Contramm. Emanuele MARTINA - Difesa.it...della geopolitica quale studio multidisciplinare e di...
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CENTRO ALTI STUDI PER LA DIFESA
CENTRO MILITARE DI STUDI STRATEGICI
Contramm. Emanuele MARTINA
Attualità della geografia e della geopolitica nella comprensione delle
Relazioni Internazionali
Contramm. Emanuele MARTINA
Attualità della geografia e della geopoliticanella comprensione delle Relazioni Internazionali
CENTRO ALTI STUDIPER LA DIFESA
CENTRO MILITAREDI STUDI STRATEGICI
Attualità della geografia e della geopolitica nella comprensionedelle Relazioni Internazionali
NOTA DI SALVAGUARDIA
Quanto contenuto in questo volume riflette esclusivamente il pensiero dell’autore, e non quellodel Ministero della Difesa né delle eventuali Istituzioni militari e/o civili alle quali l’autore stessoappartiene.
NOTE
Le analisi sono sviluppate utilizzando informazioni disponibili su fonti aperte.
Questo volume è stato curato dal Centro Militare di Studi Strategici
DirettoreAmm. Div. Mario Caruso
Vice Direttore Capo Dipartimento Relazioni InternazionaliCol. A.A.r.n.n. Pil. (AM) Marco Francesco D’ASTA
Progetto graficoMassimo Bilotta - Roberto Bagnato
AutoreEmanuele MARTINA
Stampato dalla tipografia del Centro Alti Studi per la Difesa
Centro Militare di Studi StrategiciDipartimento Relazioni Internazionali
Palazzo SalviatiPiazza della Rovere, 83 - 00165 – Roma
tel. 06 4691 3204 - fax 06 6879779e-mail [email protected]
Chiuso ad dicembre 2016 - Stampato a dicembre 2016
ISBN 978-88-99468-40-8
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INDICE
Sommario 3
Abstract 4
1. La disciplina delle Relazioni Internazionali 1.a Aspetti epistemologici della disciplina delle R.I. 5
1.b Discipline e “isole di teoria” utili per la comprensione delle R.I. 6
1.c Le R.I. nel nuovo millennio: la sfida della globalizzazione 7
1.d La centralità degli Stati nel Sistema Internazionale 10
2. Territorio e sovranità territoriale dello Stato 2.a La nozione di territorio 14
2.b Sovranità territoriale e processo di territorializzazione 15
2.c Territorio dello Stato e Stato-Nazione come “power container” 17 3. La geografia e lo studio delle R.I. 3.a Le origini della disciplina e la sua evoluzione 21
3.b “Fine”, “nemesi”, “migrazione” della geografia? 22
3.c La rilevanza della geografia nelle R.I. 26
4. La geopolitica e lo studio delle R.I. 4.a Le origini dell’”isola di teoria” e il periodo classico 30
4.b L’evoluzione della geopolitica 35
4.c “Fine” della geopolitica? 39
4.d La rilevanza della geopolitica nelle R.I. 43
5. Ancora sul ruolo dello spazio geografico nelle R.I. 5.a Il rapporto tra geografia e geopolitica 46
5.b Il rapporto tra geografia, geopolitica e studi strategici 48
5.c Una ipotesi: la geopolitica come studio del Sistema Internazionale 51
6. Cenni sulle dispute territoriali 6.a Attualità delle dispute territoriali 54
6.b Alcuni dati relativi ai conflitti in atto 56
Conclusioni 59
Figura 1: Studi utili per la comprensione del S.I.. 65
Figura 2: Lo studio della geografia 66
Figura 3: La geopolitica come studio multidisciplinare del S.I. 67
Allegato 1: The natural seats of power – J.H. Mackinder (1912) 68
Allegato 2: Le pan-regioni – C. Haushofer (1924) 69
Allegato 3: La tesi dei Rimlands – N. Spikman (1942) 70
Allegato 4: Violent conflicts in 2012 on national level (HIIC-DEU) 71
Allegato 5: Top 15 Defence Budget 2013 (IISS-UK) 72
Bibliositografia 73
Note 80
Nota sul Cemiss e nota sull’Autore 112
3
Sommario
Il presente lavoro si propone di esaminare se la geografia e la geopolitica possano svolgere un
ruolo attuale e dunque rilevante nella comprensione delle Relazioni Internazionali.
La ricerca, incardinata sui prestigiosi studi svolti dal Prof. Carlo Maria Santoro in tema di Relazioni
Internazionali, pur non ignorando l’importanza, in seno alla Politica Internazionale, dei rapporti
transnazionali e delle relazioni non esclusivamente politiche, né sottovalutando che le entità statali
non esauriscono la dimensione della “politica”, è ispirata alla concezione delle R.I. quale disciplina
intesa a focalizzare, mediante un approccio sistemico, le interazioni tra gli Stati ed a porre in primo
piano, nell’agenda, la sicurezza globale.
Nel corso dell’acquisizione delle fonti è gradualmente emersa l’opportunità di conferire priorità ad
un esame della disciplina delle R.I. e ad una contestualizzazione delle medesime nell’attuale fase
storica, caratterizzata dalla ricerca di nuovi equilibri in un quadro politico multipolare interessato, al
contempo, da epocali innovazioni tecnologiche e dinamici processi di globalizzazione che
influenzano, in modo consistente, la cultura, la politica, l’economia a livello mondiale.
Nel presupposto che il fattore comune alle discipline oggetto della presente ricerca sia
rappresentato dal “territorio” inteso come spazio geografico nei cui limiti lo Stato esercita la sua
“sovranità”, apposito capitolo è dedicato ad un approfondimento, anche in chiave storica, della
duplice tematica, mediante esame, per grandi linee, delle teorie affermatesi al riguardo.
Successivamente verificheremo come, il ricorso alla geografia e alla geopolitica - le quali, sia pure
con prospettive differenti, valorizzano in modo preminente, per loro statuto, l’elemento territoriale e,
in senso ampio, il rapporto tra elemento umano/comunità sociali e territori - possa risultare
fondamentale, anche sotto il profilo metodologico, per la comprensione delle dinamiche delle R.I.
Negli ultimi capitoli si esamina il rapporto tra i due citati campi di studio nonché la loro intima
connessione con gli studi strategici (e non solo): in tale cornice, si avanza l’ipotesi di una lettura
della geopolitica quale studio multidisciplinare e di sintesi del “Sistema Internazionale”. Infine, si
prospettano una serie di dati indicativi del ruolo che, a livello globale, le dispute territoriali
continuano a svolgere nell’ambito della P.I.
4
Abstract
This paper aims to examine whether the geography and geopolitics can play a significant role in
the current understanding of International Relations.
The research, which is anchored on the prestigious studies conducted by Prof. Carlo Maria
Santoro in terms of International Relations, while not ignoring the importance, within the
International Politics, of transnational relations and relations not exclusively political, nor
underestimating that government entities do not exhaust the size of "politics", it is inspired by the
concept of I.R. discipline which aims to focus, through a systemic approach, the interactions
between the States and to put in the foreground of the agenda, the global security.
Investigating the sources it has gradually emerged the opportunity to give priority to an
examination of the discipline of I.R. and their contextualization in the current historical phase,
characterized by the search for a new balance in a multipolar political framework concerned, at the
same time, by epochal technological innovations and dynamic processes of globalization that
affect, consistently, culture, politics, the economy worldwide.
On the assumption that the common factor towards the subjects of this research is represented by
the "territory" understood as the geographical space in which limits the State exercises its
"sovereignty", a special chapter is devoted to study, also from a historical point of view, the dual
theme, by the examination, in broad terms, of the theories that were strengthened in this regard.
Afterwards we will check how the use of geography and geopolitics - which, albeit with different
perspectives, enhance prominently, as a result of their statutes, the territorial element and, in a
broad sense, the relationship between human element / social communities and territories - may
be essential, even from a methodological point of view, for the understanding of the dynamics of
I.R.
In later chapters we will examine the relationship between the two aforementioned fields of study
as well as their intimate connection with the Strategic Studies (and beyond). In this framework, the
possibility of a reading of geopolitics as multidisciplinary and synthetic study of the "International
System" is explored. Finally, a series of data indicating the role that, globally, territorial disputes
continue to play in the International Politics, are faced.
5
1. La disciplina delle Relazioni Internazionali
1.a Aspetti epistemologici della disciplina delle R.I.
Al fine di disporre di una cornice generale di riferimento che metta a fuoco la
materia che forma oggetto di esame del presente paragrafo, appare adeguato
richiamare in modo testuale alcuni passaggi chiave dell’analisi svolta in tema di
Relazioni Internazionali dal Prof. Carlo Maria SANTORO1:
- “oggetto della disciplina (…) delle relazioni internazionali è lo studio della
politica internazionale, pertanto esse sono parte integrante delle scienze
politiche2;
- l'ambito concettuale della politica internazionale è (…) più vasto di quello
specifico delle relazioni internazionali e comprende diversi comparti disciplinari
aventi per oggetto tematiche connesse allo studio degli eventi di politica
internazionale;
- la politica internazionale può essere a sua volta definita come il complesso
degli eventi politici che scaturiscono dall'interazione fra unità (attori) politiche
all'interno del contesto internazionale;
- l'oggetto della politica internazionale, da cui discende lo studio scientifico delle
relazioni internazionali, consiste (…) nell'analisi dei meccanismi di formazione,
gestione o implementazione dei comportamenti degli attori (statali o non) nel
quadro della loro struttura e dello spazio geografico e politico in cui operano;
- l'analisi delle relazioni internazionali consiste essenzialmente nello studio della
guerra e della pace, nonché di tutto ciò che esiste lungo il continuum che corre
fra questi due elementi estremi;
- le relazioni internazionali non hanno ancora uno statuto scientifico consolidato,
né dal punto di vista strettamente disciplinare, né da quello del metodo e degli
approcci epistemologici3;
6
- i principali sottoinsiemi analitici e tematici delle relazioni internazionali sono
quelli che studiano (…) la politica estera dei singoli attori nazionali e delle
organizzazioni, poi quelli che si occupano della teoria delle crisi internazionali
e della loro gestione e riduzione, e infine quelli che descrivono i modelli
geopolitici integrati dal vasto campo degli studi strategici e/o della peace
research4;
- a questi tre campi d'analisi, che corrispondono ai fondamentali parametri
analitici delle relazioni internazionali, vale a dire la pace (politica estera), la
guerra (studi strategici) e lo stadio intermedio fra le due condizioni (crisi
internazionali), vanno aggiunte due sottodiscipline più recenti, quella che
analizza la relazione fra potere e ricchezza (…), cioè lo studio della
international political economy (…) che va di pari passo con l'estensione
dell'internazionalizzazione dell'economia e dei mercati, e quella che studia
l'evoluzione complessa delle istituzioni internazionali, modelli dell'ordine
gerarchico sviluppatosi nel corso del Novecento”.
1.b Discipline e “isole di teoria” utili per la comprensione delle R.I.
Nella prospettiva della presente ricerca si osserva come, l’articolata cornice su
delineata (v. Figura 1, pg. 68 ), se da un lato tende a valorizzare esplicitamente,
nell’ambito degli studi di interesse per la comprensione delle relazioni
internazionali, “quelli che descrivono i modelli geopolitici”, dall’altro conferisce, in
modo indiretto, un ruolo peculiare alla geografia. Infatti il SANTORO, nella sua
dettagliata analisi, sottolinea che:
- “lo studio delle relazioni internazionali presuppone la compresenza di tre
condizioni originarie: l'esistenza di attori, cioè di unità analitiche elementari;
l'individuazione di una struttura, vale a dire la posizione e la distribuzione nello
spazio degli attori, ovvero dei livelli di analisi; un meccanismo di interazione,
vale a dire un sistema di relazioni fra unità analitiche all'interno di un contesto
territoriale e politico comune”5;
7
- “il posizionamento nello spazio delle unità analitiche rappresenta un aggancio
logico con la materia territoriale in quanto definisce l'ordine o la disposizione
delle parti di un sistema”;
- “il contesto spaziale e territoriale rappresenta (…) la base materiale su cui
poggia lo strumento operativo dell'analisi internazionalistica, che è (…) lo
studio del sistema internazionale inteso come macchina organica (cioè come
organismo) delle relazioni fra attori internazionali”6.
Si ritiene che, nella prospettiva del Santoro, la politica internazionale in sé e
dunque la disciplina delle Relazioni Internazionali sono pressoché inscindibili
dallo studio del contesto e dello spazio geografico e territoriale dei suoi attori,
statali e non7.
Con la presente ricerca si avrà modo di svolgere un approfondimento specifico
circa la natura della geografia e della geopolitica ed il rispettivo ruolo nella
comprensione delle R.I.: come si è detto, un’adeguata analisi delle medesime in
chiave sistemica comporta il ricorso ad ulteriori discipline nonché “isole di teoria”
spesso affini tra loro.
1.c Le R.I. nel nuovo millennio: la sfida della globalizzazione
Nel presente paragrafo si intende esaminare in modo sia pure sintetico l’aspetto
di maggiore attualità e rilevanza che, secondo la gran parte degli studiosi,
condiziona l’evoluzione delle R.I. (e non solo) nel nuovo millennio8.
Si fa riferimento alla complessa dinamica innescata dalla tendenza quasi
inarrestabile alla globalizzazione, che favorita dalla rivoluzione informatica degli
ultimi decenni, sembra assumere un ruolo sempre più significativo nello sviluppo
delle R.I. e del nuovo “ordine internazionale”9.
In effetti i processi di globalizzazione che caratterizzano la società degli ultimi
decenni, discendenti dallo sviluppo su scala planetaria dell’economia e della
finanza da un lato, della cultura dall’altro - entrambi fenomeni contestuali alle
innovazioni che hanno interessato i settori della Infomation Technology, le
comunicazioni e i trasporti - nel favorire la contrazione della distanza spazio-
temporale, la proliferazione di finanziarie e imprese transnazionali, l’incremento
8
dell’interazione sociale e dei flussi finanziari, la compressione delle culture
tradizionali, tendono a generare un significativo impatto sul binomio popolo-
territorio tradizionalmente posto a cardine degli stati-nazione che, affermatisi nel
corso del secondo millennio, hanno storicamente posto le fondamenta delle
moderne R.I.10
Già sul finire del XX secolo, la complessità dell’obiettivo di governare detto
processo di carattere mondiale ha indotto innumerevoli studiosi ed esperti di
varie discipline (scienze politiche, giuridiche, sociali ed economiche) a mettere in
dubbio il ruolo, la rappresentatività ed il futuro stesso del tradizionale concetto di
stato nazionale, sia in quanto organizzazione politico-istituzionale, sia in quanto
attore e soggetto delle R.I.11.
In sintesi, il sistema globale comporterebbe una inarrestabile, irreversibile
erosione dei pilastri portanti dello Stato-nazione, cioè sovranità e territorialità e
addirittura delle identità/diversità nazionali e, in prospettiva, il superamento della
divisione del mondo in entità statali. Ciò determinerebbe un progressivo
ridimensionamento del ruolo degli Stati stessi nello sviluppo delle relazioni
internazionali e un sempre maggiore rafforzamento ed allargamento delle
competenze degli organismi internazionali, di quelli regionali (a carattere
sovranazionale e/o volti a favorire alleanze politico-militari o scambi commerciali)
nonché del cd. foro istituito tra i paesi più industrializzati nel mondo (G7+1).
Sulla base dell’analisi dei processi della globalizzazione è stata sottolineata, tra
l’altro, la difficoltà degli Stati nell’azione di controllo, con conseguente severa
ulteriore limitazione dei poteri sovrani, dello spazio “cibernetico”, che è uno
spazio non fisico ma virtuale il quale, per sua natura, favorisce a sua volta la de-
territorializzazione della cultura e dell’economia12.
Soprattutto, si è messo in risalto come le forze economiche, avvalendosi di tale
nuova dimensione spaziale e de-localizzando la produzione secondo mere
logiche di convenienza economica e di profitto, da un lato tendono ad aggregarsi
a livello transnazionale, dall’altro a spostare liberamente i luoghi di produzione,
creando ampi margini di incertezza nei lavoratori e sottraendo agli Stati la
possibilità di controllare e ridistribuire la ricchezza, e quindi di operare, secondo
le proprie politiche interne, per il bene comune13.
9
Invero, se da un lato la dialettica tra tendenze integrative e disgregative è una
costante nella storia delle relazioni internazionali, dall’altro sono presenti e si
manifestano una serie di elementi e situazioni che tendono esplicitamente a
contenere e perfino contrastare lo sviluppo di una forma di globalizzazione
totalizzante e sconfinata, finalizzata o destinata a privare gli Stati nazionali del
loro ruolo di centralità nelle R.I.. Al riguardo, si osserva come:
- l’affermarsi della globalizzazione, in definitiva, tende a rivitalizzare i
particolarismi: la caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda, eventi
discendenti dalla lenta erosione del sistema bipolare e storicamente collegati
all’espansione ‘spontanea’ dei processi di globalizzazione, hanno dato luogo
alla nascita di nuove entità statali nell’est europeo e non solo, nonché al
riaffermarsi della vocazione nazionalistica di vari popoli14;
- “i fenomeni di frammentazione delle entità federali o degli Stati nazionali
hanno gravemente compromesso le potenzialità sia dell'opzione unipolare,
anche per il crescente unilateralismo politico degli Stati Uniti, che è una forma
blanda e aggiornata di neoisolazionismo, sia dell'opzione universalista, cioè
del governo mondiale esercitato dalle organizzazioni internazionali, come le
Nazioni Unite per conto di un direttorio delle grandi potenze (G7+1)”15;
- “alla globalizzazione economica e mediatica fa riscontro una frammentazione
politica e culturale del mondo. Per la prima volta nella storia, la politica
internazionale è contemporaneamente multipolare e caratterizzata da civiltà
diverse. Si fa sempre più strada il regionalismo, affianco agli Stati nazionali
(…) emergono nuove grandi potenze economiche extraeuropee, in primis la
Cina”16;
- l’Unione Europea e analoghe istituzioni regionali, sebbene per loro statuto
tendano a limitare la sovranità degli Stati aderenti e mediante appositi trattati
introducano forme di “governance beyond governments”, di fatto svolgono un
ruolo di contrasto nei confronti della globalizzazione “senza confini”17;
- in molti Stati è largamente avvertita e si manifesta in modo crescente, a livello
di opinione pubblica, l’urgenza di una politica che presti maggiore attenzione
10
alla redistribuzione della ricchezza e al controllo della finanza mondiale, in
aperto contrasto con le dinamiche della globalizzazione tout court in campo
economico e culturale18;
- “i concetti di sovranità statale e governance globale non sono affatto
antinomici, ma complementari (…) non c’è altro mezzo per far rispettare il
diritto internazionale, e realizzare i valori comuni che di epoca in epoca lo
ispirano, che l’autorità di governo degli Stati”19;
- “una maggiore interazione tra identità che si percepiscono come diverse non
porta necessariamente al superamento di ogni distanza e idiosincrasia.
Parimenti, se è vero che la globalizzazione comporta un’evoluzione del
rapporto tra ‘popoli’ e ‘territori’, ciò non significa vivere in un mondo di identità
e appartenenze totalmente deterritorializzate”20;
- “la globalizzazione sta rapidamente mutando, o, forse, iniziando un lento
processo di implosione, tanto da essere stata definita ad arcipelago, per
l’inizio della sua frammentazione, o da essere considerata ormai dimezzata”21;
- i governi degli Stati nazionali, di fatto, conservano la facoltà di contrastare il
dominio delle forze economiche e di tutelare l’interesse comune ed il territorio
dei rispettivi popoli22.
1.d La centralità degli Stati nel Sistema Internazionale
Le argomentazioni esaminate in precedenza inducono a confermare la centralità
degli Stati e delle loro politiche nello sviluppo delle R.I., pur in presenza di una
robusta affermazione dei processi di globalizzazione. Al riguardo si rileva che:
- “sarebbe (…) un grande errore ritenere che l’idea di Stato stia collassando
(…). A nostro avviso lo Stato-nazione è tutt’altro che defunto, anzi dimostra di
sapersi adeguare alle nuove sfide, sublimando capacità prima sconosciute e
trasformandosi in senso moderno rispetto alla realtà planetaria sia politica che
economica”23;
- “gli Stati-nazione rimangono gli attori più importanti sulla scena internazionale
e sono parte integrante, insostituibile delle organizzazioni internazionali (…)
11
devono imparare a considerarsi non tanto attori indipendenti, quanto membri
di una comunità più estesa che, in quanto tali, si sentono tenuti a conformarsi
a regole comuni”24;
- “gli Stati rimangono ancora i principali protagonisti della diplomazia, degli
allineamenti e della cooperazione internazionale, sono gli unici in grado di
assicurare la sicurezza e l’ordine da cui dipende la continuazione di tutte le
altre relazioni. Essi inoltre continuano a disporre di una superiorità incolmabile
sul terreno militare e conservano il monopolio delle istituzioni della pace e
della guerra”25;
- “coloro i quali saranno chiamati inevitabilmente a giocare un ruolo
determinante nel processo in atto sono proprio i governi, la cui funzione non è
quella di porre vincoli o di fare soltanto da controllore, bensì di favorire la
produzione e la diffusione della conoscenza e della tecnologia, creando le
condizioni più adatte per favorire lo sviluppo”26;
- “come si stabilirà un nuovo equilibrio, dipenderà dal ruolo che gli Stati
sapranno costruirsi e dalla loro capacità di affrontare le sempre più intense
pressioni internazionali, oltre ai livelli sempre più elevati di insoddisfazione
interna a cui quelle pressioni rispondono”27;
- “l’estinzione dello Stato-Nazione è stato prefigurato a partire dalla prima metà
del Novecento, tuttavia proprio questo secolo risulta caratterizzato in modo
rilevante dalla nascita di nuovi Stati e dalla emersione /riemersione di
irredentismi etnico linguistici”28;
- è significativo il fatto che in seno all’ONU, che di per sé costituisce la
massima organizzazione/istituzione internazionale e la cui missione principale
rimane “la garanzia della sicurezza e della pace tra gli Stati”29:
o in occasione della 50^ sessione, con la “Dichiarazione del Millennio” del
settembre 2000, se da un lato è stato espresso l’impegno a “garantire che
la globalizzazione diventi una forza positiva per tutti i popoli del pianeta”,
dall’altro è stato ribadito il principio dell’integrità territoriale e indipendenza
12
politica degli Stati già adottato come norma di jus cogens in ragione dell’art.
