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Convegno Modena 27 marzo 2015 La violenza sulle donne: aspetti giuridici, criminologici, psicologici e sociali «La tutela giudiziaria penale come mezzo di difesa dalla violenza di genere» Avv. Enrico Fontana [email protected] www.studioavvocatofontana.it

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Convegno Modena 27 marzo 2015

La violenza sulle donne: aspetti giuridici,

criminologici, psicologici e sociali

«La tutela giudiziaria penale come mezzo di

difesa dalla violenza di genere»

Avv. Enrico Fontana [email protected]

www.studioavvocatofontana.it

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LA VIOLENZA DI GENERE nel sistema penale italiano

Nell’ordinamento penale italiano, sia sostanziale che processuale, una serie di misure organiche volte e prevenire, reprimere e combattere la violenza contro le donne in tutte le sue forme (c.d. «violenza di genere») è stata introdotta con il decreto legge 14.08.2013, convertito nella legge 15 ottobre 2013, n. 119.

In precedenza l’Italia aveva ratificato la Convenzione di Istanbul del 2011 con la legge 27 giugno 2013 n. 77 che prevedeva quattro macro aree di intervento: 1) prevenzione; 2) protezione e sostegno delle vittime; 3)perseguimento dei colpevoli; 4) politiche integrate.

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Una definizione normativa di violenza di genere ?

Nei testi legislativi italiani appena

menzionati non si rinviene una definizione

normativa di «violenza di genere», mentre

sono normativizzati i concetti di «violenza domestica» e di «violenza assistita».

I c.d. «gender crimes» sono invece

riconosciuti nella normativa internazionale, ad esempio nello Statuto

della Corte Penale internazionale, stipulato

a Roma il 17 luglio 1998.

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La Conferenza di Pechino del 1995

La Conferenza di Pechino del 1995, organizzata dall’ONU, sancisce

che i diritti delle donne sono diritti umani nel senso più alto del

termine e la violenza di genere costituisce violazione dei diritti

fondamentali dell’uomo (rectius delle donne), affermando come

valore universali il principio della pari opportunità fra i generi e

della non discriminazione delle donne in ogni settore della vita

pubblica e privata.

Sancisce l’obbligo per gli Stati delle «5 P» :

TO PROMOTE: promuovere una cultura che non discrimini le donne;

TO PREVENT: adottare ogni misura idonea a prevenire la violenza

maschile;

TO PROTECT: proteggere le donne dalla violenza maschile;

TO PUNISH: perseguire i crimini commessi in danno delle donne;

TO PROCURE COMPENSATION: risarcire, non solo

economicamente, le vittime.

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Una definizione internazionale di «violenza di genere»

Dalla normativa internazionale (Raccomandazione 5 del 2002 del Comitato dei Ministri del Consiglio di Europa) può ricavarsi la seguente definizione di violenza di genere: «ogni forma di violenza esercitata nei confronti della donna perché donna – cioè fondata sulla appartenenza sessuale – (fisica, psicologica, sessuale, economica, istituzionale e qualunque violenza che incida sulla libertà, integrità o dignità della donna) che si manifesti sia nella dimensione privata, che pubblica della vita della donna».

Da tale definizione si evince che la violenza sulle donne è una species del genus violenza di genere (gender-based violence), che astrattamente potrebbe colpire anche gli uomini.

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Gender - based violence

Il termine «genere» deriva dall’inglese «gender», ed ha un significato più ampio della dicotomia uomo-donna, perché si rifà al ruolo differenziato assegnato socialmente all’uomo ed alla donna sia nella famiglia che nella società.

Storicamente questo concetto, indice di una differenza di potere tra uomo e donna, escludeva il riconoscimento di sessualità diverse da quella maschile e femminile (es. Statuto della Corte Penale internazionale del 1998) e dunque l’omosessualità maschile e femminile, la transessualità. Solo di recente si sono registrate aperture a ricomprendere nel concetto di violenza di genere anche la tutela delle c.d. minoranze sessuali (sentenza Corte EDU 02.03.2010 Kozac c/ Polonia, sentenza Corte EDU 23.06.2010 n. 30141; in dottrina S. Tigano, Atti persecutori e maltrattamenti nei confronti degli ex: dall’introduzione del delitto di stalking alla recente legge n. 172/2002, in Dir. Famiglia, 2013, n.1, p.350 e ss.)

