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n una delle pagine più maliziose del De bello civili Giulio Cesare racconta che nell’accampamento pompeiano, alla vigilia della battaglia di Farsalo, si discuteva della spartizione delle cariche. Tra i capifazione nacquero feroci litigi. Succede lo stesso nel centro sinistra, che si sente la vittoria in tasca nonostante i tranelli e le imboscate del- l’avversario. Così ci tocca di vedere D’Alema e Amato in briga per il Quirinale, D’Alema e Bonino racco- mandarsi per gli Esteri, Bertinotti e (ancora!) D’Alema che s’offrono per la presidenza della Camera. Intanto il segretario Ds Fassino pensa a un impor- tante ruolo governativo e la “delfina” Marina Sereni, umbra, si prepara alla successione o, quanto meno, alla reg- genza. Intanto Agostini e Giulietti, che dopo il terzo mandato non dovrebbero ricandidarsi, prenotano un sottosegreta- riato, nel caso in cui non ottengano la dispensa per una riconferma a Montecitorio. La forza dei sondaggi induce ad ignorare i precedenti infausti, come quello delle recenti comunali di Catania, ove il candidato sindaco, l’ex ministro Bianco, a due giorni dal voto, proclamava: “Sono diciotto punti avan- ti”. Non vorremmo che, mutatis mutandis, anche stavolta finisca al modo dei pompeiani a Farsalo e di Bianco a Catania, cioè a vacca. Abbiamo letto, su un giornalino umbro, l’articolessa in cui un intellet- tuale di destra spiega come Berlusconi abbia cambiato la sinistra. Per una volta siamo d’accordo. Sono di certo berlu- sconate i sondaggi diffusi per galvaniz- zare i fans, o usati come ricerche di mercato per definire le proprie posizio- ni sulla base delle preferenze della “clientela”. E lo è anche la rinuncia ad ogni criticità nella comunicazione. A detta dei governanti tutto va a gonfie vele e quello che non funziona è colpa del nemico. Così fan tutti, il cavaliere dai suoi pulpiti, il centro sinistra ovun- que governa. “Avvenimenti”, un setti- manale di sinistra per altri versi bene- merito, ha dedicato un inserto all’Umbria, dando voce all’establish- ment che governa la regione. La presi- dente della Regione proclama: “Siamo stati virtuosi”, ma, quanto a virtù, non scherza neanche il sindaco di Perugia: “Conserviamo il coraggio dei partigiani e la prudenza dei nostri padri contadi- ni”; il direttore di Sviluppumbria elogia la nostra flessibilità ed eccellenza; il pre- sidente dell’Apm si esalta per i profitti conseguita dalla sua società. E così imbrodandosi. In realtà basta una lettu- ra, anche distratta, del recente Rapporto Aur 2004, per capire i rischi di declino che l’Umbria corre. I toni da imbonitori non funzionano più nean- che per Berlusconi, figurarsi per la sini- stra, il cui elettorato chiede in primo luogo verità. A Roma, intanto, i capi dell’opposizione inanellano atti di auto- lesionismo. In questo novembre il pri- mato spetta al segretario Ds. Una volta al governo vorrebbe trattare il calenda- rio del ritiro dei soldati italiani dall’Iraq con gli Usa, il Regno Unito e il cosid- detto governo iracheno: una implicita legittimazione della guerra, proprio nel momento in cui vengono a galla le verità crudeli sull’uso del fosforo a Falluja e sulle torture. Fassino peraltro nega l’esistenza di una offensiva clerica- le che tutti vedono e va in pellegrinag- gio al Vaticano, all’anteprima della fic- tion sul papa defunto. Infine invita a cena industriali, finanzieri e banchieri per discorrere del programma. E’ come quel tizio che per fare la rivoluzione chiese l’autorizzazione della Questura. Forse pensa che per riandare al governo dovrà farsi perdonare da tutti i poteri forti l’ormai lontana appartenenza a un partito che si chiamava comunista. Meno male che anche alla destra, nono- stante le leggi elettorali su misura e le trovate propagandistiche, non gira come vorrebbe. Nonostante la nuova legge elettorale perdura il riflesso mag- gioritario: per leghisti, anisti e democri- sti è troppo poco il tempo per separare le proprie sorti da quelle di Berlusconi. Quanto al cavaliere, la sua comunica- zione non funziona più, è perfino con- troproducente, una volta quel che toc- cava diventava oro, ora diventa guano. Succede ai teledivi, di subire le offese del tempo. Un esempio? L’altra volta l’immagine di “presidente operaio” indusse non pochi salariati a dargli fiducia, oggi i manifesti azzurri su una Finanziaria che diminuisce il costo del lavoro provoca ironici commenti: “Se diminuisce il costo, diminuirà anche il prezzo, cioè la retribuzione”. Così dico- no i lavoratori sui bus. E scioperano. Fortuna che c’è Berlusconi. ieci anni fa, nel dicembre del 1995, usciva il numero zero di “micropolis”. Dal marzo del 1996 il periodico iniziava le sue regolari mensili pubbli- cazioni. Abbiamo accompagnato i nostri lettori attraverso i mutamenti di un decennio tutt’altro che esaltante. La nostra linea politica ed editoriale è stata quella di ripropor- re caparbiamente all’insieme della sinistra temi e problemi spesso dimenticati o negati, un’ipotesi di unità non ecu- menica, da raggiungere attraverso il dibattito e la battaglia politica. Finora non abbiamo avuto successi rilevanti, ma abbiamo fiducia e presunzione sufficienti per continuare, convinti come siamo di avere ragione. Seguiteremo quindi ad essere scomodi, continuando a spiegare con pazienza e a dire la verità, anche quando è sgradevole. D’altronde in questo sforzo abbiamo anche veduto crescere intorno a noi un’area di influenza modesta, ma non insignificante, abbiamo conquistato un ruolo di informazione e di chiari- ficazione. Non sono pochi i lettori che sostengono di riu- scire a capire ciò che avviene in Umbria solo attraverso le nostre pagine; cosa che non ci dà particolari meriti, quan- to piuttosto illustra la miseria della stampa locale. Nessuno - neppure noi che lo facciamo - avrebbe scommesso su una così lunga durata del giornale. Anche per questo vale la pena di celebrarne il decennale. Inizieremo il 9 dicem- bre, inaugurando la sede ristrutturata di “Segno critico”, l’associazione proprietaria della testata che ospita la reda- zione e che ci siamo impegnati a far diventare sede di dibattito per tutta la sinistra. I lettori, i compagni e gli amici sono tutti invitati. Ci sarà anche Valentino Parlato, uno dei padri storici de “il manifesto”, il quotidiano comunista di cui “micropolis” è il supplemento umbro. Continueremo “le celebrazioni” fino a marzo a modo nostro, con dibattiti e convegni in diverse città della regio- ne, e non solo a Perugia, offrendo cosi ulteriori occasioni e sedi di riflessione a chiunque voglia discutere e approfon- dire temi e problemi cui le forze politiche danno una distratta attenzione o delegano a “tecnici”. La politica, lo ripeteremo fino alla nausea, è troppo importante per affi- darla a partiti ridotti a semplici macchine elettorali. commenti Memoria Pretese clericali Da Ciaurro a Brega Fahrenheit 451 2 politica Ai compagni 3 Le spine della rosa 4 di Salvatore Lo Leggio, Maurizio Mori Sette giorni ad Assisi 5 di Ellery Queen Quale riforma 6 di Franco Calistri Metamorfosi radicali 7 di Vittorio Tarparelli città Verso le elezioni 8 di Paolo Lupatelli L’evitabile leggerezza di un progetto 9 di Re.Co. Dopo e oltre il terremoto 10 di Osvaldo Fressoia società Per non morire da contadini di Emme Emme Contro i trust 11 di Alberto Barelli cultura Da Stoccarda a Copenaghen 12 di Pino Tagliazzucchi La Cina vola 13 di Roberto Monicchia Note e notizie Burri e gli altri 14 di Enrico Sciamanna L’anno della fisica di Marco Sciamanna Umbria libri 15 di Cinzia Spogli Libri e idee 16 Novembre 2005 - Anno X - numero 10 in edicola con “il manifesto” Euro 0,10 mensile umbro di politica, economia e cultura copia omaggio in edicola con “il manifesto” il 27 di ogni mese Noi Farsalo I D

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n una delle pagine più maliziosedel De bello civili Giulio Cesareracconta che nell’accampamento

pompeiano, alla vigilia della battaglia diFarsalo, si discuteva della spartizionedelle cariche. Tra i capifazione nacqueroferoci litigi. Succede lo stesso nel centrosinistra, che si sente la vittoria in tascanonostante i tranelli e le imboscate del-l’avversario. Così ci tocca di vedereD’Alema e Amato in briga per ilQuirinale, D’Alema e Bonino racco-mandarsi per gli Esteri, Bertinotti e(ancora!) D’Alema che s’offrono per lapresidenza della Camera. Intanto ilsegretario Ds Fassino pensa a un impor-tante ruolo governativo e la “delfina”Marina Sereni, umbra, si prepara allasuccessione o, quanto meno, alla reg-genza. Intanto Agostini e Giulietti, chedopo il terzo mandato non dovrebberoricandidarsi, prenotano un sottosegreta-riato, nel caso in cui non ottengano ladispensa per una riconferma aMontecitorio. La forza dei sondaggiinduce ad ignorare i precedenti infausti,come quello delle recenti comunali diCatania, ove il candidato sindaco, l’exministro Bianco, a due giorni dal voto,

proclamava: “Sono diciotto punti avan-ti”. Non vorremmo che, mutatismutandis, anche stavolta finisca almodo dei pompeiani a Farsalo e diBianco a Catania, cioè a vacca. Abbiamo letto, su un giornalinoumbro, l’articolessa in cui un intellet-tuale di destra spiega come Berlusconiabbia cambiato la sinistra. Per una voltasiamo d’accordo. Sono di certo berlu-sconate i sondaggi diffusi per galvaniz-zare i fans, o usati come ricerche dimercato per definire le proprie posizio-ni sulla base delle preferenze della“clientela”. E lo è anche la rinuncia adogni criticità nella comunicazione. Adetta dei governanti tutto va a gonfievele e quello che non funziona è colpadel nemico. Così fan tutti, il cavalieredai suoi pulpiti, il centro sinistra ovun-que governa. “Avvenimenti”, un setti-manale di sinistra per altri versi bene-merito, ha dedicato un insertoall’Umbria, dando voce all’establish-ment che governa la regione. La presi-dente della Regione proclama: “Siamostati virtuosi”, ma, quanto a virtù, nonscherza neanche il sindaco di Perugia:“Conserviamo il coraggio dei partigiani

e la prudenza dei nostri padri contadi-ni”; il direttore di Sviluppumbria elogiala nostra flessibilità ed eccellenza; il pre-sidente dell’Apm si esalta per i profitticonseguita dalla sua società. E cosìimbrodandosi. In realtà basta una lettu-ra, anche distratta, del recenteRapporto Aur 2004, per capire i rischidi declino che l’Umbria corre. I toni daimbonitori non funzionano più nean-che per Berlusconi, figurarsi per la sini-stra, il cui elettorato chiede in primoluogo verità. A Roma, intanto, i capidell’opposizione inanellano atti di auto-lesionismo. In questo novembre il pri-mato spetta al segretario Ds. Una voltaal governo vorrebbe trattare il calenda-rio del ritiro dei soldati italiani dall’Iraqcon gli Usa, il Regno Unito e il cosid-detto governo iracheno: una implicitalegittimazione della guerra, proprio nelmomento in cui vengono a galla leverità crudeli sull’uso del fosforo aFalluja e sulle torture. Fassino peraltronega l’esistenza di una offensiva clerica-le che tutti vedono e va in pellegrinag-gio al Vaticano, all’anteprima della fic-tion sul papa defunto. Infine invita acena industriali, finanzieri e banchieriper discorrere del programma. E’ comequel tizio che per fare la rivoluzionechiese l’autorizzazione della Questura.Forse pensa che per riandare al governodovrà farsi perdonare da tutti i poteriforti l’ormai lontana appartenenza a unpartito che si chiamava comunista.Meno male che anche alla destra, nono-stante le leggi elettorali su misura e letrovate propagandistiche, non giracome vorrebbe. Nonostante la nuovalegge elettorale perdura il riflesso mag-gioritario: per leghisti, anisti e democri-sti è troppo poco il tempo per separarele proprie sorti da quelle di Berlusconi.Quanto al cavaliere, la sua comunica-zione non funziona più, è perfino con-troproducente, una volta quel che toc-cava diventava oro, ora diventa guano.Succede ai teledivi, di subire le offesedel tempo. Un esempio? L’altra voltal’immagine di “presidente operaio”indusse non pochi salariati a darglifiducia, oggi i manifesti azzurri su unaFinanziaria che diminuisce il costo dellavoro provoca ironici commenti: “Sediminuisce il costo, diminuirà anche ilprezzo, cioè la retribuzione”. Così dico-no i lavoratori sui bus. E scioperano.Fortuna che c’è Berlusconi.

ieci anni fa, nel dicembre del 1995, usciva ilnumero zero di “micropolis”. Dal marzo del 1996il periodico iniziava le sue regolari mensili pubbli-

cazioni. Abbiamo accompagnato i nostri lettori attraversoi mutamenti di un decennio tutt’altro che esaltante. Lanostra linea politica ed editoriale è stata quella di ripropor-re caparbiamente all’insieme della sinistra temi e problemispesso dimenticati o negati, un’ipotesi di unità non ecu-menica, da raggiungere attraverso il dibattito e la battagliapolitica. Finora non abbiamo avuto successi rilevanti, maabbiamo fiducia e presunzione sufficienti per continuare,convinti come siamo di avere ragione. Seguiteremo quindiad essere scomodi, continuando a spiegare con pazienza ea dire la verità, anche quando è sgradevole. D’altronde inquesto sforzo abbiamo anche veduto crescere intorno a noiun’area di influenza modesta, ma non insignificante,abbiamo conquistato un ruolo di informazione e di chiari-ficazione. Non sono pochi i lettori che sostengono di riu-scire a capire ciò che avviene in Umbria solo attraverso lenostre pagine; cosa che non ci dà particolari meriti, quan-to piuttosto illustra la miseria della stampa locale. Nessuno- neppure noi che lo facciamo - avrebbe scommesso suuna così lunga durata del giornale. Anche per questo valela pena di celebrarne il decennale. Inizieremo il 9 dicem-bre, inaugurando la sede ristrutturata di “Segno critico”,l’associazione proprietaria della testata che ospita la reda-zione e che ci siamo impegnati a far diventare sede didibattito per tutta la sinistra. I lettori, i compagni e gliamici sono tutti invitati. Ci sarà anche Valentino Parlato,uno dei padri storici de “il manifesto”, il quotidianocomunista di cui “micropolis” è il supplemento umbro.Continueremo “le celebrazioni” fino a marzo a modonostro, con dibattiti e convegni in diverse città della regio-ne, e non solo a Perugia, offrendo cosi ulteriori occasioni esedi di riflessione a chiunque voglia discutere e approfon-dire temi e problemi cui le forze politiche danno unadistratta attenzione o delegano a “tecnici”. La politica, loripeteremo fino alla nausea, è troppo importante per affi-darla a partiti ridotti a semplici macchine elettorali.

commenti

Memoria

Pretese clericali

Da Ciaurro a Brega

Fahrenheit 451 2

politicaAi compagni 3

Le spine della rosa 4di Salvatore Lo Leggio, Maurizio Mori

Sette giorni ad Assisi 5di Ellery Queen

Quale riforma 6di Franco Calistri

Metamorfosi radicali 7di Vittorio Tarparelli

città

Verso le elezioni 8di Paolo Lupatelli

L’evitabile leggerezzadi un progetto 9di Re.Co.

Dopo e oltre il terremoto 10di Osvaldo Fressoia

società

Per non morire da contadinidi Emme Emme

Contro i trust 11di Alberto Barelli

culturaDa Stoccarda aCopenaghen 12di Pino Tagliazzucchi

La Cina vola 13di Roberto Monicchia

Note e notizie

Burri e gli altri 14di Enrico Sciamanna

L’anno della fisicadi Marco Sciamanna

Umbria libri 15di Cinzia Spogli

Libri e idee 16

Novembre 2005 - Anno X - numero 10 in edicola con “il manifesto” Euro 0,10

mensile umbro di politica, economia e cultura

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in edicola con “il manifesto” il 27 di ogni mese

Noi

Farsalo

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a Giunta di Città diCastello, tra inaugurazionie cene di rappresentanza, si

occupa anche di cultura. In parti-colare di libri. Nella delibera n.417, ineccepibile dal punto divista formale, discutibile nell’usodell’italiano, inaudita nel conte-nuto, si legge: “In seguito ad uncontrollo sistematico e attento -anche se parziale rispetto allaquantità del posseduto - del mate-riale librario raccolto nelle sale let-tura per bambini, ragazzi e adultidella biblioteca comunale si sonoindividuati 942 libri, di cui siriporta in allegato gli elenchi, nonpiù utilizzabili per gli scopi dellabiblioteca, sia perché particolar-mente logori e danneggiati dall’u-so, sia perché obsoleti per il lorocontenuto informativo. Non sireputa utile e conveniente proce-dere ad interventi di manutenzio-ne o di restauro di tale materiale.Considerato che le operazioni di

revisione e di scarto sono indi-spensabili per garantire un serviziodi pubblica lettura efficiente edefficace e un incremento delle rac-colte con prodotti editoriali nuovied aggiornati, si ritiene di poterprocedere alla declassificazione deilibri specificati negli allegati elen-chi e a tutte le operazioni bibliote-conomiche conseguenti, in quan-to non più adibiti al pubblico ser-vizio. I libri in elenco, previa auto-rizzazione della Regione Umbria aprocedere, saranno eliminatimediante distruzione”. La delibe-ra, votata all’unanimità, non è fir-mata da qualche talebano o daBorghezio o da qualche naziskinma dal sindaco Cecchini. I libripotevano essere sistemati in qual-che magazzino, regalati a qualchebiblioteca scolastica o a qualcheCentro di vita associata. Invece èstata scelta una soluzione radicale:eliminazione mediante distruzio-ne. Nella delibera non sono speci-

ficati i criteri per cui i libri sonostati giudicati obsoleti per il lorocontenuto informativo. Ci piace-rebbe conoscerli. Ora la ratifica-zione definitiva della sentenzaspetta alla Regione Umbria. Lasperanza è che usi ben altra sensi-bilità. Inevitabile pensare al profe-tico romanzo di fantascienza diRay Bradbury portato sullo scher-mo da Francois Truffault,Fahrenheit 451, poderosa visionedi un futuro in cui la parola scrittaè fuorilegge e i pompieri hanno ilcompito di bruciare i libri.Nella sua autobiografia Truffaultdichiara in proposito: “Vero è cheamo i libri e i giornali così come èvero che ho girato un film intito-lato Fahrenheit 451 che descrive-va, con l’intento di stigmatizzarla,una società immaginaria in cui ilpotere brucia sistematicamentetutti i libri”.Ma la giunta di Città di Castelloavrà visto quel film ?