2 punto 4 dello Statuto del 194530;
o a fronte dei suddetti principi, risultano adottate soluzioni alquanto “creative”
intese a rimediare a situazioni di crisi connesse a failed States oppure a
nazioni allo stato “embrionale”: ciò ha alimentato un ampio dibattito, tuttavia
è emersa chiaramente la difficoltà di garantire un assetto di sicurezza e di
pace internazionale in assenza di realtà statuali31.
Al termine dell’esame svolto, si ritiene di poter desumere che, a fronte della
ineliminabile compresenza storica dei processi di integrazione - disgregazione:
- territori (e confini) da un lato, sovranità politica dall’altro, rimangono elementi
fondamentali del Sistema Internazionale32;
- integrità territoriale e indipendenza politica sono termini coordinati che
esprimono un concetto unitario che si è affermato con la nascita e lo sviluppo
degli Stati nazionali: la sovranità territoriale33;
- lo studio del ruolo dello spazio geografico nella determinazione dell'efficacia e
della prospettiva delle decisioni e delle azioni politiche degli Stati nazione
“continua” ad essere fondamentale nello studio del Sistema Internazionale34;
- l’ONU, che pure é stata definita come la conseguenza più vistosa del
processo di deterritorializzazione del sistema internazionale e per sua genesi
storica rappresenta l’affermazione di un pensiero globalizzante, costituisce
tuttora e per il futuro un’istituzione saldamente ancorata al principio della
sovranità territoriale degli Stati35;
- fintantoché la sovranità territoriale e la salvaguardia (in senso ampio) del
territorio rimarranno prerogative dello Stato, gli Stati continueranno ad essere
il centro delle R.I., e viceversa36.
A fronte di quanto sopra affermato, non si sottovaluta il fatto che i processi di
frammentazione politica e di globalizzazione economica a livello internazionale
rappresentano una rilevante sfida per le entità statali, con conseguenze
significative sull’evoluzione del Sistema Internazionale: al riguardo è stato
13
correttamente osservato che “gli Stati (...) restano gli attori principali della politica
mondiale, ma le loro interazioni sono accompagnate ed integrate da interventi
sempre più importanti di attori transnazionali e subnazionali”37.
14
2. Territorio e sovranità territoriale
2.a La nozione di territorio
Nel precedente capitolo si è visto come, territorio e spazio geografico siano in
qualche modo “immanenti” alla P.I. e dunque al Sistema Internazionale, di cui gli
Stati nazionali rimangono gli attori principali, anche in presenza di ampi processi
di globalizzazione e sviluppo tecnologico. Si è anche detto che il pilastro
fondamentale degli Stati nazionali è la sovranità territoriale, che integra i concetti
di indipendenza politica ed integrità territoriale38.
Sotto il profilo delle scienze politiche il territorio è l’ambito entro il quale lo Stato
esercita la sua potestà di governo. Più esattamente, indica lo spazio geografico
nei cui limiti vige la giurisdizione (e dunque l’ordinamento giuridico) di uno Stato e
possono essere esercitati in modo indipendente ed esclusivo i poteri di sovranità
esterna e la potestà sul popolo ivi insediato39.
Quest’ultima affermazione presuppone un sia pure sommario approfondimento
del termine “territorio”, nozione tuttora quanto mai sfuggente e polisemica, la
quale si presta a essere utilizzata diversamente nei molteplici registri disciplinari
e contesti di studio. In termini molto sintetici40:
- sotto il profilo geografico (e di varie scienze umane), prevale oggigiorno la
tendenza ad operare la distinzione tra spazio geografico e territorio: il primo è
l’ambito caratterizzato dagli aspetti naturali, dalla diffusione di determinate
specie animali e vegetali spontanee, da assetti meteo climatici, ecc.; il
secondo è il risultato - costantemente in fieri, in quanto inserito nel contesto
tridimensionale società-spazio-tempo – discendente dal rapporto tra l’uomo e
l’ambiente41.
- sotto il profilo giuridico, il territorio costituisce uno degli elementi essenziali
dello Stato, insieme al popolo ed alla sovranità42.
15
2.b Sovranità territoriale e processo di territorializzazione
Per il diritto internazionale (e quindi per le scienze politiche e giuridiche), la
sovranità territoriale risulta attribuita direttamente allo Stato: lo spazio geografico
rimane assorbito dal concetto giuridico di sovranità e, in ragione della relazione
binaria nomos - topos, il territorio ove è stabilmente stanziato un popolo
appartenente ad uno Stato sovrano risulta assoggettato all’ordinamento giuridico
del medesimo43.
Tale sovranità è fondamentalmente esercitata entro i confini del territorio, i quali
segnano il limite della giurisdizione e dell’autonomia di uno Stato44.
Per le scienze della terra, ed in particolare per la geografia, un gruppo umano in
un ambito naturale cresce ed evolve grazie alle trasformazioni che apporta
all’ambiente. L’ambiente naturale, con la trasformazione, acquista valore
antropologico, diventa un artefatto, si connota come territorio: l’insediamento
umano in un determinato contesto spaziale comporta l’innesco di un processo di
territorializzazione e dunque di “identificazione” delle comunità sociali attraverso
l’insieme delle relazioni che le medesime intrattengono col mondo ecologico,
biologico ed antropologico, al fine di soddisfare i propri bisogni e nella prospettiva
di ottenere il più alto livello di autonomia.
Come è stato osservato, in ragione del processo di territorializzazione, “gli
abitanti di una regione ne percepiscono l’essenza di luogo costruito storicamente
da una collettività umana (…) in base ad essa (…) le popolazioni insediate
costruiscono il loro senso di appartenenza, organizzano il proprio agire territoriale
e, in definitiva, definiscono la propria topofilia, l’amore per la terra in cui vivono.
E’ questa territorialità ad essere all’origine delle dinamiche di identità: non
soltanto nel senso che essa vuole preservare la propria identità, ma ben più
profondamente nel senso che essa vuole costruire in perpetuo la propria
identità”45.
In tale prospettiva il territorio, a sua volta, è suscettibile, per sua natura, di
essere ristrutturato e, attraverso lo sviluppo di nuove/rinnovate forme di
territorialità, si presta a favorire sia processi di deterritorializzazione che di
16
riterritorializzazione nei suoi caratteri materiali e nei suoi significati simbolici: tale
processo, discendente dalla relazione temporale uomo-territorio, se da un lato
può generare dimensioni conflittuali rispetto ad un soggetto o ad una comunità
che abbiano consolidato un processo di territorializzazione in un dato spazio
geografico, dall’altro può svolgere una funzione “rigeneratrice” dello spazio
medesimo, consentendo il rinnovo e/o la enucleazione di nuove risorse, non solo
tipicamente economiche46.
I due approcci che abbiamo fin qui considerato presentano una serie di affinità:
sia lo sviluppo di un processo di territorializzazione, sia la produzione di un
ordinamento giuridico all’interno di un determinato territorio – nella misura in cui
siano il risultato di un omogeneo e tendenzialmente condiviso contesto sociale
ed economico – rappresentano, storicamente, fattori costitutivi e integranti della
cultura e identità di una comunità47.
Il territorio rappresenta dunque il contesto spaziale entro il quale si sviluppa, nel
tempo e quindi attraverso dinamiche storiche, la dimensione socio-economica e
dunque anche politica di un popolo/comunità. Esso costituisce il nucleo intorno al
quale si sviluppano e si consolidano la cultura (compresa quella giuridica) e la
ricchezza – in senso estensivo, la civilizzazione - di ogni società umana. Sotto il
profilo sociale, è il luogo dove storicamente le civiltà si realizzano, si incontrano,
si confrontano, si scontrano48.
In sintesi, può affermarsi che l’elemento di prevalente importanza del territorio è
rappresentato dalla circostanza per cui l’insediamento stabile di un popolo su un
determinato spazio geografico tende ad innescare uno storico processo sociale e
culturale, oltre che politico, non privo di dinamiche interne ed esterne al territorio
medesimo, fondato essenzialmente sulla necessità di investigare e utilizzare le
risorse economiche che il territorio può offrire allo scopo di soddisfare bisogni di
tutti i tipi49.
17
2.c Territorialità dello Stato e Stato-nazione come “power container”
Con le dovute cautele, si ritiene che un approccio convergente tra le due
prospettive appena esaminate possa essere rappresentato dagli studi
dichiaratamente a sfondo sociologico svolti da Robert D. SACK e Peter J.
TAYLOR, esperti di geografia politica.
Secondo Robert D. SACK l’individuo e i gruppi sociali, attraverso la costruzione
dello Stato moderno, hanno posto in essere una “strategia geografica” volta a
conseguire l’obiettivo di una stabile territorializzazione del dominio politico per la
gestione ed il controllo delle persone e delle risorse50.
A sua volta Peter J. TAYLOR, nel premettere che “la territorialità è una forma di
comportamento che utilizza uno spazio limitato, un territorio, come strumento per
assicurare un risultato particolare” e che “controllando l'accesso ad un territorio
mediante la demarcazione dei confini, il ruolo di un territorio può essere
manipolato e il suo carattere progettato”, ritiene – sulla scorta di un concetto
introdotto da A. Giddens - che lo Stato moderno, nello svolgimento dei suoi
compiti fondamentali, agisca quale “power container” di una serie di funzioni
rispetto alle quali la ‘territorialità’ funge da fulcro, pertanto “the State’s ‘capture’ of
politics, and much else besides, in the modern world is premissed upon
territoriality”51.
Sul tema, Taylor svolge una serie di interessanti riflessioni:
- l’organizzazione statale moderna, attraverso il suo radicamento territoriale e
l’istituzionalizzazione di forme democratiche di legittimazione, svolge il ruolo di
“power container” finalizzato allo svolgimento di quattro funzioni fondamentali:
la difesa militare e la gestione della funzione bellica; il contenimento e lo
sviluppo della ricchezza economica nazionale; la promozione di identità
politiche ‘nazionalizzate’; il sostegno di politiche di welfare52;
- in quanto fulcro delle politiche statali, la ‘territorialità’ rimane ancor oggi alla
base del sistema interstatale (e dunque del sistema delle R.I.) impostosi
gradualmente, a livello mondiale oltre che europeo, a seguito del Trattato di
Westfalia53;
18
- il concetto di Stato, a seguito di una serie di vicende storiche, si è intimamente
connesso a quello di nazione e di patria, affermandosi progressivamente a
livello planetario, soprattutto all’indomani della II Guerra Mondiale: la
territorialità dello Stato, in definitiva, ha trovato una sua solida legittimazione
nel legame istituzionalizzato tra territorio sovrano e patria nazionale54;
- in generale, l’identità nazionale continua a rappresentare la base comune per
l’integrazione delle comunità sociali stanziate nei territori degli Stati, tuttavia i
processi di globalizzazione da un lato, il crollo dell’Unione Sovietica dall’altro,
hanno paradossalmente prodotto una dinamica di frammentazione foriera di
rilevanti novità nell’assetto del sistema interstatale55.
Il Taylor imputa il paradosso di cui si è detto da ultimo, al fatto che la ‘territorialità’
opera contemporaneamente su tre livelli, sicché lo Stato:
come “contenitore di potere”, tende a preservare i confini esistenti;
come “contenitore di ricchezza”, tende verso territori più ampi;
come “contenitore culturale” tende verso territori più piccoli56.
Riguardo a tale prospettiva è stato osservato che possono distinguersi tre
differenti piani/livelli di “territorialità” nel rapporto Stato-spazialità57:
- “in primo luogo (…) lo spazio statale inteso in senso specifico: (…) un
determinato assetto dello spazio politico costituisce il risultato di specifiche
modalità di ‘territorializzazione’ del dominio politico che, nel caso del contesto
europeo, sono il riflesso soprattutto (…) dell’affermazione di un centro sovrano
capace di imporre il proprio controllo e che è in grado di ottenere un
riconoscimento internazionale da parte degli altri soggetti del sistema
interstatale (…). Lo spazio statale viene a indicare ‘la spazialità dello Stato
stesso, considerato come un insieme di istituzioni giuridico politiche e capacità
di regolazione fondate sulla territorializzazione del potere politico’. (…)
L’elemento della territorialità (…) diventa (…) elemento cruciale non soltanto
per il controllo esercitato dall’autorità politica all’interno dei confini, ma anche
il principio che viene a caratterizzare in modo tendenzialmente uniforme
ciascuna unità sovrana nel quadro del sistema di Stati”58;
19
- “in secondo luogo, il territorio si presenta come uno spazio politico in senso
‘integrale’ nella misura in cui viene a configurare, al proprio interno, un’area
omogenea economicamente, socialmente, culturalmente (…). Le istituzioni
politiche intervengono sulla società per regolarla e per riorganizzare le
relazioni economiche e sociali, oltre che, in particolare, per ridurre le
differenze territoriali (…)”;
- “infine, un territorio si presenta come uno spazio anche – e forse soprattutto –
in virtù di una determinata rappresentazione, sia perché l’imposizione di
demarcazioni territoriali implica sempre il vincolo di una identità linguistica,
etnica o culturale, sia perché il conflitto sulla rappresentanza di una comunità,
della sua identità e del suo immaginario, è il presupposto della definizione (e
ridefinizione) dei confini amministrativi e politici di uno Stato o di una regione
(…)”.
Una lettura della “territorialità” dello Stato nei termini su indicati, se da un lato ha
il pregio di spiegare come, la “dimensione politica” di un territorio statale non
coincide con la “realtà naturale” (e dunque non esaurisce la portata socio-
culturale) di quel territorio, dall’altro consente di:
mettere in chiaro che lo Stato è una specifica e storicamente determinata
manifestazione del “politico”, sicché la politica non può essere dimensionata
esclusivamente a “ciò che riguarda lo Stato”59;
“disinnescare” la cd. “trappola del territorio”, cioè la concezione, alquanto
diffusa in seno allo studio delle R.I., di una territorialità dello Stato
“decontestualizzata” dal punto di vista storico e geografico60.
In tale prospettiva, è oltremodo interessante osservare come la “teoria
neorealista” (cd. strutturalista) introdotta nel 1979 da K. WALTZ in riferimento allo
studio delle Relazioni Internazionali, è stata integrata, negli anni ’90 - attraverso
quella che è stata denominata la “teoria realista neoclassica” (W.C. Wholforth
1993, G. Rose 1998) - dalle esplorazioni delle implicazioni della struttura, non
solo a livello di sistema internazionale, ma anche a livello statale e, all'interno
dello Stato, a livello individuale e di gruppo61.
20
In chiusura del presente capitolo si ritiene che possa affermarsi che territorio e
sovranità territoriale, nella misura in cui rappresentano il fulcro del concetto di
Sato-Nazione, continuano ad essere al centro dell’attenzione delle politiche delle
entità statali. Allo stesso tempo, lo studio della dimensione spaziale nella quale
interagiscono gli attori delle Relazioni Internazionali rimane essenziale per la
comprensione del Sistema Internazionale62.
Al riguardo, non sembra marginale sottolineare che il territorio dello Stato:
- può assumere la connotazione di spazio politico ‘esteso’, laddove le
organizzazioni (statuali e non), al fine di garantire gli interessi dei propri
cittadini, intendano esercitare la rispettiva influenza su aree che travalicano i
propri confini fisici o su aggregazioni socio-economiche fisicamente distanti
dal loro territorio63;
- è suscettibile di essere compreso in uno spazio geografico regionale di
“integrazione economica” e/o di “difesa collettiva” che travalica i confini di
singoli Stati aderenti a specifici accordi internazionali di cooperazione e
scambio e/o politico-militari (si pensi al Trattato sull’Unione Europea e al
Trattato Nord Atlantico, cui l’Italia aderisce)64;
- ha acquistato un’importanza crescente nelle politiche di sviluppo delle
comunità sub-statali, in nome di una geografia denominata “attiva”,
strettamente collegata alla valorizzazione del concetto di territorializzazione
umana65.
21
3. La Geografia e lo studio delle R.I.
3.a Le origini della disciplina e la sua evoluzione
La disciplina che studia, per suo statuto, il territorio, è la geografia: “l’attenzione
per il territorio abitato e quelli limitrofi deve essere comparsa assai
precocemente, addirittura agli albori dell’umanità (…): già alla fine del 3°
millennio a.C. alcuni popoli del Mediterraneo e del Medio ed Estremo Oriente
possedevano elementari conoscenze geografiche e rudimentali tecniche
cartografiche”66.
“La geografia, studio e, insieme, rappresentazione della Terra, è (…) nata e
cresciuta in Grecia (…) e nel mondo greco-romano, e si è sviluppata tra due poli.
Un polo è costituito dalla carta geografica, che nella sua aridità geometrica offre
una visione istantanea della terra abitata e ne diffonde con facilità la conoscenza
per mezzo della visione diretta. L'altro polo è costituito dalla descrizione
letteraria, con i contenuti più diversi, quali i rilievi, il clima, l'ambiente culturale e
sociale, le risorse in prodotti del suolo o del sottosuolo, le vie di comunicazione,
le forme di governo, l'eredità del passato, e così via, che nei vari luoghi di
residenza condizionano la vita dell'uomo”67.
Come disciplina intellettuale, la geografia fu codificata formalmente come
professione o come materia di studio accademico in Occidente, solo a partire dal
XIX secolo68.
L’interesse per l’interazione tra uomo e ambiente fisico ha storicamente e
gradualmente favorito lo sviluppo, accanto alla geografia fisica, della geografia
umana: con un certo grado di approssimazione, la prima comprende le branche
specialistiche della geomorfologia, idrologia, climatologia, fitogeografia. In seno
alla seconda si sono sviluppate la g. della popolazione, la g. delle sedi, la g. della
circolazione, la g. economica, la g. politica, la g. sociale, la g. urbana69.
Oggigiorno la disciplina è considerata, generalmente, parte integrante delle
scienze della terra e si colloca, di fatto, tra le scienze naturali e le scienze
umane70.
22
In senso onnicomprensivo, essa viene definita quale “scienza che ha per oggetto
la descrizione interpretativa della superficie terrestre o di sue parti, intendendo
per superficie terrestre lo spazio tridimensionale dove la massa solida della Terra
(litosfera) e quella liquida (idrosfera) vengono a contatto con l’involucro gassoso
(atmosfera); spazio in cui si sviluppa la vita vegetale e animale e in cui si fissano
le sedi e si svolgono le attività umane (…). Non studia i fenomeni fisici né le
società umane, ma prende in considerazione gli uni e le altre in quanto agenti
responsabili della fisionomia e dell’organizzazione dei territori. Si tratta pertanto
di una disciplina territoriale” (v. Figura 2, pg. 69)71.
3.b “Fine”, “nemesi”, “migrazione” della Geografia?
I processi di globalizzazione di cui si è detto in precedenza hanno avuto un
notevole impatto anche sulla geografia, naturalmente. E’ stato al riguardo
osservato che “la globalizzazione (…) richiama un immaginario di
interconnessioni e di vicinanze nel quale sembra diventare del tutto irrilevante la
geografia. Se la globalizzazione è il luogo omogeneo della comunicazione
istantanea e della fluidità degli scambi, la geografia è, al contrario, il luogo
eterogeneo delle distanze, degli ostacoli, dei confini. Se la prima si fonda sul
superamento dei limiti posti dallo spazio fisico, la seconda è la disciplina che
studia le determinanti spaziali della convivenza umana”72.
In effetti, a dispetto di quanto si è detto in precedenza in tema di studi inerenti il
territorio, che negli ultimi tempi hanno conferito l’ennesimo impulso allo studio
della geografia, i media hanno enfatizzato, a suo tempo, l’opinione
dell’economista Richard O’BRIEN, il quale nel 1992 preconizzava che, con
l’affermarsi dell’era della comunicazione e delle reti virtuali, lo sviluppo e la
crescita di un sistema finanziario internazionale era equivalente a “the end of
geography” e comunque ad una decisiva perdita di importanza della medesima,
in quanto gli affari finanziari, in forme varie, erano in grado di superare le
distanze e collegare luoghi tra loro distanti73.
Si ritiene che l’economista abbia fatto ricorso ad una immagine suggestiva,
equivalente a quella adoperata dalla teoria che ipotizzava “la fine della storia”:
23
entrambe le rappresentazioni, tra l’altro, non sono prive di una certa dimensione
provocatoria74.
La tesi per cui le tecnologie telematiche sarebbero in grado di annullare le
distanze geografiche ed i confini (geografici e non) si scontra con la ineliminabile
realtà per cui anche la finanza, in definitiva, ha necessità di sviluppare una sua
“territorialità”: in ragione di ciò, per studiare il fenomeno della cd.
delocalizzazione dei capitali e degli investimenti, diventa rilevante, ancora una
volta, il ricorso al metodo scientifico utilizzato dalla geografia75.
Con un articolo ancora una volta dal titolo alquanto suggestivo, sul tema è
intervenuto, nel 2009, il giornalista e politologo Robert D. KAPLAN, il quale ha
pubblicato “The Revenge of Geography”76.
Nell’articolo si lamenta la circostanza che, all’indomani della caduta del Muro di
Berlino, lo studio della geografia è stato, di fatto, disconosciuto dalla politica
estera statunitense, con la conseguenza che si è dato corso ad una serie di
iniziative e interventi che, ispirati da una “illusoria” visione idealistica delle R.I.,
alla lunga avrebbero prodotto conseguenze inattese, quando non rovinose, nella
prospettiva dello studioso77.
Da qui, secondo il Kaplan, la “vendetta” della geografia e, al contempo, il ritorno
in auge del pensiero di quanti, ispirandosi ad una visione realistica della storia (e
delle R.I.), hanno sostenuto a suo tempo che “la cartina geografica determina
praticamente tutto, lasciando ben poco alle possibilità di scelta degli uomini”78.
Al riguardo, lo studioso sostiene che “essere realisti vuol dire riconoscere che le
relazioni internazionali sono governate da una realtà più triste e limitata di quella
che governa gli affari nazionali (…). Significa porre l’attenzione su ciò che divide
l’umanità piuttosto che su ciò che la unisce (…) accettare quelle forze al di là del
nostro controllo che limitano l’azione dell’uomo (…). Di tutte le sgradevoli verità in
cui il realismo affonda le proprie radici, la più nuda, scomoda e deterministica è la
geografia (…). Abbracciare la geografia (…) significa (…) valutare la libertà e le
scelte dell’uomo accettando il fatto che, almeno in una certa misura, siano
determinate dal fato”79.
