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“Malattie professionali. Quale tutela?” ANMIL Sezione di Pistoia

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Sezione ANMIL di PistoiaVia Petrini, 10 - tel. 0573.22237

Numero Verde 800.864173www.anmil.it

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Programma prima parte

Saluto del Presidente della Sezione di Pistoia Alessandro CaponiSaluto delle Autorità e dei rappresentanti delle Istituzioni

Interventi:

Pietro Mercandelli - Presidente Nazionale ANMIL

Pietro Sartorelli - Sezione Dipartimentale di Medicina del Lavoroe Tossicologia Occupazionale Università degli studi di Siena

Mario Gabbrielli - Sezione Dipartimentale di Medicina LegaleUniversità degli Studi di Siena

Giovanni Barbagli - Dir. Agenzia Regionale di Sanità

Florio Innocenti - Dir. Resp. Pneumologia - ASL 3 - Pistoia

Coordinatore dei lavori

Marco Masi - Prevenzione e Sicurezza Regione Toscana

seconda parte

Interventi:

Gian Paolo Patta - Sottosegretario Ministero della Salute

Enrico Rossi - Assessore Diritto alla Salute Regione ToscanaCoordinatore Commissioni “Salute” delle Regioni

Jaqueline Monica Magi - Giudice del lavoro - Livorno

Andrea Innocenti - Resp. U.F. Medicina Lavoro - ASL 3 Pistoia

Giuseppe Battista - Medicina Preventiva dei LavoratoriUniversità degli Studi di Siena

Coordinatore dei lavori

Vairo Contini - Dir. ASL 3 - Pistoia

Pietro Gabrielli - Resp. Dipartimento Prevenzione ASL 3 - Pistoia

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Indice Interventi

Pietro Mercandelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag 7

Pietro Sartorelli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag 13

Mario Gabrielli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag 17

Giovanni Barbagli . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag 23

Florio Innocenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag 27

Gian Paolo Patta . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag 35

Enrico Rossi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag 41

Jaqueline Monica Magi . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag 47

Andrea Innocenti . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag 51

Giuseppe Battista . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . pag 55

5indice interventi

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Pietro Mercandelli - Presidente Nazionale ANMIL

Il fenomeno delle malattie professionali è in costante crescita nel nostro

Paese, secondo un andamento che non può essere valutato solo dai casi

effettivamente indennizzati dall’INAIL o dal numero dei morti, che danno

un’idea restrittiva dell’evoluzione della situazione, ma deve essere preso

in considerazione in ragione del costante aumento dei lavoratori che su-

biscono patologie la cui causa è in qualche modo connessa la lavoro ed

al luogo in cui esso viene svolto.

Sappiamo tutti, infatti, quanto sia difficile dimostrare il nesso di causalità tra

le malattie non tabellate ed i sintomi avvertiti dal lavoratore.

Malgrado ciò ogni anno l’INAIL riconosce poco meno di 200 morti per ma-

lattia professionale, mentre i dati mensili mostrano oltre 25.000 casi al-

l’anno, di cui poco meno di 1.500 in agricoltura, con una crescita media,

lenta ma inesorabile, di circa 1 punto percentuale negli ultimi anni. Le ma-

lattie professionali, quindi, non sono un evento da sottovalutare nella tu-

tela della sicurezza dei lavoratori, in quanto non derivano, nella maggior

parte dei casi, da un evento improvviso quale l’infortunio sul lavoro, ma da

una lenta mancanza di attenzione alla salute del lavoratore esposto ad

agenti patogeni subdoli e non facilmente evitabili. Quelli relativi alle ma-

lattie professionali e da lavoro sono dati meno noti e spesso non approfon-

diti e che, tuttavia, hanno un loro rilievo dato che nel complesso il

fenomeno rimane rilevante, anche perché con il mutare dei processi tec-

nologici, con l'avanzare dell'innovazione e con l'impiego di sostanze e pro-

dotti poco conosciuti, è destinato ad aumentare il numero delle malattie

definite dagli studiosi come "perdute".

Oltre a queste sono destinate a crescere quelle definite come "patologie

del futuro", che in realtà si rivelano attuali e presenti nella realtà di oggi e

con maggiore gravità proprio per la loro insidiosità, per i tipi di latenza e

spesso per la estrema gravità delle conseguenze.

In effetti, se accade che alcuni tipi di malattie tendono a diminuire drasti-

camente anche perché sono stati vietati i prodotti e le sostanze che le

cagionavano, ad esse si sostituiscono altre malattie meno note, il cui nu-

mero e la cui entità spesso appare, almeno ai dati disponibili, piuttosto ri-

levante. Altrettanto spesso, esse si distinguono per gravità, come accade

7Pietro Mercandelli

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per i casi in cui patologie tumorali insorgono dopo molti anni dall'esposi-

zione al rischio. Il dato che colpisce è quello relativo alle malattie non ta-

bellate, ma ricollegabili con nesso di causalità alla prestazione di lavoro e

che devono essere prese in considerazione, se provate, a seguito di una

nota sentenza della Corte Costituzionale. Risulta, infatti, piuttosto elevato

il numero delle malattie da lavoro denunciate e non riconosciute.

Bisognerà approfondire in futuro anche questo aspetto, per capire quali

siano le ragioni del fenomeno e come esso debba essere considerato,

anche in relazione al riconoscimento del danno biologico.

Si legge, invece, nella premessa alla circolare dell’INAIL del 16 febbraio

2006 che le patologie denunciate all’Istituto come malattie professionali

dotate di una patognomonicità che consenta una azione di eziologia

professionale con criteri di assoluta certezza scientifica, costituiscono

ormai una limitata casistica.

Non piace all’ANMIL che la questione sia affrontata in questo modo, per-

ché, pur nel rispetto degli elevati pareri scientifici che vanno nella dire-

zione scelta dall’INAIL, si potrebbe trovarne di altrettanto severi ed

accreditati che sostengono esattamente il contrario, valga per tutti il la-

voro svolto a Torino da insigni studiosi sul rapporto tra patologie tumorali e

ambiente di lavoro.

Attualmente, invece, secondo l’INAIL prevalgono, infatti, malattie cro-

niche degenerative e malattie neoplastiche e, più in generale, a ge-

nesi multifattoriale, riconducibili a fattori di nocività ubiquitari, ai quali si

può essere esposti anche al di fuori degli ambienti di lavoro, oppure a

fattori genetici.

Questo vuol dire che una malattia professionale dovrebbe essere una pa-

tologia che si può contrarre soltanto lavorando e non in altro modo: posto

così il problema diventa veramente riduttivo.

Nel confermare le istruzioni di cui alle precedenti circolari, quanto al flusso

procedurale della trattazione delle domande di riconoscimento di malat-

tie professionali, l’Istituto assicurativo ritiene opportuno richiamare con la

circolare citata alcuni “principi di natura sostanziale, al fine di garantire

una uniforme applicazione degli stessi ed una omogenea trattazione della

materia”. Ad esempio, si legge nella Circolare, “la presenza nell’ambiente

lavorativo di fattori di nocività, quando non sia possibile riscontrare con

8 Pietro Mercandelli

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certezza le condizioni di lavoro esistenti all’epoca della dedotta esposi-

zione a rischio, può essere desunta, con un elevato grado di probabilità,

dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura dei macchinari pre-

senti nell’ambiente di lavoro e dalla durata della prestazione lavorativa.

La valutazione dell’efficienza causale degli agenti patogeni va effettuata

non in astratto ma in concreto, cioè con riferimento alle condizioni fisiche

del singolo lavoratore. Non può, pertanto, escludersi l’efficienza causale,

nel caso concreto, di fattori di rischio in quanto inferiori alle soglie previste

dalla normativa prevenzionale, che sono misurate in relazione a un

astratto lavoratore medio, dovendo essere valutata, piuttosto, la variabi-

lità della risposta individuale alle sollecitazioni dell’agente patogeno”.

L’ANMIL ritiene invece che il raggiungimento della completezza delle in-

formazioni e la qualità dei dati nel campo delle malattie professionali in-

contri alcuni ostacoli legati in parte al processo di definizione.

I punti critici riguardano le oggettive difficoltà ad affrontare il riconosci-

mento del legame causa-effetto tra malattia ed esposizioni lavorative

nelle patologie ad esposizione multifattoriale.

Talvolta, esiste una certa diffidenza del mondo clinico ad eseguire la no-

tifica di malattia professionale anche nei casi in cui tale legame è stato so-

spettato o riconosciuto.

Inoltre il tempo necessario per concludere l’iter amministrativo di defini-

zione dei casi denunciati è spesso lungo: il completamento avviene solo

dopo diversi anni con una percentuale significativa ottenuta in almeno

cinque anni. Per tali ragioni il sistema INAIL delle malattie professionali è

meno stabile di quello degli infortuni, sebbene sia l'unico diffuso su tutto il

territorio nazionale. L'analisi degli indici di frequenza delle segnalazioni

giunte all'INAIL può comunque essere indicativa dell'attenzione presente

sull'argomento.

Sono disponibili dati sulle denunce pervenute, per inoltrare le quali è suf-

ficiente una diagnosi presunta di attribuibilità professionale, e sul sottoin-

sieme di patologie indennizzate dall’ente assicuratore.

Queste ultime rispondono a criteri di definizione di caso molto specifici ed

approfonditi, ma sono senz’altro poco sensibili rispetto alla reale quantità

di patologie esistenti sul territorio i criteri adottati inoltre, rispondenti a fini

assicurativi, non sempre coincidono con definizioni diagnostiche più ap-

9Pietro Mercandelli

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propriate ai fini di descrizione del fenomeno per scopi preventivi. Negli ul-

timi anni la quota di patologie indennizzate, ossia riconosciute come cau-

sate dall'esposizione lavorativa dall'ente assicurativo, è molto inferiore in

relazione ai casi denunciati, attestandosi intorno al 10% e ciò nonostante

sia aumentata, rispetto al passato, la quota di malattie professionali defi-

nite sul totale delle denunciate (80%). La distribuzione per tipologia di ma-

lattia professionale ha subito nuovamente dei cambiamenti riguardanti i

riconoscimenti di tumori - in aumento in termini assoluti, ma stabili in distri-

buzione percentuale -, le ipoacusie, le dermatiti e l’asma - in calo in ter-

mini percentuali -, a fronte di un forte incremento delle malattie non

tabellate. Più stabili invece tutte le altre tipologie di malattia.

Tra le patologie non tabellate è possibile individuare la natura attraverso

la variabile codice sanitario: si tratta per lo più di tumori alla vescica, af-

fezioni muscolari e tendinee, ipoacusie e dermatiti.

Non si è in grado di disaggregare allo stesso modo le malattie professio-

nali definite ma non indennizzate, in quanto l’attendibilità della variabile

è scarsa. In ogni caso il numero complessivo di ipoacusie e tumori, consi-

derando sia le malattie tabellate sia le non tabellate, continua ad esser si-

gnificativo. Inoltre, raggiunge oramai una quota davvero considerevole

(circa una terzo) il numero di patologie per le quali spetta al lavoratore

l’onere di dimostrare la correlazione fra le caratteristiche dell’occupazione

e la malattia da cui è stato colpito: certamente un aspetto sul quale riflet-

tere. Se si osserva la distribuzione delle patologie indennizzate, le malattie

“non tabellate” si attestano al 33%, seguono quindi i tumori (24%), le pneu-

moconiosi (14%) e le ipoacusie (12%).

Fra le malattie professionali definite, si nota che la proporzione di patolo-

gie “non tabellate” raggiunge il 61%; ad esse seguono le ipoacusie (16%)

e le pneumoconiosi (5%).

Occorre sottolineare che all’interno dell’archivio delle malattie professio-

nali definite la qualità di compilazione della tipologia di malattia è inferiore

a quella presente nell’archivio delle malattie professionali indennizzate.

Tuttavia, la rilevante percentuale di patologie definite come “non tabel-

late” rispecchia quanto segnalato dalla letteratura: ai primi posti per fre-

quenza, vi sono le malattie dovute a sovraccarico biomeccanico ed i

tumori professionali. Davanti a dati così eclatanti, l’ANMIL si pone oggi il

10 Pietro Mercandelli

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problema di definire procedure di accertamento più rapide e, soprattutto,

misure di sorveglianza sanitaria, di prevenzione e di sicurezza che diano

maggiore certezza della tutela della salute dei lavoratori e maggiore ef-

ficienza delle prestazioni assicurative. Pensiamo che le malattie professio-

nali siano una emergenza assoluta, soprattutto in agricoltura, e riteniamo

giusto intervenire per tempo prima che il fenomeno possa sfuggire al con-

trollo. Ci auguriamo che sia il Ministero che l’INAIL possano essere in grado

in breve tempo di elaborare forme particolari di prevenzione, di sicurezza

e di tutela per questa particolare minaccia alla salute dei lavoratori.

Rendite per invalidità permanentee per morte costituite a causa di malattia professionale

Settore Industria Commercio Servizi

Eventi indennizzati (anni 2001 – 2005)

COMMENTO: all’andamento infortunistico deve essere aggiunto quello

delle malattie professionali i cui casi mortali (per lo più dovuti a tumori cau-

sati da amianto, ben 619) e di invalidità permanente non sono conteggiati

nelle statistiche per infortunio. Non sono disponibili i dati relativi al settore

Agricoltura ed al settore Conto Stato.

11Pietro Mercandelli

Anni Permanenti Morte Totale2001 4.065 211 4.276

2002 3.935 207 4.142

2003 3.804 185 3.989

2004 3.871 141 4.012

2005 3.271 129 3.400

Totale 18.946 873 19.819

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Pietro Sartorelli - Università di Siena - Medicina del lavoro

LE DIFFICOLTÀ DIAGNOSTICHE DELLE PATOLOGIE LAVORO-CORRELATE

Le malattie professionali sono soggette ad un continuo cambiamento cli-

nico ed epidemiologico. Ciò è attribuibile da una parte allo sviluppo tec-

nologico ed ai suoi riflessi nel campo della prevenzione, dall’altra agli

adeguamenti normativi continui nonché alle variazioni del mercato del

lavoro che hanno condizionato, negli ultimi anni, la comparsa di fenomeni

allarmanti quali l’aumento del lavoro somministrato, in appalto, atipico e

la parallela mancata riduzione del lavoro abusivo.

