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n ° 4 Rassegna di dottrina e giurisprudenza a cura dell’Ordine degli Avvocati di Roma ANNO LXII OTTOBRE – DICEMBRE 2014

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n° 4 Rassegna di dottrina e giurisprudenzaa cura dell’Ordine degli Avvocati di Roma

ANNO LXIIOTTOBRE – DICEMBRE 2014

Tem

i Rom

ana

n°4

2014

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n° 4 Rassegna di dottrina e giurisprudenzaa cura dell’Ordine degli Avvocati di Roma

Direttore Responsabile: Mauro VAGLIO

Direttore Scientifico: Alessandro CASSIANICapo Redattore: Samantha LUPONIO

Comitato Scientifico:Paola BALDUCCI, Antonio BRIGUGLIO, Luigi CANCRINI,

Pierpaolo DELL’ANNO, Antonio FIORELLA, Giovanni Maria FLICKGiorgio LOMBARDI, Carlo MARTUCCELLI, Ugo PETRONIO

Eugenio PICOZZA, Giulio PROSPERETTI, Giorgio SPANGHERAlfonso STILE, Federico TEDESCHINI, Roberta TISCINI,

Giancarlo UMANI RONCHI, Romano VACCARELLA

Comitato di Redazione:Mauro VAGLIO, Pietro DI TOSTO, Antonino GALLETTI

Riccardo BOLOGNESI, Fabrizio BRUNIAlessandro CASSIANI, Domenico CONDELLO, Antonio CONTE

Mauro MAZZONI, Aldo MINGHELLI, Roberto NICODEMI, Livia ROSSIMatteo SANTINI, Mario SCIALLA, Isabella Maria STOPPANI

Coordinatori:Antonio ANDREOZZI, Andrea BARONE, Camilla BENEDUCE

Domenico BENINCASA, Marina BINDA, Ersi BOZEKHUFrancesco CASALE, Francesco CIANI, Benedetto CIMINO, Irma CONTI

Antonio CORDASCO, Alessandro CRASTA, Carmelita DE FINISAnnalisa DI GIOVANNI, Ruggero FRASCAROLI, Maria Vittoria FERRONI

Fabrizio GALLUZZO, Alessandro GENTILONI SILVERI, Mario LANAPaola LICCI, Andrea LONGO, Giuseppe MARAZZITA, Franco MARCONIAlessandra MARI, Gabriella MAZZEI, Arturo MEGLIO, Chiara PACIFICI

Ginevra PAOLETTI, Chiara PETRILLO, Tommaso PIETROCARLOAurelio RICHICHI, Sabrina RONDINELLI, Serafino RUSCICA

Marco Valerio SANTONOCITO, Massimiliano SILVETTI, Luciano TAMBURROFederico TELA, Antonio TESTA, Federica UMANI RONCHI, Clara VENETO

Segretario di redazione: Natale ESPOSITO

Progetto grafico: Alessandra GUGLIELMETTIDisegno di copertina: Rodrigo UGARTE

____________Temi Romana - Autorizzazione Tribunale di Roma n. 320 del 17 luglio 2001 - Direzione, Redazione: P.zza Cavour - Palazzo di Giustizia - 00193 Roma

Impaginazione e stampa: Infocarcere scrl - Via C. T. Masala, 42 - 00148 Roma

Passeggiata in libreria

“I DIRITTI DEI MINORI”Matteo Santini e Pompilia Rossi (a cura di)Testi di: Francesca Beccaria, Emilia Casali, Francesca Cimatti,Ileana Iandolo, Sara Menichetti, Maria Paola Rosapepe,Alessandra Sarri, Silvia VenezianoNUOVA EDITRICE UNIVERSITARIA, ROMA

pp. 312, euro 20,00Il presente volume costituisce un vademecum che sarà di grande ausilio per gli operatoridel diritto minorile e per coloro che necessitino di un primo orientamento nella materia.È un testo aggiornatissimo, all’interno del quale è contenuta tutta la normativa nazionale edinternazionale attinente ai minori, suddivisa per argomenti. Per renderlo più completo efruibile nella pratica, per chi quotidianamente lavora nel settore, all’interno del volume èstata inserita anche la giurisprudenza sia nazionale che internazionale, anch’essa suddivisaper argomenti. I diritti dei minori ivi trattati sono stati affrontati in modo esaustivo: nel testoinfatti si rinvengono leggi e sentenze di diritto civile ma anche di diritto penale, al fine diconsentire un compiuto inquadramento della materia.

“IL FALLIMENTO E LE ALTRE PROCEDURE CONCORSUALI”Antonio Caiafa DISCENDO AGITUR, ROMA

pp. 526, euro 46,00La difficoltà di conciliare una adeguata trattazione dei fondamenti della materia, in

conseguenza dei continui successivi interventi integrativi della legge di riforma delleprocedure concorsuali, e al tempo stesso, la sentita esigenza di offrire agli studenti uno

strumento di studio ed approfondimento, sì da consentire loro di aderire liberamente ad unatesi ricostruttiva sistemica piuttosto che ad un’altra, hanno suggerito una esposizione

essenziale e semplice al fine di permettere l’esercizio di una consapevole riflessione suvarie tematiche. Il volume fornisce un quadro completo ed approfondito delle nuove regole

del concorso, che ricostruisce con particolare attenzione alle problematicheinterdisciplinari, allo scopo di individuare il corretto equilibrio fra la tutela delle ragioni

creditorie e la salvaguardia delle risorse dell’impresa, cui la legge di riforma ha intesogarantire continuità mediante recupero delle capacità produttive.

“LE 50 PAROLE DELLA DIGITAL FORENSICS PIÙ UTILIZZATENELLE AULE DI GIUSTIZIA”Marco Zonaro NUOVA EDITRICE UNIVERSITARIA, ROMA

pp. 48, euro 5,00Un piccolo vademecum che, senza grandi pretese, vuole essere uno strumento disensibilizzazione all’utilizzo, in campo scientifico forense, di un linguaggio semplice epulito, scevro di terminologie astruse e indecifrabili, proprie di chi invece con la scienza siconfronta quotidianamente.50 parole, tra le più utilizzate nelle Aule di Giustizia, che parlano di informatica forense,cercando di offrire una spiegazione breve e chiara di concetti tecnici ormai entrati a farparte della nostra quotidianità professionale.

“GESTIONE DELLE CRISI BANCARIE TRANSFRONTALIERE”Marta Mariolina Mollicone NUOVA EDITRICE UNIVERSITARIA, ROMA

pp. 128, euro 15,00La crisi finanziaria che dal 2008 ha riguardato gli Stati Uniti e si è velocemente espansa inEuropa, con modalità domino, ha sottolineato l’inadeguatezza del sistema bancario sotto il

profilo dell’assunzione del rischio, di prevenzione degli effetti collaterali e dellacomposizione della crisi. L’Europa, al fine di evitare ulteriori crisi sistematiche e con

l’obbiettivo di esonerare i contribuenti dai costi di un dissesto generato da sceltemanageriali sbagliate, ha creato la Unione Bancaria. Vigilanza, risoluzione e garanzia dei

depositi delle banche cross-border vengono, dunque, tutti investiti da un più profondoprocesso di armonizzazione e vengono collocati ad un nuovo e unico livello, quello

europeo, dove la BCE assume il ruolo di protagonista. L’opera si concentra sul nuovoMeccanismo Unico di Risoluzione delle crisi bancarie transfrontaliere (Single Resolution

Mechanism, SRM), che vede la sua disciplina nel Regolamento (UE) N. 806/2014 delParlamento europeo e del Consiglio e sulla Direttiva Banking Recovery and Resolution N.59/2014/EU, la quale mette a disposizione sia della nuova Authority europea di risoluzione

(Resolution Board), sia delle Autorità Nazionali, strumenti per la prevenzione, perl’intervento precoce e per la risoluzione delle crisi bancarie. L’autore ha inteso delineare unquadro delle nuovissime disposizioni europee in materia bancaria che a breve entreranno invigore, cercando di esprimere con semplicità espositiva un sistema contorto ed incompleto,nell’ottica di stimolare riflessioni e facilitare il suo recepimento nell’ordinamento italiano.

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1Temi Romana

Sommario

2 ENRICO DE NICOLA: LA STORIAA cura di Eleonora Senese

4 SAGGIProfili problematici circa una innovativa causa di esclusione della responsabilitàpenale per colpa lieveSergio De Dominicis

9 La differenziazione trattamentale per ragioni di sicurezza e i circuiti penitenziariIole Falco

12 La truffa aggravata: profili processuali, giurisprudenziali e rapporto con reati aventistruttura analogaRoberta Mencarelli

19 Profili generali relativi alla tutela del consumatore ed azione di classe – Parte IIAlessandro Nicodemi

34 Il concorso del professionista nei reati connessi alla crisi d’impresaTommaso Pietrocarlo

38 Gioco d’azzardo patologico: nuove esigenze di tutele e vecchie regole di contestoRita Tuccillo

47 OSSERVATORIO LEGISLATIVOAccesso civico e accesso disciplinato dalla legge n. 241 del 1990Marina Binda

57 NOTE A SENTENZALavoro (Rapporto di) – Licenziamento individuale – Successiva revoca del provvedimento –Reintegra nel posto di lavoro – Decorrenza ex tunc degli effetti dalla data di decorrenzaoriginaria del rapporto di lavoro – Retribuzioni medio tempore maturateCarlotta Maria Manni

64 La destinazione urbanistica a verde privato come vincolo meramente conformativodella proprietà rispetto alla tutela ambientaleLorenzo Maria Pelusi

75 CRONACHE E ATTUALITÀIl Trust dopo di noi!Matteo Santini

77 Dissesto degli enti locali e posizione dei creditori: l’intervento della Corte Europeadei diritti dell’Uomo con le sentenze De Luca e Pennino c. ItaliaFrancesca Sbarra

n° 4 Rassegna di dottrina e giurisprudenzaa cura dell’Ordine degli Avvocati di Roma

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Temi Romana

Enrico De Nicola: la storia

La riconoscenza è il sentimento della vigiliaA cura di Eleonora Senese

Enrico De Nicola nasce a Napoli il 9 novembre1877 da una famiglia che gli consente di effet-tuare gli studi che culmineranno nella laurea in

Giurisprudenza, conseguita nel 1896 presso l’Univer-sità degli Studi di Napoli. L’anno precedente lavora perla rubrica quotidiana di ambito giudiziario del “DonMarzio” e, nel 1909, viene per la prima volta elettodeputato nel Collegio di Afragola. NominatoSottosegretario di Stato per le Colonie tra il 1913 e il1914, durante il quarto governo Giolitti, si ritrova nelcorso della Prima Guerra Mondiale ad assumere unaposizione interventista per poi ricoprire la carica di sot-tosegretario di Stato per il Tesoro nel 1919.All’epoca della marcia su Roma del 1922, è garante delpatto nazionale di pacificazione tra fascisti e socialisti– che poi non ebbe più seguito – ma si ritrova adappoggiare il Regime Fascista, pur mantenendo la cari-ca di presidente della Camera fino al 1924, quando nonpresta, tuttavia, il giuramento. Cinque anni dopo, divie-ne Senatore del Regno, seppur ricoprendo la carica soloper alcune commissioni giuridiche. Alla caduta del regime, nonostante si sia ritirato a vitaprivata, interviene, sotto richiesta, per mediare fra gliAlleati e la Corona, evitando addirittura l’abdicazionedi Vittorio Emanuele III e proponendo l’istituzionedella figura di Luogotenente da affidare all’erede altrono Umberto, così da attenuare il peso della sconfittadella corona. Dopo un lavoro diplomatico tra i vari partiti politici,nel 1946 diventa capo provvisorio dello Stato dopo lacontrapposizione tra la candidatura di VittorioEmanuele Orlando, da parte della DC e delle destre, equella di Benedetto Croce da parte, invece, delle sini-stre e dei laici.Durante la prima adunanza dell’Assemblea costituentedi quell’anno sono queste le sue parole: “Dobbiamoavere la coscienza dell’unica forza di cui disponiamo:della nostra infrangibile unione”, alludendo anche allecondizioni in cui l’Italia verte in quel periodo.È il 1947 quando viene emessa l’ultima condanna amorte in Italia: gli autori della strage di Villarbasse

chiedono una grazia che De Nicola non accetta a causadella gravità del delitto commesso.L’anno dopo entra in vigore la Costituzione dellaRepubblica Italiana ed egli assume il titolo diPresidente in ruolo transitorio, prima che la maggioran-za elegga il nuovo presidente: il liberale Luigi Einaudi. Di conseguenza diviene Senatore a vita e Presidente delSenato della Repubblica dal 28 aprile del 1951 al 24giugno 1952 durante la prima Legislatura, fino alle suedimissioni in occasione di quella che viene ricordatacome “legge truffa”.Dopo una sospensione dalla carica in Senato nel 1955in quanto nominato Giudice della Corte Costituzionale,riassume le funzioni di Senatore nel 1957, ma due annidopo, il primo ottobre, muore all’età di 81 anni nellasua casa di Torre del Greco. Enrico De Nicola viene ricordato come una personaumile (rinunciò all’indennità prevista per il capo delloStato che allora ammontava a 12 milioni di lire), one-sta e soprattutto dedita al suo mestiere.Infatti era particolarmente stimato proprio per l’onestà,l’umiltà e l’austerità dei costumi. Esempio di rigore,distingueva il pubblico dal privato: il giorno della suanomina a Presidente della Repubblica, giunse discreta-mente a bordo della sua auto privata a Roma dalla suaTorre del Greco; metteva i soldi per i francobolli dellacorrispondenza privata che partiva da un ufficio pubbli-co; si muoveva con mezzi propri, si fece rivoltare il cap-potto dal sarto, indumento che divenne “dignitosissimoco-protagonista di numerosissime occasioni ufficiali”.Considerando la provvisorietà della sua carica, ritenneimproprio stabilirsi al Quirinale, optando per PalazzoGiustiniani; durante la sua presidenza, ostentavaun’agendina nella quale, asseriva, andava prendendoappunti sul corretto modo di esercitare la funzione pre-sidenziale, quasi una sorta di codice deontologico percapi di Stato. Il suo successore, Luigi Einaudi, fra leprime cose che fece da presidente fu quella di ricercarequest’agendina ma, sostiene Giulio Andreotti, la trovòincredibilmente vuota, senza che De Nicola vi avessescritto alcunché. Per tali motivi rappresenta ancora oggi

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un esempio di trasparenza e onestà intellettuale.In materia giudiziaria è da attribuirgli il perfezionamen-to di uditori giudiziari, la modifica della legge della pro-fessione forense, l’abolizione del domicilio coatto.Il lavoro parlamentare di De Nicola concerne anche unapporto alle istituzioni finanziarie come la gestionedelle Casse provinciali del Credito agrario o del mono-polio per le assicurazione sulla vita.Di ancora maggior rilievo sono le riforme sulla struttu-ra degli organi interni della Camera come quelle deigruppi parlamentari e le commissioni legislative per-manenti (nove) che rimangono l’ammodernamento piùimportante apportato in epoca liberale. A lui sono state dedicate strade, piazze e Istituti scola-stici di ogni ordine e grado. Nel 2009, Andrea Jelardiscrive Il Presidente galantuomo (Napoli, KairòsEditore), vera e propria biografia di un personaggio cheè stato l’ultimo notabile di un’Italia liberale, che havisto la fine della Monarchia e dei Savoia e il primoCapo provvisorio di una Repubblica appena nata.

La strage di VillarbasseSi trattò di un orribile delitto che scosse l’opinione pub-blica del Paese: il fatto si svolse il 20 novembre del1945 alla cascina Simonetto di Villarbasse, a una ven-tina di chilometri da Torino, nel corso di una rapinacompiuta da quattro uomini, dieci persone vengonomassacrate a colpi di bastone e gettate ancora vive inuna cisterna, dove morirono dopo una lunga ed atroceagonia. La rapina fruttò la somma di 100mila lire, qual-che gioiello e dei salami. I responsabili del criminevennero arrestati dai Carabinieri e condannati a morte.La pena venne eseguita all’alba del 4 marzo 1947 aTorino alle Basse di Stura. Fu l’ultima condanna capi-tale della storia italiana. La pena di morte infatti saràdefinitivamente cancellata dalla Costituzione cheentrerà in vigore il 1° gennaio dell’anno dopo. Proprioin previsione di questa scadenza, nel corso del 1947tutte le condanne a morte erano state sospese, ad ecce-zione di questa in quanto il gesto criminale compiutoera stato troppo orribile, tanto che la domanda di grazia

avanzata dai 3 condannati (in quanto il quarto, l’orga-nizzatore del colpo, era già morto ucciso in un regola-mento dei conti), fu inevitabilmente respinta dal presi-dente della Repubblica. L’evento è considerato di par-ticolare rilevanza nella storia della penalistica. Tra igiornalisti accreditati a cui toccò il compito di raccon-tare gli ultimi atti di vita degli assassini, vi era unragazzo poco più che ventenne, Giorgio Bocca, redat-tore della Gazzetta del Popolo di Torino.

La legge truffa Con tale termine si identifica la Legge elettorale italia-na maggioritaria voluta dalla Democrazia Cristiana edai suoi alleati (Psdi, Pli, Pri, Partito sardo d’azione,Svp) per ottenere il controllo certo della Camera deiDeputati. Fu così definita dalle opposizioni di sinistra inquanto prevedeva che alla lista o all’insieme delle listeche, essendosi “apparentate” tra loro, avessero ottenutopiù del 50% dei voti toccasse il 65% dei seggi. Fallì perpoche migliaia di voti, fu subito revocata, ma lasciò unostrascico di grave instabilità politica. La legge, promul-gata il 31 marzo 1953 (n. 148) ed in vigore per le ele-zioni politiche del 3 giugno di quello stesso anno (siapure senza che desse effetti), venne abrogata con lalegge 615 del 31 luglio 1954. Infatti la Dc e i partitisatelliti si fermarono al 49,8%: per 54.968 voti il premiodi maggioranza andò in fumo. Un fallimento che sancìla fine dell’era De Gasperi.

L’Avvocato nel cuoreDe Nicola era un “Avvocato” e tale rimase nel cuore. Ilsuo studio a Napoli era il suo vero regno: là cercò sem-pre di tornare. Come avvocato De Nicola fu brillantis-simo a cominciare dal processo che vide coinvolto ilsindaco di Napoli Celestino Summonte. Aveva un’ora-toria forte ed equilibrata che si può riassumere nellafrase “Colui che dice bene il maggior numero di cosecol minor numero di parole”. Un parlare pubblico cheera più secco nei discorsi politici; più ornato nelle auledi giustizia. Viene considerato come uno dei maggioriavvocati penalisti italiani.

3Temi Romana

Enrico De Nicola: la storia

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4 Temi Romana

Saggi

La disciplina di diritto processuale recata con ildecreto legge 13 settembre 2012 n. 158, conver-tito, con modificazioni, nella legge 8 novembre

2012 n. 189, sembra avere introdotto una originale einnovativa causa di esclusione soggettiva della respon-sabilità penale per colpa lieve, lasciando tuttavia intat-to il sistema risarcitorio innanzi al Giudice civile.Agli operatori del diritto penale – Avvocati e Medicilegali – non resterà che dimostrare, nel processo pena-le, che il fatto penalmente illecito, cagionante, a causadi una malpractice sanitaria, valutabile per le circo-stanze di fatto in cui si è verificato, un danno alla salu-te della persona non può che avere i connotati dellacolpa lieve ossia il grado della colpa media; per poireclamare l’esenzione della responsabilità penale, aisensi dell’art. 3 del predetto decreto del 2012.L’illecito astrattamente rilevante sul piano penale,ancorché produttivo di un evento lesivo per la salutedella persona, non potrà implicare un verdetto di con-danna ove si dimostri, in sede dibattimentale, che ilmedico o l’equipe medica abbiano tenuto nella vicendadannosa un comportamento conforme alle c.d. lineeguida ed alle buone pratiche sanitarie, come accredita-te dalla comunità scientifica ed omologate dalMinistero della Salute1.Com’è noto, le c.d. norme Balduzzi, introduttive del-l’esonero della responsabilità sanitaria per culpa levis,non sono state accolte favorevolmente dagli operatoridel diritto penale.Infatti, ai sensi dell’art. 61, n. 3 e dell’art. 133 c.p. lagraduazione della colpa incide già “ordinariamente”sull’erogazione della pena e sulla determinazione delquantum punitivo.Non è il caso di passare qui in rassegna i numerosi quidproblematici, versati da medici ed avvocati, al fine dirisolvere la questione che assume certamente rilievosul piano sistematico.Basterà ricordare come, ad avviso dei primi commenta-

tori, la disciplina salvifica discendente dal decretoBalduzzi era affetta da numerosi vizi ed errori tecnici,di tale portata da farla considerare inapplicabile.La soluzione è arrivata, molto opportunamente, dallagiurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione.Con la sentenza n. 16237/013, della Quarta Sezionepenale (udienza del 29 gennaio 2013, Pres. Brusco,Rel. Blaiotta) la Cassazione, a proposito della respon-sabilità medica modificata in tema di colpa lieve dallac.d. legge Balduzzi, ha affermato che «l’esercente laprofessione sanitaria che nello svolgimento della pro-pria attività si attiene alle linee guida ed alle buonepratiche accreditate dalla comunità scientifica nonrisponde penalmente per colpa lieve».Secondo la Suprema Corte, ai sensi dell’art. 3, comma1, del D.L. 13.9.2012 n. 158, convertito, con modifica-zioni, nella legge 8.11.2012 n. 189, solo con la dimo-strazione della colpa grave, sarebbe quindi sanzionabi-le l’illecito penale colposo.Al di là delle considerazioni versate, in prima battuta,da autorevoli studiosi2 va detto che la c.d. leggeBalduzzi conferisce agli operatori del processo penale(Pubblici Ministeri, Avvocati e Medici legali), straordi-narie occasioni di analisi e di confronto sulle singolefattispecie penalistiche concernenti la responsabilitàmedica.Emerge, pertanto, il ruolo centrale del processo penale,entro il quale i protagonisti avranno il dovere di con-frontarsi fino in fondo.Tanto più che la Corte Costituzionale, con ordinanza n.295 del 2 dicembre 2013, ha dichiarato la manifestainammissibilità della questione di legittimità costitu-zionale del predetto art. 3 “per non sussistenza dellarilevanza della questione”.Va detto, incidentalmente, che la citata sentenza n.16237 della IV Sez. penale della Cassazione costituisceuna pietra miliare in tema di responsabilità sanitaria,anche per la magnifica ricostruzione storica della giuri-

Profili problematici circa una innovativa causadi esclusione della responsabilità penale per colpa lieveSergio De DominicisAvvocato del Foro di Salerno

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5Temi Romana

Saggi

sprudenza in materia.E, tuttavia, la linea di demarcazione tra la colpa norma-le e la colpa professionale, ovverossia tra la culpa levise la culpa lata non è facile da ritrovare, siccome tutte lepossibili differenziazioni sembrano messe in crisi dadue norme del codice civile.Innanzitutto dal secondo comma dell’articolo 1176,che recita: “nell’adempimento delle obbligazioni ine-renti l’esercizio di un’attività professionale, la diligen-za deve valutarsi con riguardo alla natura dell’attivitàesercitata”.L’altra norma civilistica, che integra la nozione di colpagrave, è offerta dall’articolo 2236, il quale stabilisceche «se la prestazione implica la soluzione di problemitecnici di speciale difficoltà, il prestatore d’opera nonrisponde dei danni, se non in caso di dolo o colpagrave».Si pone, invero, il problema di definire la colpa grave edi differenziarla dalla colpa lieve, almeno in via astrat-ta e generale.Ed infatti, è proprio il predetto articolo 2236 del CodiceCivile che, nel fare riferimento esplicito ad attività pro-fessionali di elevata complessità pone l’esigenza diricavare la nozione di colpa grave, quale genus dellacolpa professionale e di rapportarla alla natura dellaconcreta prestazione ed alla particolare complessitàdella stessa.Può dirsi subito che per le prestazioni professionali dicarattere tecnico-scientifico, come quelle mediche, aisensi degli articoli 1176 e 2236 c.c., non sembra esser-ci molto spazio per la colpa media ma solo per la colpagrave. Una colpa media in se è irrilevante: non soloperché è facilmente coperta da polizza di assicurazionema perché, come proclama il decreto Balduzzi, puòcostituire una esimente sul piano penale.È la colpa grave quella che scatena le giuste preoccu-pazioni dei medici.Peraltro, come noto, ai sensi dell’articolo 42 c.p., l’ille-cito penale colposo viene caratterizzato da due propo-sizioni esplicative della “colpa generica” e della“colpa specifica”.Difatti nella norma si afferma che il delitto è colposoquando l’evento, anche se previsto, non è voluto e siverifica a causa di negligenza, imprudenza ed imperi-zia (colpa generica) ovvero per inosservanza di leggi,regolamenti, ordini e discipline (colpa specifica).

Ed ancorché i reati colposi contro la persona siano mol-teplici – fatta ovviamente esclusione per le contravven-zioni ove la colpa costituisce la regola base – appareopportuno rammentare che il codice penale prevede,specificatamente, le fattispecie tipiche dell’omicidiocolposo (art. 589 c.p.) e delle lesioni personali colpose(art. 590 c.p.), cui devono aggiungersi le altre ipotesispecifiche di lesioni alla persona, disciplinate dall’art.582 c.p., cioè quelle lievi, se la malattia ha durata nonsuperiore a 20 giorni, e quelle gravissime, se la malat-tia ha durata permanente, ai sensi dell’art. 583 c.p..Si ricorda come, con la legge n. 24 del 1963 venneriformato l’art. 582 c.p. e scomparvero le c.d. lesionigravi, cioè quelle con prognosi non superiori a 40giorni.Orbene, sia nell’omicidio colposo sia nei reati perlesioni colpose l’evento è disvoluto e si verifica per unadelle cause previste dal suindicato articolo 42 c.p.; nelsenso, cioè, che l’evento lesivo è contro l’intenzione,ancorché prevedibile ed, altresì, evitabile (ipotesi dellacolpa cosciente).Se, quindi, questa breve rassegna introduttiva vienecalata nella problematica della responsabilità medica esi affronta, altresì, il thema della esenzione dellaresponsabilità penale, in virtù dell’art. 3 del decretoBalduzzi, emerge, per altri profili, un dato di grandeimportanza scientifica e pratica: la colpa civilisticaattribuibile al medico dagli articoli 1176 e 2236 c.c. èesclusivamente colpa grave; cioè, colpa non solocosciente, ma colpa in concreto, contraria alle lineeguida ed alle buone regole della professione sanitaria,che si ritengono esigibili nel caso di una infermitàoggetto di trattamento medico-chirurgico in ambitoospedaliero.Inserendo il quadrante della responsabilità per colpagrave dentro il sistema penale, emerge che il tasso dicolpevolezza (colpa lieve, grave, gravissima, coscienteo incosciente) attiene alla misura della punibilità delreo e, quindi, all’applicazione della pena in relazioneal particolare comportamento dell’imputato, come puòdedursi dall’articolo 133 c.p. e dall’art. 61 n. 3 c.p..In altri termini, nel processo penale il grado o la gravi-tà della colpa è funzionale alla erogazione della pena ealla valutazione dell’elemento soggettivo del reato.Mentre nel diritto civile il medico andrebbe esente daresponsabilità se non abbia agito con colpa grave, nel

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6 Temi Romana

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diritto penale la stessa colpa, se lieve, opererebbe comescriminante soggettiva e, quindi, come causa di esclu-sione della responsabilità penale3.C’è, pertanto, una asincronia tra sistema civile e siste-ma penale, ancorché, il problema della colposità del-l’illecito sanitario sia unitario.Tutti gli studi sull’illecito colposo, riguardanti laresponsabilità medica, concordano nell’affermare chenon esiste un unico modello di colpa, ma che esso vadarapportato alla fattispecie illecita ed al rapporto di cau-salità tra prestazione medica ed evento lesivo. La colpain concreto, richiamando comportamenti negligentiossia prestazioni connotate da imperizia o imprudenza,risulta rappresentare il concreto riferimento alla com-plessità della malattia del paziente e, quindi, ad argo-mentazioni al di fuori della dialettica specificamentepenalistica, ed in quanto tali flessibili.Ma andiamo con ordine.La disposizione affermativa dell’esonero della respon-sabilità medica in sede penale delimita la scriminantesoggettiva all’ipotesi della colpa lieve, fermo restandoil rispetto delle linee guida, accreditate dal mondoscientifico ed omologate presso l’Autorità Ministeriale,nonché delle buone pratiche medico-chirurgiche gene-ralmente accettate dalla comunità scientifica.Orbene, la proposizione contenuta nel D.L. n. 158 del2012 faceva esplicito riferimento agli articoli 1176 e2236 c.c., mentre nella legge di conversione il quadro èstato cambiato. Secondo alcuni si è trattato di un travisamento del con-cetto di colpa medica nella fase di conversione deldecreto Balduzzi, considerando che la gravità dellacolpa nel processo penale incide sulla misura della san-zione, ai sensi dell’art. 61 n. 3 c.p. e dell’art. 133 c.p..Secondo altri autori, si è voluto affidare al Giudice unambito evolutivo e creativo più ampio ed elastico nelsistema del c.d. diritto vivente?In passato non sono mancate nella giurisprudenza dellaCorte di Cassazione aperture verso soluzioni empiricheed evolutive, a condizione che fossero comunquerispettate le c.d. linee guida (Cass. n. 4391 del 2011).Di recente, la IV Sezione Penale della Corte diCassazione ha dichiarato l’abolitio criminis per lacolpa lieve del medico, ai sensi dell’art. 3 della leggeBalduzzi n. 189 del 2012, con motivazioni prudenzialie di notevole spessore creativo4.

Ci si chiede se queste aperture della giurisprudenza dilegittimità siano da preludio ad un indirizzo consolida-to sulla responsabilità medica, in modo da affermare lagradualità della colpa nelle fattispecie penali, ancorchécaratterizzate sul piano positivo da un unico grado dicolpa.Si tratterà di riconoscere se la colpa professionalepossa integrare una fattispecie penale il cui precettosia in bianco, ed ove l’integrazione offerta dal contri-buto della medicina legale possa rappresentare unasorta di “colpa multigraduale”; cioè, una colpa media,o in concreto, che sia l’unica esigibile nella particolarecircostanza in cui si è verificata e che sia accertabiledentro il processo penale.Il nodo da sciogliere sta, quindi, nell’offrire una visio-ne dinamica della colpa lieve i cui confini con la colpagrave dovrebbero essere individuati in concreto, rap-presentando una colpa medica unitaria concreta e nonastratta e, comunque, vicina alla verità storica dei fattiilleciti portati in contestazione.Bisognerà misurarsi nel processo penale, allora, e valu-tare la fattispecie illecita dentro il contesto organizzati-vo e, quindi, fare emergere la giusta valutazione sultasso di colpevolezza.Il criterio rilevante sul piano dell’esonero della respon-sabilità penale per illecito colposo risiede, a nostroavviso, nella rappresentazione di una colpa unitaria e“multigraduale”, ove la misura della gravità emergadall’analisi della fattispecie in concreto e dal riscontrodel comportamento effettivamente tenuto dal medico.Ed, invero, se si volesse passare in rassegna la piùrecente giurisprudenza della Cassazione in tema diresponsabilità medica verrà ad emersione un dato, forseinaspettato, ma assolutamente oggettivo: risulta impos-sibile una definizione teoretica della colpa specificadel medico. Occorrerà, perciò, partire dal concetto dicolpa media o multigraduale per costruire quella fatti-specie di esonero della responsabilità penale disciplina-ta dal decreto Balduzzi.Del resto, dall’Ordinanza della Corte Costituzionale n.295/2013 del 2 dicembre 2013, che ha dichiarato lamanifesta inammissibilità della questione di legittimitàcostituzionale dell’art. 3 del D.L. 13 settembre 2012 n.158 si vedrà che la Corte, in qualità di Giudice delleleggi e della loro conformità a Costituzione, ha respin-to la problematica devolutagli dal Tribunale di Milano

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non per motivi sostanziali, bensì per questioni formali.Infatti, la Corte ha denunciato il vizio della mancanzadi rilevanza della questione, così come enunciata dalGiudice a quo, reputandola insussistente.Così facendo, la Corte Costituzionale non ha decisosulla questione della non manifesta infondatezza e,quindi, sull’eventuale contrasto dell’articolo 3 dellalegge Balduzzi con varie norme e principi costituziona-li, tra cui il principio di tassatività della norma penale,la finalità rieducativa della pena, la violazione delprincipio di ragionevolezza e la disparità di trattamen-to tra operatori sanitari.La Corte Costituzionale non ha, cioè, potuto scioglierela contraddizione tra l’abolitio criminis per colpa lieve,come introdotta dall’art. 3 del decreto Balduzzi, ed ilpresunto contrasto con i principi di ragionevolezza e ditassatività della fattispecie penale, siccome è noto chenon esiste una definizione astratta del concetto di colpagrave, così come non esiste una esposizione teoricadella colpa lieve.Inoltre, il ruolo giocato dalle linee guida e dalle buonepratiche accreditate dalla comunità scientifica accrescel’imprecisione e l’indeterminatezza perché esse con-tengono soltanto regole di perizia, senza fare alcuncenno ai comportamenti che potrebbero ritenersi, in viaastratta, negligenti o infondati.Peraltro, come è stato opportunamente osservato, ildecreto Balduzzi sembra avere spostato l’ambito dianalisi dal tema dell’intensità della colpa lieve o grave,quale misura per graduare la sanzione ex art. 133 c.p.,alla linea di discrimine tra esistenza o inesistenza delreato colposo.La colpa penale assumerebbe, quindi, una duplice con-figurazione: di strumento di valutazione della pena daerogare e, nei casi di osservanza delle linee guida edelle buone pratiche accreditate, di causa di non puni-bilità dell’illecito colposo.Quindi, è possibile affermare che la disposizione aboli-tiva della responsabilità penale ha molto valorizzato laportata e l’applicazione delle linee guida accreditatedalla comunità scientifica.Ma tutto ciò deve essere provato e dimostrato dentro ilprocesso a dibattimento pieno!Ed, invero, prima del decreto Balduzzi la buona praticaclinica non costituiva il valore scriminante che oggi gliviene riconosciuto5.

Secondo la Corte di Cassazione (Sezioni penali) lanorma civilistica indicata all’art. 2236 c.c. può, dun-que, essere presa in considerazione, anche nel processopenale, quando ricorrono le condizioni per affermareche il medico si sia trovato ad affrontare prestazioniprofessionali in condizioni di emergenza e con proble-mi di particolare difficoltà tecnica.Si tratterebbe, dunque, dell’applicazione nel processopenale di una norma extrapenale perché ricorrono lecondizioni dell’integrazione tipiche della c.d. normapenale in bianco (cfr. Corte Costituzionale, sentenza n.166 del 28 novembre 1973; Corte di Cassazione, Sez.IV Penale, n. 39592 del 21 giugno 2007; Cass. Sez. IVPen. n. 16328 del 5 aprile 2011; idem, n. 4391 del 22novembre 2011: ex amplius, Cass. Sez. IV Pen. n.16237 del 29 gennaio 2013).Conclusivamente si può dire che si riscontra nella giu-risprudenza penale di legittimità un importante filoned’indirizzo orientato ad applicare nel processo l’art.2236 c.c., a condizione che ricorrano, de facto, quellecondizioni di imprevedibilità ed inevitabilità specifichedell’emergenza medica e che sussistano tutti gli altripresupposti che tendano a legittimare l’applicazionedella scriminante prevista dal decreto Balduzzi.Il concetto di colpa lieve va, quindi, calato nel proces-so e nei suoi complessi profili scientifici, che soloun’autorevole consulenza medico-legale è in grado disvelare e porre in evidenza.Proprio la più recente giurisprudenza della Cassazionepenale ha posto in nuova luce le linee guida accredita-te ed omologate, rapportandole alla teoria dell’esigibi-lità e della colpa in concreto nel giudizio di responsabi-lità penale.Ad esempio, le ragioni dell’urgenza, le situazioni com-plessive della struttura ospedaliera, lo sciopero del per-sonale ed altre concrete condizioni di emergenza potreb-bero essere tali da fare emergere la colpa lieve o mediaquale scriminante soggettiva negli illeciti colposi.Invece, si può aggiungere che l’immotivato distaccodelle linee guida potrebbe, altresì, determinare l’emer-sione della colpa grave.In conclusione, si può affermare che, qualora il medicoabbia rispettato con diligenza e competenza quellelinee di buona pratica, potrebbe sostenersi che negliilleciti colposi venga ad emersione solo la colpa lieveche costituisce ora esimente e condizione di non puni-

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bilità penale.A nostro avviso, tuttavia, sembra indispensabile affron-tare l’agone del processo penale dibattimentale attra-

verso il quale sarà possibile provare l’emersione dellacolpa lieve ed invocare, quindi, l’abolitio criminis dellalegge Balduzzi.

1 Scritti contenuti nel “Manuale di dirit-to sanitario” a cura di R. BALDUZZI e G.CARPANI, Bologna, il Mulino, 2013.2 Cfr. G.L. GATTA, Diritto penale con-temporaneo, 2013, Pres. Sezione Cortedei Conti, dott. Sergio Auriemma, con-vegno su Gestione del rischio in anato-mia patologica, Roma 25.6.2014.

3 In mancanza di una specifica giuri-sprudenza in materia si ritiene chel’articolo 3 della legge Balduzzi n.189 del 2012 abbia prevalente caratte-re processuale, siccome la colpa lievepuò emergere solo nel giudizio dibat-timentale e non anche nel giudizioabbreviato o in quello patteggiato ex

art. 444 c.p.p..

4 È proprio la giurisprudenza sullacolpa in concreto che conferma l’orien-tamento cui aderiamo (cfr. nota n. 3).

5 Scritti nel volume La responsabilitàdel medico, a cura di L. D’APOLLO,Torino, Giappichelli, 2012.

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Nei primi anni ’90 alla recrudescenza della crimi-nalità organizzata e, in particolare, ad alcuniferoci attacchi alle istituzioni lo Stato rispose,

in materia penitenziaria, attraverso l’introduzione di unvero e proprio “doppio binario trattamentale”: da unlato, i condannati ordinari nei cui confronti continua adessere prevalente la finalità specialpreventiva e riedu-cativa della pena e ai quali, pertanto, è offerto un trat-tamento penitenziario ed extrapenitenziario funzionalealla risocializzazione; dall’altro lato, i detenuti per idelitti di maggiore allarme sociale, in relazione ai qualiappare necessario rafforzare le esigenze di prevenzionegenerale e di neutralizzazione. Dal 1991 in poi, infatti, per quest’ultima categoria didetenuti, si afferma la necessità di procedere ad un trat-tamento e ad un regime differenziato, finalizzato a farprevalere le esigenze di tutela dell’ordine e della sicu-rezza pubblica su quelle direttamente connesse allasicurezza interna degli istituti. Tale esigenza di tutela siè fatta strada in due diverse direzioni: da un lato, attra-verso l’individuazione di un accesso differenziato aibenefici e alle misure alternative, secondo le previsioniintrodotte dall’art. 4 bis O.P. e, dall’altro, attraverso lasospensione in tutto o in parte, per taluni detenuti, delleregole di trattamento e degli istituti previsti dalla leggepenitenziaria, mediante l’introduzione dell’art. 41 bisco. 2 ad opera della Legge 356/92. A questa categoriadi detenuti, per i quali vige una presunzione assoluta dipericolosità criminale o sociale, è preclusa o limitata laconcessione delle misure alternative alla detenzione(fatta eccezione per la liberazione anticipata), dei per-messi premio e del lavoro all’esterno, fruibili solomediante l’offerta della “collaborazione con la giusti-zia” qualificata ex art. 58 ter O.P.. Da qui, la necessità,secondo il legislatore, di intervenire non solo nel setto-re delle misure alternative alla detenzione, ma anche inquello del trattamento penitenziario, restringendo almassimo le opportunità di contatto dei detenuti ex art.4 bis O.P. con l’esterno. Per soddisfare tale esigenza, illegislatore, con legge 356/92, ha introdotto nell’art. 41bis un 2° comma relativo ad un’ipotesi particolare di

sospensione delle normali regole trattamentali (sostan-zialmente identica alla abrogata disciplina di cui all’art.90 O.P). Il provvedimento ministeriale consente l’ado-zione di misure in deroga al regime ordinario che com-portano la sospensione nei confronti dei detenuti ointernati per taluno dei delitti di cui al primo periododel comma 1 dell’art. 4 bis O.P. e in relazione ai qualivi siano elementi tali da far ritenere la sussistenza dicollegamenti con un’organizzazione criminale, terrori-stica o eversiva, dell’applicazione delle regole di tratta-mento e degli istituti che possano porsi in concreto con-trasto con le esigenze di ordine e di sicurezza. Le modi-fiche apportate dalla Legge 94/2009 rispondendoall’intento di spezzare ogni legame tra il carcere ed ilmondo esterno, allo scopo di isolare gli appartenenti adorganizzazioni criminali per indebolire la loro posizio-ne, hanno inciso in modo particolarmente pesante sulcontenuto del provvedimento sospensivo delle regoletrattamentali delineato nel co. 2 quater dell’art. 41 bisO.P.. Le limitazioni in esso elencate dirette ad inciderecon forza sui rapporti esterni (riduzione del numero deicolloqui con i familiari e i difensori, esclusione dei col-loqui con terzi, riduzione della corrispondenza telefoni-ca, visto di censura della corrispondenza epistolare)rappresentano, dunque, uno strumento di politica cri-minale volto a neutralizzare la pericolosità sociale ditaluni detenuti e ad indurre scelte di rottura con l’orga-nizzazione di appartenenza. Da quanto sopra detto èpalese che le restrizioni prescritte per legge ex art. 4 bisco. 1 O.P., ovvero adottabili in forza di provvedimentoministeriale ex art. 41 bis co. 2 O.P., nei confronti ditale tipologia di detenuti, fuoriescono dalla logica pro-pria delle finalità del trattamento ubbidendo ad unaratio diversa, cioè quella di evitare il permanere dalcarcere di collegamenti associativi idonei a rappresen-tare un concreto rischio per la tutela della collettività,nella particolare prospettiva “dell’ordine e della sicu-rezza pubblica”. La differenziazione dei regimi deten-tivi richiede per converso una corrispondente organiz-zazione degli istituti penitenziari in circuiti. Tale classi-ficazione risponde a due fondamentali esigenze: la

La differenziazione trattamentale per ragioni di sicurezzae i circuiti penitenziariIole FalcoCommissario di Polizia Penitenziaria

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prima è, senza dubbio, quella di suddividere la popola-zione detenuta in categorie omogenee, al fine di con-sentire una migliore applicazione del principio di indi-vidualizzazione del trattamento, atteso che tale diversi-ficazione offre la possibilità di svolgere, in maniera piùadeguata, l’osservazione scientifica della personalità,poiché essa viene in tal modo effettuata su persone condelle affinità, dal punto di vista del percorso criminale.L’altra esigenza, connessa alla sicurezza, è quella difondare la separazione dei detenuti sulla scorta dellaloro tipologia, al fine di evitare influenze reciproche.L’attuale assetto normativo relativo all’allocazione deidetenuti, in ragione della pericolosità penitenziaria ocriminale da essi manifestata, ha subito, nel corso deglianni, una profonda rivisitazione. La nozione di “circui-ti penitenziari” venne introdotta per la prima volta nel1993 con la Circolare DAP n. 3359/5809 del 21 aprile1993 e ss. mm. e ii. del 6 giugno 1993 con la quale sidistinse tra:1. circuito penitenziario di primo livello, destinato allac.d. Alta Sicurezza (A.S.), cioè ai detenuti più pericolo-si, imputati o condannati per i delitti di cui agli artt. 416bis c.p. (associazione di stampo mafioso), 630 c.p.(sequestro di persona a scopo di estorsione) e 74 T.U.309/90 (associazione finalizzata al traffico illecito disostanze stupefacenti o psicotrope). La rigorosa separa-zione di tali soggetti dalla restante parte della popola-zione detenuta trova ragione nella caratteristica ad essicomune di essere esclusi dalle misure alternative e daibenefici penitenziari ex art. 4 bis O.P. e, contestualmen-te, nella pericolosità degli stessi connessa al tipo direato ed alla capacità di proselitismo e sopraffazione.2. circuito penitenziario di secondo livello destinato aidetenuti c.d. di Media Sicurezza (M.S.), cioè a coloroche non rientrano né nel circuito A.S., né in quello acustodia attenuata ossia alla maggioranza della popola-zione detenuta.3. circuito penitenziario di terzo livello, ossia diCustodia Attenuata (C.A.) destinato alla popolazionedetenuta tossicodipendente con bassa pericolosità con-siderata più facilmente recuperabile.Nel 1998 una nuova Circolare DAP n. 3479/5929 intro-dusse un quarto livello, vale a dire il circuito ad ElevatoIndice di Vigilanza (E.I.V.) destinato a quei detenutiche, non avendo titolo di reato per essere inseriti nelcircuito A.S. e non essendo in alcun modo collegabilicon la criminalità organizzata, presentino, tuttavia, unapericolosità talmente spiccata da far risultare inoppor-tuno il loro inserimento nel circuito di media sicurezza.Nel 2007 il DAP ha emanato una nuova circolare inmateria di assegnazione e gestione dei detenuti classi-

ficati A.S. che tiene conto dell’evoluzione del fenome-no criminale mafioso e delle corrispondenti scelte isti-tuzionali di prevenzione e di contrasto (Circ. n. 20 del9.1.2007). La circolare in parola prevede l’inserimentonel circuito penitenziario A.S. per le seguenti tipologiedi detenuti:a) imputati o condannati per i delitti previsti dal primocomma, primo periodo dell’art. 4 bis O.P. (ad eccezionedi quanti siano detenuti per delitti commessi per finali-tà di terrorismo anche internazionale o di eversione del-l’ordine democratico mediante il compimento di atti diviolenza, ovvero per coloro che provengano dal circui-to 41 bis O.P., per i quali permane la classificazionecome E.I.V.);b) soggetti cui sia stata contestata l’aggravante specifi-ca di cui all’art. 7 legge n. 203/91 rappresentata dall’es-sersi avvalsi delle condizioni previste dall’art. 416 bisc.p. ovvero dall’avere agito al fine di agevolare l’attivi-tà delle associazioni mafiose in esso indicate, i quali – adifferenza di quanto disposto in passato – rientrano apieno titolo, da un punto di vista sia normativo che fun-zionale, nell’ambito descritto dall’art. 4 bis O.P.;c) soggetti detenuti per altri fatti cui sia stato contesta-to a piede libero uno o più reati previsti dall’art. 4 bisO.P., ovvero nei cui confronti sia venuta meno l’ordi-nanza di custodia cautelare e soggetti imputati dei delit-ti previsti dall’art. 4 bis O.P. ma per tali reati scarceratisolo formalmente per decorrenza dei termini di custodiacautelare;d) soggetti imputati o condannati per fatti non previstidall’articolo 4 bis né interessati dall’aggravante di cuiall’art. 7 legge 203/91.Successivamente, con la Circolare n. 3619/6069 del21.4.2009 l’Amministrazione Penitenziaria, per unapiù razionale gestione dei detenuti, a vario titolo ritenu-ti omogenei per l’elevata pericolosità, ha provvedutoad una rivisitazione dell’attuale assetto attraverso l’eli-minazione del circuito E.I.V. e la conseguente adozio-ne di un Nuovo circuito per detenuti Alta Sicurezza,destinato ai detenuti e internati appartenenti ad organiz-zazioni criminali, siano esse di tipo mafioso o terrori-stico. La ratio del nuovo circuito A.S. rimane quella dioperare una separazione, all’interno degli istituti peni-tenziari, tra i detenuti comuni e quelli appartenenti aconsorterie di tipo mafioso o terroristico, in modo daevitare ed impedire il verificarsi di fenomeni di assog-gettamento, di reclutamento criminale o di strumenta-lizzazione a fini di turbamento della sicurezza degliistituti. Pertanto, il nuovo circuito A.S. continua a svol-gere il delicato compito di gestire i detenuti ed interna-ti di spiccata pericolosità, prevedendo al proprio inter-

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no, tre differenti sottocircuiti, con medesime garanziedi sicurezza ed opportunità trattamentali, cui sono dedi-cate sezioni differenti, nelle quali vengono contenutealtrettante tipologie di detenuti, tra le quali non vi èpossibilità di comunicazione. I primi due sottocircuiti(A.S.1 ed A.S.2) sono dedicati ai detenuti di elevatapericolosità provenienti dal vecchio circuito E.I.V., ilterzo (A.S.3) è dedicato ai detenuti già destinatiall’Alta Sicurezza. In particolare: - nel sottocircuito A.S.1 sono inseriti i detenuti e gli

internati appartenenti alla criminalità organizzata ditipo mafioso, nei cui confronti sia venuto meno ildecreto di applicazione del regime di cui all’art. 41bis O.P.. L’inserimento in tale sottocircuito è ovvia-mente giustificato dall’essere detenuti o internatiper taluno dei delitti di cui al primo periodo delprimo comma dell’art. 4 bis O.P. e, comunque, peressere stati considerati elementi di spicco e rilevan-ti punti di riferimento delle organizzazioni crimina-li di provenienza.L’Amministrazione ritiene, dunque, opportuno chetali soggetti, che hanno rivestito ruoli di primariaimportanza nelle organizzazioni criminali, venganoristretti separatamente dagli altri, ugualmenteappartenenti ad organizzazioni criminali, ma conruoli di minore rilievo, in modo da evitare influenzenocive reciproche, anche in relazione alle possibiliattività di proselitismo, ed impedire, infine, sopraf-fazioni dovute alla differenza di spessore criminale;

- nel sottocircuito A.S.2 sono inseriti automaticamen-te i soggetti imputati o condannati per delitti com-messi con finalità di terrorismo, anche internaziona-le, o di eversione dell’ordine democratico, median-te il compimento di atti di violenza;

- nel sottocircuito A.S.3 è inserita, infine, la popola-zione detenuta ai sensi della cit. circolare n. 20 del9.1.2007 nonché coloro che hanno rivestito ruoli dicapi, promotori, dirigenti, organizzatori e finanzia-

tori nelle fattispecie di cui all’art. 74 D.P.R. 309/90e 291 quater D.P.R. 43/73. Invece, per quantoriguarda coloro che hanno rivestito ruoli marginalinell’ambito delle suddette fattispecie di reato, non èritenuto più coerente con le finalità del circuito altasicurezza continuare a mantenerli nel suddetto sot-tocircuito A.S.3, ma si prevede espressamente ladestinazione di tali soggetti al circuito di mediasicurezza, seguendo la procedura prevista dalla sud-detta circolare in tema di declassificazione.