24
Sulla base di queste premesse, l’Autore evidenzia in particolare che, se da un
lato il metodo geografico è in grado di spiegare come, le differenze etniche,
culturali e religiose risultano ancorate ad ineliminabili diversità territoriali, dall’altro
la costante crescita demografica e la dimensione finita della Terra, in un periodo
di contrazione tecnologica dei tempi e delle distanze, tendono a ridurre del tutto e
ad annullare quegli “spazi vuoti” che per lungo tempo hanno svolto la funzione di
“meccanismo di sicurezza”, sicché la geografia stessa, quale scienza che ha per
oggetto uno spazio limitato, introduce di per sé un ineliminabile fattore di
instabilità nelle R.I..
Le argomentazioni sostenute dallo studioso statunitense sottendono,
dichiaratamente, ad una visione deterministica della geografia, sicché politica,
cultura ed economia sarebbero preminentemente “definite” in ragione della
“cartina geografica”: in questa cornice, l’auspicato “recupero” del valore e
dell’importanza delle mappe rappresenta, di fatto, un “pretesto” per sottoporre a
severa critica la politica estera statunitense post Guerra Fredda80.
In effetti R. Kaplan, nel rivendicare un ruolo essenziale della geografia
nell’interpretazione degli eventi storici che caratterizzano la scena internazionale,
conferisce al contempo, ai fattori geografici, un carattere “statico”, oltre che
“deterministico”, nel convincimento, in definitiva, che solo una geopolitica (o
meglio, una strategia) ispirata al pensiero realistico possa abbracciare le aree di
studio necessarie alla comprensione delle R.I..
Al riguardo delle ragioni di fondo che sono alla base di una tale interpretazione,
sembra appropriata l’osservazione di C. RAFFESTIN: “ogni sistema
internazionale da Botero ai nostri giorni, in qualunque nazione o impero ha
sempre sviluppato conoscenze geografiche del mondo e le ha usate secondo
diversi fini. Perché? Perché le stesse morfologie geografiche sono state usate in
modi diversi attraverso la storia”81.
In altri termini, la circostanza per cui l’oggetto principale di studio della geografia,
lo spazio geografico terrestre, presenta caratteristiche di elevata stabilità ed è
provvisto di “limiti” naturali, non è sufficiente, di per sé, a precostituire i possibili
comportamenti e gli scopi degli attori delle R.I.
25
A nostro avviso, se c’è una linea di pensiero che ha dato luogo, se non al
disconoscimento, ad un uso alquanto strumentale della geografia, questa è da
individuarsi in taluni epigoni della geopolitica cd. “classica” che, tendendo ad
elevare la “nuova” disciplina al rango di scienza ed attribuendo eccessiva
rilevanza ad un “circoscritto” campo di interesse della geografia (essenzialmente,
la rappresentazione “cartografica” dello spazio terrestre, che per definizione si
presta ad interpretazioni soggettive), hanno finito con il pervenire ad una visione
riduttiva, oltre che deterministica, dell’elemento territoriale. E’ del resto
significativo il fatto che, nella riedizione del suo articolo, il “determinismo
geografico” del Kaplan risulti alquanto mitigato82.
In chiusura del presente paragrafo, non si può non accennare all’ipotesi da ultimo
avanzata dal geografo J. P. TAYLOR, il quale attraverso il “recupero” di un
articolato background di studi inerenti varie discipline, è giunto a proporre una
sorta di metamorfosi della geografia: si tratta della “radical geography”, che di
fatto interpreta la geografia umana quale parte integrante delle scienze sociali e
continua ad abbracciare, al suo interno, la geopolitica (già interpretata, dalla
scuola anglosassone, quale studio subordinato della geografia politica ed
economica, focalizzato sull’ analisi delle R.I.): in altri termini, si tratta di una
“trasposizione” della geografia umana (ed in particolare delle branche della g.
politica e della g. economica) nel campo delle scienze sociali83.
Nella “nuova” geografia la scala e l’attore principale della politica internazionale
sarebbe l’Economia-mondo, non più lo Stato-Nazione: in tale prospettiva “le
Nazioni sono le unità naturali con una omogeneità culturale basata su una
comune discendenza o una storia comune, ognuna delle quali richiede un proprio
stato sovrano sul proprio territorio inalienabile”. Esse “evolvono a seconda dei
cicli di splendore e di crisi presentati dall’economia capitalista (…) non possono
essere analizzate in modo separato, in quanto caratterizzate dalla reciproca
interazione”84.
Per una critica di tale approccio, sembra adeguato affidarsi al pensiero di Max
WEBER: "la riduzione esclusiva a cause economiche non è in qualsiasi senso
esauriente in nessun campo dei fenomeni culturali, e neppure in quello dei
processi economici”85.
26
3.c La rilevanza della geografia nelle R.I.
In generale, sul tema della rilevanza della geografia nella comprensione delle
Relazioni Internazionali, è interessante il pensiero di due studiosi anglosassoni
contemporanei:
- l’inglese Colin S. GRAY, esperto di politica internazionale e studi strategici, nel
premettere che “i fattori geografici permeano di sé la politica mondiale”,
sottolinea che “la geografia definisce gli attori (che sono Stati territorialmente
organizzati o vorrebbero esserlo), frequentemente definisce le poste in gioco
che essi si contendono e in tutti i casi definisce i parametri a mezzo dei quali
essi misurano reciprocamente la propria sicurezza”. In dettaglio, la
disciplina86:
definisce la posizione del territorio nazionale (o multinazionale);
descrive il carattere fisico di un determinato territorio in tutti gli aspetti;
distingue il territorio (nazionale) dello Stato dai territori degli altri Stati (in un
certo senso la geografia consente il distinguo tra i vicini e, più
probabilmente, tra amici e nemici);
definisce l’area culturale di una comunità o civilizzazione (le condizioni e
forme) e influenza storicamente il corso delle scelte di un sistema politico87.
lo statunitense Mackubin Thomas OWENS, esperto di affari politici, nel
sostenere che “forse l’influenza più importante sulla formulazione della
strategia nazionale (…) è la geografia, cioè ‘the physical setting’ dell’attività
umana sotto il profilo politico, economico, strategico”, osserva che88:
la geografia è il fattore più importante nella politica estera, perché è la più
stabile89;
l’ambiente geografico impone vincoli particolari sulla politica estera e sulla
strategia di una nazione, ma allo stesso tempo fornisce opzioni distinte;
la geografia definisce, perlomeno, i protagonisti delle relazioni
internazionali, la posta in gioco che i medesimi si contendono, le condizioni
con cui misurano vicendevolmente la loro sicurezza90;
27
le reali/effettive Relazioni Internazionali avvengono in un reale spazio
geografico. L’importanza relativa di un determinato spazio geografico può
essere modificato dalla tecnologia o dall’investimento di capitali, ma lo
spazio geografico non può essere ignorato;
la geografia si compone di molte branche, ma quelle di maggiore interesse
per lo statista e stratega sono quelle inerenti la geografia umana, che studia
i modi in cui i fattori fisici interagiscono con la popolazione, le istituzioni
politiche, la cultura, le comunicazioni, l’industria, la tecnologia. Ulteriori
settori sono rappresentati dalla politica, l’economia, la cultura, la geografia
militare e quella strategica91.
Si ritiene che le argomentazioni sopra esposte (le quali si prestano ad
approfondimenti che, nell’economia della presente ricerca verranno svolti in
modo sia pure limitato attraverso l’esame dello studio della geopolitica)
evidenziano in modo adeguato i concetti fondamentali che conferiscono un
rilevante ruolo alla geografia, ai fini della comprensione dello studio delle
Relazioni Internazionali92.
A tale riguardo, sembra opportuno richiamare in sintesi la portata del cd.
“approccio sistemico” alle R.I., sulla base del quale gli eventi della politica
internazionale sono prodotti da un insieme di unità interagenti (prevalentemente,
le entità statali) che operano in un contesto ambientale: “… il posizionamento
nello spazio delle unità analitiche (…) rappresenta un aggancio logico con la
materia territoriale in quanto definisce l'ordine o la disposizione delle ‘parti’ del
sistema”, pertanto “la struttura diventa una sorta di costituzione materiale di ogni
sistema politico poiché ne definisce la forma e il limite ...”93.
La geografia, dunque, quale studio dello spazio geografico, è immanente alle
R.I., poiché ne descrive lo sfondo mutevole, il contesto (fisico e umano) nel
quale interagiscono nel tempo i relativi attori, i quali sono essenzialmente
comunità statali organizzate territorialmente: tali attori devono necessariamente
tenere conto non solo della rispettiva distribuzione geografica, che pure presenta
un elevato ma relativo grado di stabilità, ma anche di una serie di dati/fattori (più
o meno mutevoli) che sono oggetto delle varie branche della geografia (in
particolare, per suo statuto, la geografia politica), i quali, organicamente disposti,
28
risultano complessivamente indispensabili per comprendere i comportamenti e gli
interessi “in gioco” dei singoli Stati, laddove questi ultimi siano considerati
all’interno del sistema globale delle R.I.
Gli Stati, inoltre, in ragione della triplice dimensione della loro territorialità politica,
devono necessariamente tener conto, in particolare, della specificità delle entità
sub-statali che sono radicate nel territorio sul quale esercitano la loro sovranità.
La circostanza per cui l’oggetto principale di studio della geografia fisica, lo
spazio geografico del globo terrestre, è di per sé limitato, non rappresenta un
limite della disciplina, ma, in generale, un limite e una sfida per lo sviluppo storico
dei processi umani e delle loro capacità tecnologiche e di organizzazione dello
spazio geografico.
Una visione deterministica della geografia sottende ad una interpretazione
dell’oggetto di analisi della disciplina come realtà statica e immutabile: viceversa,
lo spazio geografico è caratterizzato da discontinuità, complessità, valore
posizionale94.
Infatti non si possono ignorare fattori naturali quali i cambiamenti climatici, il ritiro
dei ghiacciai, gli eventi sismici, ecc. (peraltro collegati ad attualissimi temi della
ecologia anch’essi di elevatissimo interesse a livello internazionale) solo perché
poco prevedibili, rari o di effetto non immediato.
Né si possono sottovalutare, sempre ai fini della comprensione delle R.I. - oltre
che i dati di interesse demografico quali i tassi di crescita delle popolazioni, i
flussi migratori, ecc. - i fattori di carattere etnico, culturale, religioso, economico,
politico che contraddistinguono le popolazioni dei vari Stati, i rapporti sociali ed i
rapporti col territorio e le sue risorse, che sono in costante evoluzione ed hanno
un impatto diretto sulla morfologia dello spazio geografico, sulla percezione della
sua importanza, ecc.
In merito alla “relativa” elevata stabilità dello spazio oggetto di studio della
geografia politica, è inevitabile osservare come, gli stessi principali “attori” delle
R.I., gli Stati, sono entità territoriali storicamente soggette - per cause di ordine
sociale, economico, politico - a profondi mutamenti95.
29
La geografia, oltre a fornire, in forma descrittiva, la rappresentazione dello spazio
geografico, dispone di una metodologia di ricerca a mezzo della quale è possibile
organizzare in modo organico e comparativo, secondo il criterio della loro
distribuzione nello spazio, gli innumerevoli fattori che sono oggetto di indagine
della disciplina. Tali dati, a loro volta, possono essere rappresentati in forma
grafica e/o statistica, sicché si può disporre di “mappe tematiche” e di indicatori
comparativi per ciascun fattore.
Ferma restando l’indubbia autonoma rilevanza della geografia per la
comprensione della politica nazionale ed estera dei singoli Stati, vedremo come
gli eventi economici, politici e culturali degli ultimi decenni hanno riportato
all’attenzione degli studiosi l’importanza della geopolitica, soprattutto in
concomitanza di rapidi mutamenti del quadro politico mondiale: vedremo come,
per sua strutturazione, il campo di indagine tipico della geopolitica (e non solo)
presuppone necessariamente la valorizzazione costante della geografia, del
metodo geografico e dei suoi strumenti95.
Ricorrendo ad una frase celebre, può affermarsi che “l'unità di tutte le scienze è
trovata nella geografia. Il significato della geografia è che essa presenta la terra
come la sede duratura delle occupazioni dell'uomo”97.
30
4. La Geopolitica e lo studio delle R.I.
4.a Le origini dell’ “isola di teoria” e il periodo “classico”
E’ stato correttamente osservato che “potrebbe (…) a prima vista apparire
paradossale che, proprio accanto all’intensificazione dei processi di
globalizzazione, si registri una vera e propria ‘riscoperta della geopolitica’, ossia
della disciplina che fa del rapporto tra la geografia e i fenomeni socio-politici ed
economici il proprio ambito d’indagine privilegiato”98.
Per comprendere una tale affermazione ed interpretare l’apparente “paradosso”,
é necessario tracciare una breve storia del pensiero geopolitico, il quale,
secondo alcuni studiosi – al pari della geografia e di altre scienze umane -
affonda le sue radici, latu sensu, negli albori della storia99.
In sede di esame degli aspetti epistemologici delle R.I. si è accennato ai cd.
“modelli geopolitici” (e agli studi strategici) quale sottoinsieme disciplinare o “isola
di teoria” utile alla comprensione del sistema delle Relazioni Internazionali: nel
presente paragrafo cercheremo di definire, per quanto possibile, natura e ruolo
attuale della geopolitica, attraverso la sua evoluzione, che invero è tuttora in
fieri100.
Il “pensiero geopolitico” fa il suo ingresso in chiave di autonomo studio, nel
mondo occidentale, agli inizi del XX secolo, un’epoca densa di criticità,
caratterizzata dall’esasperazione del graduale logoramento degli equilibri
realizzatisi dopo il Congresso di Vienna (si pensi al Congresso di Parigi del 1856,
all’unificazione della Germania del 1871, al Congresso di Berlino del 1878) e da
una crescente rivalità tra le potenze europee che, attraverso le politiche coloniali
“moderne”, cioè indirizzate alla ricerca e allo sfruttamento di risorse pregiate e
alla creazione di basi commerciali in territori d’oltremare, da un lato investigavano
accordi e stringevano nuove alleanze dando luogo ad una espansione dei traffici
marittimi e ad una generalizzata corsa al riarmo, dall’altro iniziavano a
confrontarsi con due nuove potenze di vaste dimensioni posizionate a Oriente (il
Giappone) e Occidente (gli Stati Uniti) del vecchio continente: il tutto, sullo
sfondo dell’evoluzione dell’economia capitalistica, che si accompagnava a
31
significativi progressi in campo tecnologico e ad un incremento della crescita
demografica: in concomitanza di questi eventi, si acquisiva piena
consapevolezza della estensione nonché della limitatezza del globo terrestre.
In questo clima di novità e forti tensioni che accompagnavano l’incerto “ordine
politico” che si andava profilando a livello internazionale e che di lì a poco
avrebbe dato luogo alla I G.M., non è stato casuale che, parallelamente alla
geopolitica, abbia acquisito autonomo rilievo la g. politica e, sullo sfondo, siano
emersi modelli teorici ispirati a studi geo-strategici101.
L’introduzione del termine “geopolitica” nel panorama delle scienze politiche
moderne risale esattamente al 1899 ed è attribuita a Rudolf KJELLEN (1866-
1922), sociologo, politologo e geografo svedese il quale la definì “la teoria dello
stato come organismo geografico o fenomeno nello spazio” e l’adoperò nel suo
saggio Statem Lifsform (lo Stato come forma vivente), pubblicato nel 1916 (il
conflitto mondiale era ormai in corso).
Lo studioso, ispirandosi palesemente al pensiero del tedesco F. Ratzel,
fondatore, pochi anni prima, dello studio della geografia politica, considerava lo
Stato come ente giuridico e territoriale insieme, caratterizzato, al pari degli
organismi biologici, da un ciclo vitale e dunque bisognevole di uno “spazio vitale”:
lo studio della politica statale, pertanto, doveva essere messo in relazione con i
condizionamenti esercitati dai fattori spaziali e ambientali e con la localizzazione
degli altri soggetti politici nel contesto internazionale: la geopolitica, in definitiva,
consentiva di analizzare le influenze geografiche sulla politica statale e quindi
sulle R.I.102.
E’ interessante a questo punto ribadire che, fin dal suo “ingresso” nel panorama
delle scienze politiche e dunque delle R.I., la geopolitica si è accompagnata
all’affermazione di “teorizzazioni strategiche” o cd. “modelli geopolitici” che
hanno dato luogo ad un dibattito tuttora in corso103.
In particolare, lo studio di Kjellén era impostato, nell’ambito di un approccio
“realistico” alle R.I., all’insegna di un pensiero strategico favorevole ad una
“germanizzazione” dell’Europa che consentisse al “vecchio continente” di
32
competere con il dominio statunitense da un lato, con quello asiatico-orientale
dall’altro104.
Pochi anni prima della pubblicazione di tale studio l’inglese Sir Halford John
MACKINDER aveva presentato in modo alquanto suggestivo, presso la Royal
Geographic Society di Londra, il saggio “The Geographical Pivot of History”
(1904), con il quale condensava il suo pensiero geostrategico (anch’esso in
sintonia col “realismo”) fondato a difesa dell’internazionalismo mercantile
dell’impero britannico105.
In quel prestigioso consesso, dopo aver tracciato un ampio panorama della storia
globale, lo studioso britannico aveva sottolineato che “l’epoca colombiana”, dopo
quattro secoli di intense esplorazioni e scoperte via mare, si stava avvicinando
alla fine e dunque “il profilo della carta del mondo” era ormai pressoché
completato, così come erano ormai ridotte le possibilità di scoperte di rilievo: del
mondo si poteva ormai raccontarne la quasi completa “appropriazione politica”,
ma “ogni esplosione di forze sociali, anziché dissiparsi in un circuito circostante
di spazio incognito e di caos barbarico” sarebbe “riecheggiata dal lato più lontano
del globo e gli elementi deboli nell’organismo politico ed economico” sarebbero
andati “di conseguenza, in mille pezzi”106.
Per comprendere, ma soprattutto per interagire con i cambiamenti “recenti” che si
andavano verificando nel mondo, era in definitiva necessaria una rinnovata
comprensione geografica, della storia e della politica.
Rivolgendosi al prestigioso uditorio della R.G.S., Mackinder spiegava: “siamo
nelle condizioni di tentare, con qualche grado di completezza, una correlazione
fra le grandi generalizzazioni geografiche e le grandi realizzazioni storiche.
Possiamo percepire qualcosa delle dimensioni reali di caratteristiche ed eventi
sulla scena del mondo intero, e possiamo cercare una formula che esprima certi
aspetti, ad ogni modo, della causazione geografica nella storia universale (…).
Se siamo fortunati, quella formula avrà un valore pratico per porre nella giusta
prospettiva alcune delle forze in concorrenza nell’attuale politica internazionale”.
Poco dopo, accompagnando il suo discorso sul “nuovo ordine mondiale”
mediante l’uso di carte riprodotte su vetri da proiezione, lo studioso mostrò un
33
mappamondo che illustrava la sua “formula” per comprendere il “perno
geografico della storia”, in grado di salvaguardare l’equilibrio delle potenze
globali107.
Quella che sarebbe divenuta la mappa più famosa del pensiero strategico, era
denominata “The natural seats of power” (allegato 1).
Affermata l’importanza della geografia, Mackinder sosteneva, a mezzo di tale
mappa, la sua tesi centrale: il perno del mondo era costituito dall’Asia centrale
(ridenominata Eurasia), infatti la stessa civiltà europea rappresentava l’esito della
lotta secolare contro le invasioni asiatiche; la Russia “moderna”, avvalendosi di
una estesa rete di comunicazioni terrestri, dopo aver preso il posto dell’Impero
mongolo, era nella condizione di mettere in campo una potenza militare ed
economica in grado di sfidare ed eclissare la potenza dell’impero marittimo
britannico; una eventuale alleanza tra Russia e Germania avrebbe consentito ai
due imperi di controllare l’area geografica “perno di tutto il mondo” e le relative
risorse.
Come riferisce lo storico J. Brotton, la reazione del pubblico al saggio di
Mackinder fu varia, tuttavia prevalse un certo scetticismo: “i fellow della società
non erano abituati ad argomentazioni concettuali così ad ampio raggio (…)
(campo d’azione degli altri paesi) e certamente non ad argomentazioni che,
nonostante il clima politico dominante, lasciavano intendere che l’Impero
britannico fosse in pericolo imminente”.
E’ stato osservato che l’approccio di Mackinder, fondamentalmente basato sulla
distinzione tra potenze marittime e potenze continentali e teso a conferire valore
strategico di grande rilievo al “cuore della massa continentale” quale territorio
inaccessibile alle potenze marittime e baricentro del rapporto di forza tra perno
principale e terre dell’anello esterno, rappresenta un quadro di idee oggi
superato108.
A fronte di ciò, detto approccio continua tuttora ad affascinare e ad essere
valutato con grande rispetto, talora ad essere considerato come spunto di
riflessioni e teorizzazioni politico-strategiche di valore attuale109.
34
La teoria, è stato osservato, “non era solo una difesa dell’importanza della
geografia come disciplina accademica (…) era la richiesta di usare le idee della
disciplina per dare forma alla diplomazia internazionale e alla politica imperiale
(…): la geografia era l’unica disciplina in grado di misurare e prevedere lo
spostamento degli equilibri nella politica internazionale”110.
A distanza di alcuni anni dal suo saggio fondamentale, Mackinder condensò il
suo modello teorico nella formula: “chi governa l’Europa orientale controlla il
cuore continentale; chi governa il cuore continentale controlla l’Isola-Mondo: chi
governa l’Isola-Mondo controlla il Mondo”111.
E’ da sottolineare che pochi anni prima della formulazione dei modelli teorici
“continentali” ipotizzati da Kjéllen e Mackinder, lo statunitense Alfred T. MAHAN
(tra il 1890 e il 1892) aveva sostenuto il primato del potere insulare, cioè
“l’importanza per uno Stato di assicurarsi il dominio delle rotte marittime in modo
da proteggere il commercio e combattere la guerra economica”: di qui la
necessità di disporre di una grande flotta112.
Chiusa la parentesi dedicata all’affermarsi di teorizzazioni strategiche nello
studio dei rapporti internazionali, torniamo agli sviluppi della geopolitica113.