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La violenza alle donne come paradigma della «violenza di genere»

Nel contesto storico ed internazionale la violenza alla donna rappresenta il paradigma della violenza di genere, siccome basata sulla discriminazione e marginalità della donna presente in ogni società, per il ruolo tradizionalmente di dominanza maschile presente in quasi ogni cultura.

La violenza di genere è dunque un fenomeno legato a origini sociali, derivante da comportamenti discriminatori che la società nel corso dei millenni ha riservato ai due sessi.

La violenza di genere è dunque un fenomeno legato ad una genesi culturale, come tale e da tale radice va represso e combattuto.

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La violenza domestica

La «violenza domestica», correttamente definita dai primi commentatori un ossimoro, indica la violenza nella sfera familiare ed ha ricevuto dignità e riconoscimento legislativo per effetto dell’articolo 3 comma 1 del D.L. 93/2013, laddove si prevede la misura preventiva extrapenale dell’ammonimento da parte del Questore di chi abbia commesso in ambito domestico il reato di cui all’art. 581 c.p., ovvero 582 comma 1° c.p., a prescindere dalla attualità di un rapporto di convivenza.

Rappresenta una tutela anticipata rispetto a quella penale, che può prescindere dalla querela ed anche dalla richiesta della persona offesa, essendo sufficiente una segnalazione non anonima alle forze dell’ordine.

Può essere integrata anche da forme di violenza economica, che si realizzano allorché la donna viene resa economicamente totalmente dipendente dall’uomo.

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La violenza assistita

Oltre alla violenza domestica la legge n. 119/2013 riconosce valenza giuridica con conseguenti effetti sanzionatori al fenomeno della c.d. «violenza assistita», cioè a quella forma di violenza che va a colpire i minori, di fatto, costretti ad assistere ad episodi di violenza in danno di figure familiari di riferimento (madre, fratello, sorella, altri familiari).

Come previsto dalla Convenzione di Istanbul, il legislatore ha introdotto per tali ipotesi una nuova circostanza aggravante (art. 61 n. 11 quinquies) comune o semi-comune che si applica a tutti i delitti non colposi contro la vita, l’incolumità individuale o la libertà personale, ed ai maltrattamenti in famiglia «se commessi in presenza di un minore degli anni diciotto».

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La legge n. 119/2013 sul «femminicidio»

La legge n. 119/2013, rubricata come «Disposizioni urgenti … per il contrasto della violenza di genere» è conosciuta, soprattutto mass-mediaticamente, come la legge sul «femminicidio».

Tale termine rappresenta un neologismo, che ha trovato dignità nella lingua italiana (e riconoscimento nei vocabolari) solo negli ultimi 4-5 anni: Devoto – Oli : «Qualsiasi forma di violenza esercitata sistematicamente sulle donne in nome di una sovrastruttura ideologica di matrice patriarcale, allo scopo di perpetuarne la subordinazione e di annientarne l’identità attraverso l’assoggettamento fisico o psicologico, fino alla schiavitù o alla morte».

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«Femminicidio» : etimologia e nozione criminologica del termine

L’etimologia del termine latino «càedere», cioè «uccidere», farebbe pensare ad un riferimento alla sola ipotesi dell’omicidio volontario di una donna.

In realtà il termine nasce e si sviluppa nella criminologia sudamericana (Marcela Lagard, Diana Russel) per indicare tutti i casi di «violenza estrema esercitata sistematicamente dall’uomo sulla donna, per il fatto di essere donna, cioè in ragione della sua appartenenza al genere femminile».

Viene utilizzato nella celebre sentenza della Corte Interamericana per i diritti umani.

Diffuso in Italia a partire soprattutto dal 2008, da un noto scritto di Barbara Spinelli, è divenuto oggi sinonimo di «violenza di genere».

E’ il distinto e diverso termine di «feminicidio» che in criminologia indica la più limitata ipotesi che si concreta nell’omicidio della donna.

Per contro non ogni «feminicidio» costituirà ipotesi di «femmincidio», configurandosi tale fattispecie solo laddove l’omicidio della donna sia stato commesso con una motivazione di genere.