Come emerge dalla disamina delle circolari innanzicitate, le modalità custodiali, definite in conseguenzadell’istituzione dei circuiti penitenziari, sono statemodellate sulle esigenze dell’alta sicurezza, le cuinorme di assegnazione e di gestione sono state piùvolte analiticamente dettagliate, mentre nessuna normaspecifica sulle modalità di gestione è stata invece det-tata sul c.d. circuito di media sicurezza, sin dalla suaintroduzione avvenuta nel 1993. Su tale presuppostol’Amministrazione è da ultimo intervenuta emanandola recente Circolare DAP n. 0206745 del 30 maggio2012 che, sviluppando il percorso già intrapreso dallaprecedente Circolare del 25 novembre 2011 ha dispostola creazione di circuiti regionali ex art. 115 D.P.R.230/2000, in cui la media sicurezza si caratterizzi perun regime detentivo che preveda modalità custodialimeno rigide e un progressivo aumento ed ampliamentodegli spazi e del tempo utilizzabili dai detenuti, per losvolgimento di attività trattamentali, destinando ovepossibile un istituto o un’intera sezione di questo total-mente a “regime aperto”. Si tratta dunque di un “altro”modo di fare sorveglianza che sposta l’ago della bilan-cia dal controllo fisico ed asfissiante del soggettoristretto ad una sorveglianza c.d. “dinamica” che cioèpone alla base della sua funzionalità non solo l’aspettogiuridico-delinquenziale ma, innanzitutto, la “cono-scenza” della persona detenuta, con riferimento alla suapersonalità e specificità caratteriale e di relazione.

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La truffa è uno dei reati maggiormente denuncia-ti dalle Forze di Polizia all’Autorità Giudiziariache ne hanno rilevato un aumento esponenziale

negli ultimi vent’anni: su 100.000 abitanti si è infattipassati dalle 62 truffe del 1992 alle 159 del 2010 senzacontare che, secondo gli ultimi aggiornamenti Istat, letruffe sono aumentate dal 2000 del 113,4% solo nelMezzogiorno1.La truffa, già rilevante da un punto di vista quantitati-vo, assume rilevanza qualitativa per la molteplicitàdegli aspetti giuridici, sostanziali e processuali, che siprospettano all’attenzione dei soggetti del processopenale quando si configura come truffa aggravata di cuiall’art. 640 cpv e 640 bis codice penale.

Art. 640 cpv n. 1 c.p.Il capoverso dell’art. 640 c.p. ai numeri 1), 2) e 2 bis)prevede e disciplina tre circostanze aggravanti c.d.oggettive che determinano un aumento della pena baseche passa da uno a cinque anni di reclusione e multa da309 euro a 1.549 euro.Si parla di circostanze aggravanti oggettive poiché sitratta di circostanze che riguardano o le modalità del-l’azione o le qualità del soggetto passivo.La prima circostanza aggravante di cui al n. 1 ricorre «seil fatto è commesso a danno dello Stato o di un altro entepubblico» (c.d. truffa in danno dello Stato) ed è un’ag-gravante ad effetto speciale in quanto la legge determinala misura della pena entro una nuova cornice edittale inmodo indipendente da quella ordinaria del reato2. Tale aggravante è stata concepita dal Legislatore nel-l’ottica di apprestare una tutela rafforzata al patrimoniodella p.a. e presuppone che lo Stato (o l’ente pubblico3)assuma le vesti del soggetto direttamente danneggiatodal fatto costituente reato a nulla rilevando, invece, ildestinatario diretto della condotta d’inganno.Si deve precisare che nella nozione di ente pubblicorientra anche l’ente pubblico economico anche se non

dotato dei poteri d’imperio della p.a. stante il riferimen-to della circostanza aggravante agli enti pubblici ingenere senza distinzione alcuna tra enti pubblici econo-mici ed altri enti pubblici, ad esclusione degli enti ori-ginariamente pubblici ma successivamente privatizzaticome Enel, Eni, Telecom.Enti pubblici sono anche le Aziende speciali istituitedai Comuni per la gestione dei servizi pubblici costitui-te in particolare per la gestione di servizi pubblici eco-nomici ai sensi degli artt. 22 e 23 L. n. 142/1990.Sulla nozione di ente pubblico sono recentementeintervenute anche le Sezioni Unite della Suprema Cortedi Cassazione con la sentenza n. 6773 del 12.2.2014 lequali hanno ulteriormente chiarito che “Ai fini dellasussistenza della circostanza aggravante di cui all’art.640, comma secondo, n 1, cod. pen. può parlarsi dinatura pubblicistica dell’ente concessionario se siaccerta che l’affidamento da parte di un ente pubblicoad un soggetto esterno, da esso controllato, dellagestione di un servizio pubblico, integra una relazioneincentrata sull’inserimento del soggetto medesimo nel-l’organizzazione funzionale dell’ente pubblico, inmodo che la società concessionaria si configuri comeorgano indiretto della p.a.. Ne consegue che, atteso ilrapporto strumentale tra enti, non potrebbe parlarsi didanno all’ente partecipante quale mero effetto riflessodella partecipazione societaria”.Non è invece configurabile l’aggravante in parola conriferimento ad una società per azioni incaricata dellagestione dei servizi comunali in quanto la natura even-tualmente pubblica del servizio prestato assume rilievoesclusivamente ai fini della qualifica dei soggetti agen-ti secondo la concezione funzionale oggettiva accoltadagli artt. 357 e 358 c.p.4 ma non rileva ai fini dellanatura pubblicistica dell’ente.La seconda aggravante di cui al n.1 ricorre qualora ilfatto sia commesso «con il pretesto di far esoneraretaluno dal servizio militare».

La truffa aggravata: profili processuali, giurisprudenziali erapporto con reati aventi struttura analogaRoberta MencarelliAvvocato del Foro di Roma

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In merito, è necessario specificare che deve trattarsi diun mero pretesto e che l’agente non deve aver fattonulla per ottenere l’esonero, totale o temporaneo, altri-menti troverà applicazione la normativa speciale sugliillegittimi esoneri dal servizio militare o, in caso diaccordo col pubblico ufficiale, si configurerà il delittodi corruzione. Tale aggravante sussiste anche nell’ipotesi in cui il sog-getto passivo aveva diritto all’esonero essendo suffi-ciente che l’agente dissimuli il suo vero propositofacendo falsamente credere di potersi efficacementeadoperare per far conseguire alla vittima l’esonero spe-rato anche se questi ignori di avervi diritto per le suecondizioni fisiche o familiari o per altro motivo.L’aggravante non trova invece applicazione nel caso incui il raggiro sia stato posto in essere dall’agente dopol’esonero del soggetto passivo dal servizio militare.Ciò posto, si deve tuttavia osservare che, la circostanzade qua, da sempre caratterizzatasi per la sua scarsa appli-cazione, è divenuta addirittura anacronistica nel momen-to in cui è venuto meno l’obbligo della leva militare aisensi dell’art. 7 D.Lgs. 8.5.2001 n. 215 e si potrebbeconsiderare attuale soltanto nel caso in cui si ritenga chel’esonero riguardi anche un servizio volontario e, quindi,il caso di fine anticipata della ferma volontaria.

Art. 640 cpv n. 2 c.p.Il numero 2 del comma 2 dell’art. 640 c.p., a sua volta,prevede due distinte circostanze aggravanti. La prima ricorre nei casi in cui «il fatto è commessoingenerando nella persona offesa il timore di un peri-colo immaginario». Posto che per pericolo immaginario deve intendersitutto ciò che è effetto dell’immaginazione ed esiste soloin essa senza alcun fondamento della realtà, si ritieneche la ratio dell’aggravante in oggetto risieda nellanatura particolarmente insidiosa de facto di chi fa per-cepire all’offeso un timore di un pericolo che non sus-siste specie perché il più delle volte costui versa in unasituazione psicologica più debole rispetto all’agente. La seconda aggravante ricorre nei casi in cui «il fattosia commesso ingenerando nella persona offesa l’erro-neo convincimento di dover eseguire un ordine dell’Au-torità». Tanto con riferimento alla prima che alla seconda sipone la necessità di operare una distinzione rispetto al

reato di estorsione.Quanto alla prima aggravante, si osserva che il criteriodistintivo tra il reato di truffa commesso ingenerandonella persona offesa il timore di un pericolo immagina-rio e il reato di estorsione va individuato, così comepacificamente ammesso in giurisprudenza5, nel diversoatteggiamento psicologico dei soggetti passivi nel sot-tomettersi all’ingiusto danno.Ed infatti, mentre il reato di truffa sussiste se il maleminacciato viene ventilato come possibile ed eventualee comunque non proveniente direttamente o indiretta-mente da chi lo prospetta, con la conseguenza che lapersona offesa si determina perché tratta in errore dal-l’esposizione di un pericolo inesistente, il delitto diestorsione si ha quando il colpevole incute da solo ocon altri il timore di un pericolo che fa apparire certo eproveniente da lui stesso o da altra persona a lui legatada un qualunque rapporto, di tal ché la persona offesaviene posta di fronte all’alternativa di adempiere all’il-lecita richiesta o di subire il male minacciato.In merito invece alla distinzione tra la seconda aggra-vante di cui all’art. 640 c. 2 n. 2) c.p. e l’estorsione, sirileva che, a differenza dell’estorsione, nella circostan-za aggravante in oggetto, l’ordine dell’Autorità non èprospettato come dipendente dalla volontà o dal fattodell’agente, con la conseguenza che rimane in capo alsoggetto passivo l’illusione di agire liberamente pur sela sua conoscenza è in realtà viziata dall’errore nelquale è stato indotto. Lo stesso criterio varrà a distinguere la truffa aggrava-ta dalla concussione nel caso in cui l’agente sia un pub-blico ufficiale o incaricato di un pubblico servizio.

Art. 640 n. 2 bis c.p.Infine, il numero 2 bis, introdotto con l’art. 3, 28° co.,L. 15.7.2009, n. 94, ha previsto l’aggravante comunedella c.d. minorata difesa, ossia l’avere profittato di cir-costanze di tempo, di luogo e di persona, anche in rife-rimento all’età, tali da ostacolare la pubblica o privatadifesa (art. 61, n. 5 c.p.).Trattasi di un’aggravante speciale e ad effetto specialedel delitto di truffa che determina un inasprimento dellarisposta sanzionatoria anche dal punto di vista dellaapplicabilità della disciplina dettata dall’art. 63, c. 3 e 4in caso di concorso di circostanze.Ed infatti l’art. 63 c. 3 c.p. prevede che “Quando per

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una circostanza la legge stabilisce una pena di speciediversa da quella ordinaria del reato o si tratta di cir-costanza ad effetto speciale, l’aumento o la diminuzio-ne per le altre circostanze non opera sulla pena ordina-ria del reato, ma sulla pena stabilita per la circostanzaanzidetta. Sono circostanze ad effetto speciale quelleche importano un aumento o una diminuzione dellapena superiore ad un terzo”.Ed il c. 4 “Se concorrono più circostanze aggravantitra quelle indicate nel secondo capoverso di questoarticolo, si applica soltanto la pena stabilita per la cir-costanza più grave; ma il giudice può aumentarla”.La ratio di tale scelta normativa è da cogliere nellavolontà legislativa di rafforzare la tutela dei soggettipiù deboli stante anche e soprattutto il gran numero ditruffe perpetrate a danno di soggetti anziani.

Art. 640 bis c.p.L’art. 640 bis c.p. rubricato “truffa aggravata per il con-seguimento di erogazioni pubbliche” prevede che «lapena è della reclusione da uno a sei anni e si proceded’ufficio se il fatto di cui all’articolo 640 riguarda con-tributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altre ero-gazioni dello stesso tipo, comunque denominate, con-cessi o erogati da parte dello Stato, di altri enti pubbli-ci o delle Comunità europee».Tale norma è stata inserita dall’art. 22 della Legge 19marzo 1990, n. 55 (“Nuove disposizioni per la preven-zione della delinquenza di tipo mafioso e di altre graviforme di manifestazione di pericolosità sociale”) perrispondere alla diffusa preoccupazione, segnalata inambienti giudiziari e accademici, circa l’insufficienzadelle fattispecie incriminatrici comuni (mendacio ban-cario ex art. 95 l. n. 141/1938, falso in bilancio, ricorsoabusivo al credito ex art. 218 l. fall. e la truffa di cuiall’art. 640 c.p.) di far fronte all’ampliarsi del fenome-no della captazione fraudolenta di sovvenzioni pubbli-che, nazionali e comunitarie6. E sempre nella stessa ottica, il Legislatore ha introdot-to con la Legge 26 aprile 1990, n. 86 anche la malver-sazione ai danni dello Stato (art. 316 bis c.p.).In tal modo il nostro Legislatore del 1990 ha volutooffrire una tutela penale agli interessi finanziari delloStato e della Comunità Europea incriminando sia lafraudolenta captazione sia la indebita utilizzazionedelle sovvenzioni e dei contributi erogati, in attuazione

della politica economica comunitaria e nazionale, alfine non soltanto di adempiere agli impegni che gliderivavano dai trattati europei (articoli 5 e 280 delTrattato di Roma, così come modificato dal Trattato diAmsterdam), ma anche per rispondere alle pressionidei partners comunitari, preoccupati del dilagare di talitipi di frodi e del coinvolgimento crescente in questapratica della criminalità organizzata.Tuttavia, tale fattispecie ha visto sollevarsi un acceso di-battito in merito alla sua natura fin dalla sua introduzione.Ci si chiedeva cioè se la stessa configurasse una circo-stanza aggravante della truffa o fosse al contrario unafattispecie autonoma di reato.Il dibattito ha visto l’intervento delle Sezioni Unitedella Suprema Corte attesa la notevole rilevanza prati-ca della questione.Ed infatti, configurare in termini di reato autonomo o dicircostanza aggravante la fattispecie dell’art. 640 bisc.p. rileva in ordine alla esperibilità o meno del giudiziodi bilanciamento delle circostanze che, ai sensi dell’art.69 c.p., può essere effettuato in caso di concorso tra cir-costanze aggravanti e circostanze attenuanti ed influiscecosì sulla determinazione della pena. La distinzione assume rilievo, seppure meno importan-te, anche agli effetti del concorso di persone nel reato,applicandosi gli artt. 116 e 117 ovvero l’art. 118 c.p., aseconda che si adotti l’una o l’altra opzione.Molteplici erano gli elementi che la dottrina richiama-va a sostegno dell’una e dell’altra tesi7.In favore della configurabilità della fattispecie de quaquale circostanza aggravante militavano due elementi:la rubrica dell’articolo 640 bis c.p. (“truffa aggrava-ta…”) e il richiamo esplicito operato dallo stesso arti-colo al fatto descritto dall’art. 640 c.p.. Secondo questa impostazione, pertanto, la truffa aggra-vata sarebbe costituita dagli stessi elementi della truffa(identità della struttura della condotta e dell’evento),fatta salva la specialità inerente all’oggetto della frodeche consiste in «contributi, finanziamenti, mutui age-volati ovvero altre erogazione dello stesso tipo».A favore invece della configurabilità in termini di fatti-specie autonoma di reato venivano addotti i seguentielementi: - la collocazione della presunta circostanza fuori dal

luogo “naturale” della aggravanti di truffa che è,come sopra illustrato, il capoverso dell’art. 640 c.p.;

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- l’autonomia assoluta dell’entità della sanzione rispet-to a quelle previste anche per le ipotesi aggravate;

- l’inutile (nel caso fosse, appunto, una circostanzaaggravante) previsione esplicita della procedibilitàd’ufficio, sulla base del contenuto dell’ultimocomma dell’art. 640 c.p.;

- l’inconciliabilità con la lettera dell’art. 6 D.L. n.152/1991 secondo cui, se il fatto è commesso dasoggetto sottoposto a misura di prevenzione, la pena«per il reato di cui all’art. 640 bis c.p.» è aggravata(è discutibile che si possa configurare l’aggravantedi un’aggravante).

Anche la giurisprudenza non era univoca.Prima della pronuncia con cui le Sezioni Unite hannorisolto il dibattito infatti, nelle diverse Sezioni della Cortedi Cassazione si era consolidato un indirizzo giurispru-denziale maggioritario (Cassazione Sezione II n.11582/1998; n. 11077/2000; n. 2286/1999; n. 4240/1999)che riteneva la truffa relativa ad erogazioni pubbliche fat-tispecie autonoma di reato8, mentre minoritaria (Cass.Sez. II n. 4731/2000) risultava l’opzione giurisprudenzia-le che configurava la nuova fattispecie come circostanzaaggravante9.Sicché, con sentenza del 10 luglio 2002, n. 26351 delleSezioni Unite della Corte di Cassazione, il dibattitoveniva definitivamente risolto con il riconoscimentodella natura di circostanza aggravante della fattispecieprevista dall’art. 640 bis c.p..Nella citata sentenza, le Sezione Unite hanno indivi-duato, nel criterio strutturale della descrizione del pre-cetto penale, il criterio da seguire per accertare lavolontà legislativa in ordine alla qualificazione circo-stanziale o costitutiva della fattispecie di cui all’art.640 bis c.p. «Nel caso dell’art. 640 bis la fattispecie èdescritta attraverso il rinvio al fatto-reato previsto nel-l’art. 640, seppure con l’integrazione di un oggettomateriale specifico della condotta truffaldina e delladisposizione patrimoniale (le erogazioni da parte delloStato, delle Comunità europee o di altri enti pubbli-ci).Una siffatta struttura della norma incriminatriceindica la volontà di configurare soltanto una circostan-za aggravante del delitto di truffa. […] È proprio lastruttura della fattispecie penale di cui all’art. 640 bis,definita da un lato attraverso il richiamo degli elemen-ti essenziali del delitto di truffa di cui all’art. 640 (arti-fici o raggiri, induzione in errore con conseguente

disposizione patrimoniale, ingiusto profitto per l’agen-te o per altri, danno del soggetto passivo) e dall’altrocon l’introduzione di un elemento specifico (erogazionipubbliche) che è estraneo alla struttura essenzialedella truffa, a denotare la inequivoca volontà legislati-va di configurare una circostanza aggravante e non undiverso titolo di reato. La descrizione della fattispecie,insomma, non immuta gli elementi essenziali del delit-to di truffa, né quelli materiali né quelli psicologici, maintroduce soltanto un oggetto materiale specifico – tra-dizionalmente qualificato come accidentale e cioè cir-costanziale – laddove prevede che la condotta truffal-dina dell’agente e la disposizione patrimoniale dell’en-te pubblico riguardino contributi, finanziamenti, mutuiagevolati ovvero altre erogazioni dello stesso tipo. Trareato-base e reato circostanziato intercorre quindi unrapporto di specialità unilaterale, per specificazione oper aggiunta, nel senso che il secondo include tutti glielementi essenziali del primo con la specificazione ol’aggiunta di elementi circostanziali».In definitiva, con la pronuncia in esame le SezioniUnite hanno risolto il contrasto sorto nella giurispru-denza di legittimità (a favore del riconoscimento dellanatura circostanziale della fattispecie in oggetto) met-tendo l’accento sul c.d. oggetto materiale specificodella fattispecie descritta dall’articolo 640 bis c.p.:«contributi, finanziamenti, mutui agevolati ovvero altreerogazioni dello stesso tipo»10, pur sempre tenendofermi i requisiti strutturali di cui all’art. 640 c.p..Si deve tuttavia osservare che la soluzione prospettatadalla Suprema Corte a favore della natura di circostan-za aggravante della fattispecie, si discosta dalle inten-zioni originarie del Legislatore dell’art. 640 bis c.p. cheha inserito la figura criminosa de qua nell’ambito di uncontesto normativo (la Legge 19 marzo 1990, n. 55)diretto a contrastare la delinquenza mafiosa e altre graviforme di pericolosità sociale allo scopo di colpire piùefficacemente un fenomeno delittuoso spesso, anche senon esclusivamente, legato alla criminalità organizzata.Ed invero, considerare la fattispecie di cui all’articolo640 bis c.p. come circostanza aggravante, con la conse-guente applicazione del bilanciamento delle circostan-ze eterogenee (quindi, anche circostanze attenuantigeneriche), rende di fatto vano l’intento originario delLegislatore di potenziare la risposta sanzionatoria neicasi di truffa aventi ad oggetto «contributi, finanzia-

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menti, mutui agevolati ovvero altre erogazioni dellostesso tipo, comunque denominate, concessi o erogatida parte dello Stato, di altri enti pubblici o delleComunità europee».

Rapporto tra truffa aggravata e artt. 316 bis, 316 tere art. 2 L. 898/86Risolta in termini di circostanza aggravante la querellesulla natura giuridica dell’art. 640 bis c.p., problemi sisono posti con riferimento alle molteplici interferenze trail delitto di truffa aggravata (art. 640 cpv c.p. e 640 bisc.p.) e gli altri reati aventi struttura analoga come l’inde-bita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316 terc.p.), la malversazione a danno dello Stato (art. 316 bisc.p.) e l’indebito conseguimento di sovvenzioni da partedel Fondo europeo per l’agricoltura (art. 2 L. 898/96).Con riferimento al rapporto con il reato di cui all’art. 316ter c.p. (“indebita percezione di erogazioni pubbliche”),si trattava di stabilire se gli artifici o raggiri tipicamentenecessari per l’integrazione del reato di truffa ricompren-dessero, o meno, le condotte di omissione o falsa dichia-razione descritte dall’art. 316 ter c.p. e, conseguentemen-te, di inquadrare il ruolo che tale ultima norma rivestivaall’interno dell’ordinamento penalistico in relazione allapiù severa previsione di cui all’art. 640 bis. Si deve, altresì, considerare che il reato di indebita per-cezione di erogazioni pubbliche può configurarsi, a dif-ferenza di quello di cui all’art. 640 bis c.p., anche indifetto di un’induzione in errore da parte dell’agente,ossia in quelle ipotesi in cui l’erogazione non dipendada una falsa rappresentazione dei suoi presupposti daparte dell’erogatore che si rappresenta unicamentel’esistenza della formale dichiarazione del richiedente.Secondo giurisprudenza consolidata ed oggi determi-nante (Sezioni Unite del 19 aprile 2007 n. 16568), dettorapporto deve intendersi in termini di sussidiarietà e nondi specialità, con la conseguenza che il residuale e menograve delitto disciplinato dall’art. 316 ter c.p. si confi-gurerebbe solo quando difettino gli estremi della truffa.Di tal ché, alla luce di tale orientamento, l’ambito dioperatività dell’indebita percezione di erogazioni pub-bliche rimarrebbe circoscritta a situazione del tuttomarginali.Sempre in termini di sussidiarietà è da considerare ilrapporto tra la truffa aggravata e il reato di cui all’art.316 bis c.p., ossia il reato di malversazione a danno

dello Stato.Trattasi infatti di una fattispecie criminosa che, intro-dotta dalla Legge 26 aprile 1990, n. 86 a distanza dipochissimo tempo dalla previsione di cui all’art. 640bis c.p., aveva lo specifico scopo di fornire coperturapenale a tutte quelle condotte che, interessando la fasesuccessiva alla indebita percezione del denaro pubbli-co, sarebbero rimaste fuori dal raggio di operatività delreato di truffa.Una questione peculiare è poi rappresentata dai rappor-ti tra la truffa aggravata e la fattispecie di cui all’art. 2Legge 23 dicembre 1986, n. 898, che punisce l’indebi-to conseguimento di sovvenzioni da parte del FondoEuropeo per l’Agricoltura.Sul punto, carattere decisivo ha assunto l’art. 73, Legge19 febbraio 1992, n. 142 che ha apportato un’importan-te modifica alla predetta fattispecie consistente nell’ag-giunta dell’inciso «ove il fatto non configuri il piùgrave reato previsto dall’art. 640 bis c.p.».Grazie a tale modifica infatti, il reato di cui all’art. 2 L.898/86 ha assunto carattere sussidiario rispetto al reato ditruffa aggravata che si configurerà solamente in quelleipotesi in cui al mendace comportamento o ad una qual-siasi alterazione della realtà da parte dell’agente nellosvolgimento di attività finalizzate al conseguimento delleindennità si associa un quid pluris costituito da particola-ri accorgimenti o speciali astuzie capaci di elidere lecomuni e normali possibilità di controllo degli organiamministrativi preposti, tali da integrare l’elementooggettivo della truffa ovvero l’artifizio o il raggiro.A tal proposito, si deve infatti considerare che, tutelan-do il reato di frode comunitaria un grado inferiore delmedesimo interesse tutelato dalla norma portante, que-st’ultima assorbe in sé l’oggetto giuridico della normasussidiaria. In tal senso numerose sono le conferme giurispruden-ziali: Cass. Sez. II n. 7280 del 24.7.1997 secondo cui“l’indebito conseguimento di contributi comunitarimediante la mera esposizione di dati e notizie falsi èsanzionabile dall’art. 2 L. 898/86 allorché il soggettosi sia limitato semplicemente ad una esposizione men-zognera di dati e notizie e non quando alle false dichia-razioni si accompagnino diversi ed ulteriori artifizi eraggiri che integrano invece la truffa aggravata” eancora Cass. n. 4569/1998 e n. 11076/1999 “Ricorrre ilreato di truffa aggravata quando le condotte relative

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alla semplice esposizione di dati e notizie false sonocongiunte a malizie ulteriori quali simulazione di com-pravendita, trasporti inesistenti con relative bolle diaccompagnamento e fatture che attengono ad opera-zioni commerciali inesistenti dirette all’induzione inerrore del soggetto passivo onde conseguire indebita-mente aiuti comunitari”.Alla luce di quanto illustrato, pertanto, posto che in alcunmodo può ammettersi la configurabilità di un concorsotra la truffa aggravata e i reati che, come visto, hanno,rispetto a quest’ultima, natura sussidiaria e residuale, siparlerà in questi casi di concorso apparente di norme inquanto il confluire di più norme incriminatrici nei con-fronti di un medesimo fatto non è reale con la conseguen-za che, in luogo di configurarsi un concorso di reati, si haunicità di reato essendo una sola la norma incriminatriceveramente applicabile all’ipotesi di specie.

Rapporto tra truffa aggravata e frode fiscaleHa suscitato un vivo interesse in giurisprudenza ancheil tema del concorso della truffa aggravata con la frodefiscale. Sul rapporto tra l’art. 640 bis c.p. e la frode fiscale, èintervenuta la Corte di Cassazione dapprima con la sen-tenza n. 34546/2009 successivamente confermata dallasent. Sezione Unite n. 1235/2010 la quale ha sancito che“il delitto di frode fiscale può concorrere attesa l’evi-dente diversità del bene giuridico protetto con quello ditruffa comunitaria purché allo specifico dolo di evasio-ne si affianchi una distinta ed autonoma finalità extra-tributaria non perseguita dall’agente in via esclusiva”.Rilevante è stato il contrasto giurisprudenziale, risoltosempre con la pronuncia a Sezioni Unite della SupremaCorte di Cassazione (sentenza 28 ottobre 2010, n.1235), sulla questione concernente la configurabilità omeno di un concorso tra i reati di frode fiscale (artt. 2 e8 del D.Lgs. n. 74/2000) e di truffa aggravata ai dannidello Stato (art. 640, co. 2, n.1, c.p.). In merito, un primo orientamento riconosceva un rap-porto di specialità tra la truffa aggravata e i reati difrode fiscale (artt. 2 e 8 D.Lgs. n. 74/2000) e conclude-va nel senso che l’unica fattispecie che può formareoggetto di contestazione è quella prevista dalla discipli-na tributaria. Un secondo orientamento giurisprudenziale, invece,facendo leva sull’operatività del principio di consunzio-

ne (o assorbimento) per il quale è sufficiente l’unità nor-mativa del fatto (desumibile dall’omogeneità tra i finidei due precetti) ai fini dell’assorbimento dell’ipotesimeno grave in quella più grave, escludeva che tra le duefattispecie criminose operi il principio di specialità. Un terzo orientamento, poi, sempre escludendo un rap-porto di specialità tra i reati in questione, ammetteva ilconcorso tra loro in considerazione della eterogeneitàdelle fattispecie sia rispetto al bene giuridico tutelatoche rispetto alle modalità di consumazione, non occor-rendo per la frode fiscale l’induzione in errore dellaamministrazione finanziaria né l’ingiusto profitto, chesono invece elementi costitutivi della truffa. Questo terzo orientamento consentiva nella prassi diapplicare il sequestro preventivo per equivalente tantonei confronti delle persone sottoposte ad indagini inforza dell’art. 640 c.p. quanto nei confronti degli entiper gli illeciti amministrativi dipendenti da reato aisensi degli artt. 24 e 53 del D.Lgs. n. 231/2001.L’esistenza, infatti, di un disallineamento normativo(venuto meno in forza della Legge Finanziaria 2008che ha esteso ai reati tributari l’applicabilità della con-fisca per equivalente) precludeva l’attivazione di que-sta misura reale rispetto alle fattispecie rientranti nelD.Lgs. n. 74/2000 e, conseguentemente, alimentaval’orientamento volto a sostenere la compatibilità tra leviolazioni di frode fiscale e truffa ai danni dello Stato. Ad oggi, comunque, si deve rilevare che le disposizioniin materia penale tributaria non costituiscono reato-pre-supposto per la responsabilità amministrativa degli enti.Risolutive sono state ancora una volta le Sezioni Unitedella Cassazione che con la sentenza del 28 ottobre 2010n. 1235 hanno così argomentato: «il raffronto fra le fatti-specie astratte evidenzia che la frode fiscale è connotatada uno specifico artifizio, costituito da fatture o altridocumenti per operazioni inesistenti. Una volta chiaritoche la condotta di cui alla frode fiscale è una specie delgenere “artifizio”, non si può far leva, per affermare ladiversità dei fatti, sugli elementi danno e profitto, giacchéquesti dati fattuali di evento non possono trasformareuna tale situazione di identità ontologica dell’azione intotale diversità del fatto. […] sia l’induzione in erroreche il danno sono presenti nella condotta incriminata dalreato di frode fiscale, posto che alla presentazione di unadichiarazione non veridica si accompagna normalmenteil versamento di un minor (o di nessun) tributo e genera,

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in prima battuta e nella fase di liquidazione della dichia-razione, un’induzione in errore dell’Amministrazionefinanziaria e un danno immediato quanto meno nel sensodel ritardo nella percezione delle entrate tributarie […].Il sistema sanzionatorio in materia fiscale ha una spicca-ta specialità che lo caratterizza come un sistema chiuso eautosufficiente, all’interno del quale si esauriscono tutti iprofili degli interventi repressivi, dettando tutte le sanzio-ni penali necessarie a reprimere condotte lesive o poten-zialmente lesive dell’interesse erariale alla corretta per-cezione delle entrate fiscali», dichiarando, infine, ilseguente principio di diritto: «i reati in materia fiscale dicui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articoli2 e 8, sono speciali rispetto al delitto di truffa aggravataa danno dello Stato di cui all’articolo 640 c.p., comma 2,n. 1». Le Sezioni Unite, quindi, hanno fatto ricorso al princi-pio di specialità, a discapito di quello di consunzione,quale direttrice per dirimere la questione relativa alconcorso apparente delle norme incriminatrici di cui

all’art. 640, co. 2, n. 1 c.p. e agli artt. 2 e 8 del D.Lgs.n. 74/2000. L’unico margine riconosciuto al concorso formale direati è circoscritto all’ipotesi in cui accanto alla finali-tà tributaria si ponga, nella condotta dell’agente, unafinalità extratributaria preordinata al conseguimento dicontributi od altre sovvenzioni pubbliche: in questocaso l’alterità dei fini giustifica una sovrapposizione diimputazioni altrimenti inammissibile.Sul punto, di recente, la Corte di Cassazione, III Sez.Penale, con sentenza del 15 gennaio 2013 n. 10580, haulteriormente specificato che «il discrimen tra concor-so apparente di norme e concorso di reati non è da rav-visarsi nella tipologia di artifizi e raggiri posti in esse-re dagli indagati, bensì nel tipo di profitto che,all’agente, la condotta criminosa apporta».Profitto che, ai fini della configurabilità di un concorsodi reati, deve essere comprensivo dell’evasione fiscalema contemporaneamente ulteriore rispetto a quest’ulti-ma (profitto extratributario).

1 ISTAT, Rapporto annuale 2012 – La situ-azione del Paese, pag. 151.

2 Cfr. F. MANTOVANI, Diritto Penale,Padova, CEDAM, 2011, p. 407.

3 Per ente pubblico deve intendersi, inoltre,l’ente pubblico economico, anche se nondotato dei poteri di imperio propri dell’at-tività della p.a., purché non si tratti di enti –originariamente pubblici ma successiva-mente – privatizzati, come Enel, Eni,Telecom, ecc.. Sono, invece, da considerar-si enti pubblici le Aziende speciali comu-nali costituite per la gestione di servizi pub-blici economici ai sensi degli artt. 22 e 23L. n. 142/1990.

4 Cass. Sez. VI 5 febbraio-25 febbraio 2009n. 8392.

5 Cass. Sez. II 16 febbraio 1995 – 22 maggio1995 n. 5845, Cass. Sez. VI 12 dicembre1995 – 9 febbraio 1996 n. 4823, Cass. Sez. II6 maggio 2008 – 28 maggio 2008 n. 21537.

6 Cfr. A. CADOPPI, S. CANESTRARI, A.MANNA, M. PAPA, Trattato di diritto penale,

in I delitti contro il patrimonio, Torino, UtetGiuridica, 2011, Parte Vol. X, p. 593.

7 ARIOLLI, La truffa per il conseguimento dierogazioni pubbliche è aggravante dell’art. 640c.p., in Cass. Pen., 2002, p. 3378; BARTOLI,Truffa aggravata per conseguire erogazionipubbliche: una fattispecie davvero cir-costanziale?, in Dir. Pen. Proc., 2003, p. 302 ess., FABBRO, Truffa per il conseguimento dierogazioni pubbliche: davvero una circostanzaaggravante?, in Cass. Penn., 2003, p. 2322;Terracina, La truffa per il conseguimento dierogazioni pubbliche ed il ruolo del benegiuridico nelle fattispecie di reato, in IndicePen., 2003, p. 667 e ss.

8 Corte di Cassazione, II Sez. Penale, sen-tenza del 9 novembre 1998, n. 11582:«l’art. 640 bis c.p., al di là della non vin-colante terminologia usata nella rubricaconfigura un’ipotesi autonoma di reatorispetto alla truffa contemplata dall’art. 640c.p.»; Corte di Cassazione, II Sez. Penale,sentenza del 27 ottobre 2000, n. 11077:«l’art. 640 bis c.p. prevede una figuraautonoma di reato e non una circostanza

aggravante del delitto di truffa di cui all’art.640 c.p.»; Corte di Cassazione, I Sez.Penale, sentenza del 12 maggio 1999, n.2286; Corte di Cassazione, I Sez. Penale,sentenza del 8 giugno 1999, n. 4240.

9 Corte di Cassazione, II Sez. Penale, sen-tenza del 17 aprile 2000, n. 4731: «l’artico-lo 640 bis c.p. prevede una circostanzaaggravante del delitto di truffa di cui all’ar-ticolo 640 c.p. e non una figura autonoma direato, con la conseguenza che, ove siariconosciute sussistenti anche circostanzeattenuanti è consentito al Giudice effettuareil giudizio di comparazione tra gli elementiaccessori di segno diverso».

10 Cfr. S. CANESTRANI, A. GAMBERINI, G.INSOLERA, N. MAZZACUVA, F. SGUBBI, L.STORTONI, F. TAGLIARINI, Diritto Penale –Lineamenti di parte speciale, Bologna,Monduzzi Editore, 2003, p. 546. “Le S.U.della Cassazione con sentenza 10 luglio 2002hanno attribuito rilevanza decisiva a criteriformali probanti, tra i quali, appunto, la for-mulazione della fattispecie mediante rinvio”.

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1.Poteri processuali dell’organo giurisdizio-nale e pronunce adottabili dal Giudice Le disposizioni normative in commento, come

rilevato, recano disposizioni peculiari tese a predispor-re una disciplina processuale in riferimento ad unasituazione sostanziale connotata da specialità ed amatrice collettivistica.La peculiarità della disciplina in parola, in particolare,assurge ad un’evidenza netta laddove il legislatore haregolamentato la scansione procedurale.Al riguardo, infatti, il ridetto art. 140 bis cod. cons., alcomma 11, stabilisce che “Con l’ordinanza con cuiammette l’azione il tribunale determina altresì il corsodella procedura assicurando, nel rispetto del contrad-dittorio, l’equa, efficace e sollecita gestione del proces-so. Con la stessa o con successiva ordinanza, modifica-bile o revocabile in ogni tempo, il tribunale prescrive le

misure atte a evitare indebite ripetizioni o complicazio-ni nella presentazione di prove o argomenti; onera leparti della pubblicità ritenuta necessaria a tutela degliaderenti; regola nel modo che ritiene più opportunol’istruzione probatoria e disciplina ogni altra questio-ne di rito, omessa ogni formalità non essenziale al con-traddittorio”.Il corso della procedura, dunque, non è prestabilito dallanorma – come avviene, invece, per il rito ordinario, aisensi dell’art. 183 c.p.c. o per il rito cautelare ex artt.669 bis e ss. c.p.c. – ma demandato ad una valutazionediscrezionale dell’organo giudicante che, a tale proposi-to, dovrà, naturalmente, rispettare l’ineludibile principiodel contraddittorio, per altro a rilievo costituzionale.Una siffatta potestà discrezionale del giudice – pervasi-va dell’intero disposto normativo in parola ed idonea apredisporre un intenso potere valutativo in capo allo

Profili generali relativi alla tutela del consumatoreed azione di classeParte II

Alessandro NicodemiAvvocato, Dottorando di Ricerca “Consumatori e Mercato-area giuridica” Università degli Studi Roma Tre (XXVII ciclo)

Il contributo reso ha affrontato – nella sua prima parte, già pubblicata – taluni profili generali relativi alla mate-ria consumeristica, soffermandosi dapprima sulle istanze socio-economiche poste alla base della relativa legisla-zione per poi analizzare alcuni elementi pregnanti della disciplina di riferimento quali, in particolare, le clauso-le vessatorie, la tutela amministrativa ad esse correlata e l’azione di classe. In questa seconda parte, si continuaad analizzare l’azione di classe: istituto che – mutuato da altri ordinamenti ed apparentemente idoneo al contra-sto delle condotte illecite poste in essere dagli operatori del mercato – allo stato sembra ancora caratterizzato dauna ridotta effettualità

Sommario Prima Parte: 1. – La tutela del consumatore in ambito comunitario e domestico: nozione ed evolu-zione storica; 2. – Uno sguardo generale al Codice del Consumo: clausole vessatorie ed altri elementi di rilievo;3. – La tutela amministrativa del consumatore introdotta dal D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modifi-cazioni, dalla L. 24 marzo 2012, n. 27; 4. – La disciplina italiana della class action: la genesi ed i confronti con irimedi preesistenti; 5. – I diritti tutelabili mediante l’azione di classe: struttura dell’illecito e danno risarcibile; 6.– Cenni di diritto comparato in materia di azione di classe; 7. – Le peculiarità processuali dell’azione di classe.

Sommario Seconda Parte: 1. – Poteri processuali dell’organo giurisdizionale e pronunce adottabili dal Giudice;2. – La legittimazione all’azione di classe; 3. – Il giudizio di ammissibilità nella class action; 4. – Le pronuncesull’ammissibilità del giudizio; 5. – Adesione ed intervento nell’art. 140 bis del Codice del Consumo; 6. – Le ipo-tesi emerse nella prassi giudiziaria: peculiarità delle singole fattispecie ed analisi correlata.

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stesso giudicante – è strumentale ad assicurare un pro-cesso celere ed equo e, al tempo stesso, a demandareogni determinazione di natura processuale alla concre-tezza della situazione di volta in volta rilevante.L’intero comma 11 dell’art. 140 bis, in altri termini èinteramente parametrato su una situazione giudizialerisarcitoria a valenza collettivistica laddove, non poten-do essere applicate le regole ordinarie – predisposte pergiustiziare illeciti a rilievo individuale – è stato deman-data all’organo giurisdizionale la determinazione delcorso della procedura in relazione alle necessità di pub-blicità (coessenziali all’azione in parola) e a quelle pro-batorie (da non complicarsi né ripetersi, rilevando unapluralità di attori), pur nel rispetto di esigenze di cele-rità, equità e di rispetto del contraddittorio.Le menzionate caratteristiche dell’azione di classe, poi,incidono in termini assolutamente rilevanti non soltan-to sulla procedura, ma anche sul tipo di pronunce che ilgiudice è facoltizzato ad emettere.Relativamente all’esito decisionale dell’azione di clas-se, in dottrina1 è stato osservato che con la novella del2009 (L. 23 luglio 2009, n. 99), si è voluto in primoluogo introdurre uno strumento di tutela di immediatanatura risarcitoria volta a compensare i pregiudizi sof-ferti dai singoli e quindi condannare l’impresa al risar-cimento per l’ingiusto profitto che ha realizzato; ciò adifferenza del modello originario disegnato dall’art.140 bis cod. cons., nel quale il Tribunale nel caso diaccoglimento della domanda attrice si limitava a deter-minare i criteri omogenei di calcolo per la liquidazione,in separato giudizio, delle somme da corrispondere aisingoli consumatori o utenti che avevano aderitoall’azione collettiva, lasciando aperta la questione circala quantificazione dei diritti dei singoli. Il Tribunale,ma solo se ciò fosse stato possibile allo stato degli attidi causa, poteva al limite determinare la somma mini-ma da corrispondere a ciascun consumatore o utente.Il legislatore della riforma ha quindi inciso fortementenella fase decisoria del giudizio prevedendo espressa-mente al 12° co. dell’art. 140 bis cod. cons., che «seaccoglie la domanda, il Tribunale pronuncia sentenzadi condanna con cui liquida, ai sensi dell’art. 1226c.c., le somme definitive dovute a coloro che hannoaderito all’azione o stabilisce il criterio omogeneo dicalcolo per la loro liquidazione».Attraverso la nuova azione di classe si rafforza l’ob-

biettivo di realizzare strumenti di economia processua-le e di uniformità decisoria all’interno di un processosuscettibile di risolvere potenzialmente un numeroindefinito di posizioni individuali.Il novellato art. 140 bis cod. cons. si muove infatti nelladirezione della aggregazione ab initio delle molteplicipretese individuali, presentando, come oggetto del pro-cesso, un accertamento completo della pretesa risarci-toria, sia in ordine all’an che al quantum del dovuto.Guardando alla disciplina concreta, l’art. 140 bis cod.cons., al comma 12, recita così: “Se accoglie la doman-da, il tribunale pronuncia sentenza di condanna concui liquida, ai sensi dell’articolo 1226 del codice civi-le, le somme definitive dovute a coloro che hanno ade-rito all’azione o stabilisce il criterio omogeneo di cal-colo per la liquidazione di dette somme. In questo ulti-mo caso il giudice assegna alle parti un termine, nonsuperiore a novanta giorni, per addivenire ad unaccordo sulla liquidazione del danno. Il processo ver-bale dell’accordo, sottoscritto dalle parti e dal giudice,costituisce titolo esecutivo. Scaduto il termine senzache l’accordo sia stato raggiunto, il giudice, su istanzadi almeno una delle parti, liquida le somme dovute aisingoli aderenti. In caso di accoglimento di un’azionedi classe proposta nei confronti di gestori di servizipubblici o di pubblica utilità, il tribunale tiene conto diquanto riconosciuto in favore degli utenti e dei consu-matori danneggiati nelle relative carte dei servizi even-tualmente emanate”.Il giudicante, dunque, potrà determinare gli importirisarcitori alla stregua di un criterio equitativo, ai sensidell’art. 1226 c.c. laddove il danno non possa esseredeterminato nel suo preciso ammontare oppure sullascorta di un criterio omogeneo di calcolo utile allaliquidazione delle somme, ma, evidentemente, a carat-tere generale od astratto, rimanendo la concreta indivi-duazione degli importi demandata al successivo accor-do delle parti o, in sua mancanza, alla determinazionedel giudice stesso.La norma, come si vede, menziona dapprima la possi-bilità di valutazione del danno alla stregua di un crite-rio equitativo; una siffatta disposizione si giustificasulla scorta del rilievo plurimo o collettivistico dei fattida giustiziare: ove dovesse individuarsi specificamenteil danno subito da ciascuno, la relativa istruttoria sareb-be oltremodo articolata e l’azione collettiva non verreb-

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be mai a conclusione; per tale motivo, ove i danni indi-viduali non siano concretamente determinabili, il giudi-ce potrà decidere in via equitativa ai sensi dell’art.1226 c.c.In ordine alla possibilità di determinare il danno ex art.1226 c.c., è comunque pacifico che tale strumento nonvale ad alleggerire la prova del danno e della sua con-sistenza, quanto meramente la sua quantificazione2.Per altro, la liquidazione ex art. 1226 c.c. dovrà esseredebitamente motivata in sentenza così da non assume-re una connotazione personalistica e consentire laconoscibilità dell’iter logico-giuridico seguito dal giu-dice, necessariamente ispirata a criteri di razionalità enon arbitrarietà3.Per il caso in cui, invece, sussista la possibilità di deter-minare i danni e, dunque, non si renda necessario ricor-rere ad un criterio equitativo, ai sensi dell’art. 1226c.c., allora il giudice provvederà ad individuare un cri-terio omogeneo di calcolo, utile a tale riguardo.Il carattere astratto o generico di tale criterio viene evi-denziato nel prosieguo della norma laddove, deman-dandosi ad un possibile accordo delle parti la determi-nazione concreta degli importi risarcitori, si rende evi-dente come l’indicazione del giudice rimanga aspecifi-ca, così da consentire alle parti di disporre degli inte-ressi in gioco e da evitare loro una decisione impostadall’Autorità giudiziaria, sempre capace di scontentarele parti processuali (sicuramente quella soccombente).La possibilità di un accordo sulla liquidazione deldanno potrà consentire all’azienda di “autodetermina-re” gli importi risarcitori, nei limiti dei propri vincoli dibilancio, all’ovvia condizione che una siffatta determi-nazione sia considerata dai danneggiati satisfattiva oragionevolmente non inferiore a quanto potrebbe esse-re liquidato dal giudice: entrambe le parti, come detto,hanno interesse ad addivenire ad un accordo accettabi-le piuttosto che esporsi al rischio di una valutazioneterza, potenzialmente dirompente per il professionista onon soddisfacente per i consumatori.In ordine all’ultimo periodo della norma in parola –secondo cui in caso di accoglimento di un’azione diclasse proposta nei confronti di gestori di servizi pub-blici o di pubblica utilità, il Tribunale tiene conto diquanto riconosciuto in favore degli utenti e dei consu-matori danneggiati nelle relative Carte dei servizi even-tualmente emanate – giova precisare che la valutazione

giurisdizionale, naturalmente, non rimane vincolata daquanto stabilito nelle Carte dei servizi (per altro, emes-se dagli stessi soggetti erogatori dei servizi ex art. 2,comma 12, lett. p), L. 481/95 ), posto che le relativeindicazioni costituiranno per il giudice un criterio divalutazione da cui lo stesso potrà discostarsi ove nonconsiderato congruo.