Da Ciaurroa Brega

erlusconi afferma che, sulla base dei sondaggia sua disposizione, la Casa delle libertà è incondizione di parità con i suoi competitori.

Sarà, ma al di là dei sondaggi esiste la dura realtà deifatti. Ormai centinaia di amministratori e di iscrittiabbandonano Forza Italia, ricercando lidi più sicuri checonsentano di continuare profittevoli attività politichee di governo. Non è qui il caso di spaziare sull’interapenisola, ma non è inutile ricordare i fatti avvenuti inUmbria nell’ultimo mese. A Foligno un consiglierecomunale e provinciale ha abbandonato il partito, ade-rendo alla nuova galassia radical-socialista. Pace, questoil nome dell’esponente politico, ha sostenuto che,essendo stato fino ai primi degli anni novanta iscritto alPsi, il suo è un ritorno a casa più che un tradimento. Lacosa non è molto convincente, ma ognuno, si sa, si giu-stifica come meglio crede. Più rilevante è quanto èavvenuto nella bassa Umbria dove, tra Amelia, Narni eTerni, ben 180 iscritti di Forza Italia hanno dato forfaitguidati dal capogruppo al Consiglio provincialeErmanno Ventura. Da una parte è un ulteriore sintomodello sfarinamento del partito del cavaliere e, dall’altra,rappresenta la chiusura di uno scontro annoso traciaurriani (Ventura e soci) e anticiaurriani, come nonha mancato di ricordare sul “Corriere dell’Umbria”Nevi, gauleiter dei forzaitalioti della seconda cittàdell’Umbria. Come che sia si tratta per un partito chenon ha migliaia d’iscritti e che è in minoranza nellaregione, d’un bel salasso, rispetto al quale è poco piùche consolatorio sostenere che ci si rafforza epurandosi.Interessante anche l’esito organizzativo delle defezioni.Tranne pochi, che hanno preferito l’Udc, il grosso haaderito alla Margherita.. Non è stata una adesionegenerica: i nuovi adepti si sono iscritti, prima che aDemocrazia e Libertà, alla corrente Bocci-Brega, quellache governa in Umbria il partito, irrobustendone lacompagine e mettendo ulteriormente all’angolo gli uli-visti, con il dichiarato intento di rafforzarne le propen-sioni centriste e neodemocristiane

Le stradedegli impiccati

’era una volta: quando la sinistra, Pci e Psi,parlava in Italia e in Umbria di “nuovomodello di sviluppo”, quando uno dei capi-

saldi del discorso riguardava le infrastrutture di movi-mento delle persone e delle merci, quando si metteval’accento sul “ferro”, in opposizione e in alternativaalla politica “gomma” indotta, incentivata, guidatadalla Fiat e dagli interessi che a quel tempo univanole forze di governo, la speculazione che di quei gover-ni era elemento portante, l’allora colosso automobili-stico torinese. C’era una volta, ma ormai, da tempo,non c’è più. Almeno qui in Umbria, anche da partedelle così dette forze di sinistra che l’Umbria guidanonella buona e nella cattiva sorte. Una sarabanda di strade, una frenesia orgasmica diautostrade, superstrade, nodi ai quali sadicamente sipunta ad impiccare il “cuore verde d’Italia”; e cosìnelle parole dei nostri amministratori regionali, pro-vinciali, comunali, e dei parlamentari (in questo casocon qualche rara eccezione), si sente quasi solo parla-re, e le parole rimbalzano e rimbombano nelle colon-ne delle pagine locali, di E 45, E 77, Due Mari,Spoleto-Acquasparta, Tre Valli umbra, Quadrilatero,Nodo di Perugia, quel Nodo di cui i nostri solertidecisori non si sono accorti dell’inutilità visto che gliingorghi da Collestrada a Ferro di Cavallo sonodeterminati, - come studi di flusso condotti dallaFacoltà di Ingegneria hanno dimostrato - quasi esclu-sivamente da traffico locale, simbolo e condanna tral’altro della non-politica urbanistica, o, peggio, diuna politica urbanistica distruttiva affidata di fattoalla speculazione di cementieri e palazzinari nostrani.Non si parla, per contro di “ferro” e di ferrovia, che èil vero “nodo” che da lunghissimo tempo strozzal’Umbria. Alla faccia di quello che una volta si chia-mava, appunto, “nuovo modello di sviluppo”.Forse perché cementieri e palazzinari sono più vicinial cuore, più o meno verde, dei nostri amministrato-ri?

MemoriaStrano il mondo in cui viviamo. Il 7 novembre, anniversario dellaRivoluzione d’ottobre, è diventato un gatto morto per la sinistra.Anche quella che si dichiara comunista ha introiettato l’idea cheStalin sia la logica conseguenza della rottura rivoluzionaria pro-mossa da Lenin e Trotski. L’ottobre russo viene così assimilatoalla repressione, ai gulag e via di seguito. Le ultime celebrazionio riflessioni sull’evento organizzate da Rifondazione comunistarisalgono pertanto ad un decennio fa. Poi il silenzio. Poco male.Le celebrazioni sono quasi sempre fastidiose. Stupisce, pertan-to, che quest’anno nella roccaforte proletaria ternana l’eventosia stato ricordato l’8 novembre presso la sala consiliare dellaProvincia. Ancora più stupefatti si rimane quando si scopre che èuna celebrazione a rovescio per ricordare “il colpo di stato bol-scevico”, promossa da Alleanza nazionale, Area ecc. La cosainaugura una pratica che potrebbe essere incentivata. Visto chela sinistra non se la sente di celebrare il 7 novembre, perché nonpromuove manifestazioni il 28 ottobre sul colpo di stato fascista,oppure il 30 gennaio data dell’affidamento ad Hitler dell’incaricodi primo ministro e via di seguito?

Pretese clericali

Si è tenuta a Perugia, a San Francesco al Prato, la giornata dellosbattezzo, promotori i centri sociali e alcune associazioni anticleri-cali. La cerimonia consiste nella dichiarazione di non voler piùappartenere a santa romana Chiesa. Ne è noto uno scandalo.Preti e laicato cattolico hanno denunciato il fatto come un caso diblasfemia, quasi da reprimere con l’invio dei carabinieri. Se ne èfatta interprete sul “Giornalino” Maria Prodi, assessore regionalein quota Margherita. Le argomentazioni seguono la vulgata: “per-ché bestemmi se non credi?”, “la filosofia non è riuscita mai adimostrare l’inesistenza di Dio” (quasi che fosse stata capace didimostrarne convincentemente l’esistenza) e via di seguito. Robada poco. Quello che conta è che l’assessora dichiara con jattanzache tanto sbattezzarsi non vale, poiché i sacramenti sono persempre. Potremmo ricordare che non è proprio così, come dimo-strano le sentenze di annullamento del matrimonio pronunciate - asuon di milioni - dalla Sacra Rota. E poi, era così sprovveduto danon conoscere la pretesa ineliminabilità del dettato sacramentaleil tanto ricordato (e poco conosciuto) Aldo Capitini, quando neglianni cinquanta chiese al Vescovo di essere sbattezzato?

Tutto qui

Ma insomma cos’è accaduto di nuovo al congresso regionale diRifondazione? Sul piano politico-programmatico quasi nulla. Sulpiano della geografia interna le due opposizioni di sinistra allafiliera Bertinotti-Vinti hanno proposto un unico candidato, cosapositiva ma scontata. Il sindaco eugubino Goracci, grassianol’anno scorso, forse anche per proteggere la sua ricandidatura,s’è invece convertito al bertinottismo. E’ stato lui in persona aproporre per primo la riconferma di Vinti a Segretario regionale,suscitando qualche malcontento in Granocchia, che ha invitato ivintiani doc a diffidare di quelli dell’ultima ora. Tutto qui.

Il manifesto

A Bastia Umbra è apparso un manifesto (accompagnato da unidentico volantino) con i seguenti perentori inviti: “Impara a cono-scere le tue opportunità! Dai voce alle tue idee! Progetta il tuofuturo!”. E’ firmato dal circolo locale della Sinistra giovanile (iragazzi dei Ds), ma non mancano l’indirizzo e-mail ed i numeri ditelefono per i “contatti”. Non sembra davvero un manifesto diproselitismo politico, gli slogan assomigliano piuttosto a quelli diun centro di formazione professionale. O di un ufficio di colloca-mento, direbbe il maligno.

il piccasorci

2commentinovembre 2005

Il piccasorci - pungitopo secondo lo Zingarelli - è un modesto arbusto che a causa delle sue foglie duree accuminate impedisce, appunto, ai sorci di risalire le corde per saltare sull’asse del formaggio. Larubrica “Il piccasorci”, con la sola forza della segnalazione, spera di impedire storiche stronzate e,ove necessario, di “rosicare il cacio”.

B C

il fatto

Farhenheit 451L

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ome si può leggere anche nell’e-ditoriale di prima pagina Segnocritico si avvia ad inaugurare, il9 dicembre prossimo alle 17, la

sua sede di via Raffaello 9/A riassettata,riscaldata, rinnovata nell’arredamento. Sonolocali del Comune, cui paghiamo un affitto,scontato come è previsto per le associazioniche svolgono attività culturale, ma nienteaffatto simbolico. Siamo in ogni caso gratial Sindaco ed alla Amministrazione comu-nale, che non sono stati insensibili allanostra richiesta di un intervento di manu-tenzione straordinaria e che hanno provve-duto nel modo migliore possibile e nel piùbreve tempo possibile, e siamo felici che ilprimo abbia accettato il nostro invito a par-tecipare alla cerimonia. Da ora in poi, quindi, ci sarà possibile svol-gere meglio e con maggiore continuità leiniziative di pubblico dibattito, di presenta-zione di libri, di ricerca seminariale, di for-mazione politica, che accompagnano la vitadi Segno critico fin dalla sua nascita, ormailontana. E’ nata, infatti, nel fatidico ‘77 la nostraassociazione, ma fu registrata avanti notaiosolo qualche anno più tardi. Le tardivedichiarazioni di nascita all’anagrafe, delresto, sono uso antico delle famiglie popola-ne, teso ad impedire il richiamo della patriae, perché no, la possibile morte per cause diguerra di ragazzi troppo giovani. In guerrain un certo senso ci siamo stati, perché cir-condati sovente dalla diffidenza, quandonon dall’armato settarismo di quelli cheavrebbero dovuto esserci più vicini. Non cisiamo mai sognati di essere o di diventareun partito ma abbiamo nutrito, come singo-li e come gruppo, un nucleo di convinzioniassai solide e, sulla base di esse, abbiamocercato di proporre alla sinistra politica esindacale domande, che tuttora rimangonosostanzialmente inevase. Lo facemmo conl’antica rivista “Segno critico” di cui usciro-no a cavallo tra gli anni ‘70 e ‘80 una decinadi numeri, lo facemmo poi con diverse pub-blicazioni monografiche, organizzando con-vegni, stimolando dibattiti. Nei tardi anni

Novanta l’attività di Segno critico si èincontrata con “micropolis”, il mensile cheda dieci anni gli umbri trovano allegato al“manifesto” e che fin dall’inizio si è postocome strumento di informazione e di dibat-tito, rigoroso nelle scelte di fondo ma apertoa tutti. Prima ne fu editrice una s.r.l. di cuierano soci insieme a noi altri amici e com-pagni. Dal 2000 Segno critico si è assuntol’onere della proprietà della testata e la reda-

zione della rivista, pur non essendo l’unica,è divenuta la principale attività dell’associa-zione. Abbiamo durato. Per la nostra tigna,certamente, ma anche perché abbiamo tro-vato una risposta in numerosi compagni edamici. Ha ragione Rossanda quando diceche questa non è crisi di cultura, ma diignoranza. E l’ignoranza politica è unamalattia che si diffonde in fretta, specie nelceto politico. Ma c’è chi resiste, chi insistenella volontà di coniugare politica e cultura,voglia di conoscere il mondo e di trasfor-marlo, e queste persone, a Perugia e inUmbria ce le siamo trovate accanto. Sonoquelli che vengono ai dibattiti, quelli checollaborano alla stesura, quelli che sottoscri-vono. Compie dieci anni “micropolis” e per cele-brarli abbiamo grandi progetti, ma il bilan-

cio che ve-dete qui afianco èstentato egramo.A b b i a m oletto su “ilmanifesto”,in un simpa-tico appellodi ValentinoParlato, cheil gloriosoquotidiano

che ci contiene si avvia a compiere 35 anni.E che anche loro cercano aiuto, per unanuova casa. Noi di anni ne abbiamo 28come associazione e soltanto dieci comegiornale, ma abbiamo una casa rinnovata,benché da inquilini: all’inaugurazioneabbiamo invitato anche lui, perché la nostrapiccola intrapresa continui e cresca insiemea quella più grande del “manifesto”. Saràun’occasione d’oro per abbonarsi al quoti-diano che fu di Luigi Pintor. Ci sarà il sin-daco di Perugia e vi abbiamo invitato altreautorità, i rappresentanti dei sindacati e deipartiti della sinistra, i parlamenatari di tuttala sinistra. Non abbiamo invitato né vescoviné parroci. Le persone a cui teniamo di piùsono comunque quelle dei compagni e degliamici che ci sono stati vicini in questo diffi-cile percorso.La sera, dopo che avremo brindato e discus-so di nuovi progetti politici, andremo tuttiinsieme a fare la cena di sottoscrizione alDecò Hotel. Da buoni compagni condivi-deremo il pane e le vivande e divideremocon “il manifesto” i proventi della sottoscri-zione.

3 p o l i t i c anovembre 2005

C

Totale al 25 ottobre 2005: 10.607,50 Euro

12.000 Euro per micropolis

Il 9 dicembre inaugurazionedella rinnovata sede di Segno critico

Ai compagniFesta e cenadi sottoscrizioneper i 10 annidi micropolise per i 35 annidel manifesto

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4p o l i t i c anovembre 2005

l 17 novembre è stato presentata aRoma dai principali dirigenti delloSdi e dei Radicali la rosa nel pugno,simbolo del nuovo soggetto politico,

nettamente schierato con l’Unione del cen-tro sinistra, in cui si federano le tradizionirappresentate rispettivamente da EnricoBoselli e Marco Pannella. Nello stessotempo tra i socialisti dello Sdi e i fratelliseparati del “nuovo Psi” (quelli del giovaneCraxi) si sviluppano contatti in vista di unapossibile ricomposizione del mondo socia-lista. Alla spinta unitaria non si sottraggo-no altri gruppi e movimenti, nazionali elocali, nati dalla disgregazione del vecchioPartito socialista. Ne abbiamo parlato conFranco Bozzi, già prestigioso insegnante alLiceo classico di Perugia, storico e oggisegretario regionale umbro dello Sdi. “Larosa nel pugno non è - ci dice - un cartelloelettorale, ma un progetto di ampio respi-ro, che proietta verso il futuro i valori e gliideali del socialismo italiano, facendoliincontrare con quelli della tradizione laico-liberale. L’unità socialista per cui lavoriamonon contrasta con questo progetto, ma lorafforza”. Franco Bozzi si riporta al passato, nontanto da storico, quanto da militante diantico pelo, cui tuttora bruciano le ferite diTangentopoli e la dissoluzione del partitosocialista: “Qualche mese prima del Midas(è il nome dell’albergo romano in cui nel1976 Craxi fu eletto segretario del Psi,n.d.r.), Norberto Bobbio considerava ilpartito di Nenni residuale, destinato ad uninarrestabile declino. Craxi restituì al parti-to identità e orgoglio ai socialisti. Nonvoglio pronunciarmi sulle sue disgrazie conla giustizia, ma il giudizio politico com-plessivo sulla sua opera è positivo.Soprattutto sulla prima fase, quando eraalleato della sinistra lombardiana sulla lineadell’alternativa di sinistra. Anche da presi-dente del Consiglio fece bene: modernizzòil paese, fece compiere grandi passi all’unitàeuropea, seppe sfidare, nella vicenda diSigonella, la potenza statunitense. Tuttaviamentre Craxi si occupava della politica, lagestione del partito era affidata a proconso-li, che nelle diverse regioni facevano edisfacevano a piacimento. Venivano quasitutti dalla politica universitaria, dall’Ugi, enon avevano fatto la trafila nelle sezioni. Leloro migliori capacità riguardavano la tatti-ca, le manovre interne ed esterne.