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Diritto penale e donne: dall’infirmitas sexus di Carmignani al codice Zanardelli di

Carrara

Secondo una impostazione risalente al diritto romano (in cui le donne erano

interdette dai virilia officia: «Feminae ab omnibus officiis civilibus vel publicis remotae sunt et ideo nec iudices esse possunt nec magistratum gerere nec postulare nec pro alio intervenire nec procuratores existere») e

conosciuta con i brocardi "fragilitas sexus", "infirmitas sexus", "sexus infirmus" e "imbecillitas sexus“, ma ancora fatta propria agli inizi dell’800 da Carmignani “è certo dietro le osservazioni dei fisiologi, che gli organi della generazione hanno molta influenza su quelli che servono all'intelletto. Nelle femmine la midolla spinale è più debole e delicata che non lo è nei maschi. Quindi han quelle più deboli le forze dello spirito e più fermi i mezzi di acquistare le idee fornite loro dalla natura. Ciò posto il sesso femminile è pure una giusta causa perché il delitto venga all'agente meno imputato».

Tuttavia soprattutto grazie alle idee di Carrara, questa impostazione non

trova ingresso nel Codice Zanardelli in quanto «Sarà minore il numero delle donne che delinquono; ma la donna che ha delinquito, appunto perché la eccezione è più rara, bisogna dirla più corrotta e malvagia dell'uomo che fa altrettanto: o per lo meno bisogna dirla ugualmente responsabile, e tanto basta. Affermisi pure se vuolsi, che le donne sono più morali degli uomini perché più raramente delinquono; ma la donna che ha delinquito non può trovare scusa alla sua immoralità nella moralità delle sue compagne».

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Dal codice Rocco alla legge 199/2013 :

una rivoluzione copernicana

Il codice Rocco (come lo Zanardelli) risentiva di un retaggio culturale e storico che, paradossalmente, da un lato attribuiva pari penale responsabilità alla donna, ma, per altro verso, vedeva la stessa in una situazione di marcata inferiorità rispetto all’uomo e dunque oggetto di una minore tutela penale rispetto all’uomo.

Quelle stesse circostanze che oggi con la legge 199/2013 sono divenute motivo di un aggravamento della pena, erano infatti, nel codice Rocco, rilevanti ai fini di una attenuazione della pena, siccome espressione dell’esercizio di un potere dell’uomo sulla donna allora ritenuto legittimo, oggi ritenuto un abuso.

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Dalla «minorata difesa» fornita dal codice Rocco…

Le discriminazioni presenti nel diritto civile e nel diritto pubblico in danno delle donne si traducevano anche in numerose disposizioni presenti nel codice Rocco:

la figura dell’adulterio della moglie (art.559 c.p.) a fronte del concubinato maschile (art. 560 c.p.), punito solo se costui teneva la concubina nella casa coniugale o notoriamente altrove (dichiarate incostituzionali solo nel 1969);

quella sul matrimonio riparatore (art. 544 c.p.), causa di estinzione dei delitti di violenza carnale, atti di libidine violenti, ratto a fine di libidine, corruzione di minorenni etc. etc.;

la norma sull’omicidio d’onore (art. 587 c.p.) abrogata solo nel 1981, la non punibilità di certe ipotesi di percosse e la presenza di una attenuante nel caso di lesioni, nonché infine la collocazione della violenza sessuale nel novero dei delitti contro la morale pubblica ed il buon costume, divenuta delitto contro la libertà della donna solo con la riforma del 1996.

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al riconoscimento di uno status di «minorata difesa» ad opera della legge 119/2013

La legge 119/2013 è una legge sul

femminicidio e non sul feminicidio, come

chiarito, e infatti non introduce nel nostro

sistema una ipotesi ad hoc di feminicidio,

bensì una serie di norme processuali e

sostanziali volte a reprimere la violenza di

genere e cioè il femminicidio.

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Le novità di natura sostanziale: le modifiche al codice penale

Introduzione della aggravante della violenza assistita;

Aggravante per la violenza sessuale qualificata;

Comunicazione al tribunale dei Minorenni;

Aumento di pena per il delitto di minacce;

Ampliamento della sfera di applicazione dello stalking e sua procedibilità;

Obbligatorietà dei provvedimenti del Questore in caso di armi;

Interventi a favore delle vittime.

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Le novità di natura processuale: le modifiche al codice di procedura penale

Patrocinio dello Stato per le persone offese;

Braccialetto elettronico; Programma di

prevenzione; Contradditorio con la

parte offesa per le istanze ex art 299 c.p.p.;

Ausilio di esperto in psicologia o psichiatria infantile;

Arresto in flagranza;

Allontanamento di urgenza dalla casa familiare;

Incidente probatorio con minori;

Limiti alla proroga delle indagini;

Opposizione alla richiesta di archiviazione;

Notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari alla p.o.;

Giudizio direttissimo; Esame della p.o.; Esclusione competenza

del giudice di pace.

