpretativa per giungere alla

configurazione di un diritto costituzionale alla felicità partendo, invece,

proprio dall'art 2 della nostra Costituzione che riconosce e garantisce i

diritti inviolabili dell'uomo come singolo sia nelle formazioni sociali ove si

svolge la sua personalità e richiede l'adempimento dei doveri di solidarietà

politica, economica e sociale.

Infatti da tale articolo, nella Costituzione italiana repubblicana scritta dopo

la fine della disastrosa - soprattutto se riferita ai danni morali che essa creò

a livello umano - seconda guerra mondiale e a conclusione dell'esperienza

della dittatura fascista, la persona umana acquista un posto centrale229, ed

227 Idem

228 Id. pp.528,529

229 Antonio Ruggeri, Il principio personalista e le sue proiezioni, “Federalismi.it”, rivista di diritto pubblico italiano, comunitario e comparato, 2013, p.3

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anzi precede l'entità dello Stato.

Ad essa, alla dignità della persona umana, i Padri Costituenti guardarono e

l'intera Carta repubblicana, secondo la comune opinione, è un inno alla

persona, ai suoi diritti fondamentali, alla sua dignità, ad una persona

salvaguardata – com'è stato felicemente detto – in “lunghezza, larghezza e

profondità”230.

Da tale premessa si possono trarre importanti considerazioni.

La prima è che il “principio personalista” – che ispirò i Padri Costituenti –

in realtà non è un “principio” al pari degli altri che pure sono a fondamento

dell'ordine repubblicano; semmai, è il principio, ma soprattutto il fine del

percorso costituzionale e la sua giustificazione231.

Dunque non vi è e non può esservi una sola norma che in sé racchiuda ed

esprima il “principio” in parola; si perderebbe, dice Ruggeri la sua vis

qualificatoria e prescrittiva232.

Lo stesso usuale richiamo all'art. 2 della Carta, con il suo riferimento ai

diritti inalienabili dell'uomo può, dunque, al massimo valere a connotare la

norma che più e meglio di ogni altra concorre (ma è, appunto, un concorso)

a dare l'indicazione del principio, ma certo non è la sola233.

230 E. Mounier 1955, cui si richiama anche V. Baldini 2007, 58

231 Antonio Ruggeri, Il principio personalista e le sue proiezioni, Op.cit. p.3

232 Idem

233 Idem

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Il collegamento tra il principio personalista e il riconoscimento dei diritti

fondamentali è assai stretto, ma forse il suo significato può essere ancora

indagato234.

La comune opinione, più ancora che ragionare di un collegamento tra l'uno

e l'altro, risolve puramente e semplicemente il primo nel secondo235; forse

però si tende così a semplificare una realtà che invece è assai più composita

ed articolata236, anche alla luce dello sviluppo delle conoscenze

psicologiche sull'essere umano.

Non v'è dubbio, infatti, che il quid proprium del principio stia nella

salvaguardia dei diritti fondamentali; e, tuttavia, non si esaurisce ed

identifica solo in questo237.

Sta di fatto che l'intera impalcatura dell'edificio costituzionale poggia sul

principio personalista e che i diritti riconosciuti, secondo la studiata

formula inscritta nell'art. 2, come inviolabili non possono ridursi – come

alcuni pensano – ad un numerus clausus, come riferito ai diritti elencati

nella Carta agli artt. 13 ss238.

Certo il riferimento che in essi si fa ai diritti di libertà di domicilio, di

234 Idem

235 Idem

236 Idem

237 Idem

238 Id. p.5

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corrispondenza, di associazione, di tutela giudiziaria, di movimento ecc.

arricchisce la persona ma non ne esaurisce la complessità ultima.

La “centralità” della persona umana non può infatti avere che altro

significato se non quello per cui la persona è garantita ut sic, a tutto tondo,

in ciascuno degli elementi (corporei e non) che la costituiscono e nella loro

inscindibile, individuale e particolare unità239.

A ciò si aggiungano i richiami alla persona in quanto tale contenuti in

numerose Carte internazionali dei diritti recepite nel nostro ordinamento,

per quanto la loro condizione giuridica sia da una parte della dottrina

qualificata di rango “subcostituzionale”240.