L’opera di Kjellén non mancò di suscitare ampio interesse in Germania, patria di
Ratzel e significativo teatro, già partire dal 1700, di un serrato dibattito sul “ruolo”
della geografia che, invero, é storicamente collegato alla stessa nascita della
disciplina114.
All’indomani della I Guerra Mondiale, e dunque in un clima critico e denso di
risentimento nazionalistico, tra i consessi della geografia tedesca, che pur aveva
compiuto significativi progressi nel campo della cartografia, delle scoperte
naturalistiche e della ricerca scientifica, si sviluppò una scuola che - fondata a
Monaco nel 1924 attorno alla Zeitschrift für Geopolitik (Rivista di Geopolitica) di
Karl HAUSHOFER - dopo aver enunciato alcune apprezzabili proposizioni
teoriche, influenzata dall’ideologia dominante, subì un’involuzione verso forme
esasperate di determinismo.
35
Nell’intento di fornire uno strumento di legittimazione della politica
espansionistica (e razziale) che si accompagnava al nazional-socialismo, lo
studioso ipotizzò un modello geopolitico favorevole al pangermanesimo e
all’imperialismo germanico. Secondo il suo pensiero strategico, sulla scena
mondiale era destinato ad emergere un numero limitato di Stati egemoni: l’ordine
internazionale doveva costituirsi attraverso aree di espansione (cd. Panregioni)
distribuite lungo i meridiani (allegato 2)115.
Al termine della II Guerra Mondiale la geopolitica - che nella Germania di Hitler,
attraverso l’esasperazione del concetto di “spazio vitale”, era stata ribattezzata
quale “geografia al servizio della guerra in tutto il mondo” - uscì del tutto
discreditata ed il corrispondente studio subì un comprensibile ristagno e
addirittura un processo di rimozione a livello mondiale116.
In corrispondenza della “sospensione” dell’animato dibattito suscitato dalla
geopolitica, si registrò, da parte dei geografi di varie scuole, un “recupero”, in
chiave tradizionale, della geografia politica, che tuttavia risultò arricchita da varie
forme di rappresentazione e descrizione dell’influenza dei processi politici sugli
spazi geografici, talora sconfinanti nel campo tipico della geopolitica attraverso
quella che è stata definita la “geografia del potere”117.
4.b L’evoluzione della geopolitica
“Il termine geopolitica è tornato di moda e si è rapidamente diffuso nel linguaggio
dei media dopo la fine del mondo bipolare e delle sue ideologie globali.
Evidentemente il suo ritorno non è casuale, ma dipende dalle trasformazioni
subite dal sistema internazionale. Al centro del dibattito non viene più posta la
‘statica’ dell’ordine mondiale, ma la ‘dinamica’ della competizione per il potere tra
i vari attori geopolitici – siano essi poli macroregionali, Stati o entità sub statali –
che cercano di affermare i loro interessi, identità e autonomia (…). Il ritorno del
termine geopolitica è quindi strettamente connesso da un lato con il passaggio
dall’ordine di Jalta al disordine delle nazioni e, dall’altro, con le tendenze alla
globalizzazione, alla regionalizzazione e alla frammentazione, che coesistono e
si contrappongono nel mondo post-bipolare”118.
36
In tema di “ritorno” della geopolitica è stato osservato che, nella sua fase iniziale,
lo studio si è caratterizzato attraverso l’affermarsi prevalente di “due visioni
strategiche” che, “per quanto divergenti”, (…) “poggiavano su un comune
progetto scientifico e culturale per cui si pensava di ricavare dalla diversa
conformazione geografica dello spazio indicazioni utili al fine di individuare la
miglior forma politica per il globo terrestre”. Viceversa, già a partire dalla seconda
metà del novecento, “il determinismo implicito nella fase iniziale è stato
superato e la dimensione militare della geopolitica è stata ridimensionata, per
fare spazio anche a quella economica e dei limiti ambientali, nonché a quella
culturale e delle identità politiche”. In particolare, “si è gradualmente imposto un
mutamento paradigmatico in senso olistico, per cui sono venuti alla ribalta i fattori
economici e culturali, con l’obiettivo di spiegare le condizioni mediante le quali è
possibile un concreto ordinamento politico del globo terrestre”119.
Invero, sempre nel periodo successivo alla fine della guerra fredda, il riscoperto
interesse, soprattutto nell’area anglosassone, per i cd. modelli geopolitici
“classici” e la tendenza a privilegiare il pensiero strategico-militare da un lato, il
cd. “primato” della geografia dall’altro, ha dato luogo allo sviluppo del pensiero
geopolitico “neoclassico”120.
A fronte di tale orientamento, tra la fine degli anni settanta e gli inizi degli anni
novanta, prima nel mondo accademico francese e poi in quello anglosassone,
attraverso l’affermazione di approcci differenti, si è fatta strada una prospettiva
“critica” della geopolitica che ha tra l’altro consentito di comprendere meglio
origini culturali, pregiudizi e limiti teorici della geopolitica classica.
In particolare, il geografo francese Yves LACOSTE ha dato corso ad una
“rinascita” della geopolitica a partire dalla fondazione, nel 1976, della Rivista
Herodote (poi ridenominata Revue de géographie et de la géopolitique), a mezzo
della quale da un lato denunciava l’utilizzo inadeguato del termine da parte di
politici, strateghi, giornalisti, economisti, dall’altro invocava la necessità di un
esame critico di argomenti globali in una prospettiva geografica che non
trascurasse la possibilità di raggiungere un sapere utile all’azione121.
Lacoste, nel definire la geopolitica “quella situazione nella quale due o più attori
politici si contendono un territorio”, sottolinea che122:
37
- “in questo contendere, le popolazioni che abitano il territorio conteso devono
essere coinvolte in questo conflitto, attraverso l'uso degli strumenti di
comunicazione di massa”;
- “le opinioni geopolitiche che si affrontano o si confrontano, trattandosi di
rivalità di potere su dei territori e sugli uomini che vi abitano, sono
rappresentazioni cariche di valori, più o meno parziali, basate su situazioni
reali le cui caratteristiche obiettive non sono assolutamente facili a
determinarsi”;
- “la geopolitica può essere vista come un procedimento scientifico (...) dal
momento in cui tutte le tesi rivali siano presentate in buona fede e si cerca di
comprendere ciascuna di esse e le loro ragioni profonde come cause indirette
ed accidentali della loro disputa”.
L’irlandese Gearoid Ó TUATHAIL, sulla scia di Lacoste, ispirandosi al cd.
pensiero post-moderno, sviluppa, nell’ambito della scuola geografica
statunitense, una critica radicale alla geopolitica classica, demolendo
l’aspirazione a farne scienza oggettiva e presentandola invece come un bagaglio
di pratiche e rappresentazioni strumentali al servizio di una precisa linea
politica123.
Lo studioso sostiene che, “per comprendere le dinamiche del mondo
‛postmoderno’, occorre una nuova geopolitica. Lo spazio va concepito come
prodotto sociale, quindi eterogeneo; vanno inoltre valorizzate le differenze e
l'indeterminatezza e rifiutata ogni egemonia e ogni gerarchia. La geopolitica può
essere solo globale, dato che la separazione fra gli Stati non ha più senso; a
differenza delle teorie globaliste, la geopolitica critica auspica l'avvento di un
ordine non gerarchico ma orizzontale, di natura funzionale”124.
Il ritorno in auge, in Italia, della geopolitica, viene generalmente attribuito al
periodico “Limes – Rivista Italiana di Geopolitica”, il cui primo numero risale al
1993: tra le pagine di Limes, gli articoli di studiosi (storici, geografi, sociologi,
politologi, giuristi, antropologi) e decisori (politici, diplomatici, militari, imprenditori,
manager) ispirati ad un orientamento politico “trasversale”125.
38
Tra questi, il Gen. Carlo JEAN, esperto di questioni militari ed autore di un
volume che è stato definito il “primo manuale” di geopolitica126.
Il geografo statunitense Marco Antonsich ha qualificato l’esperto italiano quale
“capofila di un pensiero geopolitico realista, strumento pratico per la definizione
degli interessi nazionali, vera e propria ‘geografia applicata’ al governo degli
affari internazionali”127.
Circa la natura e il ruolo della geopolitica, Carlo Jean sostiene che128:
- la geopolitica é “una particolare analisi della politica (specialmente la politica
estera degli Stati nazionali ma non solo quella), condotta in riferimento ai
condizionamenti su di essa esercitati dai fattori geografici: intendendo come
tali non solo e non tanto quelli propriamente fisici, come la morfologia dello
spazio o il clima, quanto l'insieme delle relazioni di interdipendenza esistenti
fra le entità politiche territorialmente definite e le loro componenti”;
- con riferimento alle relazioni internazionali, “in generale, rispetto a quella
tradizionale, la nuova geopolitica attribuisce maggior rilevanza ai fattori
geografici umani, come la cultura, la demografia, l'economia, l'etnologia, la
sociologia, l'antropologia ecc., rispetto a quelli fisici, il cui influsso e significato
sono stati profondamente modificati dalle rivoluzioni tecnologiche degli ultimi
due secoli”;
- “non esistono ‘principi’ né ‘leggi geopolitiche oggettivi”, bensì elaborazione di
ipotesi, teorie, rappresentazioni, scenari, “elaborati soggettivamente in un
determinato pensiero geopolitico nazionale”;
- la geopolitica “non è una scienza” perché le ipotesi geopolitiche “non sono né
neutrali né oggettive”, e spesso il desiderio stesso dei geopolitici è quello di
proporsi non come ‘neutri’ scienziati della politica ma quali ‘consiglieri del
principe’ ”;
- “una corretta geopolitica dovrebbe in primo luogo proporsi di individuare le
rappresentazioni geografiche che esprimono le percezioni profonde degli
interessi nazionali e il senso dello spazio proprio di ciascun popolo e che
affondano le radici nella sua storia, identità, cultura e valori. In secondo luogo
essa dovrebbe elaborare scenari geopolitici, sia particolari che generali, allo
scopo di individuare le dinamiche che probabilmente avranno luogo (...) in
39
assenza di un'azione positiva a difesa dei propri interessi. Infine, la geopolitica
dovrebbe porre in evidenza le opzioni disponibili per influire sul cambiamento
in atto, in maniera coerente con i propri interessi e valori”.
In generale, come già accennato, si è osservato che, nel passaggio dalla
geopolitica tradizionale a quella “critica” contemporanea, all’abbandono di una
concezione deterministica del rapporto tra uomo e ambiente geografico si è
sostituito un approccio in ragione del quale129:
gli studiosi che si occupano oggi di geopolitica “sono accomunati dal fatto di
concepire le relazioni internazionali a partire dal modo in cui lo spazio
geografico è organizzato”;
“ciò che connota la ricerca geopolitica (…) è una riflessione teorica che pone
al centro dell’analisi i temi dell’equilibrio, della polarità e della legittimità
internazionale, secondo un orientamento pluralistico che tende a coniugare
razionalismo e costruttivismo”;
risulta introdotta “un’impostazione metodologica di tipo olistico, costruita sul
rapporto strutturale e co-estensivo tra spazio regionale e spazio globale:
quindi una prospettiva diacronica e attenta ai mutamenti strutturali”.
4.c Fine della geopolitica?
Come si è già accennato, alcuni studiosi, prevalentemente vicini al pensiero della
Liberal International School, ritengono che le dinamiche della globalizzazione in
campo economico (in particolare i processi di “finanziarizzazione”),
accompagnandosi al progresso delle tecnologie dell’informazione, stiano
lentamente e inesorabilmente erodendo i confini degli Stati nazionali,
cancellando di fatto lo storico, tradizionale legame tra territorio e sviluppo del
benessere e del prestigio delle Nazioni130.
In termini molto sintetici, la predetta prospettiva si fonda essenzialmente sulla
convinzione che la storia abbia decretato, al contempo, la legittimità a livello
mondiale dell’economia capitalistica e la marginalizzazione del potere militare: il
nuovo ordine internazionale dipenderebbe dalla potenza economica, la quale
40
determinerebbe la gerarchia ed il rango tra gli Stati nonché le loro possibilità di
azione nel contesto internazionale131.
A fronte dell’obsolescenza del ruolo della geopolitica (quale studio il cui
approccio è fondato sulla rilevanza preminente degli Stati intesi come entità
territoriali) e della geografia (quale scienza del territorio) il primato – in termini di
studio idoneo alla comprensione delle R.I. - spetterebbe ad nuovo strumento di
analisi: la geoeconomia132.
Nell’economia della presente ricerca non si ha la possibilità di svolgere un
adeguato approfondimento circa la natura ed il ruolo che si tende a conferire alla
geoeconomia, la cui struttura teorica, tra l’altro, se da un lato tende a prendere in
prestito una serie di concetti e metodi già al centro dell’attenzione della
geopolitica, dall’altro risulta tuttora in fieri133.
Il “dilemma” di una “fine”, ora degli Stati, ora della geografia, è stato già oggetto
di esame, nell’economia del presente lavoro. In antitesi con la teoria della “fine
della geopolitica”, si evidenziano le seguenti ulteriori argomentazioni:
- la geografia “non è fatta solo di spazi, ma anche di uomini, non ha significato
esclusivamente fisico, ma anche psicologico. Nell’era dell’informazione, la
geopolitica degli spazi si è trasformata prevalentemente in una dei flussi, ma il
valore dei territori persiste, perché su di essi si concentrano timori, speranze,
ambizioni e progetti. Comunque, la competizione per le risorse non è
terminata, anche se oggi riguarda essenzialmente quelle energetiche e idriche
(…) l’emergere dell’importanza di dinamiche economiche globali “comporta la
necessità che lo Stato divenga attore (…) capace di garantire la competitività
del sistema Paese e delle sue singole componenti”134;
- “non è possibile dare il numero esatto delle dispute territoriali e di confine in
corso oggi nel mondo. Certamente sono più di 100. E parliamo solo delle
dispute di terraferma: quelle marittime rappresentano una categoria molto più
numerosa (…). Man mano che ci rivolgiamo al mare per le sue risorse, oltre
che per la sua importanza per i traffici e per il suo valore strategico, a man
mano che gli Stati espandono la loro giurisdizione nazionale e le loro frontiere
marittime, aumentano le dispute per il possesso di isole spesso scoperte o
41
esplorate solo da poco e probabilmente prive di valore economico. Quel che le
rende appetibili è la zona delle 200 miglia nautiche prevista dal diritto dei mari
(…)”135;
- “sarebbe più appropriato parlare di ‛geopolitica economica', in quanto [la
geoeconomia] (…) attinge all'insieme degli studi condotti sulle scelte politiche
in materia economica, aventi afflato strategico, che si avvalgono delle
conoscenze teoriche e pratiche per prendere decisioni tali da rafforzare la
competitività di un sistema-paese o di sottosistemi (…) essa si avvale delle
teorie elaborate dall'economia e dalla politica economica per integrare le
analisi più strettamente politiche e per effettuare scelte strategiche e tattiche
inquadrate in un contesto globale in cui dominano i venti della liberalizzazione,
finanziarizzazione e informatizzazione dei sistemi (…), tuttavia ha (…)
mantenuto l'obiettivo di studiare le regole di localizzazione dell'attività
produttiva e non quelle (…) della competizione tra sistemi-paese o tra i suoi
sottosistemi”136;
- “mentre gli economisti spiegano, non senza ragione, che la mondializzazione
dell’economia avanza e che anzi essa è stata completata in seguito alla
guerra fredda, come è possibile che i conflitti geopolitici diventino sempre più
numerosi? (…). Contrariamente a coloro che proclamano che il mondo si
degeopoliticizza (sic) perché la guerra fredda è finita, si può pensare che il
mondo entri progressivamente nell’era della geopolitica (…). Checché se ne
dica, le frontiere esistono”137;
- “ennesimo paradosso: nell' epoca della fine dei territori, riscopriamo la new
economy in aree ben definite e in alcuni clusters territoriali. Ciò sia per la
presenza di vantaggi comparati legati a specializzazioni settoriali forti (sistemi
locali del lavoro urbani, sistemi quasi-distrettuali nei segmenti a elevato
contenuto di progettazione e know how, presenza di medie e grandi imprese
attente al knowledge) che per le dotazioni strutturali e infrastrutturali (non solo
informatiche e di telecomunicazioni, ma nella rete dei trasporti e nella
telematica-logistica, nel commercio avanzato, nell'industria della
multimedialità) che per le caratteristiche del mercato del lavoro (presenza di
professionalità alte di tipo dirigenziale e tecnico, tassi di neo-imprenditorialità e
42
lavoro autonomo di seconda generazione) che infine per la dotazione di
‘capitale sociale’ e per la presenza di tessuti istituzionali densi (università,
sistemi associativi, istituzioni formative e di ricerca, finanziarie, fondazioni,
ecc.)”138;
- “il mercato, espandendosi globale e planetario, si scioglie, o s’industria di
sciogliersi, dai diritti territoriali. E tuttavia né il mercato può fare a meno di
diritto (la vincolatività degli accordi rinvia sempre ad un potere giudicante e
coercitivo), né il diritto si lascia facilmente esautorare, e piuttosto si arma della
stessa artificialità propria alla tecno-economia”139.
A conferma della persistente importanza del territorio (e delle risorse naturali
connesse), non sembra superfluo richiamare dei casi emblematici:
- la “storica” ma sempre attuale controversia riguardante la sovranità delle isole
Falkland/Malvinas (che si trasformò in guerra aperta tra i due contendenti,
Regno Unito e Argentina, nel 1982);
- il recente scontro diplomatico tra Cina e Giapppone per la sovranità
sull’arcipelago ‘disabitato’ delle isole Senkaku-Diaoyu, il cui controllo –
secondo stime recenti - conferirebbe l’accesso ad un giacimento di circa 17
mld. di metri cubi di gas e 20 ml. di barili di petrolio: scontro il cui esito è tra
l’altro ritenuto un test per l’alleanza tra Giappone e USA140;
- l’attualissima crisi Ucraina-Russia, che coinvolge aspetti complessi a livello
mondiale la cui comprensione non può prescindere da un approccio di
carattere geopolitico141.
Su un piano più generale, è stato osservato che la geopolitica non sottovaluta
l’idea che il conflitto per la sicurezza delle comunità vada assumendo sempre più
risvolti a carattere economico e finanziario piuttosto che apertamente politico e
militare, ad ogni modo “it is probably naïve (and certainly optimistic) to believe
that future prospects for international security will be shaped primarily, let alone
exclusively, by economic rather than political-military struggles (…). There can be
no economic escape from ‘the struggle for power’ (….). Economic success (…)
can be canceled by military failure (…). Military capability is also an expression of
43
political choice. Polities that elect to devote little of their wealth to military defense
tend, ultimately, to lose the basis of that wealth”142.
In definitiva, la circostanza per cui la competizione mondiale tende al giorno
d’oggi a privilegiare il campo economico rispetto a quello politico e militare -
sicché assistiamo al riaccendersi della lotta per le aree di influenza, per il dominio
dei mercati, per il controllo delle più importanti risorse economiche - non appare
di per sé sufficiente a riporre nuovamente in soffitta la geopolitica. Invero, tende a
suscitare il convincimento opposto.
4.d La rilevanza della geopolitica nelle R.I.
Da più parti è stato sottolineato come, lo scenario internazionale post-guerra
fredda, privato del confronto tra i due blocchi che tendeva a paralizzare le
relazioni tra gli Stati, si presenta estremamente fluido e suscettibile di
riaccendere o dare luogo a rapporti competitivi, soprattutto in una fase
attraversata da una lunga crisi economica e tuttavia ricca di profondi progressi
nel campo tecnologico, che ha tra l’altro fatto scoprire una nuova dimensione
spaziale, ricca di enormi potenzialità e al contempo fonte di preoccupazioni in
termini di sicurezza.
La guerra fredda è finita, ma “tecnicamente” non è intervenuto un “accordo di
pace” tra i contendenti principali. Nel frattempo, si sono affacciati sullo scenario
internazionale nuovi protagonisti in grado di contendere agli USA il primato di
Paese leader a livello mondiale. Soprattutto, è emersa, dopo l’11 settembre
2001, la minaccia asimmetrica del terrorismo internazionale. Il tutto, nel clima
della globalizzazione di cui si è detto.
In un perdurante clima di incertezza e spesso di timori (la cd. paura liquida), si
avverte sempre più la necessità di interpretare quello che potrà essere il futuro
“politico” (e dunque economico e sociale) dello spazio terrestre (e non solo) e di
tornare a “pensare” ad un nuovo “ordine internazionale”: da tutto questo,
fondamentalmente, la “rinascita” della “geopolitica” all’alba del nuovo millennio.
44
In generale si tratta di disciplina il cui statuto è tuttora in fieri e che, applicata alle
R.I., si propone di studiare i comportamenti, i processi decisionali e le cause di
competitività degli attori che ne sono i protagonisti principali, al fine di interpretarli
e immaginarne la dinamica valorizzando in chiave storica il contesto spaziale e
territoriale col quale tali attori interagiscono ed avvalendosi del corredo di dati e
conoscenze che sono propri dei vari campi di studio che interferiscono con la
comprensione delle R.I.
La geopolitica si fonda su un metodo soggettivo, in quanto affidato a capacità
d’analisi, percezione e interpretazione di comportamenti ed elementi di
conoscenza dei soggetti che lo promuovono. Sotto tale profilo, è uno studio
caratterizzato da un metodo di analisi “alla portata di tutti” e “non scientifico”, nel
senso che – pur utilizzando dei dati geografici/scientifici - non consente di
elaborare leggi fisiche riproducibili. Al pari di quanto avviene in innumerevoli
campi dello scibile umano, l’analisi che ne scaturisce è suscettibile di divenire o
di offrirsi quale strumento di una pluralità di “linee di pensiero politico/strategico”.
La geografia, e in particolare la geografia politica applicata alle R.I., per suo
statuto, tende a limitare il suo raggio d’azione allo studio descrittivo del rapporto
Stato-territorio nella complessa realtà internazionale, mentre una interpretazione
geopolitica di quest’ultima presuppone, soprattutto, l’esame in chiave storica del
nuovo concetto di spazio (culturale, economico, sociale, politico ed anche
multimediale) che si è andato affermando in questo secondo dopoguerra.