Tradizionalmente la Medicina del Lavoro si occupa delle malattie che col-

piscono gli operai e i lavoratori manuali in genere. Oggi però le malattie

professionali derivano non solo dal lavoro usurante e con esposizione ad

agenti chimici, fisici e biologici, ma anche dal lavoro non corretto dal

punto di vista ergonomico, con carattere ripetitivo e monotono, svolto in

condizioni precarie per quanto riguarda l’organizzazione, fortemente im-

pegnativo sul piano intellettuale e delle responsabilità (Gobbato 2002).

Così, con il D.Lgs. 626/94, l’attività di Igiene Occupazionale e sorveglianza

sanitaria dei lavoratori che un tempo interessava in pratica solo l’industria

e l’attività estrattiva si è estesa anche ad altre attività produttive (agricol-

tura, edilizia) ed al terziario (amministrazioni, commercio, sanità, trasporti,

attività artistiche). Se ciò ha avuto effetti senz’altro positivi sulla tutela della

salute e del benessere di tutti i lavoratori, ha però creato frequenti casi di

“idoneità difficile” con conseguente rischio di portare alla discriminazione

di soggetti disabili per quanto riguarda il diritto al lavoro (Gobbato 2002).

Tale fenomeno appare di notevole rilevanza dato che in un prossimo fu-

turo è prevedibile un aumento dei lavoratori disabili per la maggiore effi-

cacia delle terapie e la tendenza alla riduzione dei tempi di

degenza/convalescenza, per il maggior ricorso a programmi riabilitativi e

per la lunga durata che attualmente presentano alcune patologie quali

ad esempio quelle cardiovascolari.

Se la Medicina del Lavoro per restare attuale deve oggi promuovere e

mantenere il più alto grado di benessere fisico, mentale e sociale del la-

voratore, contemporaneamente sussiste la necessità di fare comunque i

13Pietro Sartorelli

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conti sul piano medico-legale ed assicurativo con la patologia professio-

nale cosiddetta tradizionale costituita da pneumoconiosi, allergopatie

professionali, ipoacusia da rumore e cancri professionali.

La patologia professionale è profondamente mutata rispetto a quella di

comune osservazione fino a pochi anni fa. Ciò è attribuibile all’opera di

prevenzione che ha ridotto i casi di malattia professionale più frequenti in

passato, alla maggiore sensibilità dei medici del lavoro rispetto ad una

serie di patologie non di estrema gravità, ma invalidanti al punto da co-

stringere talvolta ad abbandonare il lavoro (ad esempio riniti e dermatiti),

nonché allo sviluppo di nuove patologie professionali con minore specifi-

cità nosografica, pur essendo comunque correlate al lavoro, che costi-

tuiscono le cosiddette patologie lavoro-correlate (work-related diseases).

Perciò il criterio di “presunzione giuridica del rischio” risulta ormai obsoleto

ed ai fini del riconoscimento delle malattie professionali si rende necessa-

ria la caratterizzazione dell’esposizione e la stima del rischio da agenti chi-

mici, fisici ed ergonomici.

Patologie professionali emergenti sono quelle muscolo-scheletriche da

movimenti ripetitivi (Work-related Muscolo Skeletal Disorders – WMSD), le

reazioni da contatto immediate (dermatiti da lattice negli operatori sani-

tari, protein contact dermatitis negli addetti alla manipolazione di ali-

menti), le dermatiti da contatto irritante, le riniti allergiche professionali,

alcune forme di asma bronchiale (da decoloranti nei parrucchieri, da fa-

rine nei fornai, da aziridina agente reticolante dei coloranti) e soprattutto

le patologie asbesto-correlate non neoplastiche (asbestosi iniziale, plac-

che pleuriche) e neoplastiche (mesotelioma e cancro del polmone) nelle

popolazioni di lavoratori ex esposti ad amianto.

Tali patologie professionali emergenti non costituiscono un gruppo omo-

geneo perché non interessano lo stesso organo od apparato, non rico-

noscono lo stesso tipo di patogenesi e non derivano da rischi lavorativi

dello stesso tipo (Sartorelli 2002). Ne deriva un quadro generale abba-

stanza confuso, che in parte giustifica il fatto che l’origine occupazionale

di tali patologie spesso non venga riconosciuta, con conseguente conti-

nuo aumento delle malattie professionali “perse”. Questo fenomeno sem-

bra essere molto vasto. Basti pensare che i casi riconosciuti dall’INAIL sono

passati da oltre i diecimila negli ultimi anni ’80 a poco più di duemila nei

14 Pietro Sartorelli

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primi anni 2000. Il fatto risulta di particolare gravità alla luce di quanto sta-

bilito dal D.Lgs. 38/2000 che sancisce l’introduzione del danno biologico

nell’assicurazione contro gli infortuni e le malattie professionali aprendo di

fatto la possibilità di indennizzo di quadri patologici quali ad esempio le

placche pleuriche da asbesto la cui origine occupazionale in passato dif-

ficilmente sarebbe stata riconosciuta.

La diagnosi di malattia professionale rappresenta un obbligo al quale il si-

stema sanitario non può sottrarsi. Il mancato riconoscimento delle malat-

tie professionali infatti ha conseguenze negative non solo in termini

economici per il singolo paziente e la sua famiglia, ma anche per il pro-

cesso di prevenzione nel suo complesso. Basti pensare all’importanza della

segnalazione di eventuali ”eventi sentinella”. Inoltre, se le evidenze epi-

demiologiche risultano assolutamente indispensabili per il riconoscimento

della responsabilità delle noxae professionali nell’insorgenza di certi tipi di

patologia, è tuttavia la verifica di casi reali che rende evidente il costo

umano e sociale del fenomeno e, conseguentemente (soprattutto

quando si tratti di neoplasie), spinge verso l’attuazione di misure preven-

tive adeguate, superando l’ostacolo costituito dai costi economici (Sarto-

relli 2003).

Proprio per l’importanza che riveste sotto vari punti di vista, la diagnosi di

malattia professionale deve essere posta seguendo i criteri rigorosi che

sono propri della Medicina del Lavoro. Rappresentando la Medicina del

Lavoro una branca trasversale che si occupa di patologie che colpiscono

tutti gli organi ed apparati, il percorso assistenziale di questi pazienti deve

prevedere l’intervento di una equipe multispecialistica, di composizione

variabile in ogni singolo caso, nella quale il medico del lavoro gioca un

ruolo centrale. Compito di quest’ultimo non è solo quello di coordinare

l’equipe interfacciandosi con gli specialisti delle varie branche (radiologi,

pneumologi, reumatologi, dermatologi, neurologi, neurochirurghi, medici

legali, ecc.) allo scopo di giungere alla migliore definizione diagnostica,

ma soprattutto quello di valutare il rapporto tra lavoro e patologia sia per

quanto riguarda l’eventuale ruolo causale dell’attività lavorativa, sia in

funzione dell’idoneità lavorativa, tentando tutto il possibile (anche in ter-

mini terapeutici) per salvare la professionalità del lavoratore. Perciò risulta

necessaria la programmazione di un'attività assistenziale e di ricerca nel

15Pietro Sartorelli

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campo della Medicina del Lavoro volta alla diagnosi ed al riconoscimento

delle malattie professionali, alla valutazione dei casi di idoneità difficile,

nonché al follow-up e alla gestione dei pazienti affetti da patologia pro-

fessionale.

Per la complessità diagnostica delle attuali malattie lavoro-correlate il

luogo naturale dove svolgere tale attività è costituito dalle Aziende Ospe-

daliere Universitarie ad alta specializzazione nell’ambito delle quali si de-

vono progressivamente sviluppare anche iniziative indirizzate alla ricerca

attiva delle malattie professionali e particolarmente dei cancri di origine

occupazionale. Tale ricerca prevede due distinti interventi: il primo, ap-

punto a livello ospedaliero, con il controllo delle cartelle cliniche dei vari

reparti (selezionando tramite le Schede di Dimissione Ospedaliera le pa-

tologie potenzialmente di origine lavorativa), il secondo in ambito territo-

riale con programmi di screening dei lavoratori nell’ambito dell’attività dei

Dipartimenti di Prevenzione delle diverse aree,

La realizzazione di un programma di tale tipo risponderebbe anche al bi-

sogno, alquanto diffuso, di una medicina “per i lavoratori” che si occupi

di chi per anni ha svolto un lavoro usurante e con esposizione a rischi rile-

vanti. Questa tipologia di pazienti è infatti, per assurdo, la meno medica-

lizzata, essendo portata per natura a minimizzare i sintomi e ad incontrare

difficoltà nell’accedere al sistema sanitario. In tal senso un’attività clinica

rivolta ai lavoratori si gioverebbe grandemente di una diffusione di infor-

mazioni che interessi contemporaneamente il sistema sanitario regionale

ed il mondo del lavoro (RLS in particolare).

Bibliografia1. Gobbato F.: Medicina del Lavoro. Masson Editore, Milano, 2002

2. Sartorelli P.: Nuove prospettive di Medicina del Lavoro e Medicina Legale in tema di

patologie professionali emergenti. Med Lav 93: 351-355, 2002

3. Sartorelli P., Romeo R.: La caratterizzazione dell’esposizione nella diagnosi di neopla-

sia professionale. Atti Convegno Nazionale “I Cancerogeni: La definizione dell’esposi-

zione in ambienti di vita e lavoro” Siena 2003, Litograf Editor, pag. 53-66.

16 Pietro Sartorelli

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Mario Gabrielli - Università di Siena - Medicina legale

IL NESSO DI CAUSALITÀ NELLE MALATTIE PROFESSIONALI: IL PARERE DEL MEDICO LEGALE

L’inquadramento delle malattie professionali è ambito quanto mai tra-

vagliato, come dimostrato dalla evoluzione della mormativa, dalle pro-

nunce giurisprudenziali e dal dibattito dottrinario che si è sviluppato nel

corso degli anni.

In effetti, il campo delle malattie professionali ha avuto un progressivo svi-

luppo negli ultimi anni, in conseguenza della evoluzione delle tecnologie

e delle conoscenze sanitarie. Sono tramontate, o comunque ridotte nu-

mericamente, le malattie professionali “classiche”, determinate cioè solo

e soltanto dalla esposizione per motivi lavorativi ad un agente patogeno

ben noto. L’esempio più lampante è costituito dalla silicosi, una malattia

ben nota da anni, oggetto privilegiato di studio per la scuola medico-le-

gale senese (1) e la cui drammatica evoluzione nella forma classica,

spesso associata a tubercolosi, ha dato spunti anche a opere non stret-

tamente scientifiche (si ricorda il saggio “Minatori di Maremma” di Bian-

ciardi e Cassola). In tali condizioni non vi erano dubbi di sorta per il

riconoscimento del nesso causale tra esposizione professionale e insor-

genza della patologia.

Diverso è il caso delle patologie giunte alla ribalta in epoca a noi più vi-

cina e caratterizzate dal fatto che la genesi non è più unicamente attri-

buibile alla attività lavorativa in quanto si tratta di patologie multifattoriali,

dovute cioè al concorso di più fattori, ambientali e individuali: basti pen-

sare ai fattori genetici. Del tutto recentemente Fiori (2) ha definito “sem-

pre più sorprendente” la lettura “del libro scritto nel nostro genoma, del

quale ormai si conoscono con un crescendo incessante, geni che gover-

nano non solo malattie ma anche le più varie predisposizioni morbose,

quali ad esempio gli oncogeni che favoriscono l’insorgenza di tumori a

seguito dell’esposizione a determinati agenti”.

Ne deriva quindi che oramai dobbiamo ammettere la natura plurifatto-

riale di più malattie, e questo se è logico dal punto di vista clinico, com-

porta delle ripercussioni molto marcate in ambito penalistico e

assicurativo sociale.

17Mario Gabrielli

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Non escludono la natura professionale della patologia la ricorrenza di altri

fattori di rischio (moderato fumo di sigaretta, familiarità) in quanto in am-

bito INAIL la eventuale concorrenza di altri fattori patologici oltre alla at-

tività lavorativa non esclude il nesso causale, in relazione al principio di

equivalenza delle cause che trova applicazione nella materia degli infor-

tuni sul lavoro e delle malattie professionali, con la conseguenza che un

ruolo di concausa va attribuito anche ad una minima accelerazione della

evoluzione di una malattia o a peggioramento di un quadro patologico.

Per quanto riguarda le malattie professionali, ricordiamo che nel nostro

paese valeva in passato il principio tabellare, confermato con la emana-

zione del Testo Unico n. 1124 del 1965: potevano esser riconosciute come

malattie professionali quelle comprese in una tabella (l’ultimo aggiorna-

mento della quale è stato nel 1994 (3) - siamo in attesa della nuova tabella

che dovrebbe essere pubblicata a breve - e che dovevano essere con-

seguenza di lavorazioni anch’esse rigidamente elencate.

Per le malattie comprese nella lista valeva (e vale tuttora) la presunzione

di origine: il lavoratore non era tenuto cioè a dimostrare il nesso di causa

tra il lavoro e la malattia. Questa situazione poteva sembrare favorevole

al lavoratore, ma questo favore valeva solo per le malattie tabellate, men-

tre non potevano essere riconosciute le malattie non tabellate.

A fronte della rigidità nei confronti delle malattie non tabellate, nel 1975

fu emanata la legge n. 780 che introduceva un indubbio trattamento pri-

vilegiato per due malattie professionali (la silicosi e la asbestosi) che per-

tanto fruiscono di una tutela particolare: oltre al danno conseguente alle

malattie professionali propriamente dette, viene infatti indennizzato anche

il danno conseguente ad altre forme morbose dell’apparato respiratorio

e cardiocircolatorio ad esse associate.