Comunque è impossibile parcellizzare la persona umana garantendo di essa

solo alcune espressioni e non altre241.

La qual cosa, ovviamente, non esclude il riferimento all'homme situé,

all'uomo storico, con la peculiare salvaguardia di specifici diritti emergenti

nei singoli contesti nei quali la persona si trova ad operare (la famiglia, la

scuola, il mondo del lavoro, il partito e le formazioni sociali in genere, e via

dicendo), in ciascuno dei quali nondimeno la persona si specchia nella sua

totalità individuale ed originale242.

239 Idem

240 Idem

241 Idem

242 Idem

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Se l'uomo è ontologicamente unità di corpo e spirito, la sua felicità è

determinata dalla garanzia di esplicitazione di ambedue queste componenti.

Di qui, come si diceva, il carattere riduttivo e forzato della opinione che

vorrebbe “chiuso” il catalogo dei diritti fondamentali, risultando pertanto

svilita la portata normativa dell'art. 2, quale summa riassuntiva degli

enunciati successivi243.

Alla luce di ciò, come si può immaginare una Costituzione che mette la

personalità dell'uomo al centro e che contemporaneamente si dimentica

della sua componente emozionale e quindi della sua felicità?

Pertanto, il diritto alla felicità (e in questo caso, dato che parliamo di

personalità dell'uomo, a tutto tondo, si dovrebbe parlare anche di uno

speculare diritto all'infelicità) si può configurare come un corollario del

principio personalistico: perché tutelare la persona umana e disinteressarsi

della tutela dello stato emotivo in cui la persona si sente pienamente

realizzata?

A ciò si aggiunga la riflessione sul II comma dell'art.3 della Costituzione

(“È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e

sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini,

impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva

partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e

243 Id.pp.5,6

97

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sociale del Paese”).

Come si può concepire il “pieno sviluppo della persona umana” senza

garantire una rimozione degli ostacoli che impediscano a tutti, in uguale

misura, di raggiungere lo stato di felicità?

Gemma, inoltre, si interroga sul rapporto tra diritto costituzionale alla

felicità e doveri costituzionali244.

In altre parole, Gemma riflette sul rapporto che intercorre tra la

configurazione di un diritto costituzionale alla felicità e l'individualismo,

inteso nel senso più radicale quale apologia della ricerca del piacere

individuale a detrimento delle istanze di socialità e di solidarietà245.

In effetti, il diritto alla felicità non appare affatto strettamente correlato ad

un individualismo sfrenato, ed anzi sembra pienamente compatibile, perciò

in totale armonia, con una concezione solidaristica.

Tralasciando il fatto che anche nell'ambito della vita strettamente

individuale la felicità si può raggiungere attraverso l'osservanza di vincoli e

qualche privazione, vale una considerazione di fondo: solo la

prefigurazione di doveri e la rigorosa osservanza di questi può consentire il

massimo di realizzazione possibile della felicità246.

E' possibile concludere a riguardo che l'aggregazione umana, di massima, 244 Gladio Gemma, Esiste un diritto costituzionale alla felicità?, Op.cit. pp.529,530,531

245 Id. p.529

246 Id. p.530

98

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realizza gli interessi degli individui assai meglio di quanto essi potrebbero

fare se operassero isolatamente247.

Il che dunque implica che debbono sussistere ed essere mantenute quelle

condizioni che preservano la società e la rendono funzionale alle esigenze

di tutti i suoi membri, e questo implica la presenza di regole, di obblighi dei

singoli e della loro osservanza248.

E' incontrovertibile che la realizzazione della felicità individuale richieda la

disponibilità di risorse sociali, e più concretamente prestazioni di individui

per l'appagamento dei bisogni di altri sicché, se viene a mancare o non

viene osservato il dovere dei primi di provvedere alle esigenze dei secondi,

ne conseguiranno privazioni ed infelicità249.

A questo può aggiungersi un'altra considerazione: è necessario

contrapporre all'individualismo selvaggio una filosofia, anche sul versante

giuridico, di solidarismo e di riconoscimento estensivo dei doveri; in altre

parole, all'individualismo va opposta una cultura dei doveri250.