Nel corso della ricerca è emerso in modo alquanto chiaro il parallelismo tra
evoluzione della concezione dello spazio geografico (essenzialmente fondato
sull’antitesi “determinismo-possibilismo”) ed evoluzione dell’approccio filosofico
alle R.I. (essenzialmente fondato sull’antitesi “realismo-idealismo”): non è
casuale che la “riscoperta” della geopolitica nel mondo occidentale, soprattutto
ad opera di Y. Lacoste, la cui analisi, significativamente influenzata dal pensiero
geografico di Elisée Reclus, risulta focalizzata sul “pensare lo spazio” e dunque
su una base soggettiva e al contempo competitiva, che il geografo francese
mitiga attraverso l’enfatizzazione della possibilità di ricorrere alla geopolitica per
“contribuire a formare una disposizione d’animo che aiuti a cercare la soluzione
pacifica di alcuni conflitti”.
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Tale approccio introduce due questioni di carattere generale: “il relativismo dei
valori e delle idee” da un lato, “la politica come arte della negoziazione” dall’altro:
sono concetti il cui esame ci porterebbe lontano dal campo di indagine della
presente ricerca, ma che rimangono di costante attualità in seno alla Politica
Internazionale.
Nell’economia del presente lavoro, appare interessante esporre talune riflessioni
che sono state svolte con riguardo all’importanza dello “spazio geografico” nello
studio delle R.I.
46
5. Ancora sul ruolo dello spazio geografico nello studio delle R.I.
5.a Il rapporto tra geografia e geopolitica
Il geografo G. BETTONI ha elaborato un’analisi molto dettagliata circa il rapporto
tra geopolitica e geografia, indagando significato e ruolo dei due campi di studio.
Si riporta il suo pensiero in materia143:
- “Territorio. Esso è palcoscenico e posta in gioco al tempo stesso, è il vero
punto di riferimento, l’elemento da cui partire. Non vi può essere situazione
geopolitica se non vi è un territorio. Questo legame della geopolitica con il
territorio, ci porta automaticamente alla disciplina da cui la geopolitica è nata:
la geografia (…)”;
- “non è casuale il prefisso geo nella parola. I primi ad avvalersi della geopolitica
sono stati dei geografi (…). La geografia ha per oggetto lo studio dello spazio
(...) possiamo riassumere, quindi, l’oggetto della geografia in tutto il pianeta: la
Terra e gli Uomini”;
- “questo carattere così generale e inglobante della geografia può condurre al
grave errore di definire nello stesso modo o secondo lo stesso principio la
geopolitica. Se è vero che tutto ciò che concerne lo spazio, riguarda la
geografia, ciò non è altrettanto vero per la geopolitica”;
- “[la geopolitica] prima di tutto si occupa di un certo tipo di conflitti che hanno
come posta in gioco un determinato territorio. Al contrario della geografia, la
quale invece studia tutti i fenomeni che hanno luogo nello spazio come prima
definito”;
- “la geografia ha un procedimento molto preciso che è quello di raccogliere
informazioni, quindi abbiamo un lavoro di inventario e di ricerca sul terreno,
per poi avere una fase di catalogazione delle informazioni raccolte. Ecco
quindi un’altra parte che accomuna geografia e geopolitica: il raccogliere il più
ampio numero possibile di informazioni che possono riguardare la porzione di
spazio che si vuole studiare. Ma è qui che si ferma il “cammino” comune di
geografia e geopolitica”;
47
- “non si potranno mai produrre delle leggi scientifiche che in geopolitica
possano spiegare il perché del sopravvenire di un determinato evento. Il
lavoro si limita al raccogliere informazioni, catalogarle e proporle in seguito per
spiegare oppure per proporre delle possibili soluzioni”144;
- “quello che induce in inganno è, a differenza delle altre discipline, la natura
assolutamente multidisciplinare della geopolitica. Essa usa tutte le discipline
che possono fornire informazioni utili rispetto alla comprensione della
situazione su di un determinato territorio”145;
- “Saper pensare lo spazio. Ecco quello che prima di tutto è la geografia. Non
bisogna dimenticare la frase di Reclus: ‘La geografia è la storia nello spazio e
la storia è la geografia nel tempo’. Questa citazione non serve solo a fornire
un’accattivante definizione per due materie a vantaggio dell’uso
multidisciplinare delle stesse. Essa contribuisce anche, e particolarmente, a
comunicare il senso di una geografia dinamica”146;
- “il tempo è una variabile di primaria importanza nell’analisi geopolitica, così
come la storia rientra tra quelle discipline usate per questo tipo di
procedimento”147;
- “anziché partire dai tempi passati discendendo fino al presente, si cerca di
privilegiare una marcia contraria: dal presente verso il passato”148;
- “anche se può sembrare azzardato, questo è uno dei ruoli principali della
geopolitica, o comunque è uno degli elementi caratterizzanti di questo metodo
di analisi, che la differenzia dalla storia. Quest’ultima si preoccupa
prevalentemente di studiare come sono andate le battaglie [rectius, i conflitti,
NdA], anziché prevedere [rectius, “ipotizzare”, NdA] quelle future [rectius,
“probabili”, NdA]”149.
48
5.b Il rapporto tra geografia, geopolitica e studi strategici
Il rapporto tra geografia e geopolitica ha generalmente suggerito l’esistenza di
una stretta correlazione tra le medesime e gli studi strategici. Al riguardo,
risultano interessanti i seguenti interventi:
- lo studioso inglese Colin S. GRAY, nel sostenere l’importanza della geografia
ai fini della geostrategia, afferma che “all strategy is geostrategy” in quanto la
strategia presuppone, in ogni caso, lo spiegarsi di effetti in un contesto
geografico150;
- lo studioso italiano Carlo M. SANTORO, nell’associare gli studi geopolitici a
quelli strategici sostiene che “le teorie strategiche hanno (…) una base
materiale, dovuta all'esigenza di operare in un ambiente o contesto territoriale,
che si richiama per forza di cose alle teorie geografiche e per questa via si
connette al complesso teorico della geopolitica che rappresenta l'ovvia matrice
culturale e storica delle teorie strategiche”151.
Sul tema, risultano altresì interessanti talune riflessioni svolte dal Prof. Harvey
STARR, esperto statunitense di R.I., le quali tengono conto dei risultati e dei dati
emersi da varie ricerche e analisi152:
- la geografia, in quanto scienza dello spazio geografico, è in grado di fornire
strumenti idonei allo studio della politica internazionale ed in particolare in
materia di “international conflict”;
- i concetti chiave che sono alla base dello stretto legame tra geografia e
relazioni internazionali sono rappresentati da “spatiality, including territory,
territoriality, proximity and distance, and borders”;
- il contesto spaziale, che è necessariamente il campo d’azione della politica
internazionale, evidenzia l’importanza, in particolare, di concetti come “sito” e
“distanza”;
- il sito/posizionamento (location) degli Stati, la rispettiva variabile vicinanza
(proximity) e soprattutto la circostanza che condividano o meno dei confini
49
(borders) rappresentano fattori di per sé forieri di una dimensione conflittuale
e, in definitiva, in grado di incrementare considerevolmente le
ipotesi/possibilità di crisi/conflitto di carattere internazionale;
- la definizione di spazialità quale fattore collegato all’attività di qualsiasi
formazione sociale, le cui componenti sono esse stesse dipendenti dal loro
assetto territoriale nel contesto temporale, se da un lato corrisponde ad un
approccio alquanto familiare al comune patrimonio conoscitivo, dall’altro
coincide con le idee alla base del concetto geografico di
“posizione/ubicazione”;
- il concetto di posizione/ubicazione, a sua volta, rinvia al concetto di distanza,
corrispondente al grado di vicinanza/lontananza tra entità ubicate in uno
spazio geografico153;
- a fronte della “penetrante tirannia dello spazio assoluto”, le decisioni/azioni
umane modificano costantemente e ristrutturano gli spazi relativi; per di più,
varie forme di spazio relativo comportano il raffronto con la dimensione
temporale, pertanto lo spazio relativo e la distanza relativa (ed i rispettivi
significati) sono ampiamente condizionati dalle percezioni: “the spaces in
which people live are much more psycological than absolute”;
- nel caso delle entità statali entrano in gioco una serie di elementi di rilievo
sotto il profilo geografico, in quanto si tratta di unità territoriali: il confine
rappresenta, per sua natura, il più elevato livello della prossimità ed è definito,
dal vocabolario comune, quale “limite di un territorio” o “condizione di
contiguità”.
Sulla base di queste premesse, nonché dell’assioma per cui alla base di un
conflitto/competizione devono esserci, perlomeno, due fazioni contraddistinte da
significative caratteristiche, l’Autore rileva come:
- taluni studi sulle ipotesi di crisi internazionale, nell’approfondire ulteriormente il
concetto di distanza, hanno sviluppato, a partire dagli anni ’60, il principio del
“the further the weaker” (Kenneth E. BOULDING, 1962), derivante della
constatazione che, in caso di conflitto tra due fazioni che si assume
50
detengano, nelle proprie “home base”, il massimo di potenza, il relativo potere
competitivo in termini di abilità nell’imporre reciprocamente il proprio dominio,
si riduce in ragione della distanza che le separa l’una dall’altra: da qui il
concetto di “loss-of-strenght gradient” (LSG), corrispondente alla quantità di
potenza competitiva suscettibile di essere persa in corrispondenza di ciascuna
unità di distanza da “casa”154;
- rispetto al concetto di distanza sono stati considerati due ulteriori concetti che,
combinandosi in vario modo tra loro, risultano particolarmente significativi ai
fini dello sviluppo delle Relazioni Internazionali: “interaction opportunity” e
“willingness”:
gli Stati (ed ogni altra formazione sociale) i cui territori sono confinanti
tendono ad interagire meglio, in ragione della reciproca vicinanza155;
gli Stati (ed ogni altra formazione sociale) che sono vicini hanno una
reciproca percezione di importanza o rilevanza, per una serie di ragioni156;
in presenza di elevati gradi di “opportunity” e “willingness” generati, per
esempio, da estesi confini contigui che attraversano aree ricche di risorse
pregiate o rivestono valore strategico, in prossimità dei quali sono insediati
individui del medesimo gruppo etnico, entrambi gli Stati confinanti sono in
grado di interagire facilmente tra loro e di percepire “l’altro” come
importante e rilevante, indipendentemente dal fatto che condividano
interessi in forma di ostilità o collaborazione157.
Le riflessioni su riportate evidenziano la rilevanza, ai fini degli studi che si
interessano delle R.I., di una serie di concetti, anche di carattere psicologico
(come si è accennato, la percezione svolge un ruolo essenziale) connessi al
binomio Terra-esseri umani, che nella prospettiva statuale si trasforma nel
rapporto territorio-politica interstatale158.
Si è inteso dischiudere questo settore per ribadire, ancora una volta, come lo
spazio geografico rappresenti un orizzonte “mutevole” rispetto ai vari studi e
discipline congeniali alla comprensione delle R.I.: tale circostanza conferma, tra
l’altro, la necessità di uno studio che presuppone un approccio multidisciplinare.
51
5.c Una ipotesi: la geopolitica come studio del Sistema Internazionale
Sulla base dell’esame svolto all’inizio della presente ricerca, si è visto come, lo
studio delle R.I.159:
- “non ha ancora uno statuto scientifico consolidato”;
- consistendo essenzialmente nello “studio della guerra e della pace” (le due
anime della politica internazionale), nonché di tutto ciò che esiste lungo il
continuum che corre tra questi due elementi estremi”, può essere assimilato
ad un “arcipelago di isole di teoria” confinante con discipline diverse ma affini
(storia, diritto, politologia interna, ecc.) e comprensivo di:
tre principali sottoinsieme analitici che studiano i fondamentali parametri
analitici delle R.I.: la pace (politica estera), la guerra (studi strategici), lo
stato intermedio fra le due condizioni (crisi internazionali);
due sottodiscipline recenti quali la International political economy e lo studio
delle istituzioni internazionali.
E’ stato altresì osservato che un approccio sistemico alle R.I. “funziona come un
ponte immaginario che collega, sia pure sporadicamente, le diverse isole
dell’arcipelago”160.
Ebbene, risulta interessante rilevare come, detto “arcipelago di teorie”, in quanto
indirizzato allo studio del “comportamento” degli Stati, che sono entità territoriali,
ha come “sfondo” comune e mutevole teatro d’azione, lo spazio geografico nel
quale essi interagiscono politicamente: si può allora azzardare l’ipotesi che la
geopolitica, nell’utilizzare la geografia come sua “piattaforma naturale” e
prendendo in esame le R..I. in chiave di “sistema”, può aspirare a qualificarsi, in
definitiva, quale studio multidisciplinare e di sintesi del sistema medesimo.
C.M. SANTORO, nel richiamare il pensiero di RATZEL, secondo il quale “lo
spazio è l’organizzazione politica del suolo” e “lo sviluppo dello Stato è anzitutto
una questione di spazio”, osserva che lo Stato può anche essere definito come
“contenitore”, ma non può essere decontestualizzato dalla sua realtà spaziale [né
52
dal suo processo storico, NdA] ed auspica una analisi della politica internazionale
e, in particolare delle R.I., non confinata nelle “piccole utopie delle architetture
istituzionali e normative”, bensì attenta alla “concretezza materica dello spazio,
inteso come territorio e come strumento della politica” e focalizzata
“sull’interazione geografica e politica nei diversi ambiti regionali, fino a quello
globale (…). Non solo nella tradizione degli stati-nazione, ma anche delle grandi
aree regionali, delle strutture reali dell’interazione tra Stati, degli interessi della
formazione e/o disgregazione degli Stati, della fissazione o cancellazione dei
confini”161.
Lo stesso Santoro sottolinea che: “la geopolitica resta uno strumento analitico
decisivo (…) riconosce i vincoli oggettivi e le potenzialità dell’azione politica
internazionale dei singoli attori e, più recentemente, ne ha classificato i criteri
analitici anche nel campo, per così dire sistemico, dell’interazione geografica e
politica nei diversi ambiti regionali, fino a quello globale. Le capacità euristiche
della geopolitica (…) sono molto consistenti perché poggiano su un basamento
(…) oggettivo (lo spazio geografico) che, fra l’altro, con il tempo è andato
arricchendosi di nuove dimensioni attraverso la ‘verticalisation’ dovuta alla
conquista del cielo e dello spazio extra atmosferico. La sua rinascita è il
riconoscimento dello spessore storico delle caratteristiche culturali ed etniche,
nonché della comparabilità e diversità delle civilizzazioni (…) ci fornisce uno
strumentario elementare (Terra-Mare; Est-Ovest; Heartland-Rimland) ma
efficace, che può diventare gradualmente una griglia equilibrata (…) per la
condotta e l’azione diplomatica e militare (…)”, capace di “mettere in relazione la
pace con la guerra, cioè le due anime della politica internazionale”.
Invero, una prospettiva così ampia appare alquanto in contrasto con la tesi
favorevole a definire la geopolitica quale “sottodisciplina delle relazioni
internazionali” sostanzialmente confinata, in qualche modo, nel settore degli
“studi strategici”162.
Al contrario la geopolitica, ove concepita quale studio multidisciplinare e di
sintesi del “sistema” delle R.I. qualificato da un giudizioso ricorso allo strumento
dell’immaginazione cognitiva, potrebbe conferire ai protagonisti primari e al loro
contesto spaziale il ruolo centrale che di fatto essi svolgono nell’ambito delle
medesime, nella consapevolezza che - come del resto afferma lo stesso studioso
53
italiano - “la geopolitica contemporanea [e non solo, NdA] non è del tutto
[rectius, non è per niente, NdA] immune (…) dal sospetto che gli assunti
preanalitici della disciplina, ovvero il corpo dei valori che stanno a monte degli
studi dell’analisi spaziale, siano (…) influenzati da motivazioni di carattere
politico” (v. Figura 3, pg. 70 )163.
54
6. Cenni sulle dispute territoriali
6.a Attualità delle dispute territoriali
Si è detto che lo Stato-nazione, attore principale delle R.I., si è storicamente
affermato quale forma di organizzazione politica di gruppi umani radicati
territorialmente164.
La vitalità dello Stato del XX secolo, fondata in larga misura sulla fusione
dell'idea di Stato con quella di nazione, è fondamentalmente collegata al
rapporto comunità sociale – spazio geografico, che in termini politici e giuridici si
è storicamente istituzionalizzato attraverso la combinazione del concetto di
sovranità territoriale con quello di tutela e salvaguardia di popolo e territorio165.
Tale forma di organizzazione, delineatasi in Europa nella sua dimensione
“moderna” a partire XVII secolo, ha subito significative trasformazioni, ma in
generale persegue, bilanciandoli in diversa misura, scopi omogenei, il cui nucleo
è rappresentato dall’esigenza di assicurare l’integrità territoriale, che in definitiva
rappresenta lo spazio geografico entro il quale si svolgono i processi culturali ed
economici.
Gli Stati moderni hanno raggiunto l’obiettivo di una stabile territorializzazione del
dominio politico attraverso il conseguimento del “monopolio della forza legittima”
a garanzia dell’ordinamento da essi istituito166.
Una serie di circostanze rappresentano un ineludibile potenziale fattore di
instabilità ai fini del mantenimento degli equilibri e della sicurezza globale,
soprattutto all’indomani della fine della divisione del mondo in blocchi:
di fatto non esistono, sul globo terrestre, territori che non appartengano ad
entità statali167;
le possibilità di esplorare, scoprire “nuovi” territori risultano alquanto ridotte se
non inesistenti168;
la demarcazione dei confini dei territori statali, in ragione delle modalità e delle
vicende storiche che l’hanno determinata, non è esente, per sua genesi, di
elementi di contenzioso. Inoltre le entità statali, in ragione degli eventi storici e
55
politici che ne hanno connotato la formazione e l’affermazione, presentano
una complessa serie di elementi distintivi che ne condizionano i rapporti di
interrelazione169.
- ogni processo di territorializzazione si sostanzia nella produzione/costruzione
materiale e simbolica di un territorio e dunque vale a introdurre
necessariamente una dimensione dialettica che investe le rappresentazioni,
gli obiettivi, le strategie e le azioni di una pluralità di soggetti che, all’interno
delle entità statali, agiscono a differenti scale e sulla base di differenti
razionalità170.
La ricerca di forme di equilibrio e stabilità, che dovrebbe essere l’obiettivo
fondamentale di una politica internazionale fondata sul criterio della sicurezza
globale, non può non tenere conto della geografia e dunque dei punti di forza
che consentono il controllo e la salvaguardia del territorio171.
Anche nell’era della globalizzazione, per assicurare la stabilità ed
evitare/prevenire l’insorgenza di conflitti o minacce asimmetriche, rimane tuttora
prioritario, per gli Stati, assicurare il controllo del territorio e dei confini172.
La storia recente conferma che la comunità internazionale ed in particolare gli
Stati limitrofi sono generalmente indotti a intervenire in sostegno di Stati di
nuova costituzione o interessati da delicate fasi di transizione politica, laddove
questi ultimi abbiano difficoltà a controllare il proprio territorio e i propri confini da
minacce che siano avvertite come comuni, in grado di generare scenari critici ai
fini della conservazione e del mantenimento della sicurezza e della stabilità
ovvero in presenza di bacini/aree caratterizzati da una situazione di vicinanza o
condivisione di interessi di carattere economico173.
Si pensi a tale ultimo riguardo, alle situazioni di crisi che, a partire dalla fine del
2010, hanno coinvolto, con “effetto domino”, gli assetti politici di vari Stati islamici
della costa meridionale e orientale del Mediterraneo174.
Le dispute territoriali, che spesso coinvolgono Stati confinanti, tendono a
generare vere e proprie situazioni di crisi o addirittura conflitti che possono
avere/hanno dei riflessi nel sistema complessivo delle Relazioni Internazionali.
56
Non è raro, tra l’altro, che una disputa territoriale tra Stati sia strumentale alle
finalità di politica interna e/o estera di uno o addirittura di entrambi i contendenti.
6.b I dati relativi ai conflitti in atto
In precedenza abbiamo cercato di esaminare i processi di territorializzazione e
territorialità che contraddistinguono il rapporto con lo spazio geografico, a livello
di comunità sociali e a livello di entità statali.
Nell’economia della presente ricerca, si ritiene di aver addotto sufficienti elementi
atti ad evidenziare il valore che gli Stati e le comunità sociali (e in definitiva gli
individui) attribuiscono al territorio (e alle connesse risorse naturali).
H. Starr riferisce che, nell’era post guerra fredda (1991-2001), i conflitti collegati a
questioni di “incompatibilità territoriale” risultano pari a circa il 60% del totale (lo
studio che viene citato prende in considerazione 225 conflitti armati)175.
Di recente l’Istituto per la Ricerca Internazionale sui Conflitti della facoltà di
Scienze Politiche dell’Università di Heidelberg ha pubblicato il documento
denominato “Conflict Barometer 2012”176.
Tale rapporto segnala complessivamente 396 conflitti nel mondo, di cui 130
contraddistinti dalla causale “system/ideology” (vedi mappa generale in allegato
4).
Rispetto a tali conflitti risultano sottolineati, tra gli altri, i seguenti dati177:
i conflitti contraddistinti da un indice più o meno elevato di “violenza” risultano
pari a 208, cioè oltre il 50%: si tratta del più elevato numero mai osservato a
decorrere dal 1945;
i conflitti “domestici”, cioè a carattere interno agli Stati, risultano pari a 314,
cioè l’80% circa, in linea con le risultanze degli anni precedenti;
il numero maggiore di conflitti interessa le regioni dell’Asia-Oceania (128),
dell’Africa sub-sahariana (90) e del Medio Oriente e Maghreb (69), seguiti da
Europa (58) e Americhe (51).
La lettura del rapporto risulta alquanto articolata, laddove prende in
considerazione le “voci” corrispondenti alle cause dei conflitti (conflict items):
57
esso specifica che, in ragione della circostanza che un singolo conflitto può
coinvolgere più cause (si tratta in effetti di dati aggregati), il numero complessivo
dei conflitti medesimi risulta, di fatto, “aumentato” da 396 a 586178.
Estrapolando le risultanze che scaturiscono da tale ultimo dato, si può dedurre,
ragionevolmente, che perlomeno 262 conflitti (circa il 45%) risultano
contraddistinti da un elevatissimo livello di intensità e collegati, in generale, a
“contese territoriali” in senso ampio, sia a livello intra-nazionale che
internazionale179.