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Le nuove aggravanti e l’aumento di pena

É stato inserito l’art. 61, comma 1, n. 11 quinquies, una circostanza aggravante semi-comune che si applica a tutti i delitti non colposi contro la vita e l’incolumità individuale ed il 572 c.p. nel caso in cui il fatto sia commesso in presenza (c.d. violenza assistita) o in danno di un minore di anni diciotto ovvero in danno di persona in stato di gravidanza.

La aggravante (da 6 a 12 anni) del 609 ter c.p. si applica in tre ulteriori casi: a) in danno di < di 18 anni, di cui l’agente sia ascendente, genitore, tutore; b) donna in stato di gravidanza; c) in danno di coniuge (anche separato o divorziato) o di persona legata da relazione affettiva anche se non convivente.

É stata aumentata la pena per il delitto di minacce (semplici) sino a 1.032 euro (da 51,00 €).

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La rafforzata tutela attraverso il delitto di stalking

La circostanza aggravante di cui al comma 2 si

applica ora anche al coniuge separato di fatto

(e non solo legalmente) ed a soggetto legato

alla persona offesa da relazione affettiva,

ovvero se il fatto sia commesso con strumenti

informatici o telematici. Con la conversione in

legge il reato è rimasto perseguibile a querela,

salvo il caso di previo ammonimento, o di

sussistenza della aggravante del comma 2 con

reiterate minacce, ma il termine è di 6 mesi, e la

remissione della querela può essere solo

processuale.

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Altre modifiche sostanziali

È previsto l’obbligo per il PM di notiziare il Tribunale dei Minorenni in caso di procedimento per i delitti di cui agli artt. 572, 612 bis c.p. commessi in danno di minore o da genitore di minorenne in danno dell’altro genitore.

È prevista come dovuta e non più discrezionale l’adozione da parte del Questore di provvedimenti in tema di detenzione di armi.

Gli interventi a sostegno delle vittime di stalking sono estesi a favore di quelle dei delitti di cui agli artt. 572, 600, e prostituzione e pornografia minorile.

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Le modifiche procedurali

Le persone offese dai reati di cui all’art. 572 c.p., violenza sessuale di gruppo, e stalking possono essere ammesse al Patrocinio a spese dello Stato anche oltre i normali limiti di reddito.

Nel caso di percosse o lesioni (anche lievi) è competente il Tribunale e non il giudice di pace se il fatto è commesso in danno di ascendente, discendente, coniuge, fratello, sorella, padre o madre adottivi, affine in linea retta, convivente.

L’esame della persona offesa del delitto di cui al 572 è condotto dal giudice tenendo conto della particolare vulnerabilità della stessa anche se maggiorenne.

È consentito al PM di procedere con giudizio direttissimo nel caso di allontanamento d’urgenza dalla casa familiare ex art. 384 bis c.p.p.

Nel caso di stalking e maltrattamenti in famiglia le indagini possono essere prorogate una sola volta.

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Le modifiche procedurali: poteri e facoltà della persona offesa.

Nel caso di istanza ex art. 299 c.p.p., nei procedimenti per delitti commessi con violenza alla persona, l’istanza a pena di inammissibilità deve essere notificata al difensore della p.o. o alla p.o. che nei due giorni successivi può presentare memorie al giudice.

Alla parte offesa deve sempre essere notificata la richiesta di archiviazione, anche quando non ne abbia fatto specifica richiesta.

L’avviso ex art. 415 bis c.p.p. deve essere notificato anche alla parte offesa del delitto di cui all’art. 572 o 612 bis c.p.

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Altre modifiche procedurali

È consentito l’arresto in flagranza di chi è colto nell’atto di commettere il delitto di cui all’art. 572 o 612 bis c.p..

Quando la PG deve sentire un minore e si procede per 572, 612 bis c.p. o adescamento di minori deve sempre avvalersi di un esperto in psicologia o psichiatria infantile.

La PG può disporre, previa autorizzazione del PM, l’allontanamento urgente dalla casa familiare con divieto di avvicinarsi alla p.o. per chi è colto in flagranza di 570, abuso dei mezzi di correzione, altri delitti con violenza, prostituzione e pornografia minorile, se vi sono fondati timori per le persone offese.

Nel caso di cui all’art. 572 c.p. in ipotesi incidente probatorio con minore di anni 16 il giudice dispone che si proceda in conformità alle esigenza di tutela del minore.