2. La legittimazione all’azione di classeIn ordine alla legittimazione all’esercizio dell’azione diclasse, la norma, al comma 1 del menzionato art. 140bis cod. cons. stabilisce che “…ciascun componentedella classe, anche mediante associazioni cui dà man-dato o comitati cui partecipa, può agire per l’accerta-mento della responsabilità e per la condanna al risar-cimento del danno e alle restituzioni”.Al capoverso del successivo comma 6 della stessanorma, poi, si stabilisce che “La domanda è dichiaratainammissibile quando… [omissis] il proponente nonappare in grado di curare adeguatamente l’interessedella classe”.Le disposizioni legislative riportate rendono evidentecome la legittimazione ad esperire l’azione de quaabbia una connotazione diffusa, risiedendo in capo aciascun consumatore che sia interessato dai fatti danno-si che danno la stura alle rivendicazioni risarcitoriedella classe.In ordine a tale punto, in giurisprudenza è stato rileva-to che l’attore per potersi legittimare deve essere primadi tutto titolare, in proprio e personalmente, del dirittoindividuale che caratterizza la classe che intende rap-presentare. Di conseguenza la legittimazione attiva nonè regolata in termini diversi da quelli propri di qualun-que altra azione. In altre parole non sussiste la legitti-mazione perché il proponente intende rappresentare gliinteressi della classe, ma perché il suo interesse coinci-de con quello della classe, essendo egli portatore delmedesimo diritto individuale omogeneo di cui sonotitolari gli appartenenti alla classe4.In ogni caso, l’ampiezza della legittimazione attiva inparola sembra strumentale al favor legislativo accordatoall’azione collettiva così da sollecitare o dare adeguatoimpulso all’utilizzo del relativo strumento giudiziario.Al riguardo, infatti, il legislatore avrebbe potuto – sulcrinale delle opzioni teoricamente adottabili – conferi-re la legittimazione all’azione di classe ad associazioni

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che fossero adeguatamente rappresentative della classedei consumatori (per un raffronto in ordine a problema-tiche che possono apparire analoghe, si veda l’art. 28dello Statuto dei lavoratori ove il profilo della legitti-mazione attiva, pur attinente a problematiche di rilievocollettivistico, è stato risolto dalla norma in termini dif-ferenti); conferire la legittimazione in parola a ciascuncomponente della classe, invece, sembra propriamentestrumentale all’esigenza di implementare o dare impul-so alle azioni giudiziarie in parola.Per la verità, guardando all’evoluzione storica dellanorma, nella versione primigenia adottata dalla L.244/2007, il potere di agire era stato dapprima conferi-to alle associazioni consumeristiche iscritte ad apposi-to albo ministeriale nonché alle altre associazioni ecomitati adeguatamente rappresentativi degli interessicollettivi fatti valere; le successive rivisitazioni norma-tive, però, hanno indotto ad una soluzione diversifica-ta, come visto, assai più ampia sul crinale soggettivo.La latitudine soggettiva che, in tal modo, viene abbrac-ciata dalla norma, nel conferire la legittimazione aqualsiasi componente della classe rimane, tuttavia,menomata o, in qualche misura depotenziata dalladisciplina normativa laddove al successivo comma 6dello stesso art. 140 bis cod. cons. si stabilisce che ladomanda è dichiarata inammissibile per il caso in cui ilproponente non appaia in grado di curare adeguata-mente l’interesse della classe.La ratio giustificatrice di una siffatta disposizione paredebba rinvenirsi nell’esigenza di assicurare la debitatutela a situazioni di rango collettivo: l’esercizio del-l’azione e la gestione dell’impianto processuale che nederiva è bene che siano riservati a soggetti che dispon-gano delle competenze idonee ad assicurare la prote-zione degli interessi consumeristici portati all’attenzio-ne del giudice.Ove così non fosse, le istanze dei consumatori, piutto-sto che rafforzate, sarebbero depotenziate da un’azionegiudiziale a valenza collettiva iniziata e gestita da sog-getti non dotati delle necessarie competenze sul frontedella conoscenza delle situazioni di fatto o della capa-cità a gestire i correlati aspetti processuali.Tanto analizzato in via generale, occorre rilevare che,sul fronte della prassi applicativa, il singolo, nell’av-viare l’azione risarcitoria di classe, sarà verosimilmen-te coadiuvato (anzi: spesso cooptato) da un’associazio-

ne o da un comitato, posto che per la natura stessa dellecose non avrà interesse a farsi carico degli ingenti costidel contenzioso collettivo (a fronte del modesto torna-conto individuale del risarcimento spettantegli) né disolito possiede la forza economica ed organizzativanecessaria5.In ordine al rapporto tra il singolo consumatore e l’as-sociazione alla quale egli abbia conferito mandato, lagiurisprudenza (Ord. App. Torino, 23 novembre 2011)ha ritenuto che, in virtù del carattere speciale e autono-mo del procedimento disciplinato dall’art. 140 bis c.cons., è ammissibile l’azione proposta da un’associa-zione cui sia stata conferita dai consumatori proponen-ti la mera rappresentanza in giudizio, senza il potere didisporre dei diritti sostanziali azionati.Per quanto concerne, invece, il dato comparativo,preme evidenziare la differenza con la normativa statu-nitense: la Rule 23 sect. (a) delle statunitensi FederalRules of Civil Procedure (FRCP), nell’ambito di unaregolamentazione generale (a livello federale) delleazioni di classe, ammesse da parte di chiunque e ten-denzialmente in ogni materia, considera non solol’eventualità che si agisca, ma anche quella che si siaconvenuti quali rappresentanti di una classe mentrel’art. 140 bis cod. cons. non fa cenno di un’evenienzadel genere la quale pure sarebbe in astratto configura-bile nonostante la specificità delle situazioni giuridicheelencate dal 2° co. quale possibile oggetto di unadomanda di classe.È infatti ben ipotizzabile un fondato interesse dell’im-presa a citare in accertamento negativo uno o più con-sumatori od utenti che appaiano in astratto «in grado dicurare adeguatamente l’interesse della classe» (6° co.)e che, direttamente o tramite l’adesione ad iniziative diassociazioni e comitati, abbiano stragiudizialmenteavanzato nei suoi confronti pretese riconducibili aquelle situazioni giuridiche o le abbiano vantate attra-verso le casse di risonanza dei mezzi di comunicazio-ne; anche se non è realistico immaginare che essaimpresa decida di soddisfare un interesse del generemettendo, almeno potenzialmente, tutte le uova in unpaniere o, in alternativa, senza poter ottenere un risul-tato vincolante se non per quei pochi consumatori odutenti che decidessero di aderire alla difesa (e ciò acausa del ben diverso meccanismo nostrano dell’opt inrispetto a quello statunitense dell’opt out), a meno che

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l’obiettivo non sia quello di lucrare l’improponibilità diulteriori azioni di classe dopo la scadenza del termineper l’adesione che fosse fissato dal giudice (14° co.,periodi 3-4, art. 140 bis, cit.)6.

3. Il giudizio di ammissibilità nella class actionAi sensi dell’art. 140 bis, comma 6, cpv, cod. cons., “Ladomanda è dichiarata inammissibile quando è manife-stamente infondata, quando sussiste un conflitto di inte-ressi ovvero quando il giudice non ravvisa l’omogenei-tà dei diritti individuali tutelabili ai sensi del comma 2,nonché quando il proponente non appare in grado dicurare adeguatamente l’interesse della classe”.Il giudizio di ammissibilità in parola, idoneo, come giàè stato rilevato nel corso della presente opera, a destarenotevoli preoccupazioni negli operatori pratici e nellaclasse forense in particolare, attese le incertezze cheesso genera in relazione al prosieguo del giudizio, pog-gia sui diversi criteri menzionati dalla norma, insuscet-tibili – si ritiene – di un’applicazione estensiva, caratte-rizzandosi il “filtro” di ammissibilità in termini di ecce-zionalità rispetto alle ordinarie regole processuali.Per altro, la fase preliminare di ammissibilità in argo-mento ha sollevato altresì dubbi sul versante della legit-timità costituzionale, essendo idonea a realizzare un’in-debita compressione del diritto di azione dei consuma-tori e ponendo il dubbio – necessariamente correlatoalla menzionata compressione – che non si realizzi, intal modo, un eccessivo sbilanciamento del sistema avantaggio delle imprese convenute7.In particolare, l’organo giudicante dovrà vagliare se ilgiudizio in questione sia manifestamente infondato,così andando ad effettuare una valutazione che, pur acarattere sommario in quanto fondato sulle acquisizio-ni processuali primigenie, impinge direttamente nelmerito della vicenda.Altri fattori idonei a giustificare il giudizio di ammissi-bilità, secondo la formulazione della norma, sono poirinvenibili nella sussistenza di un conflitto d’interessi,evidentemente tra il promotore dell’azione e la classerappresentata, l’insussistenza dell’omogeneità dei dirit-ti vantati che sola fonda l’azione di classe, o l’apparen-te inidoneità del proponente a curare adeguatamente gliinteressi della classe.Circa la possibile sussistenza di un conflitto d’interessi,giova riportare l’analisi svolta in dottrina8, secondo cui

il vaglio giudiziale, volto ad escludere un possibile con-flitto di interessi, è esattamente mutuato dalla normati-va statunitense, in cui la previsione è posta al fine discongiurare tutti quei casi tratti dalla prassi americana incui l’utilizzo dello strumento della settlement classaction, era attuato per fini fraudolenti, in cui erano lestesse imprese a spingere il consumatore, utente del ser-vizio e come tale esso stesso vittima della loro condot-ta, a promuovere una class action per poi giungere aduna transazione capestro che sarebbe divenuta vincolan-te anche per tutte le altre vittime sia attuali che future.Il caso più macroscopico di conflitto di interessi è quel-lo di alcune imprese statunitensi, che avevano utilizza-to amianto nei processi di lavorazione, e verso la finedegli anni ’90 si erano rivolte ad un pool di legali perfar promuovere una class action e, ottenuta la certifica-zione, avevano l’intenzione di concludere una transa-zione tombale che avesse coperto qualunque altra pre-tesa risarcitoria anche da parte di tutti i futuri soggettiche avessero successivamente contratto una patologiada asbestosi.L’analisi dottrinale in parola, sul punto, ha tuttavia rile-vato che una simile ipotesi fraudolenta per i diritti deiconsumatori rappresenta nel nostro sistema un’even-tualità difficile a verificarsi nella pratica.Infatti, mentre nel sistema statunitense un’eventualetransazione della causa è destinata irrimediabilmente avincolare tutti i partecipanti alla classe, nel sistemanostrano ciò è espressamente escluso, avendo l’art. 140bis cod. cons. espressamente previsto al 15° co. chel’eventuale transazione collettiva possa assumere effi-cacia sui crediti individuali solo attraverso l’esplicitaadesione del singolo interessato.Ad ogni modo, l’eventualità che sia l’impresa a sele-zionare l’attore collettivo per garantirsi una contropar-te più docile o addirittura interessata al “naufragio” del-l’azione e di tutti i suoi incauti aderenti, è giustamentecontemplata anche dal legislatore italiano, il qualeesclude l’ammissibilità dell’azione per il caso di unpossibile conflitto di interessi.Circa l’insussistenza dell’omogeneità dei diritti vanta-ti, costituendo il carattere omogeneo delle situazionisostanziali che si intende far valere il presupposto del-l’azione collettiva, ne deriva, inevitabilmente, l’inam-missibilità della tutela di classe proposta.Sul punto, è già stato osservato come la tutela realizza-

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bile per tramite della class action attenga a situazioniora definite omogenee, non più “identiche”, comeavveniva con la precedente formulazione normativa.L’identità precedentemente richiesta dalla norma, benvero, frapponeva ostacoli di rilievo all’ammissibilitàdell’azione di classe, ponendo a proprio presuppostouna serialità di illeciti non già accomunati sul versantesostanziale, ma propriamente identici.L’omogeneità, il carattere analogo od assimilabile con-sente invece adesso una tutela seriale od a rilievo plu-rimo; a fronte di una situazione siffatta si staglia quel-la relativa a situazioni distinte o non omologabili che,contrassegnate dalle proprie rispettive peculiarità,necessiterebbero, al contrario, di azioni individuali esarebbero inconciliabili con l’azione di classe.Siffatte situazioni a carttere differenziato, precludendouna tutela a carattere seriale, imporrebbero la formulazio-ne di un giudizio di inammissibilità da parte del giudice.Laddove, al contrario, il giudice formulasse un giudiziodi ammissibilità, con la relativa ordinanza egli dovràprovvedere a fornire una perimetrazione di quantocostituirà oggetto del giudizio: in particolare, ai sensidell’art. 140 bis, comma 9, lett. A), cod. cons., eglidovrà definire i caratteri dei diritti individuali oggettodel giudizio, specificando i criteri in base ai quali i sog-getti che chiedono di aderire sono inclusi nella classe odevono ritenersi esclusi dall’azione.Ultimo criterio utile a definire l’ammissibilità del-l’azione di classe è dato dal fatto che il proponenteappaia in grado di curare adeguatamente l’interessedella classe.Il giudizio di adeguatezza del proponente è voltosostanzialmente a verificare che l’azione di classe siaattivata solo da parte di un soggetto che prometta diavere la capacità di coltivarla e portarla a termine conle energie e le capacità sufficienti al ruolo ricoperto,specie al fine di evitare che gli effetti conseguenti allasostituzione processuale ex lege nei confronti di tutti ipossibili aderenti possano tornare a loro pregiudizio,per il caso in cui si siano affidati a chi non sia in gradodi curare adeguatamente l’interesse della classe, priva-ti come sono di ogni possibilità di controllo diretto sulprocesso e sulle modalità di sua conduzione.Proprio al fine di scongiurare una possibile dichiarazio-ne di inammissibilità dell’azione per la riscontrata nonadeguata rappresentatività dell’attore, la prassi seguita

sino ad oggi in Italia mostra come le azioni di classesiano sempre state proposte da enti rappresentativi deiconsumatori, dietro esplicito mandato alle liti rilasciatodal singolo appartenente alla classe9.In via ultima, comunque, la dottrina10 si è chiesta sel’introduzione del giudizio di ammissibilità dell’azionedi classe – in relazione alla quale non si pongono leparticolari questioni di contemperanza di interessicostituzionali, invece connessi all’analoga fase diammissibilità prevista da altre procedure giudiziali (siallude all’art. 5, L. 117/88 relativo alla responsabilitàcivile dei magistrati) – non valga a sostanziare unalimitazione del diritto di azione dei consumatori ed uncorrelato, indebito vantaggio in favore dell’imprese.

4. Le pronunce sull’ammissibilità del giudizioIl giudizio preliminare di ammissibilità cui è assoggetta-ta l’azione di classe assolve al duplice scopo: a) di tutela-re l’impresa convenuta contro azioni temerarie chepotrebbero nondimeno arrecare notevole pregiudizio allasua immagine; b) di rassicurare i potenziali aderenti circala serietà dell’iniziativa assunta del proponente, incenti-vando le adesioni e favorendo così il conseguimentodegli obiettivi propri del giudizio di classe11.In particolare, come visto, il comma 6 dell’art. 140 bisc. cons. prevede che all’esito della prima udienza ilTribunale decide con ordinanza sull’ammissibilità del-l’azione, dichiarando l’inammissibilità della domandaquando la stessa appare manifestamente infondata,quando sussiste un conflitto di interessi, quando il giu-dice non ravvisa l’omogeneità dei diritti individualitutelabili ai sensi del comma 2°, nonché quando il pro-ponente non appare in grado di curare adeguatamentel’interesse della classe.Contro l’ordinanza del Tribunale è ammesso reclamoalla Corte d’appello, che decide a sua volta con ordi-nanza resa in camera di consiglio.Circa l’udienza in parola è stato ritenuto12 che essa siaun’udienza preliminare di discussione (dunque, apertaal pubblico) che precede e prepara la successiva tratta-zione del merito; trattazione, quest’ultima, che, inassenza di specifiche disposizioni stabilite con l’ordi-nanza dal Tribunale, avverrà secondo le cadenze checaratterizzano il rito di cognizione ordinario.Per altro, il profilo letterale della norma non esclude cheai fini del giudizio di ammissibilità sia esperibile un’at-

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tività istruttoria non documentale e che, quindi, in talefase si svolgano, ad es., audizioni testimoniali conforme semplificate e senza capitolazione o per la richie-sta di informazioni alla Pubblica Amministrazione.Il profilo dell’ammissibilità dell’azione di classe, inogni caso, sostanziando la fase preliminare nell’ambitodel giudizio in parola, ha formato oggetto di plurimepronunce giurisprudenziali.In particolare, al riguardo, è stato ritenuto che il giudi-zio sull’ammissibilità non debba necessariamente svol-gersi in un’unica udienza e che possano concedersi alleparti termini per il deposito di memorie scritte, utili asupportare ulteriormente le contrapposte tesi difensive(Trib. Milano, ord. 20 dicembre 2010; App. Milano,ord. 3 maggio 2011).Nell’ambito della fase giudiziale in parola, poi, la giu-

risprudenza ha ritenuto che le parti possano precisare omodificare le domande ed eccezioni già formulateentro gli stessi limiti previsti per il giudizio ordinariodall’art. 183, comma 5°, c.p.c. (in tal senso, Trib.Milano, ord. 20 dicembre 2010).Per quanto concerne la non manifesta infondatezza del-l’azione, invece, è stato precisato che il giudizio preli-minare nel merito ha carattere sommario ed assume laveridicità dei fatti che le parti hanno introdotto nel giu-dizio (sulla base del principio di tradizione romanisticasecondo cui si vera sint exposita), i quali, ove necessa-rio, dovranno essere provati nella successiva faseistruttoria (così App. Roma, ord. 27 gennaio 2012).Con riferimento al diverso profilo relativo all’adeguatez-za dei proponenti l’azione, inoltre, è stato ritenuto che sidebba presumere l’idoneità a curare in modo adeguatol’interesse della classe da parte di associazioni iscritteall’elenco delle associazioni dei consumatori e degliutenti rappresentative a livello nazionale previsto dall’art.137 cod. cons. (Trib. Napoli, ord. 9 dicembre 2011, con-fermata sul punto da App. Napoli, ord. 29 giugno 2012).Diversamente, non sono stati ritenuti in grado di cura-re adeguatamente l’interesse della classe i consumatorisprovvisti di adeguati mezzi finanziari e organizzativi(Trib. Torino, ord. 28 aprile 2011; Trib. Torino, ord. 7aprile 2011).Il Tribunale di Torino, nelle ordinanze menzionate, hainfatti ritenuto i consumatori non adeguati a rappresen-tare gli interessi della classe sulla scorta del dato che iconti correnti bancari degli attori, dagli stessi allegati

nel giudizio, erano in situazione di sofferenza (nei casiin parola erano state esercitate azioni di classe controistituti di credito in relazione all’applicazione dellecommissioni di massimo scoperto).Per quanto concerne, invece, la necessaria omogeneitàdei diritti tutelabili, già nella vigenza dell’originariotesto normativo – secondo cui l’azione di classe dove-va essere promossa a tutela di diritti omogenei di con-sumatori che si trovano in una posizione identica traloro – la giurisprudenza aveva ritenuto (pur non senzacontrasti) che il requisito dell’identità, nella sostanza,coincidesse con quello dell’omogeneità, non sussisten-do la necessità che i danni individuali di cui ciascunconsumatore chiedeva il risarcimento fossero identici(in tal senso, App. Roma, ord. 27 gennaio 2012; App.Torino, ord. 23 settembre 2011; Trib. Roma, ord. 20aprile 2012; Trib. Napoli, ord. 9 dicembre 2011).Soluzione, questa, in qualche misura necessitata, postoche, diversamente, ben pochi sarebbero stati gli spazi ditutela rimasti all’azione di classe, a quel punto esperi-bile soltanto in ipotesi residuali.La ragionevolezza di tale soluzione, infatti, è stata diseguito abbracciata anche dal legislatore che, re meliusperpensa, nel 2012 ha ritenuto di abbandonare il crite-rio dell’identità dei diritti sostituendolo con quello,sicuramente meno restrittivo, dell’omogeneità dei dirit-ti (art. 140 bis, commi 2° e 6°, c. cons.).Con precipuo riferimento al requisito dell’omogeneità deidiritti, poi, la giurisprudenza sembra orientata nel senso diconsiderarne la ricorrenza quando, sulla base delle dedu-zioni difensive sollevate, il Tribunale sia in grado di svol-gere un’unica istruttoria valevole per tutti i membri dellaclasse (Trib. Roma, ord. 11 aprile 2011, confermata sulpunto da App. Roma, ord. 27 gennaio 2012).Soltanto così, ben vero, l’azione di classe può svolgerela funzione di economia processuale che le è propria:ove fosse impossibile svolgere un’attività probatoriacomune, il Tribunale si vedrebbe costretto a trattare edecidere singolarmente la posizione di ciascun consu-matore non dissimilmente da quanto avverrebbe nel-l’ipotesi di esercizio di tante azioni individuali.Altro aspetto da vagliare attiene alla possibilità d’im-pugnare in Cassazione l’ordinanza della Corte d’appel-lo che abbia deciso sul reclamo proposto avverso l’or-dinanza del Tribunale che decide sull’ammissibilitàdell’azione di classe.

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Sul punto, la giurisprudenza – con un decisum accoltofavorevolmente dalla dottrina13 – si è pronunciata nega-tivamente sulla scorta del rilievo per cui l’ordinanzache dichiara o conferma l’inammissibilità dell’azionedi classe non è suscettibile di assumere la stabilità delgiudicato sostanziale e non produce la efficacia preclu-siva del dedotto e del deducibile, in quanto è fondata suuna delibazione sommaria.Nell’ipotesi di pronuncia di inammissibilità per manifestainfondatezza dei diritti omogenei fatti valere, la valutazio-ne del giudice è, invero, operata, oltre che in sede di cogni-zione sommaria, ai soli fini del giudizio di ammissibilitàdella domanda di classe e, dunque, con delibazione fina-lizzata ad una pronuncia di rito, idonea a condizionare uni-camente la prosecuzione dl quel processo di classe.A norma dell’art. 140 bis, comma 14, D.Lgs. n. 206 del2005 – dunque, secondo la Suprema Corte – è unica-mente l’ordinanza di ammissibilità che preclude la pro-posizione delle medesima azione di classe per i mede-simi fatti e nei confronti della stessa impresa dopo lascadenza del termine per l’adesione e non la ordinanzadi inammissibilità, la quale non preclude affatto lariproponibilità dell’azione (Cass., Sez. I, 14 giugno2012, n. 9772).Con riferimento, poi, alla possibilità che il vaglio diammissibilità dell’azione comporti una vulnerazionedel diritto di difesa dei consumatori, in merito a talequestione è intervenuta la Corte d’appello di Torino,con ordinanza del 27 ottobre 2010, ritenendo che il “fil-tro” di ammissibilità per l’azione di classe non si pongadi per sé in contrasto con gli artt. 3, 24 e 111 Cost., dalmomento che esso non soltanto non rappresenta unostacolo apprezzabile per la difesa dei diritti azionati,ma è caratterizzato da forme procedurali di pieno con-traddittorio ed esercizio del diritto di difesa.La Corte, sul punto, ha altresì ritenuto che il “filtro” inparola sia funzionale all’interesse degli stessi consuma-tori, i quali, proprio in virtù del vaglio giudiziale diammissibilità, sono posti in condizione di evitare di ade-rire ad un’azione manifestamente infondata (allontanan-do da sé, in tal maniera, gli effetti di un giudicato che sipreannuncia fin dall’inizio ad essi sfavorevole); a mag-gior ragione, tenuto conto del fatto che tale adesione puòavvenire senza ministero di difensore tecnico e compor-ta automatica rinuncia ad ogni azione restitutoria o risar-citoria individuale fondata sul medesimo titolo.

Da ultimo, giova esaminare l’ipotesi in cui l’azione siastata ammessa.In tal caso, il proponente dovrà dare esecuzione allapubblicità disposta dal Tribunale a pena d’improcedibi-lità dell’azione, ai sensi dell’art. 140 bis, comma 9°,Codice del Consumo.Posto che i costi legati alla pubblicità possono essere dicerto rilievo, si era ipotizzato che, almeno nei casi incui la responsabilità del convenuto fosse maggiormen-te evidente, il Tribunale potesse imputare al convenutogli oneri relativi.Tale soluzione, tuttavia, è stata espressamente scartatadalla giurisprudenza sulla base del rilievo per cui,essendo l’esecuzione della pubblicità una condizioneper la prosecuzione dell’azione, il relativo onere nonpuò essere efficacemente addossato al convenuto, ilquale di norma non ha interesse alla prosecuzione del-l’azione nei propri confronti (Trib. Torino, ord. 15 giu-gno 2012).

5. Adesione ed intervento nell’art. 140 bis del Codicedel Consumo

“Con l’ordinanza con cui ammette l’azione il tribunalefissa termini e modalità della più opportuna pubblici-tà, ai fini della tempestiva adesione degli appartenentialla classe. L’esecuzione della pubblicità è condizionedi procedibilità della domanda. Con la stessa ordinan-za il tribunale:a) definisce i caratteri dei diritti individuali oggetto delgiudizio, specificando i criteri in base ai quali i sogget-ti che chiedono di aderire sono inclusi nella classe odevono ritenersi esclusi dall’azione;b) fissa un termine perentorio, non superiore a cento-venti giorni dalla scadenza di quello per l’esecuzionedella pubblicità, entro il quale gli atti di adesione,anche a mezzo dell’attore, sono depositati in cancelle-ria. Copia dell’ordinanza è trasmessa, a cura dellacancelleria, al Ministero dello sviluppo economico chene cura ulteriori forme di pubblicità, anche mediantela pubblicazione sul relativo sito internet.È escluso l’intervento di terzi ai sensi dell’articolo 105del codice di procedura civile”.Le disposizioni riportate, presenti ai commi 9 e 10 delridetto art. 140 bis, cod. cons., individuano un altromomento di rilievo all’interno della scansione procedu-rale propria delle azioni giudiziarie in commento,

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ponendo, al tempo stesso, una disciplina necessaria arivendicazioni a valenza collettivistica.Il sistema c.d. dell’opt-in, in base al quale un soggettosceglie di entrare nel contenzioso di classe, rinviene unproprio necessario antecedente nella pubblicità realiz-zata dall’attore, secondo i termini e le modalità fissatedal Tribunale.La pubblicità in ordine alla sussistenza di un procedi-mento giudiziario ed in ordine alla correlata possibilitàdi aderire alle relative istanze giudiziarie costituisce unmomento strutturale ed ineludibile dell’azione di clas-se, in assenza del quale non potrebbero trovare ingres-so nel processo istanze a valenza pletorica.Esattamente per tale motivo, la pubblicità in paroladeve anche specificare il proprium dell’azione di clas-se, vale a dire i criteri di appartenenza alla classe stes-sa, in assenza dei quali non è consentito aderireall’azione collettiva.Il nostro legislatore, come si diceva, ha scelto il siste-ma dell’opt-in, ritenendo, evidentemente di non adotta-re l’opposto sistema dell’opt-out, proprio del sistemastatunitense e fondato sull’automatica estensione delgiudicato nei confronti di tutti i soggetti che non abbia-no espressamente scelto di rimanere estranei all’azionedi classe (in schietta difformità, pare, con le connota-zioni proprie del nostro sistema processuale per cui lepronunce giudiziarie non producono effetti verso colo-ro che non abbiano preso parte al processo, salvo chesiano eredi od aventi causa, ai sensi dell’art. 2909 c.c.).Gli aderenti acquistano la qualità di parti sostanziali delprocesso ed usufruiscono delle agevolazioni connesse:l’interruzione della prescrizione, la liquidazione deldanno e la formazione di un titolo esecutivo, anche inmancanza di un giudizio individuale.Essi non assumono anche la posizione di parte proces-suale che spetta esclusivamente ad attore e convenuto.Anzi, al proponente, anche dopo l’adesione degli altri,spetterà di veicolare le richieste probatorie, la gestionedella lite e la presentazione di prove ed argomenti.Il proponente è titolare esclusivo dei diritti ed obblighiprocessuali; spetterà, ad es., solo a lui il potere di recla-mare l’ordinanza che dichiari eventualmente inammis-sibile la domanda o di resistere contro l’eventualereclamo dell’impresa contro l’ordinanza che ammettel’azione di classe.Sarà il proponente il destinatario dei provvedimenti in

materia di spese.Naturalmente, l’attore non sarà titolare di quei poteriprocessuali che presuppongono la capacità di disporredei diritti sostanziali degli aderenti: non potrà transige-re o formulare rinunce in verbali di conciliazione rela-tivamente a crediti altrui né deferire o riferire il giura-mento su questi aspetti.Le transazioni stipulate dagli aderenti vincolano solochi vi abbia aderito; l’intervenuta transazione estingueil processo e coloro che non vi abbiano aderito dovran-no tutelare i loro diritti dando vita ad una nuova causa.La situazione sopra descritta relativamente alla posi-zione processuale dei soggetti aderenti alla class action– frutto dell’analisi dottrinale14 e condivisa anche dallagiurisprudenza15 – è evincibile da un’attenta analisi deldato normativo laddove la posizione dei soggetti ade-renti rimane sempre nettamente distinta rispetto a quel-la delle parti sulla scorta di un’attenta differenziazioneterminologica, foriera, evidentemente, di distinte situa-zioni processuali. In ordine alle questioni che occupano, comunque, pareineludibile l’osservazione per cui l’attore, gravato deirischi correlati all’esercizio dell’azione giudiziale edalla correlata possibilità di soccombenza – con quel chene segue sul piano delle spese – rimanendo unico sog-getto titolato alle scelte processuali, è portatore altresìdei poteri correlati senza che i soggetti aderenti possa-no incidere a tale riguardo.Per quanto concerne, poi, la possibilità che intervenganoforme di accordo o conciliazione tra l’attore ed il conve-nuto, gli aderenti potranno prestarvi assenso oppure no,ma nell’ipotesi in cui non lo facciano si vedrannocostretti ad esercitare azioni giudiziarie individuali, ovevogliano vedere tutelati i propri diritti in maniera diffor-me rispetto agli accordi conclusi tra le parti.Sul fronte pratico, dunque, trattandosi, come detto dismall claims, sovente gli aderenti preferiranno aderireagli accordi conclusi tra le parti anche quando essi nonsiano pienamente satisfattivi.Sulla scorta del dato normativo riportato, quindi, i pote-ri processuali della parte attrice sono tutt’altro chesecondari laddove gli aderenti rimarranno, appunto, inuna posizione di fatto subordinata a scelte processualifatte dal proponente.Nell’azione di classe non è perciò immaginabile un liti-sconsorzio, nemmeno aggregato, degli aderenti con

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l’attore, tanto è vero che il comma 10 dell’art. 140 biscod. cons., esclude tassativamente qualunque tipologiadi intervento di terzi, vuoi litisconsortile, vuoi adesivo.Pertanto gli aderenti, a differenza di quanto accadrebbese essi fossero veri e propri intervenuti in giudizio, nonpotranno autonomamente impugnare una sentenza dirigetto, verosimilmente neppure se il rigetto fosse moti-vato con la loro “estraneità” alla classe.Proprio in vista dello sbarramento alla possibilità daparte di altri danneggiati a proporre un autonomo giu-dizio dopo la scadenza del termine per l’adesione asse-gnato dal giudice ai sensi dell’art. 140 bis comma 9,cod. cons., vengono dal legislatore imposti al rappre-sentante della classe puntuali obblighi di pubblicità,onde consentire la massima adesione all’azione daadempiersi nelle forme e modalità che verranno indica-te dallo stesso Tribunale e dalla cui mancata ottempe-ranza consegue l’improcedibilità della domanda, sem-pre a termini del citato comma 9, secondo periodo16.Sul versante ultimo, in ogni caso, è dato osservarecome la disciplina in parola si sia differenziata nonpoco dall’omologa disciplina statunitense: quest’ulti-ma appare schiettamente schierata accanto ai consu-matori, come si evince, tra l’altro, dal sistema del-l’opt-out nonché dalla sussistenza dei danni punitivi;quella nostrana, invece, appare maggiormente tesa acontemperare le posizioni di consumatori e profes-sionisti, probabilmente con una maggiore attenzionealla posizione di questi ultimi come verrebbe daosservare guardando al sistema dell’opt-in (pureimposto dai principi del nostro ordinamento), dal fil-tro di ammissibilità, dalla circostanza che gli accordiconclusi dall’attore nel concreto tendano a vincolareanche i soggetti aderenti (venendo in rilievo smallclaims, come si diceva, difficilmente azionabili indi-vidualmente).

6. Le ipotesi emerse nella prassi giudiziaria: pecu-liarità delle singole fattispecie ed analisi correlata

Il presente paragrafo intende esaminare taluni casi giu-diziari che, in ragione delle rispettive peculiarità, appa-iono di particolare interesse nella tutela giudiziale delleposizioni di classe e, dunque, meritevoli di un adegua-to commento in questa trattazione.La presente disamina, in particolare, trae il proprioincipit dalla prima ipotesi di azione di classe ad esito

positivo, registrata nella casistica giudiziaria nazionale.Nello specifico, il Tribunale di Napoli, con sentenzadepositata il 18 febbraio 2013, ha accolto le istanzeavanzate da un gruppo di consumatori che aveva acqui-stato un pacchetto turistico “tutto compreso” per unviaggio a Zanzibar.La sistemazione alberghiera non era, però, conformealle informazioni che il gruppo aveva ricevuto primadella partenza.Il Tribunale, quindi, ha considerato il venditore del pac-chetto turistico inadempiente rispetto alle obbligazioniche aveva assunto e lo ha condannato al risarcimentodel danno non patrimoniale per vacanza rovinata afavore dei consumatori che avevano promosso l’azionenonché di quelli che, trovandosi in una posizione omo-genea rispetto a questi, avevano aderito all’iniziativagiudiziaria17.Nel dettaglio, il Tribunale ha ritenuto che con il con-tratto avente ad oggetto un pacchetto turistico “tuttocompreso” – sottoscritto dal consumatore sulla base diuna articolata proposta contrattuale contenuta in undepliant illustrativo – l’organizzatore assume specificiobblighi contrattuali, segnatamente di tipo qualitativo,relativi a modalità di viaggio, sistemazione alberghiera,livello di servizi, etc.Di conseguenza, ove le prestazioni non siano esatta-mente adempiute, sulla base di un criterio medio didiligenza valutabile dal giudice di merito, si configurala responsabilità contrattuale ed il conseguente obbligorisarcitorio in capo all’organizzatore, salvo la provadella non imputabilità dell’inadempimento, derivanteda eventi verificatisi successivamente al perfeziona-mento del contratto, quali il caso fortuito o la forzamaggiore, ovvero l’esclusiva responsabilità del terzo odel consumatore.Vertendosi in tema di responsabilità contrattuale, sulturista-consumatore incombe l’onere di comprovare lafonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi allamera allegazione dell’inadempimento di controparte,mentre all’organizzatore è demandata la prova di averagito con normale diligenza, di aver fatto tutto il possi-bile per evitare i danni ed, eventualmente, la dimostra-zione della sussistenza del caso fortuito o di forza mag-giore a sua discolpa.Sulla scorta di tali principi, quindi, è stato individuato,a carico dell’organizzatore, un inadempimento del con-

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tratto di viaggio “tutto compreso” atteso che la struttu-ra alberghiera prenotata nel pacchetto turistico presen-tava deficienze non segnalate nel dépliant richiamatonel contratto e la struttura alternativa, dove i turisti ave-vano soggiornato per alcuni giorni, era qualitativamen-te inferiore alla prima.Sul fronte dell’identità dei diritti azionati, la pronuncia inparola ha, poi, affermato che il richiamo all’identità deidiritti di una pluralità di consumatori e utenti deve esse-re inteso nel senso che è necessario che tutti gli elemen-ti costitutivi, con riferimento sia all’an, sia al quantumdel risarcimento, siano identici potendosi differenziaresoltanto per il fatto che ineriscano a soggetti differenti.In base al concetto richiamato, quindi, veniva dichiara-ta inammissibile l’adesione all’azione di classe di queiconsumatori che, come dagli stessi dedotto, si trovava-no in una situazione di fatto diversa da quella indicatadall’ordinanza con cui l’azione medesima è statadichiarata ammissibile.Il dictum giudiziale in esame, come detto, si segnalaper il fatto di essere la prima pronuncia di accoglimen-to relativa ad una domanda esercitata ai sensi dell’art.140 bis cod. cons.Sul piano dell’analisi dei contenuti, poi, non rileva tantol’affermazione dell’inadempimento del professionista –fondata sulla base dell’avvenuta erogazione di un servi-zio secondo modalità difformi e qualitativamente infe-riori rispetto a quelle convenute – quanto l’applicazionedel criterio dell’identità dei diritti, interpretato dalla sen-tenza in parola in chiave letterale piuttosto che alla stre-gua di un canone di omogeneità, già affermato in ambi-to giudiziario anteriormente alla modifica normativaindotta dal D.L. 1/12 e maggiormente condivisibile (intal senso, App. Roma, ord. 27 gennaio 2012; App.Torino, ord. 23 settembre 2011; Trib. Roma, ord. 20aprile 2012; Trib. Napoli, ord. 9 dicembre 2011).Altra vicenda giudiziaria inerente all’azione di classeche ha registrato un esito positivo è quella esitata nellasentenza resa dalla Corte d’Appello di Milano in data26 agosto 201318 in cui un solo consumatore, rappre-sentato da un’associazione consumeristica, ha ottenutola restituzione di 14,50 euro, pari al costo di un testinfluenzale pubblicizzato in modo ingannevole dallasocietà distributrice in Italia.La sentenza della corte meneghina è stata segnalata indottrina19 perché contribuisce a fare chiarezza su alcuni

dei molti aspetti critici della disciplina contenuta nel-l’art. 140 bis cod. cons..In particolare, la Corte d’appello di Milano ha riforma-to la decisione resa in primo grado da Trib. Milano 13marzo 2012 (in Foro it., 2012, I, 1909) e ha sancito, incontrasto con Trib. Napoli 18 febbraio 2013, cit.,l’inammissibilità dell’intervento volontario nel proces-so di classe nonché l’impossibilità di assimilare l’ade-rente alla parte processuale.La novità proposta dalla Corte d’appello milanese,nello specifico, sta nell’aver comunque riconosciutoall’interventore in primo grado la legittimazione adimpugnare la sentenza, ma con riferimento al solo caporelativo alle spese processuali.La scelta interpretativa compiuta è apparsa persuasivaalla dottrina20 perché tende a scoraggiare l’ampliamen-to del contraddittorio nel processo di classe, ontologi-camente destinato, nel modello accolto dal nostro legi-slatore, a svolgersi tra due soli soggetti cui riconoscerei poteri e le prerogative delle parti processuali.La terza – ed ultima, per quanto consta – vicenda giu-diziaria che ha visto accogliere le istanze dei consuma-tori è esitata nella sentenza resa dal Tribunale di Torinoin data 28 marzo 2014 che ha dichiarato la nullità delleclausole aventi ad oggetto le commissioni di massimoscoperto introdotte dalla Soc. Intesa Sanpaolo S.p.A.nei confronti dei propri correntisti per violazione deldato normativo di riferimento (art. 2 bis, D.L. 29Novembre 2008, n. 185, come convertito dalla L. 28gennaio 2009, n. 2) con conseguente condanna allarestituzione delle somme indebitamente pagate. In particolare, il Tribunale ha ritenuto che le clausole,comunque denominate che impongano una remunera-zione per la banca indipendentemente dall’effettivo uti-lizzo delle somme e dalla durata di tale utilizzo, sianodel tutto vietate, pur ponendosi dei distinguo tra continon affidati ed affidati (in riferimento a questi ultimi lanullità sarebbe evitabile, secondo il decisum, ove laremunerazione fosse ancorata ad un utilizzo per unperiodo continuativo non inferiore a trenta giorni –primo periodo – o comunque sia prevista da patto scrit-to e con connessione effettiva all’utilizzo del fondo).Le conclusioni del Tribunale, per altro, si sono fondatealtresì sulla ratio ispiratrice della norma (l’art. 2 bis,D.L. 29 novembre 2008, n. 185, come convertito dallaL. 28 gennaio 2009, n. 2), diretta a considerare con sfa-

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vore l’imposizione di remunerazioni che, non corri-spondendo a servizi effettivamente resi, risulta scolle-gata con la funzione sinallagmatica naturalmenteintrinseca al rapporto contrattuale di conto corrente21. Passando alla disamina di un altro caso giurispruden-ziale, l’analisi dottrinale22 ha considerato degna di notaanche la vicenda giudiziaria esitata nell’ordinanza resadal Tribunale di Firenze in data 15 luglio 2011.In particolare, detta pronuncia viene segnalata perquanto riguarda l’individuazione dei diritti a tutela deiquali è ammissibile l’azione di classe.Nella specie, un assessore comunale della città diFirenze aveva citato in giudizio la società affidatariadel servizio di pulizia delle strade comunali, lamentan-do il fatto che essa non aveva provveduto a mantenerele strade pulite in occasione di una forte nevicata che siera verificata a Firenze nel dicembre 2010.Il Tribunale, con decisione confermata in sede di recla-mo, ha dichiarato l’azione inammissibile sulla basedella considerazione che nella specie non ricorrevaalcuno dei casi previsti dalla legge per la promozione diun’azione di classe.In particolare, a giudizio del Tribunale, non sussistevaun rapporto contrattuale tra il proponente e il convenu-to, dal momento che il contratto di servizio obblighe-rebbe il convenuto esclusivamente nei confronti del-l’ente pubblico che affida il servizio.Inoltre, sempre a giudizio del Tribunale, non sussistevauna responsabilità del produttore, dal momento che,contrariamente a quanto sostenuto dal proponente, laresponsabilità del produttore non ricomprende laresponsabilità del fornitore di un servizio.Questa decisione è considerata degna di nota proprioperché ha escluso dal novero dei diritti tutelabilimediante un’azione di classe il diritto al risarcimentodel danno subito a causa di una qualche violazioneimputabile a un fornitore di servizi con il quale il pro-ponente non sia legato da un rapporto contrattuale, con-formemente all’originaria formulazione della norma.In seguito, il legislatore ha ritenuto di includere anchequesto diritto tra quelli tutelabili mediante un’azione diclasse.Infatti, il testo riformato dell’art. 140 bis, comma 2,lett. b), cod. cons. precisa che l’azione di classe tutela idiritti omogenei spettanti ai consumatori finali di undeterminato prodotto o servizio nei confronti del relati-

vo produttore, anche a prescindere da un diretto rappor-to contrattuale.Questa riforma avrà certamente l’effetto di estenderel’ammissibilità di un’azione di classe anche a casi chein origine ne erano esclusi.Degna di nota appare, poi, la pronuncia resa dalTribunale di Roma con ordinanza 11 aprile 2011, nellacontroversia Codacons c. BAT, specie con riferimentoal dato relativo all’identità dei diritti posti ad oggettodell’azione di classe. Il caso traeva origine dalla domanda proposta da un’as-sociazione dei consumatori per ottenere l’accertamentodella responsabilità della parte convenuta per aver eser-citato un’attività pericolosa, quale la produzione e lavendita di sigarette, senza adottare tutte le misure ido-nee ad evitare conseguenze pregiudizievoli in capo aiconsumatori, causando – così – danni non patrimonia-li, consistenti nella dipendenza da nicotina, nonché neltimore di ammalarsi di altre patologie e danni patrimo-niali, costituiti dalla spesa necessaria per l’acquistoquotidiano di sigarette indotto dalla dipendenza.Il Tribunale adito dichiarava con ordinanza l’inammis-sibilità della domanda, ritenendola manifestamenteinfondata ed affermando l’insussistenza dell’interessecollettivo tutelato.Più nel dettaglio, in relazione all’ultimo profilo indica-to, il Tribunale di Roma affermava che “la tutela cumu-lativa può avvenire soltanto in quei casi in cui, per lecaratteristiche della fattispecie sostanziale, la decisio-ne del giudice si può basare esclusivamente su valuta-zioni di tipo comune, essendo del tutto inesistenti omarginali i temi personali; non già nell’ipotesi in cui lequestioni individuali da accertare […] superino leeventuali questioni comuni a ciascun consumatore, e lecaratteristiche dei diritti azionati impediscano unaliquidazione dei danni omogenea e unitaria per tutte lepretese potenzialmente azionabili”23.I principi così affermati successivamente venivanoconfermati nella fase d’appello (da App. Roma, ord. 27gennaio 2012).La pronuncia si segnala per la peculiarità del caso con-creto nonché per l’adesione, da parte degli organi giu-dicanti, alla tesi giurisprudenziale incline a definirel’identità dei diritti azionati alla stregua di un criteriorestrittivo piuttosto che alla luce di un più ampio crite-rio di omogeneità.