Detto ciò, va riconosciuto come la difesa della felicità individuale

costituisca un fattore utile alla promozione della cultura dei doveri.

Nessuno può essere felice se le condizioni non permettono a tutti di

247 Idem

248 Idem

249 Idem

250 Id. pp.530,531

99

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ottenere o almeno perseguire questo stato.

L'individualismo costituisce la degenerazione di un valido motivo, la

risposta sbagliata ad un'istanza giusta251.

Più esattamente, tale tendenza culturale risponde negativamente alla

legittima istanza della realizzazione della felicità degli esseri umani252.

Se si vuole fare accettare questa idea, occorre che questa sia funzionale al

medesimo fine, cioè appaia migliore sempre in relazione al medesimo

scopo253.

Viviamo in una società fortemente secolarizzata, nella quale le istanze

individuali di sottrazione alle regole e di ricerca del piacere individuale al

massimo grado sono preponderanti254.

Dunque, non si può ritenere che il binomio individualismo-felicità umana

sia imprescindibile e che una cultura dei doveri determini un detrimento al

raggiungimento della felicità individuale.255

Si deve, invece, ritenere che la necessità dei doveri ed il solidarismo siano

connessi all'istanza della felicità armonizzando la cultura dei diritti con la

cultura dei doveri; come dice ancora Gemma, una teleologia

251 Id. p.531

252 Idem

253 Idem

254 Idem

255 Idem

100

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eudaimonistica, può delegittimare ed emarginare la devastante filosofia

individualistica256.

Purtroppo le sezioni unite della Corte di Cassazione nelle sentenze gemelle

dell'11.11.2008 fanno riferimento al diritto alla felicità definendolo

incredibilmente “un'idea del tutto immaginaria”257.

Nello specifico, le sezioni unite della Corte Suprema di Cassazione con

sentenza n. 26972 dell'11.11.2008258 hanno definito “immaginario” ogni

riferimento al diritto alla qualità della vita, allo stato di benessere, alla

serenità e, in definitiva, al diritto alla felicità, precisando che fuori dai casi

determinati dalla legge ordinaria soltanto la lesione di un diritto inviolabile

della persona concretamente individuato è fonte di responsabilità

risarcitoria non patrimoniale259.

Infatti, in precedenza, con le sentenze della Cassazione nn. 7281260, 7282261,

7283262, 8827263 e 8828264 del 2003, nonché con la sentenza della Corte

256 Idem

257 Ester Isaja, il diritto alla felicità in trattato dei nuovi danni (a cura di paolo cendon), vol.II, Malpractice medica, prerogative della persona, voci emergenti della responsabilità, capitolo XII, p.242

258 Cassazione civile , SS.UU., sentenza 11.11.2008 n° 26972

259 Ester Isaja, il diritto alla felicità, Op.cit. p.242

260 Corte di Cassazione n. 7281/03

261 Cassazione civile, Sezione terza, sentenza n. 7282/03

262 Corte di Cassazione n. 7283/2003

263 Cassazione n. 8827/2003

264 Cassazione n. 8828/2003

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Costituzionale n. 233265 del 2003, e con l'apporto della dottrina (si veda ad

esempio il contributo del Prof. Paolo Cendon) si era formata la categoria

del danno esistenziale, che, come è noto, regola quelle lesioni a carattere

patrimoniale e/o morale che impediscono all'individuo di esercitare il suo

diritto alla felicità, in un'accezione assai ampia, ovvero come esplicazione

di tutte quelle attività che possono condurre al suo pieno sviluppo psico-

fisico266.

La categoria del danno esistenziale viene inserita nell'ambito d'applicazione

dell'art. 2059 c.c (ricomprendendovi per esempio il danno psichico, quello

estetico, quello alla vita di relazione, il danno da mobbing, il danno da

vacanza rovinata, il danno conseguente ad un servizio fotografico saltato ed

al taglio di capelli mal eseguito che abbiano rovinato un matrimonio, etc)

distinguendola dal danno biologico ex art. 2043 c.c267.

Tuttavia la Suprema Corte ha più volte negato la configurabilità del danno

esistenziale quale tertium genus perché il danno è sempre patrimoniale o

non patrimoniale268.