Sono consentite le intercettazioni telefoniche per il delitto di cui all’art. 612 bis c.p..

É ammesso il braccialetto elettronico nei casi di lesioni personali aggravate o minacce aggravate in danno di prossimi congiunti o convivente.

Se l’imputato si sottopone positivamente ad un programma di prevenzione della violenza con i servizi sociali ne viene data notizia a PM e giudice per eventuale verifica della attenuazione delle esigenza cautelari.

I procedimenti per 572, 612 bis c.p. e violenza sessuale sono trattati con priorità.

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Direttiva 2011/99/Ue

La direttiva 2011/99 prevede il riconoscimento reciproco tra gli Stati membri dell'Ue delle decisioni relative a misure di protezione adottate in materia penale per le vittime di reato, è volta a garantire che in uno spazio comune di giustizia, senza frontiere interne, la protezione riconosciuta a tali vittime, in uno Stato membro, sia assicurata anche in ciascun altro Stato membro nel quale esse si trasferiscono.

Come emerge dalla motivazione dell'atto, tale esigenza si ricollega, peraltro, al diritto dei cittadini europei di circolare e soggiornare liberamente nel territorio dell'Ue, non dovendo l'esercizio di tale diritto tradursi in una perdita della protezione ottenuta (considerando 6).

In sintesi l'ordine di protezione europeo è la decisione adottata dall'autorità giudiziaria o equivalente di uno Stato membro («lo Stato di emissione ») in cui è stata disposta una misura di protezione per proteggere una persona («la persona protetta») da atti di rilevanza penale di un'altra persona («la persona che determina il pericolo») che possano metterne in pericolo la vita, l'integrità fisica, la dignità, la libertà personale o l'integrità sessuale, che viene trasmesso per il suo riconoscimento all'autorità competente di un altro Stato membro («lo Stato di esecuzione»), affinché quest'ultima prenda le misure appropriate per assicurare la continuazione della protezione della persona protetta al suo interno. Ciò al fine di prevenire, ad esempio, molestie di qualsiasi forma, rapimenti, stalking e altre forme indirette di coercizione, nuovi atti criminali ovvero di ridurre le conseguenze di atti criminali precedenti.

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Il D.lgs. 11 febbraio 2015 n. 9

Il D.lgs. 11 febbraio 2015 n. 9, in esecuzione della legge 6 agosto 2013 n. 96, con la quale è stata conferita la relativa delega al Governo, ha recepito in Italia la direttiva 2011/99/UE sull'ordine di protezione europeo.

La direttiva disciplina la trasmissione dell'ordine di protezione europeo, la decisione sul suo riconoscimento, le conseguenze del riconoscimento. La normativa europea è stata integralmente recepita nel dettato del D.lgs. 9/2015 , che si articola in: disposizioni generali (capo I, articoli 1-3); norme che regolano l'emissione dell'ordine di protezione europeo e la trasmissione all'estero (capo II, articoli 4-6), il riconoscimento in Italia dell'ordine di protezione estero (capo III, articoli 7-10), le decisioni sulla validità ed efficacia del titolo e sulla cessazione degli effetti del riconoscimento (capo IV, articoli 11-12); disposizioni finali (capo V, articoli 13-16).

La tutela delle vittime di reato ha dunque la sua fonte diretta nel decreto legislativo. Tuttavia, poiché in caso di non corretta trasposizione da parte degli Stati incombe sul giudice nazionale l'obbligo di interpretazione conforme, l'applicazione delle norme interne non esclude, ove necessario, la considerazione delle disposizioni della direttiva 2011/99/Ue.

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La misura di protezione e l’ordine di protezione europeo

«misura di protezione»: una decisione adottata in materia penale da un organo giurisdizionale o da altra diversa autorità competente, che si caratterizzi per autonomia, imparzialità e indipendenza, di uno Stato membro dell'Unione europea con la quale vengono applicati divieti o restrizioni finalizzati a tutelare la vita, l'integrità fisica o psichica, la dignità, la libertà personale o l'integrità sessuale della persona protetta contro atti di rilevanza penale;

«ordine di protezione europeo»: una decisione adottata dall'autorità giudiziaria di uno Stato membro con la quale, al fine di continuare a tutelare la persona protetta, viene disposto che gli effetti della misura di protezione si estendano al territorio di altro Stato membro in cui la persona protetta risieda o soggiorni o dichiari di voler risiedere o soggiornare.