Attraverso loro nel partito trovavano spazioe ruolo anche tanti personaggi che rappre-sentavano gruppi di interessi, certamentelegittimi fino a prova contraria, ma cheinevitabilmente tentavano di usare la poli-tica”. “Ti riferisci - chiediamo - a gentecome Cassetta o Mosca?”. “A loro e a moltialtri. In Umbria come altrove professionistied imprenditori, dell’edilizia, dell’editoria,della sanità, guardavano al Psi come ad unostrumento. Ma tra i loro interessi, general-mente legittimi ripeto, e il socialismo nonc’era alcun rapporto. Ci fu anche una per-secuzione giudiziaria, ma a distruggere ilpartito furono soprattutto gli elettori, checi abbandonarono”. “Forse avevano comin-ciato i socialisti” - è il nostro commento.Si passa a discorrere dell’accordo con i radi-cali, da molti considerato fragile: “Dopo lafine del Psi i socialisti si sono dispersi: chi asinistra, chi a destra, specialmente in ForzaItalia, chi fuori dalla politica. Il nucleo chescelse di collocarsi a sinistra, organizzatoprima nel Si (Socialisti italiani), poi nelloSdi (Socialisti democratici italiani), haseguito la linea del primum vivere. Questospiega le varie e talora stravaganti alleanzeelettorali: a livello nazionale nel 1996 conDini, nel 2001 con i Verdi, nel Girasole; a

livello regionale con molti altri, in Umbriacon l’Udeur, per esempio. L’incontro con iradicali ha basi diverse, più solide”. “Non vorrai mica parlarci, da storico, diCavallotti e del patto di Roma, di Nathan edel radical-socialismo?”. “Mi riferisco acose più recenti, alle battaglie sui diritticivili , a un personaggio come LorisFortuna, radicale e socialista”. “Lo Sdi - osserviamo - fino a ieri era il piùfedele seguace dell’idea della Fed di tutti iriformisti, del listoneunitario, presentato alleelezioni europee e regio-nali. Poi Rutelli ha cam-biato idea e a voi è rima-sto in mano il cerinoacceso”. “E’ anche unaquestione di sopravvi-venza, ma - spiega Bozzi- ci sono anche ragionipiù profonde. Noiabbiamo sempre nutritoun grande spirito unita-rio a sinistra. Craxi stes-so sovente citava Gram-sci come appartenente al nostro stessoceppo, lo stesso cui sono in qualche modolegate anche le figure del socialismo liberalee del liberalsocialismo, uomini come iRosselli, Capitini, Calogero. Alle profferteunitarie della Cosa Due non avevamo cre-duto, sarebbe stata una assimilazione, ma alpiù largo soggetto riformista, al partitodell’Ulivo, affidavavamo il compito di met-tere fine a tante divisioni a sinistra. Poi ècambiato lo scenario: il referendum sullaprocreazione assistita, il massiccio interven-to della gerarchia cattolica sulla vita politi-ca italiana, il fiancheggiamento di Rutelli.In politica non si tollerano i vuoti. C’èun’Italia che vuole più libertà per la ricercascientifica, che vuole i Pacs, che difende la194. Da un recente sondaggio risulta cheben il 40% degli italiani è favorevole ad

abrogare o a rivedere il Concordato stipula-to dall’Italia con lo stato vaticano. Pursenza ricostruire gli storici steccati eranecessario dare voce all’Italia laica, all’Italiacivile. La distinzione tra cattolici e non cat-tolici non c’entra. Tanti elettori e militantisocialisti sono cattolici praticanti, marespingono l’integralismo.”. “Nel rapporto con i radicali di Pannella -osserviamo - ci saranno altri problemi: illiberismo spinto dei pannelliani, le loroscelte rigidamente filoamericane e filoisrae-liane. Tu stesso hai citato Sigonella”. “Il socialismo - conferma Bozzi - nascedalla questione sociale ed il rapporto con ilavoratori, con sindacati e cooperative è pernoi fondamentale. Mi sono incontrato iericon Giacomo Mancini junior incaricato diricostruire una rete di contatti e presenzedei socialisti nel mondo del lavoro. Quantoall’America, molti di noi, io per primo,amiamo la democrazia americana, ma nonle tentazioni unilaterali ed imperiali. GliStati Uniti alla mia generazione, soprattut-to attraverso la musica, il jazz prima e poi ilrock, hanno trasmesso il senso della libertà,ma nella politica e nell’organizzazione dellostato sociale l’Europa non ha bisogno diimitarli. Le differenze con i radicali su que-sti temi ci sono, ma andranno gradualmen-te smussate”. “Bobo Craxi (e De Michelis) - facciamonotare - vi rimproverano di aver sposato ilmodello maggioritario e presidenzialistache non è solo di Pannella, ma anche diProdi, anche lui appassionato delle prima-rie e del partito democratico all’america-na”.

“Su questo punto -replica Bozzi - ci sonodifferenze anche alnostro interno. Io restoparlamentarista e pro-porzionalista, seppurecon tutti i correttivi delcaso. E preferisco i par-titi strutturati, radicatinel territorio, integratinelle amministrazionilocali. Qui in Umbria iradicali dispongono diottimi quadri di movi-mento, capaci di orien-

tare e governare le spinte della società, masono pochissime persone. C’è la nobilefigura di Luca Concioni che dei Radicaliitaliani è presidente, ci sono Maori e Puliache stimo e cui sono anche personalmenteamico. Per le necessità di un partito radica-to la federazione con i radicali non basta,occorre anche la riunificazione dei socialistied occorre anche molta gente nuova, giova-ni soprattutto. Intanto è importante che ilnuovo Psi in Umbria non si è diviso, chehanno tutti scelto l’Unione di centrosini-stra e l’unità socialista”. “Leggiamo cheanche in Umbria gli ex socialisti cheabbandonano Forza Italia tendono a torna-re nella casa da cui provengono”. “Lenostre porte sono aperte - conclude Bozzi -ma in questo caso occorre una certa atten-zione”.

Intervista a Franco Bozzi

Le spine della rosaSalvatore Lo Leggio, Maurizio Mori

I

Renato Covino

Gli equilibristi sulla paludeSaggio sull’Umbria dell’ultimo ventennioEuro 7,50

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Il segretarioregionale umbro

dello Sdi parladella federazione

con i radicalie dell’unità

socialista

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na settimana particolare perAssisi quella tra il 14 e il 20novembre: da lunedì a venerdìl’assemblea straordinaria dellaConferenza episcopale, nel

giorno del Signore la sostituzione delvescovo e il commissariamento dei frati delSacro Convento, che perdono la specialeautonomia di cui godevano da circa 40anni e sono ricollocati all’interno delladiocesi, sotto l’autorità vescovile. Tutto comincia lunedì 14. Papa Ratzinger,al mattino, invia un messaggio al laCamera dei deputati, ove si sta scoprendouna targa in ricordo della visita del suopredecessore: il pastore tedesco pontificasulla “legittima laicità dello Stato, che sebene intesa non è in contrasto con il mes-saggio cristiano, ma piuttosto è ad essodebitrice”, ma si mantiene lontano da uningerenza diretta sui temi caldi. “La jena”(come ci manca!) su “La stampa” commen-ta: “Il papa ha rassicurato Casini che laChiesa rispetterà la laicità dello Stato,Casini gli ha risposto grazie non si distur-bi”. Il pomeriggio il cardinale CamilloRuini cita i lm e s s a g g i opapale e perdue terzi dellar e l a z i o n eall’assembleaprelatizia siastiene da ogniconsiderazionepolitica, ma alpunto 6 cangiastile: parla did e v o l u t i o n ,primarie e leg-ge finanziaria,critica le ma-n i f e s t a z i o n icontro la Mo-ratti, difende ilp ro ib i z i on i -smo sulle dro-ghe e soprat-tutto spara azero contro laRu-486, col-pevole “di farsmarrire la na-tura reale del-l ’ a b o r t o ” ,“soppressionedi una vita umana innocente”. Tra i vatica-nisti si ipotizza un contrasto tra il papa“teologo” e don Camillo “interventista”.Il martedì alla assemblea Cei dibattito evotazioni: tutto nel massimo riserbo. IComitati centrali dell’antico Pcus neimomenti di crisi o nelle fasi di internoriassetto, pubblicavano per intero solo larelazione del segretario generale, talora leconclusioni; della discussione lasciavanofiltrare poco o nulla. Qui è più o meno lastessa cosa: alla stampa il segretario Cei,mons. Betori, comunica il numero degliinterventi e accenna ai temi trattati, manulla del dibattito interno. Insiste sulConcordato che non si tocca perché, dice,“né i politici, né la gente chiedono un

dibattito”. Lo Sdi e i radicali, che hannoposto il problema, vengono del tutto igno-rati, come pure quell’ampia percentuale dicittadini favorevoli alla revisione di cuiparlano i sondaggi. Don Camillo peròmenziona certe “pallottole di carta” chesarebbero dirette contro la Chiesa.L’indomani, mercoledì 13, tuttavia qualco-sa trapela: pare che Ruini gradisca comesuccessore proprio l’umbro Betori, abilenel rapporto con i politici e deciso a riaf-fermare la dimensione pubblica della fede.Nello stesso giorno sul Concordato c’è ilcontrocanto bipartisan dei politici: Bondi,Cicchitto, Mastella, Rutelli, Livia Turco(“Così perdiamo i voti dei cattolici”),Fassino (“Non si può mettere la Chiesa inminoranza”). Tutti la stessa solfa: i lConcordato è un architrave, il Concordatonon si tocca, nessuno può imporre il silen-zio alla chiesa. L’organo dei vescovi iniziauna campagna per mettere all’indice ireprobi, infami come il Franti di DeAmicis. Titola: Attacchi alla Cei, isolatiradicali e Sdi. Giovedì 17 anche Bertinottientra nel coro: “Ruini non è un capoparti-

to, il Concor-dato non è unaurgenza, l’ottoper mille nep-pure, tutti iCrocifissi alloro posto, an-che nelle aulescolastiche”.Ad Assisi in-tanto i 250parlano del-l’approvazionedella devolu-tion e si di-c h i a r a n oinquieti perl’unità d’Italia.I polit ici delcentro sinistrasprizzano feli-cità da tutti ipori, ma ve-nerdì 18 Ruinimette la retro-marcia: “Maidetto di esserecontro la rifor-ma costituzio-nale, siamo so-

lo preoccupati. E al referendum non dare-mo indicazioni”. E’ l’ultimo giorno. Ènecessario lanciare la nuova crociata: quel-la sui volontari di “Scienza e vita” da man-dare nei consultori, una vera e propriasfida ad una legge simbolo, la 194. Sabato19 Berlusconi va ad omaggiare il Papa, ma,mentre i vescovi defluiscono da Assisi,scoppia la bomba, forse frutto di una ini-ziativa decisa da Ruini proprio in questigiorni: il vescovo Goretti è sostituito daSorrentino, ma i francescani perdono laloro autonomia, sia i conventuali dellaBasilica di San Francesco, noti per le loroiniziative pacifiste ed interreligiose, sia ifrati minori degli Angeli. E’ l’ora dellepolemiche.

Il defenestrato Goretti canta vittoria: nonse ne poteva più di un regno francescanoindipendente, tutta la diocesi deve obbedi-re al Vescovo. I frati del Sacro Convento,normalizzati, protestano, con prudenza:obbediranno, ma avranno più intralciburocratici alle loro iniziative. Della cosa sioccupano anche i politici locali. Quelli didestra, Ronconi e Bartolini, sono solidalicon Goretti e contenti per l’imbrigliamen-to dei frati chemarciavano coic o m u n i s t i .Quelli di sini-stra si divido-no: il segreta-rio regionalePrc, Vinti, ve-de nell’opera-zione qualchecausale politi-ca, il deputatod i e s s i n oGiulietti e Lui-gino Ciotti so-lo motivazioniecclesiali. Ciotti, in par-ticolare, tendea sfumare i dis-sensi, ricordache alle inizia-tive pacifistehanno semprecontribuito siai frati che i lvescovo, accusala destra di“strumentaliz-zare”. Noi, in realtà,non riusciamo a capire cosa vogliano direcon “ecclesiale” e come lo distinguano da“politico”. Se intendono che non si trattatanto di destra e sinistra, di pacifisti e bel-licisti, quanto di questioni interne all’orga-nizzazione ecclesiastica, potremmo essered’accordo, ma si deve sapere che la Chiesaromana è essenzialmente una potenzamondana, politica ed economica e che allabase dei suoi scontri ci sono spesso denari,possessi, poteri su cose e persone. Delresto che tra Goretti e il Sacro Conventonon corresse buon sangue lo abbiamoscritto cinque anni fa su questo giornale,indicando anche le probabili ragioni di“roba”.

A nostro modo di vedere la dinamica del-l’accaduto è più o meno questa: Ruini hausato le tensioni tra i frati e mons. Gorettiper mettere sotto i frati e forse anche perrecidere il legame diretto con il papa, chespesso scavalcava l’episcopato italiano.“Non è tempo di ecumenismi, né di uni-versalismi cattolici - sembra dire il lenini-sta Camillo al suo papa tedesco - è l’Italial’anello debole, in Italia bisogna conquista-

re il potere”. Eleninista (omachiavellia-na, in questocaso è lo stes-so) è statanegli an-niscorsi la tatticadella mi-noranza catto-lica, nel pro-porsi come ag-gregante diuna società ge-latinosa, diuna polit icadebole, di unaeconomia indeclino, usan-do a propriovantaggio tuttele contraddi-zioni dei laicie disarmandoliculturalmente.L’ o b i e t t i v odella gerarchiacattolica èdunque essen-zialmente poli-t ico: gestire

una porzione quanto più possibile ampiadi potere. La sacralità della vita, la lottacontro l’aborto e l’eutanasia, l’opposizionealle unioni civili e al “disordine” omoses-suale sono pertanto essenzialmente bandie-re da impugnare per segnalare un primatomorale, ma da questo primato deriverannopoi privilegi e poteri economici e sociali. Ilrisultato che ne consegue è deprimente.In fatto di diritti civili l’Italia sembra esse-re ritornata il paese più arretrato d’Europa,come nei democristiani anni 50: nienteunioni di fatto e Pacs, niente fecondazioneartificiale, niente ricerca sulle cellule sta-minali, preti e vescovi in Tv dalla mattinaalla sera.

5p o l i t i c anovembre 2005

Ruini, la Cei, i francescani e il giro di vite

Sette giorni ad AssisiEllery Queen

U

Primo TencaArtigiano Orafo

Via C.?Caporali, 24 - 06123 PerugiaTel. 075.5732015 - [email protected]

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iforma endoregionale: bruttaespressione, ormai entrata nelgergo comune politico-giornali-stico per indicare un’operazione,

invero assai complessa e delicata, di riordi-no degli assetti del sistema istituzionaleumbro in tutte le sue articolazioni. I motiviche spingono ad un intervento di questotipo sono sostanzialmente riconducibili adue ordini di questioni.In primo luogo la necessità di dare piena ecompiuta attuazione a quanto previsto dallariforma del Titolo V della Costituzione(quella per intenderci realizzata dal centro-sinistra nell’ultimo anno di legislatura).Una riforma che, al di là del massiccio tra-sferimento di poteri e competenze dal cen-tro alla periferia, dallo Stato alle Regione edalle Autonomie locali, ha, di fatto, ridise-gnato l’intera configurazione istituzionaledel nostro paese, prevedendo un sistemaformato da una pluralità di ordinamenti,tutti di pari rilevanza costituzionale, madistinti per funzioni e poteri, titolari di unaspecifica autonomia da esercitare secondo iprincipi fissati dalla Carta costituzionale,quali: il principio dell’unità ed indivisibilitàdella Repubblica, il principio dell’unitarietàdei diritti e dei doveri di tutti i cittadini, ilprincipio di solidarietà, i principi di sussi-diarietà, della differenziazione, dell’adegua-tezza, il principio della partecipazione, ilprincipio della collaborazione. Quindi unapluralità di ordinamenti, ma non fra loroframmentati o confliggenti, al contrariocomunicanti ed interconnessi in una logicadi coordinamento finalizzata alla valorizza-zione delle specificità e dell’autonomia diciascun soggetto istituzionale nell’eserciziosolidale ed integrato delle funzioni che laCarta costituzionale ha loro affidato aidiversi livelli territoriali. In sintesi, per dirlacon uno slogan, con questa riforma si è pas-sati da un modello istituzionale di tipogerarchico, prima lo Stato, poi le Regioni e,a cascata, il resto delle articolazioni istitu-zionali territoriali, ad uno di tipo cooperati-vo, che richiede forti momenti di coopera-zione e concertazione interistituzionale (ilfederalismo cooperativo e solidale di cuispesso si sente parlare). E’ del tutto evidenteche governare un sistema di questo tipo èassai più complesso di quanto non lo sia perun sistema organizzato per funzioni gerar-chiche. Se a questo si aggiunge un testocostituzionale, giudicato oggi dagli stessiestensori affrettato e lacunoso, e, sul versan-te finanziario, la prospettiva di un federali-smo fiscale tutt’altro che solidale, il quadroè completo. Ora in questo nuovo contesto istituzionalealla Regione, intestataria al pari dello Statodella funzione legislativa, spettano le fun-zioni di indirizzo, coordinamento e pro-grammazione, mentre la gran parte dellefunzioni amministrative, se non la totalità,sono in capo ai Comuni. Ciò implicaaffrontare due questioni dirimenti. Laprima, liberare la Regione di tutti queicompiti di amministrazione attiva cheancora in molte materie (si pensi una pertutte all’agricoltura) continua ad esercitare,per dirla con uno slogan realizzare quella

Regione leggera propagandata in passatoma, stando ai fatti, assai poco praticata. Laseconda, nel riaffermare la centralità deiComuni ai quali, come detto, competonotutte quelle funzioni amministrative a piùdiretto contatto con i cittadini e le comu-nità locali, metterli in condizione di eserci-tare in maniera effettiva ed efficace questefunzioni. Il problema non è di poco contosoprattutto per i Comuni di piccole dimen-sioni, che in Umbria, come noto, sono lalarga maggioranza. Dei 92 Comuni umbri,63 sono sotto i 5.000 abitanti, 14 hannouna popolazione compresa tra i 5.000 ed i15.000 abitanti e solo 15 sono superiori ai15.000 e di questi solo tre sono al di sopradei 40.000 abitanti.Un secondo ordine di motivi attiene almutamento dello scenario e dei sentieridello sviluppo, per intenderci tutto ciò chesolitamente viene riassunto sotto il titolodelle sfide della globalizzazione. Oggi, losentiamo ripetere ad ogni convegno, la sfidadella competizione è sempre più spostatasui terreni dell’innovazione, della ricerca,della qualità della risorsa umana, la frontie-ra è quella della conoscenza. Su questinuovi terreni, e questo ha rappresentatouno degli impegni prioritari del Patto regio-nale per lo sviluppo e l’innovazione, è

necessario portare il sistema produttivoregionale che, al contrario, si presentasegnato da forti elementi di arretratezza, daun deficit di valorizzazione e produttività,come indicato nel Rapporto economico esociale dell’Umbria redatto dall’Aur. In que-sta partita non indifferente è il ruolo chepuò e deve giocare il sistema pubblico, nellesue articolazioni istituzionali come, e que-sto rappresenta un altro aspetto dell’inter-vento di riforma, nella sua strumentazione asostegno dello sviluppo, si pensi alle diverseAgenzie regionali sorte nel corso degli anni,da Sviluppambria, a Gepafin all’Apt, alSitech, e così via. Non sembri strana questa affermazione.Basta guardare al passato e riflettere sulruolo non secondario che il sistema istitu-zionale in tutte le sue articolazioni svolsenel permettere all’Umbria di passare, dettaper brevità, da un’economia contadina emezzadrie ad una basata sulla piccola emedia impresa diffusa nel territorio. Bastipensare allo stesso sistema di welfare regio-nale, alle sue caratteristiche, al modo nelquale è stato costruito e al rapporto che haintrecciato con quel tipo di modello pro-duttivo realizzatosi a cavallo tra gli anniSettanta e gli anni Ottanta. Oggi si tratta diriprogettare il sistema istituzionale avendo ariferimento questi nuovi orizzonti dello svi-luppo e della competitività.Vista in questa prospettiva la riforma delsistema istituzionale e della strumentazionea sostegno dello sviluppo non può limitarsiad una operazione di semplice riordino eridislocazione di funzione e competenze e,quindi, di semplificazione del sistema, madeve essere in grado di produrre, nel rispet-to delle nuove regole istituzionali, un suoproprio valore aggiunto, ovvero una rinno-vata capacità di rispondere, in termini diservizi, alle esigenze delle nuove frontieredella competitività. In quest’ottica si pone la questione deiComuni, in particolare di quelli di piccole