Vi è stato un progressivo riconoscimento dottrinario del danno esistenziale

quale categoria autonoma, rapportabile alla sfera umana relazionale-

265 Corte Costituzionale sentenza 11 luglio 2003 n. 233

266 Ester Isaja, il diritto alla felicità, Op.cit. p.249

267 Idem

268 Id. p. 250

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dinamica, adeguandosi anche ai suggerimenti, provenienti da oltreoceano,

materializzabili nel “diritto a raggiungere la felicità”, diritto di rilevanza

costituzionale, ed il cosiddetto hedonic damage269.

L'apertura giurisprudenziale operata dalla sentenza n. 13546 del 2006270,

fondata su una lettura dell'art. 2059 c.c “costituzionalmente orientata”, è

stata rivista dalle sopracitate sentenze gemelle del 11.11.2008 con le quali

la Corte di Cassazione ha definito il diritto ad essere felici “del tutto

immaginario” e, pertanto, non meritevole di tutela alcuna, nell'unico solito

intento di contenere le richieste di risarcimento e, quindi, anche il

contenzioso271.

La Corte appare preoccupata del fatto che alla lesione di un diritto

fondamentale potessero conseguire più tipi di risarcimento, uno per il

danno biologico, uno per il danno morale ed uno per il danno c.d.

esistenziale e da qui l'affermazione che il danno prodotto dalla lesione di un

diritto fondamentale ha natura unitaria, ovvero di “danno areddituale”272.

Le note sentenze gemelle del 2008, secondo le quali, come ricordiamo,

trovano tutela solo le violazioni gravi di diritti inviolabili della persona non

269 Idem

270 Cassazione civile , sez. III, sentenza 12.06.2006 n° 13546

271 Ester Isaja, il diritto alla felicità, Op.cit. p.250

272 Giuseppe Barone, Le prospettive della ridotta tutela dei diritti fondamentali: dal diritto alla felicità alla soggezione all’infelicità in Studi in onore di Claudio Rossano, vol. 2, Jovene editore, 2013, p. 550

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altrimenti risarcibili, sono state disattese da non isolate decisioni dei giudici

di legittimità e di merito nonché dai giudici amministrativi273.

Tra le varie sentenze di legittimità si mette in evidenza quella della Sezione

Lavoro del 5/10/2009 n.21223274 la quale, trascurando la sentenza n.

26972/2008, definisce il danno esistenziale come ogni pregiudizio di natura

non meramente emotiva ed interiore, ma oggettivamente accertabile,

provocato sul fare areddituale del soggetto, che alteri le sue abitudini e gli

assetti relazionali propri inducendolo a scelte di vita diverse quanto

all'espressione e realizzazione della sua personalità nel mondo esterno275.

Nella giurisprudenza di merito si segnalano le decisioni del Tribunale di

Venezia276 e quelle del Tribunale di Roma277.

La prima riguarda il caso di un bambino che si era punto con una siringa

abbandonata su di una spiaggia e il Tribunale ha liquidato i danni da fastidi

e stress patiti dal bambino, vistosi costretto ad esami clinici che

escludessero contagi278.

Il Tribunale di Roma, nelle due citate sentenze, descrive il danno 273 Id. pp.553, 554

274 Cassazione, sez. lavoro, 05/10/2009, n. 212223

275 Giuseppe Barone, Le prospettive della ridotta tutela dei diritti fondamentali: dal diritto alla felicità alla soggezione all’infelicità, Op.cit. pp. 553, 554

276 Tribunale di Venezia, 31/01/2009, n. 292

277 Tribunale di Roma 23/09/2009; Tribunale di Roma 13/07/2009

278 Giuseppe Barone, Le prospettive della ridotta tutela dei diritti fondamentali: dal diritto alla felicità alla soggezione all’infelicità, Op.cit. pp. 553, 554

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esistenziale come impedimento allo svolgimento di attività realizzatrici

della persona oppure, in un caso di cattiva organizzazione di un banchetto

di nozze, nella pessima figura verso gli invitati, i quali legittimamente

potevano immaginare che gli sposi avessero voluto risparmiare sulle

spese279.