Il sistema chiuso per il riconoscimento delle malattie professionali - la cui

esistenza era già stata portata all’attenzione della Corte Costituzionale

con la sentenza 206 del 1974 - fu scardinato dalla sentenza della Corte

Costituzionale del 1988 n. 179 - che abrogava gli articoli del Testo Unico

che non ammettevano alla tutela le malattie di cui era dimostrata la di-

pendenza dal lavoro, ma non comprese nelle tabelle, e aboliva altresì la

tassatività dei termini entro i quali dovevano manifestarsi i sintomi dalla

cessazione della lavorazione.

18 Mario Gabrielli

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In conseguenza della citata sentenza si realizzava nel nostro paese il si-

stema misto: sono ammesse alla tutela tutte la malattie determinate dal

lavoro, siano esse ricomprese nelle tabelle (e in questo caso varrà il prin-

cipio della presunzione di origine) sia che non siano ricomprese, secondo

lo schematismo così sintetizzato in un notiziario di un patronato:

• malattie tabellate provocate da lavorazioni tabellate e denunciate

entro i periodi massimi di indennizzabilità previsti nelle tabelle, per que-

ste vale la presunzione legale;

• malattie tabellate, provocate da lavorazioni tabellate, ma denunciate

oltre i periodi massimi indennizzabili: a) se il lavoratore dimostra che la

malattia si è manifestata entro i suddetti termini, fruisce della presun-

zione legale; b) in caso contrario, sul lavoratore ricade l’onere della

prova della natura professionale della sua malattia;

• malattie fuori dalle previsioni tabellari per le quali è a carico del lavora-

tore l’onere della prova dell’origine professionale (4);

La situazione “di fatto” conseguente alla sentenza della Corte Costituzio-

nale del 1988 è stata ratificata dall’articolo 10 del D.Lgs. 38/2000 “Nuove

disposizioni in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro e le

malattie professionali” che ha affermato al comma 4 “fermo restando che

sono considerate malattie professionali anche quelle non comprese nelle

tabelle di cui al comma 3 delle quali il lavoratore dimostri l’origine profes-

sionale”. Un’altra conseguenza dell’articolo 10 è stata la spinta all’aggior-

namento della lista della malattie professionali previste dall’art. 139 del

T.U. del 1965: tale lista, diversa dalla tabella della malattie professionali, ri-

comprendeva tutte quelle malattie di origine professionale che il medico

era tenuto a denunciare all’Ispettorato del lavoro competente per territo-

rio (la omonimia con la lista delle malattie tutelate dall’INAIL ha compor-

tato qualche elemento di confusione tra le due fattispecie). Sulla spinta

del citato articolo 10 è stato emanato il D.M. 27 aprile 2004 che ha pub-

blicato la nuova lista delle malattie professionali soggette alla denuncia

all’Ispettorato del lavoro (che ne dovrà trasmettere copia alla ASL e al-

l’INAIL) suddividendo le malattie in:

• malattie la cui origine lavorativa è di elevata probabilità;

• malattie la cui origine lavorativa è di limitata probabilità;

• malattie la cui origine lavorativa è possibile.

19Mario Gabrielli

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Come si vede, il D.M. ha introdotto una sostanziale novità, disponendo la

sorveglianza anche delle malattie in cui il nesso causale sia solo ipotizza-

bile, e da tali denunce potrebbero scaturire gli elementi per un più rapido

rinnovo delle tabelle della malattie professionali. Dopo questa breve car-

rellata, emerge in tutta la sua centralità la questione del nesso di causa-

lità, che è fondamentale in tutti gli aspetti della Medicina Legale e a cui

sono stati dedicati convegni (5) e monografie (6).

In estrema sintesi, i vecchi criteri su cui si basava la criteriologia medico-le-

gale per il riconoscimento del nesso causale (ricordiamo tra i principali il

criterio cronologico, il criterio topografico, il criterio della esclusione di altre

cause) hanno mostrato tutti i loro limiti, non solo e non tanto perché supe-

rati, ma perché talora usati e abusati per sostenere tesi forzate: forse il più

abusato era quello cronologico che portava a ipotizzare il nesso tra una

azione e un evento basandosi solo sul fatto che era ad essa seguente.

I limiti dei vecchi criteri sono stati almeno in parte superati con la applica-

zione del criterio della probabilità statistica che, utilizzando anche studi

epidemiologici, può aiutare a riconoscere il nesso causale, anche se resta

sempre necessario un accurato studio medico-legale di ogni singolo caso.

Anche con l’utilizzo dei nuovi strumenti, resta comunque estremamente

difficile in molti casi dimostrare il nesso causale tra esposizione lavorativa

e insorgenza di una malattia: basti pensare alla questione delle neoplasie.

E se per alcune di esse (ad esempio, mesotelioma) il riconoscimento del

nesso causale è pressoché automatico, come recentemente riaffermato

da Guariniello (7), per altre è difficile dimostrare un preciso legame, anche

se si impiegano le più aggiornate conoscenze (8).

Purtroppo, la questione è complicata dal fatto che il riconoscimento della

malattia professionale in ambito assicurativo INAIL si interseca con gli

aspetti penalistici: trattandosi di lesioni personali colpose gravi o gravis-

sime o addirittura di omicidio colposo, sussiste la procedibilità di ufficio,

ed è nel processo penale che riemergono le difficoltà per il riconosci-

mento al nesso di causalità. E siccome per il riconoscimento della respon-

sabilità colposa vige orami il principio della necessità del raggiungimento

di un quadro di ragionevole certezza, ecco che processi anche clamorosi

si concludono spesso con la assoluzione dei presunti responsabili di fatti

anche gravi (ad esempio dirigenti di stabilimenti industriali con esposizione

20 Mario Gabrielli

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a cancerogeni dei lavoratori ). Trattandosi di ambiti diversi, tali conclusioni

negative non dovrebbero avere ripercussioni sul riconoscimento della ma-

lattia professionale, ma può risultare difficile ammettere che una stessa

malattia non sia ritenuta dipendente da una lavorazione in ambito pe-

nale e lo sia invece in ambito assicurativo. Su quest’ultimo punto si deve

prendere atto che la Giurisprudenza non è fortunatamente arroccata su

posizioni negative per i lavoratori: recentemente la Suprema Corte ha af-

fermato che il riconoscimento del nesso “può risiedere anche in un giudi-

zio di ragionevole probabilità desunta da dati scientifici e da dati

epidemiologici”(9).

Si tratta, lo ripeto, di casi complessi, nella trattazione dei quali si dovrebbe

peraltro tener conto che nelle cause di lavoro è il lavoratore la parte più

debole, e il dover dimostrare il nesso causale di una malatttia non tabel-

lata con lavorazioni magari cessate da decine di anni (spesso anche la

azienda è chiusa) può trovare ostacoli non superabili.

Bibliografia1. si ricorda fra tutti Barni M., Silicosi nodulare “ma non esclusivamente”,

in Malattie del torace, 3,163, 1965.

2. Fiori A., La causalità nelle malattie professionali,

in Riv. It. Med. Leg., XXVIII, 777-808, 2006.

3. Balletta A, Malattie e lavoro, in Il Giornale della Previdenza, 9, 2, 58, 2007

4. Nota Redazionale, Il D. Lgs. 23 febbraio 2000 n. 38,

in Notiziario INCA, 16, 8/9/10, 5, 2000.

5. Si ricorda tra gli altri il Convegno di Macerata del 1990.

6. Barni M., Il rapporto di causalità materiale in Medicina Legale,

Giuffrè Editore, Milano, 1991.

7. Guariniello G., Tumori professionali e nesso causale nella giurisprudenza

della Corte di Cassazione, in Riv. Inf. Mal. Prof, 1, 17, 2006

8. Cimaglia G., Goggiamani A, Todaro G. Aspetti tecnici nel quadro della valutazione

medico-legale con particolare riferimento ai tumori professionali, in Riv. Inf. Mal. Prof., 1,

101, 2006.

9. Cass. Sez Lav. 6 settembre 2006 n. 19047, in Riv. Inf. Mal. Prof., 2, 39, 2006.

21Mario Gabrielli

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Giovanni Barbagli - Dir. Agenzia Regionale di Sanità

Questo vostro appuntamento cade nel momento più opportuno per af-

frontare una discussione sul tema “Malattie professionali, quale tutela?”

Infatti l’iniziativa nello scorso anno a Napoli nel corso della quale è stata

presentato il nuovo testo di legge sulla sicurezza nei luoghi di lavoro, l’av-

vio della “manutenzione” della Riforma 229/99 i primi passi per la discus-

sione del nuovo Piano sanitario regionale 2007/2009 rappresentano il

giusto scenario nel quale collocare le riflessioni che ho sentito fare dal mo-

deratore l’ing. Masi, dal vostro Presidente nazionale e dal prof. Sartorelli

dell’Università di Siena. La distinzione tra competenze nazionali e regionali

in materia di sicurezza sul lavoro si fa sempre più chiara. Allo Stato le leggi

di indirizzo generale che fissano i principi alti su un tema come quello della

sicurezza del lavoro e alle Regioni le funzioni di gestione come elementi

del sistema di protezione locale per tutti i cittadini.

Dalle strategie alla governanceSe le strategie sono chiare abbiamo bisogno a mio avviso di passare dalle

strategie alla cosiddetta “governance” affrontare cioè gli obiettivi di sa-

lute che ci poniamo a livello generale e regionale e individuare i risultati

che vogliamo raggiungere. Questi obiettivi stanno tutti dentro la sfida lan-

ciata a suo tempo dalla O.M.S. (Organizzazione Mondiale della Sanità)

“salute per tutti nell’anno duemila”. Gli ostacoli che troviamo su questa

strada sono di ordine culturale, politico ed economico.

La corrente di pensiero politico e soprattutto economico che negli anni

settanta ha affermato e soprattutto praticato l’azione rivolta a conside-

rare la salute come fonte di investimenti anziché ostacolo ai medesimi,

ha lasciato il campo ala teoria liberista in base alla quale la sanità pub-

blica è di ostacolo alla iniziativa privata. La conseguenza è stata tragica:

l’obiettivo di salute per tutti gli essere umani scompare quasi dall’orizzonte

politico. La diagnosi più evidente del falimento di questa cultura politica

è stato l’impulso e la crescita esponenziale delle disegueglianze sia nella

salute che nella speranza di vita. La nostra azione come Agenzia regio-

nale è volta ad affermare una strategia di governo regionale volta al mi-

23Giovanni Barbagli

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glioramento qualiquantitativo dello stato di salute dei cittadini in gene-

rale e delle fasce più fragili come sono gli anziani, i disabili e i lavoratori.

ComeLe azioni che da tempo sono state intraprese dalla Agenzia regionale di

Sanità mirano a:

1. ricercare un equilibrio tra efficacia ed efficienza per coniugare appro-

priatezza ed evidenza scientifica;

2. la coerenza delle scelte politiche ed in particolare l’affermazione delle

politiche integrate (ambiente, lavoro, alloggio, salute, sviluppo);

3. potenziamento dell’azione preventiva e riorganizzazione dei servizi che

si occupano della sicurezza nei luoghi di lavoro;

4. costruzione di una rete di informazioni che sappiano leggere i bisogni

di salute della popolazione in modo da individuare eventuali aree cri-

tiche e decidere le priorità;

5. monitoraggio del grado di efficacia e di efficienza operativa nell’at-

tuazione degli interventi.

Grazie alla quantità e alla qualità dei dati di cui disponiamo siamo in

grado di scegliere la frequenza delle malattie (mortalità, morbosità) e dei

principali fattori determinanti, effettuare confronti tra aree geografiche

ed analizzare gli andamenti temporali. Alla quantità dei dati raccolti pos-

siamo dare una rappresentazione sintetica del fenomeno che studiamo

ossia delle misure quantitative che servono per:

a. orientare gli interventi attraverso l’identificazione e la costruzione di indi-

catori in grado di valutare il funzionamento di un intervento (indicatori di

processo);

b. valutare gli interventi misurando gli effetti sulla salute (indicatori di

esito).

Il profilo generale di salute che stiamo costruendo per gli anni 2003/2005

per la Toscana conterrà sicuramente una attenta analisi epidemiologica

sugli effetti delle politiche che in questi anni sono state messe in atto per

la salute. Attraverso proprio lo studio degli indicatori di salute quali: le di-

namiche demografiche, la mortalità generale, la mortalità per le principali

cause, gli incroci fra gli indicatori di salute e alcune determinanti con-

cause (ambiente, lavoro, servizi ecc).

24 Giovanni Barbagli

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Le politiche integrateSecondo l’OMS il 75% dei fattori di rischio che minano la salute dipendono

non dalla organizzazione sanitaria ma dalle politiche integrate. Le nuove

frontiere della sanità sono quindi legate a queste determinanti.

Nonostante gli indicatori di salute registrino dei progressi, il problema bioe-

tico più acuto consiste ora nella contraddizione tra due fenomeni: non

c’è mai stata tanta salute nel mondo e mai tante malattie e tante morti

prevenibili, evitabili e curabili. Non si può attendere altro tempo, si deve in-

vertire la tendenza.

25Giovanni Barbagli

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Florio Innocenti - Dir. Resp. Pneumologia (ASL 3 Pistoia)

NUOVE METODICHE NELLA DIAGNOSI PRECOCE DELLE NEOPLASIE DELL’APPARATO RESPIRATORIO

IntroduzioneIn Italia il carcinoma del polmone è ancora la causa più importante di

morte per tumori maligni. Durante gli anni ’90 i Registri Tumori in Italia, come

in altri Paesi occidentali, hanno mostrato che è la forma tumorale più fre-

quente nel sesso maschile ed in forte crescita in quello femminile, con inci-

denza intorno a 60 casi su 100.000 abitanti e una mortalità di 30.000

persone/anno. La sopravvivenza a 5 anni dalla diagnosi è compresa tra il 5

e il 15% e non ci sono evidenze di un significativo aumento negli ultimi 30

anni (1). Il fumo di sigaretta rimane il più importante fattore di rischio anche

se sono da considerare come concause la familiarità, le abitudini alimen-

tari, l’inquinamento atmosferico e ambientale (radon) e, non ultima, l’espo-

sizione lavorativa ad alcune particolari sostanze che giocano un ruolo

importante nello sviluppo delle neoplasie dell’apparato respiratorio. Peral-

tro, è anche noto che la diagnosi precoce del tumore polmonare e l’inter-

vento chirurgico di resezione del tumore a stadi precoci della malattia

(stadio I) si associa a una buona prognosi (2).