dimensioni e della loro capacità, in quantodepositari, come detto, di gran parte dellefunzioni amministrative, di erogazione effi-cace ed efficiente di servizi, in prospettivasempre più innovativi e a maggior valoreaggiunto. Il testo dell’articolo 118 dellaCostituzione pare prefigurare una soluzioneun po’ draconiana, quando prevede comeunica strada per “l’esercizio unitario” dellefunzioni amministrative il suo immediatopassaggio ai livelli istituzionali “superiori” ,ovvero Province, Regioni fino allo Stato.Prima di giungere a queste scelte vi possonoessere soluzioni intermedie, quali le formeassociative, sulle quali per altro si è puntatoin Umbria con la legge regionale 18 del2003. In questo ambito si pone la questio-ne, attorno alla quale molto si è discusso,dei cosiddetti circondari, introdotti in undisegno di legge ancora in via di definizionedella Giunta regionale. All’origine della isti-tuzione di questo nuovo organismo, cosìrecita la proposta di legge, vi è la necessitàdi riportare ad unità tutta una serie di entied organismi, si badi bene, costituiti daglistessi enti locali in ambito sub-provinciale,in particolare per la gestione dei servizi inmateria di rifiuti, ciclo idrico integrato,turismo, ma anche sanità e servizi sociali.L’obiettivo è quello di unificare le funzionisvolte da più organismi in capo ad un unicosoggetto denominato “nuovo circondario”e, conseguentemente, rideterminare gliambiti previsti per le diverse funzioni, assu-mendo come riferimento gli ambiti territo-riali delle aziende sanitarie, che come notosono quattro. Fin qui nulla da obiettare, si èin presenza di una appropriata operazionedi semplificazione e di ottimizzazione dirisorse. Le questioni si complicano quandonel definire natura e funzioni di questi cir-condari si prevede che, tra le diverse attri-buzioni, siano dotati di autonomia norma-tiva, svolgano non solo le funzioni primacitate ma anche altre, non meglio definite,che Regione, Province e gli stessi Enti localiintendano loro attribuire ed abbiano unastruttura organizzativa che prevede oltre laPresidenza e l’assemblea dei sindaci, ancheun consiglio, costituito dai rappresentantidi tutti i consigli comunali ed in manieratale da garantire la rappresentanza anchedelle minoranze. Un soggetto di questotipo, con queste attribuzioni e con questaorganizzazione, è difficile non leggerlocome un ulteriore livello istituzionale,intermedio tra Comuni e Province, in uncaso interamente coincidente dal punto divista territoriale con un livello istituzionalepreesistente, è il caso del circondario delternano coincidente con quello della interaProvincia.Con il risultato che invece di andare versouna semplificazione del sistema, un aumen-to della sua linearità, si produce l’effettoesattamente contrario, amplificato dal fattoche ci sono già, come accennato, altre solu-zioni istituzionali per la gestione associatadi servizi diversi da quelli in prima battutaattribuiti ai circondari.A complicare ulteriormente la situazione viè il nodo delle Comunità Montane, che inUmbria sono nove, e che nel corso deglianni si sono viste delegare da parte deiComuni la gestione di molti servizi, e sullequali il disegno di legge in questione nulladice. Come si vede la matassa è assai com-plicata. E non basta, per risolverla, limitarsia cambiare denominazione, non più circon-dari ma ambiti territoriali integrati. E’necessario da un lato semplificare la struttu-razione degli organi, riconducendo tuttoall’assemblea dei sindaci, come è giusto dalmomento che si tratta di strumenti digestione di servizi, dall’altro restringere aquelle indicate nel disegno di legge le mate-rie da attribuire a questi nuovi organismi,evitando soluzioni ancora una volta a geo-metria variabile.

Regione Umbria

Quale riformaFranco Calistri

6p o l i t i c anovembre 2005

R

Roberto Monicchia

Il mondo a pezziEuro 8,50

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n questo articolo cercherò di enu-cleare tre ipotesi interpretative utilia dare conto di una strana dinamicadella politica orvietana che vede

protagonista la sinistra “radicale”. Va dasé che, in questo contesto, contano più ledomande, le “provocazioni”, che le rispo-ste. La prima ipotesi è che negli ultimianni i partiti “radicali” dello schieramen-to di centro-sinistra siano stati troppovelocemente ricondotti alla supremaragion di stato del buon governo e quindisvuotati di qualsivoglia movente “progres-sivo”. La seconda ipotesi deduce dallaprima la ragione di un “torpore” dellasinistra, prima radicale e poi moderata.La compiacenza verso vacue formule pro-grammatiche induce all’indolenza politi-ca: ci si ripara dietro il “noto”, addomesti-cando l’ignoto o, peggio, misconoscendo-lo. La terza è un’ipotesi profetica e partedal principio craxiano secondo cui inpolitica i vuoti si riempiono. E siccome asinistra si sta preparando un vuoto, que-sto potrebbe essere ben presto occupato.

Rinati a nuova vitaLa neutralizzazione dei valori anti-sistemadelle ali estreme è uno dei risultati delsistema maggioritario. In qualche modosi dà rappresentanza politica a gruppisociali poco integrabili e, al contempo,chiede ai loro dirigenti di rinunciare aproclami e programmi “eversivi”. Unfenomeno, questo, che dai palazzi romanipromana verso le periferie. Ad Orvieto,nel 1993 Rifondazione Comunista èall’opposizione. Valentino Filippetti,smessi i panni del funzionario gramscianodel Pci, diventa Robin Hood. Regala unagigantesca sveglia di cartone a Cimicchi,produce inchieste sugli immobili sfitti,manifesta contro il caro casa (sfiorandol’occupazione), denuncia e si indigna. Magià nel 1995 il movimentismo viene smo-bilitato. Rifondazione, presente alla ele-zioni senza simbolo e con un una sorta dilista civica, abbandona i toni giacobini edentra in consiglio e in giunta. Nella “hol-ding celeste”, eredità dei Capitani checostruirono il Duomo e giunsero sino almare, ci si entra da persone perbene.Tecnicamente si chiama metànoia. Tipenti, rinasci a nuova vita (abbandonifalce e martello) e quindi ti salvi e gover-ni. Gli scampoli di radicalismo, tutt’alpiù, si possono esercitare in qualchedibattito contro il neoliberismo d’Oltre-oceano o per denunciare la repressionealla Diaz. La dimensione del governolocale deve tenersi lontana dalla politica edai partiti. Qui si amministra, non si faideologia. E siccome l’amministrazione lasi vuole tecnica, la “holding celeste”diventa il luogo di celebrazione dellacapacità manageriali “a prescindere”.Proporre esperienze di partecipazione“reale” (Grottaferrata docet) oppuremomenti di torsione dell’asimmetriainformativa tra governanti e governatiappare progetto troppo eversivo.

Legalismo e moderatismoQuando, nel bel mezzo della discussionesulla cava di Benano che coinvolge nell’a-gosto 2005 cittadini e associazioni,Rifondazione Comunista se ne esce assie-me allo Sdi con un comunicato congiun-to proteso a difendere le “procedure”, le“regole” e gli “atti”, si toccano i limiti diuna liturgia “agorafobica” tutta centratasul palazzo e sul sacro rispetto dei ruoliistituzionali. Una posizione legalista pococoerente con il ruolo di “levatrice” deimovimenti cui il partito di FaustoBertinotti dichiara di aspirare. GiancarloImbastoni, unico consigliere Prc, la pensadiversamente. Si oppone alla cava e lodice chiaramente. Ma l’amministrazione èaltra cosa e bisogna mediare tra interessidiversi: dei lavoratori, dell’imprenditore,delle associazioni di categoria...Gli esiti della mediazione sterilizzanoconflitti altrimenti forieri di novità. Siassiste così ad una sorta di diluizioneomeopatica dei principi attivi del dissen-so, assimilabile alla virtus dormitiva dimolièriana memoria. I conflitti si addo-mesticano con strumenti concettuali for-giati ad uso e consumo della tecnocrazia,nella neo-aristocrazia delle élites. L’averinterpretato il dinamismo dei movimentie delle associazioni ambientaliste o civi-che orvietani alla stregua di un rumore difondo o di una concrezione effimera diprotagonismi personali è stata una sceltapoco accorta. Rifondazione avrebbe potu-to prendere al volo l’occasione e aprire unbel confronto tra diverse intelligenze esensibilità, tra esigenze di governo e ipo-tesi di sviluppo sostenibile. Invece, piut-tosto che affrontare il conflitto, si è prefe-rito dissimulare. “Dissimulare - dicevaSalazar a Roberto de la Grive nell’Isola delgiorno prima - è tendere un velo compo-

sto di tenebre oneste, dal che non siforma il falso ma si dà qualche riposo alvero”. Curiosamente, la sinistra Ds è apparsamolto più “radicale” dei compagni diRifondazione. Forse perché a loro nessu-no chiederà l’onere della prova e dellacoerenza; fatto è che il “correntone” spes-so ruba il tempo e la scena al partitocomunista. E allora non si capisce se saràil correntone a defluire verso Rifonda-zione o quest’ultima a sciogliersi dentro iDs. Il Correntone chiede la ripubblicizza-zione dell’acqua e così fa altrettantoRifondazione. Ma poi ci sono di mezzo iconsigli di amministrazioni, i ruoli...quindi è preferibile non spingere tanto suun tema così empio... Il risultato è unmoderatismo di governo che si trasformatalora in un pavido procedere, attento anon dispiacere i benpensanti. L’esito è che, assecondando il “bonaparti-smo” più o meno soft indotto dal sistemamaggioritario, si condanna la politica -quella che nasce dall’interazione tra i pro-getti e gli interessi dei diversi blocchisociali - a restare perennemente separatadalla concretezza degli atti di governo. Siassiste così ad un remake del problemadella congiunzione di corpo e anima cheappassionò i filosofi per centinaia dianni. Se l’anima comanda il corpo, dov’èche accade questo comando? Tradotto:dove si incontrano, oggi, politica e prassiamministrativa? Eppure qualcuno decide.E non aspetta la risoluzione metafisica delproblema...

Uno spazio a sinistraSe Rifondazione non scende dal palazzo eritorna a dialogare con quel pezzo disocietà che si è manifestato la scorsa estatein diverse occasioni, lascia scoperto uno

spazio a sinistra. E questo evento diven-terà, primo o poi, inesorabile. I segni pre-monitori ci sono (le tensioni interne,anch’esse abilmente dissimulate), e anchela sicumera formalista in risposta alleaccuse dei “dissidenti” denuncia unaqualche preoccupazione. Lo spazio che si apre, tuttavia, non appa-re contiguo a quello già occupato daiComunisti italiani. Ci sono almeno duesoggetti che potrebbero avanzare unaqualche pretesa: le associazioni nate sul-l’abbrivio dei comitati contro la cava diBenano e i Verdi. I movimenti orvietani rappresentano unagrande opportunità per ridare fiato aiprogetti e alla politica locale. Dinanzi allamolteplicità delle proposte e delle intelli-genze non si può trattenere un moto digiubilo. Queste organizzazioni, per quan-to effimere, danno spazio alla libertà, allepassioni intellettuali; tentano di fare ciòche i partiti non fanno più: organizzare ladomanda sociale e immaginare atti digoverno. Ed è un fatto importante: sitratta del mantenimento di un presidiorazionale nel campo di una politica sem-pre più votata all’impeto delle emozionimediatiche. Stephen Jay Gould, uno scienziato evolu-zionista che la Moratti metterebbe volen-tieri all’indice, sosteneva che il “progres-so” non si caratterizza dal passaggio dauna minore a una maggiore complessitàma dalla diffusione della varietà. Questa èla misura dell’eccellenza. Un concettomeraviglioso. Ma la reazione dei partitiorganizzati all’emergere della varietà èstata di diffidenza e di fastidio. È ben vero che le associazioni non posso-no tout-court sostituirsi ad un partito esappiamo bene che possono durare lospazio d’un battito di ciglia. Possononondimeno fare da “apripista” ad unamobilità elettorale verso altri approdi.Uno di questi potrebbe essere rappresen-tato dai Verdi, oggi ad Orvieto inconsi-stenti (tra il 2 e il 3% dei voti), ma con la“purezza” di chi non ha mai partecipatoalle celebrazioni del potere. Un elementointeressante che potrebbe affascinare chioggi vota Rifondazione non perché per-suaso della verità del marxismo ma per-ché, genericamente, “anti-sistema” o per-suaso che un “mondo diverso è possibile”.La base elettorale del Prc è più volubile diquanto si creda e non sempre è sovrappo-nibile a quella del vecchio Pci, che gene-ralmente preferisce votare “senza se esenza ma” i legittimi eredi, ossia i Ds.Se pezzi del Correntone confluissero den-tro Rifondazione (portando ulterioreacqua al fiume del moderatismo) lo sce-nario qui anticipato potrebbe diventarecredibile. Il partito di Bertinotti aOrvieto diventerebbe altro, rendendopossibile il configurarsi di una sinistranon dogmatica in cui anche lo Sdi, torna-to laico e libertario, potrebbe - se fossecapace di tornare anch’esso a far politica -svolgere un ruolo innovativo.

7 p o l i t i c anovembre 2005

Dietro le guerre orvietana di Rifondazione

Metamorfosi radicaliVittorio Tarparelli

I

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8 c i t t ànovembre 2005

anca poco a primavera e già simettono a punto le strategie pergli appuntamenti elettorali: lepolitiche e il rinnovo di molte

amministrazioni comunali. Con la straordi-naria partecipazione alle primarie, il popolodi centrosinistra ha affermato la volontà dimandare a casa il cavalier b. e la sua disastrosabanda, ma anche il desiderio di porre fine allalitigiosità di partiti e partitini. Il metodo delleprimarie ha reso visibile il rapporto tra citta-dini e politica e allentato l’intreccio dei parti-ti, sempre più autoreferenziali, con lo stato ela società. Il metodo, dopo la felice sperimen-tazione nazionale viene riproposto anche suscala locale. I cittadini vogliono giustamentegiudicare e scegliere chi dà un volto e unavoce al territorio e alla propria città. E cosìfioriscono rose di candidati alla guida dellerealtà locali, pronti a sottoporsi al giudiziodelle primarie. In tutt’Italia? No, ci sono delleeccezioni. Per esempio a Città di Castello, ilcentro più consistente della regione che sirecherà alle urne in primavera, i Ds localihanno riconfermato la propria fiducia al sin-daco Fernanda Cecchini e posto gli alleati difronte alla propria scelta. Come dire o mangiquesta minestra o ... Nel documento in cui ilsegretario cittadino Ds ha riproposto laCecchini si legge tra l’altro: “La nostra candi-datura è espressione del giudizio positivo sullavoro fatto dall’amministrazione comunale esulle capacità evidenziate che riteniamo deb-bano trovare continuità in un nuovo progettoper la città... Riteniamo che a Città diCastello non sussistano le condizioni perricorrere alle primarie, che anzi avrebbero uneffetto disgregante”. Ma perché, se il giudiziosul lavoro svolto è positivo, temere le prima-rie giudicandole disgreganti ? La risposta èsemplice. I dirigenti Ds sono tenuti a sostene-re la Cecchini, ma sanno bene che tra gli elet-tori l’indice di gradimento del sindaco e dellagiunta è basso. Andare alle primarie potrebbeessere pericoloso e disgregante soprattutto perloro. Un eventuale insuccesso, o un successodi misura, metterebbe in discussione non solola figura del sindaco, ma anche quella del par-tito di maggioranza relativa. Meglio quindiscegliere un profilo politico basso, teneresmorzati i toni del confronto politico e lascia-re gli alleati accapigliarsi per la carica di vice-sindaco o per qualche assessorato. Anche per-ché aprire un dibattito pubblico sull’operatodella giunta potrebbe innescare meccanismiincontrollabili: ricompattare un’opposizionedi centro-destra fino ad oggi inconsistente se

non ridicola; dare impulso alla nascita di listeciviche; attirare l’attenzione sui disastri com-piuti dall’amministrazione e sui troppi trenipersi da Città di Castello negli ultimi anni.Abituata ad essere una delle protagonistedella vita politica, economica, sociale e cultu-rale dell’Umbria, la città dell’Alto Tevere stavivendo uno dei momenti più grigi della pro-pria storia. La crisi che investe comparticome quello del tabacco e del tessile, la rior-ganizzazione di servizi importanti e le infra-strutture hanno posto domande che richiede-vano risposte tempestive, partecipate e auto-nome. Al contrario la Cecchini ha scelto dinon scegliere, di volare rasoterra per non farsimale, di delegare, di appiattire le politichecittadine alle scelte perugine del suo partitomettendosi, di volta in volta, sotto l’ombrelloprotettivo dell’assessore regionale Rosi o dellagovernatrice Lorenzetti, felici del fatto. Se unsindaco rappresenta il volto e una voce di unacittà si può facilmente affermare che maiCittà di Castello è stata tanto sbiadita e silen-te. Tutto questo niente suscita malcontentoin un numero crescente di cittadini ma ilmugugno non trova sbocchi in forme orga-nizzate di partecipazione politica né all’inter-no dei partiti, sempre più piccoli feudi perso-nali di esponenti locali, né all’esterno. Lamaggioranza che governa la Città ne è consa-pevole e controlla la situazione campando direndita, distribuendo incarichi e prebende efregandosene altamente dei mugugni, finchérimangono sussulti individualistici. Alle ulti-me amministrative ha tentato di cavalcare ildissenso un personaggio della politica naviga-