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Proseguendo la disamina del dato giurisprudenziale, dicerto interesse appare anche l’ordinanza resa dalTribunale di Milano in data 8 novembre 2013. Tale dictum è stato segnalato in ambito dottrinale inquanto costituisce una delle prime applicazioni dellanuova disciplina dell’art. 140 bis c. cons. introdottadall’art. 6 L. 24 marzo 2012, n. 27, nella parte in cuisubordina l’ammissione dell’azione di classe non piùalla “identità” ma alla “omogeneità” dei diritti dedotti24.Si ritiene comunemente che tale modifica sia diretta afavorire l’accesso all’istituto, coerentemente alla rubri-ca della norma di modifica (“Norme per rendere effica-ce l’azione di classe”), ma l’esatto significato del con-cetto di omogeneità è controverso: mentre vi è chi ritie-ne che si evochi un’interpretazione diffusa in altri ordi-namenti di lingua latina, secondo la quale essa consistenella dipendenza del danno risarcibile da una medesi-ma azione, omissione o condotta abituale, altri afferma-no che implichi invece la necessaria predominanzadelle questioni comuni su quelle individuali.Il dubbio dipende dalla ricostruzione che si adotta aproposito delle finalità dell’istituto de quo: la secondainterpretazione, in qualche modo avallata dalla pronun-cia odierna, si ricollega all’idea che l’azione di classesvolga soprattutto funzioni di economia processuale; laCorte milanese la riprende, aggiungendo un riferimen-to forse meno pregnante all’esigenza di assicurare uni-formità delle decisioni.La prima interpretazione, per converso, concepiscel’istituto come uno strumento rivolto anche ad altri fini,in particolare di deterrenza delle condotte illecite25.Le doglianze posta alla base della controversia in paro-la erano state avanzate dall’Associazione Altrocon-sumo la quale proponeva azione ex art. 140 bis, D.Lgs.206/2005, chiedendo che, dichiarata l’ammissibilitàdell’azione e fissati i criteri per l’inclusione dei futuriaderenti alla domanda in modo da ricomprendervi tuttigli abbonati ai servizi ferroviari delle Trenord s.r.l. nelperiodo 9 dicembre 2012-19 dicembre 2012, la conve-nuta Trenord s.r.l. fosse condannata al risarcimento deidanni patrimoniali e non patrimoniali causati agli uten-ti del servizio ferroviario da questa gestito in talunegiornate del mese di dicembre 2012 allorquando – aseguito dell’introduzione senza adeguata sperimenta-zione di un nuovo software per l’assegnazione e l’orga-nizzazione dei turni del personale dipendente – si erano

verificati gravissimi disservizi su tutte le tratte copertedal servizio.In particolare, secondo l’assunto di parte attrice, sierano verificati ritardi dei convogli in partenza ed inarrivo, soppressione di molteplici treni, mancanza diinformazioni ed assistenza, trasbordi da un convoglioall’altro, sovraffollamento dei vagoni, modifica degliitinerari (per la cui descrizione si rinviava ai resocontiredatti dai singoli attori, sub. doc. 21a), i quali tuttiavrebbero configurato inadempimenti alle obbligazioniassunte nei confronti di ciascun utente con il contrattodi trasporto, il cui contenuto sarebbe stato integratodelle condizioni dettate dal c.d. contratto di servizio sti-pulato dalla convenuta con la Regione Lombardia, rela-tivamente agli standard minimi di qualità del servizioda erogare all’utenza.A seguito di tali fatti e delle correlate difese giudizialiavanzate sul punto dalla Società convenuta, ilTribunale dichiarava l’inammissibilità dell’azione col-lettiva, ritenendo la disomogeneità delle posizioni deisoggetti appartenenti alla classe.In particolare, secondo le parole dell’ordinanza,“Omogenea, in realtà, si presenta nella fattispecie solola causa che ha provocato gli inadempimenti lamentatidagli abbonati al servizio ferroviario (e dunque la messain funzione di un sistema informatico per la gestione deiturni del personale senza la necessaria sperimentazione,risultato così inidoneo a garantire la presenza di addet-ti su ogni convoglio), del tutto estrattori al rapporto fraTrenord s.r.l. e gli utenti, rispetto ai quali vengono inrilievo esclusivamente le conseguenze di tale errata scel-ta, e dunque l’inadempimento alle obbligazioni assuntecon il contratto di trasporto. Queste, secondo la stessadescrizione offerta dagli attori, sono state invece affattodiverse tra loro, trattandosi in alcuni casi di ritardi tra i15/20 minuti, in altri tra ì 60/80 minuti, in altri ancoradi diverse ore, od altresì di cancellazione di convogli condirottamento su altri: certamente comune a tutto talisituazioni è stata prospettata l’erogazione di un servizioinaccettabile quanto a sovraffollamento delle carrozze,ma è evidente come anche questo inadempimento si con-figuri in modo del tutto differente in relazione alla dura-ta dei vari percorsi.Difettano di uniformità anche i danni lamentati dai sin-goli attori promotori dell’odierna iniziativa giudiziaria:ed infatti non solo non possono essere equiparati i pre-

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giudizi subiti da coloro i quali siano giunti in ritardo di30 minuti al luogo di destinazione rispetto a quelli chesiano rimasti in attesa per ore sulle banchine ferroviarie,ma nemmeno quelli di coloro che abbiano comunqueusufruito del servizio con i connessi disagi e quelli dicoloro che, scoraggiati dalla prima esperienza, abbianonei giorni successivi deciso di recarsi al lavoro con lapropria auto. Ritiene infatti questo Tribunale che anchei danni lamentati debbano presentare caratteri di basecomuni (pur non richiedendosi l’identità del petitum), inmancanza dei quali verrebbe meno la possibilità di trat-tare congiuntamente la fase di merito con riferimento aduna pluralità (potenzialmente indefinita, per effetto delleeventuali adesioni ex art. 140 bis, IX co. lett. a) di credi-ti: contestualmente all’introduzione del sicuramente piùelastico criterio della “omogeneità”, il legislatore del2012 ha previsto che la liquidazione del danno sia defi-nitivamente attuata con la fase decisoria dell’azione diclasse (rimanendo in via alternativa la possibilità di sta-bilire il criterio omogeneo di calcolo per la liquidazio-ne), sul necessario presupposto che siano aggregati findall’inizio del processo pretese individuali suscettibili diessere valutate unitariamente, senza la necessità diun’istruttoria relativa alle particolari posizioni degliattori, La class action può dunque essere esperita soloper far valere crediti di natura seriale ed isomorfi, diver-samente non potendo conseguire quelle finalità di eco-nomia processuale e di uniformità decisoria che le sonounanimemente riconosciute.La domanda deve pertanto essere dichiarata inammis-sibile…[omissis]”.Per la verità, la pronuncia appena richiamata non appareconvincente: il danno riportata dagli utenti, pur non iden-tico, originava dalle medesime cause e, in via di massima,si atteggiava in termini di affinità, similarità o, per dirlacon le parole del legislatore, in termini di omogeneità.Pare che negare l’applicabilità dell’istituto in un’ipote-si di danno a valenza plurima come quello azionato nelcaso di specie valga, in qualche misura, a privare difondamento la valenza dell’azione di classe, vale a direil ruolo che il legislatore ha inteso attribuire a tale azio-ne all’interno del nostro ordinamento.

Con maggiore sforzo esplicativo, l’ipotesi in esamecostituisce un caso di danno seriale azionabile con lostrumento processuale di cui all’art. 140 bis, cod. cons.laddove le differenti posizioni degli utenti del serviziodi trasporto con riferimento alla difformità dei dannisubiti potevano essere valutate e giustiziate – si ritiene– alla stregua di criteri omogenei di calcolo per la liqui-dazione delle somme di spettanza, in conformità aldisposto di cui al comma 12 del ridetto art. 140 bis.Le tesi da ultimo sostenute, per altro, appaiono da ulti-mo condivise anche dalla giurisprudenza, posto cheun’ulteriore ricerca è esitata nella discoperta di un avvi-so – pubblicato sul sito Internet del Ministero delloSviluppo Economico – che recita nei seguenti termini:“Il Tribunale di Milano (10^ sezione Civile) ha fissatotermini e modalità di pubblicità dell’azione di classenei confronti dell’operatore ferroviario della RegioneLombardia Trenord Srl, per permettere agli utenti pen-dolari di aderire alla class action proposta daAltroconsumo (art. 140 bis del Codice del Consumo).La Corte di Appello di Milano (2^ sezione civile), infat-ti, aveva dichiarato ammissibile l’azione di classe pro-posta da Altroconsumo contro Trenord S.r.l. per i dannisubiti dai pendolari a causa del disservizio ferroviariodello scorso dicembre 2012. Gli utenti coinvolti sono, pertanto, i pendolari che pos-siedono un abbonamento settimanale, mensile oannuale valido per le tratte ferroviarie coperte daTrenord nel periodo tra il 9 al 19 dicembre 2012. Gliinteressati hanno tempo fino al 27 settembre 2014 peril deposito degli atti di adesione presso la cancelleriadel Tribunale di Milano.Il Tribunale di Milano ha stabilito, inoltre, che la pub-blicità (ai sensi del comma 9, art. 140 bis Codice delConsumo) per la divulgazione della class action incorso deve effettuarsi sul quotidiano La Repubblica erispettivamente sui siti web del Tribunale e delMinistero dello sviluppo economico”.Paiono, dunque, accolte, nel proprio aspetto ultimo esostanziale, le considerazioni critiche sopra espresse inordine alla pronuncia resa dal Tribunale di Milano indata 8 novembre 2013.

1 Cfr. SACCHI, Nuova class action., cit.

2 Cfr. SACCHI, Nuova class action., cit.

3 Opinione sostenuta anche da C. SCO-

GNAMIGLIO, Risarcimento del danno, restitu-

zione e rimedi nell’azione di classe., in Class

action il nuovo volto della tutela collettiva in

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Italia – Atti, Milano, Giuffrè, 2011.

4 Trib. Torino, Ord. 4 giugno 2010.

5 Così CONSOLO - ZUFFI, L’azione di classe,cit., p. 110.

6 Così V. TAVORMINA, La nuova classaction: il coordinamento con la disciplinadel codice di procedura civile, in Obbl. eContr., 2010, 4, p. 246.

7 Così CONSOLO - ZUFFI, L’azione di classecit., p. 176.

8 Cfr. SACCHI, Nuova class action, cit.

9 Così SACCHI, Nuova class action, cit.

10 Cfr. CONSOLO - ZUFFI, L’azione di clas-se, cit., p. 176.

11 Così S. BOCCAGNA, Una condivisibilepronuncia della Corte di cassazione sullanon ricorribilità ex art. 111 Cost. dell’ordi-nanza che dichiara inammissibile l’azione

di classe, in Riv. Dir. Proc., 2013, 1, p. 191.

12 Cfr. CONSOLO - ZUFFI, L’azione di clas-se, cit., p.172 e ss.

13 Cfr. BOCCAGNA, Una condivisibile pro-nuncia della Corte, cit., p. 191 e ss.

14 Cfr. Di LANDRO, Interessi dei consumato-ri e azione di classe, cit., p. 142 e ss.

15 Cfr. Trib. Torino, 4 giugno 2010, ord., inDanno resp., 2011, p. 81 e ss.

16 Cfr. SACCHI, Nuova class action., cit.

17 Sintesi della vicenda giudiziaria mutuatada G. AFFERNI, Recenti sviluppi dell’azione diclasse, in Contratto e Impr., 2013, 6, p. 1275.

18 In Foro it., 2013, I, p. 3326.

19 Cfr. A. D. DE SANTIS, Recenti sviluppidella giurisprudenza sull’azione di classe atutela dei consumatori, in www.Treccani.it,14 gennaio 2014.

20 Cfr. DE SANTIS, Recenti sviluppi dellagiurisprudenza, cit.

21 Per un approfondimento sulla pronunciain commento, cfr. A. ANTONUCCI, Classaction bancaria: considerazioni sullaprima vittoria consumeristica, in NuovaGiur. Civ., 2014, 7-8, p. 580.

22 Cfr. G. AFFERNI, Recenti sviluppi del-l’azione di classe cit., p. 1275 e ss.

23 Ricostruzione della vicenda giudiziariatratta da R. DONZELLI, L’azione di classe trapronunce giurisprudenziali e recenti riformelegislative, in Corriere Giur., 2013, 1, p. 103.

24 Cfr. A. GIUSSANI, Intorno alla tutelabili-tà con l’azione di classe dei soli diritti omo-genei, in Giur. It., 2014, 3, p. 603.

25 Così GIUSSANI, Intorno alla tutelabilità,cit., p. 603 e ss.

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1.Il concorso del professionista nei reati connes-si alla crisi d’impresa deve essere inquadrato –sia pure in termini generali – nell’ambito delle

tematiche riguardanti il concorso di persone nel reato.Con la presente trattazione non si intendono affrontarele responsabilità, per così dire, dirette, ossia quelle incui potrebbe incorrere colui che, in ragione della pro-fessione esercitata, vada a ricoprire la carica di ammi-nistratore o di sindaco di una società, ovvero assuma laveste di attestatore – quale professionista indipendente– nei casi di concordato preventivo, accordo di ristrut-turazione o piano attestato, previsti dalla legge falli-mentare.Si vuole, piuttosto, esaminare la possibilità che un“consulente” di impresa, di solito un avvocato o uncommercialista, concorra, per effetto dei “consigli” datio delle attività poste in essere in una situazione di crisiaziendale, nei reati commessi dall’imprenditore o daglialtri soggetti chiamati “direttamente” dalla legge pena-le a rispondere di talune ipotesi di reato.Pertanto, per affrontare la tematica in questione, ènecessario formulare, attraverso l’esame dei principigenerali in materia di concorso di persone nel reato,alcune ipotesi in cui taluno possa concorrere nel reatocommesso da altri.

2. Nel nostro sistema penale vigono, come è noto, oltreche il principio di legalità, anche i corollari di tipicità edi tassatività della fattispecie penale.Con tali concetti si intende precisare che l’illecito pena-le, oltre che essere previsto da una norma di legge, devecontenere l’esatta e precisa enunciazione del fattocostituente reato, in modo tale che ciascuno sappia concertezza, prima di agire, quale sia il comportamentovietato e sanzionato dalla norma penale.Quando il reato è interamente commesso da un solosoggetto, questi – in sintesi – sarà chiamato a rispon-

derne soltanto ove abbia realizzato interamente tutti glielementi espressamente previsti dalla norma penale,ossia quando abbia posto in essere la condotta ividescritta, quando l’evento – ove previsto – si sia realiz-zato e, da ultimo, quando ricorra anche l’elemento psi-cologico contemplato dalla previsione normativa.

3. La situazione presenta caratteri più problematici –con riguardo al rispetto dei canoni di tipicità e di tassa-tività del precetto penale – allorquando il fatto reato siastato commesso da più soggetti.In tali casi, potrebbe in astratto accadere:a) che ciascuno dei concorrenti realizzi interamente lacondotta tipica;b) che solo uno o alcuni soggetti la realizzino, mentrealtri si limitino ad attività di preparazione o agevolazione;c) che ciascun concorrente realizzi soltanto un seg-mento di condotta e che questa sia quindi realizzatadall’insieme di tali segmenti;d) che uno o taluni soggetti si limitino a far sorgere ilproposito di altri di compiere il fatto illecito, ovverorafforzino tale proposito criminoso.

4. Il nostro Codice penale, con l’art. 110, ha adottato iprincipi di unicità della fattispecie concorsuale e di pariresponsabilità di ciascun concorrente.Si afferma, infatti, come tale norma riguardi, primaancora che l’aspetto della responsabilità, quello dellatipicità, nel senso che essa andrebbe ad innestarsi nellafattispecie penale c.d. monosoggettiva e consentirebbela punibilità di condotte che altrimenti – isolatamenteconsiderate – non sarebbero punibili, poiché costituen-ti soltanto parti di quelle previste dalla norma penale.Nei vari casi indicati al n. 3 che precede, infatti, e senzauna disciplina del concorso, soltanto nell’ipotesi sub a)sarebbero punibili le condotte di tutti i concorrenti, poi-ché ciascuno di essi, avendo realizzato per intero la

Il concorso del professionista nei reati connessi alla crisid’impresaTommaso PietrocarloAvvocato del Foro di Roma

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condotta tipica, sarebbe punibile in base alla solanorma penale incriminatrice.Si pensi, viceversa, all’ipotesi sub 3), b) e c), in cui nes-suno o soltanto taluno dei concorrenti ponga in esserequella condotta esattamente prevista dalla norma penale.A stretto rigore, in assenza della disciplina del concor-so di persone nel reato, nessuno dei concorrenti di cuiall’ipotesi sub c) sarebbe punibile e, rispetto all’ipotesisub b), lo sarebbero soltanto alcuni di essi.Quanto all’ipotesi sub d), senza una disciplina del con-corso resterebbero al di fuori della sfera di punibilitàquei soggetti che non hanno compiuto alcuna attivitàmateriale, ma hanno soltanto “influenzato” moralmen-te la commissione del reato. E allora, poiché le norme penali incriminatrici sono, diregola, costruite come fattispecie c.d. monosoggettive,soltanto attraverso il “sistema” delineato dagli artt. 110e ss. c.p. è possibile ritenere illecite anche quelle con-dotte “causali” rispetto al fatto reato, che altrimenti nonpotrebbero essere sanzionate.

5. Si deve, a questo punto, stabilire sulla base di qualiprincipi una condotta “atipica” possa dirsi, comunque,“causale” rispetto al fatto reato e, dunque, possa dareluogo ad un’ipotesi di concorso nel reato. Ciò con l’importante precisazione che, comunque, laconsumazione del reato segna il limite oltre il qualenon vi è possibilità di concorso: pertanto, la condottarilevante dovrà essere necessariamente individuata traquelle poste in essere prima di tale momento.

6. Appare ormai consolidata, in dottrina ed in giurispru-denza, quella teoria che costruisce la “causalità” nelconcorso di persone nel reato in termini di causalità c.d.agevolatrice o di rinforzo.Si afferma che, da un punto di vista oggettivo, la con-dotta del concorrente è punibile, a titolo di concorsoc.d. materiale, anche quando essa, considerando ex postl’evento così come si è, in concreto, verificato, ne abbiasoltanto facilitato la realizzazione, rendendolo più pro-babile, più facile, più grave.

7. Quanto al c.d. concorso morale, è da tempo consoli-data la distinzione tra colui che faccia sorgere l’altruiproposito criminoso (c.d. determinatore) e colui cherafforzi tale proposito (c.d. istigatore).

In tutti questi casi, il concorrente nel reato risponde apieno titolo del reato commesso da altri, sebbene nonne abbia realizzato la condotta tipica, ma abbia soltan-to “influenzato” moralmente l’autore materiale.La giurisprudenza appare spesso consapevole che,soprattutto in tema di concorso morale, esiste un rilevan-te profilo di possibili forme atipiche e differenziate in cuipuò manifestarsi il contributo causale del concorrente.Tuttavia, si afferma che tale circostanza, ben lungi dalrendere penalmente irrilevante il contributo del deter-minatore o dell’istigatore, fa sorgere soltanto l’obbligo,da parte del giudice, di “… motivare sulla prova del-l’esistenza di una reale partecipazione nella fase idea-tiva o preparatoria del reato e di precisare sotto qualeforma essa si sia manifestata, in rapporto di causalitàefficiente con le attività poste in essere dagli altri con-correnti …” (così la ben nota SS.UU. 30.10.2003, n.45276).

8. Quanto all’elemento psicologico del reato a titolo diconcorso, esso richiede la consapevolezza e la volontàdel contributo causale arrecato alla condotta altrui,oltre che quello previsto dalla fattispecie monosogget-tiva.

9. Come quasi tutti i reati, anche quelli che possonorilevare nell’ambito della c.d. crisi d’impresa sonocostruiti come fattispecie monosoggettiva.Si pensi, ad esempio, alla bancarotta fraudolenta previ-sta dall’art. 216 L. Fall., che ha come destinatario l’im-prenditore e, per effetto dell’estensione ex art. 219, gliamministratori, i direttori generali, i sindaci ed i liqui-datori di società.Ebbene, anche rispetto a tale reato possono venire inrilevo le norme ed i principi, appena ricordati, in mate-ria di concorso di persone e, dunque, anche il c.d.extraneus può concorrere nel reato di bancarotta.Le forme possono essere, perciò, tanto quella del con-corso materiale che quella del concorso morale.Si pensi, ad esempio, al “consiglio”, dato dal consulen-te all’imprenditore o all’amministratore di una societàin crisi, di costituire una “bad company” ove collocarele passività o una società “good” ove inserire gli assetin pregiudizio dei creditori ed in modo da cagionare ilfallimento (art. 223, comma 2, n. 2 L. Fall., fallimentoper effetto di operazioni dolose).

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Tale “consiglio” si può tradurre, per ciò solo, in caso didichiarazione di fallimento, in una ipotesi di concorsomorale per determinazione o istigazione altrui – ossiaper aver fatto sorgere, ovvero rafforzato, l’altrui propo-sito criminoso – nel reato di bancarotta fraudolentapatrimoniale.Ove, invece, il professionista abbia agevolato – attra-verso la predisposizione di mezzi, strutture, pareri tec-nici, etc. – la commissione del reato, si potrebbe profi-lare un vero e proprio concorso materiale.

10. Ancora più insidiosa si può presentare l’ipotesi diconcorso eventuale nel reato di bancarotta fraudolentac.d. documentale, che ricorre anche quando la contabi-lità esista, ma sia tenuta in modo tale da impedire laricostruzione del patrimonio o del movimento degliaffari (art. 216, comma 1, n. 2, ult. parte).In linea di principio, il consulente contabile dovrebbecomunque restare estraneo a tale possibile incrimina-zione, atteso che, di per sé, l’obbligo di una correttatenuta della stessa grava sull’imprenditore, ovvero suamministratori, sindaci, liquidatori.

11. La giurisprudenza, tuttavia, sia pure in presenza diun atteggiamento non meramente inerte del professio-nista, ha ritenuto, con riferimento ad entrambe le formedi bancarotta, che:“Concorre in qualità di extraneus nei reati di bancarot-ta patrimoniale e documentale il consulente contabileche, consapevole dei propositi distrattivi o di confusio-ne contabile dell’imprenditore, dia consigli o suggeri-menti sui negozi giuridici atti a sottrarre i beni ai cre-ditori o lo assista nella conclusione dei relativi negozio svolga attività dirette a garantirgli l’impunità o a raf-forzarne, con il proprio ausilio e con le proprie preven-tive assicurazioni l’intento criminoso”. (Così, Cass.,Sez. V, 9.10.2013, n. 49472).

12. Ecco, dunque, che si delinea una sorta di zona, percosì dire, grigia, dai contorni estremamente problema-tici, nell’ambito della quale il professionista – ancorchénon si spinga fino a mettere a disposizione dell’impren-ditore mezzi, strutture, persone, e tuttavia orienti, conla sua “scienza”, le scelte imprenditoriali – può,comunque, concorrere nei reati c.d. fallimentari. Se, infatti, nessun dubbio sussiste, neppure in base al

comune sentire, che un consulente possa concorrere nelreato di bancarotta ove coadiuvi materialmente l’im-prenditore a distrarre beni dalla società, magari metten-do a disposizione altro ente cui cedere, a prezzo esiguoo senza alcuna contropartita, beni sociali, può esseremeno “intuitivo” ritenere illecito il semplice “consi-glio”, dato dal consulente, di trasferire un bene ad altrasocietà per sottrarlo al fallimento.Tuttavia, soprattutto la disciplina del concorso c.d.morale prima ricordata, laddove ritiene che tale formadi responsabilità sussista anche in capo a colui che silimiti a “rafforzare” un proposito criminoso già esisten-te, sembra chiaramente orientata nel senso restrittivo.Del resto, la massima prima ricordata è proprio il frut-to dell’applicazione dei principi sul concorso morale,secondo cui non occorre che il concorrente abbia postoin essere una condotta materiale concretamente perce-pibile, ma è sufficiente che egli abbia determinato altria commettere un delitto, ovvero lo abbia, per così dire,“incoraggiato”.Si veda, nello stesso senso, Cass. 15.2.2008, n. 10742,in tema di affitto di azienda privo di effettiva contro-partita e preordinato ad avvantaggiare i soci a scapitodei creditori. La S.C. ha, in questo caso, ritenuto sussistente il con-corso del consulente della società nel reato di bancarot-ta fraudolenta per aver progettato e portato ad esecuzio-ne la conclusione di tale contratto.

13. Le medesime conclusioni si attagliano, ad esempio,anche all’ipotesi di falso in bilancio ex artt. 2621 e2622 c.c., punite, in caso di fallimento, alla streguadella bancarotta, ai sensi dell’art. 223, comma 2, n. 1,L. Fall..Anche se la norma in esame richiede, accanto alla fal-sità nel bilancio e nelle altre comunicazioni sociali, laprova che tali operazioni siano state causali rispetto aldissesto, è tuttavia possibile e, anzi, probabile che –ove si sia giunti all’esposizione di dati falsi attraversoil “consiglio” di un “esperto” e da tale consiglio siaderivato anche un semplice aggravamento del dissesto– il professionista sia chiamato a rispondere del delittoin esame.

14. Nei reati tributari, il concorso del professionista(morale o materiale) nel reato dell’imprenditore può

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configurarsi attraverso modalità analoghe alle prece-denti.Si pensi, con riguardo esclusivamente alle ipotesi menoeclatanti, al “consiglio” di creare, ovvero di utilizzare,società estere che si frappongano nell’acquisto di benio servizi, con il risultato di ottenere costi fittizi e, even-tualmente, anche una provvista estera sottratta a tassa-zione.Secondo le regole generali in materia di concorso c.d.morale, il consulente in questo caso risponderebbe, inconcorso con l’imprenditore, del delitto di dichiarazio-ne fraudolenta mediante utilizzo di fatture false, ex art.2 D.Lgs. 10.3.2000, n. 74.Ciò, pur non avendo fornito alcun apporto materiale(es.: mettendo a disposizione società esistenti, personecompiacenti, etc.) alla commissione del fatto.

15. Sempre ponendo l’attenzione ad ipotesi, per cosìdire, meno evidenti, si potrebbe profilare anche il con-corso – da parte del commercialista che curi la contabi-lità della società emittente – nel reato di emissione difatture per operazioni inesistenti (art. 8 D.Lgs. cit.),ovvero in quello di dichiarazione fraudolenta medianteuso di false fatture (art. 2).

Si pensi, ad esempio, al caso del tenutario di scritturecontabili di una società c.d. “cartiera”, ossia quella nondotata di attrezzature, strutture, personale che peròemetta fatture per prestazioni di beni o servizi che nonpuò rendere.O, specularmente, all’eventuale concorso del consulen-te con colui che utilizzi tali fatture in dichiarazione.La S.C., con sentenza 26.5.2010, n. 35453, Sez. V, haritenuto responsabile del delitto di emissione di fattureper operazioni inesistenti, ex art. 8 cit., anche il com-mercialista – in concorso con il legale rappresentantedella società emittente – nel cui studio furono rinvenu-te numerose fatture irregolari che non erano state con-tabilizzate dall’emittente, ma che, tuttavia, erano rego-larmente annotate nella contabilità dell’utilizzatore.

16. Conclusivamente, si può affermare che il ruolo delconsulente, specialmente nel caso in cui esso vengaesercitato in una situazione di crisi d’impresa, si puòprestare agevolmente ad essere qualificato in terminipenalmente rilevanti se il comportamento tenuto nontenga adeguatamente conto della portata dei principi intema di concorso di persone nel reato, ormai pacifici ingiurisprudenza.

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1.IntroduzioneIl gioco1 è, sul piano fattuale, un’attività ludicapiacevole e di svago, a carattere individuale o

collettivo, che coniuga differenti funzioni di sviluppodella creatività, di educazione e pedagogia2, di preven-zione dell’ira3 e di relax4. Il gioco è una delle primemanifestazioni di vita del bambino, ma caratterizzal’intero percorso della vita. La ragione del continuointeresse dell’uomo al gioco si può ravvisare nel biso-gno di evadere dalla realtà quotidiana per rifugiarsi inquello che viene definito il “mondo magico del gioco”5.Storicamente considerato uno strumento socialmenteutile quale mezzo di svago e distrazione, può assumere“connotati parossistici e sproporzionati, quando daforma di svago diventa passione smodata, che distogliedalle comuni attività della vita”6. Il gioco può trasfor-marsi in una “fonte di disordini morali, suscettibili dicompromettere gravemente gli interessi patrimoniali efamiliari del contraente, accecato dalla passione”7.Il fenomeno del gioco lungi dall’apparire come aspettogiuridico “di interesse meramente dottrinale e studiatoper solo desiderio di completezza”8 ha assunto un ruolodeterminante nel panorama economico e giuridicodegli stati moderni che ne detengono il monopolio.L’offerta statale di giochi è varia e progressivamentecrescente, in quanto rappresenta uno strumento difinanziamento per i bilanci pubblici.Tuttavia mentre lo svolgimento sporadico di giochi puòavere effetti limitati sul reddito e sulla salute, il suoesercizio assiduo può incidere sul giocatore creandonedipendenza, sino a diventare una patologia.Sicché si assiste nel corso degli ultimi anni ad una cre-scente diffusione delle pratiche del gioco e ad una preoc-cupante incremento dei giocatori d’azzardo patologici.

2. Classificazione dei giochiI criteri posti dagli ordinamenti giuridici a fondamento

dell’obbligatorietà o meno dei debiti di gioco o discommessa non sembrano uniformi.Il diritto romano presentava due possibili alternative: inalcune ipotesi, vietava in pecuniam ludere; in altre,riconosceva piena validità ed efficacia al gioco.Pertanto le scommesse sulla corsa, sulla lotta, o sulsalto erano valide ed efficaci e davano luogo ad obbli-gazioni protette con azione; le scommesse proibiteerano colpite con sanzioni penali e davano luogo altre-sì all’infamia9.Il codice civile del 1865 si limitava a distinguere tradebito munito di azione e debito non munito di azione.L’invalidità dei negozi collegati al gioco dipendeva daun giudizio di illiceità del gioco medesimo, derivanteda illiceità della causa di gioco o da illiceità per contra-rietà a norme imperative10. L’ordinamento giuridico vigente riconosce rilevanzagiuridica al gioco ove più soggetti si accordano perdisputare una gara o una partita in base a “regole daloro stessi imposte o comunque accettate, obbligando-si ad una prestazione di contenuto patrimoniale a favo-re”11 del vincitore.Una prima dicotomia tra giochi è presente nel codicecivile12 che distingue tra “giuoco” e “scommessa” (artt.1933-1935 c.c.). La distinzione è considerata giuridica-mente irrilevante, non esistendo una differenza di disci-plina applicabile tale da giustificare una classificazio-ne, utile solo ad appagare esigenze di precisione con-cettuale13. Dunque, il prevalente orientamento dottrina-le14 ravvisa nel gioco un mero presupposto di fatto dellascommessa, di tal che il gioco diverrebbe rilevante peril diritto solo quando vi sia una scommessa sull’esitodello stesso15.Ciò premesso, dall’analisi degli articoli 1933-1935 delcodice civile e degli articoli 718-723 del codice penaleè possibile distinguere tre tipi di giochi: giochi vietati;giochi non proibiti ma tollerati; giochi pienamente tute-

Gioco d’azzardo patologico: nuove esigenze di tutelee vecchie regole di contestoRita TuccilloAvvocato del Foro di Roma, Dottore di Ricerca in Diritto dell’arbitrato interno ed internazionale Università Luiss “Guido Carli” di Roma

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lati. La tripartizione dei giochi non si basa sulle caratte-ristiche del gioco, ma esclusivamente sulla voluntaslegis. Il legislatore stabilisce quali giochi sono proibiti,quali giochi sono tollerati e quali, infine, sono tutelati.

3. Giochi vietatiL’articolo 718 c.p. sancisce il principio generale per cuiil gioco d’azzardo è illegale per l’ordinamento, se nonautorizzato. La ratio legis dell’assunto trova fonda-mento nella concezione del gioco d’azzardo come un“vizio” che “rafforza la cupidigia e l’avversione allavoro”16, tanto che l’esigenza ludica diffusa nel socia-le deve poter essere esercitata esclusivamente sotto ilcontrollo e il monopolio statale, che gestisce il giocod’azzardo lecito. L’art. 721 c.p. definisce “giochi d’azzardo” illegaliquelli nei quali ricorre il fine di lucro e la vincita o laperdita è, interamente o quasi, aleatoria. Integrano la fattispecie del gioco d’azzardo il relativoesercizio, l’agevolazione o la partecipazione allo stes-so, ove tali condotte siano tenute “in un luogo pubblicoo aperto al pubblico o in circoli privati di qualunquespecie” (ex artt. 718 e 720 c.p.). L’art. 721 c.p. conside-ra un gioco “d’azzardo” in presenza di due elementicostitutivi: il fine di lucro e l’alea.La Corte di Cassazione Penale ha precisato che “Ilgioco d’azzardo, punito dall’art. 718 cod. pen., si con-figura allorché l’abilità del giocatore assume un ruolominimo rispetto alla aleatorietà dovuta alla fortuna edal caso e sussiste un fine di lucro, che può essere esclu-so solo allorquando la posta sia talmente tenue daavere un valore del tutto irrilevante”17.Il gioco o “la scommessa proibita ha dal punto di vistacivilistico causa illecita” per contrarietà a norma impe-rativa e all’ordine pubblico ed è, quindi, sanzionata conla nullità, “ne nasce la negazione al vincitore dell’azio-ne per ottenere la posta vinta e l’ammissibilità dellaripetizione di quanto abbia pagato il perdente”18.L’obbligazione naturale è, quindi, estranea a questa fat-tispecie e riferibile solo alle ipotesi di giochi non proi-biti.

4. Giochi non proibiti ma tolleratiIl Capo XXI del libro IV del codice civile è rubricato“Del giuoco e della scommessa”. Il gioco e la scom-messa19 sono tipici contratti aleatori20, in ragione della

dipendenza dell’esecuzione di una o di alcune delleprestazioni dal verificarsi di un evento incerto.L’aleatorietà non dipende dalla incertezza intorno alvantaggio economico derivante dal contratto, non rile-vando giuridicamente tale circostanza, ma si identificanel dato strutturale della subordinazione dell’an o delquantum delle prestazioni all’esito del gioco o dellascommessa21.L’art. 1935 c.c. prevede che “non compete azione per ilpagamento di un debito di giuoco o di scommessa,anche se si tratta di giuoco o di scommessa non proibi-to”. In tali ipotesi di giochi e scommesse, l’unico effet-to riconosciuto dall’ordinamento al gioco, “anche se sitratta di giuoco o di scommessa non proibiti” (ex art.1933 c.c.), è la soluti retentio del vincitore.Il fondamento della irripetibilità è variamente indicatodalla dottrina.Secondo alcune opzioni interpretative22, il debito digioco sarebbe da ricondursi ad un’obbligazione natura-le; secondo altre23, si tratta di prestazioni contrarie albuon costume. Altro orientamento dottrinale ritiene chel’irripetibilità, con la quale viene sanzionato il debito digioco, trovi la sua ratio nell’essere la prestazionesubordinata nell’an e nel quantum all’esito di un giocoe, quindi, nel fatto che il trasferimento patrimoniale,prodottosi in dipendenza dell’esito del gioco medesi-mo, non risponde a interessi economici meritevoli dipiena tutela. Tale trasferimento non potrebbe, quindi,essere ricondotto all’adempimento di un dovere mora-le e sociale, ma neanche potrebbe essere ritenutoimmorale24.In altre parole, l’art. 1933 c.c. stabilisce quale regolagiuridica generale che il gioco è un’attività consideratanon meritevole di tutela, tanto che da un lato non dàazione al vincitore, dall’altro, non consente la ripetizio-ne di quanto pagato. L’obbligazione sottesa al rapportogiuridico del gioco d’azzardo lecito manca della coer-cibilità, ma l’adempimento spontaneo non è ripetibile25.

5. Giochi pienamente tutelatiI giochi pienamente tutelati producono effetti contrat-tuali e sono assistiti da azione in giudizio per il paga-mento della posta promessa.L’ordinamento giuridico vieta il gioco d’azzardo da unlato, e, attraverso leggi speciali (Casa da Gioco, Lotto,Lotterie Nazionali) e norme derogative, conferisce

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liceità e tutela ai giochi d’azzardo autorizzati, in quan-to gestiti direttamente o indirettamente dallo Stato (amezzo di Gestori licenziati dal Ministero), dall’altro.La legittimità costituzionale delle leggi speciali chederogano al divieto di gioco d’azzardo è stata conferma-ta dalla Corte Costituzionale, che ha affermato l’impos-sibilità che “i proventi del gioco lecito siano al tempostesso prodotto di un reato ed entrate di diritto pubbli-co: e ciò in base al carattere di unità e di coerenza delnostro ordinamento giuridico”26. L’evidente contrastotra il divieto di giochi d’azzardo, previsto dagli artt.718-721 c.p., e l’offerta al pubblico degli stessi in regi-me di monopolio statale è motivato sull’assunto che“solo una legge dello Stato può derogare al dirittopenale vigente, tale effetto può essere conseguito ancheda una legge non emessa espressamente ad hoc, purchécontenga disposizioni incompatibili con il divietopenalmente sanzionato. Si può inoltre rammentare cheper le disposizioni penali in generale o per quelle spe-cifiche in tema di gioco d’azzardo (artt. 718-722 c.p.) fadifetto un divieto di abrogazione o modifica tacita”27.Se ne desume che i giochi d’azzardo pienamente tute-lati trovano la loro legittimità in leggi statali di natura econ efficacia derogatoria delle disposizioni penalirichiamate. Efficacia derogatoria, disposta dal legisla-tore, che troverebbe “ragioni giustificative della sottra-zione di ipotesi di specie alla disciplina della ipotesi digenere: accanto a quella più generale di disincentiva-re l’afflusso di cittadini italiani a case da gioco apertein Stati confinanti nelle zone prossime alla frontiera, sipone quella più particolare di sovvenire alle finanze dicomuni o regioni ritenute dal legislatore particolar-mente qualificate dal punto di vista turistico e dallasituazione di dissesto finanziario”28.Tali ragioni giustificative sono considerate dal legisla-tore prevalenti rispetto ad altri valori costituzionalmen-te tutelati, quali: il lavoro, di cui all’art. 1 Cost., intesocome valore fondamentale caratterizzante la formadello Stato che manifesta la volontà della Costituzioneche tutti i cittadini siano impegnanti in attività social-mente utili; il risparmio, incoraggiato e tutelato dal-l’art. 47 Cost.; la solidarietà sociale, che tramuta ildiritto del cittadino al lavoro in un dovere sociale; lalibertà e dignità umana, che posso essere pregiudicatedal gioco d’azzardo29.Ne consegue che l’offerta di giochi d’azzardo leciti è

oggi molto varia e vi rientrano, in primis, le competi-zioni sportive e le lotterie autorizzate.L’art. 1934 c.c. individua infatti quali giochi tutelati “Igiuochi che addestrano al maneggio delle armi, le corsedi ogni specie e ogni altra competizione sportiva”. Per verificare se si tratti di una competizione sportivasecondo una voce dottrinale30 non assume rilievo losforzo fisico dei partecipanti, secondo altra dottrina31

l’elemento rilevante è la vigoria fisica da intendersi noncome sforzo, ma come esercizio del corpo.Benché le competizioni sportive rientrino tra i giochitutelati dall’ordinamento è previsto il potere del giudi-ce di rigettare o di ridurre la domanda di adempimentodell’obbligazione contratta ove ritenga la posta eccessi-va. Il diritto alla prestazione è, ovviamente, subordina-to allo svolgimento della competizione nel rispettodelle regole.Il successivo art. 1935 c.c. prevede poi che “le lotteriedanno luogo ad azione in giudizio, qualora siano legal-mente autorizzate”.La lotteria32 è qualificata come un contratto bilaterale oplurilaterale avente ad oggetto una prestazione patri-moniale caratterizzata dall’aleatorietà del risultato edall’aperta partecipazione del pubblico. Il presuppostodi liceità della lotteria è l’autorizzazione. Quest’ultimarealizza un elemento della fattispecie, la cui assenzacomporterebbe la nullità del contratto e la ripetibilitàdelle prestazioni. Nell’alveo dei contratti di lotteriaautorizzata rientrano anche le lotterie istantanee33. Talilotterie, a differenza di quelle tradizionali in cui le vin-cite vengono attribuite a posteriori, sono caratterizzatedalla circostanza per cui l’Amministrazione finanziariasi impegna a mettere a disposizione degli scommettito-ri un numero prefissato di premi, predeterminati amonte e corrispondenti ad altrettanti biglietti vincenti,adeguatamente criptati, in modo da mantenere celata lapossibilità degli acquirenti di scoprire anzitempo lanatura vincente del tagliando.Sono considerati giochi leciti e tutelati i giochi automa-tici34, che con macchine elettriche consentono una vin-cita in denaro o in natura e la possibilità di prolungareil gioco. La definizione di apparecchio idoneo a giocolecito è prevista nell’art. 110, comma 6 e 7, R.D. 18giugno 1931, n. 773 e successive modifiche, ai sensidel quale: “Si considerano apparecchi idonei per ilgioco lecito: a) quelli che, dotati di attestato di confor-

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mità (...), nei quali insieme con l’elemento aleatoriosono presenti anche elementi di abilità, che consentonoal giocatore la possibilità di scegliere, all’avvio o nelcorso della partita, la propria strategia, selezionandoappositamente le opzioni di gara ritenute più favorevo-li tra quelle proposte (...); b) quelli, facenti parte dellarete telematica (…); c) quelli elettromeccanici privi dimonitor attraverso i quali il giocatore esprime la suaabilità fisica, mentale o strategica (…)”.Dunque dal dato normativo al fine della liceità del giocoofferto sembrerebbe necessario che il gioco stesso pre-senti quale carattere predominante la abilità del giocato-re, intellettiva o fisica, e come carattere solo secondariol’alea. Eppure i giochi che vengono offerti non parerispondano effettivamente a tali requisiti, a meno di nonvoler considerare gioco di abilità una slot machine eabilità fisica lo sforzo di spingere un pulsante.

6. Il gioco d’azzardo patologicoIl mero incontro con il gioco d’azzardo non porta fisio-logicamente all’evoluzione di un quadro patologico,sono, invece, necessari diversi elementi per trasforma-re una attività ludica in una condotta di dipendenza.Quest’ultima è il risultato di un processo caratterizzatodal concorso di fattori diversi legati al contesto sociale,storico, culturale ed economico.La letteratura scientifica considera il gioco d’azzardocome una addiction35, intesa come “dedizione”, che benrappresenta la mancanza di libertà e di responsabilitàdel giocatore patologico. Col termine new addictions sifa riferimento a quelle forme di dipendenza, in cui nonè implicata una sostanza chimica che crea dipendenzafisica, ma in cui sussiste una dipendenza psicologica,che spinge alla ricerca costante di un oggetto, di un’at-tività, di un comportamento.Il gioco d’azzardo patologico è un disturbo delle abitu-dini e degli impulsi che determina il compimento di attiripetuti senza motivazione razionale, che portano aledere interessi personali del soggetto e di altre perso-ne36. Dall’analisi dei percorsi37 delle persone che hannosviluppato problemi con il gioco, si è riscontrata unaevoluzione del quadro dall’incontro con il gioco allavera e propria compulsività, che può essere suddivisain tre diverse fasi.Nella prima fase (fase vincente) il giocatore occasiona-le ottiene una vincita, che diventa lo stimolo per prose-

guire nel gioco, l’obiettivo da perseguire.Nella seconda fase (fase della perdita progressiva),caratterizzata da un gioco sempre più solitario e conepisodi di perdite sempre più rilevanti, il giocatoreinsegue invano la vincita, trasformando il gioco nellaprincipale attività della vita quotidiana. In tale fase, ilgioco appare sempre più monopolizzare il pensiero e lepreoccupazioni del soggetto, fino a trasformarsi in unafuga dalla vita reale.Nella terza fase (fase della disperazione) il giocatoreperde la cognizione della realtà e per continuare a gioca-re può contrarre debiti, compiere atti illegali o violenti.Il superamento del disturbo comportamentale necessitadi un percorso di cura e riabilitazione spesso lungo ecomplesso. Il principale ostacolo alla cura della patolo-gia si rinviene nella circostanza che il gioco è oggi unapratica sociale riconosciuta dall’ordinamento: la dipen-denza da sostanze stupefacenti è contrastata da una nor-mativa stringente che sanziona alcune condotte connes-se agli stupefacenti; la dipendenza da alcol è limitata dasanzioni amministrative, che sanzionano, ad esempio,la guida in stato di ebbrezza; il gioco, al contrario, nonè considerata una pratica riprovevole, il giocatore nonè emarginato dalla società, ma anzi circondato da mes-saggi pubblicitari che incitano al gioco.Il fenomeno del gioco d’azzardo patologico è dilagante,tanto che l’azzardo è considerato una delle principalicause di indebitamento delle famiglie e delle imprese38.La spesa per giochi e lotterie è considerata come un“moltiplicatore negativo” della domanda di beni e ser-vizi destinati alla vendita, poiché con lo sviamento delladomanda verso dissipazione e tassazione riduce lo sti-molo potenziale alla produzione di valore aggiunto39.Dunque il gioco influisce negativamente sulla crescitaeconomica di un Paese, sia in quanto dirotta la spesaverso beni che non producono utilità, sia perché deter-mina un rilevante costo sociale. Il costo sociale delgioco d’azzardo patologico è composto da voci variabi-li: costo lavoro, inteso quale ridotta capacità lavorativa;un costo relazionale e affettivo, che può comprendereseparazioni, divorzi e dunque costi di giustizia; costiper la riabilitazione del gioco, che incidono sulla spesasanitaria; costo sociale, che comprende l’incremento diattività illecite e, dunque, della illegalità. Tali elementisono la ragione dell’attenzione che viene da ultimoriservata al tema.

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La portata del fenomeno sociale del gioco era già evi-dente negli anni ’80, quando ha determinato il riconosci-mento da parte della comunità scientifica del gioco d’az-zardo come patologia, attraverso l’inclusione del“Pathological Gambler” nella terza versione del DSM40.Si riscontra, oggi, un crescente interesse del legislatorenella prevenzione della dipendenza che ha portato allapromulgazione del decreto legge 13 settembre 2012, n.158 convertito in L. 8 novembre 2012, n. 18941, recante“Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo delPaese mediante un più alto livello di tutela della salute”. Il citato decreto, all’art. 5, ha disposto l’aggiornamentodei livelli essenziali di assistenza (c.d. LEA) con riferi-mento “alle prestazioni di prevenzione, cura e riabili-tazione rivolte alle persone affette da ludopatia, intesacome patologia che caratterizza i soggetti affetti dasindrome da gioco con vincita in denaro, così comedefinita dall’Organizzazione mondiale della sanità(G.A.P.)”. Con questa disposizione si è manifestata laconsapevolezza del legislatore che la dipendenza dagioco d’azzardo è una patologia che necessita di unintervento riabilitativo, che data la diffusione, non puòesulare dalle prestazioni fornite dal Sistema sanitarionazionale (c.d. SSN). Tuttavia, per la effettiva modifi-ca dei LEA e l’inserimento del GAP tra le patologiecurate dal SSN è necessaria, come noto, la promulga-zione di un decreto ad hoc del Presidente del Consigliodei Ministri42, che allo stato tarda ad intervenire.Nelle more, si deve tener conto che il gioco d’azzardopatologico è una patologia che può incidere, in partico-lare, sulla capacità di agire e naturale del giocatore,nonché sulle eventuali relazioni coniugali.