I Trials Clinici Randomizzati (TCR) che hanno utilizzato la radiografia del to-

race (RT) con o senza esame dell’espettorato per valutare l’efficacia della

diagnosi precoce non hanno mostrato riduzione della mortalità nel gruppo

attivo. Recenti pubblicazioni hanno confermato risultati negativi con 16 anni

di follow-up. (3,4). Le linee guida esistenti in Italia, in accordo con le mag-

giori Agenzie Internazionali, non suggeriscono indagini di screening del can-

cro del polmone. Nel 1999, C. Henschke e il suo gruppo della Cornell

University hanno dimostrato che la TC spirale (a basso dosaggio) era ca-

pace di identificare tumori polmonari iniziali (Stadio I) con una sensibilità più

elevata della RT. Questi risultati, analoghi a quelli di un ampio studio non

controllato eseguito in Giappone, sono stati considerati come un nuovo

punto di partenza per lo screening del cancro del polmone (6,7). Nell’otto-

bre 2006 Henscke e coll. hanno pubblicato un lavoro nel quale è confer-

mato l’incremento della sopravvivenza a 10 anni per neoplasie polmonari

individuate in stadi precoci con TC a bassa dose (85% di casi alIo stadio con

27Florio Innocenti

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sopravvivenza a 10 anni dell’88% e del 95% in coloro che sono stati sottopo-

sti a resezione chirurgica nel mese successivo alla diagnosi) (8). È stato per-

tanto avviato lo studio Italiano multicentrico (Firenze, Pisa e Pistoia)

randomizzato con TC a bassa dose eseguita ogni anno per 4 anni che ha

come obiettivo la riduzione della mortalità per tumore del polmone. Lo stu-

dio fa parte di una collaborazione internazionale UE/USA all’interno della

quale sono previsti sia studi randomizzati che non randomizzati.

La popolazione in studio comprende Maschi e Femmine di età compresa

tra 55 e 69 anni, fumatori o ex fumatori che hanno cessato da meno di 10

anni con numero di pack/years ≥ 20, senza storia di precedente neoplasia

(esclusi tumori cutanei con melanoma) e/o di intervento di resezione pol-

monare per qualsiasi motivo. 1613 sono stati i soggetti arruolati nel gruppo

“attivo” e 1593 nel gruppo di controllo. Sono state effettuate 1406 prime TC

del torace e individuate 21 neoplasie polmonari maligne (1,5%) ed 1 amar-

tocondroma. Nella tabella 2 sono riportati i primi risultati riguardanti il primo

anno di valutazione, in particolare abbiamo riportato il numero e lo stadio

delle neoplasie polmonari riscontrate.

È importante sottolineare che il 56% (10/22 casi) dei tumori evidenziati era

al Io stadio e pertanto trattabile chirurgicamente.

RisultatiA livello locale la ASL 3 ha già svolto uno studio di fattibilità di screening

con una sorveglianza sanitaria rivolta ai soggetti ex esposti ad amianto

delle ditte Breda e S. Lucia che si è svolto tra il 2001 ed il 2002 a cui non è

seguito follow-up. Tale intervento si è reso necessario poichè indagini epi-

demiologiche eseguite nella coorte di lavoratori della ditta Breda di Pi-

stoia con pregressa esposizione all’asbesto avevano identificato un

numero di diagnosi di mesotelioma pleurico superiore ai valori attesi.

Anche i 120 casi di tumore polmonare erano significativamente superiori

ai 96 attesi in una coorte di 3739 lavoratori in cui si erano osservati 969 de-

cessi per cause non tumorali (10). L’eccesso di mortalità per neoplasia si

è verificato solo nei lavoratori classificati come operai che avevano svolto

la loro attività prima del 1970 (11). La coorte dei lavoratori Breda com-

prendeva gli operai assunti da prima del 1970 fino al 1985 e quella della

ditta S. Lucia gli operai assunti dal 1962 al 2000. Abbiamo invitato a parte-

28 Florio Innocenti

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cipare, tramite lettera di convocazione concordata con i Medici di Medi-

cina Generale e con il PISLL, 1172 ex lavoratori della ditta Breda e 218 della

ditta S. Lucia. Hanno risposto all’invito circa il 60% dei soggetti contattati

per la ditta Breda ed il 30% circa della ditta S. Lucia. I partecipanti hanno

effettuato una prima visita c/o l’U.F. di Prevenzione e Igiene Sicurezza con

raccolta di un’accurata anamnesi lavorativa.

I soggetti che non presentavano sintomi respiratori, con obiettività toracica

negativa ed una radiografia del torace recente normale non sono stati ul-

teriormente valutati. 338 della ditta Breda e 58 della ditta S. Lucia che pre-

sentavano sintomi respiratori e/o con obiettività polmonare patologica e/o

con dubbie alterazioni radiologiche soggetti sono stati inviati presso l’U.O.

di Pneumologia per essere sottoposti a visita specialistica e prove di funzio-

nalità respiratoria (spirometria completa con misura dei volumi statici e di-

namici, test di diffusione del CO con il metodo del respiro singolo,

emogasometria).

Coloro che non avevano esami radiologici recenti (Rx e/o TC torace nel-

l’anno precedente la visita) hanno effettuato Rx torace e HRCT. I radio-

grammi del torace sono stati eseguiti con apparecchiature non digitali

presso la U.O. di radiologia di Pistoia per gli ex esposti della ditta Breda, di

Pescia per gli operai della ditta S. Lucia. In totale, alla fine dello studio, sono

stati valutati presso la U.O. di Pneumologia 396 soggetti in prevalenza di

sesso maschile di età media 66,5±10 (DS) anni e 50±10 (DS) anni per la ditta

Breda e S. Lucia, rispettivamente, 116 erano non fumatori (30%), 280 tra fu-

matori ed ex-fumatori (70%) per una storia media di fumo di 27±18 py. Tutti

i soggetti hanno eseguito una spirometria accettabile (secondo i criteri ATS)

mentre solo 290 sono stati in grado di eseguire una corretta misura della dif-

fusione del CO (DLCO) (secondo i criteri ATS).

La tabella 3 mostra la media ± DS dei volumi polmonari, dei valori emoga-

sometrici e di diffusione del CO misurati, espressi in percento del valore pre-

detto. L’età media del (50±10 anni) ed il numero di sigarette fumate (20±18

p-y) del gruppo di soggetti della ditta S. Lucia era inferiore rispetto al gruppo

degli ex dipendenti della ditta Breda (66.5±10 anni), (27±18.7p-y). Il numero

dei soggetti con rapporto FEV1/FVC inferiore al 70% era 100, pari al 25%, 79

dei quali fumatori o ex fumatori (py=35±19). Tra questi, 62 presentavano una

DLCO/VA % pv ridotta (15%). In 27 soggetti (7%) la spirometria ha eviden-

29Florio Innocenti

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ziato sindrome restrittiva di grado lieve (TLC<80%). Nessun soggetto aveva

valori di PaO2 inferiori a 60 mmHg. 332 soggetti hanno effettuato Rx torace,

276 della ditta Breda e 56 della ditta S. Lucia, i cui risultati sono mostrati in

dettaglio nella tabella 4, i restanti 62 soggetti avevano effettuato Rx torace

nell’ultimo anno. 231 soggetti hanno effettuato ulteriori approfondimenti

mediante HRCT, 218 della ditta Breda e 13 della ditta S. Lucia (tab 5). Molti

lavoratori esposti in passato a polvere di amianto sono oggi a rischio di svi-

luppare patologie asbesto-correlate. Un intervento sanitario su una popo-

lazione di soggetti ex esposti quali i lavoratori della ditta Breda di Pistoia era

necessario al fine di valutarne l’attuale stato di salute, in particolare riguardo

alla patologia polmonare, e di stabilire l’eventuale necessità di un inter-

vento di sorveglianza volto a seguire nel tempo tale popolazione. Il riscon-

tro di patologie polmonari di qualsiasi tipo e grado può essere utile per un

precoce trattamento. Inoltre, il colloquio con gli interessati rappresenta

un’occasione importante per la prevenzione di patologie polmonari che

può essere attuata attraverso l’allontanamento da altri fattori di rischio quali

il fumo di sigaretta.

Infine, i dati ottenuti rappresentano una stima epidemiologica delle pato-

logie causate dall’inalazione di fibre di asbesto. I risultati sulla popolazione

di lavoratori assunti presso la ditta Breda fino al 1985 e presso la ditta S. Lucia

hanno evidenziato una parziale adesione al programma di sorveglianza sa-

nitaria offerto ed hanno sicuramente confermato la pregressa esposizione

a fibre di amianto dato il riscontro di un’elevata incidenza di placche pleu-

riche di quattro casi di asbestosi e di due mesoteliomi pleurici. Per quanto

riguarda i due casi finora accertati di neoplasia polmonare, rimane elevato

il fattore confondente legato al fumo di sigaretta. Le discrepanze nei risul-

tati tra le due popolazioni studiate può essere spiegata con il differente nu-

mero di soggetti per gruppo, la differenza di età e la differente metodica

di lettura dei radiogrammi sia Rx che TC.

Nel campione esaminato è confermata la maggiore sensibilità, riportata in

letteratura, della TC del torace rispetto a metodiche tradizionali (Rx) nel-

l’evidenziare noduli polmonari, placche pleuriche, bronchiectasie e di iniziali

alterazioni parenchimali polmonari di varia natura. Inoltre, dai dati emersi fi-

nora, sembra opportuno seguire nel tempo i soggetti con opacità polmo-

nari di incerto significato con un programma di sorveglianza sanitaria

30 Florio Innocenti

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clinico-radiologico. Anche la TC low-dose dimostra di avere la stessa possi-

bilità di visualizzare le lesioni da esposizione ad amianto, sia pleuriche che

parenchimale e potrebbe quindi, in futuro, rappresentare un’utile meto-

dica di sorveglianza sanitaria. Pertanto può essere utile prevedere un pro-

gramma di sorveglianza sanitaria per gli ex esposti ad amianto modulato in

rapporto ai differenti fattori di rischio associati, con adeguati programmi di

disassuefazione dal fumo e riduzione per quanto possibile di altri carcino-

geni ambientali. Non essendo previsto allo stato attuale uno standard di in-

tervento radiologico, e non solo, sarebbe auspicabile un protocollo di

ricerca condiviso per il follow-up dei soggetti ex esposti ad amianto con

combinazione di metodiche radiologiche e di laboratorio.

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vanta: l’importanza dei dati di popolazione. Epidemiol Prev 2001 suppl. Anno 25(3): 1-8

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31Florio Innocenti

Atti Pistoia 148x210_OK 14-02-2008 12:36 Pagina 31

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32 Florio Innocenti

Numero Stadio Istotipo Terapia8 NSCLC Stadio I.a 5 adenocarcinoma

(2 misti con BAC) + 1 pleumorfo Chirurgia1 squamoso + 1 adenosquamoso

2 NSCLC Stadio I.b 1 squamoso + 1 adenocarcinoma Chirurgia1 NSCLC Stadio II.b 1 anaplastico a grandi cellule Chirurgia2 NSCLC Stadio III.a 1 squamoso + Chir. + Radiote

1 adenocarcinoma in 1 paz,1 NSCLC Stadio III.b adenosquamoso Chir. + Chemiot

Radioter,4 NSCLC Stadio IV 2 adenocarcinoma Chemiot +

(1 misto con BAC) + 2 squamoso Radioter in 2 paz,+ Chirurgia in 1 paz,

1 NSCLC Stadio III.a adenocarcinoma + SCLC m. l. Chir. + Chemiot + + SCLC Radiot1 SCLC Mal. limitata Chemioterapia

1 Carcinoidi carcinoide tipico Chirurgia1 amarto-condroma Chirurgia

Stadio e istotipo delle 22 neoplasieidentificate con lo screening

Tab 2

Stadio % sopravvivenzaStadio I.a 80Stadio I.b 65Stadio II 40Stadio III.a 15Stadio III.b 3Stadio IV 0-3

Sopravvivenza per neoplasia polmonarein base allo stadio di avanzamento di malattia

Tab 1

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33Florio Innocenti

Breda (n. 338) S. Lucia (n. 58)Età (anni) 66.5±10 50±10fumo (p-y) 27±18.7 20±18

pH 7.41±0.02 7.48-7.36PaO2 83.6±10.9 97±7.6FEV1% 94.8±19.6 99±18VC% 98.6±15.8 96±15FVC% 100±17.6 100±15FVC(L) 3.77±0.75 6-1.64

FEV1/VC% 72.6±9.6 77.6±15TLC% 97.9±14.8 95.5±11

DLCO/VA% 93.5±18.6 90.3±14

Dati funzionali di 396 pazienti ex dipendenti officine Breda e S.Lucia

Tab 3

Descrizione radiologica Breda S. Lucian. 276 n. 56

Noduli polmonari (>10mm) 12 0Noduli polmonari (<10mm) 25 0Ispessimento interstiziale 96 0Placche pleuriche 48 0Obliterazione seno costo-frenico 17 1 Enfisema 24 6 Bronchiectasie 0 0Sospetto Mesotelioma 1 0Versamento pleurico 2 0 Altro 41 0

Dati RX standard del torace in 332 soggetti

Tab 4

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34 Florio Innocenti

Descrizione radiologica Breda S. Lucian. 218 n. 13

Ispessimento interstiziale 94 (43%) 2 (15%)Noduli polmonari ( 4 mm) 34 (15.6%) -

(5-9 mm) 30 (13.7%) -( 10 mm) 9 (4%) -

Addensamento polmonare 37 (17%) -Placche pleuriche 118 (54) 5 (38%)Enfisema 40 (18%) 1 (7.7%)Bronchiectasie 80 (36%) 1 (7.7%)Sospetto mesotelioma 3 (1.4%) -Altro 30 (13.7) -

<_

<_

Dati HRCT del torace in 231 soggetti

Tab 5

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Gian Paolo Patta - Sottosegr. di Stato al Ministero della Salute

Questo fenomeno sociale degli infortuni sul lavoro nel nostro Paese de-

nunciata anche dal Presidente della Repubblica, purtroppo, nonostante

tutte le iniziative messe in atto, non si riesce a ridurre in modo efficace es-

sendo un ostacolo molto duro da rimuovere e quindi abbiamo, purtroppo,

sempre più infortuni nell’anno.