to come Mario Capanna. Sono ancora inmolti a porsi interrogativi sulla sua estenuan-te campagna elettorale: un velleitario campa-nilismo di protesta che non ha affrontato iproblemi sul tappeto. Corrono voci cheCapanna voglia riprovarci, ma sull’eventualecandidatura peserà il suo abbandono del con-siglio comunale subito dopo l’insediamento. Iproblemi non li ha affrontati Capanna comeconsigliere comunale, ma neanche laCecchini come sindaco. L’urbanistica, settorebollente di ogni amministrazione comunale,in mancanza di un progetto di città e priva diun’efficace guida politica sembra in mano apochi costruttori e a pochi tecnici comunali.Gli appetiti scatenati dalla riconversione digrandi contenitori cittadini e dalle aree indu-striali prossime al centro storico sono alquan-to bulimici e poco funzionali ad un equilibra-to sviluppo urbano. In ogni caso le scelteeffettuate in qualche caso, vedi aree Fat,Cecchi e Gasperini sono contraddittorie, perniente partecipate e quindi poco trasparenti.Nessun progetto o soluzione del Comune,invece, per quanto riguarda l’ex ospedale, lasistemazione dell’area Fat prospiciente laPinacoteca che da quindici anni sembrabombardata, il completamento dei lavoridella nuova sede della biblioteca o per gli sto-rici quartieri di San Giacomo e dellaMattonata. Sulle infrastrutture si fa un granparlare di sfondamento della ferrovia o versoArezzo o verso Cesena. Fumo negli occhi pernascondere l’incapacità di decidere il tracciatodei quindici chilometri umbri della superstra-da Due Mari, mentre le Marche hanno datempo portato a termine quello di loro com-petenza e la Toscana sta per ultimare i lavori.Il Centro Servizi realizzato cinque anni fa concontributi dell’Unione Europea non sembraessere altro che la sede di una mensa e un red-dito complementare per i membri del consi-glio di amministrazione. Di progetti o servizialle imprese non si hanno notizie. Se il buongiorno si vede dal mattino sembra che la stes-sa sorte tocchi alla costruenda piastra logisticaprogettata senza tenere conto degli svincolistradali e ferroviari. L’appiattimento, senzapartecipazione o contrattazione alcuna, alledecisioni regionali è dimostrato dal casoSogepu, di cui questo giornale si è occupato.Viene svenduta l’autonomia di un territorio,si sbandiera la costruzione di un preselettore,

si mandano a spasso per l’Umbria i rifiuti,non si elabora una politica di gestione. Aconti fatti, il comune di Città di Castello per-derà una bella cifra e i cittadini avranno pre-sto la sorpresa di un aumento delle tariffe. Incompenso a Città di Castello è stata concessala sperimentazione di un impianto di biomas-se come fonte di energia alternativa. Sceltainadatta al territorio e, in ogni caso, giudicatadai comuni del comprensorio di Agenda 21come la meno opportuna tra quelle possibili.Attenzione sull’energia quella del sindaco chesi limita alla sperimentazione. Per quantoriguarda l’esistente, cioè il metano, nonostan-te le sollecitazioni, ha preferito evitare ognidiscussione in consiglio comunale sul rinno-vo del contratto alla Tecnoconsult. Il contrat-to verrà prorogato automaticamente senzavalutare né il servizio offerto né propostealternative. Ma sono in molti a protestare peril servizio e per le modalità di assunzione delpersonale senza concorsi o selezioni di sorta.Niente di illegale, per carità, ma è opportunoassumere la figlia dell’assessore che dovrebbecontrollare? Evidentemente si, visto che il sin-daco non ha fatto una piega come del resto lediverse opposizioni. La giunta tifernate peral-tro “rispetta e valorizza in modo pieno edequilibrato le formazioni politiche che hannocontribuito a definire e a sostenere il progettovincitore”. Insomma è espressione dei partiti,anche se i continui stravolgimenti che avven-gono all’interno di qualche partito non lascalfiscono neppure (per esempio, c’è unassessore in carico ai Comunisti italiani che èda mesi fuori da quel partito).Unica eccezio-ne tra gli assessori, “è presente nella giunta,con la funzione di vice sindaco, un esponentedella società civile, scelto per la sua specificacompetenza, al di fuori dell’appartenenzapolitica”. E’ Rosario Salvato. Numerose leperle da lui inanellate : annuncia l’arrivo dello‘Sposalizio della Vergine’ di Raffaello ma aMilano non ne sanno niente; nega, unicocaso in Italia, lo spazio ad Emergency per laraccolta di firme contro la guerra; non haneanche provato a rivilitalizzare le moribondemanifestazioni cittadine. Se è questa l’espres-sione della società civile non c’è da speraretroppo. Infine il caso Burri. Completa lati-tanza della giunta e del sindaco. Poche parolema spese male, come se i quadri non fosserodi proprietà dei Tifernati. Intanto la telenove-la giudiziaria continua per la goduria degliavvocati. Sorda ad ogni critica, aliena dellapolitica, incoraggiata da una coalizionesubordinata e appiattita, la prima cittadinanon progetta e non risolve niente ma in com-penso esibisce un presenzialismo sfrenato.Non perde una inaugurazione o premiazione,partecipa a cavallo alle rievocazioni storiche,organizza dispendiosi eventi canori e sale sulpalco per salutare il pubblico, abbraccia ibambini con fare materno, è l’unico sindacod’Italia a ricevere in municipio i Savoia alritorno dall’esilio. Se non sono almenoappaio, sembra dire. Si rilassa dalle fatichedell’apparire anche con una tardiva passioneper il golf. Tra una manifestazione politica alFestival dell’Unità e una partita sul mantoerboso predilige la ricerca delle buche. Ne hagià fatte tante, ma forse ha ragione lei. Se aisuoi alleati e alla maggioranza dei suoi concit-tadini sta bene così perché cambiare?

Città di Castello

Verso le elezioniPaolo Lupattelli

M

Collana i Pamphlet

Francesco Mandarini

Scritti a perdere

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ualche lettore si è lamentato perla scarsa attenzione prestata da“micropolis” ad Eurochocolate.“Come, siamo di fronte al con-sumismo più sfrenato, ad unospreco abnorme di città, alla pri-

vatizzazione del centro storico a fini com-merciali e voi non protestate, non ne parlate,vi disinteressate all’evento?”. A questa obie-zione abbiamo più volte risposto.Consideriamo Eurochocolate come unadisgrazia naturale che si ripete annualmente,ne abbiamo più volte scritto, rischieremmodi ripetere cose già dette, annoiando chi cilegge. Tuttavia l’obiezione ha qualche fonda-mento. Quest’anno, infatti, abbiamo vissutoun salto di qualità non tanto in termini dipresenze, ma proprio per quanto riguarda lecoordinate programmatiche che presiedonoalla manifestazione. Lasciamo da parte i tempi di percorrenza dicorso Vannucci (da quaranta a cinquantaminuti), i disguidi nel sistema dei trasporti ele proteste dei pendolari, i gazebo sottoPalazzo dei Priori, le risse tra ambulanti ditutti i tipi e settori merceologici, e concen-triamoci su questo dato. Finalmente si èdetto chiaramente che Eurochocolate non èuna manifestazione culturale, ma un eventocommerciale e di organizzazione del tempolibero. Lo ha affermato il patron della ker-messe, Guarducci, lo hanno ripetuto le auto-rità pubbliche, a partire dall’amministrazio-ne comunale. L’obiettivo è garantire l’arrivoa Perugia di centinaia di migliaia di personeche vengono a mangiare ed acquistare cioc-colato di tutti i tipi, divertendosi o impie-gando il tempo libero in questa attività. Delresto - è questo il ragionamento - la gente hadiritto a non pensare, a divertirsi e a com-prare. Insomma cioccolato e circenses.Siamo di fronte ad un’ennesima manifesta-zione di come la nostra epoca sia ormaiaffetta dal circuito vizioso del consumo per ilconsumo, come sfoghi nevrosi e depressioninella sindrome dell’acquisto. Più semplice-mente: Eurochocolate come succedaneo del-l’ipermercato. Che la cosa vada bene aGuarducci, che fa il commerciante, non fapiù di tanto meraviglia, che stia bene adun’amministrazione comunale che si preten-de di centro sinistra, ci pare un po’ più scan-daloso. Tuttavia ciò rafforza una nostra con-vinzione. Se si tratta di una manifestazionecommerciale per quale motivo non si destinaad essa l’area fieristica? Se la Fiera dei morti -che ha ben altra storia e quarti di nobiltàrispetto all’“intuizione” guarducciana - èstata decentrata a Pian di Massiano, perchénon lo si fa anche nel caso della mostra mer-cato di tavolette, bombons, ecc. di cioccola-to? Se qualcuno degli acquirenti vuol vedereil centro storico non deve far altro che pren-dere un autobus e salire nell’“acropoli”.Ma questa constatazione, tutto sommatoovvia, introduce problemi di non facile solu-zione, annosi e allo stesso tempo urgenti, perl’amministrazione comunale, nei confrontidei quali ci sembra non tanto che non visiano idee, ma neppure la consapevolezzache occorra in un qualche modo interveni-re.Essi si compendiano in una questione:

che fare del centro storico? Intanto è impor-tante definirlo. Il centro storico non è quellache sempre più spesso viene definita “acro-poli”, ossia il corso, piazza QuattroNovembre e gli immediati annessi, ma è unacostruzione più ampia che comprende l’in-sieme della città racchiusa nelle mura medie-vali, uno degli aggregati urbani più estesid’Italia nel Due-Trecento. Questa realtà ha

mantenuto la sua funzione originaria - resi-denza, funzioni commerciali, pubbliche esimboliche - quasi fino ai nostri giorni. Solodopo il secondo conflitto mondiale essa hasfondato con decisione la cinta muraria,estendendosi nella pianura ed inglobando inuclei frazionali, producendo aggregati edili-zi di rara bruttezza e periferie che si diversifi-cano da quelle delle grandi metropoli soloper le dimensioni del fenomeno. Il centrostorico è stato a lungo residenza dei menoabbienti, di coloro che non potevano per-mettersi una casa moderna, poi ha visto pro-liferare al suo interno funzioni pubbliche eburocratiche, successivamente è divenutoluogo di residenza per ricchi o per studenti edi localizzazione di attività commerciali di

pregio, oggi infine vive una nuova fase in cuiindeterminatezza e crisi dei ruoli assunti nelcorso del tempo convivono. La città muratanon ospita quasi più le funzioni giudiziarie,sono state decentrate quelle burocratiche, laquestura e il carcere sono stati localizzati inperiferia, mantiene qualche negozio più omeno destinato al consumo dei ceti medioalti e le sedi della rappresentanza politica.

Nei prossimi anni continuerà a perdere lesedi universitarie, che andranno in buonaparte a Monteluce, dove è in corso di trasfe-rimento l’Ospedale. Ciò dovrebbe incentiva-re una riflessione ed un dibattito non su sin-gole aree e quartieri, ma su tutta la porzionedi abitato compresa nel circuito delle mura enelle sue immediate vicinanze, di cui non siha sentore. Tutto viene lasciato alla sponta-neità e al “mercato”, quasi che i destini dellacittà storica siano questioni che non interes-sino l’amministrazione pubblica, ma vadanodelegati ai detentori della rendita urbana edagli operatori commerciali.Eppure qualche idea non è difficile partorir-la. Ad esempio, cosa impedirebbe di fare delcentro storico il luogo dell’attività e della

fruizione culturale, di una aggregazione gio-vanile fatta non solo e non tanto di pub ediscoteche, il luogo dove un associazionismoincentivato e incoraggiato possa trovare unluogo di espressione? Ma per far questooccorrono spazi di cui ancora non si ha sen-tore. Perché un solo teatro, quando storica-mente ce ne sono due? Perché per andare alcinema occorre per forza spostarsi ad Ellera?Perché non c’è ancora un auditorium, man-cano spazi pubblici di riunione, manca unospazio mostre? Cosa impedisce di localizzareforme di artigianato di pregio nel centro sto-rico? Perché a livello cittadino i musei sonopochi, poco valorizzati e soprattutto nonorganizzati in sistema? Le domande potreb-bero continuare all’infinito. Si può obiettare:d’accordo, belle idee, ma dove sono i soldiper queste realizzazioni? E qui nascono ulte-riori domande che denunciano altre inadem-pienze. Cosa si è fatto per incentivare formedel cosiddetto outsourcing, che coniuga ini-ziativa privata e pubblica? Quanto si è riusci-ti ad attingere ai cofinanziamenti europei?Quanto arriverà a Perugia dei finanziamentidel Dap e del Docup? Quanto è condivisa lalinea incentrata sulla filiera turismo-ambien-te-cultura finora più dichiarata che praticataa livello regionale?Ciò che insomma occorre domandarsi,sapendo già la risposta, è quale siano le capa-cità di governo che Perugia riesce ad espri-mere. Non è questo il frutto solo delle capa-cità degli amministratori - in verità nonmolto alte -, ma di un clima complessivo chevede la città ripiegata su sé stessa, che inter-preta il suo ruolo di capitale regionale comepura concentrazione di funzioni amministra-tive e come attrazione quotidiana verso ilcapoluogo di studenti e impiegati, che nonriesce ad esprimere una immaginazione pro-gettuale, cosa che spiega anche la riduzionedi autorevolezza dei ceti politici cittadini nelcontesto regionale. Si può legittimamentesostenere che è un fenomeno che nonriguarda solo il capoluogo, ma buona partedelle città umbre. E’ vero, ma per invertire larotta da qualche parte si dovrà pur comin-ciare: perché non da Perugia?

Perugia e il suo centro storico

L’evitabile leggerezzadi un progetto ammistrativo

Re.Co.

Q

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he ne sarà di Foligno, finiti losviluppo quasi euforico e leingenti risorse legate alla rico-struzione post-terremoto?

Questo l’interrogativo cruciale che, piùo meno esplicitamente, aleggiava fra lemolte sedie vuote della Sala della Cortedi Palazzo Trinci dove, a fine ottobre, siè svolta la tavola rotonda Porto di terra:d ia logo su l la c i t tà organizza to da“micropolis”, ed a cui hanno partecipa-to amministratori locali, di oggi e diieri, e altri protagonisti della vita politi-ca cittadina. Un dibattito che - comeera nelle intenzioni - si è sviluppatosenza reticenze e che, proprio per que-sto, avrebbe meritato una platea piùvasta. Come già in precedenti analoghiincontri, che dal dibattito aperto dallepagine di questa rivista, hanno preso lemosse, i punti critici di Foligno sonostati squadernati con profonde incursio-ni nel passato recente che, dopo 10anni , re s t i tu i scono ogg i una c i t tàprofondamente cambiata (in meglio)ma che, saggiamente, si interroga su unfuturo incer to per tutt i . Una del ledomande concerneva le possibili nuovedirettrici di sviluppo della città a frontedelle prevedibili minori risorse che siavranno a disposizione in futuro, e dellanecessità, quindi, di individuare nuovipunti di aggregazione sociale e civile,necessari per consolidare e non disper-dere ciò che di positivo è stato finorafatto. Pur con accenti diversi , tuttihanno convenuto sul fatto che il decen-nio alle spalle, dopo la grande crisi degliinizi anni ‘90 e la rinascita politico-amminis t ra t iva che ne è segui ta e ,soprattutto, dopo il trauma del terre-moto, presenta un bilancio sostanzial-mente positivo (risanamento ammini-strativo, rilancio economico, sociale eculturale) frutto soprattutto di un mas-siccio, e determinante, intervento pub-blico (è stato sottolineato soprattuttol’aggettivo “pubblico”) e della capacitàde l l a precedente ammini s t raz ione(“pubblica”) comunale di essersi saputamuovere con abilità e spirito di servizionel mettere a frutto, al meglio, sia lerisorse affluite che quelle reperite inproprio. Ciò si è tradotto, nei fatti, inuna pol i t i ca che ha saputo , ancheprima del s isma, innescare processiautopropulsivi, e soprattutto trasforma-re un evento drammatico come il terre-moto, in un’occasione di rilancio dellacittà, oggi indubbiamente “più bella,più produttiva, più solidale e con unariguadagnata identità”. Tutto vero, mac’è chi non ha mancato di far notarecome scavando sotto una lettura disuperficie, pur spessa e consistente, allafine emerga che da questa fase, esconopremiat i essenzia lmente, la renditaurbana (grazie ai valori catastali aumen-tati con la ristrutturazione e costruzionedi case), le imprese edili ed i ceti profes-sionali legati alla ricostruzione (geome-tri, studi professionali, tecnici, ecc.),

nonché l’intermediazione ed i centricommerciali, ma sottolineando cometutto ciò tuttavia, difficilmente riesca -questo è il punto- a proiettare nel futu-ro un nuovo e duraturo modello di cittàe di sviluppo. Ciò anche in considera-zione del fatto che la bolla speculativa(che non è un fatto folignate) è destina-ta a sgonfiarsi, che il mancato salto tec-nologico delle tante imprese edili natecon il terremoto ne ribadiscono la fragi-lità, che la stessa espansione della inter-mediazione commerciale è destinata afrenare (data la scarsa capacità di spesadelle famiglie), e che le funzioni di pre-gio su cui si era puntato quali volanodello sviluppo (la Piastra intermodale,per esempio, o il polo formativo dellascuola secondaria) o non bastano o nonsi sono realizzate secondo gli auspici,come per esempio il polo legato alle

funzioni di protezione civile, ancoraben lontano dai livelli di “eccellenza”promessi. La stessa ritrovata coesione sociale eidentità cittadina è un fatto indubbioed è stata il frutto - si è sottolineato -del risanamento di aree importanti delcentro storico e della città più ampia,ma altri hanno fatto notare che essa èstata soprattutto il portato, tutto con-giunturale, di quella union sacré tipicadei tempi di “guerra, che ha nascostoma non risolto le ampie aree di disagioe sofferenza che, seppure in penombra,permangono convivendo “fino a toccar-si” con la città “coesa” (quella che risal-ta anche attraverso l’ampia e variegatarealtà dell’associazionismo cittadino,giovanile, sportivo, culturale, ecc.) eproduttiva. Si aggiungano, poi i proces-si di “metropolizzazione” derivanti da

una ricostruzione che, nelle more delPiano Regolatore, è andata a riempiretutti gli spazi vuoti di una città a formadi mano aperta, snaturando i vecchiquartieri (vedi soprattutto Corvia eBorroni) che oggi faticano a ritrovareun ruolo ed una funzione, e rischiandoquindi di favorire processi di disgrega-zione sociale. Lo stesso centro storico,certamente oggi più bello, andatesenemolte funzioni e servizi (soprattuttocommerciali), fatica ad assumere e svol-gere un ruolo, e ad invertire la tendenzaallo spopolamento, pur se molto si èinvestito per risanarlo e renderlo abita-bile e accessibile anche -caso è raro inItalia - ai ceti meno abbienti ed allastessa popolazione immigrata. A ciò siaggiungano i problemi di mancataintegrazione che -seppur non dramma-tici- investono le molte persone arrivate

da fuori, non solo immigrate, pur inpresenza, al riguardo, di una forte retedi servizi sociali diffusi nel territorio edi un Ufficio di cittadinanza che svol-gono - viene giustamente rivendicatocon orgoglio - un grosso ruolo di aiuto,confronto , gu ida e in formaz ione .Insomma luci ed ombre, ma soprattuttola consapevolezza di aver superato, conesiti più che decorosi una fase certa-mente difficile, e per certi versi dram-matica. Sul “che fare” da domani in avanti, sullepriorità e sulle “gambe” con cui perse-guirle, le risposte sono variegate, mamai sloganistiche e propagandistiche ela discussione diventa ancora più inte-ressante, intrecciandosi a più riprese,con il dibattito in corso a sinistra circail modello di sviluppo su cui puntare, esull’opzione crescita-decrescita dell’e-