Il Consiglio di Stato, pur rigettando la pretesa di un imprenditore, definisce

il danno esistenziale come compromissione dell'autostima, del benessere e

della sfera relazionale del danneggiato280.

Giuseppe Barone in Le prospettive della ridotta tutela dei diritti

fondamentali: dal diritto alla felicità alla soggezione all’infelicità ritiene

particolarmente perniciose, ai fini dei suoi ragionamenti, quelle decisioni

con le quali si offre tutela solo ai “disagi” che superino un presunto livello

di normalità281.

Così operando, più da sociologo che da giurista, si finisce per abbassare la

qualità del livello di vita, ad apporre il sigillo di normalità su

comportamenti incivili, facendo rientrare disagi nuovi, spesso gravi, fra gli

eventi comuni del vivere quotidiano282.

279 Id. p. 554

280 Consiglio di Stato, sez. VI, 8/9/2009, n. 5266

281 Giuseppe Barone, Le prospettive della ridotta tutela dei diritti fondamentali: dal diritto alla felicità alla soggezione all’infelicità, Op.cit. p. 556

282 Idem

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Nel momento stesso in cui un disagio viene qualificato come normale,

ovvero come facente parte pressoché costante della vita quotidiana

dell'individuo, esso vi si insedia a pieno titolo e può ripetersi un numero

indeterminato di volte nei confronti di chiunque, senza che vi si possa

opporre una qualunque resistenza di carattere giuridico283.

E' inconcepibile pensare che più aumenti il numero e la frequenza dei

disagi più essi divengano “normali” e quindi privi di alcuna tutela

risarcitoria.

La giurisprudenza, pur consapevole di questa pericolosa china, tende a

rassegnarsi e partendo dal convincimento che l'aspirazione alla felicità è

una chimera perviene a qualificare normali e cioè accettabili quei disagi

che non dipendono da eventi naturali, ma da comportamenti dei terzi che

solo se sanzionati con il risarcimento diverrebbero meno frequenti e tutti

vivremmo più felicemente284.

E' un indirizzo pericoloso, non solo per le sue conseguenze sociali: l'area

dei diritti fondamentali (diritti veri e non immaginari) è più vasta e

complessa e ben può ricondursi alla libertà della persona che l'art. 2 della

Costituzione unitariamente protegge anche in maniera sintetica e generale,

senza che sia necessario rinvenire l'esatta norma costituzionale che si

283 Idem

284 Id. p. 557

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Page 107: CORRELATORE Gino Scaccia ANNO ACCADEMICO · l'instabilità della situazione umana e l'incerta sorte ... così è sorto nella Grecia antica dove ... in Nicola Abbagnano, Dizionario

ritiene violata285.

L'ingiustizia costituzionale si rapporterebbe, quindi, sinteticamente e

globalmente alla violazione dei diritti protetti dall'art. 2 Costituzione286.

Il diritto inviolabile della persona, la cui lesione determina responsabilità

risarcitoria non patrimoniale, non avrebbe bisogno d'essere “concretamente

individuato”, giacché sussistono diritti inviolabili “inespressi” che si

inseriscono nella previsione dell'art. 2 Costituzione “aperto al soggiorno di

valori man mano riconosciuti, nel tempo, dalla società”287.

La conclusione a cui perviene Barone è facilmente desumibile da quanto

esposto in precedenza: l'ingiustizia costituzionale deve partire dalla

coscienza sociale, la quale considera fortemente riduttivi delle attività

realizzatrici della persona alcuni comportamenti e perciò solo lesivi dei

valori previsti dall'art. 2 della Costituzione288.

Solo così ragionando si dà respiro ai diritti, si assicura tutela là dove ci

sono state sofferenze e si propone un modello di società civile in cui la

solidarietà non gioca un ruolo al ribasso (il dovere di sopportare) ma spinge

al rispetto, alla correttezza, all'attenzione nei reciproci rapporti (il dovere di

285 Idem

286 Id. p. 558

287 Tribunale Varese, Volontaria giurisdizione, decreto 7/12/2011

288 Giuseppe Barone, Le prospettive della ridotta tutela dei diritti fondamentali: dal diritto alla felicità alla soggezione all’infelicità, Op.cit. p. 562

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agire per vivere tutti meglio)289.