Abbiamo, mediamente, tre lavoratori che muoiono ogni giorno sul posto

di lavoro e abbiamo lavoratori che subiscono invalidità permanenti nella

misura di circa 30.000 all’anno, quindi sono dati veramente impressionanti

che necessitano appunto di essere cambiati e direi che l’apporto del Go-

verno sia stato con un approccio assolutamente diverso rispetto al pas-

sato e che va nella direzione giusta. E va nella direzione giusta perché

intanto coinvolge le Regioni, non a cose avvenute ma nel momento in

cui si comincia a discutere come dovrà essere affrontato il problema e

quindi con particolare attenzione alla situazione estremamente grave.

Come già sottolineato in più occasioni è indubbiamente importante una

prevenzione più efficace ed efficiente nei luoghi di lavoro per la sicurezza

del lavoratore, il quale deve essere tenuto al centro dell’attenzione. Ma

con il nostro intervento abbiamo voluto anche affrontare una situazione

che interessa la tutela del lavoratore infortunato perché, purtroppo,

quando avviene un infortunio o un lavoratore contrae una malattia pro-

fessionale la tutela deve essere garantita ed assicurata come prevede la

Costituzione. Ma secondo noi ancora non si è fatto abbastanza per la tu-

tela del lavoratore infortunato.

Dal nostro punto di vista - e lo possiamo fare tranquillamente perché noi

non siamo catalogati di appartenenza a nessuna forza politica - diciamo

le cose come stanno, e quindi siamo in grado di vivere in modo molto

chiaro le situazioni che riguardano la tutela del lavoratore infortunato che

non viene affrontata con una dovuta attenzione, con la dovuta tutela e

le dovute garanzie. E qui chiamiamo in ballo il nostro attuale Governo che,

rispetto al precedente, si è mosso e si sta muovendo bene affinché si in-

tervenga con la Finanziaria in cui diversi provvedimenti sono stati inseriti

ma non ancora a sufficienza. Lo abbiamo detto, lo ribadiamo, ma qui c’è

tutto un discorso e un confronto in atto con il Governo perché è giusto

35Gian Paolo Patta

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dare rilievo a quanto non è stato ottenuto con il Governo precedente. In-

vece, con la scorsa finanziaria attraverso provvedimenti importanti sono

stati accolti alcuni dei problemi che riguardano gli infortuni sul lavoro.

Quanto al fenomeno delle malattie professionali è importante valutarne

l’andamento nel nostro Paese ma non basandosi solo sui casi effettiva-

mente indennizzati dall’INAIL o sul numero dei morti, che danno un’idea

dell’evoluzione della situazione ma non in ragione del costante aumento

dei lavoratori che subiscono patologie la cui causa è in qualche modo

connessa al lavoro e al luogo in cui esso viene svolto.

Sappiamo quanto sia difficile dimostrare il nesso di causalità tra le malat-

tie non tabellate e i sintomi avvertiti dal lavoratore.

L’INAIL, malgrado ciò, riconosce poco meno di 200 morti l’anno per ma-

lattie professionali mentre i dati mensili mostrano oltre 25.000 casi all’anno

di cui poco meno di 1.500 in agricoltura. Questi numeri ci dicono che le

malattie professionali non sono quindi un evento da sottovalutare nella

tutela e la sicurezza dei lavoratori in quanto non derivano, nella maggior

parte dei casi, da un evento improvviso e traumatico come può essere

l’infortunio sul lavoro, ma si tratta di mancanza di attenzione verso la sa-

lute dei lavoratori che sono esposti appunto ad agenti patogeni subdoli

e non facilmente evitabili.

Quel che c’è da dire nelle malattie professionali da lavoro sono dati meno

noti e approfonditi rispetto agli infortuni, tuttavia hanno un loro rilievo dato

che, nel complesso, il fenomeno rimane grave, anche perché è sempre

maggiore l’impiego di sostanze e prodotti meno noti e destinati ad au-

mentare il numero delle malattie definite non tabellate che devono essere

tenute sotto controllo e studiate per definire le patologie del futuro che in

realtà si rivelano attuali e presenti nella realtà di oggi e con maggiore gra-

vità. In effetti, alcuni tipi di malattie tendono a diminuire drasticamente

anche perché sono stati vietati i prodotti e le sostanze che le cagiona-

vano, adesso le sostituiscono altre malattie meno note il cui numero e la

cui entità appare, almeno dai dati disponibili, piuttosto rilevante.

Altrettanto spesso esse si distinguono per gravità come accade nei casi le

cui patologie tumorali insorgono dopo molti anni dal decorso della pen-

sione. Negli ultimi anni si è rivelato piuttosto elevato il numero delle malat-

tie da lavoro denunciate e non riconosciute pertanto andrà considerato

36 Gian Paolo Patta

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in futuro anche questo aspetto per capire quali siano le ragioni del feno-

meno e come esso debba essere considerato anche in relazione al rico-

noscimento del danno biologico.

Per questa iniziativa siamo grati all’ANMIL di aver contribuito in questo

modo perché pur nel rispetto degli elevati pareri scientifici che vanno

nella direzione favorevole all’INAIL, potrei trovarne di altrettanto seri ed

accreditati che contengono esattamente il contrario: valga per tutti il la-

voro svolto recentemente da studiosi sul rapporto tra patologie tumorali e

ambiente di lavoro.

Naturalmente secondo l’INAIL prevalgono infatti malattie croniche che si

trasformano in malattie neoplasiche e, più in generale, in tumori multifatto-

riali riconducibili a fattori di nocività o di dannosità nei quali si potrebbe in-

dividuare un’origine anche al di fuori degli ambienti di lavoro oppure in

fattori genetici. Quanto al flusso procedurale nella valutazione delle do-

mande per il riconoscimento di malattie professionali l’istituto assicurativo

ritiene opportuno richiamare una circolare che tratta alcuni principi di na-

tura sostanziale al fine di garantire una uniforme applicazione nel rispetto

di una omogenea valutazione del danno e dell’invalidità.

Dunque si legge nella circolare: la presenza nell’ambiente lavorativo di

fattori di nocività, quando non sia possibile riscontrare con certezza le con-

dizioni dell’ambiente lavorativo all’epoca dello svolgimento del lavoro e

dunque le condizioni di esposizione al rischio, può desumersi un elevato

grado di probabilità dalla tipologia delle lavorazioni svolte, dalla natura di

macchinari presenti nell’ambiente di lavoro e dalla durata della presta-

zione lavorativa. Pertanto, la valutazione dell’efficienza causale degli

agenti patogeni va effettuata non in astratto ma in concreto e cioè con

riferimento alle condizioni fisiche del singolo lavoratore.

L’ANMIL ritiene invece che nel caso delle malattie professionali ci sono al-

cuni ostacoli legati in parte al processo di definizione: i punti critici riguar-

dano le obiettive difficoltà a raffrontare il riconoscimento del legame

causa-effetto tra malattie e attività lavorative nelle patologie per que-

stioni multifattoriali. Talvolta esiste una certa diffidenza del mondo clinico

a riconoscere quelle che sono le vittime di malattie professionali anche

nei casi in cui tale legame è stato sospettato o riconosciuto. Né si può ne-

gare che il tempo necessario per concludere l’iter amministrativo dei casi

37Gian Paolo Patta

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denunziati è spesso lungo: il completamento avviene solo dopo diversi

anni e la percentuale significativa ottenuta in almeno cinque anni.

Sono disponibili i dati di denunce pervenute per ricordare le quali è suffi-

ciente la diagnosi presunta di malattia professionale.

Inoltre i criteri adottati rispondenti ai fini assicurativi non sempre coinci-

dono con le definizioni diagnostiche più appropriate.

Rispetto al passato è aumentata la quota di malattie professionali defi-

nite, sul totale di quelle denunciate (circa 80%).

La difficoltà di categorizzazione per tipologia di malattia professionale ha

subito nuovamente un cambiamento riguardante il riconoscimento dei tu-

mori, in aumento in termini assoluti ma stabili in termini di riconoscimento

percentuale; le ipoacusie, le dermatiti e l’asma sono in calo in termini per-

centuali, mentre si rileva un leggero incremento delle malattie non tabel-

late. In ogni caso il numero complessivo di ipoacusie, tumori considerando

sia le malattie tabellate sia le non tabellate, continua ad essere significa-

tivo. Inoltre raggiunge ormai una quota davvero considerevole, circa un

terzo, il numero di patologie delle quali spetta al lavoratore l’onere di di-

mostrare la correlazione tra le caratteristiche del lavoro svolto e la malat-

tia dalla quale è stato colpito e si tratta naturalmente di un aspetto sul

quale si deve attentamente riflettere.

Se si osserva poi il genere di patologie indennizzate, le malattie non tabel-

late si attestano al 33%, seguono quindi i tumori 24%, le dermatiti 14% e le

ipoacusie 12%. La rilevante percentuale di patologie definite come non

tabellate rispecchia quanto segnalato dalla letteratura: ai primi posti per

frequenza, vi sono le malattie dovute a sovraccarico biomeccanico e i

tumori professionali. Davanti a casi così tanto eclatanti l’ANMIL si pone

oggi il problema di definire procedure di accertamento più rapide e so-

prattutto misure di sorveglianza sanitaria di prevenzione e sicurezza che

diano maggiore certezza della tutela della salute dei lavoratori e mag-

giore efficienza delle prestazioni assicurative.

Diciamo dunque che le malattie professionali sono un’emergenza asso-

luta soprattutto nel settore dell’agricoltura e riteniamo perciò di dover in-

tervenire per tempo prima che il fenomeno possa sfuggire al controllo.

Ci auguriamo che sia il Ministero che l’INAIL possano essere in grado di

elaborare in breve tempo specifiche forme di prevenzione, di sicurezza e

38 Gian Paolo Patta

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di tutela per questa particolare minaccia alla salute dei lavoratori.

Ci auguriamo inoltre che ci possa essere una possibilità di elaborare un

testo unico che tenga conto appunto di tutto ciò che riguarda il pro-

blema della prevenzione e sicurezza sui luoghi di lavoro nel nostro Paese.

E poi il problema delle malattie professionali va altrettanto messo in evi-

denza perché è altrettanto preoccupante l’effetto nocivo che investe

sotto questo aspetto i lavoratori nel nostro paese.

Diciamo che adesso tocca al legislatore dare concretezza alla questione

anche sulla base delle istanze che provengono dall’ANMIL.

39Gian Paolo Patta

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Enrico Rossi - Ass. Diritto alla Salute Regione Toscana

Il Decreto 626 ha rappresentato un salto di qualità nell’ambito della nor-

mativa in materia di prevenzione nei luoghi di lavoro ponendo al centro

del processo di prevenzione il datore di lavoro, con i suoi collaboratori,

non più come mero esecutore di norme bensì come artefice del processo

stesso. Ha valorizzato il ruolo partecipativo dei lavoratori e delle forze so-

ciali, inducendo una sempre maggiore sensibilità del mondo delle profes-

sioni tecniche verso le tematiche della tutela della salute dei lavoratori.

Le Regioni e le Province Autonome, cogliendo la portata fortemente inno-

vativa di questa legge hanno, sin dall’inizio, potenziato l’azione di infor-

mazione e di assistenza alle imprese da parte dei Servizi di Prevenzione

delle Aziende Sanitarie Locali, nella convinzione che, accanto alle attività

di vigilanza e controllo, fosse necessario favorire la crescita di una solida

attenzione e strutturazione della prevenzione.

Particolare attenzione è stata dedicata alle micro-imprese meno prepa-

rate ad accogliere le trasformazioni indotte dal Decreto 626, soprattutto

sotto il profilo dell’organizzazione della prevenzione.

Con questo orientamento le Regioni hanno realizzato numerose iniziative

innovative, in particolare la definizione di indirizzi applicativi omogenei ai

Servizi di prevenzione di tutte le Aziende sanitarie, la definizione di “linee

guida” metodologiche e buone prassi, in collaborazione con le altre Istitu-

zioni per la prevenzione e le parti sociali, l’attivazione di specifici “sportelli in-

formativi”, anche telematici, e di “numeri verdi”, con interventi di sostegno

alla formazione e informazione dei vari soggetti del sistema di prevenzione

e con iniziative di assistenza e di incentivazione verso le imprese, soprattutto

le micro-imprese, anche con la gestione di fondi regionali ed europei.

Voglio ricordare anche il progetto di “Monitoraggio sull’applicazione del

626” realizzato dalle Regioni e dalle Province Autonome, unico nel suo ge-

nere in Italia e in Europa per spessore qualitativo e dimensione territoriale,

con una connotazione non solo conoscitiva ma soprattutto di confronto

del Servizio pubblico con le imprese, di verifica dell’impatto della norma-

tiva sulle stesse e di stimolo al miglioramento.

Significativo, sin dalla sigla del protocollo d’intesa del luglio 2002, è il con-

tributo al cambiamento dei rapporti con gli Istituti Centrali (INAIL e ISPESL),

41Enrico Rossi

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attraverso una collaborazione tecnico-scientifica ed una organizzativa

che stanno portando l’Italia ad avere, per la prima volta, a disposizione un

sistema informativo realmente utile per la programmazione di attività di

prevenzione sulla base dell’analisi dei bisogni e la possibilità, nel tempo, di

verificarne l’efficacia.