conomia. Ovviamente gli accenti sonodiversi, ma il tratto comune è dato dallaconsapevolezza di stare dentro una con-giuntura economica difficile e comun-que capitalistica (“è il capitalismo bel-lezza”) ed in presenza di rapporti diforza politico-culturali non certo favo-revoli, ma anche dalla convinzione circail ruolo dell’intervento pubblico, che inogni caso viene ritenuto decisivo: sia sesi intenda privilegiare una politica che,proseguendo nel solco delle cose fattefinora (infrastrutture, poli formativi,politica culturale e coesione sociale),magari sviluppandole e razionalizzando-le al massimo, si accontenta di assecon-dare, pur se in maniera “soft”, le com-patibilità ferree del capitalismo mondia-lizzato di oggi, e che quindi rilancia laFoligno “porto di terra” e la riproposi-zione aggiornata di una intermodalitàche, con tutte le cautele possibili, rima-ne comunque aggressiva del territorio(come per esempio la progettata stradastatale interappenninica 77); oppureoptare per un modello di interventodecisamente alternativo che senza prefi-gurare alcuna uscita dal capitalismo(non è proprio aria!), pur tuttavia locondizioni fortemente, riuscendo a pie-garne alcuni tratti e alcune logiche, inuna direzione che lasci intravedere lapossibilità concreta di una società rego-lata da logiche e meccanismi diversi. Edallora, i 1556 miliardi (“ma cresceran-no”) già destinati a tutto il quadrilateroumbro-marchigiano per la Statale 77potrebbero - viene detto, con argomen-tazioni in fondo non dissimili da quellein Val di Susa - venire impiegati rove-sciandone, magari, le priorità: certa-mente per migliorare la viabilità, anchesu ferro (rafforzando pure la ferroviaRoma/Ancona), ma senza interventiinvasivi su un territorio di pregio comequello interappenninico; privilegiando-ne invece la difesa ed il suo sviluppoattraverso interventi di manutenzione ecura (soprattutto del bosco e del sotto-bosco) e di regolamentazione del leacque, attraverso l’uso di energie abasso costo, il ripopolamento e la rein-troduzione di presidi stabili di vigilanzae di controllo, con tutte le ricadute intermini turistici e di indotto che ciòpotrebbe determinare. Per fare questo -si sottolinea- non man-cherebbero le competenze, i presupposticulturali (pur se c’è chi di questo dubi-ta), una certa sensibilità diffusa, “ed oraci sarebbero perfino i soldi” (tanti).Manca - ques to è i l problema - l avolontà di cambiare politica da parte dichi “sminestra”, certo anche a causadegli interessi colossali che il modelloeconomico vigente (“fondato sul petro-lio”) innesca e con cui corrompe; maanche per la pigrizia di cambiare ottica,troppo scomoda e rischiosa per chi,anche a sinistra, la ritiene non imme-diatamente remunerativa in terminielettorali.

10c i t t ànovembre 2005

Foligno: bilancio positivo, prospettive incerte

Dopo e oltre il terremotoOsvaldo Fressoia

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11s o c i e t ànovembre 2005

tristi primati dell’Umbria sullemorti da lavoro non riguardanosolamente i lavoratori dell’edilizia-d i cu i c i s i amo occupat i ne l

numero di ottobre di “micropolis”- maanche quelli dell’agricoltura, che neltriennio 2001-2003 hanno visto 10 casimortali su un totale di 7050 incidenti. L’approccio preventivo degli incidenticonsta naturalmente di più voci, daquella legislativa alle normative sul lavo-ro , da l l ’ impegno de l s indacato a l l aresponsabilizzazione attiva dei lavorato-ri , dal la presenza e intervento degl iorgani di controllo come dei servizi diprevenzione del le Aziende sanitar ielocali alla formazione dei lavoratori, allaconoscenza puntuale delle cause, dellemodalità, degli esiti dei singoli accadi-menti. Interessante e meritoria è alloral’ iniziativa della Comunità MontanaMonte Peglia e Selva di Meana che hadedicato recentemente al problema unincontro conoscit ivo e di lavoro. Inquel la sede l ’a l lora Pres idente del laComuni tà Montana , Va lent inoFilippetti, ha ricordato nella sua relazio-ne introduttiva come “le realtà produt-tive umbre sono caratterizzate da fortivincoli fisici (altimetria, giacitura ecc.)eda un assetto fondiario (frazionamento)che ne determinano e condizionano losviluppo, e, a eccezione di alcune azien-de specializzate e fortemente orientate almercato, la maggioranza di esse praticauna agricoltura tradizionale che trovaneg l i s t rument i d i in te r ventoComunitari ragione per il conseguimen-to di un accettabile bilancio aziendale”.“Gli ordinamenti produttivi prevalenti -ha sottolineato ancora Filippetti - unita-mente alla forte parcellizzazione fondia-

ria non consentono elevati livelli di red-ditività, il che si traduce anche in limi-tati o irrisori livelli di adeguamento asvantaggio anche della qualità del lavo-ro. Il parco macchine e le attrezzaturerisultano obsolete e risentono inoltre deicriteri e dei vincoli progettuali tenendoconto di condizioni di operatività spessocompletamente diverse da quelle di uti-lizzazione così che standard di sicurezzaaccettabili in un determinato contestodiventano inadeguati in un ambientecollinare o montano”, come è appuntoquello della Comunità Montana MontePeglia dove perdipiù “prevale la condu-zione diretta o addirittura il part-time esolo in poche realtà si riscontrano quellecondizioni in grado di far diventarecogente la norma”. Non si può non daregiudizio meritorio alla iniziativa dellaComunità Montana che ha preso incarico direttamente il problema degliinfortuni nel suo territorio, facendocalare la realtà delle condizioni di lavoroe degli infortuni che ne conseguononella quotidianità del lavoro istituziona-le, andando alla conoscenza di quellarealtà e impegnando le proprie capacitàdi intervento.Intanto, con la conoscenzadella situazione locale, tale da usciredalla statistica - pure essenziale, quanto-meno per avere parametri di confronto -dei grandi numeri per andare a vederecosa succede , qu i e o ra . Cos ì l aComunità Montana ha promosso unaricerca sul campo condotta da IleniaFolletti che ne ha relatato nel corso delConvegno. La ricercatrice ha studiato isingoli incidenti sul lavoro in agricoltu-ra nel territorio in oggetto nel triennio2000-2002, per un totale di ben 603casi, che hanno coinvolto 439 maschi e

164 femmine. Li ha studiati per età, peragente lesivo, per forma di accadimento,per tipo di lesione, per sede della lesio-ne,per tipo di lavorazione agricola almomento dell’evento infortunistico,fornendo così informazioni preziose allaComunità Montana, che si è data i lcompito di interventi diretti e a vastoraggio per la prevenzione: intanto, unelemento conoscitivo importante, cioè -e ci si scusi il bisticcio - la non-cono-scenza, insomma dati mancanti, che siaggira intorno al 22% delle singole vocianalizzate, con un picco del 31% allavoce “lavorazione agricola”. Una indagine sul campo di questo tipo,in un ambito territoriale relativamentepiccolo e, per quanto riguarda il proble-ma in questione, incidenti in agricoltu-ra, assai omogeneo, fornisce un modellodi modalità conoscitive, così come unmode l lo d i opera t iv i t à fo rn i sce l aComunità Montana Monte Peglia allealtre Comunità Montane umbre e aglienti locali della regione in primis aiComuni. Che farebbero il proprio dove-re se cominciassero anch’essi a muoversisu questo terreno.

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Incidenti in agricoltura: una ricerca sul campo

Per non morireda contadini

Emme Emme

Contro i trustAlberto Barelli

n Umbria prende il via la discussionedella proposta di legge per l’utilizza-zione di software libero da parte dellaRegione, e subito la Microsoft si

mobilita. L’iniziativa, con la quale in concretosi chiede che tutti i documenti elaborati dal-l’ente vengano creati anche con sistemi opera-tivi open source, è approdata in commissionebilancio per una prima audizione a metànovembre. Già il giorno dopo, come ci confer-ma il promotore della proposta OlivieroDottorini, consigliere regionale dei Verdi, ladirezione di Roma del colosso informatico si èattivata chiedendo di partecipare alla discus-sione assieme a tutti gli altri soggetti. Unarichiesta legittima, ma che dimostra quanto laposta in gioco sia alta. Se un gigante come laMicrosoft, che di fatto detiene il controlloassoluto del settore a livello mondiale, si senteminacciato e si mobilita per un’iniziativa intra-presa nella piccola Umbria, allora significa cheanche un passo compiuto in una piccola realtàpuò essere importante per mettere in discus-sione lo stato di monopolio che a livello globa-le caratterizza l’informatica e internet. Delresto, è questo il vero obiettivo e la sfida dellaproposta che, nata sulla spinta del variegatomovimento per il “software libero”, si ponecome obiettivo di contribuire al pluralismo ealla libertà di accesso alle informazioni, por-tando l’Umbria ad essere una regione pilota.Se la normativa verrà approvata, come sottoli-nea Dottorini, la nostra regione sarebbe laprima, dopo soltanto il Sud Tirolo, a compiereun passo concreto nella lotta al monopolioinformatico. La proposta peraltro non è limi-tata alla realizzazione e alla messa in rete deidocumenti ma riguarda anche l’altro tema,cruciale, della gestione delle banche dati.Un progetto certo impegnativo, tanto più che,come è emerso dal primo momento di discus-sione, non sembra essere visto troppo di buonocchio dall’apparato burocratico regionale, cheattualmente sta utilizzando programmi a paga-mento. Intanto c’è da registrare invece il soste-gno e la mobilitazione attorno alla proposta daparte delle varie realtà sorte in Umbria a soste-gno dell’open source, come dimostrano i forumdi discussione della comunità Gnu/Linux. Unmomento importante di confronto sarà rap-presentato dal Linux Day, a breve in program-ma a Perugia. L’appuntamento avviene tra l’al-tro a ridosso del summit di Tunisi sulla gestio-ne di Internet, nel quale a prevalere è stato unorientamento che va in tutt’altra direzionerispetto alle richieste di maggiore plurarismo.A Tunisi la questione dell’open source è stata“risolta” senza mezzi termini: come ha denun-ciato proprio a ‘il manifesto’ (18 novembre)Richard Stallman, fondatore della Free softwa-re foundation, tale tema è stato praticamenteescluso dai lavori del blindatissimo (in tutti isensi) summit. Ma forse il motivo di tale chiu-sura è proprio la preoccupazione che nascedalla consapevolezza che mettere in crisi unsistema che fino ad ora si è retto su un con-trollo verticistico praticamente assoluto è pos-sibile. Speriamo che l’Umbria ne rappresentipresto un esempio.

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questa la seconda parte dell’ine-dito di Pino Tagliazucchi,la cuipubblicazione è iniziata nelloscorso numero. La terza ed ulti-

ma parte, a nostro avviso la più interessan-te, in “micropolis” di dicembre.

6. Al congresso di Stoccarda (1907), sullaquestione coloniale, la maggioranza dellacommissione propose una risoluzione checominciava con questo paragrafo: “II con-gresso constata che l’utilità e la necessitàdelle colonie in generale, e specialmente perla classe operaia, viene fortemente esagerata.Esso però non condanna in linea di princi-pio e sotto ogni aspetto qualsiasi politicacoloniale, dato che in regime socialista essapuò assumere una iunzione civilizzatrice”.Per le proteste della minoranza, il testovenne così modificato: “In considerazionedel fatto che il socialismo mira ad espanderele forze produttive in tutte le parti delmondo e a portare i popoli a un più altolivello di civiltà, il congresso non condannain linea di principio qualsiasi politica colo-niale perchÈ in regime socialista essa puòassumere una funzione civilizzatrice”.Questo scivolone verso una “politica colo-niale socialista”, indicava lo spostamentogenerale verso la destra revisionista; ma eracosì smaccato che in seduta plenaria il con-gresso si spaccò in due. La risoluzione furespinta per 127 voti contrari contro 108.Fu invece accettata, con la sola astensionedegli olandesi, una risoluzione che dichiara-va: “la politica coloniale capitalista, per suastessa natura, porta necessariamente allaschiavitù, al lavoro forzato, e alla distruzio-ne dei popoli indigeni”; i partiti socialistidevono “esigere riforme per migliorare lacondizione indigena, vigilare sui diritti degliindigeni e operare, con tutti i mezzi dispo-nibili, per l’educazione dei popoli indigenial-l’indipendenza”. Un mese più tardi, alcongresso di Essen (settembre 1907), lasocialdemocrazia tedesca accolse proprio larisoluzione respinta a Stuttgart - e Singerpotè sostenere che a Stuttgart si era trattatoin gran parte di una “disputa formale” eche, a suo parere, una “politica colonialesocialista era possibile perché, con l’avventodel socialismo, sarebbe stato possibile stabi-lire con i popoli coloniali gli stessi rapportivigenti tra popoli civili, nella reciprocaosservanza dei trattati commerciali e dellalibertà di commercio”. E Bebel potè ricu-cire lo strappo tra destra e sinistra del parti-to giudicando che la questione di una “poli-tica coloniale socialista (era) estremamenteoziosa e tale da non meritare il tempo e lacarta che si è consumata per essa”. E potèpiù tardi aggiungere: “Che cosa faremodelle nostre colonie quando arriveremo alpotere, davvero non so dirvelo!”.7. All’8” congresso (Copehagen, 1910) non

si discusse più della questione coloniale.Non perché di essa non si dibattesse più. Alcontrario, proprio in quegli anni furonopubblicate opere di notevole valore che, tral’altro, puntando il dito sulla funzione delcapitale finanziario e sulla sua fusione colcapitale industriale, introducevano unnuovo elemento di analisi teorica -e pone-vano quindi il problema coloniale nell’am-bito di una politica imperialista molto piùvasta e complessa. Uscirono cosìL’imperialismo di Hobson (1909), laIntroduzione all’economia politica (1909) e laAccumulazione del capitale (1912) dellaLuxemburg; Pannekoek e Radek pubblica-rono diversi saggi sul tema del colonialismoe, subito dopo il congresso di Stoccarda,Kautsky scrisse appunto Socialismo e politicacoloniale. Si continuò a discuterne anche neicongressi dei singoli partiti affiliati - benchéin subordine alla “urgenza di definire imetodi e i mezzi di scongiurare i mali delmilitarismo e la minaccia di un conflittoarmato”. (RM, 161) Malgrado ciò, la politi-ca coloniale continuò ad essere perlomenosopportata - come aspetto inevitabile delsistema capitalista e come terreno di batta-glia per delle riforme umanitarie e per una“pacifica penetrazione economica”, com’eb-be a dire la socialdemocrazia tedesca quan-do votò a favore dei crediti per il finanzia-mento delle ferrovie africane. Ciò che stupi-sce non è tanto l’opportunismo che portavaad adattare anche i principi alle esigenze diun’azione politica sempre più costrettaall’interno del sistema, quanto la mancanzadi una visione dell’imperialismo come fattoeminentemente economico e di dimensionemondiale. L’imperialismo era identificatocon il dominio coloniale; la radice econo-mica del fenomeno era invece vista comeuna funzione separata, obbediente ad unalogica economica che non poteva essererespinta - perlomeno non nella sua interez-za. Questo modo di vedere è stato espressoin una serie di teorie - da Hobson aSchumpeter - che non si possono ignorare.E da Kautsky, in quella fase che lo vide pas-sare dalla sinistra al centro. “L’imperialismo- egli scrisse nell’articolo Ancora una volta ildisarmo del 1912 - non si identifica con l’e-sigenza di espansione del capitale e con la

sua tendenza ad aprire nuovi mercati enuove aree di investimento; esso è semplice-mente uno dei metodi particolari capaci disoddisfare questa esigenza, ovvero il metododella violenza”. E ancora, nel suo saggioImperialismo (1914): “Non si può parlare diuna necessità economica di continuare lacorsa agli armamenti fino ad una guerramondiale, neppure dal punto di vista dellaclasse capitalista: tutt’al più è una necessitàsolo per chi è interessato agli armamenti. Alcontrario, l’economia capitalista è messa inpericolo dai contrasti intemazionali del pro-prio stato. Ogni capitalista lungimirantedeve oggi lanciare ai suoi colleghi l’appello:Capitalisti di tutti i paesi, unitevi!”. E’ovvio che, così facendo, i partiti socialistifinivano implicitamente per considerare trainevitabile, necessaria e positiva proprio lastruttura economica dell’imperialismo, vistacome “naturale espansione economica” fon-damentalmente non violenta; e vedevano lecolonie, se inserite in quell’espansione natu-rale, come un fatto discutibile in sé, ma nontotalmente negativo. Negativa, invece, era lacontraddizione tra le esigenze proprie dell’e-conomia capitalista e i “contrasti intemazio-nali” dei singoli stati. Nel suo saggioSociologia dell’imperialismo (1919),Schumpeter riprende questo tema e lo svi-luppa sino ad incolpare la borghesia capita-lista di soggiacere ad uno stato ancorainfluenzato da ideologie e abitudini mentaliprecapitaliste; e ponendo la questione suquesto piano tra sociologico e “culturale”,egli ha dalla sua dei buoni argomenti. Ma sein quel saggio l’analisi economica è di corre-do, in Kautsky essa è il perno - o meglio,essa è teorizzata come perno - del ragiona-mento. L’internazionalizzazione del capitale,che contribuisce a preparare la via al sociali-smo, può e deve svolgersi in modo pacifico;le tensioni tra potenze, le stesse guerre diconquista territoriale, quindi il riarmo, nonsono la manifestazione politica della lottaper il dominio del mercato mondiale, masolo un elemento di irrazionalità economicaintrodotto dallo stato e dalle forze che lodominano.8. Osserva Cole che “era ferma convinzionedei dirigenti tedeschi - Kautsky soprattutto- che il processo di trustifìcazione capitalista

aprisse la strada al socialismo”; e che, diconseguenza, “i socialisti erano propensi oraa parlare dello sviluppo del capitalismointernazionale come di una crescenteminaccia per le rivendicazioni operaie e,subito dopo, delle crescenti rivalità tragrup-pi capitalistici nazionali come del pericoloprincipale per la pace” (Cole, 77/78).II congresso di Copenhagen decise che essostava nella crescente rivalità tra stati; e poi-ché quella rivalità non aveva motivazionieconomiche reali, non restava che porre l’a-zione per la pace sul solo terreno diplomati-co. Si sottolineò quindi la necessità che“tutte le dispute tra stati fossero deferite adun arbitrato internazionale” - di cui occor-reva creare le strutture; e s’impegnòl’Intemazionale a premere “con i propri rap-presentanti parlamentari e con l’agitazionedi massa per una riduzione degli armamenticoncordata tra grandi potenze” (Cole, 82). Quando Keir Hardie e Vaillant proposerodi indicare lo sciopero generale come mezzo“particolarmente efficace” per impedire laguerra - uno sciopero internazionale comeazione specifica, non come avvio all’insurre-zione - la socialdemocrazia tedesca, sinistracompresa (meno la Luxemburg), rifiutò. Sidecise quindi di rimandare la questionedello sciopero ad un altro congresso - eintanto la risoluzione si arricchì di dueparagrafi che incaricavano il Bureau di “pro-muovere un’azione in comune tra i partitidei paesi coinvolti in una minaccia di guer-ra” e, in caso di divergenze, di convocareuna “riunione d’emergenza” del Bureau edella Commissione interparlamentare. Ilpasso rilevante della risoluzione diceva: “E’necessario lasciare ai singoli partiti nazionalidi scegliere le forme d’azione e il momentoopportuno. Esso tuttavia insiste fortementesul dovere dei partiti affiliati di fare tutto ilpossibile al fine di attuare le risoluzioni delcongresso intemazionale” (Cole, 86). Si eraormai alla vigilia di una guerra senza prece-denti nella storia - una guerra che, la si defi-nisca o no “imperialista”, era voluta dalleclassi dominanti ed affogò nel sangue laparte migliore del proletariato europeo. Maproprio davanti a a questa guerra, mondialeper la prima volta nella storia, la IIInternazionale doveva riconoscere comeinsormontabili i limiti nazionali dei partitiaffiliati. E se, decidendo di farsi partitointemazionale cui dovevano obbedienza lesezioni nazionali, la III Intemazionale posein nome dell’efficacia una delle più grosseradici di linea autoritaria, si può ben direche la II Internazionale, che si voleva solocome forum tra partiti indipendenti, vide aCopenhagen aprirsi le crepe che la distrus-sero. La II Internazionale si stava frantu-mando.