Diversamente in luogo del diritto alla felicità ci ritroveremo a subire il

dovere all'infelicità290.

E' auspicabile e necessario quindi che la Suprema Corte riveda quanto al

diritto alla felicità il proprio attuale orientamento e che ogni passo venga

d'ora in avanti compiuto unicamente nella piena coscienza e

consapevolezza del diritto alla felicità come diritto di grande importanza

appartenente ad ogni essere umano291.

Allo stesso modo è un peccato che non abbia sortito alcun effetto la

proposta n. 2201 del 2003 con cui l'on. Giuseppe Pisicchio aveva avuto

l'idea di inserire “la ricerca del benessere” tra le somme garanzie per gli

italiani, direttamente nell'articolo 2 della Costituzione e aveva proposto al

II comma, dopo le parole “La Repubblica riconosce e garantisce i diritti

inviolabili dell'uomo”, di inserire la frase “e tra essi il diritto alla ricerca

del benessere”292.

Resta dunque da augurarsi, a questo punto, che in futuro il diritto alla

ricerca della felicità trovi esplicitamente cittadinanza nella nostra

Costituzione.

289 Idem

290 Idem

291 Ester Isaja, il diritto alla felicità, Op.cit. p.250

292 Id. p.242

108

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Conclusioni

In questa tesi ho cercato di comprendere la genesi storica e l'evoluzione del

diritto alla felicità e alla ricerca della felicità.

In particolare, ho cercato di capire perché una formula così evocativa e

affascinante abbia avuto una limitata fortuna in ambito giuridico.

Cerco di spiegarmi meglio: perché le Costituzioni di molti paesi si

occupano di tutelare i diritti dei cittadini ma si dimenticano del fine che la

tutela di quei diritti persegue, ovvero il benessere degli esseri umani ed in

definitiva la loro felicità?

Perché anche in quegli ordinamenti costituzionali che vedono consacrato il

diritto alla felicità o alla sua ricerca quel diritto è stato spesso dimenticato e

derubricato a formula retorico-politica senza incisive conseguenze

giuridiche?

Le risposte che mi sono dato sono essenzialmente di tre ordini.

La prima si riconnette a visioni pessimistiche della vita: secondo molti

pensatori e illustri sistemi di pensiero (per non parlare del senso comune) la

felicità sulla terra semplicemente non è raggiungibile.

Tutte queste correnti di pensiero sono concordi nel ritenere la felicità

esclusivamente una chimera per l'essere umano.

Per usare una metafora cara al pensiero cristiano noi uomini si sarebbe

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condannati a vivere in questa “valle di lacrime”, cioè il Mondo terreno, in

contrapposizione al Regno dei Cieli; la Terra come sede dell'uomo, con il

suo dolore e le sue miserie, dopo che il Peccato Originale l'ha privato del

Paradiso Terrestre condannandolo a subire e a infliggere dolore e

sofferenza.

Oppure non si può dimenticare il pensiero di un “sommo” della letteratura

italiana, Giacomo Leopardi e in particolare la sua fase del pessimismo

cosmico.

Secondo Leopardi la natura è materia muta e cieca, pura fisicità, materia

opaca e impenetrabile.

La materia ha in sé sue qualità, forze, energie interne; è un agitarsi

turbinoso e incessante degli atomi.

Entro questa immagine di un Universo come ciclo di produzione-

distruzione della materia, l’uomo smarrisce ogni privilegio, ogni superiorità

sugli altri esseri e scopre il greve condizionamento che la natura esercita su

di lui.

Come tutte le cose, anche l’uomo è soggetto a questa continua

trasformazione della materia: la storia dell'uomo non è, quindi, altro che un

processo privo di meta, un’appendice del vortice degli atomi e delle

molecole, un episodio nella trasmutazione incessante della sostanza

universale.

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Le forze oscure che operano nella materia condannano l'essere vivente a un

male inevitabile: perciò, il dolore (infelicità) è innato e originario, viene

dalle radici stesse della vita, è parte costitutiva del nostro essere, della

materia di cui siamo costituiti.