7. Limitazioni della capacità di agireIl gioco d’azzardo patologico può influire sulla capaci-tà di agire del giocatore, intesa quale “idoneità a com-piere a validamente atti giuridici che consentano alsoggetto di acquisire ed esercitare diritti o di assumereed adempiere obblighi”43, riducendola o, addirittura,eliminandola. In queste ipotesi, al fine di tutelare il gio-catore si potrebbe ricorrere a strumenti di tutela comel’interdizione, l’inabilitazione o l’amministrazione disostegno, per cui è opportuno verificarne la concretaapplicabilità.Ai sensi dell’art. 414 c.c., il ricorso all’interdizione èpossibile solo per: “Il maggiore di età e il minore

emancipato, i quali si trovano in condizioni di abitualeinfermità di mente che li rende incapaci di provvedereai propri interessi”. Il gioco patologico, come abbianoanticipato, è considerato come un disturbo comporta-mentale, che può senz’altro influenzare le scelte delgiocatore, ma difficilmente potrebbe assurgere ad unainfermità mentale abituale.Il giocatore patologico potrebbe rientrare in alcuni pre-supposti della inabilitazione, e, precisamente: infermi-tà mentale non così grave da determinare l’interdizioneo la prodigalità.La citata infermità mentale sussiste in presenza diun’alterazione delle facoltà mentali, che dia luogo aduna incapacità parziale o totale di curare i propri inte-ressi44. La dipendenza da gioco per portare a una sen-tenza di inabilitazione dovrebbe trovare riscontro inuna perizia psicologica, medica o psichiatrica, che rav-visi nel disturbo veri e propri sintomi patologici invali-danti la capacità di intendere e volere. Ciò trova unostacolo nella considerazione della dipendenza dagioco alla stregua, non già di un vizio della volontà taleda rendere irresistibile al giocatore la vocazione algioco, ma piuttosto di un vizio della personalità, chepure potendo non avrebbe avuto l’indole di astenersi. La dipendenza da gioco d’azzardo potrebbe, inoltre,determinare una pronuncia di inabilitazione per prodi-galità. La giurisprudenza ritiene tuttavia a tal finenecessaria “una alterazione mentale che escluda oriduca notevolmente la capacità di valutare il denaro,di risolvere i problemi anche semplici di amministra-zione, di cogliere il pregiudizio conseguente allo sper-pero delle proprie sostanze”45. Tuttavia, il ricorsoall’istituto per i giocatori patologici è stato escluso incapo ai soggetti che erano dediti al gioco, ma in manie-ra consapevole, anzi al preciso scopo di guadagnaredenaro46.Una tutela per il giocatore patologico potrebbe rinve-nirsi nell’istituto dell’amministrazione di sostegno.L’art. 404 c.c.47, definisce l’ambito di applicazione del-l’amministrazione di sostegno prevedendo che “Lapersona che, per effetto di una infermità ovvero di unamenomazione fisica o psichica, si trova nella impossi-bilità, anche parziale o temporanea, di provvedere aipropri interessi, può essere assistita da un amministra-tore di sostegno”.L’amministrazione di sostegno ha come presupposto

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una qualsiasi menomazione che ponga l’interessatonella, anche, momentanea impossibilità di provvedereai propri interessi. Per ottenere il relativo provvedimen-to, dunque, non è necessaria la sussistenza di alcunacomprovata incapacità totale o parziale di intendere evolere, ossia una diagnosticata patologia inficiante lacognizione del soggetto. Anche solo una genericamenomazione di natura fisica o psichica che renda l’in-teressato incapace di attendere alle proprie esigenze eai propri interessi consente la nomina dell’amministra-tore di sostegno. Il ricorso all’istituto dell’amministrazione per la tuteladegli interessi, soprattutto economici, dei giocatoripatologici è ormai considerato possibile dalla giuri-sprudenza, che propende all’utilizzo dello strumentoinvece di ricorrere a misure di tutela più incisive sullacapacità del destinatario48.La disciplina dell’AdS49 prevede, infatti, la possibilitàche il giudice tutelare stabilisca espressamente qualiatti potrà compiere il beneficiario in modo autonomo,quali gli saranno del tutto vietati e quali dovrà compie-re con la necessaria assistenza dell’amministratore50.Un altro istituto che potrebbe essere utilizzato al fine ditutelare i giocatori patologici è l’incapacità naturale.Quest’ultima è disciplinata dall’art. 428 c.c. che stabi-lisce “Gli atti compiuti da persona che, sebbene noninterdetta, si provi essere stata per qualsiasi causa,anche transitoria, incapace d’intendere o di volere almomento in cui gli atti sono stati compiuti possonoessere annullati, quando, per il pregiudizio che siaderivato o possa derivare alla persona incapace d’in-tendere o di volere o per la qualità del contratto o altri-menti, risulta la malafede dell’altro contraente”51.In alcuni (e isolati casi) la giurisprudenza52, riconoscen-do la sussistenza della patologia in capo all’attore, haritenuto che la stessa fosse talmente rilevante da deter-minare nel malato l’incapacità obiettiva di autodetermi-narsi perfino nel contrarre di un prestito, finalizzato alreperimento di liquidità da destinare al gioco d’azzardo.Il giocatore aveva maturato una totale dipendenza dalgioco d’azzardo che lo aveva portato a dilapidare ilproprio patrimonio familiare. Il bisogno di giocare nonera più limitato al tempo ma anche all’entità degli inve-stimenti tanto da raggiungere mediamente cinquecentoeuro al giorno. Per mantenere i ritmi compulsivi erastato costretto a contrarre prestiti facendo ricorso a sog-

getti privati estranei alla normale linea creditizia banca-ria e finanziaria.La Corte di Cassazione, in una recente sentenza53, haaffermato che il giocatore, il quale vuole invocare lapropria incapacità naturale derivante dall’essere avvez-zo al gioco d’azzardo al fine di annullare quel contrat-to di prestito, deve necessariamente fornire prova rigo-rosa della patologia la quale non può desumersi dallamera frequentazione assidua delle sale da gioco.L’aspetto più problematico dell’annullamento di unatto per incapacità naturale è la prova dell’incapacità,che non risulta facile da integrare.

8. Rapporti tra coniugiIl gioco patologico può avere, e molto spesso ha, effet-ti pregiudizievoli nei rapporti familiari. L’art. 143 c.c.,comma 3, stabilisce che “[e]ntrambi i coniugi sonotenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze ealla propria capacità di lavoro professionale o casalin-go, a contribuire ai bisogni della famiglia”. Lo sviamento delle risorse economiche derivanti daiproventi realizzati con la propria attività lavorativa perfini futili, quali dedicarsi all’attività di gioco, può con-figurare una violazione del dovere di contribuzione aibisogni della famiglia.In tali casi, il pregiudizio economico causato dal gioca-tore e patito dal coniuge potrebbe essere ricondotto allacategoria del danno ingiusto. Peraltro potrebbe rilevareoltre al risarcimento del danno patrimoniale, anchequello non patrimoniale, essendo coinvolti aspettiriguardanti la persona e lo svolgimento della propriavita, danneggiata dalla condotta del coniuge giocatore54. La concreta risarcibilità del danno causato dal giocato-re d’azzardo patologico al coniuge può essere impeditada alcune circostanze. L’ingiustizia del danno patito dalconiuge del giocatore potrebbe escludersi ove entrambii coniugi abbiano contribuito, anche se in diversa misu-ra, a determinare il danno, in applicazione del principiovolenti non fit iniuria. Probabilmente potrebbe esclu-dersi una responsabilità aquiliana del giocatore anchenell’ipotesi in cui “il coniuge abbia contratto il matri-monio con la consapevolezza55 della propensione algioco” o nell’ipotesi in cui conscio della patologia siarimasto inerte.Il giocatore inoltre potrebbe dimostrare in giudizio chela dipendenza dal gioco d’azzardo ha determinato una

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“mancanza rilevante sul piano della volontà e, quindi,dell’imputabilità della condotta”56 escludendo cosìl’applicabilità dell’art. 2043 c.c. A quanto precede sideve inoltre aggiungere che l’utilizzo di risorse econo-miche per fini estranei ai bisogni della famiglia potreb-be configurare una violazione dei doveri coniugali edeterminare, in sede di separazione e divorzio, l’adde-bito a carico del coniuge giocatore.Chiaramente la condizione patologica del giocatorepotrebbe portare ad escludere l’imputabilità della con-dotta dannosa allo stesso giocatore per carenza dellasua volontà, ma la prova dello stato di incapacità delgiocatore in sede processuale è ardua. La Corte di Cassazione57 si è occupata del tema in rela-zione ad un’altra dipendenza comportamentale: lo shop-ping compulsivo. In questa ipotesi, i Giudici di legitti-

mità hanno ritenuto che il disturbo della shopper nondeterminasse una incapacità di intendere e volere e dun-que hanno confermato l’addebito della separazione neiconfronti della moglie affetta dalla sindrome da “shop-ping compulsivo” facendole perdere il diritto al mante-nimento. Allo stesso modo nelle ipotesi di giocatoripatologici è ben possibile che l’autorità giudiziaria nonritenga sufficiente la sussistenza di una dipendenzacomportamentale per l’esclusione ad nutum dellavolontarietà della condotta del giocatore. Il giocatoredunque che abbia dilapidato patrimonio, da destinare aibisogni della famiglia, potrebbe violare gli obblighi dimantenimento derivanti dalla normativa dettata in temadi matrimonio ed incorrere, oltre che in una possibilecondanna al risarcimento dei danni subiti, in una pro-nuncia di addebito in sede di separazione.

_________________

1 La parola ‘gioco’ deriva dal latino iocusche significa scherzo, burla, da cui il predi-cato iocari, giocare. In greco le parole chesignificano gioco, scherzo e cioè ?? ??????e ????????, sono connesse alla radice di ?????????? ossia bambino.

2 Come rilevato da Quintiliano, Institutiooratoria, 1. 3, 8-12, Torino, Einaudi, 2001.

3 Come è messo in risalto da Seneca, De iraIV, 21, v. trad. e ann., Milano, Serdonati,1863.

4 Cfr. M.G. CAVALCA SCHIROLI (a cura di),Lucio Anneo Seneca, De tranquillitateanimi, Bologna, Cooperativa LibrariaUniversitaria editrice, 1981.

5 Cfr. L. BUTTARO, Del gioco e della scom-messa, in Comm. Scialoja-Branca,Bologna, Zanichelli, 1959, p. 3.

6 Cass. 21 aprile 1949, n. 964, in Foro it.1949, I, c. 1177 ss.

7 Cass. 21 aprile 1949, n. 964, ult. loc. cit.

8 Così DI GIANDOMENICO – RICCIO, sub art.1933 c.c., in Dei singoli contratti (artt.1861-1986), a cura di D. VALENTINO, To-rino, UTET, 2011, vol. IV, p. 324.

9 Sul tema si rinvia a FUNAIOLI, Il giuoco ela scommessa, in Trattato di diritto civileitaliano, a cura di F. VASSALLI, Torino,UTET, 1961, vol. IX, t. II, fasc. 1, p. 116.

10 Cfr. A. PINO, Il gioco e scommessa e ilcontratto aleatorio, in Studi in onore diFrancesco Santoro-Passarelli, III, Napoli,Jovene, 1972, p. 787.

11 Cfr. DI GIANDOMENICO – RICCIO, sub art.1933 c.c., cit., p. 335.

12 Precisamente nel Capo XXI, del TitoloIII rubricato “Dei singoli contratti”, delLibro IV dedicato alle obbligazioni.

13 Cfr. L. BUTTARO, Giuoco, I, Giuoco escommessa, dir. civ., in Enc. Giuridica,Roma, Treccani, 1989, XV, p. 2.

14 Cfr. E. BRIGANTI, La disciplina dei debi-ti di giuoco, in Riv. del Notariato, 1994, p.252.

15 Cfr. FUNAIOLI, Il giuoco e la scommessa,cit., p. 114 e ss., ove precisa che “la disci-plina giuridica prescinde oggi del tuttodalla distinzione fra scommesse in base agiuoco o indipendenti da questo (e fatte perpassatempo, per emulazione, per sostenere

un effettivo contrasto di opinioni, ecc.), maha riguardo unicamente alla distinzione fraquei tipi di scommesse più o meno diretta-mente tutelate (art. 1933 e segg. cod. civ.) oproibite”.

16 Lavori preparatori al codice civile con-sultabili anche in AA.VV., Il nuovo codicecivile commentato: con i lavori preparato-ri, la più recente giurisprudenza, i confron-ti tra il vecchio e il nuovo codice, le normedi attuazione, a cura di Nicola Stolfi, Fran-cesco Stolfi, Napoli, Jovene, 1939-1956.

17 Cass. 24 ottobre 2002, n. 42519, in Rep.Foro it. 2003, p. 1170. Secondo Cass. pen.,12 ottobre 2011, n. 43679: “Non integra ilreato di esercizio di gioco d’azzardo l’orga-nizzazione di tornei di poker texano (cosid-detto Texas Hold’Em) in quanto i giochi dicarte organizzati in forma di torneo, ove laposta in gioco sia costituita esclusivamentedalla sola quota d’iscrizione, sono conside-rati giochi di abilità e non d’azzardo”.

18 Cfr. M.A. CIOCIA, L’obbligazionenaturale: evoluzione normativa e prassigiurisprudenziale, Milano, Giuffrè, 2000,p. 107.

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19 “Il gioco e la scommessa sono contrattialeatori, a titolo oneroso, caratterizzati dallaartificiale creazione del rischio, e che presen-tano, a seconda dei casi, la struttura bilate-rale o plurilaterale” secondo BUTTARO, inDel giuoco e della scommessa, in Comm.Scialoja-Branca, cit., p. 57. La natura con-trattuale è concordemente ammessa per igiochi e le scommesse fornite di piena tute-la giuridica (giochi e scommesse autorizza-ti), dubbi sussistono per i giochi vietati.

20 L’incidenza del rischio intesa come “ilvariare l’entità di una o di entrambe le pre-stazioni a seconda del verificarsi o meno diun evento futuro e incerto” è l’elementocaratterizzante i contratti aleatori, secondoBUTTARO, in Del giuoco e della scommessa,cit., p. 71.

21 Cfr. BUTTARO, Gioco, I, Gioco e scom-messa, dir. civ., cit.; ID., In tema di gioco, inRiv. Trim. Dir. Proc. Civ., 1952, p. 408 ss.

22 Cfr. BUTTARO, In tema di gioco, cit.

23 Cfr. G. B. FERRI, La neutralità del gioco,in Riv. Dir. Comm. e gen. delle obbl., 1974,I, 46; P. RESCIGNO, L’abuso del diritto,Bologna, il Mulino, 1998, p. 145.

24 Nel dibattito sul fondamento, se adempi-mento di un’obbligazione naturale o esecu-zione di prestazione ob turpem causam,della sanzione di cui la norma fornisce ildebito di gioco, una dottrina (PINO, Il giocoe scommessa e il contratto aleatorio, cit., p.791) suggerisce una diversa soluzione: ilgioco e la scommessa concretano la linea diconfine tra validità e nullità del negozio; inessi non si ravvisa infatti né illiceità, néimmoralità, ma manca l’utilità sociale.L’intento ludico si viene così a sistemare,proprio perché volto a realizzare una fun-zione frivola, tra l’illiceità cui l’ordinamen-to appronta la sanzione della nullità e lapiena meritevolezza.

25 La irripetibilità è esclusa nell’ipotesi incui il perdente sia un soggetto incapace, oveè sempre ammessa l’azione per ottenere laripetizione della somma giocata e persa.

26 Secondo la Corte Cost., 23 maggio1985, n. 152: “La circostanza che altricomuni o regioni si trovino o potrebberotrovarsi in condizioni analoghe a quelle deicomuni o della regione a statuto specialefinora considerati dal legislatore non con-creta di per sé sola e hic et nunc lesionedell’art. 3 Cost. E ciò tanto più in quanto

dalla lamentata circostanza (cioè dallacensurata omissione del legislatore) nonpossono trarsi conseguenze di automaticaestensione”. La Corte Costituzionale con-clude, quindi, per la non fondatezza dellaquestione di legittimità costituzionale, inriferimento all’art. 3 Cost., delle leggi 3novembre 1954, n. 1042, 29 novembre1955, n. 1179, 18 febbraio 1963, n. 67, 6dicembre 1971, n. 1065 e 26 novembre1981, n. 690, per le parti e nel senso in cuiprevedono la liceità del gioco d’azzardo nelCasinò di Saint Vincent. La sentenza è editain CED Cassazione, 1985 o sul sitowww.giurcost.it.

27 Così Corte Cost., 23 maggio 1985, n.152, cit.

28 Secondo quanto affermato dalla CorteCost., 23 maggio 1985, n. 152, cit.

29 Profilo evidenziato da Corte Cost., 30 otto-bre 1975, n. 237, in Foro it., 1976, I, p. 14.

30 Cfr. BUTTARO, Giuoco, I, Giuoco escommessa, dir. civ., cit., p. 6.

31 Cfr. E. BRIGANTI, La disciplina dei debi-ti di giuoco, in Rivista del Notariato, 1994,p. 251.

32 Cfr. E. VALSECCHI, Giuoco e scommessa,in Enciclopedia del diritto, XIX, Milano,Giuffrè, 1970, p. 49 ss.

33 Sul tema si rinvia a G. POLI, Lotterieistantanee: la speranza delusa non è risar-cibile, in Giur. It, 2008, p. 10.

34 Il Decreto legge 4 luglio 2006, n. 223(c.d. Decreto Bersani-Visco), “Disposizioniurgenti per il rilancio economico e sociale,per il contenimento e la razionalizzazionedella spesa pubblica, nonché interventi inmateria di entrate e di contrasto all’evasio-ne fiscale” (in G.U. n. 153 del 4 luglio 2006,conv. in L. 4 agosto 2006, n. 248, in G.U. 11agosto 2006, n. 186), all’art. 38, inoltre, hadisposto Misure di contrasto del gioco ille-gale, “legalizzando due tipologie di gioco”(P. CIPOLLA, Social network, furto d’identi-tà e reati contro il patrimonio, in Giur.Mer., 2012, 12, p. 2672 B) le scommesse adistanza a quota fissa con modalità di inte-razione diretta tra i singoli giocatori e i gio-chi di abilità a distanza con vincita in dena-ro, nei quali il risultato dipende, in misuraprevalente rispetto all’elemento aleatorio,dall’abilità dei giocatori. La legge di con-versione ha confermato la legalità dei c.d.skills games ossia “l’esercizio dei giochi di

abilità a distanza con vincita in denaro neiquali il risultato dipende, in misura preva-lente rispetto all’elemento aleatorio, dal-l’abilità dei giocatori” (art. 1).

35 Con il termine “Dependence” si indica ladipendenza fisica e chimica, ossia la con-dizione in cui si verifica un’alterazione delcomportamento che determina una ricercapatologica del piacere. Cfr. G. SERPELLONI,Il gioco d’azzardo patologico in Italia, inThe Italian journal on addiction, vol. 2, n.3-4, 2012 (numero monografico).

36 In questo senso C.A. COLOMBO - I.MERZAGORA BETSOS, Tentare nuoce: ilgioco d’azzardo in criminologia e psicopa-tologia forense, in Riv. it. Medicina legale,2002, 06, p. 1361.

37 Cfr. H.R. LESIEUR - R. J. ROSENTHAL,Pathologic Gambling: a review of a litera-ture, prepared for the American PsichiatricTask Force of DSM – IV Committee onDesorders of Impulse Control NotElsewhere Classified, in Gambling Studies,1991; R.L., CUSTER, Pathological gam-bling, in A. WHITFIELD (a cura di), Patientswith Alcoholism and other Drug Problems,New York, Year Book Publication, 1984; C.GUERRESCHI, Il gioco patologico, Roma,Edizioni Kappa, 2003.

38 Cfr. M. FIASCO, Aspetti sociologici, eco-nomici e rischio criminalità, in AA.VV. Il giocoe l’azzardo, Milano, Franco Angeli, 2002.

39 Cfr. E. L. GRINOLS - D. B. MUSTARD,Business profitability vs. social profitabili-ty: Evaluating the social contribution ofIndustries with externalities and the case ofthe casino industry, in Managerial andDecision Economics, 2001, n. 22, p. 143.

40 Cfr. Diagnostic Statistic Manual, ossia ilsistema, riconosciuto in ambito internazionale,di classificazione delle condizioni patologichericonosciute dalla comunità scientifica interna-zionale. American Psychiatric Association,Diagnostic and Statistical Manual of MentalDisorders (ed. 4, Washington DC., 1994),Milano, Masson, 1995.

41 Il decreto Balduzzi è stato pubblicato inG.U. 10 novembre 2012, n. 263.

42 Su proposta del Ministro della salute diconcerto con il Ministro dell’economia edelle finanze, d’intesa con la Conferenzapermanente per i rapporti tra lo Stato, leregioni e le province autonome di Trento edi Bolzano.

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43 A. TORRENTE - P. SCHLESINGER, Manualedi diritto privato, Milano, Giuffrè, 2013, p.82.

44 Cass., 4 luglio 1985, n. 4028, in Giust.Civ. Mass., 1985, f. 7.

45 Cass., 13 marzo 1980, n. 1680, in Giust.Civ. Mass., 1980, f. 3.

46 Trib. L’Aquila, 7 maggio 2008, in bancadata elettronica Pluris – Utet Cedam.

47 La Legge n. 6/2004, modificativa delCodice Civile, ha introdotto l’istituto del-l’amministrazione di sostegno. La ratio dellariforma consiste nel “tutelare, con la minorelimitazione possibile della capacità di agire,le persone prive in tutto o in parte di autono-mia nell’espletamento delle funzioni dellavita quotidiana, mediante interventi di soste-gno temporaneo o permanente” (art.1).

48 Cfr. inter alios decreto del Tribunale diMonza del 15 dicembre 2010, inedito.

49 Si distinguono tre forme di AdS: ammi-nistrazione rappresentativa, ove il giudiceindividua espressamente quali atti l’ammi-nistratore ha il potere di compiere in nomee per conto del beneficiario, sostituendosi aquest’ultimo nella qualità di rappresentantelegale; amministrazione di assistenza, ove ilgiudice stabilisce quali atti il beneficiariopuò compiere con la mera assistenza del-l’amministratore di sostegno; estensionedella disciplina dell’interdizione o inabilita-zione, ove il giudice tutelare (ex art. 411,ult. comma, c.c.) sceglie di applicare albeneficiario dell’AdS le stesse preclusionistabilite per gli interdetti o quelle prescritteper gli inabilitati.

50 Si precisa che, il terzo comma dell’art.406 c.c. prevede l’obbligo per i “responsa-bili dei servizi sanitari e sociali direttamen-te impegnati nella cura e assistenza dellapersona, ove a conoscenza di fatti tali da

rendere opportuna l’apertura del procedi-mento di amministrazione di sostegno” diproporre al giudice tutelare il ricorso perl’amministrazione di sostegno o di infor-marne il pubblico ministero. Dalla normanon si evince quali soggetti siano destinata-ri dell’obbligo di proporre il ricorso, ossiase l’obbligo riguardi i soggetti apicali dellestrutture o anche gli operatori delle stesse.La prima interpretazione propende per unalettura verticistica e assicura maggior atten-zione per gli interessi del paziente. La se-conda lettura è conforme al principio di nonburocratizzazione e semplificazione delprocedimento e potrebbe essere confortatadal fatto che si parla di servizi (evidenzian-do l’elemento funzionale) e non di struttu-ra. Sembra preferibile una lettura interme-dia e considerare quale responsabile delservizio chi ha responsabilità di indirizzodella terapia specifica richiesta al servizio.

51 Sussiste un grave pregiudizio ove l’attoabbia causato all’attore una perdita econo-mica o sia ravvisabile un’alterazione del-l’equilibrio negoziale a causa dell’assunzio-ne di obblighi ingiustificati o eccessivamen-te onerosi. La giurisprudenza ha precisatoche per l’annullamento degli atti unilateraliè necessaria la prova del grave pregiudiziosubito dall’attore, mentre l’annullamento dicontratti è subordinato all’accertamento delrequisito della mala fede dell’altro contraen-te, “rispetto alla quale il pregiudizio all’in-capace si pone soltanto quale uno dei possi-bili elementi rilevatori” (Cass. 8 novembre1966, n. 2732, in Giur. It. 1967, p. 1140).

52 V. Tribunale Civile di La Spezia, conuna sentenza del gennaio 2013, inedita.

53 Cass. 1 ottobre 2012, n. 16670, in CEDCassazione, 2012.

54 In alcune ipotesi, è il legislatore stesso adisciplinare fattispecie che possono deter-

minare il risarcimento del danno patrimo-niale, quali quelle previste dall’art. 217 c.c.La citata disposizione al secondo commastabilisce che ove uno dei coniugi abbiaamministrato i beni dell’altro, munito diprocura ma senza un espresso obbligo direndiconto, il coniuge o i suoi eredi posso-no domandare la consegna dei frutti esi-stenti, ma non si risponde per i frutti giàconsumati. Il terzo comma dell’art. 217 c.c.prevede che se uno dei coniugi, “nonostan-te l’opposizione dell’altro, amministra ibeni di questo o comunque compie atti rela-tivi a detti beni risponde dei danni e dellamancata percezione dei frutti”. In questaseconda ipotesi il legislatore espressamenteconsente al coniuge danneggiato che haprovato ad impedire il depauperamento delpatrimonio senza riuscirvi la facoltà didomandare il risarcimento dei danni subiti.

55 Cfr. M. DI MARZIO, Scommesse, vizi,cavalli, depauperamento patrimoniale, inTrattato della responsabilità civile e penalein famiglia, a cura di P. CENDON, II, Padova,CEDAM, 2004, pp. 1605-1609.

56 Cfr. DI MARZIO, Scommesse, vizi, caval-li, depauperamento patrimoniale, cit., p.1608, secondo l’Autore in questo caso l’al-tro coniuge dovrebbe altresì rispettare ildovere di assistenza sancito dall’art. 143 c.c.

57 Cass., 18 novembre 2013, n. 25843, inCED Cassazione. Sembra anche utile ricor-dare che il Tribunale di Varese, con decreto3 ottobre 2012 in www.altalex.it, ha con-cesso l’amministrazione di sostegno a unadonna affetta dalla sindrome da “shoppingcompulsivo”, poiché dall’istruttoria è risul-tata evidente la difficoltà della donna di“contenere la propensione al consumo irra-zionale di denaro” e la necessità di farle“riacquistare la capacità di risparmio egestione efficiente del reddito”.

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Il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, acclama-to come testo unico sulla trasparenza amministrati-va, esprime, in primo luogo, il totale capovolgi-

mento del rapporto tra segretezza e pubblicità dei datiafferenti all’azione amministrativa: fatta eccezione peralcune limitate ipotesi individuate nell’articolo 4, ilcitato provvedimento legislativo ha generalizzato l’ob-bligo di pubblicare dati ed informazioni che il legisla-tore ha prioritariamente ritenuto di rendere disponibili,elencandoli puntualmente ed analiticamente. La trasparenza, definita nel decreto come accessibilitàtotale delle informazioni concernenti la pubblicaamministrazione, nell’ottica del legislatore risulta esse-re espressamente rivolta a tre scopi fondamentali: a)l’incoraggiamento di “forme diffuse di controllo sulperseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzodelle risorse pubbliche”; b) l’attuazione del “principiodemocratico e dei principi costituzionali di eguaglian-za, di imparzialità, buon andamento, responsabilità,efficacia ed efficienza nell’utilizzo di risorse pubbliche,integrità e lealtà nel servizio alla nazione”; c) la garan-zia “delle libertà individuali e collettive, nonché deidiritti civili, politici e sociali” che “integra il diritto aduna buona amministrazione e concorre alla realizza-zione di una amministrazione aperta, al servizio delcittadino” (art. 1)1.Il decreto reca l’introduzione dell’innovativa figuradell’accesso civico, disciplinato nell’art. 5, le cui carat-teristiche risultano tanto peculiari da far subito com-prendere che ci troviamo dinanzi a un meccanismofinora conosciuto nel nostro ordinamento soltanto inrarissimi casi2.

Il temaL’accesso civico attribuisce un vero e proprio dirittosoggettivo in capo a chiunque intenda riscontrare ilrispetto da parte dell’amministrazione dell’obbligo dipubblicazione dei dati, resi accessibili per legge3.A ciò si aggiunga che il dovere di pubblicazione deidati, come concepito dal legislatore, riveste una struttu-

ra davvero singolare. Si consideri, al riguardo, che ilcomma primo dell’art. 5 D.Lgs. n. 33/2013 statuisceche “L’obbligo previsto dalla normativa vigente incapo alle pubbliche amministrazioni di pubblicaredocumenti, informazioni o dati comporta il diritto dichiunque di richiedere i medesimi, nei casi in cui siastata omessa la loro pubblicazione”.Dalla formulazione normativa appare subito chiaro cheil diritto di accesso civico è correlato all’obbligo dipubblicazione; discende direttamente da quello, allastregua di una sorta di obbligazione civilistica4 tra entepubblico ed utente, in virtù della quale l’ente è obbliga-to nei confronti dell’utente ad un facere consistentenella pubblicazione dei dati, mentre l’utente è il credi-tore al corretto adempimento della prestazione. Il diritto di richiedere la conoscenza dei dati previstidalla legge e di pretenderne la pubblicazione è attribui-to a “chiunque”, ossia a qualsiasi soggetto, che sia unapersona fisica o giuridica, indipendentemente dallanatura o dallo status che caratterizza il richiedente.L’accesso civico è invero costruito come un diritto sog-gettivo libero, senza barriere di ingresso e senza osta-coli nella realizzazione degli scopi ai quali è preordina-to, atteso che non è necessario, per colui che intendeesercitarlo, dimostrare né la legittimazione né l’interes-se specifico all’acquisizione del dato.Sicché il diritto all’ostensione, disciplinato dal D.Lgs.14 marzo 2013, n. 33, è a “legittimazione assoluta”piuttosto che a “legittimazione particolare”, come èconcepito l’accesso agli atti nella legge n. 241/1990, ein ciò l’istituto del c.d. accesso civico, disciplinato dalcitato decreto n. 33, si trova in un rapporto di “recipro-ca esclusione”5 con il valore della trasparenza regolatodal titolo V della legge breve sul procedimento ammi-nistrativo. È stato notato6 che non sussiste un’incompatibilità tral’accesso della legge n. 241 e l’accesso del decreto 33:i due istituiti, all’opposto, convivono nell’ordinamentosenza interferenze ed invasioni di campo, in quantol’uno è destinato a regolare fattispecie non contempla-

Accesso civico e accesso disciplinato dalla legge n. 241 del 1990Marina BindaAvvocato del Foro di Roma, iscritto nell'elenco speciale di un ente pubblico

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te dall’altro. L’accesso contemplato dalla legge n. 241,infatti, presuppone che il documento non sia sottopostoal regime di pubblicazione di cui al D.Lgs. n. 33, la cuiratio è invece il c.d. right to know, a prescindere da unospecifico interesse in capo al richiedente. Accessibilità a chiunque di determinate informazioniconcernenti l’organizzazione e l’attività delle p.a. alfine di consentire forme diffuse di controllo democrati-co sull’operato della p.a. (art. 1).Informazioni, peraltro, già elencate nel decreto legisla-tivo n. 33/2013: sono tipizzate, previste dal legislatoresulla base di nome puntuali. Si tratta di una serie nume-rosa di informazioni, tracciabili nei motori di ricercaperché pubblicate sui siti, a prescindere dalle eventualirichieste di accesso civico. Di conseguenza, nel citatodecreto n. 33 c’è una selezione ex ante, operata dallegislatore, delle informazioni da pubblicare, poste adisposizione di tutti; indipendentemente dalle iniziativedei privati. Quali sono le informazioni oggetto di pubblicazioneobbligatoria? Sono quelle elencate nel decreto, e preci-samente: gli atti di carattere normativo e amministrati-vo (art. 12); l’organizzazione delle pubbliche ammini-strazioni (art. 13); i componenti degli organi di indiriz-zo politico (art. 14); i titolari di incarichi dirigenziali edi collaborazione o consulenza (art. 15); la dotazioneorganica e il costo del personale con rapporto di lavoroa tempo determinato (art. 16); i dati relativi al persona-le non a tempo determinato (art. 17); gli incarichi con-feriti ai dipendenti pubblici (art. 18); i bandi di concor-so (art. 19); i dati relativi alla performance e alla distri-buzione dei premi al personale (art. 20); i dati sullacontrattazione collettiva (art. 21); i dati relativi agli entipubblici vigilati, e agli enti di diritto privato in control-lo pubblico, nonché alle partecipazioni in società didiritto privato (art. 22); i provvedimenti amministrativi(art. 23); i dati aggregati relativi all’attività amministra-tiva (art. 24); i controlli sulle imprese (art. 25); gli attidi concessione di sovvenzioni, contributi, sussidi eattribuzione di vantaggi economici a persone fisiche edenti pubblici e privati (art. 26) e l’elenco dei soggettibeneficiari (art. 27); i rendiconti dei gruppi consiliari,regionali e provinciali (art. 28); il bilancio, preventivoe consuntivo, e il piano degli indicatori e dei risultatiattesi di bilancio, nonché i dati concernenti il monito-raggio degli obbiettivi (art. 29); i beni immobili e la

gestione del patrimonio (art. 30); i dati relativi ai con-trolli sull’organizzazione e sull’attività dell’ammini-strazione (art. 31); i servizi erogati (art. 32); i tempi dipagamento dell’amministrazione (art. 33); i procedi-menti amministrativi e i controlli sulle dichiarazionisostitutive e l’acquisizione d’ufficio dei dati (art. 35);le informazioni necessarie per i pagamenti informatici(art. 36); i contratti pubblici di lavori, servizi e fornitu-re (art. 37); i processi di pianificazione, realizzazione esovvenzione delle opere pubbliche (art. 38); l’attività dipianificazione e governo del territorio (art. 39); leinformazioni ambientali (art. 40); i dati specifici relati-vi al Servizio Sanitario Nazionale (art. 41); gli inter-venti straordinari in caso di calamità naturali o altreemergenze, che comportano deroghe alla legislazionevigente (art. 42). Si tratta di un elenco standardizzato ma non chiuso.Basti considerare, al riguardo, che l’articolo 4 comma4, del decreto n. 33/2013 prevede che “nei casi in cuinorme di legge o di regolamento prevedano la pubbli-cazione di atti o documenti, le pubbliche amministra-zioni provvedono a rendere non intelligibili i dati per-sonali non pertinenti…”. Appare chiaro che i “casi incui norme di legge o di regolamento prevedano la pub-blicazione di atti o documenti” non sono quelli deldecreto trasparenza: si tratta di casi differenti, anchefuturi, in cui il legislatore potrà prevedere nuovi obbli-ghi di pubblicazione. Qui vi sarà la possibilità di sele-zionare, di rendere non intellegibili i dati non pertinen-ti; ciò non è possibile, invece, nei casi già tipizzati daldecreto n. 33, ove prevale sempre la trasparenza sullariservatezza, in quanto la selezione è già operata amonte dal legislatore.

L’accesso civico e l’accesso della legge n. 241/1990.Differenzea) Il bene giuridico tutelato. La disciplina dell’accessocontenuta nella legge 7 agosto 1990 n. 241 non attribui-sce un diritto generalizzato alla trasparenza ammini-strativa: il diritto all’ostensione, nella logica della leggen. 241, è sempre distinto rispetto al diritto all’informa-zione. L’accesso è concepito come mezzo per persegui-re la trasparenza, in un’ottica, però, strumentale; la tra-sparenza, nella legge n. 241, viene tutelata non comebene in sé, ma come mezzo funzionale per il soddisfa-cimento di un interesse corrispondente ad una situazio-

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ne giuridicamente tutelata di cui deve essere titolare ilsoggetto che pretende l’accesso7. Di conseguenza,come risulta anche dall’art. 24, comma 3, della citatalegge n. 241 introdotto dalla novella n. 15/20058, l’ac-cesso non può tramutarsi in un’azione popolare direttaal controllo generalizzato dell’attività amministrativa,al fine di verificare se la stessa risulti conformata aicanoni della correttezza, trasparenza e legittimità. Nel caso di accesso civico, all’opposto, è sufficienterichiamare il testo dell’art. 59, per comprendere imme-diatamente che ci troviamo dinanzi ad un obbligo gene-ralizzato di pubblicare le informazioni predeterminatedal legislatore, finalizzato a favorire forme diffuse dicontrollo sull’utilizzo delle risorse pubbliche e sul per-seguimento degli scopi istituzionali delle amministra-zioni.b) La legittimazione e l’interesse all’accesso. Il dirittodi accesso agli atti, disciplinato dalla legge n. 241/1990può essere esercitato da soggetti “interessati” e cioè“portatori di un interesse diretto, concreto ed attualecorrispondente ad una situazione giuridicamente tute-lata e collegata al documento al quale è richiesto l’ac-cesso” (art. 22 comma 1, lett. b).La giurisprudenza maggioritaria10 ha sempre valorizza-to il collegamento dell’accesso con una diversa “situa-zione giuridicamente tutelata”, (diritto soggettivo ointeresse legittimo, e, nei casi ammessi, esponenzialitàdi interessi collettivi o diffusi) che abbia, in connessio-ne a quest’ultima, un interesse diretto, concreto edattuale ad acquisire, mediante l’accesso, uno o piùdocumenti amministrativi. Ciò in quanto nella legge n.241 l’inerenza del documento alla posizione giuridicasostanziale preesistente fonda l’interesse concreto edifferenziato della parte che richiede i documenti11.Poiché la formula utilizzata dal legislatore “interessigiuridicamente rilevanti” nell’art. 22 è piuttosto ampia,la giurisprudenza12 e la dottrina13 hanno chiarito che laposizione soggettiva cui la legge ricollega l’accessonon deve avere la consistenza del diritto soggettivo odell’interesse legittimo, essendo sufficiente che l’istan-te versi, al momento, in una posizione giuridica sogget-tiva, anche meramente potenziale14, collegata cioè adeventi ancora non verificatisi. Peraltro, l’interesse all’accesso della legge n. 241, purnell’ampia accezione testé chiarita, deve rivestire icaratteri della differenziazione rispetto alla generalità

dei consociati: affinché possano ricorrere i requisitidell’attualità e della concretezza15, deve sussistere uncollegamento tra la documentazione di cui si chiedel’ostensione e la posizione sostanziale dell’istante, ilcui soddisfacimento è limitato o impedito16. Ciò non accade nell’accesso civico disciplinato dal-l’art. 5 del decreto trasparenza ove non è necessario,per colui che intende esercitarlo, dimostrare né la legit-timazione né l’interesse all’acquisizione, tramite laconsultazione nel sito web del singolo dato o documen-to, del quale “chiunque” è abilitato a pretendere di otte-nere la pronta disponibilità.c) La motivazione. La richiesta di accesso agli atti edocumenti di cui alla legge n. 241/1990 deve esseremotivata (art. 25, comma 2) in quanto devono esseredimostrati, in capo all’accedente, la legittimazione el’interesse, nonché la connessione tra il documentorichiesto e l’obbiettivo di tutela della posizione sogget-tiva vantata.L’accesso civico di cui al decreto n. 33/2013 non neces-sita di motivazione in quanto il diritto soggettivo allavisione dei dati discende direttamente dall’obbligo dipubblicazione imposto dal legislatore alla pubblicaamministrazione. d) L’esercizio. Il diritto di accesso della legge n.241/90 si esercita mediante esame ed estrazione dicopia dei documenti amministrativi; le modalità diesercizio sono disciplinate dal D.P.R. 12 Aprile 2006,n. 184 che distingue, tra l’altro, la procedura di acces-so informale da quella di accesso formale. Con riferimento ai costi, l’art. 25 della legge n. 241 sta-tuisce che l’esame dei documenti è gratuito ma il rila-scio di copia è subordinato al rimborso delle spese diriproduzione, salve le disposizioni vigenti in materia dibollo nonché i diritti di ricerca e di visura. Ugualmentel’art. 7 del D.P.R. 184/2006 statuisce che la copia deidocumenti è rilasciata subordinatamente al pagamentodegli importi dovuti ai sensi dell’art. 25, secondo lemodalità determinate dalle singole amministrazioni.Ciò significa che le copie non vengono rilasciate sel’istante non provvede a versare le somme dovute per icosti di riproduzione. Sicché può concludersi che l’ac-cesso ai documenti amministrativi è tutt’ora sostanzial-mente oneroso per l’istante, il quale può certamenteesaminare la documentazione di cui ha richiestol’ostensione, ma non può riceverne copia laddove non

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provveda all’esborso dei relativi costi.L’accesso civico, invece, si realizza mediante la pubbli-cazione sul sito istituzionale del dato richiesto con con-testuale trasmissione al richiedente ovvero comunica-zione dell’avvenuta pubblicazione, indicando il colle-gamento ipertestuale (art. 5, comma 3). Di conseguen-za può comprendersi che la relativa istanza sia assolu-tamente gratuita (art. 5, comma 2), visto che l’accessosi esplica tramite un’operazione che non comportacosti per l’amministrazione: la pubblicazione. Al piùsono ipotizzabili i costi che la p.a. può sostenere perinformare la parte istante di aver provveduto alla pub-blicazione, ma si ritiene che ciò possa avvenire anchetramite e-mail, in un’epoca ove la modalità telematicaè destinata ad essere la principale (se non l’unica)forma di interlocuzione tra privati e pubbliche ammini-strazioni, sia in campo amministrativo che in campogiudiziario. e) La ratio. Poiché l’accesso civico può realizzarsi inun momento anche temporalmente distante rispettoall’esercizio della funzione amministrativa17, è eviden-te che il legislatore, per talune categorie di informazio-ni, ha ammesso una pubblicazione differita del datorispetto al momento di esercizio della funzione pubbli-ca: si pensi a quelle di cui all’articolo 26, che vedonosorgere l’obbligo di pubblicazione al momento dellaerogazione del beneficio economico, ovvero ai datirelativi ai contratti pubblici di lavori, servizi e fornitu-re, all’esito delle procedure di gara. Ciò significa che inconcreto l’esercizio del diritto di accesso civico potreb-be risultare intempestivo rispetto alle necessità di avviodi un contenzioso giurisdizionale nei confronti di chidetiene il dato. Se ne deduce che il diritto di accesso civico non rispon-de all’esigenza di deflazione del contenzioso, fine cheresta ancorato all’istituto dell’accesso documentale18,ma persegue l’obiettivo del rispetto e della lealtà versoi destinatari dell’esercizio della funzione amministrati-va, propri di un moderno e più consapevole rapporto tracittadini e istituzioni.

Sintoniea) La struttura. Il diritto di accesso civico è condizio-

nato alla presentazione di una vera e propria istan-za, dalla quale scaturisce un procedimento ammini-strativo, disegnato in completa armonia con il pro-

cedimento di accesso ai documenti amministratividi cui alla legge n. 241/1990. Basti aver riguardoalle modalità di esercizio dell’accesso civico, comefissate nell’art. 5, commi 2, 3, e 4 del decreto traspa-renza. “2. La richiesta di accesso civico …. va presentataal responsabile della trasparenza dell’amministra-zione obbligata alla pubblicazione di cui al comma1, che si pronuncia sulla stessa. 3. L’amministrazione, entro trenta giorni, procedealla pubblicazione nel sito del documento, dell’in-formazione o del dato richiesto e lo trasmette con-testualmente al richiedente, ovvero comunica almedesimo l’avvenuta pubblicazione, indicando ilcollegamento ipertestuale a quanto richiesto. Se ildocumento, l’informazione o il dato richiesti risul-tano già pubblicati nel rispetto della normativavigente, l’amministrazione indica al richiedente ilrelativo collegamento ipertestuale. 4. Nei casi di ritardo o mancata risposta il richie-dente può ricorrere al titolare del potere sostitutivodi cui all’articolo 2, comma 9 bis della legge 7 ago-sto 1990, n. 241, e successive modificazioni, che,verificata la sussistenza dell’obbligo di pubblica-zione, nei termini di cui al comma 9 ter del medesi-mo articolo, provvede ai sensi del comma 3”. Dalla lettura dell’articolo 5, appare subito chiaroche il decreto trasparenza prospetta gli stessi pas-saggi procedimentali disegnati nel capo V dellalegge n. 241/1990, fissando per la conclusione del-l’istruttoria, avviata con la presentazione delladomanda di accesso civico, lo stesso termine ditrenta giorni stabilito dall’articolo 25, comma 4,della citata legge n. 241 nonché tratteggiando i mec-canismi remediali in caso di inerzia da parte dell’en-te tenuto alla pubblicazione del dato.

b) L’inerzia. Il mancato adempimento dell’ente che haricevuto l’istanza all’obbligo di pubblicazione deidati nel termine di trenta giorni dall’istanza (art. 5,comma 3) consente a chi richiede la pubblicazione,prima di rivolgersi subito alla onerosa tutela giuri-sdizionale (che, in ogni caso, comporta il versamen-to del contributo unificato, sebbene in primo gradonon sia necessario ricorrere al patrocinio di unavvocato, ai sensi dell’articolo 23, comma 1, c.p.a.come integrato dall’articolo 52, comma 4, lettera a)

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del decreto n. 33/2013), di rivolgersi al titolare delpotere sostitutivo di cui all’art. 2 comma 9 bis dellalegge n. 241/1990, soggetto presente in ogni ente, inquanto istituita per legge19, sostituto che provvederàin luogo del dipendente rimasto inerte nei termini dicui al comma 9 ter dell’art. 2 legge n. 241/1990(metà del tempo previsto).

c) La giurisdizione. Le controversie provocate dallamancata risposta all’istanza di accesso civico ven-gono attribuite dal legislatore alla giurisdizioneesclusiva del giudice amministrativo (art. 133 lett.a) n. 6 come modificato dall’art. 52 lett. e) decreton. 33/2013) al pari di quel che avviene per la tuteladel diritto di accesso ai documenti amministrativi. Illegislatore, dunque, estendendo la previsione dellagiurisdizione esclusiva del giudice amministrativoalla pretesa di accesso civico (ma anche a tutte le“controversie relative agli obblighi di trasparenzaprevisti dalla normativa vigente”, ex art. 50 deldecreto n. 33/2013) ha costruito un sistema giurisdi-zionale identico per entrambe le figure: l’accessocivico e l’accesso ai documenti amministrativi.

Di conseguenza, il ricorso al giudice amministrativo vaproposto entro 30 giorni dalla conoscenza del diniego odalla formazione del silenzio (articolo 116, comma 1,c.p.a.); la pubblica amministrazione può stare in giudi-zio a mezzo di un dipendente (116 comma 3, c.p.a.); laparte ricorrente non necessita del patrocinio di undifensore in primo grado (art. 23 c.p.a. ); i termini pro-cessuali sono dimezzati (art. 87, comma 3, c.p.a.); lasentenza viene resa in forma semplificata in camera diconsiglio (art. 87, comma 3, c.p.a.), e può ordinare lapubblicazione dei documenti richiesti, entro un terminenon superiore, di norma, a trenta giorni, dettando, oveoccorra, le relative modalità (art. 116, comma 4, c.p.a.).