E’ interessante notare che, sulla base del “Barometro dei Conflitti 2012”, il sito
swissinfo.ch ha selezionato i seguenti conflitti significativamente qualificati come
“crisi dimenticate”, in ragione della scarsa risonanza mediatica che li
caratterizza:
- Francia (FLNC/Corsica); inizio: 1975; motivi: secessione della
Corsica; parti: Fronte di Liberazione Nazionale Corso e governo francese;
- Papua Nuova Guinea (violenze tribali); inizio: 1975; motivi: predominio
regionale e accesso alle risorse; parti: diverse tribù dell'altopiano;
- Myanmar (Stato Shan); Inizio: 1952; motivi: autonomia/indipendenza dello
Stato Shan; Parti: Esercito dello Stato Shan (SSA) e governo centrale;
- Kenya (violenza interetnica); inizio: 1991; motivi: predominio regionale e
accesso alle risorse; parti: diversi gruppi etnici;
- Egitto (musulmani e cristiani); inizio: 1952; motivi: predominio regionale; parti:
musulmani e cristiani copti;
- Cina (Tibet); inizio: 1950; motivi: secessione del Tibet, ideologia, accesso alle
risorse; parti: separatisti tibetani, governo tibetano in esilio e governo di
Pechino;
- Nagorno Karabakh; inizio: 1987; motivi: controllo territoriale del Nagorno-
Karabakh, una regione azera popolata prevalentemente da armeni; parti:
Armenia e Azerbaigian;
- Conflitto: Timor Est; inizio: 2002; motivi: territoriali; parti: Indonesia e Timor
Est;
- Perù (Sendero Luminoso); inizio: 1980; motivi: predominio regionale, ideologia
e accesso alle risorse; parti: gruppo ribelle maoista Sendero Luminoso e
governo peruviano;
58
- Regno Unito (Irlanda del Nord); inizio: 1968; motivi: secessione dell’Irlanda del
Nord dal Regno Unito; parti: diversi gruppi nazionalisti e unionisti.
- Sud della Thailandia; inizio: 1902; motivi: secessione delle province
meridionali di Yala, Pattani, Narathiwat e Songkhla; parti: separatisti islamici e
governo centrale.
- Repubblica Democratica del Congo (CNDP/M23); Inizio:
2004; motivi: controllo territoriale e accesso alle risorse nelle province del Sud
e del Nord Kivu; parti: Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP,
poi diventato M23) e governo congolese.
- Caucaso del Nord; Inizio: 1989; motivi: secessione delle repubbliche del
Caucaso; Parti: militanti islamisti del Fronte caucasico, governo centrale e
governi regionali.
I motivi alla base dei predetti conflitti, individuati a titolo meramente indicativo,
evidenziano ancora una volta, in modo significativo, la persistente rilevanza,
anche nel nuovo millennio, dell’elemento territoriale nel campo della politica
internazionale e dunque del Sistema Internazionale.
Tale considerazione, ampiamente suffragata dal recente affermarsi di un cruento
processo di “territorializzazione” ad opera di estese frange del terrorismo di
matrice islamica, fondamentalmente mirato alla “restaurazione” del Califfato (si fa
riferimento all’ISIS), richiama alla mente i versi del Poeta che secoli orsono definì
la Terra come “l’aiuola che ci fa tanto feroci”180.
59
Conclusioni
La ricerca svolta ha comportato l’approccio a delle discipline così importanti, ampie e
specialistiche, da scoraggiare il ricorso al termine “conclusioni”, anche perché coinvolgono
approcci epistemologici costantemente in fieri. Sono tuttavia nella condizione di dover
svolgere delle considerazioni.
Il titolo della ricerca é in apparenza fuorviante rispetto ai dati emergenti attraverso le fonti
che sono state oggetto di consultazione: geografia e geopolitica non hanno mai cessato di
essere “attuali” per la comprensione delle R.I., tenuto conto che i pilastri “fisici” (popoli e
territori) su cui continua ad essere fondata la sovranità degli Stati, che sono e continuano
ad essere i protagonisti principali della politica internazionale, rappresentano il nucleo
fondamentale oggetto di studio delle due discipline.
La vita politica si svolge attraverso relazioni spaziali e tutte le questioni politiche si
manifestano in un particolare contesto spaziale: tale assunto, nella sua ovvietà, manifesta
l’ineludibile importanza, per le Relazioni Internazionali (e non solo), della geografia e, di
riflesso, della geopolitica, ove sia intesa quale studio caratterizzato da un approccio
soggettivo multidisciplinare di tipo dinamico che si fonda essenzialmente sulla
rappresentazione dello spazio geografico.
L’avvento di “rivoluzioni” collegate al progresso scientifico e tecnologico non è una novità
nella storia umana; del pari, non è una novità la variabile trasmissione ed espansione delle
culture: tali fenomeni non sono in grado di privare di importanza indicatori spaziali quali la
distanza, l’estensione, la prossimità, ecc. né tantomeno le differenze culturali, che sono il
prodotto di un processo storico legato all’ambiente (e non solo).
L’illusione di poter “decretare” la “fine” degli Stati, quale effetto dell’affermarsi di processi di
globalizzazione e/o progressi tecnologici, e, sulla scia di tale convinzione, ora la fine della
geografia, ora quella della geopolitica, rappresenta, probabilmente, il risultato di un
malinteso: talora si tende a conferire eccessiva enfasi ai fenomeni anziché continuare a
riporre fiducia nelle discipline che li studiano e possono fornire gli strumenti in grado di
comprenderne la natura o immaginarne gli effetti/l’evoluzione.
60
La geografia è immanente al Sistema Internazionale poiché gli attori principali di queste
ultime, le entità statali, nel loro interagire, devono “fare i conti” con i rispettivi fattori
geografici e le popolazioni-comunità sociali che rappresentano e che sono insediate
stabilmente (o circolano) sui territori che ricadono nella sfera di competenza della loro
sovranità: tale legame è la risultante di un lungo processo storico, culturale, politico,
economico. Come si è detto, le comunità sociali svolgono un ruolo attivo e dinamico nel
loro rapporto col territorio, valorizzandolo e sfruttandolo al fine di garantire il proprio
benessere secondo le rispettive culture, sicché ad una geopolitica “esterna” si affianca una
geopolitica “interna”: invero, nell’attuale fase storica, risulta alquanto arduo improntare le
due sfere alla coerenza, a meno di una espansione dei processi di integrazione degli Stati
a livello regionale.
Oltre due millenni orsono è stato detto che “siamo nati per coltivare, senza distinzione,
quelle virtù che sono nobili e illustri quali la giustizia, la tolleranza e le altre del medesimo
tenore (…) per tali virtù proviamo un desiderio alquanto nobile ed entusiasmante;
sentiamo altresì insito in noi o meglio innato, il desiderio di sapere (…) e siamo nati per la
fratellanza tra gli uomini e l’istinto per la società e l’aggregazione che sono propri del
genere umano (…)”181.
La ricerca di assicurare sempre nuove e adeguate condizioni al vivere quotidiano e la
proiezione dei nostri bisogni, incluso quello della conoscenza, non tollerano il concetto
fisico di “limite/confine”. D’altra parte, il pensiero che la comunicazione elettronica ed il
progresso tecnologico della rete telematica siano in grado di annullare le distanze
geografiche o di proiettare la vita degli esseri umani in una dimensione esclusivamente
virtuale, si scontra con l’assunto, storicamente sempre valido, che l’uomo, per sua natura,
è fondamentalmente un essere territoriale, oltre che sociale.
Politica e diritto, combinandosi tra loro attraverso i rapporti sociali ed economici, sono
discipline che tendono a delimitare il “territorio dell’umana convivenza” allo scopo di
conferire un ordine e individuare i confini ora “naturali” ora “fittizi” alla convivenza stessa
(che è storicamente attraversata dalla dicotomia sedentarizzazione – circolazione, che
non è l’unica: si pensi alle strategie umane di “identità culturale – multiculturalismo,
“ricerca di nuovi orizzonti/innovazione” - tradizione) idonei a garantire, al contempo,
61
miglioramento delle condizioni di vita, benessere economico, ricerca e utilizzo di risorse
economiche.
Nello specifico campo delle Relazioni Internazionali, la ricerca di forme di intesa e di
cooperazione tra differenti identità culturali e variegati – spesso non convergenti - interessi
collettivi, economici e non, è di vitale e generale importanza, ai fini di una pacifica libera
convivenza ispirata alla tolleranza e all’uguaglianza.
E’ stato rilevato che spesso è la geografia che fa la storia, ma è altrettanto vera
l’affermazione opposta. Lo studio delle Relazioni Internazionali, che sono parte integrante
della politica internazionale, non può prescindere dall’esame sia della geografia che della
storia, rispettivamente intese come studio delle categorie dello spazio e del tempo.
La geografia è una scienza spaziale: in quanto tale, si occupa anche del comportamento
spaziale dei popoli, dei rapporti spaziali che si osservano fra i luoghi della superficie
terrestre e dei processi spaziali atti a creare o mantenere tali comportamenti e rapporti.
Se da un lato la geografia, intesa come studio dello spazio geografico, è immanente alle
R.I., in quanto ne definisce lo sfondo mutevole/il contesto nel quale interagiscono, nel
tempo, i relativi attori (statali e non), dall’altro la geopolitica è uno studio che, sulla base di
una serie di elementi geografici, politici, economici, ecc., cerca di studiare in chiave
storica, talora diacronica, gli ipotetici scenari che possono emergere da tale interazione.
Il successo “recente” della geopolitica discende da innumerevoli ragioni, ma è soprattutto
legato alla circostanza che essa, applicata alle R.I., tende a studiare e interpretare, talora
“immaginare” (ipotizzare e non prevedere), senza alcuna pretesa di validazione scientifica,
i comportamenti delle entità statali, sulla base dei fattori di competitività ed i rapporti
reciproci, valorizzando preminentemente i mutevoli fattori geografici e tenendo conto
degli elementi oggetto di studio di ulteriori discipline utili alla comprensione delle R.I.182.
Richiamando la metafora secondo la quale il “sistema” delle R.I. costituisce il ponte
immaginario che collega le “isole di teoria” di cui si compone la disciplina delle R.I., è stata
azzardata l’ipotesi che la geopolitica possa candidarsi a “studio multidisciplinare e di
62
sintesi del Sistema delle R. I.” fondato su un giudizioso ricorso all’immaginazione cognitiva
e per nulla esente dall’influenza di motivazioni di carattere politico.
La geografia, che è tendenzialmente una scienza descrittiva, svolge un ruolo interno ed
esterno al sistema delle R.I.: da un lato fornisce il quadro di situazione nel quale si
muovono gli attori delle medesime, dall’altro è in grado di fornire le mutevoli situazioni
emergenti dallo sviluppo delle R.I. (esiste tra l’altro, come si è visto, anche una geografia
delle R.I.). La geopolitica mira a utilizzare queste “diapositive” e gli studi derivanti da
ulteriori discipline e isole di teoria, per operare - in chiave storica, spesso diacronica - delle
interpretazioni e rappresentare ipotetiche proiezioni di situazione.
Ancora oggi non esiste una definizione univoca di geopolitica, ma vi è una certa
concordanza sul suo campo d’indagine, ove essa sia applicata alle R.I.: i mutevoli
comportamenti degli Stati intesi quali soggetti titolari di sovranità territoriale, nella loro
interazione politica. Esiste anche una certa convergenza su ciò che non è: non è una
scienza; non è riducibile ad una particolare area di studio delle relazioni internazionali.
Soprattutto, la geopolitica non è riconducibile ad una branca della geografia, in quanto -
pur mutuando dalla medesima una serie di dati oggettivi – li valorizza attraverso la loro
soggettiva percezione e rappresentazione: tale aspetto, tra l’altro, esclude la possibilità di
incorporare la geopolitica in seno alla geografia intesa come “scienza della terra”.
Applicata alle R.I., come si è detto, l’analisi geopolitica tiene conto, soprattutto, della
storica configurazione spaziale degli Stati-nazione e dunque del rapporto Stato-territorio:
come si è detto, può essere considerata uno studio fondato su un metodo soggettivo di
analisi finalizzato a pervenire alla rappresentazione degli effetti delle decisioni e
dell’azione politica delle entità statali attraverso un esame multidisciplinare dell’influenza
esercitata dal fattore geografico: tale studio, utilizzando appunto la geografia (in particolare
la g. politica) come piattaforma, risulta assai utile in una fase storica in cui la P.I. si
interroga sul nuovo “ordine internazionale” e, soprattutto, avverte l’esigenza che la
sicurezza sia pensata, ora più che mai, in termini globali.
Nel corso dello studio si è detto che gli Stati, per loro natura e statuto, sono entità
territoriali le cui finalità principali consistono nel garantire la sicurezza (in senso ampio)
63
delle popolazioni e del territorio, la crescita economica e lo sfruttamento ottimale delle
risorse: il concetto di sicurezza, abbinato a quello della disciplina del ricorso alla forza
recepito nel diritto internazionale, appare adeguatamente idoneo a mitigare il “relativismo
delle idee e dei valori” cui si è accennato nell’ambito della ricerca.
La possibilità che le forze economiche possano assumere il ruolo di protagonisti tipici delle
Relazioni Internazionali appare di per sé inconcepibile, se si tiene conto che queste ultime,
per loro statuto e nella loro genesi ed evoluzione storica, oltre che dal punto di vista
etimologico, presuppongono gli Stati-nazione quali “interlocutori” primari, nella loro veste di
portatori di interessi governativi (territoriali): in altri termini, non possono esserci Relazioni
Internazionali in assenza di Stati-Nazione ovvero in presenza di Stati-Nazione carenti di
sovranità territoriale.
Tale prospettiva non ignora che la corrente fase di crisi economica mondiale, soprattutto
collegata al necessitato venir meno, nel 1971, dei controlli valutari introdotti dagli accordi
di Bretton Woods ed esasperata dall’uso (che talora assume i connotati dell’abuso), da
parte di grandi istituzioni finanziarie internazionali e transnazionali, di innovativi strumenti
di finanziamento e di credito che, utilizzando avanzatissime procedure informatiche, sono
in grado di ridurre in modo consistente la portata delle politiche monetarie ed economiche
statali e di poter svolgere, per converso, un ruolo diretto e quasi incontrollato sullo sviluppo
delle economie territoriali. Tale fenomeno, ove non suscettibile di essere governato
attraverso idonei strumenti giuridici da adottarsi a cura dei soggetti politici rappresentativi
delle comunità territoriali, per sua natura, è proiettato a istituire un sistema di lobbies o
businnes diplomacy sostitutivo delle R.I.. Tra l’altro, non è dato di comprendere in quale
misura e con quali conseguenze.
Si ha fiducia nella circostanza che le istituzioni statali dispongono tuttora di poteri sovrani
che consentono loro di governare i flussi dell’economia e tutelare i rispettivi territori e
popoli. A tal fine, le politiche nazionali in campo economico di uno Stato devono tra l’altro
confrontarsi, necessariamente, con quelle degli altri Stati e, soprattutto, gli Stati devono
evolversi, adeguarsi, trasformarsi e dotarsi di strumenti giuridici idonei a salvaguardare le
loro comuni finalità183.
64
Le politiche nazionali sono condizionate, per loro natura e per necessità, dal binomio
norma-spazio, pertanto gli organismi internazionali sono sempre più destinati a governare,
attraverso le R.I., gli spazi non territoriali o comunque non suscettibili di essere
fittiziamente considerati tali (si fa riferimento, in particolare, allo spazio cibernetico) nonché
i fenomeni di finanziarizzazione, le esigenze di protezione ambientale e di rimozione delle
cause della povertà e del sottosviluppo economico che, in ragione della loro dimensione
internazionale e transnazionale, comportano livelli di criticità per il benessere delle
collettività cui i singoli Stati non possono far fronte, se non cooperando.
In tale contesto, si dovrebbero sviluppare strumenti di analisi e di governo che sappiano
conciliare lo spazio geografico e quello delle reti telematiche e razionalizzare la geografia
dei flussi di persone, merci e beni con quella delle informazioni.
Uno dei modi di possibile trasformazione degli Stati, come si è accennato, è la loro
graduale integrazione mediante alleanze orizzontali di tipo regionale, in grado di
salvaguardare le identità culturali e gli interessi dei rispettivi popoli. Al contempo, sarebbe
auspicabile un rinnovato equilibrato impegno strategico dello Stato nel governo di quei
settori dell’economia e dell’ambiente che rivestono valore eminente ai fini del benessere e
della sicurezza delle comunità sociali che rappresentano. Gli Stati, soprattutto, devono
attrezzarsi per far valere le loro ragioni all’interno degli organismi internazionali e
intergovernativi e fornire costante adeguata comunicazione, alla pubblica opinione, delle
azioni politiche svolte/in corso di svolgimento all’interno di tali consessi, verificandone il
consenso e recependone le istanze. E riscoprire la politica come arte della negoziazione.
In chiusura, desidero ritagliarmi uno “spazio” personale affidandomi ai versi di Lucrezio184:
"Poiché lo spazio, al di là dei confini del mondo, si estende illimitatamente,
l'animo razionale si chiede cosa ci sia al di là,
ove la mente anela di spingere lo sguardo;
e l'animo stesso nella sua ansia di libertà vuole travalicare"
65
Figura 1 (v. Cap. 1.b)
Le Relazioni Internazionali
RelazioniInternazionali
ScienzePolitiche
Pol. Int.
Pol. Estera (pace)
Teoria delle crisi
Studi strat. (guerra)
Int. Political Economy
Evoluz. Ist. Internaz.
Mod. Geopol.
Peace research
Storia diplom.
Dir. Int.
Org. Int.
Studi strat.
Studi geog.
HIGH
POLICy
Comunic.LOW
66
Figura 2 (v. Cap. 3.a)
La Geografia
ScienzedellaTerra
ScienzeNaturali
geografia
geomorfologia
idrologia
fisica
umana
delle sedi
climatologia
fitogeografia
ScienzeUmane/Soc.
delle popolaz.
della circolaz.
urbana
sociale
politica
economica
interazionecol
territorio
carta geografica
descrizioneletteraria
geopolitica
67
Figura 3 (v. Cap. 5.c)
La Geopolitica
RelazioniInternazionali
ScienzePolitiche
Pol. Int.
Pol. Estera(pace)
Teoria delle crisi
Studi strat. (guerra)
Int. PoliticalEconomy
Evoluz. Ist. Internaz.
Mod. Geopol.
Peaceresearch
Storia dipl.
Dir. Int.
Org. Int.
Studi strat.
Studi geog.
HIGH
POLICY
Comunic.LOW
68
Allegato 1 (p. 33)
The natural seats of power - H. J. Mackinder (1912)
Pivot area – wholly continental. Outer crescent-wholly oceanic. Inner crescent-partly continental, partly oceanic.
71
Allegato 4 (p. 56)
violent conflicts in 2012 on national level - HIIC
FONT: Conflict Barometer 2012 – Heidelberg Institute for International Conflict Research
72
Allegato 5 (nota 178)
Bilanci Difesa - anno 2013
(a cura del International Institute for Strategic Studies -UK)
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(consultato il 20.11.2013).
- http://www.theguardian.com/world/2014/mar/06/us-visa-restrictions-officials-ukraine-
russia.
79
- Voce “Geoeconomia” su Enciclopedia TRECCANI on line
http://www.treccani.it/enciclopedia (consultato il 01.03.2014).
- Voce “Geografia post-moderna”, su Enciclopedia Treccani on line
http://www.treccani.it/enciclopedia
- Voce “Geografia”, su Enciclopedia Treccani on line http://www.treccani.it-/enciclopedia
(consultato il 24.11.2013)
- Voce “Giovanni Botero”, su Enciclopedia TRECCANI on line
http://www.treccani.it/enciclopedia (consultato il 19.01.14).
- Voce “indignados” su Enciclopedia TRECCANI http://www.treccani.it/enciclopedia
- Voce “Kjellèn”, su Enciclopedia Treccani on line http://www.treccani.it/enciclopedia
(consultato il 10.02.2014).
- Voce “no-global”, su Enciclopedia TRECCANI http://www.treccani.it/enciclopedia
(consultato il 20.11.2013).
- Voce “olismo”, su Enciclopedia Treccani on line http://www.treccani.it/enciclopedia
80
NOTE
1. Il testo è estratto dall’articolo di C.M. SANTORO (1935-2002) dal titolo “Relazioni internazionali”, pubblicato dalla Enciclopedia delle scienze sociali (1997) della Treccani on line sul sito http://www.treccani.it/enciclopedia/relazioniinternazionali-(Enciclopedia-delle-scienze-sociali)/ (consultato il 15.10.2013)
2. La nascita del termine Relazioni Internazionali viene generalmente fatta risalire al “Corso di filosofia positiva” di Auguste COMTE (1842), mentre il relativo studio in termini di disciplina accademica viene associato al conferimento della cattedra di Politica internazionale nel 1919 ad Alfred ZIMMERN, presso l’Università di Aberystwith (Galles). In tal senso, Wikipedia, alla voce “relazioni internazionali”, http://it.wikipedia.org/wiki/Relazioni_internazionali (consultato il 15.11.2013). Lo stesso anno, in seno alla Conferenza di Pace di Parigi del 25 gennaio 1919, era stata istituita l’alleanza della Società delle
Nazioni. L'organizzazione, promossa prevalentemente da Woodrow Wilson, Presidente degli Stati Uniti, fu fondata attorno alla
prima parte del Trattato di Versailles, firmato il 28 giugno 1919. All'inizio il trattato fu varato da 44 stati (USA esclusi, a seguito della
opposizione del Senato statunitense e del partito repubblicano), comprese le 31 nazioni che avevano preso parte alla guerra al
fianco della triplice intesa, o che vi si erano alleate durante il conflitto. Lo scopo era quello di garantire una forma di sicurezza
collettiva intesa a favorire la cooperazione e le intese tra le Nazioni, per scongiurare eventi sanguinari all’indomani della fine
della prima guerra mondiale. L’organismo fu disciolto a seguito della graduale uscita, dalla organizzazione, di: Giappone (1932),
Germania (1933), Italia (1937), che rappresentò un significativo preludio rispetto alla composizione di uno dei due schieramenti di
forze che sarebbe stato protagonista della II G.M.
3. L’Autore (Cfr. nota 1), riallacciandosi ad una metafora introdotta da Harold GUETZKOW nel 1950, riferisce che “si potrebbe (…) parlare di un arcipelago che occupa un ampio tratto di mare aperto, disseminato di isole di teoria, talvolta slegate fra loro, talaltra assai più vicine e comunicanti (…) veri e propri subfields disciplinari, dotati di notevole autonomia scientifica e confinanti con discipline diverse ma affini (storia, diritto, politologia interna, ecc.)”.