Proprio il pressante impegno delle Regioni e Province Autonome, in siner-

gia con INAIL ed ISPESL, ha permesso di evidenziare queste come priorità

all’interno delle linee attuative del Piano Nazionale della Prevenzione pre-

visto dall’accordo Stato Regioni del 23 marzo 2005 e all’interno del Piano

Sanitario Nazionale 2006-2008.

Un più ampio sviluppo della collaborazione tra questi soggetti istituzionali

e i Ministeri competenti potrà portare alla realizzazione di un Osservatorio

nazionale dei rischi e dei danni da lavoro.

Tuttavia i ritardi per una riforma efficace ed incisiva a tutela di un lavoro

più sano e sicuro sono evidenti, così come sono evidenti anche gli ostacoli

frapposti alla piena attuazione del dettato della legge di riforma sanita-

ria (L. 833/78), la mancata omogeneità dei comportamenti delle varie Isti-

tuzioni nonché i continui tentativi di frammentazione delle competenze

istituzionali e di ritorno al passato mai abbandonati.

Non è con il ritorno al passato né ignorando il molto che è stato prodotto

in questi anni che si colmano queste lacune, ma con una ricerca degli

strumenti più adeguati per affrontare problemi vecchi e nuovi in contesti

che hanno subito profonde trasformazioni in questi ultimi anni.

Ed è in quest’ottica che le Regioni si pongono per apportare il loro fattivo

contributo al dibattito in corso, formulando concrete proposte di lavoro

che nascono dall’esperienza di questi anni e ricercando sinergie con tutte

le componenti in campo.

L’impegno dovrà essere quello di passare dalla fase comunque molto po-

sitiva dei piani regionali a veri e propri piani nazionali coordinati: il primo

esempio in fase di avanzato allestimento è proprio la definizione di una

Campagna nazionale di prevenzione in edilizia, cioè nel settore che quasi

ovunque rappresenta la principale priorità di rischio, almeno dal punto di

vista infortunistico, e sul quale tutte le Regioni dovranno misurarsi con unità

di obiettivi, di intenti, di metodologie, di azioni.

E’ evidente, inoltre, a tutti noi la necessità improrogabile di elaborare in

42 Enrico Rossi

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tempi brevi un nuovo testo unico per la prevenzione della salute e sicu-

rezza nei luoghi di lavoro, previsto sin dalla citata legge 833 del 1978,

come è altrettanto evidente che il metodo da seguire debba essere di-

verso rispetto a quello infelicemente perseguito dal precedente governo.

Le premesse oggi sono decisamente migliori in termini di volontà di condi-

visione dei percorsi di confronto e costruzione di tale fondamentale stru-

mento legislativo, sia tra le istituzioni “concorrenti” sia tra queste e le parti

sociali. In questo senso, proprio sulla base della esperienza “di campo” dif-

fusa, seppur con conosciute ed evidenti differenze nelle aree del territo-

rio nazionale, stiamo fornendo un contributo significativo ai Ministeri che

debbono predisporre la legge delega.

Ritengo a riguardo che, per un reale governo della prevenzione sul terri-

torio, sia necessario confermare e rafforzare il ruolo dei Comitati regionali

di coordinamento previsti dall’art. 27 del Decreto 626/94 con il coinvolgi-

mento diretto delle parti sociali e con il mondo degli Organismi Paritetici,

associando, alla funzione di indirizzo dell’attività di vigilanza e di promo-

zione della salute e della sicurezza, anche una funzione regionale di con-

ferenza permanente dei servizi.

Questo vuol dire realizzare un’azione coordinata di politica della preven-

zione, attuando un sistema permanente di confronto e collaborazione tra

governo centrale, governi regionali, Istituti centrali e Parti sociali teso alla

definizione di indirizzi e standard minimi di interventi e risorse, alla concretiz-

zazione di iniziative coordinate, in logiche di pianificazione e verifica del-

l’efficacia. In questo ambito si ritiene vada coordinato il tema della

sicurezza del lavoro con quello del contrasto al lavoro irregolare, poten-

ziando gli specifici ruoli rispettivamente delle strutture dei Servizi Sanitari

Regionali, delle Direzioni del Lavoro e degli Istituti previdenziali e assicura-

tivi, evitando sovrapposizioni di ruoli. In questa crescita della cultura della

prevenzione e sicurezza del lavoro bisogna partire dal mondo della

scuola, prevedendo l’introduzione di tale insegnamento. A tal proposito,

come non ricordare esperienze e progetti regionali esemplari, come

quelle di “Sicurezza in cattedra”, i cui risultati più significativi verranno pre-

sentati nei prossimi mesi in un convegno nazionale organizzato dal coor-

dinamento tecnico delle regioni. La scuola rappresenta un investimento

prezioso per il futuro e in questo caso anche l’opportunità per affermare

43Enrico Rossi

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che salute e lavoro non sono diritti concorrenti: al contrario, la loro sintesi

è misura della civiltà di un sistema.

Va diffondendosi la convinzione che la tutela della salute nei luoghi di la-

voro rappresenti un fattore limitante per la crescita economica del Paese,

che i tempi e i costi della prevenzione riducano la competitività delle nostre

imprese. Queste affermazioni, facilmente smentibili nei numeri - basti pen-

sare ai costi sociali sostenuti ogni anno dalla collettività per infortuni e ma-

lattie professionali che sono stati anticipati nel corso della prima giornata

della Conferenza - rappresentano una deriva culturale che la classe po-

litica e le forze sociali insieme devono impegnarsi a superare, censurando

datori di lavoro inadempienti ma anche sostenendo chi vuole emergere

a favore della regolarità, pretendendo efficacia e trasparenza dall’azione

degli organi di vigilanza.

Infatti una corretta politica di prevenzione non può essere affrontata in

maniera episodica e settoriale, ma richiede una forte azione integrata di

tutte le componenti, a cominciare da quelle strategiche e gestionali delle

imprese, dove la sicurezza si coniuga con la qualità e la produttività, e

quella delle Istituzioni, dove devono essere operate scelte coerenti di so-

stenibilità dello sviluppo economico-produttivo, di aumenti e qualifica-

zione dell’occupazione, di pieno rispetto e tutela del diritto alla salute dei

lavoratori. A questo proposito credo sia opportuno richiamare un forte im-

pegno di tutte le componenti, datori di lavoro, sindacati e rappresentanti

delle categorie imprenditoriali per completare la rete degli RLS, far diven-

tare questa figura un vero protagonista del sistema di prevenzione e non

solo un destinatario di soli obblighi informativi. Ma accorre fare di più e

meglio: le istituzioni possono e devono attivarsi per incidere positivamente

sulla valorizzazione di questa figura chiave nella gestione della sicurezza

e salute sui luoghi di lavoro. Sono i rappresentanti dei lavoratori e i lavora-

tori stessi che possono fornire indicazioni preziose su cui orientare le azioni,

crescere con il sistema produttivo e con il sistema confrontarsi.

Ritengo oggi importante sottolineare il ruolo svolto dai Dipartimenti di pre-

venzione delle Regioni come funzione di “ascolto” e assistenza verso i la-

voratori e i loro rappresentanti. Sono inoltre convinto che, come si sta già

facendo per i Responsabili dei Servizi di Prevenzione e Protezione aziendali,

i Medici competenti e gli stessi Rappresentanti dei lavoratori, bisogna po-

44 Enrico Rossi

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tenziare l’attenzione verso tutti i datori di lavoro in termini di competenza

e professionalità, tramite un processo formativo idoneo ed adeguato alle

trasformazioni in atto nel mondo del lavoro.

Su questi importanti temi è doverosa una assunzione di responsabilità e

tutte le parti coinvolte, ciascuno per quanto attiene alla propria sfera di

intervento, devono riavviare un confronto reale per dare risposte efficaci

ai bisogni dei lavoratori e del mondo della produzione ed affermando con

forza un diritto al lavoro non disgiunto dal diritto alla salute.

45Enrico Rossi

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Jaqueline Monica Magi - Giudice del lavoro (Livorno)

Parlerò della problematica relativa a malattie professionali e amianto, ma

in particolare mi soffermerò su una recente sentenza riguardante la L.

257/92 relativa al riconoscimento all’esposizione all’amianto ai fini del pen-

sionamento anticipato. Allo stato attuale relativamente all’esposizione al-

l’amianto vi sono tre livelli di azione giudiziaria e la sentenza che spiegherò

potrà portare chiarezza fra questi livelli.

Il primo stadio è la richiesta di natura prettamente previdenziale ai sensi

della L. 257/92, volta ad ottenere il riconoscimento dell’esposizione ai fini

del pensionamento anticipato e beneficiando del moltiplicatore previsto

dalla legge, azione che si fa contro l’INPS.

Altra azione possibile si configura contro l’INAIL per il risarcimento del

danno da malattia professionale in tutti i casi in cui si manifesti asbestosi o

altra patologia correlata all’amianto eziologicamente collegata al lavoro.

Classico il caso dell’asbestosi o quello del mesiotelioma pleurico in chi ha

svolto lavorazioni a contatto con l’amianto.

Terza possibilità che si giunga all’azione penale per i reati di lesioni col-

pose o omicidi colposi con vittime i lavoratori esposti all’amianto a carico

dei datori di lavoro o degli ex datori di lavoro.

Non molti i processi penali fatti ai datori di lavoro, moltissimi invece i ricorsi

previdenziali per il riconoscimento del moltiplicatore della pensione.

All’azione di richiesta di risarcimento per malattia professionale si sta ag-

giungendo, in pochi casi per ora e direi casi pilota in Italia, l’azione per il

riconoscimento del danno causato dalla paura di ammalarsi, danno bio-

logico, psichico e alla vita di relazione.

Rare invece le azioni penali per violazione delle norme poste a preven-

zione malattie professionali poiché in teoria l’amianto dovrebbe essere

fuori uso dal 1992 e quindi o assente o bonificato.

Purtroppo storicamente si è fatta confusione fra questi tre livelli e la L. 257/92,

che avrebbe una ratio soltanto previdenziale è stata reinterpretata in que-

sti anni alla luce della L. 277/91, che ha invece valenza di prevenzione in-

fortuni e malattie professionali. La confusione fra queste due leggi, con

finalità totalmente diverse, ha creato moltissime difficoltà nel riconosci-

mento dei benefici della L. 257/92.

47Jaqueline Monica Magi

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I benefici previdenziali di cui alla L. 257/92 vengono riconosciuti sulla base

di requisiti sanitari riconosciuti da medici legali o medici del lavoro (cioè co-

loro che vengono nominati consulenti tecnici dal giudice del lavoro, che è

l’organo giudiziario competente, o che forniscono la consulenza all’INAIL,

organo competente al riconoscimento in via amministrativa) che calco-

lano l’avvenuta esposizione per dieci anni secondo i parametri di cui alla L.

277/91. Nella L. 257/92 però non si parla di quei parametri, la legge si rife-

risce ai parametri di cui alla L. 277/91 solo all’art. 3 con funzione preven-

tiva, cioè stabilisce che per il futuro non potranno essere superati i

parametri della L. 277/91. Rispetto agli esposti però non ha una finalità sa-

nitaria preventiva ma di altro genere, legata ad un risarcimento a quei la-

voratori che si vedevano privare del loro lavoro a causa della messa al

bando dell’amianto. Il passare del tempo ha fatto dimenticare la finalità

restituiva della legge e l’ha legata a parametri sanitari non suoi propri.

La sentenza n.1243/2006 della Corte d’Appello di Firenze, datata 26.09.06,

è altamente innovativa sul piano previdenziale e recepisce la separazione

e la differenza fra le due leggi, la 257/92 e la 277/91. Afferma la sentenza

che il collegio non condivide l’opinione della Cassazione ove chiede che

vi sia esposizione ai sensi della L. 277/91 per riconoscere il diritto al moltipli-

catore mentre ritiene di applicare il principio “secondo il quale l’esposi-

zione sufficiente si debba identificare con quella apprezzabile in termini di

differenziazione da quella cui è soggetta la popolazione generale”. Ciò

per una serie di motivi. Specifica la Corte d’Appello che la L. 257/92 non

prevede una soglia di rischio, che è stata invece introdotta con la riforma

del 2003. Non averla espressamente prevista esclude che la si possa recu-

perare in via analogica, anche perché quando ha voluto, come nel 2003,

il legislatore ha ancorato i benefici previdenziali ad una soglia di rischio.

Non solo: per l’indennizzabilità da parte dell’INAIL delle malattie profes-

sionali, ove legate all’esposizione all’amianto, non è prevista una soglia di

rischio. La Corte àncora la finalità risarcitoria della legge del 1992 anche

al ritardo con il quale il legislatore italiano ha affrontato il problema

amianto, la cui potenzialità morbigena era conosciuta fin dagli anni ’30

negli USA e dagli anni ’50 in Italia e a fronte di una normativa europea del

1983 l’Italia interviene solo nel 1992 a disporre l’abbandono dell’amianto.

Si tenga conto che richiedendo, ai fini della concessione dei benefici pre-

48 Jaqueline Monica Magi

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videnziali, il superamento di una soglia di rischio si costringono i CTU a cer-

care di ricostruire cicli di lavorazione vecchi di anni e cercare dati che

spesso non sono ricostruibili, anche perché prima del 1992 le aziende non

facevano rilevamenti né prestavano attenzione all’uso dell’amianto, per

cui molti dati non esistono né sono mai esistiti.

Questo provoca situazioni di mancanza di tutela previdenziale per tutti

quei lavoratori per i quali non è possibile ricostruire un valore soglia, a

meno che non si ricorra all’apprezzabile esposizione di cui alla sentenza

della Corte d’Appello di Firenze, che può sanare molte situazioni di ingiu-

stizia sostanziale.