Il responsabile della trasparenza Va premesso che l’art. 43 del D.Lgs. n. 33/2013 attri-buisce al responsabile per la trasparenza il ruolo disvolgere, stabilmente, un’attività di controllo sul-l’adempimento degli obblighi di pubblicazione previstidalla normativa vigente, assicurando la completezza, lachiarezza e l’aggiornamento delle informazioni pubbli-cate. La disposizione fa preferenzialmente coincidereilresponsabile per la trasparenza con il responsabile perla lotta alla corruzione di cui all’articolo 1, comma 7,

della legge 6 novembre 2012, n.190. L’art. 43 statuisce, inoltre, che il responsabile per la tra-sparenza ha l’obbligo di segnalare all’indirizzo politi-co, all’Organismo Indipendente di Valutazione (OIV),all’Autorità anticorruzione e, nei casi più gravi, all’uf-ficio di disciplina, i casi di mancato o ritardato adempi-mento degli obblighi di pubblicazione. Il comma 5 del citato art. 43 dispone, inoltre, che “Inrelazione alla loro gravità, il responsabile segnala icasi di inadempimento o di adempimento parziale degliobblighi in materia di pubblicazione previsti dalla nor-mativa vigente, all’ufficio di disciplina, ai fini del-l’eventuale attivazione del procedimento disciplinare.Il responsabile segnala altresì gli inadempimenti alvertice politico dell’amministrazione, all’OIV ai finidell’attivazione delle altre forme di responsabilità”. Tanto premesso, si noti che l’art. 5 statuisce che l’istan-za di accesso civico deve essere presentata al responsa-bile della trasparenza il quale è tenuto, in caso di iner-zia, ad effettuare la segnalazione di cui all’articolo 43,comma 5. Ebbene, poiché la figura del responsabile perla trasparenza di norma coincide con quella del respon-sabile dell’anticorruzione, ed in entrambi i casi si trattadi un dirigente posto al massimo livello del complessogestionale dell’ente, resta difficile immaginare comepossa l’inerzia del responsabile per la trasparenza sul-l’istanza di accesso civico provocare, su richiesta dellaparte rimasta delusa, l’attribuzione della competenza arispondere, in via sostitutiva, ad altro organo dell’entecollocato in posizione sovraordinata rispetto a quelloche avrebbe dovuto procedere.Sicché, sembra sussistere una sorta di contraddizionetra la prescrizione recata dall’articolo 5 D.Lgs. n.33/2013 e l’art. 43 stessa legge: sarebbe stato preferibi-le lasciare alla pubblica amministrazione la libertà diindividuare autonomamente al proprio interno la figuraorganizzativa alla quale affidare il ruolo di responsabi-le per la trasparenza.Il rischio più concreto è quello di un addossamento inun’unica figura di più ruoli, che possono sovrapporsifacendo coincidere la figura del responsabile trasparen-za con quella del sostituto ex art. 2 comma 9 bis, leggen. 241/1990 (che è poi lo stesso responsabile chedovrebbe sostituire e provvedere a segnalare della suainerzia) con il concreto rischio di conflitti di interesse.L’unica soluzione ermeneutica alla rilevata criticità

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sembra essere la seguente:1) l’articolo 5, comma 2, afferma soltanto che “La

richiesta di accesso civico... va presentata alResponsabile della trasparenza..., che si pronunciasulla stessa”;

2) il responsabile costituisce il destinatario naturaledella domanda e l’organo competente a rispondereall’istante, ma ciò non significa che gli sia altresìattribuito legislativamente il compito di istruire ilprocedimento scaturente da tale istanza;

3) in caso d’inerzia del dirigente dell’ufficio compe-tente protrattasi oltre i 30 giorni dalla richiesta,provvederà direttamente (entro i successivi 15 gior-ni a partire dalla reiterazione della domanda daparte dell’interessato) il responsabile per la traspa-renza, in qualità di titolare del potere sostitutivo aisensi dell’articolo 2, comma 9 bis, della legge n.241/1990.

La giurisprudenzaL’accesso civico ha già interessato la giurisprudenzaamministrativa, pur trattandosi di istituto introdottonell’ordinamento solo di recente. Va anzitutto segnalata la sentenza del Consiglio diStato n. 5515 del 20 novembre 2013, che traccia ladistinzione tra accesso civico e accesso ai documentiamministrativi.Il Cons. Stato precisa che con il decreto legislativo n.33/2013 il legislatore ha inteso procedere al riordinodella disciplina volta ad assicurare a tutti i cittadini lapiù ampia accessibilità alle informazioni, concernentil’organizzazione e l’attività delle pubbliche ammini-strazioni, al fine di attuare “il principio democratico ei principi costituzionali di eguaglianza, imparzialità,buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienzanell’utilizzo di risorse pubbliche”, nonché per la “rea-lizzazione di un’amministrazione aperta, al servizio delcittadino”. La normativa, secondo il Consiglio di Stato,riveste dichiarate finalità di contrasto della corruzionee della cattiva amministrazione ed intende anche attua-re la funzione di “coordinamento informativo, statisti-co e informatico dei dati dell’amministrazione statale,regionale e locale, di cui all’art. 117, secondo comma,lettera r) della Costituzione”. Solo in caso di omessapubblicazione può essere esercitato, ai sensi dell’art. 5del citato D.Lgs. n. 33/2013, il cosiddetto “accesso

civico”, consistente in una richiesta – che non deveessere motivata – di effettuare tale adempimento. L’accesso ai documenti amministrativi, disciplinatodagli articoli 22 e seguenti della n. 241/1990 è riferito,invece, al diritto degli interessati – che abbiano un inte-resse diretto, concreto ed attuale, corrispondente ad unasituazione giuridicamente tutelata e collegata al docu-mento al quale è chiesto l’accesso – di prendere visio-ne ed estrarre copia di documenti. In funzione di taleinteresse la domanda di accesso deve essere opportuna-mente motivata20.Va poi segnalata la sentenza del Consiglio di Stato, n.3014 del 19 marzo 2014, ove viene rilevato che “conl’accesso civico si è introdotto il potere di cittadini edenti di controllare democraticamente se una ammini-strazione pubblica abbia adempiuto agli obblighi ditrasparenza previsti dalla legge”.Chiarisce al riguardo il Cons. Stato, che «Un’ammini-strazione può respingere una istanza di accesso civicoesclusivamente contestando la ricorrenza del presup-posto normativo, ovvero che l’istanza di accesso nellaspecie concerne documenti, informazioni o dati per iquali “la normativa vigente” non prevede un obbligodi pubblicazione in capo all’amministrazione stessa».Quanto alla legittimità del diniego in caso di pubblica-zione già avvenuta, il Consiglio di Stato, nella senten-za in commento, precisa che “se l’obbligo sussiste, mal’amministrazione vi avesse già adempiuto, non puòsolo per questo opporsi un diniego di accesso all’istan-te, giacché l’amministrazione è comunque tenuta adindicare a quest’ultimo il collegamento ipertestualenecessario per la compiuta conoscenza del documento,informazione o dato”.Si segnala, infine, una sentenza del T.A.R. Campania –Salerno, n. 680 del 4 aprile 2014 in materia di accessodei consiglieri comunali e provinciali. Qui si leggetestualmente: “Il recente D.Lgs. 14 marzo 2013, n. 33,nell’introdurre una disciplina organica relativa agliobblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione diinformazioni da parte delle pubbliche amministrazioni,intercetta, di certo, un piano diverso rispetto a quellointeressato dall’istituto dell’accesso, di cui al D.Lgs. n.241/1990 e, relativamente ai Consiglieri comunali eprovinciali, di cui all’art. 43 D.Lgs. n. 267/2000.Nonostante queste differenze ontologiche tra accesso etrasparenza, tuttavia, i due istituti finiscono irrimedia-

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bilmente per sovrapporsi; ciò significa che, se da unlato, il principio di trasparenza tenderà sempre più adoccupare spazi sin’ora appartenenti al dominio del-l’accesso alla documentazione amministrativa, la por-tata di quest’ultimo non potrà che trarre giovamentoda un ampliamento diffuso degli obblighi di ostensionedel proprio operato da parte dell’Amministrazione”.

Le criticitàInizialmente la dottrina21 ha segnalato dubbi di costitu-zionalità in relazione ad un eccesso di delega rispetto altesto dell’art. 1 comma 35 della legge 6 novembre 2012n. 190. Non vi sarebbe traccia, nella legge delega, del-l’attribuzione del potere di introdurre una nuova figuradi accesso alla conoscenza delle informazioni pubbli-che quale strumento per una diffusa verifica circa latempestiva pubblicazione dei dati delle amministrazio-ni e dei soggetti tenuti a farlo.Si è anche detto22 che nell’articolo art. 152 D.Lgs. 30giugno 2003, n.196 si annida l’introduzione di unasorta di azione popolare, analogamente a quanto previ-sto dall’art. 9 del D.Lgs. 18 agosto 2000 n. 267 concaratteri analoghi alle previsioni in materia di ricorsielettorali (art. 130, comma 1, c.p.a.) ovvero dell’artico-lo 3 del D.Lgs. 19 agosto 2005, n. 195, in materia diaccesso alle informazioni ambientali. In realtà, trattasi di preoccupazioni forse eccessive,atteso che l’accesso civico riguarda atti individuati exante dal legislatore soggetti a pubblicazione obbliga-toria: l’ostensione sul sito istituzionale è obbligo giàgravante ex lege sulla p.a. cosa che l’accesso civicoaltro non fa che sollecitare. Forse è il caso di ridimen-sionare tali preoccupazioni considerato che la pubbli-cazione delle informazioni è attività doverosa, perl’amministrazione, in quanto discendente direttamen-te dalla legge. Ulteriori dubbi di costituzionalità sono stati poi rileva-ti23 con riferimento all’introduzione di una nuova ipote-si di giurisdizione esclusiva del giudice amministrati-vo. Si è osservato che, al di là degli stretti profili dieccesso di delega, la scelta del legislatore delegato diaffidare al giudice amministrativo la cognizione dellecontroversie in materia di inadempimento agli obblighidi pubblicità sarebbe impropria in quanto nella specie,non si verterebbe affatto in tema di accesso ai docu-menti amministrativi (materia rispetto alla quale vige la

giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo24)bensì in materia di dati e informazioni, più vicini allatematica di accesso e riservatezza dei dati personaliattribuiti alla cognizione “piena” del giudice ordinariodal codice della privacy25, attesa la posizione soggetti-va di diritto riferibile all’accedente, analoga a quellapropria di colui che vanta il diritto di accesso civico. Al riguardo, ci si permette di rilevare che non sembra-no rinvenibili particolari similitudini tra l’art. 5 deldecreto trasparenza e l’art. 7 del codice della privacy.La struttura dell’accesso civico, pur nella siderale dif-ferenza quanto a finalità, legittimazione, interesse ebene giuridicamente tutelato, appare più simile a quel-la del diritto di accesso ai documenti amministrativi:entrambi gli istituti presuppongono un’istanza del pri-vato che dà il via ad un vero e proprio procedimentoamministrativo, come risulta palese, del resto, dalrichiamo, contenuto nell’articolo 5 D.Lgs. n. 33/2013,all’art. 2, commi 9 bis e 9 ter, L. n. 241/1990, nonchéalla disciplina del termine, identica a quella previstadalla citata legge n. 241. E pur qualificando la posizione giuridica soggettiva incapo all’utente che richiede l’accesso civico comequella di un diritto soggettivo, non pare scorretta l’at-tribuzione della materia alla giurisdizione esclusiva delgiudice amministrativo. Ciò in quanto anche nell’ipote-si di diritto di accesso ai documenti amministrativi si èa lungo discusso sulla situazione soggettiva del richie-dente. Come è noto, in materia si sono storicamentefronteggiati, da un lato l’orientamento che afferma lanatura di interesse legittimo e che concepisce l’attoadottato dall’amministrazione come provvedimentoautoritativo, dall’altro quello che configura la situazio-ne stessa come diritto soggettivo. In dottrina è emersaanche una terza posizione, secondo cui la natura dellapretesa di accesso non sarebbe identica, ma influenza-bile dalle circostanze della fattispecie concreta e, inparticolare, dalla natura vincolata o discrezionale delpotere esercitato dall’amministrazione. La tematica, articolata e complessa, sulla quale si sonopronunciate importanti plenarie26, ci porterebbe lonta-no, fuori tema. Qui pare utile solo accennare che laposizione della giurisprudenza dominante, ormai,sembra essere attestata sulla riconducibilità della posi-zione giuridica in capo all’accedente ai documentiamministrativi al diritto soggettivo, piuttosto che

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all’interesse legittimo. Del resto, l’utilità pratica presadi posizione in ordine alla situazione giuridica sogget-tiva in capo all’accedente ex L. n. 241/1990 apparepoco conferente ove si consideri che vi è giurisdizioneesclusiva in capo al giudice amministrativo e chel’istanza non risulta reiterabile. A ciò si aggiunga che, come ha ben chiarito la dottri-na27, oggetto della cognizione del giudice è la fondatez-za della pretesa all’ostensione. Nel giudizio sul dirittodi accesso ai documenti amministrativi, il giudice valu-ta la fondatezza della pretesa sostanziale, i presuppostidell’istanza. Tanto si giustifica in quanto il giudizio exart. 116 c.p.a. non ha come epilogo l’annullamento omeno del diniego di accesso, ma un provvedimentogiurisdizionale sull’esistenza o meno della pretesasostanziale dell’accedente. Tant’è che la sentenza puòconsistere in una condanna ad un facere. Si è detto, alriguardo28 che il giudice può decidere sull’istanza diaccesso anche prescindendo dai motivi di ricorso, acco-gliere o respingere la domanda per motivi diversi e nondedotti in giudizio: ciò in quanto il giudizio sull’acces-so della n. 241 ha ad oggetto la verifica delle basi a fon-damento dell’istanza di ostensione, piuttosto che lalegittimità del diniego. Ebbene, a fronte di un giudizio sull’accesso della leggen. 241 avente le descritte incisive caratteristiche, nonpare davvero irragionevole l’attribuzione della giuri-sdizione esclusiva al G.A. in tema di accesso civico;l’assunto che la posizione giuridica dell’accedente nel-l’accesso civico è di diritto soggettivo, non sembra pro-prio costituire motivo per ritenere preferibile la cogni-zione del G.O., sul rilievo che lo stesso sarebbe il giu-dice naturale deputato a condannare o meno la P.A. adun facere. Ma ciò accade ormai comunemente anche

nel processo amministrativo e proprio nel giudizio sul-l’accesso della legge n. 241. Ed a tale istituto l’accessocivico, pur nella diversità, appare assimilabile quanto astruttura procedimentale, e sembra in definitiva assaipiù vicino rispetto, ad esempio, all’istituto dell’accessodisciplinato dal codice della privacy. Del resto, a benvedere, anche nell’accesso regolato dalla legge n.241/90 non viene in considerazione una tradizionalefunzione amministrativa in senso classico: basti pensa-re alla funzione regolatoria di interessi contrastanti cheè chiamata a svolgere la P.A. nel caso in cui occorranoeventuali istanze di controinteressati ex art. 22.

ConclusioniNella relazione illustrativa al decreto trasparenza, vieneaffermato che l’accesso civico “rappresenta un amplia-mento del potere di controllo dei cittadini sull’operatodelle pubbliche amministrazioni, un potere introdottooriginariamente dalla legge 241/1990, la quale avevaprevisto la pubblicità come regola e il segreto comeeccezione” e mira “ad alimentare il rapporto di fiduciaintercorrente tra la collettività e le pubbliche ammini-strazioni e a promuovere la cultura della legalità, non-ché la prevenzione di fenomeni corruttivi”.L’istituto, frutto di un’indubbia trasformazione cultura-le del rapporto intercorrente tra ente che esercita la fun-zione pubblica e cittadinanza, va inteso con equilibrioed applicato nelle giuste dimensioni, volute dal legisla-tore: non quale mezzo di futuri conflitti tra amministra-zione e cittadini, bensì strumento di utile collaborazio-ne tra le istituzioni e popolazione, alla quale non sonoattribuiti indefiniti poteri punitivi, ma un giusto dirittoalla conoscenza dei dati di cui (sempre e solo) la leggeimpone la pubblicazione.

_________________

1 Il decreto legislativo 14 marzo 2013, n.33, rappresenta il culmine di una serie diinterventi normativi, non coordinati traloro, tutti indirizzati alla massima traspa-renza delle informazioni, quali:

- gli artt. 2, 12 e 50 del decreto legislativo7 marzo 2005, n. 82 (codice dell’ammini-strazione digitale); nonché l’art. 50,comma 1 bis, del medesimo decreto,introdotto dal terzo correttivo (decretolegislativo 30 dicembre 2010, n. 235), che

contengono sia definizioni, sia obblighidi pubblicazione, ripresi dal D.Lgs. n.33/2013;

- l’art. 2 del decreto legislativo 12 aprile2006, n. 163, che indica la trasparenza trai principi generali della disciplina deicontratti pubblici;

- l’art. 21 della legge 18 giugno 2009, n.69, che obbliga le pp.aa. a pubblicare sulsito internet “le retribuzioni annuali, icurricula vitae, gli indirizzi di posta elet-

tronica e i numeri telefonici dei dirigentie dei segretari comunali e provincialinonché di rendere pubblici, con lo stessomezzo, i tassi di assenza e di maggiorepresenza del personale, distinti per ufficidi livello dirigenziale”; nonché, a renderepubblico: a) un indicatore dei propritempi medi di pagamento relativi agliacquisti di beni, servizi e forniture, deno-minato “indicatore di tempestività deipagamenti”; b) i tempi medi di definizio-

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Osservatorio legislativo

ne dei procedimenti e di erogazione deiservizi con riferimento all’eserciziofinanziario precedente;

- l’art. 11 del decreto legislativo 27 ottobre2009, n. 150 (c.d. decreto “Brunetta”),che ha fornito una definizione di “traspa-renza”, intesa già in quella sede come“accessibilità totale”, attraverso lo stru-mento della pubblicazione nei siti istitu-zionali delle pubbliche amministrazionidi tutte le informazioni relative all’orga-nizzazione e all’utilizzazione delle risorseper l’espletamento delle funzioni istitu-zionali;

- l’art. 18 del decreto legge 22 giugno2012, n. 83, “Misure Urgenti per la cre-scita paese”, convertito con modificazio-ni dalla legge 4 aprile 2012, n. 35, ilquale, “in deroga ad ogni diversa disposi-zione di legge o regolamento” – e, quindi,anche al Codice Privacy – ha previstol’obbligo per le pubbliche amministrazio-ni di pubblicare, sui rispettivi siti internetistituzionali, il “nome dell’impresa oaltro soggetto beneficiario ed i suoi datifiscali; l’importo; la norma o il titolo abase dell’attribuzione; l’ufficio e il fun-zionario o dirigente responsabile delrelativo procedimento amministrativo; lamodalità seguita per l’individuazione delbeneficiario; il link al progetto seleziona-to, al curriculum del soggetto incaricato,nonché al contratto e capitolato dellaprestazione, fornitura o servizio;

- l’art. 9 del decreto legge 18 ottobre 2012,n. 179, “Ulteriori misure urgenti per lacrescita del paese”, recanti ulterioriobblighi di pubblicazione sui siti web isti-tuzionali;

- l’art. 1, commi 15, 16 e 29, della legge 6novembre 2012, n. 190.

2 Ci si riferisce, ad esempio, al potere diaccesso alle informazioni ambientali daparte dei cittadini ai sensi dell’art. 5 D.Lgs.19 agosto 2005, n.195; al potere di accessoalle informazioni detenute dagli enti localida parte dei consiglieri comunali e provin-ciali ai sensi dell’art. 43 D.Lgs. 18 agosto2000, n. 267.

3 Come emerge dalla relazione illustrativaallo schema di decreto, il modello cui si èispirata la disposizione è quello statuniten-se dei Freedom of Information Acts (FOIA)“atto per la libertà di informazione” – ema-nata il 4 luglio 1966 – che, tuttavia, a diffe-renza del nostro sistema, assicura, a chiun-

que lo richieda, la conoscenza di qualsiasiinformazione inerente l’attività di unaamministrazione pubblica, e non solo diquelle oggetto di pubblicazione; mentre, nelsistema delineato dal D.Lgs. n. 33/2013,affinché possa essere esercitato il c.d. dirit-to di accesso civico, deve preesistere unobbligo normativo di pubblicazione.

4 Come risulta testualmente dalla disposi-zione in commento: “l’obbligo… di pubbli-care… comporta il diritto di …richiedere”.

5 Così testualmente: R. GIOVAGNOLI, “rap-porti tra accesso c.d. difensivo e documen-ti coperti dal segreto” 2014.

6 Cfr. R. GIOVAGNOLI (nt. 5).

7 In questo senso, già nel 2006, l’Adu-nanza Plenaria del Consiglio di Stato (18aprile 2006 n. 6), qualificava il diritto diaccesso come una situazione soggettivache, più che fornire utilità finali risultacaratterizzata per il fatto di offrire al titola-re dell’interesse poteri di natura procedi-mentale volti in senso strumentale allatutela di un interesse giuridicamente rile-vante (diritto o interesse).

8 L’assunto era già assodato in via giuri-sprudenziale. Cfr. ad es. Cons. Stato, Sez. V,20 Ottobre 2004, n. 6879 e 7 aprile 2004, n.1969, secondo cui, anche in materia di entilocali, il diritto di accesso, per essere eserci-tato, deve estrinsecarsi attraverso un interes-se per la tutela di situazioni giuridicamenterilevanti. Nello stesso senso: Cons. Stato, 28maggio 2001, n. 2889.

9 In particolare il comma 2: “La richiesta diaccesso civico non è sottoposta ad alcunalimitazione quanto alla legittimazione sog-gettiva del richiedente non deve essere moti-vata, è gratuita e va presentata al responsa-bile della trasparenza dell’amministrazioneobbligata alla pubblicazione di cui alcomma 1, che si pronuncia sulla stessa”.

10 Ex multis: Cons. Stato, 22 maggio 2012,n. 2974.

11 Ma va registrata una posizione contrariache dà rilievo all’autonomia dell’interesseall’accesso rispetto alla situazione giuridicasottostante cui l’accesso è preordinata. Inquesto senso: T.A.R. Campania, Napoli, 23novembre 2012, n. 4200.

12 Cfr.: Cons. Stato, 13 aprile 2006, n.2068; T.A.R. Puglia, Bari, 7 maggio 2007,n. 1263; T.A.R. Puglia, Lecce, 6 maggio

2008, n. 1278; id., 28 maggio 2008, n.1609; id., 9 luglio 2008, n. 2087.

13 Cfr. S. MEZZACAPO, Entrata in vigoresolo dopo il regolamento, in Guida alDiritto n. 10 del 12 marzo 2005; S. RUSSO,Oggetto e funzione dell’accesso agli atti deipubblici poteri nella l. 15/2005, suoi limiti,sua reclamabilità, in Giust.Amm.it, 2005, n.7; V. CERULLI IRELLI, Osservazioni genera-li sulla legge di modifica della l. n. 241/90,in Giustamm.it, 2005, n. 3; G. BACOSI, Lalegge n. 15 del 2005: ecco il nuovo voltodella “241”, in Giustamm.it, 2005, n. 4.

14 Già, in tal senso, prima della novella del2005, Cons. Stato, 7 settembre 2004, n.5873; successivamente alla novella, Cons.Stato, 27 ottobre 2006, n. 6440.

15 Art. 22 comma 1 lett. b) legge n.241/1990e art. 2 D.P.R. 12 aprile 2006 n. 184.

16 In questo senso T.A.R. Campania, (nt. 9).

17 L’art. 8 del decreto legislativo n.33/2013 stabilisce che “I dati, le informa-zioni e i documenti oggetto di pubblicazio-ne obbligatoria ai sensi della normativavigente sono pubblicati per un periodo di 5anni, decorrenti dal 1° gennaio dell’annosuccessivo a quello da cui decorre l’obbli-go di pubblicazione, e comunque fino a chegli atti pubblicati producono i loro effetti,fatti salvi i diversi termini previsti dallanormativa in materia di trattamento deidati personali”.

18 La deflazione del contenzioso è da anno-verare tra le finalità sottese al diritto diaccesso ai documenti amministrativi, inquanto a seguito della visione dei documen-ti la parte istante potrebbe convincersi dellacorrettezza dell’operato dell’amministra-zione e rinunciare al ricorso (in questosenso di veda: T.A.R. Campania, Napoli, 9aprile 2009, n. 1968).

19 Art. 1, comma 1, D.L. 9 febbraio 2012,n. 5, convertito in l. 4 aprile 2012, n. 35.

20 Il caso valutato dal Consiglio di Statoriguardava un’istanza di accesso di un dot-tore di ricerca, successiva ad altre cinqueistanze, ma l’istante chiedeva ulteriormentel’ostensione “del decreto rettorale n. 9737del 15.3.2012”, nonché di “tutti gli attidelle procedure di valutazione di tutti i dot-torandi di ricerca, il cui relativo titolo didottore di ricerca è stato o non è stato rila-sciato dal Rettore dell’Università Cattolicadel Sacro Cuore dal giorno 1 gennaio 2005

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ad oggi”.

21 Cfr. S. TOSCHEI, Accesso civico e acces-so ai documenti amministrativi, due voltidel nuovo sistema amministrativo Italia,Intervento al convegno “Anticorruzione etrasparenza: analisi dell’impatto normati-vo nell’ente locale”, Frascati, 15 luglio2013; C. COLAPIETRO - C. SANTARELLI,

“L’accesso civico”, in Treccani.it, 2014.

22 Cfr. V. TORANO, Il diritto di accesso civi-co, Intervento al convegno “Anticorruzionee trasparenza: analisi dell’impatto norma-tivo nell’ente locale”, Frascati, 15 luglio2013.

23 Cfr. TOSCHEI (nt. 22).

24 Art. 133 comma 1, lettera a) n. 6) c.p.a.

25 Art. 152 D.Lgs. 30 giugno 2003, n. 196.

26 Ad. Plen. Consiglio di Stato 18 aprile2006, n. 6 e Ad. Plen. 24 aprile 2012, n. 7.

27 Cfr. GIOVAGNOLI (nt. 5).

28 Cfr. GIOVAGNOLI (nt. 5).

Osservatorio legislativo

Temi Romana5 6

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Note a sentenza

Fatto e diritto – La parte ricorrente, all’odiernaudienza, ha dichiarato a fronte dell’avvenutaripresa del servizio in data 16.3.2012, di abban-

donare la domanda per la parte inerente alla validità dellicenziamento ed al risarcimento dei danni.Nel rito del lavoro il contenuto della domanda propostadal ricorrente e della memoria difensiva del resistentefissano il thema decidendum, che non può più esserealterato con l’introduzione di nuovi elementi, tali damodificare le domande, le eccezioni e le conclusionigià formulate nei termini di cui all’art. 420 c.p.c.; taleregola processuale, però, non esclude che l’attoreabbandoni alcuni capi della domanda ovvero che ilconvenuto rinunci a talune eccezioni, trattandosi di unacondotta processuale che rientra nella piena disponibi-lità delle parti (Cass. 7035-86).Non si verte invece in materia di rinuncia agli atti delgiudizio, con conseguente necessità delle formalitàrichieste dall’art. 306 c.p.c., atteso che tale istitutocomporta l’estinzione del giudizio, laddove nel caso inesame il giudizio permane, in quanto restano fermi iresidui capi della domanda.

Il lavoratore ha insistito per l’accoglimento della resi-dua parte della domanda con condanna del datore dilavoro alla corresponsione delle retribuzioni dal licen-ziamento alla ripresa del servizio con declaratoria dellacontinuazione del rapporto di lavoro dalla originariaassunzione.La domanda è parzialmente fondata nei termini diseguito esposti.Quanto al primo profilo, il lavoratore è stato licenziatoin data 16.3.2011 e collocato in mobilità ai sensi dellaL. 223/91. È pacifico tra le parti che successivamente,in sede di trattative sindacali, il licenziamento è statorevocato (v. anche accordo aziendale 7.4.2011) e chetale revoca è stata accettata dal lavoratore al più tardicon la notifica del ricorso introduttivo del giudizio.Il giudice è chiamato a pronunciarsi su fatti che sianosostanzialmente controversi tra le parti; ed anzi deveporre a fondamento della decisione, oltre alle prove rag-giunte dalle parti, i fatti non specificamente contestatidalla parte costituita (art. 115 c.p.c.; Cass. 14623-09).Il licenziamento, una volta comunicato alla contropar-te, è unilateralmente irrevocabile. È tuttavia consentita

Lavoro (Rapporto di) - Licenziamento individuale -Successiva revoca del provvedimento - Reintegra nel postodi lavoro - Decorrenza ex tunc degli effetti dalla data didecorrenza originaria del rapporto di lavoro - Retribuzionimedio tempore maturateTrib. Roma – Sez. Lavoro – 10 Gennaio 2013, n. 245 – G.U. dr. Nunziata – ric.: D.M. (avv. F.d.A.); res.: B.N. ora B.S. (avv. F.M. e N.P.)

Carlotta Maria ManniPraticante Abilitato

Il licenziamento, una volta comunicato alla controparte, è unilateralmente irrevocabile. È tuttavia consentital’accettazione della revoca da parte del lavoratore (Cass. 11664-06). Tale revoca implica l’invito del datore ariprendere il lavoro e la sua volontà di considerare il rapporto come mai risolto “de iure”. E pertanto, ove accet-tata, essa ripristina il rapporto di lavoro con effetto dalla data del recesso, con la conseguenza che da tale datail lavoratore ha diritto alle retribuzioni “medio tempore” maturate, essendo il mancato svolgimento della presta-zione lavorativa imputabile esclusivamente alla condotta datoriale e potendo la tempestiva impugnativa del licen-ziamento, valutarsi come implicita offerta delle energie lavorative da parte del lavoratore (Cass. 5638-09).

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Note a sentenza

l’accettazione della revoca da parte del lavoratore(Cass. 11664-06). Tale revoca implica l’invito del dato-re a riprendere il lavoro e la sua volontà di considerareil rapporto come mai risolto “de iure”. E pertanto, oveaccettata, essa ripristina il rapporto di lavoro con effet-to dalla data del recesso, con la conseguenza che da taledata il lavoratore ha diritto alle retribuzioni “mediotempore” maturate, essendo il mancato svolgimentodella prestazione lavorativa imputabile esclusivamentealla condotta datoriale e potendo la tempestiva impu-gnativa del licenziamento, valutarsi come implicitaofferta delle energie lavorative da parte del lavoratore(Cass. 5638-09).Quanto sopra esposto trova conferma nel comporta-mento processuale della società la quale, in comparsadi risposta, ha dichiarato: 1) di aderire alla proposta delD. di ricostituire il rapporto “fin dalla data del licenzia-mento”; 2) che, entro qualche giorno, il lavoratoreavrebbe ricevuto lettera di accettazione di tale propo-sta, “mettendo nel nulla il precedente effetto risoluti-vo”; 3) che, in tal modo, “il rapporto è costituito findall’origine”.La revoca del recesso, in una con l’invito a riprendereservizio, deve essere portata a conoscenza del lavorato-re, al quale deve essere comunicata. Nel caso in esameil datore di lavoro ha ottemperato a tale onere soltantoin corso di causa, con lettera del 12.3.2012, dopo che illavoratore ha accettato la revoca per averne avutoconoscenza “aliunde”.Alla luce delle considerazioni esposte la società deveessere condannata a pagare al lavoratore le retribuzionidal momento del licenziamento (16.3.2011) a quellodella instaurazione del presente giudizio (7.12.2011) inosservanza del principio generale secondo cui, salvadiversa disposizione di legge, la materia del contende-re si cristallizza al momento della instaurazione delgiudizio e quindi non possono essere prese in conside-razione pretese fondate su fatti non dedotti nel ricorsointroduttivo e successivi allo stesso.Quanto al secondo profilo, la domanda di declaratoriadella inefficacia od invalidità di licenziamento colletti-vo contiene necessariamente quella di accertamentodella continuazione del rapporto di lavoro, conseguen-do necessariamente la reintegra nel posto di lavoro (v.art. 5 comma 3 L. 223/91 e art. 18 Stat. Lav. nel testovigente “ratione temporis”).

Consegue che tale ultima domanda non può essere con-siderata né nuova né tardiva, purché sussista l’interessea proporla al momento della decisione (art. 100 c.p.c.).Tale interesse sussiste a fronte della opposizione mani-festata dal difensore della società alla odierna udienza.La data di assunzione originaria va individuata, secon-do le risultanze dello statino-paga di febbraio 2011, al20.11.1989. D’altro canto lo stesso lavoratore dà atto inricorso di essere stato licenziato e riassunto nel novem-bre 1989.Alla luce delle considerazioni esposte deve dichiararsila continuazione del rapporto di lavoro fin dalla datadel 20.11.1989.L’esito complessivo del giudizio ed il perfezionamentodella revoca del licenziamento con ripresa del servizioin corso di causa giustifica la declaratoria di compensa-zione delle spese processuali.

(Omissis)

Revoca del licenziamento: tra margini di incertezzae soluzioni normative La sentenza in commento concerne un aspetto contro-verso del diritto di lavoro: la revoca del licenziamento.Prima della nota Riforma Fornero1 – di cui si avràmodo di discorrere nel prosieguo di questo lavoro – leParti sociali rinviavano l’argomento ai principi genera-li di diritto civile concernenti i negozi giuridici,lasciando in tal modo ampi margini a interpretazionitalora discordanti.Il tema ha sollevato numerose perplessità alimentandofrequenti dibattiti. La giurisprudenza, sovente, è inter-venuta per trovare una disciplina applicabile ad un isti-tuto che sembrava dimenticato dal Legislatore.

1. Effetti della revoca sul rapporto di lavoroIl quesito centrale, attorno a cui ruota la vexata quae-stio del giudizio, concerne gli effetti della revoca dellicenziamento; ossia, per meglio dire, se questa deter-mini la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro,ovvero se da essa derivi una mera prosecuzione del rap-porto instaurato in precedenza.Nel caso di specie, il ricorrente era stato licenziato ecollocato in mobilità dalla Società presso cui avevaprestato per anni la propria attività lavorativa.Successivamente, impugnava il licenziamento medesi-

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Note a sentenza

mo innanzi al Tribunale di Roma (Sez. lavoro). A seguito di trattative concluse in sede sindacale, laSocietà revocava – nelle more del giudizio – il provve-dimento impugnato. La suddetta revoca veniva accetta-ta dal ricorrente entro i termini e nelle modalità previ-ste ex lege. Nel frattempo il giudizio proseguiva per iresidui capi di domanda relativi all’accertamento deldiritto del ricorrente alla retribuzione per il periodocompreso tra la data del licenziamento e la data dellariassunzione.Sebbene la Cassazione abbia mostrato segnali dicostante oscillazione, l’orientamento maggioritario2 haassunto il convincimento secondo cui a seguito dellarevoca del licenziamento si realizza la prosecuzionedell’originario rapporto di lavoro. Ne consegue il dirit-to del lavoratore a vedersi corrispondere la retribuzio-ne maturata medio tempore: ossia nel periodo intercor-so dalla data del licenziamento sino al momento dellarevoca sopravvenuta. La ratio di un simile orientamento risiede nella consi-derazione per cui il mancato svolgimento della presta-zione è imputabile al datore, che di fatto ha licenziatoil proprio dipendente. Di converso, l’impugnazione dellicenziamento da parte del lavoratore si configura comeespressione dell’intenzione di svolgere prestazionilavorative3. Per usare le parole della Suprema Corte, ilcomportamento del lavoratore esprime una “offertadelle energie lavorative”. Per esigenze di completezza, giova qui richiamare unorientamento minoritario secondo cui l’elemento didiscernimento, tra la riassunzione e la reintegrazione,risiede nella dichiarazione del datore – contenuta nelnuovo contratto di lavoro individuale – in cui il rap-porto di lavoro viene considerato come “mai risoltode iure”. Se ne deduce che, ove il datore di lavoroesprima la volontà di riassumere il lavoratore a condi-zioni differenti rispetto all’originario rapporto, e,quindi, con elementi essenziali differenti, si realizze-rà la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro cui,necessariamente, dovrà precedere l’accettazione dellavoratore, con la conseguenza che il lavoratore nonavrà diritto alla corresponsione delle somme maturatemedio tempore. Pertanto, nella valutazione complessi-va, il giudice dovrà tenere in particolare considerazio-ne il tenore letterale della proposta formulata dal dato-re medesimo4.

Tuttavia, tale orientamento non convince; una simileprevisione, mentre da un lato favorisce ampiamente ildatore di lavoro che, mediante una variazione contrat-tuale, può decidere se corrispondere o meno le sommemedio tempore dovute, d’altro canto rende il lavoratoresottoposto alla discrezionalità del datore. Né può gio-vare, in tal senso, la libertà a contrarre del lavoratore,che spesso per esigenze meramente economiche sitrova costretto ad accettare condizioni dettate da partedatoriale.

2. Accettazione della revoca: elemento necessario?La natura giuridica della revoca presenta ulteriori spun-ti di analisi e di riflessione. Come accennato, l’orienta-mento dominante della Suprema Corte rifiuta la solu-zione di continuità tra i due rapporti di lavoro, conside-randoli piuttosto un unicum. Ne consegue l’assoluta irrilevanza dell’accettazionedella revoca da parte del lavoratore5. Questa considera-zione muove dalla presunzione che l’impugnazione dellicenziamento si traduca in una volontà a proseguire ilrapporto di lavoro. In siffatta maniera, il lavoratoreavrebbe già espresso una conferma – seppure tacita epresunta – da ricercare in una fase anteriore rispettoalla revoca.A sostegno di questo orientamento, vi è il principiodella presunzione di conoscenza (peraltro previsto dal-l’art. 1335 del Codice civile), secondo cui la revoca siritiene conosciuta, e quindi efficace, nel momento incui la stessa giunga all’indirizzo del destinatario, aven-do chiaramente riguardo alle particolari modalità dellasua comunicazione. In tale circostanza, spetta al giudi-ce di merito accertare se il lavoratore-destinatario possaaverne avuta conoscenza utilizzando la normale dili-genza.Tuttavia la Suprema Corte6, pur confermando il princi-pio di continuità dei rapporti, ha mostrato numerosereticenze nel seguire il dettato codicistico. Anzi da essoha tratto (e trae tuttora) spunto con una interpretazioneinnovativa. La revoca viene configurata come una pro-posta contrattuale di reintegrazione del lavoratore sulposto di lavoro e non più come revoca in senso stretto.Pertanto, affinché si possa perfezionare l’accordo, illavoratore dovrà accettare la proposta dichiarando divoler proseguire il rapporto di lavoro.Mediante questo diverso inquadramento giuridico, la

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Note a sentenza

stessa Corte ha rifiutato l’idea di una “irrilevanza del-l’accettazione”, che di fatto mina la sfera giuridica dellavoratore, sottoponendolo al potere decisionale deldatore, il quale diviene unico dominus del rapportocontrattuale. In definitiva la revoca del licenziamento deve conside-rarsi come un atto al quale deve seguire, necessaria-mente, una accettazione – espressa o tacita – da partedel lavoratore, per l’espletamento degli effetti ad essaconnessi7.Per quanto concerne la forma dell’accettazione nonsembra, invece, porsi alcun limite. Viene esclusol’obbligo della forma scritta, in quanto gli atti risolu-tori degli effetti prodotti da atti scritti non sonoassoggettati al medesimo requisito formale; ciò inossequio al principio secondo cui la forma degli attiè libera se la legge non richiede espressamente unaforma determinata8.Non essendovi alcun limite, l’accettazione della revocapuò avvenire in forma espressa, tacita o presunta sullabase di comportamenti concludenti del lavoratore, sianoessi commissivi che omissivi. Ne consegue, logicamen-te, che la mera presentazione sul luogo di lavoro e il suc-cessivo svolgimento delle proprie mansioni assumono ilsignificato di accettazione alla prosecuzione del rappor-to, in quanto palesemente contrastante con la volontà diinterruzione del rapporto di lavoro medesimo9.Spetta al giudice adito procedere alla ricostruzionedella volontà del lavoratore medesimo di rinunziare adun proprio diritto, il quale, una volta valutati tutti glielementi di prova, potrà accertare la sussistenza o menodella volontà abdicativa del lavoratore10. Chiaramente le presunzioni dovranno presentare irequisiti di gravità, precisione e concordanza definitidalla giurisprudenza e che di seguito si riporta permero scrupolo chiarificatore a vantaggio del lettore. Ilrequisito della gravità si configura come “il grado diconvincimento che ciascuno di essi (elementi indizia-ri) è idoneo a produrre” tale che possa determinareuna “ragionevole certezza”. Il requisito della precisio-ne impone che l’iter logico che ha guidato il giudicenel ragionamento non sia vago, ma definito in manie-ra inequivoca, chiara ed esaustiva. Da ultimo il requi-sito della concordanza richiede che il fatto ignoto –nel caso di specie la volontà abdicativa – desunto dalgiudice di merito, sia il risultato di una pluralità di

fatti noti convergenti nella dimostrazione della suasussistenza11.

3. Coesistenze incerte e percorsi alternativiIl legislatore individua numerosi strumenti a tutela dellavoratore che sia destinatario di un licenziamento suc-cessivamente revocato. Spetta a questo ultimo sceglie-re il percorso più efficace ed idoneo per difendere i pro-pri interessi. Tuttavia, sovente, la coesistenza tra glistrumenti medesimi rischia di divenire inconciliabile senon addirittura contrastante.

3.1. Tutela reintegratoria e tutela risarcitoriaIn merito alla eventuale coesistenza tra la tutela reinte-gratoria e la tutela risarcitoria, rileva verificare se ildatore abbia reintegrato il lavoratore, non solo nellapropria posizione lavorativa, ma altresì, abbia provve-duto a ripristinare tutti i diritti, sì da eliminare tutti glieffetti pregiudizievoli e dannosi del licenziamento. Inquesto caso la prosecuzione del rapporto – seppure for-male – fa venire meno il fatto generatore del danno12.Ne consegue, pertanto, che al lavoratore non spettaalcun diritto al risarcimento.Altresì rileva la peculiare ipotesi in cui il datore dilavoro abbia revocato il licenziamento in un momentoimmediatamente successivo, prima che il lavoratore nepossa avere conoscenza, sicché lo stesso licenziamentonon spiega i propri effetti nel mondo giuridico, tale dapotersi definire sostanzialmente inesistente13.Non si applica, di conseguenza, la previsione normati-va di cui l’art. 8 della legge n. 604/1966, salvo il dirit-to al risarcimento dei danni di cui l’art. 1218 Cod. civ.Rientrano in siffatta previsione normativa i danni perretribuzione ritardata o inferiore al dovuto, per il carat-tere ingiurioso del licenziamento o per il nocumentoalla salute del lavoratore per il quale sia provato ilnesso eziologico14.A contrariis, qualora il rapporto di lavoro sia statointerrotto dal licenziamento, il risarcimento è dovutonella misura in cui il fatto dannoso verificatosi ha spie-gato i suoi effetti. In tale contesto la successiva revoca,benché non incida sulla tutela risarcitoria, può variarnein minima parte l’entità e la natura15.Tale soluzione, certamente, non è stata accoltaall’unanimità da quell’indirizzo minoritario della giu-risprudenza che definiva il diritto al risarcimento

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“connesso in via diretta ed immediata” al licenzia-mento illegittimo. Ragion per cui neanche il ripristinoex tunc del rapporto lavorativo avrebbe potuto ostaco-lare la costituzione della tutela risarcitoria in capo allavoratore. La stessa stesura dell’art. 18 Stat. Lav.(ante Riforma Fornero) non prevedeva alcun rimedioper impedire l’insorgere del medesimo diritto, fissatonella misura non inferiore a cinque mensilità16. Unasimile previsione sussiste indipendentemente dallasopravvenuta reintegra o dalla accettazione o menodella revoca. Ne discende che il lavoratore, che abbia accettato larevoca del licenziamento, ha comunque diritto di otte-nere il risarcimento, salvo che non vi abbia rinunciatoattraverso un accordo bilaterale o collettivo con il pro-prio datore di lavoro.Per quanto concerne la disciplina dell’istituto, occorreevidenziare come la recente riforma Fornero abbia note-volmente modificato la disciplina del risarcimento(come, del resto, anche di altri aspetti connessi al licen-ziamento).La formula contenuta nell’art. 18 Stat. Lav. ante riformaprevedeva una disciplina unitaria per tutte le ipotesi diinvalidità del licenziamento. Non vi era alcun distinguo.Pertanto il giudice, una volta accertato il vizio del licen-ziamento comminato, condannava il datore al risarci-mento del danno patito dal lavoratore. L’indennità risar-citoria veniva calcolata con riferimento alla retribuzio-ne globale di fatto dal giorno del licenziamento a quel-lo dell’effettiva reintegra (comunque non inferiore a 5mensilità).Il dettato normativo di cui all’art. 18 Stat. Lav. cambia inmaniera evidente. Il legislatore diversifica le tutele risarci-torie a seconda della particolare tipologia di licenziamento;a ciascuna di esse segue una particolare tipologia di effettinegativi per il lavoratore, spesso non sufficientemente tute-labile con una previsione normativa omogenea.La recente riforma prevede, in primis, una tutela mag-giore per i lavoratori destinatari di un licenziamentodiscriminatorio17 o di licenziamento comunicato oral-mente, laddove indica che il giudice ordina al datore dilavoro la reintegrazione del lavoratore “indipendentedal motivo formalmente addotto e quale che sia ilnumero dei dipendenti occupati dal datore di lavoro”18.Inoltre l’indennità risarcitoria, pur essendo calcolatanelle medesime modalità, rimane vincolata al limite

minimo delle 5 mensilità. Diversa è la disciplina per lealtre forme viziate di licenziamento. Ove il fatto nonsussista, ovvero il medesimo rientri in una fattispeciepunibile con sanzione conservativa, il giudice ordina lareintegrazione e il pagamento dell’indennità risarcito-ria non superiore a 12 mensilità19. In tutti gli altri casi incui non ricorrano i presupposti per la comminazionedel licenziamento, al lavoratore spetta una indennitàrisarcitoria compresa tra un minimo di 12 ad un massi-mo di 24 mensilità20.

3.2. Tutela reintegratoria e indennità sostitutivaIl licenziamento illegittimo comporta la facoltà per il lavo-ratore/creditore, di optare per una strada alternativa allareintegra. Questi può decidere di usufruire di una indenni-tà sostitutiva (in seguito anche solo I.S.). Chiaramente, lascelta di uno preclude l’esercizio dell’altro.Il diritto alla I.S. sorge contemporaneamente al dirittoconcernente la reintegra, configurandosi il primo comeuna sorta di monetizzazione del secondo in una sommapari a 15 mensilità dell’ultima retribuzione globale difatto21. Qualora il lavoratore abbia accettato la revocaproposta dal datore di lavoro – e di conseguenza siastato reintegrato nella posizione lavorativa – vienemeno il suo diritto alla indennità. L’attuale disciplina normativa (ex art. 18 co. 3 Stat.Lav.) prevede che il lavoratore possa chiedere unaindennità, in sostituzione della reintegrazione nelposto di lavoro, nel termine di 30 giorni con decorren-za “dalla comunicazione del deposito della sentenza, odall’invito del datore di lavoro a riprendere servizio”,ove questo ultimo sia anteriore alla comunicazione.L’indicazione del termine ha lo scopo ben preciso dicontenere, in termini ragionevolmente ristretti, lasituazione di incertezza giuridica in cui si verrebbe atrovare il datore di lavoro.La ratio alla base di un simile istituto trova fondamen-to in una duplice considerazione: da un lato il lavorato-re potrebbe non avere più interesse alla reintegrazionesul posto di lavoro, d’altro canto il datore non può esse-re costretto a reintegrare il lavoratore in ragione delprincipio, costituzionalmente tutelato, della libertà diiniziativa economica.