(II parte - continua)

I congressi della seconda Internazionale e l’imperialismo

Da Stoccardaa Copenaghen

Pino Tagliazzucchi

È

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on c’è dubbio: di questi tempi “laCina è vicina” molto più diquanto i maoisti nostrani abbia-no sperato negli anni ‘60 e ‘70.

Icona della globalizzazione, minaccia milita-re, spauracchio dei leghisti, serbatoio dimanodopera e consumatori per le multina-zionali, stato “socialista” alla guida di un’e-conomia tanto efficiente quanto priva diprotezioni sociali: la Cina rappresenta tuttoquesto, spesso alla rinfusa. Che non si trattidi moda lo dimostra l’inchiesta di FedericoRampini, corrispondente da Pechino di“Repubblica” (Il secolo cinese. Storie di uomi-ni, città e denaro dalla fabbrica del mondo,Mondadori, Milano 2005). Il libro eviden-zia con dovizia di particolari come la Cinasia di nuovo in grado di esercitare un ruolodi potenza, sfuggitogli solo negli ultimidecenni della sua lunga storia. Le incogniteriguardano la sostenibilità dello sviluppo, ilsistema politico, le forme in cui si esplicheràil “secolo cinese”, la loro ricaduta interna-zionale. L’isolamento dell’era di Mao ha disabituatoall’enorme potenziale dell’area, ma bastanopoche cifre per dare le dimensioni dellaforza della Cina: nel 2005 ha raggiunto 1,3miliardi di abitanti (il doppio della sommadi Usa ed Europa) e ha scalzato gli Usa dalprimato mondiale di consumatore; neiprossimi trenta anni il Pil cinese è destinatoa triplicare quello statunitense. Le liberaliz-zazioni promosse da Deng nel 1978 hannoprodotto un balzo superiore a quello dellealtre tigri asiatiche.Oltre a elementi che la accomunano ad altrepotenze storiche - l’accesso a capitali e tec-nologie e una moneta sottovalutata - vannoconsiderate le peculiarità, come il pesodemografico, che nei mercati globali puòrappresentare un punto di forza, consenten-do di mantenersi concorrenziali anche inpieno sviluppo dei consumi, e il senso diappartenenza ad una civiltà millenaria, cheinnesta culture tradizionali su un’implacabi-le modernizzazione.La ricognizione di Rampini non trascuraalcun aspetto e contraddizione, dal consu-mismo della borghesia urbana alle prospet-tive della motorizzazione di massa, dalleavanguardie artistiche alla debolezza del dis-senso, dalle università di punta alla censurasull’informazione, dal futurismo urbanisticoalla miseria rurale.Sul piano economico l’immagine di unaCina capace di competere solo su beni diconsumo a basso valore aggiunto per via deldumping sociale è inesatta: la capacità pro-duttiva e tecnologica cinese ha ormai unraggio ben più ampio. Del resto il 59%delle esportazioni manifatturiere è prodottoda filiali cinesi di imprese occidentali, men-tre i bassi prezzi delle merci cinesi raffredda-no l’inflazione europea; inoltre è la doman-da cinese (direttamente e attraverso il finan-ziamento del debito pubblico statunitense)che tiene le chiavi dell’economia internazio-nale. Sugli enormi sconvolgimenti della moder-nizzazione continua a vegliare la macchinadel Partito Comunista. Da quando Deng haaperto le zone economiche speciali e lancia-

to Shangai, il capitalismo è stato accettatoampiamente e la Cina è ora un’economiaispirata al più sfrenato liberismo, con unferoce sfruttamento del lavoro. Ma dopo ledivisioni sulla repressione del movimentostudentesco del 1989, il regime non ha piùavuto dubbi sulla conferma di un sistemapolitico rigidamente autoritario. Una sceltaavvallata tanto dalla generazione diTienanmen, “rifluita” nella ricerca dell’arric-chimento individuale, quanto dal capitali-smo occidentale che realizza in Cina affarid’oro. L’evoluzione del socialismo cinese èstata molto diversa da quella dell’ex-Urss.L’apertura dei mercati è stata a un tempopiù ampia e più guidata: accanto all’identi-ficazione tra nomenklatura e potere econo-mico esiste anche un pezzo di classe dirigen-te di “pura” origine imprenditoriale, nonchéun ceto medio-alto tendenzialmente auto-nomo. Le linee guida, dalla creazione dizone economiche speciali alle joint venture,fino all’ingresso nel Wto, sono state pianifi-cate entro una precisa strategia. In tal modoné le multinazionali occidentali né gli oli-garchi hanno potuto contare sull’anarchiache si è determinata in Russia. La Cina hasubito il fascino del mercato, ma è riuscita apiegarne i vantaggi nella direzione voluta. Ilpartito-stato è così ancora al centro di unamutazione che produce immani contraddi-zioni. E’ la giustificazione ideologica chenecessita di una revisione: l’egualitarismo haperso ogni diritto di cittadinanza, e le for-mule marxiste-leniniste risultano inservibili.Ma anche in questa direzione è visibile unatrasformazione, con la promozione delpaternalismo confuciano e del nazionalismoa ideologie ufficiali. E’ un’operazione checonsente di conservare il centralismo politi-co e di recuperare una continuità storica(che include lo stesso Mao), valorizzando lapeculiare “civiltà cinese” anche in vista diun maggiore peso geopolitico. Per ora il mix di autoritarismo e liberismosembra reggere, poiché lo sviluppo assicuraricchezza alle classi emergenti e dà ai disere-dati qualche speranza per il futuro. E’ diffi-cile dire, tuttavia, quanto questa strutturapossa rivelarsi fragile di fronte ad una reces-sione economica. Il modello cinese nonsembra in grado di far fronte meglio di altri

ai costi sociali e ambientali dello sviluppo.Già adesso inquinamento e pressione socialedelle campagne risultano difficilmentegestibili. Il ritmo forsennato di crescitaincontra i suoi limiti, e molte incognite gra-

vano sulla possibilità di tradurre lo sviluppoestensivo in diffusione di consumi e inclu-sione sociale. Per Rampini l’inserimento inun’economia globalizzata spinge “natural-mente” verso una democratizzazione dellestrutture politiche, a cominciare dai diritticivili e processuali minimi. Ma non è scon-tato che le tendenze democratiche debbanoprevalere. Anzi, visto il peso internazionaledella superpotenza asiatica, non è da esclu-dere lo scenario opposto, quello dell’espan-sione di un “modello cinese” che coniughicapitalismo globale e autoritarismo politico:più disciplina ed efficienza, meno libertà ediritti.Elementi di una simile utopia negativaappaiono già presenti nelle democrazie libe-rali, e il fascino che la Cina esercita in occi-dente include l’efficacia nel rendere lamanodopera corveable à merci.In tal modo il successo cinese confermaanche nell’epoca della globalizzazione ilcarattere zoppicante, problematico, dellasimmetria tra capitalismo e democrazia,spesso teorizzata, altrettanto spesso smentitadalla storia.

Un libro di Rampini sul formidabile sviluppo del gigante asiatico

La Cina volaRoberto Monicchia

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L’Africaa FolignoA partire dal 29 novembre e finoal 10 marzo dell’anno prossimol’assessorato alla cultura delComune di Foligno insieme all’as-sociazione Casa dei popoli hamesso in cantiere, dal 29 novem-bre 2005 al 10 marzo 2006, unfitto programma di iniziative(incontri, spettacoli, proiezioni,presentazione di libri) dedicate alcontinente africano. Ecco i primi appuntamenti. Il 29 novembre alle 17 nella salavideo dell’auditorium SanDomenico avrà luogo l’incontrocon Alain Goussotsul temaL’Africa fra dramma e speranze.Giovedì 1 dicembre nel pomerig-gio e nella serata, a partire dalle16.30, al Politeama Clarici saràproiettato il film A Casablanca gliangeli non volano del registamarocchino Mohamed Asli nel-l’ambito della rassegna Un altrocinema è possibile. All’auditoriumSan Domenico si svolgerà domeni-ca 4 alle 17 uno spettacolo gratui-to di percussioni africane. Sabato10 dicembre dalle 15.30 alcunedonne africane residenti a Folignoracconteranno favole al caffè lette-rario degli Orti Orfini. Infine il 16dicembre nella Sala della Corte

l’orientalista Barbara Bolli parleràdella biblioteca di Alessandriad’Egitto, della sua lunga e contro-versa storia e dei progetti di rina-scita.

La malariaa PerugiaPer i martedì della Fonoteca regio-nale dell’Umbria è in programmaper martedì 6 dicembre alle 17.30un incontro musicale sul tema Lamalaria, malattia sociale, nelmondo dei canti popolari italiani.L’incontro che ha come sottotitoloLa febbre maremmana tra gli inset-ti e le zanzare sarà condotto dalmedico Daniele Crotti, parassito-logo e microbiologo.

Foglidi politicae poesiaE’ ormai in vita da alcuni anni edesce regolarmente, seppure senzauna rigida periodicità, “Astrattorosso”, frutto dell’originale inizia-tiva del Circolo Riccardo Tenerinidi Rifondazione Comunista.Si tratta di un foglio volante dipoesia e rivoluzione, che tenta diconiugare il progetto comunista

con la parola poetica. La linea pre-valente, che si esprime nelle liriche(senza lirismo) pubblicate con varipseudonimi da Paolo Vinti, mira atradurre in prassi linguistica lalezione figurativa dell’astrattismo edel concettualismo.Vi compaiono anche poesie diGiorgio Straccivarius, attore emusicista di vaglia oltre che poeta.Gli stessi autori sono, insieme adaltri, tra i promotori di un’espe-rienza parallela, quella di “Parolein cantiere”, altro foglio, legato alPerugia social forum e al Maca-dam di piazza Giordano Bruno.

Una rinascitaSembra scongiurata la chiusura delquadrimestrale perugino “Riso-nanze”, diretto da Giorgio Filippi,che sembra nato a nuova vita. E’uscito un nuovo, bel numero dellarivista, che è possibile reperirepresso la libreria editrice, LaLungara di Corso Garibaldi.Contiene interessanti articoli sulnodo stradale di Perugia e sullapolitica dei rifiuti.Vi è pubblicato anche il resocontodi una tavola rotonda dal titolo Laresistenza della memoria. Tre gene-razioni a confronto. Intervengonotra gli altri Raffaele Rossi, MarioMigliucci, Renzo Zuccherini,Elena Ranfa.

14c u l t u r anovembre 2005

’è forse un compiacimento provincialistico non corrispondentealla realtà nel cartellone esposto alle scuderie del Quirinale ad illu-strare la mostra allestita per il decimo anniversario della scompar-sa di Alberto Burri (1995-2005), promossa dal Comune di

Roma, Assessorato alle Politiche Culturali e dall’Azienda Speciale Palaexpoin collaborazione con la Regione Umbria e la Fondazione Albizzini -Collezione Burri di Città di Castello, che, come viene detto nel comunicatostampa ufficiale “intende presentare l’opera di Burri al centro di quella radi-cale trasformazione delle forme e delle tecniche artistiche che ha interessatola produzione internazionale, a cominciare dagli anni Cinquanta, grazie pro-prio alle innovazioni introdotte dall’artista”. In realtà vi figurano un cospicuonumero di personaggi che hanno fatto veramente la storia della pittura dellaseconda metà del XX secolo. Magari a New York non avrebbero collocatoall’origine dell’onda di propagazione espressiva l’artista “castellano”, ma quifrancamente non pare un abuso. La grande intuizione del maestro dell’infor-male ha fatto una quantità di proseliti, più o meno autonomi e originali, chetutti insieme testimoniano di un esito di globalizzazione dell’impulso. La mostra, curata da Maurizio Calvesi e Italo Tomassoni con la collaborazio-ne di Lorenzo Canova, Chiara Sarteanesi, Rosella Siligato e Maria GraziaTolomeo, si svolge a Roma, alle Scuderie del Quirinale, dal 17 novembre2005 al 16 febbraio 2006.Un nucleo di opere del maestro di Città di Castello figura al primo piano delpalazzo insieme ad Antoni Tàpies, Jean Fautrier, Jackson Pollock, Yves Klein,Lucio Fontana, Robert Rauschenberg, Jasper Johns, Cy Twombly, FranzKline. Il secondo piano, che indica anche una seconda fase, propone: JosephBeuys, Anselm Kiefer, Piero Manzoni, Ettore Colla, Mimmo Rotella,Salvatore Scarpitta, Giuseppe Uncini, Manuel Millares, Raphael Canogar,Mario Ceroli, Arman, César, Daniel Spoerri, Jannis Kounellis, MichelangeloPistoletto, Gilberto Zorio, Giuseppe Penone, Damien Hirst. Francamente difficile aggiungere o togliere qualcuno, tutt’al più si potrebbediscutere sulla rappresentatività delle opere di alcuni di loro, ma ce ne sonodi assoluto valore e significato, come le Lavagne di Beuys realizzate proprioin occasione dell’incontro con Burri a Perugia. Ma il valore dell’esposizionenon risiede nelle singole opere, bensì nell’immagine del mondo che da essepromana, in cui si individua una weltanschauung che non può che essereintrisa di nevrosi e parcellizzazione della conoscenza, e che produce un mododi fare arte che è basato sulla rincorsa ansiosa dei problemi che scaturisconoda una realtà tentacolare e polimorfa inafferrabile, sfuggente, come è la vitanel lembo di terra su cui insistono questi artisti. Manca il terzo mondo, icuratori non hanno allargato l’orizzonte oltre i confini dell’occidente. Forsescrutando tra gli artisti africani si sarebbero potuti trovare genesi ed esiti,altrettanto nelle produzioni orientali. Invece l’unica presenza consistentedell’Africa equatoriale è l’inquietante opera Ebola di Damien Hirst: un infer-no di milioni di mosche agglutinate su un convenzionale supporto per pittu-ra, con un nome così languido da apparire quasi gradevole, ma con un’atrocecorrispondenza tra medium e realtà.La mostra rappresenta un tentativo, tutto sommato riuscito, di portarel’Umbria e la sua immagine fuori dai confini regionali. Mi chiedevo peròperché fossi stato invitato io nel giorno dell’inaugurazione. La risposta l’hoavuta vedendo che praticamente erano stai invitati tutti, forse addiritturaqualche migliaio di persone (con molte presenze anche dall’Umbria). Chissàa che titolo gli hanno fatto vedere la mostra gratis o gli hanno permesso difarsi vedere alla mostra.