Senza andare oltre nell'elencazione di tutti i sistemi di pensiero che vedono

nel dolore e nella sofferenza le costanti dell'esistenza dell'essere umano,

non è difficile armonizzare queste posizioni filosofiche con il diritto alla

ricerca della felicità o alla felicità tout court.

Infatti, siamo di fronte a una mera questione terminologica: anche chi sposa

una visione pessimistica della vita converrà sul fatto che anche l'infelicità

può assumere diverse gradazioni e che obiettivo dell'esistenza resta quello

di provare meno dolore possibile, di sperimentare la sofferenza minore.

Quindi, basterà parlare di “diritto alla minore infelicità” anziché di “diritto

alla felicità” per far sì che il sistema riacquisisca la sua intima coerenza.

Del resto, se è vero che la condizione umana è una condizione di dolore,

perché aggiungere sofferenze inutili a quelle che già siamo condannati

ontologicamente ad affrontare?

La seconda spiegazione si ricollega alla diffusione, nel ambito della

filosofia morale, di etiche non eudemonistiche.

Queste correnti di pensiero sono accomunate dal non considerare la felicità

desiderabile o, perlomeno, come il fine ultimo della vita umana.

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Io credo che queste etiche nell'epoca di grande secolarizzazione in cui

viviamo siano di scarso appeal: basta guardarsi intorno (dalla diffusione

della letteratura di self-help al richiamo costante da parte della pubblicità al

concetto di felicità) per capire che oggi c'è un grande desiderio di felicità

(non è al momento rilevante il fatto che ci sia una grande infelicità diffusa;

questo sarebbe semmai riconnesso ai valori distorti che vengono accostati

alla ricerca della felicità, come ad esempio il consumismo).

Come abbiamo visto con l'Illuminismo, è proprio nei periodi storici di

critica della religione che gli uomini invocano più fortemente questo

sentimento umano e mondano che è la felicità.

Infine, la terza spiegazione che si ricollega direttamente a tutte le difficoltà

di comprensione e di utilizzo che il concetto stesso di felicità suscita.

La felicità sotto alcuni aspetti è inafferrabile tanto quanto l'acqua o il vento.

Appena crediamo di essercene impadroniti essa ci sfugge, se si cerca di

trattenerla essa scompare, quando crediamo non esista o non si sia in grado

di afferrarla essa fa capolino, magari nel momento più inatteso.

Per assurdo, forse, riusciamo a penetrare la felicità solo quando non

l'abbiamo o quando si allontana: “ho riconosciuto la felicità dal rumore che

faceva allontanandosi”, scrive Jacques Prévert.

Allo stesso tempo, però, la ricerca della felicità non è un'opera vana: si può

imparare a essere più felici riflettendo sulla propria vita, lavorando su se

112

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stessi o modificando la nostra visione sulle cose.

Questo sentimento è allo stesso tempo indomabile e addomesticabile: la

felicità dipende dal destino e dalla fortuna tanto quanto dalla ragione e

dalla volontà.

Un altro problema filosofico deriva dalla relatività di questo sentimento che

varia a seconda delle culture, degli individui e per ciascuno a seconda delle

fasi della vita (ed è forse per questo motivo che ci fanno sorridere tutti i

tentativi di elaborare, una volta per tutte, la “ricetta” della felicità).

Interessante è notare che ogni disciplina che si occupa della felicità

(psicologia, sociologia, biologia, scienze cognitive) ci mostra un aspetto,

una sfaccettatura, diversa di essa.

Siamo di fronte ad un concetto così etereo che è più facile rispondere alla

domanda “Che cosa mi rende felice?” piuttosto che alla delicata questione

“Che cos'è la felicità?”

Io credo che è stata proprio l'inafferrabilità di questo concetto ad avere

screditato tra i giuristi il diritto alla felicità o alla sua ricerca: ha senso

rendere oggetto di un diritto un sentimento così impalpabile? Può

un'emozione così transitoria e soggettiva essere oggetto di una pretesa

giuridica?