4. ConclusioniLa questione, sottoposta ad esame in questo breve lavo-

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ro, torna ad essere oggetto di analisi con le recenti rifor-me. Il legislatore ridisegna, in concreto, la disciplinaconformandosi in toto all’autorevole giurisprudenzaormai consolidatasi nel corso degli anni, quasi a volercristallizzare un orientamento ormai condiviso e condi-visibile22. Il dettato configura la revoca come un potere unilatera-le, senza indicare alcun riferimento alla volontà dellavoratore di riprendere o meno la propria attività; ven-gono completamente abbandonati i riferimenti codici-stici che sino ad allora avevano costituito un validosostegno al vulnus normativo.Unica condizione imposta è la tempestività entro cuideve essere effettuata la revoca, pari a 15 giorni dallacomunicazione al datore dell’impugnazione del licen-ziamento, a seguito della quale si realizza il ripristinodel rapporto di lavoro senza soluzione di continuità.Una siffatta previsione logicamente può far sorgereragionevolmente il diritto del lavoratore alle retribuzio-ni maturate medio tempore, poiché il rapporto di lavo-ro si considera come mai interrotto.Tuttavia non può riconoscersi, nella riforma in questio-ne, un trattamento di favore per il lavoratore, poiché lastessa garantisce al datore di lavoro di sanare l’eventua-le vizio del licenziamento mediante revoca, senza alcunbisogno di accettazione da parte del lavoratore.La sentenza in epigrafe non viene minimamente tocca-ta dalla Riforma Fornero per ovvie ragioni, ispirate alprincipio del “tempus regit actum”. Il giudizio, conclusosi a qualche mese di distanza dal-l’entrata in vigore della l. 92/2012, ha tuttavia risenti-to del prevalente orientamento maggioritario giuri-sprudenziale, già accennato, in perfetta sintonia colnuovo disposto normativo di cui all’art. 18 co. 10,conducendo il Giudice del Tribunale di Roma a con-cludere che il lavoratore/ricorrente – il cui licenzia-mento era stato revocato in corso di causa – abbia,non solo il diritto alla reintegra (e non già quello allariassunzione) ma, altresì, la copertura retributiva eprevidenziale del periodo intermedio corrispondenteall’arco di tempo compreso tra la data di licenziamen-to e quella della reintegrazione,nonché il risarcimentodel danno.Il rapporto di lavoro si considera come mai interrotto.Pertanto ne consegue, logicamente, che sulla bustapaga del lavoratore reintegrato dovrà essere indicata la

data di assunzione e non la data di reintegra, come erro-neamente avvenuto nel caso di specie.Nelle more del giudizio – la cui sentenza è, qui, ogget-to di commento – il datore di lavoro ha cancellato dalridetto cedolino la data di assunzione originaria sosti-tuendola con la data di rientro in servizio del lavorato-re medesimo.Tale precisazione assume un rilievo di notevole impor-tanza laddove si consideri che l’eventuale erronea indi-cazione arreca danni di carattere economico per il lavo-ratore medesimo.Si pensi, infatti, agli scatti di anzianità, ossia gliaumenti retributivi che maturano periodicamente inrelazione all’attività continuativa o meno presso lamedesima azienda. Una posticipata collocazione tem-porale della data di assunzione, inevitabilmente deter-mina un minus percipiendi a danno del lavoratore edella sua famiglia, il quale, ingiustificatamente e ingiu-stamente, si vede privato di un diritto contrattualmentestabilito su base nazionale.Tuttavia questo non rappresenta il solo e unico proble-ma che consegue l’erronea indicazione della data sulcedolino. Ad esso si aggiunge poi la questione del tuttoipotetica e niente affatto surreale, ossia l’ipotesi in cuiil datore proceda al licenziamento collettivo.Per chiarezza espositiva rileva menzionare la notaL. del 23 luglio 1991, n. 22323 in materia di mobili-tà. Il testo normativo indica i criteri di scelta deilavoratori destinati al licenziamento; tali criterisono indicati talora nel testo dei contratti collettivistipulati tra le parti sociali24. In mancanza di unaespressa previsione contrattuale, sovviene il legisla-tore il quale dispone che, nel procedere al licenzia-mento collettivo, il datore di lavoro dovrà tenerconto dei carichi familiari, dell’anzianità e delle esi-genze tecnico-produttive ed organizzative, con laprecisazione che i predetti requisiti debbono con-correre tra loro. Si tratta, in definitiva, di criteri oggettivi che consento-no la formazione di una graduatoria dei lavoratori. Taleprevisione normativa garantisce la trasparenza dellaprocedura che, in quanto riferita a criteri ben determi-nati, si sottrae ad eventuali comportamenti dolosi daparte del datore e garantisce il pieno esercizio dei dirit-ti dei lavoratori25.Una simile precisazione non è affatto marginale. Il

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1 Legge 28 giugno 2012, n. 92 -“Disposizioni in materia di riforma delmercato del lavoro in una prospettiva dicrescita”, in G.U. n. 153 del 3.7.2012, S.O.n. 136.

2 Si vedano, ex multis, Cass. Civ. Sez. Lav.del 2.2.2007, n. 2258; 9.3.2009, n. 5638;14.8.2012, n. 14493.

3 Cfr. Cass. Civ. Sez. Lav. del 9.3.2009, n.5638. Tale considerazione si desume, altre-sì, a contrariis dalla sentenza della Cass.Civ. del 2.2.2007 n. 2258 nella parte in cuidispone che “[…] la mancata accettazionedella revoca non è giuridicamente irrile-vante, in quanto viene equiparata al rifiutodella prestazione, che, per la sinallagmati-cità del rapporto, preclude il sorgere del-l’obbligazione datoriale alla corresponsio-ne della retribuzione”.

4 Nel caso di specie il datore di lavoro avevafatto chiaro riferimento non alla reintegra-zione, bensì alla riassunzione del dipenden-te licenziato. Pertanto il rapporto si intendecostituito ex nunc e non piuttosto ex tunc.L’accettazione da parte del lavoratore pre-clude qualsiasi diritto alle retribuzioni matu-rate in medio tempore. Cfr. Cass. Civ. Sez.Lav. del 12.7.2004, n. 12867.

5 Si tenga presente il formalismo del-l’espressione “…a prescindere dall’accet-tazione del lavoratore…” (in Cass. Civ.Sez. Lav. del 2.2.2007 n. 2258).

6 Si noti, d’altra parte, l’oscillazione forni-

ta dalla Cass. Civ. Sez. Lav. del 3.1.2011, n.36 secondo cui “…la revoca del recessonon può avere l’effetto di ricostituire il rap-porto di lavoro, occorrendo a tal fine unamanifestazione di volontà del lavoratore”.Tale principio risulta, peraltro, già espressonelle precedenti sentenze del 5.10.2007 n.20901 e del 5.3.2008 n. 5929.

7 Cass. Civ. Sez. Lav. del 12.10.1993,n.10085; 5.10.2007, n. 20901; 5.3.2008, n.5929; 3.1.2011, n. 36; 15.6.2011, n. 13090.

8 Cass. Civ. Sez. Lav. 1.7.2004, n. 12107.

9 Cass. Civ. 3.1.2011, n. 36.

10 Ai fini della suddetta verifica lagiurisprudenza opera un costante riferimen-to normativo al Codice civile – art. 2729 –che disciplina le presunzioni semplici.

11 Cass. Civ. Sez. II, 24.2.2004, n. 3646.

12 “…il recesso non ha spiegato efficaciaalcuna sulla continuità del rapporto e sullaordinaria funzionalità del sinallagma con-trattuale”. Cfr. Trib. Torino del 30.9.2002;Appello Milano 1.9.2004; Cass. Civ.14.8.2012, n. 14493.

13 Cass. Civ. Sez. Lav. 1.7.2004, n.12102.

14 Cass. Civ. Sez. Lav. 12.12.2007, n. 26073.

15 App. Perugia, 22.9.2011.

16 Cass. 12.10.1993 n. 10085; Cass. Civ.Sez. Lav., 21.12.1995, n. 13047 e Cass.1.7.2004, n. 12102; Trib. Cassino, 6.7.2007.

17 A titolo di esempio: il licenziamento in-timato in prossimità del matrimonio odurante il periodo di gravidanza della lavo-ratrice.

18 Cfr. art. 18 Stat. Lav. comma 1.

19 Cfr. art. 18 Stat. Lav. comma 4.

20 Cfr. art. 18 Stat. Lav. comma 5.

21 Così Cass. Civ. Sez. Lav., 21.12.1995,Cass. n. 13047; Cass. 5.12.1997 n. 12366;Cass. 13.6.2002 n. 8493.

22 Cfr. in particolare l’art. 18 co. 10 Stat. Lav.

23 Pubblicato in G.U. n. 175 del 27.7.1991– S.O. n. 43 e modificato dall’art. 2 co. 73della L. 28 giugno 2012, n. 92.

24 A riguardo cfr. l’art. 5 co. 1 – rubricato“Criteri di scelta dei lavoratori ed oneri acarico delle imprese” del testo citato ilquale dispone che: “L’individuazione deilavoratori da licenziare deve avvenire inrelazione alle esigenze tecnico-produttive, edorganizzative del complesso aziendale, nelrispetto dei criteri previsti da contratti collet-tivi stipulati con i sindacati di cui all’artico-lo 4, comma 2, ovvero in mancanza di questicontratti nel rispetto dei seguenti criteri inconcorso tra loro;a) carichi di famiglia; b) anzianità;c) esigenze tecnico produttive ed organizza-tive”.

25 Cass. Civ. Sez. Lav., 9.6.2011, n. 12544.

comportamento negligente della Società, che avevaindicato nei cedolini dello stipendio la data di reintegrae non già la data di assunzione avrebbe potuto genera-re problemi ed equivoci in riferimento alla posizione

del ricorrente all’interno dell’azienda, sicché questisarebbe potuto divenire nuovamente destinatario di unfuturo eventuale licenziamento collettivo, salvo poi adover procedere a nuova impugnativa.

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1.Il caso concretoLa sentenza in commento offre lo spunto peresaminare un consolidato orientamento giuri-

sprudenziale ad avviso del quale la destinazione averde privato impressa da un piano regolatore generaledebba considerarsi frutto dell’attività meramente con-formativo-pianificatoria spettante alle amministrazionilocali e non inquadrabile, quindi, nell’ambito dei vin-coli sostanzialmente espropriativi, malgrado gli effettiche ne conseguono sul piano sostanziale.Il giudizio prende le mosse dalla decisione del proprieta-rio di un fondo di impugnare, chiedendone l’annulla-mento, tutti gli atti del procedimento di formazione delPRG del Comune di Monteroni di Lecce, nel cui territo-rio è ricompreso il fondo stesso, a partire dalle deliberedel Consiglio Comunale con cui è stato conferito l’inca-rico di redazione del piano e con cui è stato poi adottatolo stesso, passando per la delibera della GiuntaRegionale di approvazione del piano con prescrizioni emodifiche e per la delibera comunale di recepimento econtrodeduzioni in ordine alle prescrizioni e modificheregionali, per finire con la delibera regionale di approva-zione definitiva del PRG. Tale impugnazione s’imperniasulla differente qualificazione riservata all’area di pro-prietà del ricorrente, tipizzata come zona “B” destinata aedilizia residenziale nel vecchio Programma diFabbricazione (strumento prescritto dall’art. 34 della

legge urbanistica del 17 agosto 1942, n. 1150 per tutti iComuni sprovvisti di PRG), ma in seguito classificata,nel nuovo piano, come zona a verde privato, che, ai sensidelle relative norme tecniche di attuazione, consente«attività primarie di tipo agricolo, la sistemazione diverde attrezzato, interventi manutentivi e di ristruttura-zione dell’edificato esistente, di tipo conservativo». Risulta di tutta evidenza, pertanto, la notevole com-pressione del diritto dominicale esercitabile dal pro-prietario, intervenuta con la nuova destinazione urbani-stica impressa al fondo in questione, dapprima edifica-bile, seppur entro limiti predefiniti, poi assoggettato ainedificabilità pressoché assoluta. Va inoltre osservatocome, in parallelo al ridimensionamento del contenutodel diritto di proprietà, l’inibizione dello ius aedifican-di determini altresì una drastica diminuzione del valoredi scambio del bene immobile interessato da siffattovincolo urbanistico.

2. Vincoli conformativi e vincoli ablatori: terminidella questione e inquadramento della destina-zione a verde privato

Prima ancora di addentrarsi nel percorso argomentativoseguito nel caso in esame dal Supremo Consesso digiustizia amministrativa, è opportuno soffermarsi suuna distinzione che fa da sfondo al tema della destina-zione a verde privato, incidendo sulla natura giuridica

La destinazione urbanistica a verde privato come vincolomeramente conformativo della proprietà rispettoalla tutela ambientaleNota a Consiglio di Stato, Sez. IV, sentenza 21 dicembre 2012, n. 6656

Lorenzo Maria PelusiAvvocato dello Stato dell’Avvocatura Generale

SOMMARIO: 1. Il caso concreto – 2. Vincoli conformativi e vincoli ablatori: termini della questione e inquadramen-to della destinazione a verde privato – 3. La diversa fattispecie del verde pubblico, fonte di contrasti giurispruden-ziali – 4. L’obbligo di motivazione gravante sulla P.A. e la rilevanza dei contrari interessi privati – 5. Il “governodel territorio” in funzione di coordinamento dell’espansione edilizia e della tutela ambientale – 6. I c.d. lotti inter-clusi – 7. I parametri in base ai quali valutare la coerenza della scelta di zonizzazione operata in concreto – 8.L’abusato appello alla naturale vocazione edificatoria delle aree

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di quest’ultima. La questione in argomento, infatti,investe apertamente la summa divisio fra vincoli mera-mente conformativi e vincoli ablatori1. Per vincoli aventi carattere sostanzialmente espropria-tivo debbono intendersi, alla luce della celeberrimasentenza della Corte costituzionale n. 179 del 20 mag-gio 1999, quei vincoli che abbiano in concreto l’effettodi svuotare incisivamente il contenuto del diritto di pro-prietà, mediante l’imposizione immediatamente opera-tiva di vincoli a titolo particolare su beni determinati,comportanti inedificabilità assoluta. In quell’occasionela Corte dichiarò l’illegittimità costituzionale del com-binato disposto degli artt. 7, numeri 2, 3 e 4, e 40 dellalegge 17 agosto 1942, n. 1150 (d’ora in poi: legge urba-nistica), e dell’art. 2, primo comma, della legge 19novembre 1968, n. 1187 (Modifiche ed integrazionialla legge urbanistica 17 agosto 1942, n. 1150), nellaparte in cui consentiva all’Amministrazione di reitera-re i vincoli urbanistici scaduti, preordinati all’espro-priazione o comportanti l’inedificabilità, senza la pre-visione di alcun indennizzo. La Consulta, peraltro, ebbe modo di puntualizzare chenon possono considerarsi alla stregua di vincoli sostan-zialmente espropriativi quelli che, pur avendo contenu-to specifico e operando a titolo particolare, impongonoa determinati fondi una destinazione realizzabile ad ini-ziativa privata o promiscua pubblico-privata e chequindi non comportino necessariamente espropriazioneo interventi ad esclusiva iniziativa pubblica (ad es. par-cheggi, mercati o impianti sportivi). Non si pone, per-tanto, un problema di indennizzo per i vincoli che nonpreludano all’esecuzione di opere pubbliche in sensostretto, in quanto connesse all’iniziativa anche concor-rente dei privati.Parimenti non sono assoggettati al regime dei vincoliespropriativi quelli che, pur comprimendo l’edificabili-tà, dispongono tale restrizione in ragione delle caratteri-stiche intrinseche del fondo, imponendo modi e limiti,in via generale ed astratta, a tutti i consociati in manie-ra oggettiva (si pensi ai vincoli ambientali paesistici).D’altra parte la zonizzazione del territorio2, con i con-nessi vincoli che incidono con carattere di generalità ein modo obiettivo su intere categorie di beni, è connatu-rata alla pianificazione urbanistica e non può essere exse considerata un’azione ablatoria, in quanto la possibi-lità che il diritto di proprietà subisca limitazioni costitui-

sce un rischio fisiologico connesso al diritto stesso, alfine di assicurarne la funzione sociale nel perseguimen-to di obiettivi di interesse generale, ai sensi dell’art. 42,co. 2, Cost. (C. cost., 20 maggio 1999, n. 179)3.Ne consegue che la destinazione a verde privato diun’area, siccome consente al privato sia di fruire delfondo, sia di eseguirvi autonomamente tutti gli inter-venti edificatori compatibili con tale qualificazioneurbanistica, andrebbe intesa come riconducibile algenerale potere conformativo della proprietà privata dicui è titolare l’Amministrazione Comunale in sede dipianificazione del territorio e non invece al ben diversopotere di carattere ablatorio previsto dall’art. 25 dellalegge urbanistica4. Questa ricostruzione dogmatica è stata fatta propria, giàin tempi risalenti, dal Consiglio di Stato, il quale ha piùvolte affermato che la destinazione a verde privato diun’area rientra tra le ipotesi di qualificazione delle zoneterritoriali omogenee di cui lo strumento urbanistico pri-mario si compone e, anche se pone preclusione all’edifi-cazione implicando l’esclusione della possibilità di rea-lizzare qualsiasi opera edilizia incidente sulla destinazio-ne a verde (così, ex plurimis, Cons. St., Sez. IV, 5 otto-bre 1995, n. 781; Id., 14 dicembre 1993, n. 1068), rima-ne comunque espressione delle funzioni di ripartizionein zone del territorio, senza determinare vincoli tali daescludere potenzialmente il diritto di proprietà nella suainterezza (così Cons. St., Sez. IV, 24 luglio 1985, n. 290).Va quindi segnalato come un indirizzo giurisprudenzialeconsolidato e univoco, riconfermato anche dalla pronun-cia in commento, quello a mente del quale la destinazio-ne a verde privato non è ascrivibile ai vincoli ablatori,atteso che essa non è prodromica all’espropriazione enon è ostativa alla fruizione del fondo da parte del pro-prietario, il quale vedrà limitata esclusivamente la pro-pria facoltà di godimento dello stesso.Pertanto, la destinazione in questione non sostanziaalcun vincolo sussumibile nel regime di decadenzaconseguente all’inutile decorso del termine quinquen-nale contemplato per i vincoli ablatori dall’art. 9 delT.U. approvato con D.P.R. 6 giugno 2001, n. 327 (comemodificato dall’art. 1 del D.Lgs. 27 dicembre 2002, n.352), regime che altrimenti implicherebbe l’insorgerein capo al Comune, da un lato, dell’obbligo di procede-re alla riqualificazione urbanistica delle aree stessedopo la scadenza del vincolo (cfr. sul punto, ad es.,

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Cons. St., Sez. IV, 14 dicembre 1993, n. 1068), dall’al-tro, dell’obbligo di indennizzo a favore del privato(Cons. St., Sez. IV, 18 maggio 2012, n. 2919)5.

3. La diversa fattispecie del verde pubblico, fonte dicontrasti giurisprudenziali

In tempi più recenti si è statuito che persino la desti-nazione ad attrezzature ricreative, sportive e a verdepubblico, data dal piano regolatore ad aree di proprie-tà privata, non comporta l’imposizione sulle stesse diun vincolo espropriativo, ma solo di un vincolo con-formativo, il quale è funzionale all’interesse pubblicogenerale conseguente alla zonizzazione effettuatadallo strumento urbanistico, che definisce i caratterigenerali dell’edificabilità in ciascuna delle zone in cuiè suddiviso il territorio comunale (Cons. St., Sez. IV,3 dicembre 2010, n. 8531). Anche in questi casi,peraltro, può rinvenirsi traccia dell’insegnamentodella Corte costituzionale secondo cui non si è allapresenza del paradigma ablatorio tutte le volte in cuile iniziative di realizzazione dell’opera siano suscetti-bili di operare in regime di libero mercato. Ne rappre-senta applicazione diretta, infatti, quell’orientamentoche subordina il riconoscimento della natura confor-mativa del vincolo al ricorrere della possibilità confe-rita al privato di far luogo alla costruzione delleattrezzature previste dallo stesso strumento urbanisti-co, per mezzo di iniziative totalmente private o informe di partenariato misto pubblico-privato (Cons.St., Sez. IV, 19 gennaio 2012, n. 244)6. Di contro, nelcaso in cui la disciplina urbanistica escluda in modoassoluto che nelle zone destinate a verde pubblicosiano possibili, anche parzialmente, iniziative da partedel privato proprietario dell’area, detto vincolo potràessere qualificato come preordinato all’espropriazio-ne (Cons. St., Sez. IV, 25 maggio 2005, n. 2718; Id.,24 febbraio 2004, n. 745).Contrapposta all’impostazione maggioritaria appenadescritta, va inoltre menzionata la posizione assunta dalConsiglio di Giustizia Amministrativa per la RegioneSicilia sul punto. Secondo la tesi che ad oggi apparedominante, come già detto, una destinazione a verdepubblico disposta da un piano regolatore, quindi didurata indeterminata, sarebbe pur sempre espressionedella potestà conformativa del pianificatore, dalmomento che non inibisce l’utilizzazione del fondo da

parte dei proprietari, ma ne prescrive soltanto le moda-lità di utilizzo, da realizzarsi anche ad iniziativa deglistessi proprietari (Cons. St., Sez. V, 13 aprile 2012, n.2116; Sez. IV, 12 maggio 2010, n. 2843; Sez. VI, 19marzo 2008, n. 1201). Tuttavia il massimo organo dellagiustizia amministrativa siciliana si è di recente espres-so in senso contrario, stabilendo che, diversamente daaltre solo in apparenza simili destinazioni urbanistiche(tra cui quelle a verde privato o verde agricolo) – cheeffettivamente conformano il diritto dominicale deiproprietari dei fondi interessati, senza però sopprimer-lo in toto – la destinazione a verde pubblico attrezzato,al pari di quella a verde pubblico, sia radicalmenteincompatibile con la permanenza del fondo in proprie-tà privata. La ragione di tale indirizzo interpretativopoggia sulla ravvisata necessità di ritenere sussistente«un vincolo preordinato all’espropriazione tutte levolte in cui la destinazione dell’area permetta la realiz-zazione di opere destinate esclusivamente alla fruizio-ne soggettivamente pubblica», a prescindere quindidalla concessione al privato sia della realizzazione del-l’opera, sia di un margine di sfruttabilità economica delbene, non più in termini di fruizione personale, bensì didisposizione onerosa a favore di terzi (Cons. Giust.Amm., Sez. giur., 27 febbraio 2012, n. 212; Id., 25 gen-naio 2011, n. 95). In quest’ottica, ove ci si trovi innanzi ad una potestàconformativa che impedisca sine die la realizzazione diun opus suscettibile di valutazione economica piena-mente assoggettato alla disponibilità del privato, neconsegue, di fatto, l’ablazione di una precipua facoltàproduttiva inerente al diritto di proprietà, tale da incide-re significativamente sul contenuto minimo essenzialedi quest’ultimo, con l’effetto di svuotarlo per intero delsuo contenuto, piuttosto che di plasmarlo secondo loschema conformativo. Ciò perché lo sfruttamento dellepotenzialità edificatorie rappresenta la naturale destina-zione di ogni area di proprietà privata, anche qualora sitratti di zone agricole, contraddistinte da un basso indi-ce di edificabilità7. Tale qualificazione sostanzialmente espropriativadella destinazione a verde pubblico comporta che,decorso il quinquennio di cui all’art. 9 del D.P.R. n.327 del 2001 senza che sia stata dichiarata la pubblicautilità dell’opera, la reiterazione del vincolo, in costan-za di ulteriore inerzia in ordine agli atti consequenzia-

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li, si configura come patologica cristallizzazione di unvincolo di inedificabilità assoluta, che tende a conno-tarsi come illegittima espropriazione di fatto.Analoghe osservazioni non valgono, invece, per lazona destinata a verde privato, poiché essa mantienedeterminate capacità edificatorie e potenzialità disfruttamento a fini economici (T.A.R. Lazio – Roma,Sez. II, 19 luglio 2011, n. 6442).

4. L’obbligo di motivazione gravante sulla P.A. e larilevanza dei contrari interessi privati

Venendo, a questo punto, all’esame dei singoli passaggiche compongono la motivazione della sentenza in com-mento, va brevemente dato conto delle doglianze sotto-poste alla cognizione dei giudici. In primo grado ilT.A.R. aveva respinto il ricorso; veniva pertanto richie-sta la riforma della relativa sentenza innanzi alConsiglio di Stato. I ricorsi di primo e di secondo gradopossono considerarsi sostanzialmente coincidenti e ilmotivo principale cui entrambi risultano affidati consi-ste nella censura del potere pianificatorio esercitato, inforza dei vizi di: eccesso di potere, violazione del prin-cipio della tendenziale stabilità delle previsioni urbani-stiche, violazione del principio di ponderazione degliinteressi privati da sacrificare in relazione all’interessepubblico perseguito e carenza motivazionale. Quest’ul-tima, in particolare, sarebbe da riscontrare nell’assenzadi alcuna specifica motivazione in merito a una sceltacosì penalizzante per il ricorrente, posto che la nuovadestinazione rende di fatto l’area inedificabile.Nel respingere tali censure, i giudici amministrativirichiamano il pacifico orientamento giurisprudenzialesecondo cui le scelte urbanistiche costituiscono apprez-zamenti di merito, risultando quindi sottratte al sinda-cato di legittimità con l’eccezione di quelle inficiate daerrori di fatto o da abnormi illogicità (Cons. St., Sez.IV, 30 luglio 2012, n. 4319; Id., Ad. Plen., 22 dicembre1999, n. 24). Le scelte inerenti alla disciplina del terri-torio possono quindi formare oggetto di sindacato giu-risdizionale nei soli casi di arbitrarietà, irragionevolez-za o di palese travisamento dei fatti, che costituisconoi limiti della discrezionalità amministrativa. Ne consegue che il privato che si ritenga leso da unascelta di piano non favorevole ai suoi interessi in ordi-ne alla destinazione data ad una certa area di sua pro-prietà, non può censurare, se non per evidenti vizi logi-

ci, le ragioni specifiche della singola scelta operata dal-l’amministrazione, poiché il sistema non richiede unagiustificazione analitica delle singole scelte operate,ma solo delle ragioni d’insieme che hanno portato allecomplessive scelte di pianificazione. Non potrà invo-carsi, pertanto, il vizio di eccesso di potere per dispari-tà di trattamento basata sulla comparazione con ladestinazione impressa ad immobili adiacenti (Cons. St.,Sez. IV, 13 febbraio 2009, n. 811; Id., 9 giugno 2008,n. 2837). Va ricordato, d’altra parte, che in sede di ela-borazione e approvazione dei PRG viene in rilievo unagire pubblico che è esclusivamente inteso a predispor-re un ordinato assetto del territorio comunale e chequindi è tenuto a prescindere dalle posizioni particola-ri dei titolari di diritti reali, nonché dai vantaggi o svan-taggi che ad essi possano derivare dalla pianificazionestessa (Cons. St., Sez. IV, 22 febbraio 2013, n. 1097).Sulla scorta di tale premessa, viene poi ribadito che lescelte operate attraverso lo strumento pianificatoriogenerale, circa la destinazione di singole aree, sono con-gruamente motivate facendo riferimento alle ragionievincibili dai criteri generali, di ordine tecnico-discre-zionale, seguiti nell’impostazione del piano regolatore,mentre deve escludersi un obbligo di specifica motiva-zione, giacché in subiecta materia trova applicazionel’art. 3, comma 2, della legge 241 del 1990, che esone-ra l’Amministrazione dall’obbligo motivazionale incaso di adozione di atti normativi e a contenuto genera-le (tra cui rientrano appunto i PRG e le relative variantigenerali). Pertanto è ritenuto sufficiente l’espresso rife-rimento alla relazione illustrativa del piano regolatore,oppure alla relazione di accompagnamento al progettodi modifica del piano stesso8, salvo il ricorrere di casiparticolari in cui si configuri uno specifico obbligomotivazionale a carico dell’Amministrazione (Cons.St., Sez. IV, 5 gennaio 2011, n. 24; Id., 13 ottobre 2010,n. 7492; Id., 26 aprile 2009, n. 2293).Tale necessità di più incisivi profili motivazionali puòessere rinvenuta solo nei casi in cui preesistano partico-lari situazioni che abbiano creato aspettative o affida-menti qualificati sulla destinazione dell’area, dandoluogo a posizioni differenziate rispetto alla generalitàdegli interessati, e che quindi debbano ricevere una piùcompiuta valutazione, in ragione della sussistenza diposizioni soggettive meritevoli di specifica considera-zione9. In particolare, dette evenienze sono date: dal

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superamento, imposto dall’Amministrazione, deglistandard urbanistici minimi di cui al D.M. n. 1444 del1968 (con la precisazione che, in tal caso, la motivazio-ne dovrà indicare le ragioni che hanno comportato il“sovradimensionamento” e non quelle che hanno por-tato ad assegnare una specifica destinazione di zona auna certa area); dalla lesione dell’affidamento qualifi-cato del privato, derivante da convenzioni di lottizza-zione o da accordi ex art. 11 l. n. 241 del 1990 intercor-si fra il Comune e i proprietari delle aree (e già ogget-to di stipula); dalla lesione di aspettative nascenti da ungiudicato di annullamento di dinieghi di titoli abilitati-vi edilizi o di accertamento dell’illegittimità del silen-zio rifiuto su una domanda di titolo abilitativo (Cons.St., Sez. IV, 11 settembre 2012 n. 4806); o, più in gene-rale, dalla lesione di aspettative collegate a situazioni didiverso regime urbanistico accertate da sentenze passa-te in giudicato (Cons. St., sez. IV, 16 febbraio 2010, n.1015); nonché, infine, dalla modificazione in zonaagricola della destinazione di un’area limitata, interclu-sa da fondi legittimamente edificati (Cons. St., sez. IV,16 novembre 2011 n. 6049; Id., 13 ottobre 2010, n.7492). Ogniqualvolta l’esercizio dello jus variandivada ad incidere in senso peggiorativo su una di questeaspettative assistite da una peculiare tutela o da unospeciale affidamento, l’Amministrazione è tenuta adoperare una valutazione comparativa tra l’interessepubblico e la posizione privata qualificata, corredandoil provvedimento di una puntuale motivazione che diaaltresì conto della concreta impossibilità di conseguirel’obiettivo di pubblico interesse con soluzioni alterna-tive, capaci di escludere o di contenere la vulnerazionedell’affidamento insorto in capo al privato. Al di fuori di queste fattispecie tipizzate in via pretoria,invece, può ravvisarsi in capo all’interessato unicamen-te una generica aspettativa ad una non reformatio inpeius delle destinazioni di zona, tale da non giustificarené una particolare tutela, né un obbligo di più puntualemotivazione. Non può infatti ritenersi qualificato l’inte-resse del privato meramente correlato ad una preceden-te previsione urbanistica che consentiva un più proficuoutilizzo dell’area, quale è l’interesse che viene in rilievonel caso di cui trattasi. Siffatta aspettativa, pertanto,risulta cedevole dinanzi alla discrezionalità del poterepubblico di pianificazione urbanistica, per ragioni ana-loghe a quelle per cui il divieto della reformatio in peius

è un criterio del tutto inidoneo, atteso il difetto di qual-sivoglia copertura costituzionale, a vincolare il legisla-tore (Cons. St., Ad. Plen., 22 dicembre 1999, n. 24).

5. Il “governo del territorio” in funzione di coordi-namento dell’espansione edilizia e della tutelaambientale

In secondo luogo, la sentenza in commento si dichiarafedele a quella giurisprudenza che ha evidenziato comeall’interno della pianificazione urbanistica possano tro-vare spazio anche esigenze di tutela ambientale ed eco-logica, tra le quali spicca proprio la necessità di evitarel’ulteriore edificazione e di mantenere un equilibratorapporto tra aree edificate e spazi liberi. Si è affermato,in proposito, che il potere di pianificazione del territo-rio – attribuito dalla Carta costituzionale alla potestàlegislativa concorrente dello Stato e delle Regioni, exart. 117, comma terzo, Cost. ed il cui esercizio è nor-malmente rimesso, pur nel contesto di ulteriori livellied ambiti di pianificazione, al Comune – non è limita-to alla classificazione delle zone del territorio comuna-le e, in particolare, alla delimitazione delle potenzialitàedificatorie delle stesse (Cons. St., Sez. IV, 10 maggio2012, n. 2710). Al contrario, tale potere di pianificazione è da ricon-dursi ad un concetto di urbanistica che non può essereminimale, ovvero limitato alla sola disciplina coordina-ta della edificazione dei suoli (e, al massimo, ai tipi diedilizia, distinti per finalità, in tal modo definiti), mache invece deve essere ampio, tale da consentire che sipossa dare attuazione, per mezzo della disciplina del-l’utilizzo delle aree, anche a finalità economico-socialidella comunità locale (non in contrasto, bensì in armo-nico rapporto con analoghi interessi di altre comunitàterritoriali, regionali e dello Stato), nel quadro di rispet-to e positiva attuazione di valori costituzionalmentetutelati, come quelli di cui agli artt. 9, comma secondo,32, 42, 44, 47, comma secondo, Cost. (Cons. St., Sez.IV, 13 giugno 2013, n. 3262). Tra le esigenze fonda-mentali della comunità territoriale, vanno indubbia-mente ricomprese sia le esigenze di tutela della salute,la quale richiede che agli abitanti sia garantito unambiente salubre in cui vivere, sia l’aspirazione dell’in-dividuo alla casa di abitazione, da porre necessaria-mente in relazione alle effettive esigenze abitative dellacomunità ed alle concrete vocazioni dei luoghi. Anche

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siffatti interessi devono pertanto essere contemperati insede di configurazione del «modello di sviluppo ches’intende imprimere ai luoghi stessi, in considerazionedella loro storia, tradizione, ubicazione e di una rifles-sione de futuro sulla propria stessa essenza, svolta perautorappresentazione ed autodeterminazione dallacomunità medesima, con le decisioni dei propri organielettivi e, prima ancora, con la partecipazione dei cit-tadini al procedimento pianificatorio» (Cons. St., Sez.IV, 21 dicembre 2012, n. 6656).Proprio per tali ragioni, lo stesso legislatore costituzio-nale, nel novellare l’art. 117 Cost., per il tramite dellalegge cost. n. 3 del 2001, ha sostituito il termine «urba-nistica» con l’onnicomprensiva espressione di «governodel territorio»10, materia che risulta pertanto affidata alleRegioni, salvo che per la determinazione dei principifondamentali11. Secondo l’insegnamento della Cortecostituzionale, i due concetti non sono perfettamentecoincidenti, poiché l’urbanistica si esaurirebbe nelgoverno del territorio, ma non sarebbe vero il contra-rio12. Questa posizione, peraltro, risulta la medesimaassunta dalla dottrina dominante13. Alcuni hanno intesoparagonare questa distinzione a due cerchi concentrici:il più ristretto, rappresentato dall’urbanistica, a sua voltacostituita dalla pianificazione territoriale e urbanistica, eil più ampio, comprendente le ulteriori funzioni identi-ficabili nel governo del territorio, ovvero quell’insiemecomposito di attività svolte da soggetti pubblici di varianatura che incidono fortemente nella definizione di undeterminato assetto territoriale (ad es., servizi pubblici arete e approntamenti infrastrutturali)14. Non è tuttaviamancata una tesi minoritaria tendente a ravvisare, nellariforma costituzionale, nulla più che una mera interpo-lazione lessicale, volta ad adeguare la terminologia del-l’art. 117 al suo mutato «significato di disciplina aven-te ad oggetto l’intero territorio, indipendentemente dalgrado della sua urbanizzazione»15.Proprio in ossequio alla rinnovata estensione delle fina-lità che l’Amministrazione è chiamata a perseguire insede pianificatoria, la giurisprudenza ha avvertito chele scelte urbanistiche destinate a tutelare l’ambiente,anche quando consistono nell’imprimere ad un’area ilconnotato di zona agricola o di verde privato, nonrichiedono una diffusa analisi argomentativa conriguardo al valore dell’ambiente, stante la sua copertu-ra di rango costituzionale, offerta dall’art. 9 Cost.

(Cons. St., Sez. IV, 19 gennaio 2000, n. 245)16. In par-ticolare, si è sostenuta la chiara valenza conservativadei valori naturalistici propria della destinazione averde privato, in considerazione del fatto che essa, sal-vaguardando «il polmone dell’insediamento urbano»,assume per tale via «la funzione decongestionante e dicontenimento dell’espansione dell’aggregato urbano»(Cons. St., Sez. IV, 1° febbraio 2001, n. 420). Nelmedesimo solco si muove quella giurisprudenza chericonosce, in ragione della necessità di non consentirela totale consumazione del suolo nazionale, la possibi-lità che gli strumenti urbanistici non siano sostenutidalle tradizionali linee guida di espansione demografi-ca o edilizia ma, al contrario, da linee guida esclusiva-mente rivolte al recupero ed alla razionalizzazione delpatrimonio edilizio esistente (Cons. St., Sez. IV, 8 mag-gio 2000, n. 2639).

6. I c.d. lotti interclusiIl Consiglio di Stato si sofferma, poi, sul concetto di“lotto intercluso”, escludendone l’applicabilità nel casoconcreto. Tale fattispecie altro non è che una peculiaresituazione di fatto che si realizza, secondo una più rigo-rosa impostazione, allorquando l’area edificabile diproprietà del richiedente: sia l’unica a non essere stataancora edificata; si trovi in una zona integralmenteinteressata da costruzioni; sia dotata di tutte le opere diurbanizzazione (primarie e secondarie), previste daglistrumenti urbanistici; sia infine valorizzata da un pro-getto edilizio del tutto conforme al PRG (Cons. St.,Sez. IV, 10 giugno 2010, n. 3699). In presenza di questi presupposti, anche nel caso in cuilo strumento urbanistico generale preveda che la suaattuazione debba aver luogo mediante un piano di livel-lo inferiore, si consente l’intervento costruttivo diretto,ovvero in mancanza di un titolo edilizio rilasciato dopoche lo strumento esecutivo sia divenuto perfetto ed effi-cace. Purché si accerti la sussistenza di una situazionedi fatto perfettamente corrispondente a quella derivan-te dall’attuazione del piano esecutivo, viene pertantoconsentito l’esercizio diretto dello ius aedificandi, alloscopo di evitare defatiganti attese per il privato ed inu-tili dispendi di attività procedimentale per l’ente pub-blico (Cons. St., Sez. IV, 29 gennaio 2008, n. 268; Id.,Sez. V, 3 marzo 2004, n. 1013).Tale esonero dal piano di lottizzazione previsto dal

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PRG trova il suo necessario presupposto in uno stato difatto che consenta di prescindere dalla predisposizionedello strumento attuativo, in quanto lo stesso risultanon più necessario perché lo scopo cui sarebbe destina-to è già stato raggiunto. Ciò risulta in tutta la sua evi-denza nell’ipotesi appena descritta di lotto intercluso,nella quale nessuno spazio potrebbe rinvenirsi perun’ulteriore pianificazione. Non è a questo assimilabi-le, invece, il caso di zone solo parzialmente urbanizza-te, esposte al rischio di compromissione di valori urba-nistici, nelle quali la pianificazione può ancora conse-guire l’effetto di correggere e compensare il disordineedificativo in atto, al fine di un armonico raccordo conil preesistente aggregato abitativo (Cons. St., Sez. V, 5ottobre 2011 n. 5450; Id., Sez. IV, 13 ottobre 2010 n.7486; Id., Sez. V, 1° dicembre 2003, n. 7799).Tale essendo la ratio della regola sottesa alla fattispe-cie di lotto intercluso, il Consiglio di Stato ne escludela ravvisabilità nel caso di specie, dal momento chel’area oggetto del contenzioso, affacciando su duediverse strade (non risultando quindi interclusa sututti i lati) e trovandosi in una zona non completamen-te urbanizzata, non può affatto ricadere nell’ambito diapplicazione dei principi che regolano suddetta tipo-logia di area, poiché questi principi, data la loro natu-ra eccezionale, non sono suscettibili di estensioneanalogica.

7. I parametri in base ai quali valutare la coerenzadella scelta di zonizzazione operata in concreto

Con ulteriore motivo di diritto, il ricorrente lamentainoltre la mancata considerazione della fissazione deicriteri di formazione e indirizzo del piano, con partico-lare riguardo alla necessità di ricucire il tessuto urbanoesistente attraverso il recupero degli spazi destinabili aservizi: tale criterio risulterebbe leso dalla tipizzazionea verde dell’area, precedentemente qualificata comezona di completamento e destinata ad edilizia residen-ziale. Altro gravame si appunta, invece, sulla violazio-ne del principio di tipicità degli atti amministrativi,posto che la destinazione a verde privato non rientra trale destinazioni espressamente previste dall’art. 2 delD.M. n. 1444 del 1968.Preme innanzitutto porre in risalto un caposaldo formu-lato dalla giurisprudenza maggioritaria: il potere di pia-nificazione urbanistica, a maggior ragione in conside-

razione della sua ampia portata in relazione agli inte-ressi pubblici e privati coinvolti, così come ogni poterediscrezionale, non è sottratto al sindacato giurisdizio-nale, dovendo la pubblica amministrazione dare conto,sia pure con motivazione di carattere generale, degliobiettivi che essa, attraverso lo strumento di pianifica-zione, intende perseguire e, quindi, della coerenza dellescelte in concreto effettuate con i detti obiettivi ed inte-ressi pubblici agli stessi immanenti (Cons. St., Sez. IV,10 maggio 2012, n. 2710). Ebbene, nel caso di cui ci si occupa, viene riscontratauna puntuale motivazione di carattere urbanistico-ambientale della scelta laddove, nella relazione illustra-tiva, si esprime la volontà di «ritrovare un equilibrionuovo dotando il centro esistente delle infrastrutture edelle aree per verde e servizi necessari», «operazioniper favorire spazi di sosta, per servizi e verde». Ancheil giudice di prime cure, del resto, rigettava la censuraa mezzo della quale si lamentava la contraddittorietàdella nuova destinazione con la delibera di intenti, dalmomento che, a ben vedere, in tale provvedimento diindirizzo, tra gli obiettivi generali, il Comune introdu-ceva anche quello «di ricucire il tessuto urbano esi-stente, recuperando tutti i possibili spazi da destinare aservizi, con priorità per il verde», nonché «di salva-guardare il patrimonio edilizio privato di carattereambientale e artistico». Questi obiettivi prioritari, adavviso dei giudici amministrativi di entrambi i gradi digiudizio, sono ritenuti non contraddetti, bensì confer-mati dalla destinazione impressa in sede di attuazionedel piano17. È opportuno sottolineare che nel sistema pianificatorioappena delineato emerge un atto, la relazione illustrati-va del PRG, che, sebbene non fosse nemmeno previstodalla legge urbanistica, svolge un ruolo fondamentaletanto sul piano istruttorio quanto su quello motivazio-nale, rivelandosi un parametro essenziale, se non l’uni-co, ai fini dell’accertamento della coerenza interna frale risultanze istruttorie e la concreta decisione adottatain sede di pianificazione18.Venendo poi alla denunciata violazione del principio ditipicità degli atti amministrativi, essa riceve confuta-zione più esplicita nella sentenza di primo grado, lad-dove si esclude l’atipicità della zona “verde privato”,che viene qualificata come una sottospecie della zonaagricola di cui alla lett. E), art. 2, D.M. 1444 del 1968.

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Si aggiunge, tuttavia, che la destinazione a verde priva-to di un’area «non postula necessariamente l’esistenzadella effettiva vocazione agricola della stessa, dato chesiffatta classificazione ha una più generale finalità diprovvedere – mediante il divieto di edificazione ovverola possibilità di edificazione in termini estremamentelimitati – ad orientare gli insediamenti urbani e produt-tivi in determinate direzioni, ovvero di salvaguardareprecisi equilibri dell’assetto territoriale» (T.A.R.Puglia – Lecce, Sez. I, 28 settembre 2005, n. 4374).Non è dato quindi riscontrare alcuna tipizzazioneabnorme o extra ordinem, atteso che il verde privatoviene a svolgere una funzione di riequilibrio del tessu-to urbano, conservando adeguati spazi liberi da edifica-zione, senza sottrarre al proprietario l’utilizzo del bene,funzione del tutto compresa nelle potestà pianificatoriedell’ente comunale.

8. L’abusato appello alla naturale vocazione edifi-catoria delle aree

Viene censurata dal proprietario dell’area in questione,infine, la mancata considerazione della naturale voca-zione edificatoria della stessa, in quanto avente lecaratteristiche di cui alle zone B disciplinate dall’art. 2del D.M. n. 1444 del 1968. A tal riguardo i giudiciamministrativi contestano, in primo luogo, l’impiegonel caso de quo della nozione di naturale vocazioneedificatoria, poiché essa postula la preesistenza diun’edificabilità di fatto ed è quindi concetto proprioalle sole vicende espropriative. In secondo luogo, vienerilevato come le caratteristiche dell’area risultino deltutto chiare nella relazione illustrativa del PRG impu-gnato, contenente, come già affermato in primo grado,«dati puntuali circa la tipologia della zona, caratteriz-zata dall’esistenza di numerose ville e giardini convalenza architettonica e/o ambientale rilevante (come,

indubbiamente, quelli di proprietà del ricorrente)».Giova rammentare, inoltre, che la giurisprudenzaamministrativa ha avuto modo di chiarire che la censu-ra con cui si lamenta la pretermissione della vocazioneedificatoria di un’area sconta una configurazione di talevocazione di tipo strettamente “edilizio”, nel senso dioffrirne una lettura limitata al solo aspetto dello “svi-luppo edilizio” e in contraddizione con la più ampiagamma di finalità pubblicistiche cui invece risponde ilpotere conformativo della proprietà privata (Cons. St.,Sez. IV, 10 maggio 2012, n. 2710). D’altra parte, si èaltresì precisato che «il proprietario terriero non puòlamentarsi del fatto che in aree limitrofe alla propriasono state autorizzate costruzioni sotto il vigore diprecedenti strumenti urbanistici, in quanto il pianoregolatore può rallentare l’utilizzazione edilizia dellearee mediante l’imposizione di vincoli di inedificabi-lità su aree libere, attraverso la creazione di areeverdi. Tale potestà trova il limite della macroscopicairragionevolezza delle scelte effettuate che sussistequando il contrasto tra lo stato di fatto e la destina-zione urbanistica a verde sia, per l’area interessata,di assoluta ed indiscutibile evidenza, […] come siverificherebbe se ci trovassimo di fronte ad una zonaindustriale ad alta densità abitativa o caratterizzatada infrastrutture ad alto impatto ambientale. A ciò siaggiunge che l’intento di salvaguardare le pregevoliqualità paesaggistiche ed ambientali di un’areamediante la creazione di un vincolo a verde secondola giurisprudenza non può essere vanificato dall’af-fermazione che gran parte delle aree limitrofe sianostate edificate, poiché l’avvenuta parziale compro-missione del sito rende ancor più giustificata la cri-stallizzazione delle potenzialità edificatorie nelle areeresidue edificate e non» (T.A.R. Lombardia – Milano,Sez. IV, 9 settembre 2011, n. 2199).

_________________

1 Per una puntuale classificazione dei vin-coli urbanistici si rinvia a G. PAGLIARI, Lapianificazione e la proprietà edilizia, in A.GAMBARO - U. MORELLO, Trattato dei dirit-ti reali. Volume IV – Proprietà e pianifica-zione del territorio, Milano, Giuffrè, 2012,p. 53 s., il quale distingue fra vincoli preor-

dinati all’espropriazione, vincoli di inedifi-cabilità assoluta e vincoli procedimentali: iprimi volti alla localizzazione di opere pub-bliche per la cui realizzazione risulti impre-scindibile l’espropriazione per pubblica uti-lità, i secondi finalizzati a riservare deter-minate aree all’uso pubblico con la conse-

guente e automatica inutilizzabilità privatadelle stesse, i terzi invece caratterizzati dal-l’imposizione dell’obbligo di preventivaadozione di un piano particolareggiato diattuazione.

2 Per zonizzazione s’intende, è il caso di

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Note a sentenza

ricordarlo, la divisione del territorio comu-nale in zone territoriali omogenee, con laprecisazione delle zone destinate all’espan-sione dell’aggregato urbano e la determina-zione dei vincoli e dei caratteri da osserva-re in ciascuna zona. Tali zone sono discipli-nate dall’art. 2 del D.M. n. 1444 del 1968 eognuna di esse rappresenta l’insieme delleparti del territorio comunale che hannoricevuto la medesima destinazione urbani-stica. Contrapposta alla zonizzazione è l’at-tività di localizzazione, ovvero quell’attivi-tà tramite la quale il pianificatore individuale aree destinate a formare spazi di uso pub-blico e le aree da riservare ad edifici pubbli-ci o di uso pubblico nonché ad opere edimpianti di interesse collettivo o sociale.

3 In proposito sia consentito richiamareun’altra fondamentale pronuncia dellaCorte Costituzionale la quale, con sent. 9maggio 1968, n. 55, ha affermato che«senza dubbio la garanzia della proprietàprivata è condizionata, nel sistema dellaCostituzione, dagli artt. 41 al 44, allasubordinazione a fini, dichiarati ora di uti-lità sociale, ora di funzione sociale, ora diequi rapporti sociali, ora di interesse edutilità generale. Ciò con maggiore ampiez-za e vigore di quanto è stabilito dagli artt.832 e 845 del Codice civile, i quali, per ilcontenuto del diritto di proprietà fondiariain particolare, richiamano, rispettivamente,i limiti e gli obblighi stabiliti “dall’ordina-mento giuridico” e le regole particolari perscopi di pubblico interesse […]. Secondo iconcetti, sempre più progredienti, di solida-rietà sociale, resta escluso che il diritto diproprietà possa venire inteso come dominioassoluto ed illimitato sui beni propri,dovendosi invece ritenerlo caratterizzatodall’attitudine di essere sottoposto nel suocontenuto, ad un regime che la Costituzionelascia al legislatore di determinare».