Non resta ora che attendere come sarà accolta questa sentenza non

solo dal Giudice di legittimità ma anche dai giudici di merito, dai giudici

di primo grado che, nel diritto del lavoro, creano giurisprudenza vivente

quasi al pari delle più alte Corti.

Intanto mi auspico che questa sentenza porti ad un chiarimento anche

nelle pronuncie contro l’INAIL per malattie professionali, ed ovviamente

nelle rare pronunce penali, perché risulta chiaro e chiarito che la valuta-

zione dell’esistenza di una malattia professionale eziologicamente colle-

gata all’amianto è indipendente dal calcolo dei valori-soglia, poiché non

vi è aggancio alla L. 277/91 e ai suoi valori al fine della valutazione della

malattia professionale. Negare che un mesotelioma pleurico è riconduci-

bile all’amianto perché non è possibile ricostruire i valori di esposizione in

una realtà lavorativa sarà molto più difficile. Ai fini risarcitori INAIL e penali

occorre ancorarsi al nesso causale tra esposizione e malattia, ricostruire

l’ambiente di lavoro e la malattia e la correlazione fra loro ma senza ca-

dere nelle sterili ed impossibili, per il passato, misurazioni della L. 277/91.

49Jaqueline Monica Magi

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Andrea Innocenti - Resp. U.F. Madicina del lavoro (ASL 3 Pistoia)

Come messo in evidenza dai primi rapporti dell’Osservatorio Provinciale

Sicurezza e Salute nei Luoghi di Lavoro (tab. 1) le malattie professionali de-

nunciate, definite e indennizzate presso l’INAIL di Pistoia dal 1999 al 2005

(limitatamente al settore Industria Artigianato Commercio e Servizi) sono

in lieve costante diminuzione. Tuttavia se l’analogo fenomeno di lieve e

costante diminuzione nel tempo degli infortuni sul lavoro deve essere con-

siderato positivamente, relativamente alle malattie professionali sorge in-

vece il sospetto che vi sia una larga sottodenuncia. In effetti i dati

disponibili (regionali e nazionali) hanno dimostrato che quando i servizi di

prevenzione hanno messo in atto iniziative di “ricerca attiva” delle malat-

tie professionali sono state identificati molti casi di malattie sommerse.

Ed in questo senso va appunto interpretato l’aumento delle malattie de-

nunciate all’Ente assicuratore a partire dal 2001, che corrisponde al pe-

riodo in cui la USL 3 pose in atto un intervento sanitario nei confronti di

ex-esposti ad amianto di due aziende della provincia che portò alla iden-

tificazione di numerosi casi di patologia legata alla predente esposizione

lavorativa. Va da sé che, trattandosi in buona parte di placche pleuriche

(indennizzate come danno biologico), il considerevole aumento delle de-

nunce non corrispose ad un analogo e parallelo aumento di malattie in-

dennizzate. Nel tentativo di analizzare le differenti tipologie di malattia

professionale definita con indennizzo presentatesi in provincia è opportuno

fare alcune considerazioni sia su quelle maggiormente rappresentate, che

su quelle meno. Le malattie non tabellate risultano il gruppo di malattie

più indennizzato; in effetti non è dato di sapere di quali malattie si tratti, tut-

tavia dai report INAIL - Regione Toscana emerge che sono principalmente

rappresentate da ipoacusia da rumore e da patologie muscolo-scheletri-

che correlate al lavoro (tendinite, sindrome da tunnel carpale, affezioni

dei dischi intervertebrali, etc.). Queste ultime malattie da sovraccarico

biomeccanico sono la seconda causa di malattia professionale in To-

scana, ma dati precisi sulla provincia non sono disponibili in quanto nel

sito internet bancadati.INAIL vengono appunto inglobate nel grande

gruppo “malattie non tabellate” ed anche i dati ricavabili dall’archivio

MALPROF della USL sono scarsamente utilizzabili in quanto i due sistemi in-

51Andrea Innocenti

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52 Andrea Innocenti

formativi rappresentano due sistemi paralleli non sovrapponibili. Se dati

precisi non sono disponibili, si può tuttavia ragionevolmente ritenere che

anche nella provincia di Pistoia tale distribuzione non si discosti molto da

quella rilevata a livello regionale. L’ipoacusia da rumore continua ad es-

sere, come in tutta Italia, la più frequentemente denunciata e, se teniamo

conto di quanto detto per le malattie non tabellate, si può dire che il ru-

more, a distanza di 15 anni dalla entrata in vigore del D. Lgs. 277/91, non

può considerarsi una esposizione del passato e rappresenta un rischio an-

cora non sufficientemente tenuto sotto controllo.

Relativamente alle neoplasie da asbesto molta attenzione è stata posta

alla presenza in provincia di due clusters di mesoteliomi pleurici insorti in la-

voratori di 2 industrie metalmeccaniche (una di rotabili ferroviari ed una di

produzione di macchine asciugatrici per il settore tessile e cartario) in cui

oltre 25 anni fa era stato utilizzato amianto per la coibentazione e che

hanno impegnato, come già detto, la USL con i suoi servizi di prevenzione,

la pneumologia e la radiologia in un intervento di assistenza agli ex espo-

sti, mentre altri casi sono insorti in addetti alla cernita di stracci (collegati

alla industria tessile pratese). E’ indubbio che la patologia sia grave, ma

è legata ad esposizioni pregresse nel tempo di alcuni decenni per le quali

non è possibile fare alcuna attività di prevenzione, mentre è moralmente

obbligatorio mettere in atto un percorso di assistenza agli ex-esposti se-

condo quanto previsto dalla delibera G.R.T. n. 692 del 26 giugno 2001

“linee di indirizzo su sorveglianza sanitaria dei lavoratori ex esposti a can-

cerogeni occupazionali”

Passando invece ai problemi su cui è necessario intervenire con azioni di

approfondimento c’è da dire che anche a Pistoia, come nel resto della

Toscana e dell’Italia, vi è una notevole sottostima dei casi di asma profes-

sionale. Infatti i lavoratori in provincia (secondo i dati del censimento ISTAT

2001) sono 104.343 e se consideriamo fra questi una prevalenza dell’asma

del 5% possiamo stimare che circa 5200 lavoratori siano asmatici. Se te-

niamo conto che uno studio finanziato dalla Comunità Europea (l’Euro-

pean Community Respiratory Health Survey) ha messo in evidenza che nel

4-10 % degli asmatici la malattia ha rapporti con il lavoro possiamo anche

stimare che dovremmo riscontrare circa 200-520 casi di asma collegata

con il lavoro. A questo punto appare perlomeno sorprendente che dal

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1995 al 2002 l’INAIL abbia indennizzato solo 3 casi. Indubbiamente in parte

ciò è sicuramente legato da un lato ad una sottovalutazione della malat-

tia e dall’altro, altrettanto certamente, ad una mancata denuncia e se-

gnalazione della stessa agli organi preposti.

Infatti, come ha recentemente ricordato la stessa Regione Toscana nella

presentazione del quinto report della Azione Programmata LE MALATTIE

PROFESSIONALI (novembre 2006) “i dati di questo quinto anno confer-

mano la stabilizzazione del fenomeno della marcata sottonotifica ai Ser-

vizi di Prevenzione delle A.UU.SS.LL. delle denuncie di M.P., che pure

dovrebbero arrivare per obbligo di legge. Si hanno quindi tutti gli elementi

per considerare sistematico e grave il deficit informativo sul fenomeno

delle malattie professionali da parte dei Servizi di Prevenzione preposti

nelle A.UU.SS.LL. della nostra regione”. I dati relativi alla provincia di Pistoia

presentati in tab. 2 confermano appunto questo fenomeno di notevole

sottosegnalazione alle USL di malattie professionali certe o anche solo so-

spette. Un altro problema meritevole di indagine è dato dal fatto che

mentre in Italia gli adenocarcinomi nasali (rarissimo tipo di tumore profes-

sionale che insorge in lavoratori esposti a polvere di cuoio e legno che, per

le dimensioni granulometriche delle particelle stesse, si fermano nel naso)

indennizzati dall’Ente assicuratore sono in prevalenza in esposti a polvere

di legno, in Toscana abbiamo una sostanziale uguaglianza, mentre in pro-

vincia di Pistoia abbiamo una prevalenza di casi insorti in esposti a polveri

di cuoio (tab. 3). Questo potrebbe essere legato allo sviluppo che ha

avuto l’attività calzaturiera nella Val di Nievole, particolarmente in pas-

sato, ma sono necessari degli approfondimenti in tal senso.

In conclusione appare necessario, come anche affermato dalle “linee

guida tecniche ed etiche per la sorveglianza sanitaria dei lavoratori” del-

l’Ufficio Internazionale del Lavoro nel 1977, che le visite mediche e gli ac-

certamenti sanitari non siano condotti come assolvimento routinario ad

obblighi di legge, ma diventino invece un momento qualificato di preven-

zione in cui il medico competente dell’azienda, il servizio di prevenzione

della USL, il medico curante del lavoratore rivestano il ruolo di principali,

ma non unici, attori ed inizino a costruire assieme quella rete di rapporti fra

strutture sanitarie, assicurative, assistenziali etc. necessaria per il migliora-

mento delle condizioni di lavoro e della salute dei lavoratori.

53Andrea Innocenti

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54 Giuseppe Battista

Malattie professionali denunciate definite e indennizzate all’INAIL di Pistoiadalle aziende per il settore Industria Artigianato Commercio e Servizi

Tab 1

Segnalazioni/Referti USL Denunce INAIL2001 108 1912002 206 2422003 142 1842004 114 1972005 137 183

Confronto dei sistemi informativi MAL.PROF.e flussi INAIL/ISPESL/Regioni relativamente alla provincia di Pistoia

Tab 2

Adenocarcinomi nasali ‘95 ‘96 ‘97 ‘98 ‘99 ‘00 ‘01 ‘02 ‘03 ‘04 ‘05DA POLVERE DI CUOIO

Italia 4 5 8 7 8 16 3 10 9 8 8Toscana - 3 7 2 3 6 2 3 4 2 -Pistoia - - 2 2 - - - 1 - - -DA POLVERE DI LEGNO

Italia 12 18 14 6 22 19 23 27 25 20 13Toscana 1 3 2 - 5 4 5 1 2 1 3Pistoia - 1 - - - - - - 1 - 1

Casi di adenocarcinoma nasale indennizzati dall’INAILin Italia, Regione Toscana e provincia di Pistoia nel periodo 1995-2005

Tab 3

Malattie Professionali 1999 2000 2001 2002 2003 2004 2005Denunciate 80 94 191 242 184 197 183Definite 80 94 191 242 184 197 172Indennizzate 30 38 35 43 37 27 28Inab. temporanea 2 5 8 9 5 2 1Inab. permanente 24 31 24 31 31 23 27morte 4 2 4 3 1 2 -

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Giuseppe Battista - Università di Siena - Medicina preventiva lavoratori

1) Lavoratori immigratiI lavoratori immigrati rappresentano sicuramente oggi, anche in Italia, unelemento, per quanto necessario allo sviluppo economico del paese (1),altrettanto precario, esposto ai più diversi rischi e ricatti di natura socio-ambientale e, in larga misura, "debole".Il lavoro, tuttavia, costituisce il vincolo che legittima la loro presenza sulterritorio italiano; la loro regolarizzazione è possibile solo con rapporti di la-voro subordinato, a tempo indeterminato o determinato con la durataminima di un anno (tabella n. 1 e n. 2).

55Giuseppe Battista

Tipo di contratto %Permanente 35,9A tempo determinato 48,7Part time 11,3Formazione lavoro 4,1TOTALE 100

Lavoratori extracomunitari avviati per tipo di contratto (anno 1999)Fonte: Ministero del Lavoro

Tab 1

Qualifica %Operaio generico 77,3Operaio qualificato 17,9Operaio specializzato 2,7Impiegato 2,1TOTALE 100

Lavoratori extracomunitari avviati per qualifica del lavoro (anno 1999)Fonte: Ministero del Lavoro

Tab 2

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Le tabelle n. 4 e n. 5 sono relative agli infortuni sul lavoro rispettivamentedenunciati e mortali avvenuti nel biennio 2004-2005.

Per quanto riguarda le malattie professionali, i primi dati INAIL sono ripor-tati in tabella n. 6.

2) Il lavoro delle donneLa principale occupazione delle donne in Italia rimane tuttora quella del la-voro domestico, spesso aggiuntivo rispetto a quello professionale esterno. Latabella n. 7 riporta i dati di una stima del fenomeno degli infortuni domesticicondotta in Italia dall'ISTAT, a confronto con gli infortuni sul lavoro e gli incidentistradali.

57Giuseppe Battista

Periodi Industria & Servizi Agricoltura TOTALEFebbraio 2004 68.360 5.178 73.538Febbraio 2005 65.614 4.761 70.375

Infortuni dei lavoratori extracomunitariper settore di attività (anni 2004-2005). Fonte: INAIL

Tab 4

Periodi Industria & Servizi Agricoltura TOTALEFebbraio 2004 68 13 81Febbraio 2005 65 5 70

Casi mortali per infortunio dei lavoratori extracomunitariper settore di attività (anni 2004-2005). Fonte: INAIL

Tab 5

Periodi Industria & Servizi Agricoltura TOTALEFebbraio 2004 2.139 95 2.234Febbraio 2005 2.070 104 2.174

Malattie professionali dei lavoratori extracomunitariper settore di attività (anni 2004-2005). Fonte: INAIL

Tab 6

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Secondo la legge 3/12/99 (5), tutti coloro che hanno i requisiti richiestidalla legge devono iscriversi e versare all’INAIL il premio annuo pari a euro12,91. Lo Stato provvede a versare il premio per coloro che hanno un red-dito annuo inferiore a euro 4.648,11 o un nucleo familiare con redditocomplessivo inferiore a euro 9.296,22. I requisiti richiesti dalla legge sono:- età compresa fra 18 e 65 anni;- il lavoratore svolge il lavoro domestico per cura della propria famiglia onell'ambiente in cui dimora e non svolge altra attività lavorativa soggettaad altre forme di assicurazione obbligatoria.Rientrano nella tutela della Legge le donne, gli uomini, gli studenti e i pen-sionati, sia italiani, che europei, che extracomunitari. Sono indennizzati gliinfortuni che comportano un'invalidità permanente maggiore o ugualeal 33% con rendita mensile esentasse per tutta la vita in misura proporzio-nale all'invalidità subita; non sono, invece, indennizzati gli infortuni mortali,le malattie, il danno biologico e gli infortuni occorsi fuori dal territorio ita-liano. La tabella n. 8 riporta il numero degli iscritti, delle richieste di presta-zione e i casi indennizzati dall'INAIL nel triennio 2001 - 2003.