Burri e gli altri

Note e notizie

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Jasper Johns, Target with Plaster Casts, 1995

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15c u l t u r anovembre 2005

il 2005. La notizia è vecchia, trauna quarantina di giorni è anchesbagliata, ma è così. E, come amolti è sfuggito, questo è l’anno

della fisica. Si celebra un secolo dal 1905(perché l’aritmetica non ce la toglie nessu-no), anno in cui un giovane Albert Einsteinancora operante in Germania pubblicò trearticoli fondamentali, che trattavano dellarelatività ristretta (da cui emergeva soprat-tutto la sconvolgente equazione massa =energia), del quanto di luce e del motobrowniano, che gettarono le basi della mec-canica quantistica, lo strumento teoreticoper affrontare l’infinitamente piccolo.A cento anni da questi articoli, il mondocelebra la scienza della natura per antono-masia: in Germania già in gennaio tutte lepiù alte cariche dello Stato hanno inaugura-to questo giubileo con una cerimonia inonore di uno dei suoi più brillanti figli. Quiin Italia, dove la ricerca ha l’acqua alla golae gli scienziati lavorano senza che venga lororiconosciuto l’effettivo valore dei loro studi,ci si arrangia come si può. Il precariato deiricercatori dilaga, e le condizioni per scopri-re qualcosa non ci sono, se non in pochicasi, visto che l’università è uno dei pochis-simi posti dove si fa ricerca pura (che peròpoi ha risvolti e applicazioni pratici), e lariforma universitaria sta demolendo anchequesta realtà. L’esempio più emblematico è quello diCarlo Rubbia, premio Nobel nel 1987,paladino dapprima del nucleare, e ora stre-nuo difensore delle energia alternative. Èstato licenziato dalla direzione dell’Enea(Ente per le Nuove tecnologie, l’Energia el’Ambiente) per aver criticato la situazionedella ricerca in Italia, e ha preso armi ebagagli e se ne è andato in Spagna, perchéqui è ostacolato nella creazione della suapulitissima centrale solare termodinamica.Le sue nuove ricerche sono fra l’altro volteanche all’uso degli acceleratori di particelleper lo smaltimento delle scorie nucleari. Ilraggiungimento di tale fine offrirebbe lapossibilità di riaprirsi a questa controversafonte, e fornirebbe lavoro altamente specia-lizzato, rendendo l’espressione “fuga di cer-velli” solo il titolo di un film splatter. Altrosegnale emblematico: le elezioni inGermania sono andate come sono andate,ma appena l’ineluttabilità della GrosseKoalition è stata riconosciuta, il primo pro-getto del nuovo governo di larga intesa che imass media hanno reso noto è il finanzia-mento massiccio della ricerca. Ciò nonostante si festeggia una Scienza, eanche il dipartimento di Fisica dell’Univer-sità di Perugia si è mobilitato in una serie diiniziative. Gia dal 27 maggio è stato avviatoun ciclo di conferenze divulgative sul con-tributo di tale disciplina in vari ambiti della

vita quotidiana e della cultura in genere: LaFisica nella vita quotidiana, appunto.L’organizzazione degli eventi è stata curatadal professore Claudio Ciofi degli Atti, fisi-co teorico docente nell’Università diPerugia. I vari relatori sono tutti inseriti incontesti universitari e in istituzioni di ricer-ca di un certo rilievo. Ed effettivamente l’i-niziativa è stata concepita così bene, chel’Ateneo di Perugia (che fra l’altro celebra isuoi primi 700 anni) ha posto il suo logo, ecosì hanno fatto il Comune, e laFondazione Cassa di Risparmio di Perugiache ha finanziato le operazioni. In cambio èstata chiesta la presenza di un V.I.P., eMargherita Hack, celeberrima astrofisica ecollaboratrice occasionale de “il manifesto”,ha dato la sua disponibilità per una parteci-pazione il 15 novembre, al penultimoincontro. Tuttavia, per gravi problemi fami-gliari, la sua conferenza è stata rinviata,compatibilmente agli impegni di lei e alladisponibilità degli spazi che una personalitàdel genere inevitabilmente riempie. Gli incontri precedenti si sono svolti nellaSala della Vaccara. Il posto è stato semprepiù o meno saturato di pubblico, moltisono dovuti rimanere in piedi, ma granparte degli spettatori erano addetti ai lavori,docenti e studenti del dipartimento. Inveceil taglio divulgativo ed accessibile a tutticoloro abbiano la pazienza di sentire parlareun fisico per due ore è stato pensato proprioper chi la fisica non la sa e vuole rimediarealmeno in parte. Grazie alla buona volontà di alcuni inse-gnanti, in alcune occasioni si sono vistianche dei ragazzi delle varie scuole superio-ri, ma non c’è stato quel feedback fra le isti-tuzioni che avrebbe assicurato il successoeffettivo e non apparente dell’operazione,cioè il raggiungimento di un’udienza checon la disciplina non ha a che fare diretta-mente, ma che, nel caso dei ragazzi dellescuole superiori, avrebbe potuto farsi un’i-dea di ciò a cui questa scienza può portare,incentivando poi a scegliere tale percorso diformazione. Ad ogni modo, la qualità deivari interventi era indiscutibile, e gli argo-menti scelti con intelligenza. Per fare alcuniesempi, l’analisi e il restauro di beni cultura-li hanno implementato strumenti della fisi-ca delle particelle. Il problema energetico èstato analizzato profondamente, e una solu-zione potrebbe essere di affiancare (con unapedagogia ancora tutta da inventare) unsenso termodinamico alle percezioni mecca-niche di equilibrio, distanza e sforzo. Lameccanica quantistica, che sembra un pasti-che decadente di matematica e particelledalla vita che definire effimera è un’iperbo-le, è la prossima frontiera dell’elettronica, esarà la base dello sviluppo tecnologico deiprossimi decenni.

uando “micropolis” sarà in edi-cola sarà ancora in corso Umbrialibri 2005. L’edizione dell’annoscorso ha r ichiamato circa30.000 persone. Quella di que-

st’anno, l’undicesima, che ha come temaPensieri sull’Italia, ha forse le prerogativeper fare gli stessi numeri. Ne abbiamo par-lato, alla vigilia dell’inaugurazione, con lapersona che ne è l ’eminenza grigia:Baldissera Di Mauro, dirigente dell’ufficiocultura della Regione dell’Umbria.

Perché questo titolo-tema?In un certo senso, è richiesto dalla contin-genza del momento.Perché sono al cen-tro del dibatt ito,quasi in corto cir-cuito, questioni an-nose quali la riformaistituzionale, la ca-duta o meglio lacrisi dell’impiantoindustriale. Perchéin qualche modosembra si stia ria-prendo la questionevaticana, un aspettomai r isolto del lasecolarizzazione ita-liana.

Pensieri sull’Italia:v iene immediatopensare alla rifles-sione che da anniGalli Della Loggiasta conducendo sultema dell’identitàitaliana; e tra l’altrosarà lui stesso pre-sente a discutere diTrasmissione delsapere. I giorni e idibattiti di Umbrialibri vogliono essereun laboratorio per valutare o elaborare l’i-potesi di Galli della Loggia o, magari,un’ipotesi alternativa?No, assolutamente. Non è nostro interessedare vita ad una manifestazione targata,ma vogliamo considerarla come uno spaziodi dibattito aperto e libero.

Quali sono dunque la trama e l’ordito diquesti cinque intensi giorni?Sono molteplici ed è quindi necessario tro-vare i capi delle diverse trame. Provo adelencarle.1. I confronti sul tema cardine del lamostra declinati in La professione politica(Cacciari vs Follini); La secolarizzazioneitaliana (P. Prodi vs Severino); La scuoladegl i i tal iani(Gall i del la Loggia vsTranfaglia); L’economia (De Cecco vsRossi).2. I percorsi letterari che incrociano lenovità con i personaggi e vedono presentiVassalli e Cerami.3. La poesia, il luogo della parola dove si

condensa l’interpretazione soprasensibiledella realtà, in cui segnaliamo una presenzadi outsider, quale può risultare in tale con-testo Nichi Vendola.4. Tiziano Scarpa, che si cimenterà in unaperformance di un’ora, cioè la lettura inte-grale del suo ultimo libro Groppi d’amoresulla scuraglia, una sfida al luogo comune,al costume italiano.5. Uno spazio ai censurati, quali sonoOliviero Beha e Marco Travaglio, da cui cisi aspetta delle dissociazioni dal luogocomune.6. Le donne. Voci molteplici, ognuna dellequali presenterà un aspetto diverse dell’es-

sere donna: la scrit-tr ice indianaMahasweta Devi,Livia Turco,Benedetta Craveri,Valentina Colomboe Chiara Ingrao.Una particolarità:al tema è dedicatoanche uno spetta-colo Bello Ciao ,interpretato peròda un uomo, i lcomico Vito.7. Poi ancora: PieroDorfles che leggeràe parlerà di classicidella letteratura ita-l iana, la letturaintegrale del laDivina Commedia,i l romanzo diFranco Matteuccisulla finzione tele-visiva (Festa al bludi Pruss ia) , untesto, L’amore dellaluna, piuttosto ano-malo su Keats ,scritto da un edito-re che ha dedicatoal poeta inglese

anni di studio e ricerca e, alla fine, ne hascritto con una qualità non certo dilettan-tesca; appuntamenti conviviali centrati sul-l’enogastronomia e due anteprime, unadedicata alla biblioteca di Levi e Saba el’altra alla figura di Pio Baldelli.

E’ evidente, da qualche edizione a questaparte, che la natura di Umbria libri stacambiando: da semplice mostra mercato aluogo del dibattito. Cosa ne pensano glieditori umbri?Hanno capito lo spirito di questa trasfor-mazione: 30.000 persone che si interessanoalla mostra dà a tutti maggiore visibilità epossibilità di essere all’interno di un circui-to e meccanismo che contribuisce adampliare i confini dell’editoria locale.Un’ultima domanda: quanto costa tuttoquesto?I costi preventivati ammontano a circa120.000 euro e si tratta per lo più di costiorganizzativi: allestimento delle sedi, tra-sporti, ospitalità.

UmbriaLibri

Cinzia Spogli

L’annodella fisica

Marco Sciamanna

ÈQ

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Carlo Sarti, Appunti di prigionia,1943 - 1945, a cura di LucianaBrunelli, Perugia - Foligno, Istitutoper la storia dell’Umbria contem-poranea - Editoriale umbra, 2005.

E’ il settimo volume della collanaMemorie promossa dall’Isuc dedica-ta ai diari di guerra, resistenza e pri-gionia dell’ultima guerra. Il libro ècomposto non solo dagli appuntidi Carlo Sarti, ufficiale che rifiutadi combattere con i tedeschi e perla Repubblica di Salò, ma anche dauna introduzione della curatrice eda una lunga intervista all’autoreche fornisce utili elementi per rico-struire identità e caratteri di quel-l’aggregato di ufficiali che soffre laprigionia e resiste in condizioni dif-ficili: la privazione della libertà, lafame e il freddo. Le memorie forni-scono un quadro asciutto e privo diretorica della vita quotidiana di gio-vani e meno giovani costretti aduna scelta non facile, spesso avve-

nuta sotto l’impulso d’una sceltaetica elementare. Sarti più volte nel-l’intervista spiega come la molla chespinge alla non collaborazione sial’avversione per i tedeschi. Allo stes-so modo emerge come ci sia unasostanziale disistima nei confrontidella monarchia e delle autorità cheavevano reso possibile il disastro.L’autore sostiene come la sua sceltanon abbia avuto motivazioni politi-che: “il fascismo, l’antifascismo nonmi avevano mai molto interessatoné l’uno né l’altro. ... . Per me lagrossa cosa del fascsimo era la que-stione culturale. Cioè: perché nondovevo leggere Hemingway, perchénon dovevo sentire la musica diMendelssohm Bartholdy? Questoper me era assolutamente inconce-pibile”. E’ lo stesso sentimento cheavrebbe portato un intellettualecome Roberto Battaglia prima al

disprezzo verso il fascismo poi allaresistenza attiva. Nelle pagine dellibro scorrono le figure di alcuniintellettuali che avrebbero afferma-to la loro presenza nel secondodopoguerra: Enzo Paci, FedericoGentile, l’economista Golzio, soloper citare i più noti. Sarti afferma dinon aver mai parlato molto, nep-pure con amici e parenti, della suaesperienza. Alla domanda se l’abbiaraccontata ai nipoti risponde di sì,aggiungendo però che sono distrat-ti dalle molte cose che hanno dafare. “Non solo della prigionia,anche delle altre cose è difficile tro-vare il tempo per parlare”. E con-clude: “Certo, non è colpa loro, mami dispiace molto, ecco.”

Vincenzo Pirro, Terni nell’età delRisorgimento (1814-1870), Terni,Edizioni Thyrus, 2005.

L’intento del lavoro, che è costituitoda una raccolta di articoli pubblica-ti in “Memoria storica”, la rivistadiretta dall’autore, è descrittonell’Introduzione. “Il giudizio storico - si scrive - ètutto risolto sul piano storiografico,nel senso che non lascia spazio alleconsiderazioni morali e alle interfe-renze ideologiche, ma è consegnatointeramente ai fatti, che lo storicoha il dovere di comprendere coneguale animo, trepidando sia per lasorte dei vincitori che per quella deivinti, sia per la causa dei rivoluzio-nari sia per quella dei conservatori,gli uni e gli altri accomunati nellaStoria, che ‘ne sa più di noi’”.Insomma Pirro descrive ilRisorgimento con animus revisio-nista, come ha descritto laResistenza, il fascismo e il dopo-guerra.

Tutti hanno consapevolmente edinconsapevolmente partecipato,tutti sono in buona fede, tutti sonovittime e carnefici. Riecheggia l’ariadel Rigoletto “Questa e quella perme pari sono” e la storia divieneentità metastorica. Se questo è ilcanone storiografico utilizzato nonc’è da stupirsi che un prelato invita-to con altri a presentare il volumeabbia discettato più che sulRisorgimento a Terni, sulle stragi dipreti avvenute per opera dei corifeidell’Unità d’Italia. Insomma la con-quista regia, come la Resistenzaantifascista, sarebbe avvenuta attra-verso l’eliminazione fisica degliavversari. Verrebbe da commentare che lerivoluzioni, anche quelle mancatecome il Risorgimento, non sonopranzi di gala e che comunque laricostruzione del quadro all’internodel quale avvengono i fatti non èirrilevante, ma tant’è: la contestua-lizzazione di questi tempi non hamolta fortuna. Resta il fatto che,per capire le ragioni dei vinti, piùche utilizzare l’opera storiografica diPirro è, forse, più utile rileggersi iromanzi di Carlo Alianello.

16 libri- idee novembre 2005

Sottoscrivete per micropolisc/c 13112 ABI 1005 CAB 03001Intestato a Centro Documentazione e Ricerca c/o BNL Perugia Agenzia 1

o sa qual’è la piaga di Palermo? Il traffico...”.Nel surreale dialogo tra Johnny Stecchino el’avvocato siciliano è racchiusa una lunga sto-ria di omertà, paura e complicità, ma anche dirappresentazione onirica. L’accento si sposta

verso l’immagine che più ci piace raffigurare. A volte percomodità, altre per un intimo compiacimento logico.Probabilmente, alla stessa domanda su Bologna SergioCofferati risponderebbe: “Il racket dei lavavetri rumeni”,che magari, aggiungiamo noi, insieme “ai soliti ignoti”,rappresenta le ragioni profonde del declino del nostropaese. Ci piacerebbe poter liquidare il “caso Bologna” conun piccasorci, ma in realtà il problema è serio e meritaqualche riflessione in più. Per due motivi, il primo deiquali di ordine prettamente politico: il centro sinistra chesi prepara a governare il paese adotterà il metodo bologne-se “sgombero e questura” per affrontare le pressioni socialiche vanno manifestandosi in maniera sempre più evidentenel paese, oppure cercherà soluzioni più simili al modellocapitolino? Il presidente del Municipio X di Roma SandroMedici - ora inquisito per “abuso d’ufficio” -, negli stessigiorni che vedevano l’intervento di Cofferati a Bolognasulle prime pagine di tutti i quotidiani nazionali, ha requi-sito case sfitte per ospitarvi famiglie sfrattate. Una formulache, pur richiamando una sorta di assistenzialismo lonta-no anni luce da quegli ideali di giustizia sociale che fino apochi anni fa popolavano i sogni della sinistra, si distinguedecisamente dal modo del sindaco bolognese di intenderegoverno e politica. Il secondo motivo ha i piedi nella pia-nura padana e la testa a Parigi. Solo degli sciocchi possonocriticare Prodi per aver operato la debita connessione traciò che sta accadendo in Francia e la possibilità, in unfuturo prossimo, di una espansione della rivolta agli altripaesi europei. In questo contesto l’Italia ha il vantaggio diessere un paese di recente immigrazione, dove le forme diintegrazione riguardano una prima generazione che tende

per lo più a cercare “spazi di agibilità” piuttosto che arivendicare diritti. Ma è ovvio che questo stato di graziafinirà quando i bambini di oggi (circa 500.000, secondo laFondazione Agnelli) reclameranno, tra qualche anno, unapiena cittadinanza. Lasceremo che se ne occupino Bossi eFini? Francamente, il dibattito che in questi giorni si è innesca-to sulla vicenda, in particolar modo a sinistra, rasentaspesso la banalità. E’ possibile che la summa del pensierodella sinistra, o di buona parte di essa, sia che “la legalità èuna battaglia progressista”, o che, come affermerebbe ilCatalano di “Quelli della notte”, è meglio vivere in unluogo in cui si rispettano le leggi rispetto ad uno dove seesci di casa ti rubano il portafoglio? E’ davvero questo ilmeglio che i philosophes della “sinistra amministrativa” rie-

scono a mettere in campo? Qualche voce fuori dal coroesiste: l’assessore diessino al Comune di Firenze, GrazianoCioni, per esempio, in un’intervista rilasciata al “Venerdìdi Repubblica” afferma: “ Se parliamo di spaccio, scippi,furtarelli, la tolleranza non può che essere zero. Ma se par-liamo di immigrazione, miseria, disagio sociale, la questio-ne è diversa”, sottolineando come, nel secondo caso, l’ac-cento non debba essere spostato sulla legalità ma piuttostosui servizi. Nel nostro paese, poi, l’accezione apparente-mente “neutrale” del sostantivo “legalità” assume spessoun assetto geometrico variabile. E’ diversa per l’abusivistaedilizio che prima o poi incorre in una qualche sanatoria.E’ diversa per tutti quei proprietari di case che affittano a250 euro un posto letto agli studenti senza pagare alcunatassa. E’ diversa per chi trucca i bilanci. Ma è ancoradiversa per tutti quegli immigrati che quotidianamente,sotto i nostri occhi, lavorano al nero nei cantieri edili. Eancora più diversa è per tutti coloro che vengono “ospita-ti” nei famigerati Centri di permanenza temporanea. Ilconcetto di legalità non può rappresentare, in un paesecome il nostro, il punto di partenza per affrontare questio-ni sociali che lacerano ormai le realtà del cosiddetto primomondo.Perlomeno la sinistra, sia essa di governo o di opposizione,deve muoversi con una logica più complessa, in grado dielaborare strategie e risposte presenti e future. E’ troppo,in questo senso, chiedere che nel programma di governodell’Unione si cominci a delineare una politica chiara suciò che riguarda stato sociale e nuova cittadinanza?Oppure si preferisce tenere bassa la linea di galleggiamen-to con un generico, prodiano, “rivedere” i Cpt? Quelloche in questi tempi è avvenuto a Bologna rischia di rap-presentare, specialmente nei comuni governati dal centrosinistra, un pericoloso precedente nelle relazioni tra ammi-nistratori e cittadini e, soprattutto, una facile scorciatoiaper affrontare la sfida con il futuro.

la battaglia delle idee

libri

Editore:Centro di Documentazione e Ricerche SegnoCritico Via Raffaello , 9/A - PerugiaTipografia: LitosudVia di Tor Sapienza 172 Roma

Autorizzazione del Tribunale di Perugiadel 13/11/96N.38/96 Chiuso in redazione il 25/11/2005Impaginazione: Giuseppe RossiDirettore responsabile: Fabio Mariottini

Redazione: Salvatore Lo Leggio (coordinatore)Alfreda Billi, Franco Calistri, Stefano Corradino,Renato Covino, Stefano De Cenzo, Osvaldo Fressoia,Paolo Lupattelli, Francesco Mandarini, EnricoMantovani, Rober to Monicchia, Maurizio Mori,

Franco MorroneResponsabili delle redazione localiAssisi: Enrico SciamannaCittà di Castello: Mauro AlcherigiOrvieto: Vittorio Tarparelli

Bologna ItaliaFabio Mariottini

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