4 L’art. 25 della legge urbanistica dispone,infatti, che «le aree libere sistemate a giardi-ni privati adiacenti a fabbricati possonoessere sottoposte al vincolo dell’inedificabi-lità anche per una superficie superiore aquella di prescrizione secondo la destinazio-ne della zona», con la precisazione che «intal caso, e sempre che non si tratti di areesottoposte ad analogo vincolo in forza dileggi speciali, il Comune è tenuto al paga-mento di un’indennità per il vincolo impostooltre il limite delle prescrizioni di zona».

5 I vincoli di piano regolatore ai quali inve-

ce si applica il principio della decadenzaquinquennale sono soltanto quelli che inci-dono su beni determinati, assoggettandoli avincoli preordinati all’espropriazione od avincoli che ne comportano l’inedificabilitàassoluta e dunque svuotano il contenuto deldiritto di proprietà incidendo sul godimentodel bene tanto da renderlo inutilizzabilerispetto alla sua destinazione naturale (Cons.St., Sez. IV, 22 gennaio 2010, n. 216).

6 «Non si pone, pertanto, un problema diindennizzo per i vincoli che non preludanoall’esecuzione di opere pubbliche in sensostretto, in quanto connesse all’iniziativaanche concorrente dei privati. Del pari nonè indennizzabile la reiterazione del vincoloper destinazione a parco pubblico, a verdepubblico ovvero a zona di pregio agricolocon valenza di tutela ambientale, in consi-derazione che non tutti i vincoli di inedifi-cabilità assoluta hanno carattere espro-priativo e che se anche si prevede la realiz-zazione di un parco pubblico, il vincolo im-posto assolve la funzione primaria di con-formare la proprietà a tutela dell’ambientee solo in via indiretta quella di condurre aduna espropriazione, sicché la nascitadell’effettivo vincolo di esproprio sarebberitardata al momento della successivadichiarazione di pubblica utilità» (Cons.St., Sez. IV, 15 giugno 2004, n. 4010).

7 Rispetto alle istanze di cui si fa promotri-ce l’attività di zonizzazione, infatti, l’areaagricola non rileva tanto per l’attività agri-cola che vi si può svolgere, quanto più sem-plicemente per i limiti “quantitativi” allasua trasformazione edilizia, restando cosìinattuato quel principio costituzionale, con-tenuto nell’art. 44 Cost., che assegna allalegge il compito di perseguire il razionalesfruttamento del suolo. Per tali considera-zioni, cfr. P. URBANI, La disciplina urbani-stica delle aree agricole, in www.giu-stamm.it.

8 Ciò perché sia i provvedimenti comunali dipianificazione urbanistica sia le varianti dipiano regolatore hanno natura discrezionalee possono incidere su precedenti, difformi,destinazioni di zona, comportare modificheradicali al piano vigente e rettificare direttiveurbanistiche pregresse, al fine di realizzareun processo di adeguamento e modernizza-zione delle strutture al servizio del territorio(Cons. St., Sez. IV, 25 novembre 2003, n.7782). In sede di pianificazione generale o divariante generale, infatti, il Comune ha la

facoltà ampiamente discrezionale di modifi-care le precedenti previsioni e non è tenuto adettare una motivazione specifica per le sin-gole zone o aree a destinazione innovata(Cons. St., Sez. IV, 1° marzo 2010, n. 1182;Id., 13 maggio 1992, n. 511). Quanto appenadetto, tuttavia, incontra una deroga nell’ipo-tesi in cui la variante non abbia portata gene-rale, bensì abbia finalità particolari e oggettocircoscritto (come ad esempio quando essaintervenga a disciplina di un unico terreno):in tal caso, come nel caso in cui la varianteincida su aspettative assistite da specialetutela, si rende necessaria una puntuale moti-vazione (Trib. Reg. Giust. Amm., Bolzano,12 gennaio 2012, n. 9; Cons. St., Sez. IV, 5marzo 2008, n. 933; Id., 28 dicembre 2006,n. 8050).

9 Da notarsi, per inciso, come il principiodell’inesistenza di un obbligo specifico dimotivazione delle scelte urbanistiche vengaapplicato anche alle osservazioni al pianoformulate dai proprietari interessati, inquanto ritenute inidonee a determinare l’in-sorgere di aspettative qualificate. Secondoun orientamento giurisprudenziale ormaiconsolidato, infatti, le osservazioni propo-ste dai cittadini nei confronti degli atti dipianificazione urbanistica non costituisco-no veri e propri rimedi giuridici, ma sempli-ci apporti collaborativi alla formazionedegli strumenti urbanistici e tanto il lororigetto quanto il loro accoglimento non ri-chiedono, pertanto, una puntuale controde-duzione sorretta da motivazione analitica,essendo sufficiente che esse siano state esa-minate e confrontate con gli interessi gene-rali dello strumento pianificatorio (Cons.St., Sez. IV, 18 giugno 2009, n. 4024; Id.,19 marzo 2009, n. 1652).

10 Per una panoramica sui dubbi e le per-plessità che l’intervento legislativo ha su-scitato, si rinvia ai contributi della dottrina:T. BONETTI, Il diritto del “governo del terri-torio” in trasformazione, Napoli, EditorialeScientifica, 2011, p. 5 ss.; M. A. CABIDDU,Diritto del governo del territorio, Torino,Giappichelli, 2010, p. 7 ss.; N. ASSINI - P.MANTINI, Manuale di diritto urbanistico,Milano, Giuffrè, 2007, p. 16 ss.; P. STELLARICHTER, La nozione di «governo del terri-torio» dopo la riforma dell’art. 117 cost., inGiust. civ., 2003, p. 107 ss.; S. AMOROSINO,Il “governo del territorio” tra Stato, regio-ni ed enti locali, in Riv. giur. edil., 2003, p.77 ss.; V. CERULLI IRELLI, Il “governo del

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Note a sentenza

territorio” nel nuovo assetto istituzionale,in S. CIVITARESE MATTEUCCI, E. FERRARI, P.URBANI (a cura di), Il governo del territorio,Milano, Giuffrè, 2003, p. 499 ss.; P. URBANI,Il governo del territorio nel Titolo V dellaCostituzione, in Riv. giur. urb., 2003, p. 50ss.; M. A. SANDULLI, Effettività e semplifica-zioni nel governo del territorio: spunti pro-blematici, in Dir. amm., 2003, p. 507 ss.; P.L. PORTALURI, Riflessioni sul “governo delterritorio” dopo la riforma del Titolo V, inRiv. giur. edil., 2002, p. 357 ss.

11 Va ricordato che l’art. 1, comma 3, dellalegge n. 131 del 2003 di attuazione dellariforma del Titolo V della Costituzione,prevede che «nelle materie appartenentialla legislazione concorrente le Regioniesercitano la potestà legislativa nell’ambitodei principi fondamentali espressamentedeterminati dallo Stato o, in difetto, qualidesumibili dalle leggi statali vigenti».

12 La Consulta, infatti, ha avuto modo inpiù occasioni di chiarire l’esatta portata delmutamento testuale operato nel 2001: C.cost., 25 settembre 2003, n. 303, in Giur.cost., 2003, p. 2675 ss. con osservazioni diA. D’ATENA, p. 2776 ss.; C. cost., 28 giu-gno 2004, n. 196, in Giur. cost., 2004, p.1930 ss., con osservazioni di P. STELLARICHTER, p. 2015 ss.; nonché, da ultimo,con particolare riferimento ai rapporti framateria urbanistica e tutela paesistico-ambientale: C. cost., 10 febbraio 2006, n.51, in Giur. cost., 2006, 469 ss., con osser-vazioni di S. MANGIAMELI, 485 ss.; C. cost.,5 maggio 2006, n. 182, in Giur. cost., 2006,1841 ss., con osservazioni di D. TRAINA,1856 ss. In tale prospettiva, viene in rilievoil confluire ineluttabile, nella materia delgoverno del territorio, delle esigenze di sal-vaguardia di valori costituzionali assoluti enon comprimibili quali il paesaggio, l’am-biente ed i beni culturali (cfr. da ultimo,Cons. St., Sez. IV, 12 marzo 2010, n. 1461;Id., 12 giugno 2009, n. 3770; C. cost., 7novembre 2007, n. 367).

13 Ex plurimis, S. AMOROSINO, Il “governodel territorio” tra Stato, regioni ed entilocali, in S. CIVITARESE MATTEUCCI, E.FERRARI, P. URBANI (a cura di), Il governodel territorio, Milano, Giuffrè, 2003, p. 139ss.; P. L. PORTALURI, Poteri urbanistici eprincipio di pianificazione, Napoli, Jovene,2003, p. 200 ss.

14 Così BONETTI, Il diritto del “governo del

territorio” in trasformazione, cit., 10.

15 Tale impostazione, per cui urbanistica egoverno del territorio sarebbero da ritenersiconcetti del tutto equivalenti, è riconducibi-le a P. STELLA RICHTER, I principi del dirit-to urbanistico, Milano, Giuffrè, 2006, p. 6ss.

16 Come chiarito dalla Corte costituziona-le, infatti, i principi generali in materiaambientale e paesaggistica non possonoesser disgiunti dagli artt. 9 e 117 dellaCostituzione, per cui deve essere data laprevalenza alla tutela del paesaggio non nelsignificato, meramente estetico, di “bellez-za naturale”, ma come complesso dei valo-ri inerenti il territorio naturale (cfr. C. Cost.,7 novembre 1994, n. 379), che è un bene“primario” ed “assoluto” (C. cost., 5 mag-gio 2006, nn. 182 e 183) e comunque unarisorsa assolutamente limitata ed in via diesaurimento. Si aggiunga che «il pianoregolatore generale, nell’indicare, tra l’al-tro, i limiti da osservare nelle zone a carat-tere storico, ambientale e paesistico, puòdisporre che determinate aree siano sotto-poste a vincoli conservativi indipendente-mente da quelli introdotti dalle amministra-zioni competenti nel perseguimento dellasalvaguardia di cose di interesse storico,artistico e paesaggistico» (Cons. St., Sez.IV, 5 ottobre 1995, n. 781, in Riv. giur. edil.,1996, I, 341), e quindi «in sede di pianifica-zione urbanistica è consentita sia la rico-gnizione dei vincoli imposti in virtù di leggispeciali sia la costituzione di vincoli auto-nomi per la tutela di valori ambientali epaesaggistici considerati in una prospettivaspecificatamente urbanistica» (Cons. St.,Sez. IV, 14 maggio 2001, n. 2653, in Guidaal dir., 2001, fasc. 30, 83). In altre pronun-ce si rinviene poi un’enunciazione del pri-mato del valore ambientale e paesaggistico,rispetto al quale la stessa pianificazioneurbanistica risulta recessiva; ne derivanoalcuni corollari: «a) la tutela del paesaggionon è riducibile a quella dell’urbanistica,né può essere considerato vizio della fun-zione preposta alla tutela del paesaggio ilmancato accertamento dell’esistenza, nelterritorio oggetto dell’intervento paesaggi-stico, di eventuali prescrizioni urbanisticheche, rispondendo ad esigenze diverse, inogni caso non si inquadrano in una consi-derazione globale del territorio sotto il pro-filo dell’attuazione del primario valorepaesaggistico; b) l’avvenuta edificazione di

un’area immobiliare o le sue condizioni didegrado non costituiscono ragione suffi-ciente per recedere dall’intento di proteg-gere i valori estetici o culturali ad essalegati, poiché l’imposizione del vincolocostituisce il presupposto per l’imposizioneal proprietario delle cautele e delle operenecessarie alla conservazione del bene eper la cessazione degli usi incompatibilicon la conservazione dell’integrità dellostesso; c) l’ambiente rileva non solo comepaesaggio ma anche come assetto del terri-torio, comprensivo financo degli aspettiscientifico-naturalistici (come quelli relati-vi alla protezione di una particolare flora efauna), pur non afferenti specificamente aiprofili estetici della zona» (Cons. St., Sez.IV, 5 luglio 2010, n. 4246). A ulteriore con-ferma della prevalenza gerarchica dellatutela del paesaggio rispetto al governo delterritorio, sovvengono altresì gli artt. 143ss. del D.Lgs. 42 del 2004, Codice dei beniculturali e del paesaggio, a norma dei qualigli strumenti urbanistici sono tenuti arispettare, a pena di illegittimità, quantoprevisto dalla pianificazione paesistica. Intal senso, cfr. anche G. SEVERINI, La tutelacostituzionale del paesaggio (art. 9 Cost.),in S. BETTINI, L. CASINI, G. VESPERINI, C.VITALE, Codice di edilizia e urbanistica,Torino, UTET, 2013, p. 34.

17 A tal riguardo, si ravvisa l’utilità di indi-care, a titolo esemplificativo, alcune fatti-specie emblematiche di motivazione dellazonizzazione agricola o a verde privato chehanno superato il vaglio di legittimità delgiudice amministrativo. In una recente pro-nuncia si è ritenuta puntuale ed esaustiva lamotivazione della destinazione agricolaimpressa, come stabilito nella Relazioneillustrativa della Variante, al fine di «assi-curare maggiore continuità con l’edificatoesistente e minori costi per nuove opere diurbanizzazione, evitando la formazione diaree residuali tra gli insediamenti residen-ziali, di incerta vocazione» (Cons. St., Sez.IV, 7 novembre 2012, n. 5665). In altra pro-nuncia viene in evidenza una fattispecie incui un Consiglio comunale ha mantenutoper l’area di un privato la destinazione averde privato vincolato, rigettando l’osser-vazione da questo proposta, considerandoche era «rilevante il mantenimento di unapregevole area a servizio di un edificio giàesistente»: tale valutazione effettuata dal-l’ente locale è stata in giudizio ritenuta non

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affetta da irragionevolezza, né da errore difatto, in quanto effettivamente l’area risul-tava non edificata e prospiciente ad un edi-ficio di proprietà privata, configurandosipertanto la possibilità di ravvisare un rap-porto di pertinenzialità dell’area stessarispetto agli edifici attigui (Cons. St., Sez.IV, 13 giugno 2013, n. 3262). Con riferi-mento invece alla legittimità della scelta dicontenere l’espansione edilizia, scelta rien-trante nella sfera di libera determinazionedell’ente locale il quale è istituzionalmenterappresentativo di tutti gli appartenenti allacomunità, ivi compresi i non proprietari diterreni, si è stabilito che, «anche sul pianologico-funzionale e del senso comune, ladeterminazione di cui sopra appare deltutto ragionevole e legittima al fine di pre-venire che, come è capitato ad altri Comunituristici, l’eccessiva antropizzazione delterritorio – facendo venir progressivamentemeno l’attrattiva paesaggistico-ambientaledella località – finisca per nullificare l’inte-resse dei villeggianti e, di conseguenza,innescare una irrimediabile crisi del relati-vo settore» (Cons. St., Sez. IV, 13 luglio

2011, n. 4242). Un altro caso in cui dellapianificazione urbanistica è venuta in rilie-vo non tanto la sua funzione di regolarel’assetto e l’utilizzazione del territorio,quanto piuttosto quella di indirizzare lo svi-luppo dell’economia locale, è rappresentatodalla «scelta di escludere in via generaleuna nuova edificazione residenziale nel ter-ritorio del Comune di Cortina d’Ampezzo,salvo la circoscritta deroga per nuove edi-ficazioni da eseguirsi sulle sole aree di pro-prietà comunale e regoliera e destinate adabitazione per i residenti». Ad avviso delSupremo Consesso di giustizia amministra-tiva, «lo strumento urbanistico è stato, dun-que, utilizzato dal Comune – così comecondivisibilmente chiarito dal I giudice – alfine di definire, per un verso, il modello disviluppo del proprio territorio, negandoneuna ulteriore “terziarizzazione” o utilizza-zione per c.d. “seconde case”; per altroverso, al fine di risolvere il problema abita-tivo dei cittadini residenti», finalità ritenuteentrambe riconducibili al potere pianifica-torio, in concreto esercitato secondo unmodello di zonizzazione non «ancorato a

rigide individuazioni territoriali e/o perdirettrici di sviluppo», bensì mirato a «indi-viduare diversamente le “zone omoge-nee”», limitando lo specifico sviluppo edi-lizio voluto alle sole aree il cui regime diproprietà ne sia garanzia di realizzazione(Cons. St., Sez. IV, 10 maggio 2012, n.2710). Si segnala infine un’altra sceltaurbanistica, volta a privilegiare l’espansio-ne edilizia in zone già urbanizzate ma nonimmediatamente centrali, anch’essa consi-derata immune da alcun profilo di irrazio-nalità, in quanto coerente con i criteri tecni-co-urbanistici assunti per la redazione delProgetto di PRG e con il prefissato intentodi attuare la salvaguardia di alcune areeinterne al centro storico che costituisconogli orti e i giardini esistenti, in un’ottica ditutela dei valori ambientali, di recupero diuna migliore vivibilità del paese e di decon-gestionamento della viabilità (Cons. St.,Sez. IV, 4 marzo 2003, n. 1191).

18 In tal senso, cfr. B. BOSCHETTI, Ladiscrezionalità delle scelte di pianificazionegenerale tra fatti e limiti normativi, inUrbanistica e appalti, 11/2011, p. 1360 ss.

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Cronache e attualità

Il Trust viene introdotto nell’ordinamento italianotramite la legge 9 ottobre 1989, n. 364 (entrata invigore il 1° gennaio 1992). La suddetta norma ha

recepito la Convenzione dell’Aja del 1985. Molte sonole ragioni che possono indurre una persona fisica allacostituzione di un trust. I più frequenti sono: la riserva-tezza, la protezione dei beni, la salvaguardia del patri-monio familiare, la tutela dei minori e dei soggettidiversamente abili, la tutela del patrimonio per finalitàsuccessorie, la beneficenza. Attraverso il trust si instau-ra una relazione mediante la quale un soggetto denomi-nato trustee, gestisce un patrimonio (mobiliare e/oimmobiliare) che gli è stato trasferito da un altro sog-getto, detto disponente (o settlor), per una finalità spe-cifica. I trust più complessi contemplano anche lanomina del cosiddetto guardiano (o protector) che ha ilcompito specifico di controllare che le azioni del tru-stee e la gestione del patrimonio siano effettivamentedirette a perseguire le finalità del trust.Nelle operazioni di trust si possono individuare duemomenti essenziali. Il primo è rappresentato dall’attodi costituzione ed il secondo dall’atto di conferimentodei beni. Sebbene il conferimento dei beni possa avve-nire contestualmente all’atto di costituzione si tratta didue atti ben distinti. Infatti, il disponente potrebbe deci-dere di istituire un trust con una dotazione minima indenaro rimandando ad un momento successivo il con-ferimento dei beni necessari al perseguimento dellefinalità del trust. La maggior parte delle volte i benivengono conferiti nel trust attraverso più operazioni nelcorso del tempo. Questo accade anche in virtù del fattoche i beni inizialmente conferiti possono essere statiutilizzati ed essersi esauriti proprio per la realizzazionedei fini specifici del trust e che, quindi, si rende neces-sario provvedere alla “ricostituzione” del patrimonio. Con il conferimento di beni in trust il disponente, sispoglia della proprietà di parte o di tutti i suoi beni, conatto tra vivi o mortis causa e li affida al trustee il qualeavrà il dovere di gestirli ed amministrarli nell’interessedel beneficiario per il raggiungimento dei fini specifici

del trust così come individuati nell’atto di istituzionedello stesso.Il conferimento dei beni nel trust comporta che questivengono formalmente intestati al trustee ma allo stessotempo essi vanno a costituire un patrimonio separatorispetto a quello del disponente e dello stesso trustee.Quest’ultimo ha il dovere di amministrare i beni in trustseguendo le disposizioni inserite nell’atto istitutivo. Lasegregazione patrimoniale è l’aspetto fondamentaleche caratterizza il trust; essa comporta che i beni intrust rappresentino un patrimonio separato rispetto aibeni del disponente e del trustee e, pertanto, qualunquevicenda personale e patrimoniale che riguardi tali sog-getti non colpisce i beni in trust. I beni in trust, quindi,non possano essere aggrediti dai creditori personali deltrustee, del disponente e dei beneficiari ed il loro even-tuale fallimento non vedrà mai ricompresa nella massaattiva fallimentare i beni in trust (opera il cosiddettovincolo di destinazione e di separazione).Si parla di trust “autodichiarato” quando l’atto istituti-vo del trust prevede che il trustee stesso possa essere ilbeneficiario del trust.Come inizialmente accennano l’istituto del trust entra afar parte del nostro ordinamento a seguito dellaConvenzione dell’Aja la quale all’articolo 11 sancisce ilriconoscimento del trust costituito in conformità ad unalegge specifica. L’articolo 13 attribuisce il potere, alloStato che dovrebbe provvedere al riconoscimento, dirifiutarlo se gli elementi costitutivi del trust, all’infuoridella legge regolatrice richiamata, rimandano ad undiverso ordinamento che non conosca l’istituto del trust.Non essendovi, però, in Italia alcuna legge specificache disciplina l’istituto del trust, la legge regolatrice deltrust deve essere necessariamente straniera. Pertanto, almomento della costituzione del trust il disponentedovrà indicare nell’atto istitutivo la legge regolatrice.La limitazione all’esercizio del diritto di proprietà incapo al trustee che pur essendo intestatario dei beni intrust non ne può disporre liberamente ha la sua fonte inun atto di autonomia negoziale ritenuto meritevole di

Il Trust dopo di noi!Matteo SantiniConsigliere dell’Ordine degli Avvocati di Roma

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Cronache e attualità

tutela nel nostro ordinamento ai sensi dell’articolo1322 del codice civile.L’articolo 12 della Convenzione dell’Aja consente altrustee di richiedere la trascrizione dei beni in trustnella sua qualità di trustee, a meno che ciò non siaincompatibile con l’ordinamento giuridico. La giuri-sprudenza di merito ammette quasi all’unanimità taletrascrizione ai sensi dell’articolo 12 della Convenzionedell’Aja. La prassi notarile è nel senso di accompagna-re a tale trascrizione (eseguita contro il disponente e afavore del trustee) una seconda trascrizione (contro iltrustee), al fine di fare emergere con maggiore chiarez-za il vincolo sui beni nascente a seguito dell’istituzionedel trust.La Corte di Cassazione con l’ordinanza 19 novembre2012, n. 20254 ha stabilito che il trust costituito perragioni familiari non rappresenta un’elusione fiscale.

Infatti è contestabile dal fisco solo nel caso in cui l’uni-co scopo della sua creazione sia l’indebito risparmiod’imposta.La Corte ha accolto il ricorso di una contribuente allaquale era stata contestata dall’amministrazione un’elu-sione fiscale per aver costituito un trust su un immobi-le di famiglia.L’abuso del diritto in materia tributaria richiede, infat-ti, il ricorso di due fattori. Occorre in primo luogo cheil contribuente abbia conseguito una vantaggiosa rica-duta fiscale del suo operato. Ma occorre inoltre che talevantaggio costituisca la ragione determinante dell’ope-razione, cioè che non ricorrano ragioni e giustificazio-ne economico-sociali di altra natura, o almeno chesiano di rilievo inferiore, di guisa che si possa afferma-re che l’operazione è stata determinata esclusivamenteda ragioni fiscali.

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Cronache e attualità

L’istituto del dissesto degli enti locali, introdottoin prima battuta dall’art. 25 del decreto leggen. 66 del 1989 ed attualmente disciplinato

dagli artt. 244 e ss. del Testo unico delle leggi sull’or-dinamento degli enti locali, mira a regolare quellesituazioni in cui la situazione finanziaria dell’ente è diuna gravità tale, da impedirne il regolare svolgimentodelle funzioni essenziali1. La normativa, oggetto di ulteriori rimaneggiamenti aseguito della riforma del titolo V della Costituzione,fornisce la definizione dell’istituto, precisandone leconseguenze e circoscrivendone l’operatività a provin-ce e comuni. In particolare, l’art. 244 TUEL stabilisce che si ha dis-sesto finanziario laddove l’Ente locale non possa garan-tire l’assolvimento delle funzioni e dei servizi indispen-sabili, ovvero esistano nei confronti dello stesso creditidi terzi cui non si possa fare validamente fronte, né conil mezzo ordinario del ripristino del riequilibrio delbilancio, né con lo straordinario riconoscimento deldebito fuori bilancio. La procedura che segue la dichia-razione di dissesto finanziario mira, nell’ottica del risa-namento dei conti dell’ente locale, a cristallizzare aduna certa data la situazione creditoria e, soprattutto,debitoria dell’ente, affidandone la gestione ad una com-missione esterna all’ente, di modo da consentire allostesso di ripartire, libero da vincoli e con un bilanciorisanato2. La tutela delle ragioni dei creditori dell’ente,dunque, trova un limite importante nella necessità diassicurare la continuità di esercizio dell’amministrazio-ne locale e, con essa, il regolare svolgimento dei servi-zi essenziali per la comunità3. Tali esigenze sono sotte-se al dettato di cui al successivo art. 248 Tuel, che intro-duce il divieto di intraprendere o proseguire azioni ese-cutive nei confronti dell’ente per debiti che rientranonella competenza dell’organo straordinario di liquida-zione, prevedendo, altresì, che i pignoramenti eventual-mente eseguiti dopo la deliberazione dello stato di dis-sesto non vincolano l’ente ed il tesoriere.

In questo panorama normativo, finalizzato, come visto,a consentire all’ente locale la prosecuzione della suaattività in una condizione finanziaria sana, si inserisco-no in maniera dirompente le due sentenze della CorteEuropea dei Diritti dell’Uomo del 24 settembre 2013,rese nei casi De Luca c. Italia e Pennino c. Italia. Le vicende sottoposte all’attenzione della Corte traggo-no origine, appunto, dagli effetti derivanti dalla dichia-razione dello stato di dissesto del Comune diBenevento, che hanno impedito la soddisfazione eco-nomica dei ricorrenti, sebbene questi fossero titolari,nei confronti dell’amministrazione, di un credito rico-nosciuto in sentenza. Più nel dettaglio, i ricorrenti ave-vano ottenuto, in sede giurisdizionale, la condanna delComune di Benevento al risarcimento dei danni loroarrecati per la mancata corresponsione del canone dilocazione di alcuni immobili. Intervenuta, medio tem-pore, la dichiarazione dello stato di dissesto dell’entelocale, l’organo straordinario di liquidazione propone-va ai ricorrenti la corresponsione di una somma pariall’80% del credito. L’offerta veniva rifiutata.I ricorrenti, si rivolgevano, dunque, alla Corte Europeacensurando, in primo luogo, la violazione dell’art. 1 delPrimo Protocollo addizionale alla Convenzione, lamen-tando, in particolare, che il delineato impianto normati-vo, nel rinviare sine die la possibilità di recuperare icrediti riconosciuti in sentenza, costituiva una indebitalesione del diritto di proprietà. A tale doglianza siaggiungeva quella relativa alla violazione degli artt.6§1 e 13 CEDU, sotto il profilo dei principi del giustoprocesso e dell’accesso al giudice, consistente nell’im-possibilità di portare ad esecuzione la pronuncia otte-nuta dinanzi al Tribunale di Benevento e, conseguente-mente, di soddisfare le proprie legittime pretese4.La Corte di Strasburgo, investita della questione,richiama brevemente la disciplina relativa al dissestofinanziario, con particolare riguardo ai poteri dell’orga-no straordinario di liquidazione ed alla situazione deicreditori, alla luce della necessità dell’ente di continua-

Dissesto degli enti locali e posizione dei creditori:l’intervento della Corte Europea dei diritti dell’Uomocon le sentenze De Luca e Pennino c. ItaliaFrancesca SbarraAvvocato del Foro di Roma

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Cronache e attualità

re ad erogare i servizi pubblici essenziali. Ciò detto,tuttavia, tali esigenze di tutela della collettività nonpossono giustificare, secondo i giudici internazionali,la frustrazione di un diritto di credito – quale quellooggetto delle contestazioni – certo, liquido ed esigibile,in virtù di sentenza passata in giudicato. Ed invero,ricorda la Corte, un “credito” può essere considerato un“bene” ai sensi dell’articolo 1 del Protocollo n. 1, se èsufficientemente certo ed esigibile (Stran Raffineriegreche e Stratis Andreadis c. Grecia del 9 dicembre1994, § 59, serie A n. 301 – B e Burdov c. Russia, n.59498/00, § 40, CEDU 2002 – III)5. Nel caso di specie, i ricorrenti erano titolari di un cre-dito certo, liquido ed esigibile riconosciuto da una sen-tenza resa dal Tribunale di Benevento, che aveva con-dannato il Comune al pagamento di una determinatasomma di denaro in loro favore. A seguito della dichia-razione di insolvenza, l’ente locale, tuttavia, non proce-deva più al pagamento dei suoi debiti, sebbene questi,in virtù di quanto appena riportato, costituiscano beniai sensi del disposto convenzionale. Di conseguenza,rilevano i giudici di Strasburgo, la normativa italianache disciplina la materia dello stato di dissesto deglienti locali viola il diritto al rispetto della proprietà,posto che, anche qualora venga assicurato nel piano diriparto il pagamento parziale del credito, lo Stato ètenuto ad onorare in toto i debiti di ogni sua articolazio-ne centrale o periferica, non potendo la mancanza dirisorse finanziarie dell’ente avere rilievo per giustifica-re l’inadempienza di obblighi derivanti da una senten-za definitiva6. Difatti, sostiene la Corte, “nel lasciareineseguita la sentenza del Tribunale di Benevento, leautorità nazionali hanno impedito al ricorrente l’effet-tiva percezione delle somme che egli poteva ragione-volmente aspettarsi di ottenere. Vero è che l’Organostraordinario di liquidazione aveva proposto al ricor-rente un accordo transattivo, in virtù del quale sarebbestata versata una somma corrispondente all’80% delcredito […]; ma è pur vero che accettando questaofferta – cosa che egli non fece – il ricorrente avrebbeperso il 20% del suo credito ed avrebbe rinunciato agliinteressi legali ed alla rivalutazione, cui avrebbe avutodiritto, e questo a partire dalla data della dichiarazio-ne di insolvenza del Comune”.D’altronde, tale ingerenza nel diritto di proprietà – con-venzionalmente inteso – non può trovare giustificazio-ne, come sostenuto dal Governo, nella mancanza dirisorse dell’ente: lo stato di insolvenza, difatti, non puògiustificare l’inadempimento scaturente da una senten-za definitiva passata in giudicato (Ambruosi c. Italia, n.31227/96, § 28-34, 19 ottobre 2000 e Burdov c. Russia

§ 41). Deve, dunque, constatarsi, secondo la Corte, laviolazione dell’articolo 1 del Protocollo n. 1 allaConvenzione.Quanto alla seconda censura, relativa alla violazionedegli artt. 6§1 e 13 della Convenzione, la consolidatagiurisprudenza in materia ritiene che il “diritto ad unTribunale” non si esaurisca con la decisione promanatada un organo giurisdizionale, ma includa anche la suaesecuzione, affinché non si corra il rischio che unadecisione definitiva resti inoperante a detrimento dellaparte vittoriosa7. Il diritto ad un giusto processo, infat-ti, resterebbe illusorio se uno Stato permettesse, appun-to, ad una parte di non rispondere dei suoi obblighiderivanti da una pronuncia resa da un Giudice8.L’esecuzione di una decisione, anche non definitiva edi qualsiasi autorità giudiziaria si tratti, deve essere,quindi, considerata, alla luce delle coordinate interna-zionali, come facente parte del processo ai sensi del-l’art. 6 CEDU: il rifiuto o la mancata esecuzione dellamedesima, in assenza di un rapporto di ragionevoleproporzionalità tra i mezzi impiegati e il fine persegui-to, costituisce una violazione del diritto del cittadino adun giusto processo.Nella specie, la Corte ha rilevato che per i crediti van-tati dai ricorrenti non vi era la possibilità di intrapren-dere alcuna azione esecutiva. Ed invero, il divieto diintraprendere azioni esecutive nei confronti dell’ente,di cui all’art. 248 Tuel, è esteso, in virtù del disposto dicui all’art. 5, co. II della legge 140 del 2004, anche aicrediti – quali quelli degli esponenti – riconosciuti consentenza successiva alla dichiarazione di dissestofinanziario. Peraltro, siffatte limitazioni della soddisfa-zione del credito attraverso la procedura esecutiva, pre-viste dal legislatore, non possono dirsi legittime, inquanto sproporzionate rispetto al fine perseguito. Alriguardo, la Corte sottolinea che “il divieto di intra-prendere o proseguire procedure esecutive contro ilComune resta in vigore fino all’approvazione, da partedell’OSL, del rendiconto, dunque fino ad una data futu-ra legata all’attività di una commissione amministrati-va indipendente. La celerità della procedura davanti aquest’ultima sfugge dunque completamente al control-lo del ricorrente. Il Comune di Benevento si è dichiara-to in stato di dissesto nel dicembre 1993 […] e a tut-t’oggi la Corte non è stata informata circa un’approva-zione dei conti da parte dell’OSL. Il ricorrente, il qualeha ottenuto il riconoscimento del suo credito attraver-so una decisione giudiziaria del novembre 2003 e dive-nuta definitiva in data 9 maggio 2004 […] è stato, dun-que, privato del suo diritto di accesso al giudice per unperiodo eccessivamente lungo. A parere della Corte,

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ciò ha comportato la violazione del rapporto di ragio-nevole proporzionalità tra i mezzi impiegati e l’obietti-vo perseguito”. La Corte ha, così, riconosciuto che iricorrenti hanno subito un’ingerenza nel loro diritto di“accesso ad un Tribunale”, constatando, così, la viola-zione dell’art. 6§1 della Convenzione. La constatazio-ne di violazione è stata accompagnata dal riconosci-mento di un’equa soddisfazione per i danni materiali emorali.I giudici di Strasburgo, ribadiscono, dunque, con le duepronunce qui in commento, che le carenze finanziariedi una pubblica amministrazione non possono giustifi-care una pesante compromissione del diritto degli indi-vidui a vedersi riconosciuti i propri crediti derivanti dauna sentenza passata in giudicato, o meglio, a trovarsinell’impossibilità di porre in esecuzione una sentenza.Se, tuttavia, tali statuizioni si iscrivono, come visto, inun percorso giurisprudenziale internazionale ormaiconsolidato con riguardo alla tutela del credito edall’accesso al giudice, interessanti saranno le reazionidella giurisprudenza italiana all’ennesimo richiamoavanzato da Strasburgo. Al riguardo, si segnala la recentissima ordinanza n.2210/2013, con la quale il T.A.R. Puglia – Lecce, Sez.II, nel prendere atto delle sopra citate sentenze dellaCorte di Strasburgo nel corso di un giudizio di ottem-peranza, ha ritenuto di rinviare la procedura, al fine diverificare se dette pronunce abbiano acquisito caratteredi definitività, ai sensi dell’art. 44 della ConvenzioneEuropea per la salvaguardia dei diritti dell’Uomo edelle libertà fondamentali9.Nel caso portato all’esame del Collegio, il ricorrenteagiva nei confronti del Comune di Taranto, per ottene-re l’esecuzione di un giudicato, che riconosceva, in suofavore, un credito nei confronti dell’amministrazione.L’amministrazione resistente, rilevando l’intervenutadichiarazione di dissesto finanziario, eccepiva l’inam-missibilità del ricorso, per essere il credito de quo rife-ribile alla competenza dell’Organo straordinario diliquidazione, e, dunque, soggetto al regime di cuiall’art. 248 Tuel. A fronte di tale situazione, tuttavia, il

T.A.R. osserva che la Corte Europea dei Dirittidell’Uomo “parrebbe aver affermato principi – disegno diverso – che potrebbero risultare determinantinella decisione della causa (casi De Luca contro Italiae Pennino contro Italia del 24 settembre 2013). Ritenutodunque necessario appurare se siffatta pronuncia abbia(o verrà ad avere) carattere di definitività (art. 44 dellaConvenzione Europea per la salvaguardia dei dirittidell’uomo e delle libertà fondamentali) e, pertanto, rin-viare la procedura ad altra camera di consiglio, dandomandato alle parti di svolgere ogni verifica in tal senso,il Tribunale Amministrativo Regionale per la Puglia,Sezione Seconda di Lecce, rinvia la procedura allacamera di consiglio del 30 gennaio 2014, disponendogli incombenti istruttori di cui in motivazione”10.Le sopra riportate pronunce della Corte Europea deidiritti dell’Uomo sembrerebbero, dunque, preludere ascenari del tutto inediti nelle procedure esecutiveavviate o proseguite nell’ambito dello stato di dissestofinanziario della provincia o del comune debitori.Difatti, l’esigenza di addivenire ad una interpretazionec.d. convenzionalmente orientata – secondo l’indirizzoinaugurato dalle note sentenze nn. 348 e 349 del 2007della Corte Costituzionale – della normativa interna,comporterà un ripensamento dell’istituto del dissesto edelle sue conseguenze sui creditori e sulle procedureesecutive alla luce dei parametri internazionali soprariportati, pena la condanna dello Stato italiano per vio-lazione della Convenzione e l’aggravarsi della già pro-blematica situazione dei conti pubblici. Tale percorso,tuttavia, si profila sin d’ora impervio, stanti la necessi-tà di assicurare la continuità di esercizio delle funzionidell’ente in stato di dissesto e le ben note difficoltàfinanziarie dello Stato e delle amministrazioni locali. Sirende, dunque, auspicabile un intervento del legislatorevolto all’individuazione di strumenti idonei, da un lato,a rispettare le esigenze di tutela delle collettività localisopra evidenziate, dall’altro, a soddisfare la posizionedei creditori nel rispetto dei principi della ConvenzioneEuropea, ponendo, così, lo Stato italiano al riparo daulteriori condanne della Corte di Strasburgo.

_________________

1 Cfr. A.R. DE DOMINICIS, Dissesto deglienti locali. Contenuto, effetti, responsabili-tà, Milano, Giuffrè, 2000.

2 Cfr. M. MULAZZANI, Economia delle aziendee delle amministrazioni pubbliche, Padova,

CEDAM, 2001; F. ZITO, Commento agli artt.242-269 Tuel, in M. BERTOLISSI (a cura di),L’ordinamento degli enti locali, Bologna, ilMulino, 2002.

3 Cfr. M.T. SEMPREVIVA (a cura di),

Ordinamento e attività istituzionali delMinistero dell’Interno, Roma, Dike, 2013.

4 De Luca c. Italia, ric. n. 43870/2004, sen-tenza 24.09.2013; Pennino c. Italia, ric. n.43892/2004, sentenza 24.09.2013.

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5 Al riguardo, si ricorda che, nella recenteevoluzione giurisprudenziale della Corte diStrasburgo, “il concetto di proprietà è statoesteso […] anche a diritti soggettivi relativiquali i diritti di credito. A tale proposito,nonostante l’affermata autonomia dellanozione, la Corte non ha escluso di poterfare riferimento al diritto interno al fine diaccertare l’esistenza di un bene ai sensidella Convenzione […] In tali ipotesi, laCorte ha ritenuto necessario accertare se,in considerazione del diritto interno, i credi-ti dei ricorrenti fossero «... sufficientementecerti per essere esigibili» (Corte, 9 dicem-bre 1994, Raffineries Grecques Stran cit.,par. 59) o se, quantomeno, «i ricorrentipotessero pretendere di avere una legittimaaspettativa di concretizzare i lorocrediti…conformemente al diritto generalein materia di responsabilità» (Corte, 20novembre 1995, Pressos Compania NavieraS.A. et autres cit., par. 31”, in S. BARTOLE,B. CONFORTI, G. RAIMONDI, Commentarioalla Convenzione Europea per la tutela deidiritti dell’uomo e delle libertà fondamenta-li, Padova, CEDAM, 2001.

6 Cfr. L. SERINO, Lo Stato deve garantire i

crediti dei cittadini nei confronti dellePubbliche Amministrazioni. Note a margi-ne dei casi De Luca e Pennino c. Italia, inwww.duitbase.it.

7 Hornsby c. Grecia, 19.03.1997, §40 eBordov c. Russia, 15.01.2009, §65.

8 Sul punto, si ricorda che, per costante giu-risprudenza internazionale, la verifica circail rispetto del diritto alla tutela giurisdizio-nale, peraltro, va estesa anche alla fase ese-cutiva del giudizio, poiché il diritto diaccesso ad un giudice sarebbe illusorio sel’ordine giuridico interno permettesse cheuna decisione giudiziaria definitiva edobbligatoria restasse inoperante a detrimen-to di una delle parti (C.edu, ImmobiliareSaffi c. Italia, 28.07.1999, §63). Cfr. S.BARTOLE, P. DE SENA, V. ZAGREBELSKY,Commentario breve alla ConvenzioneEuropea dei diritti dell’uomo, Padova,CEDAM, 2012.

9 Ordinanza n. 2210/2013, il T.A.R. Puglia– Lecce, Sez. II, depositata in data31.10.2013.

10 Con la recente sentenza n. 600/2014, ilT.A.R. Puglia – Lecce, Sez. II ha dichiarato

il ricorso in ottemperanza sopra richiamatoinammissibile. Quanto al rilievo delle sen-tenze della Corte EDU, il Collegio ha sta-tuito che “tale conclusione non risulta‘superata’ dalle recenti pronunce dellaCorte europea dei diritti dell’uomo nei casi‘De Luca contro Italia’ e ‘Pennino controItalia’ (del 24 settembre 2013), avendo inquelle fattispecie il giudice di Strasburgoesaminato situazioni in cui il diritto a unequo processo (da intendersi comunquenon in senso assoluto, essendo ammesserestrizioni implicite affidate al margine diapprezzamento degli Stati membri e riferi-bili a motivi imperativi di interesse genera-le) risultava compresso per un tempo ecce-zionalmente lungo, in violazione dei princi-pi di proporzionalità e ragionevolezza (sidibatteva della posizione di due creditoridel Comune di Benevento i quali avevanoiniziato, rispettivamente nel 1987 e nel1992, un’azione risarcitoria, ottenendo duesentenze favorevoli passate in giudicato nel2003 e nel 2004): nel caso in esame, inve-ce, la sentenza della cui esecuzione di trat-ta è passata in giudicato solo nel 2012, edunque da un periodo di tempo non compa-rabile con quelli appena indicati”.

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n° 4 Rassegna di dottrina e giurisprudenzaa cura dell’Ordine degli Avvocati di Roma

Direttore Responsabile: Mauro VAGLIO

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Comitato Scientifico:Paola BALDUCCI, Antonio BRIGUGLIO, Luigi CANCRINI,

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Ginevra PAOLETTI, Chiara PETRILLO, Tommaso PIETROCARLOAurelio RICHICHI, Sabrina RONDINELLI, Serafino RUSCICA

Marco Valerio SANTONOCITO, Massimiliano SILVETTI, Luciano TAMBURROFederico TELA, Antonio TESTA, Federica UMANI RONCHI, Clara VENETO

Segretario di redazione: Natale ESPOSITO

Progetto grafico: Alessandra GUGLIELMETTIDisegno di copertina: Rodrigo UGARTE

____________Temi Romana - Autorizzazione Tribunale di Roma n. 320 del 17 luglio 2001 - Direzione, Redazione: P.zza Cavour - Palazzo di Giustizia - 00193 Roma

Impaginazione e stampa: Infocarcere scrl - Via C. T. Masala, 42 - 00148 Roma

Passeggiata in libreria

“I DIRITTI DEI MINORI”Matteo Santini e Pompilia Rossi (a cura di)Testi di: Francesca Beccaria, Emilia Casali, Francesca Cimatti,Ileana Iandolo, Sara Menichetti, Maria Paola Rosapepe,Alessandra Sarri, Silvia VenezianoNUOVA EDITRICE UNIVERSITARIA, ROMA

pp. 312, euro 20,00Il presente volume costituisce un vademecum che sarà di grande ausilio per gli operatoridel diritto minorile e per coloro che necessitino di un primo orientamento nella materia.È un testo aggiornatissimo, all’interno del quale è contenuta tutta la normativa nazionale edinternazionale attinente ai minori, suddivisa per argomenti. Per renderlo più completo efruibile nella pratica, per chi quotidianamente lavora nel settore, all’interno del volume èstata inserita anche la giurisprudenza sia nazionale che internazionale, anch’essa suddivisaper argomenti. I diritti dei minori ivi trattati sono stati affrontati in modo esaustivo: nel testoinfatti si rinvengono leggi e sentenze di diritto civile ma anche di diritto penale, al fine diconsentire un compiuto inquadramento della materia.

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creditorie e la salvaguardia delle risorse dell’impresa, cui la legge di riforma ha intesogarantire continuità mediante recupero delle capacità produttive.

“LE 50 PAROLE DELLA DIGITAL FORENSICS PIÙ UTILIZZATENELLE AULE DI GIUSTIZIA”Marco Zonaro NUOVA EDITRICE UNIVERSITARIA, ROMA

pp. 48, euro 5,00Un piccolo vademecum che, senza grandi pretese, vuole essere uno strumento disensibilizzazione all’utilizzo, in campo scientifico forense, di un linguaggio semplice epulito, scevro di terminologie astruse e indecifrabili, proprie di chi invece con la scienza siconfronta quotidianamente.50 parole, tra le più utilizzate nelle Aule di Giustizia, che parlano di informatica forense,cercando di offrire una spiegazione breve e chiara di concetti tecnici ormai entrati a farparte della nostra quotidianità professionale.

“GESTIONE DELLE CRISI BANCARIE TRANSFRONTALIERE”Marta Mariolina Mollicone NUOVA EDITRICE UNIVERSITARIA, ROMA

pp. 128, euro 15,00La crisi finanziaria che dal 2008 ha riguardato gli Stati Uniti e si è velocemente espansa inEuropa, con modalità domino, ha sottolineato l’inadeguatezza del sistema bancario sotto il

profilo dell’assunzione del rischio, di prevenzione degli effetti collaterali e dellacomposizione della crisi. L’Europa, al fine di evitare ulteriori crisi sistematiche e con

l’obbiettivo di esonerare i contribuenti dai costi di un dissesto generato da sceltemanageriali sbagliate, ha creato la Unione Bancaria. Vigilanza, risoluzione e garanzia dei

depositi delle banche cross-border vengono, dunque, tutti investiti da un più profondoprocesso di armonizzazione e vengono collocati ad un nuovo e unico livello, quello

europeo, dove la BCE assume il ruolo di protagonista. L’opera si concentra sul nuovoMeccanismo Unico di Risoluzione delle crisi bancarie transfrontaliere (Single Resolution

Mechanism, SRM), che vede la sua disciplina nel Regolamento (UE) N. 806/2014 delParlamento europeo e del Consiglio e sulla Direttiva Banking Recovery and Resolution N.59/2014/EU, la quale mette a disposizione sia della nuova Authority europea di risoluzione

(Resolution Board), sia delle Autorità Nazionali, strumenti per la prevenzione, perl’intervento precoce e per la risoluzione delle crisi bancarie. L’autore ha inteso delineare unquadro delle nuovissime disposizioni europee in materia bancaria che a breve entreranno invigore, cercando di esprimere con semplicità espositiva un sistema contorto ed incompleto,nell’ottica di stimolare riflessioni e facilitare il suo recepimento nell’ordinamento italiano.

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n° 4 Rassegna di dottrina e giurisprudenzaa cura dell’Ordine degli Avvocati di Roma

ANNO LXIIOTTOBRE – DICEMBRE 2014

Tem

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