4. L’Autore (Cfr. nota 1) definisce questi principali sottoinsiemi quali “isole di teoria delle relazioni internazionali che sono le più consistenti, sia come statuto scientifico, sia come ricchezza e vastità della letteratura e dell'applicazione operativa (…) che costituiscono degli ambiti separati, ma inclusi nella disciplina”.
5. L’Autore (Cfr. nota 1) sottolinea che, in ragione di ciò, nel corso del novecento è prevalso l’esame delle R.I. in chiave di “sistema”
anziché di “sommatoria delle politiche estere degli Stati nazionali”. Approccio, quest’ultimo, considerato tradizionale e riduzionista
rispetto a quello che si propone di conferire una visione ampia dell'interazione fra gli attori e che al tempo stesso assegna al
sistema internazionale in quanto tale “un ruolo indipendente, quasi di super-attore”, sicché “la teoria sistemica funziona (…) come
un ponte immaginario che collega, sia pure sporadicamente, le diverse isole dell'arcipelago” degli studi che si occupano delle R.I.
Egli osserva altresì che il metodo sistemico, “in nome di una spiccata tendenza alla globalizzazione”, ha finito col trascurare il
“contenitore territoriale” e soprattutto le differenze spazio-temporali (e culturali), sicché “alla concretezza materica della territorialità
si è (…) sostituita l'astrazione sistemica, centrata sui meccanismi di comunicazione, indipendentemente dal loro contesto geografico
(…) a tutto discapito dello studio del ruolo dello spazio nella determinazione dell'efficacia e della decisione politica ”.
Contestualmente, “il pensiero insulare (v. Mahan, 1890; v. Corbett, 1911) (…) ha prevalso sia su quello peninsulare europeo del
sistema dell'equilibrio di potenza (v. Gulick, 1955), sia su quello continentalista, terrestre e imperiale, di ispirazione eurasiatica (v.
Mackinder, 1904; v. Haushofer, 1934; v. Wittfogel, 1957; v. Chaliand, 1995). Questa fase concettuale, frutto della vittoria del
pensiero insulare anglosassone nelle tre guerre mondiali del Novecento (1914-1990; v. Hobsbawm, 1994), e già precedentemente
impostata fin dalla conclusione delle guerre napoleoniche nel 1815, è stata determinata anche dall'egemonia, a partire dalla
rivoluzione industriale, del capitale finanziario e imperiale marittimo, vale a dire dell'equazione a quattro fattori: libertà dei mari = free
traderism = sviluppo economico = globalizzazione (v. List, 1837; v. Hilferding, 1910)”.
A proposito dello studio delle R.I come sistema, Marco CARNOVALE osserva come, “mentre in passato esistevano
contemporaneamente in varie parti del mondo molteplici sistemi internazionali tra i quali non c’era comunicazione”, a partire dalla
seconda metà del XX secolo, “l’elevato grado di interdipendenza internazionale (…) ha dato origine a un sistema internazionale
globale”, pertanto “la rete delle relazioni internazionali costituisce il sistema internazionale”. Vedi Enciclopedia Treccani, alla voce
“Relazioni Internazionali”, sul sito http://www.treccani.it/-enciclopedia/relazioni-internazionali_(Enciclopedia-del-Novecento)/.
6. Al riguardo il SANTORO (Cfr nota 1), nel richiamare gli studi svolti dal filosofo e giurista tedesco Carl SCHMITT nella metà degli
anni ’50, sottolinea che, solo attraverso un’analisi sistemica, “i concetti onnicomprensivi di localizzazione (Ortung) e di ordinamento
(Ordnung) possono (…) diventare i presupposti logici dello studio analitico della politica internazionale”. L’Autore, inoltre,
ispirandosi alla concezione neorealista introdotta da K. N. WALTZ alla fine degli anni ’70, sostiene che “la teoria sistemica è (…)
efficace (…) nello spiegare le cause degli eventi della politica internazionale, in quanto utilizza, oltre all'approccio sistemico (il
sistema è un insieme di unità interagenti), anche quello del contesto ambientale, ovvero il posizionamento nello spazio delle unità
analitiche, che rappresenta un aggancio logico con la materia territoriale in quanto definisce l'ordine o la disposizione delle parti di
un sistema (…) In altri termini la struttura diventa una sorta di costituzione materiale di ogni sistema politico poiché ne definisce la
forma e il limite. La teoria sistemica è inoltre comprensiva (…) di tutte le isole di teoria che si sono andate formando nel tempo”.
Damiano PALANO, in “Sociologia dello spazio, dell’ambiente e del territorio”, a cura di AA.VV., F. Angeli S.r.l., Milano, 2007, pp.
56-67, pur contestando la “ricostruzione storica” operata da C. Schmitt nel suo saggio “Der Nomos der Erde” (“Secondo il giurista
tedesco, è (…) soltanto l’occupazione di terra, seguito dalla sua divisione, che consente a una comunità di esistere, ma soprattutto,
è soltanto in virtù di tale occupazione che può essere costituito uno spazio (…). Solo nella terra (…) possono trovare appiglio i
confini in grado di costituire la comunità e di fissare la barriera tra il dentro e il fuori, oltre che tra l’amicus e l’hostis (…). Una lettura
differente ha sostenuto (…) come le origini più remote del nomos vadano ricercate (…) nella spartizione della preda di caccia”,
sicché “ il legame con il suolo non è un aspetto costitutivo della politica, ma solo un aspetto che emerge con il passaggio a lle
società agricole”), riconosce che lo Stato moderno, attraverso un processo di territorialità del proprio dominio (Cfr. succ. note 51 e
57), ha di fatto stabilito un legame costitutivo tra politica statuale e territorio.
81
7. Con riferimento ad un testo pubblicato dal Santoro nel 1987, dal titolo “La perla e l’ostrica: alle fonti della politica globale degli Stati
Uniti”, Marco ANTONSICH, nel suo articolo “Limes, Santoro, i nomi e i numi della geopolitica” attribuisce al SANTORO il merito di
aver reintrodotto la categoria spaziale come “variabile imprescindibile dell’analisi delle relazioni internazionali” (articolo pubblicato
da Limes, Rivista Italiana di Geopolitica, nr. 1/1997).
Tra i soggetti “non statuali” vengono generalmente annoverate le seguenti organizzazioni internazionali governative dotate di
capacità giuridica internazionale ridotta rispetto a quella degli Stati, in quanto prive di base territoriale: ONU (1945), Consiglio
d'Europa (1949); Organizzazione degli Stati Americani (1948); Organizzazione dell'Unità Africana (2000); Organizzazione per la
sicurezza e la cooperazione in Europa, OCSE (1995); FMI (1960); UNESCO; OMC (1995). Tra le ONG, la CRI.
8. Per una sintetica storia delle origini delle moderne R.I., si riporta un ampio estratto della voce “Relazioni internazionali” a cura di
Massimo LEONARDIS, contenuta nel Dizionario di storia (2011) della Enciclopedia Treccani e reperibile sul sito
http://www.treccani.it/enciclopedia/relazioni-internazionali_(Dizionario-di-Storia)/ (consultato il 05.11.13): “Sotto il profilo storico, le
relazioni internazionali sono esistite, in senso lato, fin dall’antichità, per esempio con i rapporti tra le città-Stato della Grecia, che
diedero vita a missioni con compiti di rappresentanza, informazione, negoziato e, dunque, funzioni diplomatiche. Nel Medioevo le
relazioni internazionali avvenivano tra entità politiche che solo in parte si configuravano come Stati sovrani, nel senso moderno del
termine. Secondo un modello ideale mai realizzato pienamente, l’Europa occidentale era una Respublica christiana il cui principio
unificatore era il cattolicesimo e le cui massime espressioni istituzionali erano il papa e il sacro romano imperatore (…). Spesso il
papa conferiva il riconoscimento dei titoli regali e ancora nel 1493 tracciò la linea divisoria tra i possedimenti spagnoli e portoghesi
nel nuovo mondo. La cristianità occidentale manteneva rapporti con il mondo ortodosso e, in maniera conflittuale, con quello
islamico, ma aveva solo contatti sporadici con altre civiltà. Dal Cinquecento, con la divisione dell’Europa occidentale tra Stati
cattolici e protestanti, la religione da elemento unificante si trasformò in fattore di divisione con un conseguente processo di
laicizzazione delle relazioni internazionali: un fondatore del moderno diritto internazionale enunciò il principio Silete theologi in
munere alieno (A. Gentili). La Pace di Vestfalia del 1648 prefigurò una società europea omogenea di Stati sovrani, superiorem non
recognoscentes, avente come principio regolatore la politica di equilibrio (…) Il sistema delle R.I. richiedeva un’attenzione costante,
alla quale provvedevano i ministeri degli esteri e la diplomazia permanente (…). Venuto meno il riconoscimento internazionale del
magistero della Chiesa, non si discusse più sulla «guerra giusta» e il diritto internazionale si limitò a regolare lo ius in bello”.
In definitiva, con il trattato di Westfalia si è inaugurato un ordine internazionale basato sull’introduzione di un concetto laico di
sovranità dello Stato e su un sistema in cui gli Stati si riconoscono tra loro proprio e solo in quanto Stati, al di là della fede dei vari
sovrani (e quindi dei popoli). Tale nuovo ordine ha gettato le basi per una concezione moderna delle dinamiche politiche nazionali
ed internazionali. Lo Stato, da questo momento, diviene il fattore fondamentale di organizzazione politica dello spazio geografico.
Eugenio RIPEPE osserva che per il SANTI ROMANO, autore de “L’ordinamento giuridico”, pubblicato a Pisa nel 1918, la
concezione “moderna” dello Stato si fece strada con la Rivoluzione Francese, che al termine di un lungo processo storico mise in
crisi la concezione dello Stato come unico detentore del controllo monopolistico della legalità e mise in luce la capacità di ogni forza
sociale di darsi un’organizzazione “legale”. (vedi l’articolo “La teoria dell’Ordinamento Giuridico: Santi Romano”, reperibile sul sito
http://www.treccani.it/enciclopedia/la-teoria-dell-ordinamento-giuridico-santi-romano_(Il-Contributo-italiano-alla-storia-del Pensie-ro:-
Diritto)/
9. Joseph STIGLITZ, Premio Nobel 2001 per l’economia, in una intervista rilasciata nel Novembre 2004, osservava come la
globalizzazione si è imposta dopo la fine della guerra fredda, allorché “si è intravista la possibilità di stabilire relazioni internazionali
diverse dal passato, basate su presupposti nuovi, liberi dalla tradizionale contrapposizione tra blocchi politici. Si pensava fosse
possibile creare un ordine economico mondiale basato su valori e principi condivisi, privi di condizionamenti di natura politica.
Invece tutto ciò non è accaduto, anzi: la forza e il potere dei grandi stati capitalisti si sono ulteriormente rafforzati e le relazioni
economiche e sociali sono diventate ancora meno eque. Questo è accaduto, tra l’altro, perché la globalizzazione costringe i Paesi a
interagire tra loro, generando quindi cambiamento (…) difficile da gestire”. L’articolo è pubblicato sul sito
http://www.impresaprogetto.it/interviews/-le-opportunita-e-le-sfide-della-globalizzazione (consultato il 19.11.2013).
All’indomani della caduta del muro di Berlino, che storicamente ha rappresentato il termine della guerra fredda e dato corso al
superamento delle relazioni internazionali fondate sulla cd. politica bipolare (anch’essa, invero, a carattere globale ma a sfondo
politico non omogeneo), il clima di incertezza è stato tale da prefigurarsi che le crisi tra stati nazionali erano destinate ad essere
sostituite dallo “scontro” tra culture: in tal senso Samuel P. HUNTINGTON, “Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale”,
Garzanti Libri, 2000.
Con questo testo, pubblicato negli USA nel 1996, l’Autore riprendeva e approfondiva il tema di un proprio articolo di stampa del
1993, The clash of civilization, appunto, col quale contrastava la tesi teorizzata l’anno precedente da Francis FUKUYAMA nel libro
“The End of History and the Last Man”. Quest’ultimo, sulla base dell’analisi delle dinamiche dei processi di globalizzazione e della
geopolitica post Guerra Fredda, aveva ipotizzato l’affermazione finale del sistema liberal-democratico occidentale come modello
unico di sviluppo.
In definitiva, S. HUNTINGTON finisce con l’ipotizzare una nuova geografia delle R.I., il cui baricentro risulta costituito da lle identità
culturali. Il medesimo Autore conclude che “gli Stati nazionali rimarranno gli attori principali nel contesto mondiale, ma i conflitti più
importanti avranno luogo tra nazioni e gruppi di diverse civiltà”. In tale affermazione affiora, a mio parere, la difficoltà di dipanare
l’intreccio tra culture e nazioni: in effetti, il concetto di nazione ha una sua base culturale.
La teoria dello “scontro delle civiltà” raggiunse il grande pubblico all’indomani dell’11 settembre 2001, sull’onda emotiva degli
attacchi terroristici portati a segno sul territorio statunitense ad opera di un gruppo di terroristi aderenti ad al-Qaida. Tale gesto è
divenuto l’emblema del concetto di “guerra asimmetrica”, che è fattore di rilevante importanza e attualità nel campo delle R.I.
Il SANTORO (Cfr. nota 1) sintetizza così il dibattito post guerra fredda: “La rottura dello schema bipolare ha (…) liberato il mondo
dai vincoli della deterrenza nucleare, e in particolare dalla minaccia dell'Olocausto che limitava la capacità di agire degli attori nella
loro interazione subglobale. Ne è derivata una rinnovata possibilità di immaginare forme di mondi possibili molto più ricche e varie
del passato, e di prefigurare l'ipotesi di una ricomposizione spontanea delle aggregazioni di potenza, sia geopolitiche che
geoeconomiche o culturali”. Sul tema dell’immaginazione cognitiva, cui fa indirettamente riferimento l’Autore, Cfr. note 163 e 182.
82
10. Per una più ampia e dettagliata definizione del termine “globalizzazione”, si rinvia al sito http://www.treccani.it/enciclopedia/-
globalizzazione/ (consultato il 19.11.2013). Vedi anche: Paolo FIGINI, “La Politica Economica della Globalizzazione”, 2005,
pubblicato su http://www2.dse.unibo.it/figini/Figini13a%20SE%2005.pdf (consultato il 24.11.2013).
11. In tema di globalizzazione e ruolo degli Stati-nazione, i seguenti AA., le cui analisi presentano differenti sfumature e spesso
sostanziali diverse conclusioni/prospettive:
- Alain de BENOIST, “Gli orizzonti della mondializzazione”, in Trasgressioni – Rivista Quadrimestrale di cultura politica, 11 (2), 47-
68, 1996
- Ulrich BECK, “Che cos’è la globalizzazione. Rischi e prospettive della società planetaria”, Carocci, Roma 1999
- Jurghen HABERMAS, “La costellazione postnazionale”, Feltrinelli, Milano 1999
- Zygmunt BAUMAN, “Dentro la globalizzazione. Le conseguenze sulle persone”, Laterza, Roma- Bari 1999; dello stesso A., “La
solitudine del cittadino globale”, Feltrinelli, Milano 2000
- Antony GIDDENS, “Come la globalizzazione ridisegna la nostra vita”, Il Mulino, Bologna 2000
- Sabino CASSESE, “La crisi dello Stato”, Laterza, Roma-Bari 2002. L’Autore, tra l’altro, svolge una analisi sul ruolo delle Authority,
le quali su mandato della U.E. svolgono, di fatto, un ruolo sostitutivo degli Stati nel controllo dell’attuazione delle politiche
economiche.
12. La delocalizzazione connaturata all’uso di internet comporta una moltiplicazione dell’azione nello spazio. Quel che avviene nella
rete non ha confini territoriali in senso geografico o giuridico, perché condizionato dalla cd. acentricità delle comunicazioni
elettroniche.
Il giurista Natalino IRTI, sulla scia del pensiero di C. SCHMITT (Cfr nota 6), ha introdotto in Italia, nel 2001, lo studio del “geo-diritto”.
In base all’analisi dell’evoluzione del mercato globale e del concetto di “atopia” della rete telematica, l’Autore conclude che sussiste
“una profonda fraternità tra spazialità normativa (…) ed espansione planetaria della tecno-economia (…) Poiché il mercato globale
né è capace di esprimere un suo proprio diritto (…) né è comunque munito di garanzie coercitive, spetta agli Stati, mercé trattati
internazionali, instaurare l'ordine giuridico dell'economia. Quando non siano stati conclusi trattati, gli Stati più forti, sotto pretesto di
interpretare il corso della storia e di difendere gli universali diritti dell'uomo, assumeranno il dominio del mondo e cureranno di
volgere in loro vantaggio i fenomeni della globalità (…). Gli Stati egemoni (…) in luogo di ricondurre diritto, politica ed economia
entro la sfera fisica del potere statale, estendono quest'ultimo fino all'estremo punto di espansione (…) di quegli affari (…) di cui
assumono patrocinio e tutela”. Vedi la voce “Geodiritto” sul sito http://www.-treccani.it/enciclopedia/geo-diritto-
(Enciclopedia_del_Novecento)/ (consultato il 17.11.2013).
13. Sicché si è detto che è l’economia, oramai, che governa le sorti del mondo, non la politica, tantomeno gli stati nazionali, i cui debiti
sovrani sono alla mercé delle Agenzie internazionali di rating. In tal senso R. TRABUCCHI, “Appunti sulla globalizzazione”, sul sito
http://www.manageritalia.it/content/download/Informazione/Giornale/Giornale_Sett2003/pagg16.pdf (consultato il 17.11.2013). In tal
senso anche Susan STRANGE, che già nel 1996 nel suo volume “The retreat of the State”, pubblicato da Cambridge University
Press”, poneva l’attenzione anche sulle Multinazionali e le organizzazioni criminali internazionali.
14. Emilio GENTILE, nell’articolo “Nazionalismi – Il mancato declino dello Stato nazionale” riferisce: “Il nazionalismo, più di qualsiasi
altra forza politica, ha rivelato una straordinaria plasticità di adattamento e un potente fascino di mobilitazione (…) agisce come
fattore di accelerazione del progresso e del cambiamento oppure come fattore di riattivazione e di rinvigorimento della difesa
intransigente della società tradizionale (…). In tutti i continenti, all’interno di Stati di antica o di recente costituzione, si agitano
minoranze etniche, religiose o linguistiche che, affermando di possedere una propria nazionalità (…) si agitano per rivendicare
l’autonomia o la sovranità politica oppure aspirano a congiungersi allo Stato al quale, per affinità nazionale, ritengono di
appartenere. In conclusione, alla fine del primo decennio del 21° secolo, non si riscontra il superamento dello Stato nazionale, della
nazione e del nazionalismo per effetto della globalizzazione e delle trasformazioni della vita economica e sociale contemporanea,
dove sempre più si impongono relazioni collettive sopranazionali e si diffonde l’adozione di valori, conoscenze, atteggiamenti,
comportamenti, mentalità e costumi internazionali uniformi. Non sembra affatto che il fenomeno nazionale e gli elementi che lo
compongono – la nazione, lo Stato nazionale e il nazionalismo – siano destinati a scomparire in un prossimo futuro”.
http://www.treccani.it/enciclopedia/nazionalismi_(Il-Libro-dell'Anno)/ (consultato il 20.11.2013).
15. In tal senso C.M. SANTORO (Cfr. nota 1), il quale osserva che “le Nazioni Unite, e prima di loro la Società delle Nazioni, sono state
la conseguenza più vistosa del (…) processo di de-territorializzazione del sistema internazionale, che ha assunto così la forma
(Gestalt) di simulacro e di modello virtuale della (…) ricomposizione del mondo in termini di globalizzazione e di ordine democratico,
indipendentemente dall'esistenza delle diversità che producono conflitto e diplomazia, della distribuzione del potere-potenza, e della
dimensione geografica”.
16. In tal senso M. LEONARDIS (Cfr nota 8). L’Autore soggiunge che “permane irrisolto il problema di regole e istituzioni condivise per
governare la realtà internazionale, mentre si assiste a una relativa deterritorializzazione delle relazioni internazionali: il sistema
vestfaliano resta in piedi, ma gli Stati cedono terreno a una riedizione del sistema di autorità segmentate e sovrapposte tipico della
cristianità medievale, senza però il fattore unificante della religione”.
17. In tal senso A. GIDDENS (Cfr nota 11). Invero, l’Autore ritiene che la U.E. dovrebbe diventare un modello globale da imitare e
soprattutto necessario per ridefinire il ruolo e i compiti dello Stato nazione. La politica, di conseguenza, sarebbe identificabile non
più a livello nazionale, ma transnazionale.
83
E’ interessante segnalare che il sostantivo governance, significativamente mutuato nel mondo anglosassone dal gergo aziendale
(corporate), deriva dal latino medievale gubernantia di BOEZIO (475-525 d.C.), che a sua volta si ispirava al verbo del latino
classico gubernare, da cui il ‘governare’ della lingua italiana. In tal senso Silverio NOVELLI, con articolo pubblicato sul sito
http://www.treccani.it/magazine/-lingua_italiana/parole/delleconomia/governance.html (consultato il 20.11.2013). “Governare”, infine,
deriva dal greco κυβερνάω ossia "reggere il timone".
18. Tali istanze hanno dato origine a manifestazioni di protesta “a catena” - talora contrassegnate da gravi episodi di ricorso alla
violenza - in molti Paesi occidentali interessati da crisi di carattere finanziario prevalentemente discendenti dai processi economici di
globalizzazione. Si fa riferimento, in particolare, a:
no global, “movimento assai variegato di gruppi e associazioni che contestano il processo di globalizzazione, considerato come
fonte di inaccettabili iniquità tra Nord e Sud del mondo e all’interno delle singole società nazionali. I suoi militanti pongono in
particolare sotto accusa il potere delle multinazionali e le politiche seguite dal FMI (Fondo Monetario Internazionale) e dal WTO
(World Trade Organization). Per ulteriori dettagli, il sito http://www.treccani.it/enciclopedia/no-global/ (consultato il 20.11.2013).
indignados, movimenti che, a partire dalla mobilitazione popolare e spontanea del 15 maggio 2011 a Madrid, contestano il
potere incontrollato della finanza mondiale e la subordinazione della politica all’economia”. Per ulteriori dettagli, il sito
http://www.treccani.it/enciclopedia/-indignados/ (consultato il 20.11.2013).