Io credo di sì: è evidente che la felicità è in buona parte una questione

personale, frutto del proprio cammino di ricerca, ma il corretto atteggiarsi

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dei rapporti sociali politici ed economici è allo stesso tempo una parte della

felicità o, quantomeno, costituisce quel substrato di condizioni all'interno

del quale la felicità può fiorire.

Sarebbe tuttavia estremamente grave se lo Stato pretendesse di dire ai

cittadini come essere felici: immediatamente verrebbe alla mente il Mondo

nuovo di Aldous Huxley dove la massa è istupidita dai governanti con una

miscela di sesso e droga.

E' per questo motivo che ritengo la formula “diritto alla ricerca della

felicità” assai più corretta di quella “diritto alla felicità”.

La seconda formula, infatti, potrebbe ingenerare la credenza che esista uno

speculare dovere a fornire la felicità in capo al potere pubblico, con

possibili esiti illiberali se non totalitari.

Resta il fatto che esistono dei fattori esterni della felicità (importanti tanto

quanto i fattori interni), ciò che possiamo chiamare le condizioni ambientali

della felicità.

Lo Stato, e quindi il potere politico, non può disinteressarsi di questi fattori:

si pensi al benessere economico, alla salute dei cittadini, all'istruzione, alle

libertà civili, ai diritti di partecipazione politica, alla tutela dell'ambiente

ecc.

Specularmente, come non si può considerare l'esercizio abietto del potere

politico una causa di infelicità?

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Come si può ritenere una coincidenza il fatto che in cima al World

Happiness Report (il sondaggio sulla felicità media nei vari paesi del

Mondo commissionato dalle Nazioni Unite) si trovino sempre paesi con

una solida democrazia, libertà civili e politiche salde, viva partecipazione

politica, un welfare state efficiente, elevato livello di sicurezza dei cittadini,

bassi tassi di criminalità (per esempio i Paesi scandinavi)?

Allo stesso modo gli studi condotti dai Professori Bruno Frey e Alois

Stutzer hanno confermato i risultati di un esperimento svolto su seimila

cittadini svizzeri.

Gli indici di felicità aumentano in funzione del coinvolgimento di ogni

individuo nelle questioni politiche.

Di fatto, non tutti i Cantoni svizzeri offrono uguali occasioni di libertà.

In termini monetari, un certo aumento del grado di partecipazione

equivaleva a guadagnare uno stipendio più che triplicato.

Una circostanza sorprendente e del tutto incomprensibile per coloro che

non si sono mai occupati della felicità dei propri cittadini.

Facendo un confronto tra le esperienze degli Stati americani, che vedono

consacrato il diritto alla felicità e alla sua ricerca, e quella italiana, che non

vede esplicitato nella propria Costituzione questo diritto, mi sono convinto

che nel nostro Ordinamento questo diritto è, nella sostanza, maggiormente

garantito.

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Infatti, la nostra Costituzione ha il pregio di tutelare i diritti economici e

sociali, garanzia, all'opposto, non affatto scontata negli Ordinamenti degli

Stati americani, come abbiamo visto nel caso Daugherty v. Wallace.

Non è forse una formula vana riconoscere ad ogni uomo il diritto alla

ricerca della felicità quando, poi, non è parimenti garantita la libertà dal

bisogno?

La Costituzione italiana non sancisce mai apertamente il diritto dei cittadini

alla ricerca della felicità ma si occupa, invece, di garantirgli i presupposti,

le basi di partenza (lavoro, salute, assistenza sociale, istruzione, ecc.), le

conditio sine qua non per di ogni possibile ricerca ed eventuale

raggiungimento della felicità.

A ciò si aggiungano le evidenze empiriche forniteci dall'economia della

felicità (cioè quella branca della scienza economica che tenta di

comprendere quali siano le cause economiche del benessere delle persone):

a mano a mano che in una comunità la sperequazione economica sale, la

felicità complessiva diminuisce; inoltre, ci viene dimostrato come l'idolatria

del mercato, come unico modo di organizzazione della vita economica, sia

gravida di conseguenze nefaste sulla felicità delle persone.

Del resto, la felicità è autentica solo se è condivisa, perché, citando il

filosofo Remo Bodei, “essere felici da soli è come danzare in un lazzaretto

o sulla tolda del Titanic”.

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