58 Giuseppe Battista

ANNO 2002 ANNO 2001 ANNO 2002(Fonte INAIL) (Fonte ISTAT) (Stima ISTAT)Infortuni sul lavoro Incidenti stradali Infortuni domestici967.785 237.812 1.800.000

Casi mortali1.427 6.736 6.000

Stima del fenomeno infortuni domestici-infortuni sul lavoro-incidenti stradali

Tab 7

2001 2002 2003Iscrizioni 1.306.009 1.727.761 1.842.479Richiesta di prestazioni 383 798 407Casi in rendita 30 19 0

INAIL: iscrizioni, richiesta prestazioni, casi di rendita (anni 2001 - 2003)

Tab 8

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È evidente lo scarso numero delle prestazioni erogate a fronte della obbli-gatorietà della iscrizione. Il bilancio dell'assicurazione risulta inevitabil-mente in forte attivo.Alcune indagini da noi condotte in realtà specifiche (Ospedale "Le Scotte"di Siena) confermano l'incidenza elevata degli infortuni domestici. All’in-terno di questo gruppo forse occorre aggiungere almeno una parte delle"violenze altrui" (tabella n. 9).

2.1) Professioni "tipicamente" femminili sono quelle tradizionali "di aiuto".Le tabelle n. 10 e n. 11 riportano i dati riassuntivi delle principali patologieriscontrate nel personale infermieristico dell'ospedale di Siena (562 maschie 1.406 femmine). Degne di nota, come prevalenti nel sesso femminile,sono le patologie contrassegnate con "asterisco" (*).

59Giuseppe Battista

Causa Num.Infortunio sul lavoro 12.868Incidente stradale 10.994Incidente in ambiente domestico 6.499Violenza altrui 1.521Intossicazione 403Incidente sportivo 154Morso animale 11Altro tipo di incidente 166.318TOTALE 199.766

Episodi registrati presso la U.O.C.pronto soccorso (Siena) dal 1999 al 2005

Tab 9

Patologie nr. Maschi % Femmine %Tumori maligni 28 4 2,26 24 3,66

Dermatite da contatto 48 1 0,56 47 7,19

Principali patologie organiche riscontratenel personale infermieristico dell’Ospedale di Siena

Tab 10

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Occorre, inoltre segnalare come problemi di carattere psicologico "grave"(che hanno richiesto terapia specialistica) siano altresì presenti tra questelavoratrici (tabella n. 12).Verosimilmente, la sindrome del "Burn-out" (vedi tabella n. 13) rappresenta- per così dire - l'anticamera o sicuramente un fattore scatenante o con-causale delle patologie psichiatriche vere e proprie. Certamente, "l'esau-rimento emotivo" e la "depersonalizzazione" costituiscono la triste presa dicoscienza delle conseguenze di un lavoro che all'inizio era stato sicura-mente vissuto come capace di fornire occasione di elevata realizzazionepersonale.

60 Giuseppe Battista

Patologie nr. Maschi % Femmine %Scoliosi* 32 2 1,13 30 4,59Artrosi del rachide* 47 6 3,39 41 6,27Dislocazionedel disco invertebrale 146 31 17,50 115 17,50Sindromepostlaminectomia 3 3 0,46Entesopatiescapolo-omerali 24 2 1,13 22 3,36Sindromedel tunnel carpale* 16 2 1,13 20 3,05

Principali patologie osteo-articolari riscontratenel personale infermieristico dell’Ospedale di Siena

Tab 11

Patologie nr. Maschi % Femmine %Stati di ansiadepressione neurotica 28 2 1,13 26 3,97

Psicosi affettive 3 3 0,46

Principali patologie psichiche riscontratenel personale infermieristico dell’Ospedale di Siena

Tab 12

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3) ConclusioniNel nostro paese, la presenza dei lavoratori immigrati è in crescita co-stante e una società civile e moderna non può fare a meno del loro ope-rato. La loro formazione professionale e il loro inserimento nelle struttureproduttive non può prescindere dalle informazioni e dalle tutele che ven-gono fornite ai lavoratori autoctoni.Il lavoro delle donne include, spesso, sia il lavoro domestico che quellosvolto al di fuori dell'abitazione, perciò si può affermare che esse svolgonoun "doppio" lavoro. In base alla forte prevalenza di manodopera femmi-nile nel settore, sarebbe necessario migliorare e valorizzare le condizioni dilavoro soprattutto per quel che riguarda le professioni "di aiuto".

Bibliografia1. Ambrosini M. (1999), Utili invasori. L'inserto degli immigrati nel mercato del lavoro ita-

liano, Angeli, Milano.

2. Sestito P. (2002), Il mercato del lavoro in italia. Com' è, come sta cambiando, Laterza,

Roma-Bari.

3. Ambrisini M. (2002), Una risposta alla discriminazione e all'esclusione sociale: la forma-

zione professionale per gli immigrati stranieri, in Lucani A. (a cura di), Politiche del la-

61Giuseppe Battista

Maschi FemmineEsaurimento emotivo Basso 35 84

Medio 24 67

Alto 46 145

Depersonalizzazione Basso 26 125

Medio 37 69

Alto 42 102

Realizzazione personale Basso 22 66

Medio 33 77

Alto 50 153

Totale Infermieri 105 296

Numero di soggetti per sesso tra i dipendentinelle tre dimensioni del “burn-out”

Tab 13

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voro. Linee di ricerca e prove di valutazione, Angeli, Milano.

4. Berti F., de Vita R. (2001), Politiche attive per il lavoro e integrazione sociale dei sog-

getti deboli nella realtà senese, in "Sociologia del lavoro", n. 78-79.

5. Legge 3 dicembre 1999, n. 493: "Norme per la tutela della salute nelle abitazioni e isti-

tuzione dell'assicurazione contro gli infortuni domestici"; pubblicata nella Gazzetta Uffi-

ciale n. 303 del 28 dicembre 1999.

Priorità nella ricerca scientifica ed epidemiologica:legami con la prevenzioneBattista Giuseppe1, Barbagli Francesca2, Miceli Giovanni Battista 1, DeVuono Giulia1

1 Dipartimento di Farmacologia “G. Segre” - Università degli Studi di Siena2 Scuola di Specializzazione in Medicina del Lavoro - Università degli Studidi Siena

RiassuntoVengono esposte le linee programmatiche e metodologiche che dovreb-bero essere alla base dei progetti di ricerca applicata alla prevenzionedegli infortuni e delle patologie professionali.“Creare una nuova cultura non significa solo fare individualmente dellescoperte originali: significa anche e specialmente diffondere criticamentedelle verità già scoperte, “socializzarle”, per così dire e pertanto farle di-ventare base di azioni vitali, elemento di coordinamento e di ordine intel-lettuale e morale”.Recenti autorevoli richiami hanno sottolineato la necessità di incremen-tare la prevenzione nei luoghi di lavoro che deve tenere conto delle tra-sformazioni del lavoro in atto nel nostro paese, con particolare riguardo aifenomeni dell’immigrazione, del lavoro nero e del precariato (1).Esiste nel nostro paese un vasto patrimonio di conoscenze scientifiche e diattività di ricerca che devono essere valorizzate e ricondotte ad organi-cità di intervento; l’attività di controllo e di repressione da parte delle isti-tuzioni deve essere affiancata da proposte “di promozione e di sostegnoalla prevenzione” (2). Tali risorse, sono presenti anche nelle Università, chedevono nuovamente diventare istituzioni inserite nel mondo del lavoro esviluppare contatti abituali con il resto delle strutture di prevenzione, curae riabilitazione.L’interdisciplinarietà e la promozione delle attività di prevenzione primarianei luoghi di lavoro costituiscono un momento centrale in questo mo-

62 Giuseppe Battista

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mento particolare della vita sociale del nostro paese, che si caratterizza,tra l’altro, per scarsità di risorse economiche ed urgenza di problemi socialiirrisolti ed in via di tumultuosa evoluzione.Le urgenze “sociali” impongono al momento attuale di privilegiare la ri-cerca che fornisca risultati tangibili in breve termine (progetti obiettivo perambiti territoriali, per comparti produttivi o per problemi) e che prevedanoil coinvolgimento di tutte le strutture sanitarie del territorio e delle parti so-ciali, promuovendo il consenso e la partecipazione quali garanzie di cam-biamento e di capacità di intervento nel tempo (2).I piani di ricerca dovrebbero essere tendenzialmente uniformi su tutto ilterritorio nazionale, con specifici riferimenti ai problemi di particolari settoriindustriali o a problemi di interesse rilevante in determinati ambiti territoriali(infortuni mortali e gravi, tumori professionali, mesoteliomi e tumori polmo-nari da amianto, tumori vescicali, disagio lavorativo, “mobbing”, etc.).Una notevole attenzione deve essere riservata alla ricerca di soluzioni chegarantiscano il maggior livello possibile di tutela dei lavoratori disabili, siasul piano giuridico, che della riabilitazione e del reinserimento al lavoro enella società, senza trascurare i complessi aspetti del sostegno e della ca-pacità di recupero psico-sociale. Aspetti di particolare interesse, non sce-vri di difficoltà pratiche operative sono inerenti alla astensione della tuteladel lavoro degli extracomunitari (3). Argomenti emergenti che interessanol’intera comunità sono rappresentati dai temi della difesa della salute nellestrutture sanitarie, laddove l’obiettivo di “un ospedale sicuro” riguarda nonsolo la prevenzione delle malattie infettive (epatite C, AIDS, Tubercolosi,ecc.) (4, 5, 6), ma anche un livello di qualità superiore che comprenda gliaspetti psicologici dell’intera assistenza sanitaria (prevenzione del “Burn-out” (7), del fenomeno del Mobbing (8), ecc.); tale tematica non è estra-nea a quella dell’accreditamento e della certificazione delle strutturesanitarie (9).È necessario altresì che i programmi di ricerca riconoscano un orienta-mento uniforme di carattere nazionale, con le opportune integrazioni daparte delle strutture regionali e delle sedi universitarie. Tali programmi de-vono essere sottoposti a interventi di verifica “in progress”; devono esserefavoriti gli aspetti interdisciplinari, i prospetti multicentrici, quelli svolti in col-laborazione con le strutture del SSN e con le parti sociali.È chiaro che tali prospettive comportano un cambiamento sostanziale dimentalità e di direzione “politica” sia all’interno delle istituzioni di ricercache del governo e delle istituzioni dello stato. Anche i piani didattici che

63Giuseppe Battista

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sono inerenti al personale devono introdurre elementi di formazione al la-voro integrato e di gruppo. In sintesi, principi fissati nella Legge di RiformaSanitaria 833/78 (prevenzione, cura, riabilitazione, uniformati dalle presta-zioni sull’intero territorio nazionale, ecc.) (10) devono ritornare al centrodella vicenda sanitaria del nostro paese per quanto riguarda la ricercascientifica.

Bibliografia1. Berti A.: L’immigrazione straniera in Provincia di Siena. Protagon editori - Siena, 2004.

2. Sartorelli E., Battista G., Marri G., et al.: Trattato di Medicina del lavoro.

Piccin Editore - Padova, 1981.

3. Circolare INAIL n. 7 del 27 febbraio 2007: Lavoratori italiani operanti in Paesi extraco-

munitari: Assicurazioni obbligatorie non previste da accordi di sicurezza sociale. Retri-

buzioni convenzionali per l’anno 2007.

4. IARC Monographs on the Evaluation of Carcinogenic Risks to Humans: Hepatitis Viru-

ses. 201-202; vol. 59, 1994.

5. Decreto Ministeriale 28 Settembre 1990: “ Norme di protezione dal contagio profes-

sionale da HIV nelle strutture sanitarie ed assistenziali pubbliche e private”. Gazzetta Uf-

ficiale n. 235 del 8 ottobre 1990.

6. Linee guida per il controllo della malattia tubercolare, su proposta del Ministro della

Sanità, ai sensi dell’art. 115, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 31 marzo 1998,

n. 112.

http://www.ministerosalute.it/imgs/C_17_pubblicazioni_615_allegato.pdf - 21/03/07.

7. Douglas M.: Come percepiamo il pericolo (antropologia del rischio). Campi del sa-

pere, Feltrinelli 1991.

8. Gilioli R., Campanini P., Fichera GP., Punzi S., Cassitto MG.: Emergine aspects of psy-

chosocial risks: violence and harassment at work. Med Lav. 2006 Mar-Apr; 97(2):160-4.

9. Decreto Legislativo 19 giugno 1999, n. 229: "Norme per la razionalizzazione del Servi-

zio sanitario nazionale, a norma dell'articolo 1 della legge 30 novembre 1998, n. 419".

Gazzetta Ufficiale n. 165 del 16 luglio 1999.

10. Legge 23 di cembre 1978, n. 833 "Istituzione del servizio sanitario nazionale". Gazzetta

Ufficiale n. 360 del 28 dicembre 1978.

64

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Atti a curadell’Ufficio Comunicazione e Relazioni Esterne ANMIL

Direzione GeneraleTel. 06 54196201/5/8

Stampato nel 2008Tipografia Sograro Roma

Impaginazione e graficaEleonora Lo Nigro

Ufficio grafico ANMIL

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Sezione ANMIL di PistoiaVia Petrini, 10 - tel. 0573.22237

Numero Verde 800.864173www.anmil.it

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