19. In tal senso C. FOCARELLI, “Il sistema degli stati e il governo dell’umanità nel diritto internazionale contemporaneo”, articolo
pubblicato su “Quaderni di Relazioni Internazionali” a cura di ISPI, n. 6 del dicembre 2007 (pag. 42).
20. In tal senso Boris BIANCHERI, alla voce “Globalizzazione e Regionalizzazione” della Enciclopedia Treccani, reperibile sul sito
http://www.treccani.it/enciclopedia/globalizzazione-e-regionalizzazione_(Atlante-Geopolitico)/ (consultato il 20.11.2013).
E’ da sottolineare tra l’altro che, nel settore del marketing - sulla scia del concetto del “think global, act local” - prodotti e servizi
ideati per il mercato globale o internazionale, tendono ad essere modificati in base alle leggi o alle culture locali.
21. In tal senso Giuseppe DI TARANTO, “La globalizzazione diacronica”, G. Giappichelli, Torino, 2013. Sulla base di rilevazioni
statistiche, l’Autore segnala che uno degli effetti più rilevanti della globalizzazione in area economica è l’aumento generalizzato
della diseguaglianza all’interno delle nazioni: “il commercio internazionale ha significativamente incrementato le diseguaglianze dei
redditi delle nazioni, tanto di quelle economicamente più sviluppate, tanto di quelle emergenti”: è evidente che solo le politiche
statali sono in grado di favorire forme di redistribuzione del reddito.
E’ notizia recente che nell’ambito di un autorevole gruppo finanziario transnazionale si inizia a ipotizzare una rivisitazione delle
manovre economiche fondate su mere logiche di globalizzazione. Guido SALERNO sulle pagine del Huffington Post, pubblica un
aricolo a mezzo del quale riporta: “il 2013 potrebbe essere l’anno di svolta: dopo vent’anni di trasferimenti frenetici di capitali, merci
e know-how da un continente all’altro, senza vincoli né frontiere, Morgan Stanley ha dedicato la newsletter di domenica scorsa, un
documento riservato ai suoi grandi clienti, al processo di rinazionalizzazione degli investimenti e delle produzioni che sembra
esservi avviato a cinque anni dall’inizio della crisi del 2008 (…) Forse c’è il timore che anche per le grandi banche d’affari,
protagoniste indiscusse della globalizzazione e del mito del mercatismo, sia finita l’età dell’oro: se tutto ritorna all’interno delle
frontiere nazionali, investimenti e produzione, di spazio per dominare il mercato e per decidere dei destini delle nazioni ne
rimarrebbe davvero poco. La risposta al perdurare della crisi è il ritorno a casa, dei capitali e delle produzioni. Globalizzazione,
addio!”. Estratto dell’articolo “Globalizzazione, addio. I sonni inquieti”, pubblicato sul sito http://www.huffingtonpost.it/-
2013/10/01/report-morgan-stanley globalizzazione_n_4022627-.html (consultato il 19.11.2013).
22. E’ notizia recente l’intervenuto patteggiamento che ha stabilito un risarcimento record (13 miliardi di dollari) a carico di banca d’affari
privata (la JP Morgan) la quale ha ammesso la propria responsabilità verso il governo statunitense per la grande crisi finanziaria
del XXI secolo in seguito alla bolla immobiliare del 2008. Come evidenziato da articolo di stampa datato 19.11.2013 a cura della
redazione della Repubblica, “La cifra che sborserà JP Morgan è almeno quattro volte superiore a quella patteggiata a gennaio dal
colosso petrolifero BP per lo sversamento di petrolio nel Golfo del Messico che provocò uno dei più gravi disastri ambientali della
storia. Dei 13 miliardi, 6 andranno a compensare gli investitori, 4 a un fondo per i proprietari di casa in difficoltà e il resto sarà
versato come multa”. Articolo pubblicato sul sito
http://www.repubblica.it/economia/2013/11/19/news/jpmorgan_patteggia_risarcimento_record_13_miliardi_di_dollari_per_la_crisi_d
ei_mutui-71326582/ (consultato il 20.11.2013).
23. In tal senso Gianfranco LIZZA, “Geopolitica – Itinerari del potere”, Utet Libreria, Torino, ed. 2001, p. 111.
24. In tal senso J. HABERMAS, nel corso di una intervista a cura del “Corriere della Sera” del 25 marzo 2007, pubblicata su
http://archiviostorico.corriere.it/2007/marzo/25/Gli_Stati_nazione rimangono_protagonisti_ co_9_070325131.shtml (consultato il
20.11.2013).
25. In tal senso B. BIANCHERI nel suo editoriale al tema su “La sovranità nell’epoca della politica globale”, raccolta di articoli pubblicati
da AA.VV. su “Quaderni di Relazioni Internazionali” a cura di ISPI, n. 6 del dicembre 2007, Egea editore. L’A. aggiunge che la
sovranità dello stato, intesa come organizzazione della vita politica interna ed estera, è soggetta a modifiche e adeguamenti, mentre
l’elemento stabile è rappresentato dal fatto che il governo sovrano rimane l’autorità suprema all’interno di un dato territorio,
indipendente dalle autorità straniere.
Alessandro COLOMBO nel suo articolo “L’interminabile tramonto del sistema degli stati” pubblicato sui “Quaderni di Relazioni
Internazionali” ISPI, n. 6 del dicembre 2007, Egea, (pag.18) evidenzia che, “se gli stati hanno potuto essere considerati come i
protagonisti per eccellenza della politica internazionale, è solo perché hanno concentrato su di sé la maggior parte delle risorse di
potenza; perché, fra tutte le dimensioni delle relazioni internazionali, hanno dominato quella politicamente cruciale dell’impiego della
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violenza; perché (…) si sono progressivamente imposti come gli unici titolari della piena legittimità internazionale e dell’uso della
forza”.
Circa la sicurezza militare, che è una delle colonne portanti degli Stati per garantirne la sovranità territoriale mediante l’uso legittimo
della forza, non è superfluo rammentare come, i concetti di cyber war, net war, soft war, siano parte integrante, negli ultimi tempi,
del linguaggio strategico, in concomitanza della necessità di controllare lo spazio cibernetico (Cfr nota 12).
Barry G. BUZAN, esperto di R.I., ritiene che la “sicurezza nazionale” tende a coniugare e organizzare sia la sicurezza individuale
che quella internazionale, attraverso il principio della sovranità territoriale dello Stato. Secondo l’Autore, “the standard unit of
security is (...) the sovereign territorial state (…). The security of individuals is inseparably entangled with that of the state (…) State
and society become increasingly indistinguishable”. La sicurezza globale, a sua volta, comprende cinque dimensioni: militare,
politica, economica, sociale, ambientale. Vedi: “People, States & Fear: An Agenda for International Security Studies in the Post Cold
War Era”, (p. 39), L. Rienner Publishers, 1991.
26. In tal senso Joseph STIGLITZ (Cfr nota 9). L’economista puntualizza che “La globalizzazione presenta indubbiamente delle
opportunità, ma anche delle sfide (…) L’allargamento dei mercati e la possibilità di accesso alla conoscenza e alla tecnologia
prodotte in tutto il mondo offrono l’opportunità per un sostanziale miglioramento della qualità della vita. D’altra parte, però, la
concorrenza proveniente dall’estero ci pone dinanzi a sfide significative (…) L’educazione e la tecnologia rappresentano la chiave
per una risposta efficace alle sfide della globalizzazione (…) il solo modo di competere con i bassi salari nei Paesi in via di sviluppo
è quello di migliorare le competenze e l’efficienza produttiva, oltre a rispondere più rapidamente e realmente alle esigenze dei
consumatori. I Paesi industrialmente avanzati che hanno avuto successo hanno fatto esattamente questo: hanno realizzato sensibili
miglioramenti nei settori della tecnologia e dell’educazione per fronteggiare le sfide della globalizzazione. Quote sempre più
consistenti della popolazione frequentano corsi di studio superiore. Si sono attuati maggiori investimenti in ricerca e sviluppo. Questi
Paesi hanno dimostrato, inoltre, flessibilità nel ristrutturare l’economia. Questo processo di ristrutturazione ha determinato un
rafforzamento nel settore dei servizi e ha attribuito un’importanza crescente alle piccole e medie imprese. Queste ultime, in
particolare, hanno ricoperto un ruolo centrale nella creazione di posti di lavoro, anche se devono fronteggiare una serie di problemi
(…) Esse necessitano di un adeguato accesso alle fonti di finanziamento, alle moderne tecnologie, ai mercati globali”.
27. In tal senso Carmine GALLORO, “La crisi della globalizzazione”, reperibile sul sito http://www.delpt.unina.it/stof/13_pdf/13-V.pdf
(consultato il 19.11.2013).
28. In tal senso E. GENTILE, Cfr. nota 14.
Sul tema de “la fine degli Stati” si sofferma Peter J. TAYLOR, il quale osserva: “John Herz (…) nel 1957 ha sostenuto che l'avvento
dell'era atomica, con i suoi missili intercontinentali, significava che lo stato non poteva più svolgere la sua funzione più basilare, la
difesa della propria gente e del territorio. La nuova dimensione bellica significava che nessun territorio può essere grande
abbastanza per proteggere il suo popolo dalla distruzione. Pertanto Herz ha proclamato 'la fine dello stato territoriale'. Ma dall’epoca
di tale affermazione il numero degli stati nel mondo é più che quadruplicato. Evidentemente, anche in ragione della sua azione
preventiva rispetto al rischio della guerra nucleare, l'idea dello Stato territoriale si è diffusa in tutto il mondo intero dal 1950,
rendendo questa previsione della sua anticipata scomparsa a dir poco prematura (…)”, “The State as container: territoriality in the
modern world-system”, Progress in Human Geography, June 1994 , 18, pp. 151-162, http://phg.sagepub.com/content/18/2/151.
(consultato il 29.01.2014).
29. Su un piano generale, E. GENTILE (Cfr nota 14) rileva come sia “significativo che le due principali organizzazioni internazionali di
Stati sovrani, istituite nel corso del Novecento per garantire la pace e la sicurezza, siano state denominate ‘Società delle Nazioni’ la
prima (1920-46), ‘Organizzazione delle Nazioni Unite’ la seconda (costituita nel 1945), quasi a voler conferire, in questa forma, un
riconoscimento ufficiale al primato della nazione sia come principale forma di aggregazione dei popoli sia come principio universale
di legittimazione dello Stato”.
30. E’ stato correttamente osservato come “integrità territoriale e indipendenza politica sono un’endiadi che significa sovranità
territoriale” (Natalino RONZITTI, “Introduzione al diritto internazionale”, Giappichelli Editore, 2013, pag. 413).
31. Sul tema, due articoli pubblicati sui “Quaderni di Relazioni Internazionali” ISPI, n. 6 del dicembre 2007, Egea (pp. 30-53), a mezzo
dei quali i rispettivi AA. prospettano analisi e conclusioni di segno opposto:
Andrea CARATI, nell’articolo “La crisi della sovranità statale nelle nuove forme di ingerenza”, rileva che le forme di intervento a
carattere militare e/o civile avallate dall’ONU e avviate a partire dagli anni ’90 in Somalia, Haiti, Balcani, Caucaso meridionale,
Afghanistan, ecc., spesso motivate da ambiziosi progetti di state-building ed emergenti dallo “scongelamento del sistema
bipolare”, hanno dato luogo, di fatto, all’indebolimento del “principio di non ingerenza”: in sintesi, si sono realizzate forme di
interventismo collettivo (con operazioni a guida statunitense e coinvolgimento di ONG) a mezzo delle quali la comunità
internazionale ha inteso favorire i processi di democratizzazione, ma nei fatti si è incoraggiata l’emersione di “sovranità limitate” e,
allo stesso tempo, si è dato luogo a violazione del principio di sovranità;
Carlo FOCARELLI, nell’articolo “Il sistema degli stati e il governo dell’umanità” rileva che, con le operazioni in questione, “la
comunità internazionale ha attribuito un favore giuridico eccezionale, un vero diritto a diventare uno stato a prescindere
dall’effettività, ai popoli e ai movimenti di liberazione nazionale, consentendo la loro secessione in nome dell’autodeterminazione
dei popoli a scapito dell’integrità territoriale degli stati oppressori e senza tener conto dell’eventuale incapacità di governare dei
nuovi stati (…) Il sistema degli stati, fondato sulla territorialità e sul potere di governo esclusivo degli stati, implica (…) una
divisione, essenzialmente spaziale, del potere di governo sull’umanità: ogni stato provvede al governo della porzione di umanità
che si trova su un territorio; gli altri stati si aspettano che questa funzione venga svolta secondo le regole comuni” (…) Il diritto
internazionale dipende soltanto dagli stati, che creano ed eventualmente disfano le norme internazionali, e soprattutto le fanno
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rispettare al loro interno – o meglio entro la loro giurisdizione (…) così come stabilita dal diritto internazionale – benché anche
entità non statali possano essere (…) soggetti internazionali”.
Sempre in ambito ONU, sono alquanto significative le vicende politiche che hanno condotto al riconoscimento della indipendenza
del Kosovo e al conferimento del ruolo di Paese Osservatore alla Palestina, le quali coinvolgono pur sempre il principio di sovranità
territoriale: si ritiene di poter sintetizzare che anche in questi casi sono intervenute soluzioni giuridiche “creative”.
32. Nel Capitolo 2 della ricerca si sottolinea come, a relazione che un soggetto, singolarmente o collettivamente, stabilisce col territorio,
sviluppandosi nel tempo, assume le dimensioni di un processo continuo che non è meramente legato al concetto di
proprietà/possesso e allo sfruttamento delle risorse ivi reperibili, bensì instaura un legame ben più profondo, che ha risvolti culturali,
tecnologici, giuridici, economici, ontologici.
33. In tal senso Benedetto CONFORTI, “Lezioni di diritto internazionale”, Editoriale Scientifica S.r.l., Napoli, 2010.
La Dichiarazione ONU del Millennio approvata nel 2000 ha espressamente coniugato la enunciazione del concetto di sovranità
territoriale con la riaffermazione del “diritto di autodeterminazione dei popoli” e del principio di “non interferenza” negli affari interni
degli Stati. Tali concetti, a loro volta, risultano collegati al principio del rispetto dei legami storico-geografici e culturali del territorio.
Al riguardo del principio di non interferenza, è da notare che la formulazione dell’art. 2 punto 7 dello Statuto delle N.U. (“nessuna
disposizione autorizza le Nazioni Unite a interferire in questioni che appartengono esclusivamente alla sfera interna di uno Stato”) fu
a suo tempo mitigata dalla Risoluzione XXV del 24 ottobre 1970, la quale afferma che “nulla (…) è inteso ad incoraggiare o
legittimare azioni volte allo smembramento totale o parziale dell’integrità territoriale o dell’unità politica di Stati indipendenti e sovrani
che rispettino i princìpi dell’eguaglianza e all’autodeterminazione dei popoli e dotati di un Governo rappresentativo di tutta la
popolazione appartenente al territorio, senza distinzioni di razza, religione o di colore”.
34. In controtendenza, l’analisi svolta a cura di Alessandro COLOMBO, nell’articolo “L’interminabile tramonto del sistema degli stati”,
pubblicato sui “Quaderni di Relazioni Internazionali” ISPI, n. 6 del dicembre 2007, Egea (pp. 15-27): “la politica interstatale non ha
mai esaurito (…) il campo delle relazioni internazionali (…) tutto attorno a questo spazio, ha sempre continuato a fiorire una società
transnazionale fatta di scambi commerciali, migrazioni di individui e gruppi, istituzioni indifferenti ai confini, e composta oltre che
dagli stati, da una varietà di soggetti di diversa natura (Chiese, compagnie commerciali, internazionali ideologiche, singoli individui),
in competizione e (instabile) collaborazione fra loro”.
Semplificando, nella prospettiva dell’Autore, “i discorsi sulla globalizzazione e (…) sulla crisi dell’orizzonte interstatale della
convivenza internazionale” trascurano i ricorrenti fattori che possono determinare lo squilibrio tra l’orizzonte della politica interstatale
e “lo sfondo più complesso delle relazioni sociali tra individui e gruppi”. Tali fattori sarebbero individuabili nella variabile domanda di
congruità tra spazio economico e politico e nelle tendenze ideologiche favorevoli alla pace e al cosmopolitismo ovvero alle
organizzazioni che praticano forme di “competizione a carattere violento”. In tale ultimo caso, l’Autore si riferisce esplicitamente, al
terrorismo internazionale.
Si ritiene che “lo sfondo sociale transnazionale” cui accenna l’Autore è destinato ad operare in uno spazio geografico che è
comunque di competenza della politica internazionale degli Stati, della quale le R.I. sono parte integrante. In ogni caso, si tratta di
uno spazio che, per sua vocazione, tende a sottrarsi al controllo statuale, pertanto è destinato a diventare dominio della politica di
organismi internazionali e regionali, ove gli accordi interstatuali non risultino adeguati o realizzabili.
In tema di terrorismo e minacce asimmetriche (Cfr. nota 9), l’articolo del Magg. CUCCHINI e del dott. Stefano RUZZO, “Asimmetria
e trasparenza della guerra”, pubblicato dal periodico Informazioni della Difesa, 5/2007, ove si accenna, tra l’altro, al legame tra le
minacce asimmetriche ed i “vuoti (gap) del controllo statuale” (pag. 36). Si tratta di un fenomeno che, avendo assunto dimensioni
internazionali, anche sull’onda dei processi di globalizzazione, tende a destabilizzare la politica interna di alcuni Stati e, al
contempo, rappresenta un elemento di tensione nelle relazioni fra gli Stati. L’ONU, istituita essenzialmente per mantenere la pace
internazionale, ha assunto un ruolo significativo nel contrasto e nella lotta al terrorismo internazionale. Al riguardo, si rinvia
all’articolo di G. PACCIONE, “Le Nazioni Unite e il terrorismo internazionale”, sul sito http://www.diritto.net/dirittonet-home/diritto-
internazionale/2112.html (consultato il 22.11.13).
35. Cfr. nota 15. Rimane aperto, naturalmente, il dibattito sui processi di funzionamento. Al riguardo SANTORO osserva che “le Nazioni
Unite (…) paradossalmente, hanno rivelato la loro grave impotenza operativa proprio nel momento in cui, con la fine del confronto
bipolare, avrebbero dovuto assumere compiti sempre più rilevanti” (Cfr . nota 1).
36. Come vedremo, i pilastri fondamentali dello Stato sono costituiti da sovranità, popolo e territorio. L’appartenenza ad una comunità
che condivide, in ampia misura, uno o più tratti culturali come religione, lingua, istituzioni politiche, valori e tradizioni storico-culturali
tende a sviluppare, negli individui, un elevato grado di identificazione personale e condivisione di valori comuni. Il senso di
appartenenza culturale ad un determinato gruppo sociale è alla base del concetto di nazione. Sul tema del nazionalismo, vedi, tra
l’altro, E. GENTILE (Cfr. nota 14).
E’ stato osservato come “l’Italia rappresenta un caso assai interessante di come la dimensione statuale non abbia coinciso con
quella ‘nazionale’ per molti secoli. Inizialmente, la repubblica, poi impero, dei romani comprendeva assai più dei popoli ‘latini’ che la
fondarono. Dopo il disfacimento dell’impero, ciò che risorse dalle sue ceneri fu la civiltà di città gelose della propria libertà e
autonomia al punto da contrastare a lungo qualunque forma di collaborazione/coordinamento fra di loro. I conflitti finirono con il
coinvolgere alleanze con potenze straniere che talora assoggettarono i territori italiani al loro dominio, producendo un forte
arretramento politico e civile e un mosaico di staterelli dall’economia asfittica e dal dubbio futuro politico (…) tutti i migliori
economisti italiani a partire dalla fine del 18° sec. furono a favore dell’unificazione nazionale e della formazione di uno ‘stato
nazionale’ (…) La riflessione degli economisti italiani si rivolse (…) a determinare il ‘buon governo degli Stati che portava alla
prosperità economica e alla ‘pubblica felicità’, un buon governo capace di coniugare lo Stato con il commercio, precedentemente
collegato invece direttamente con la morale. Antonio Genovesi fu l’economista che meglio interpretò questo snodo, ma anche Pietro
Verri, quando definì l’economia come parte integrante della scienza di governo”. In tal senso Vera NEGRI ZAMARRI, “Lo stato
86
nazionale”, http://www.treccani.it/enciclopedia/stato-nazionale_(Il-Contributo-italiano-alla-storia-del-Pensiero:-Economia)/ (con-
sultato il 11.01.2014).
In effetti, uno dei punti di forza degli Stati odierni è la circostanza che molti di essi sono il risultato dell’affermarsi di una “versione”
del nazionalismo fondata sull’autodeterminazione dei popoli. Al contempo, non si può non ricordare come, “all'inizio del 20° sec.
sorsero movimenti nazionalisti (per es. l'Action française, la Lega pangermanica, l'Associazione nazionalista italiana) volti a
contrastare i regimi democratici e a disinnescare i conflitti sociali e la minaccia socialista. Questo tipo di nazionalismo, teso a
esaltare l'identità nazionale e la politica di potenza, contribuì in modo decisivo allo scoppio della Prima guerra mondiale. In Italia il n.
fu una delle componenti essenziali del fascismo e diede luogo all'esaltazione dello Stato. In Germania, invece, si legò al concetto di
razza e alimentò, in questa veste, l'ideologia nazista”. Vedi la voce “Nazionalismo” pubblicata da Enciclopedia TRECCANI on line,
(http://www.treccani.it/enciclopedia-/nazionalismo/ ).
37. In tal senso il sociologo inglese Martin SHAW, “Global Society and International Relations”, Cambridge, Polity, 1994. Il saggio è
reperibile sul sito http://www.sussex.ac.uk/Users/hafa3/global.htm. Il testo originale riporta: “States (…) remain central actors in
world politics, but their interactions are surrounded and complemented by the ever more important interventions of transnational and
subnational actors”.
Donatella della PORTA osserva che, oggigiorno, “la politica internazionale non è più percepita come dominio esclusivo degli Stati”.
Lo Stato, infatti, continua ad essere l’attore privilegiato delle R.I., tuttavia si tende spesso a conferire la qualità di attori delle R.I.,
non solo alle organizzazioni internazionali (interstatali o intergovernative quali ONU, NATO, ASEAN, ecc.) e sovranazionali (quale
la Commissione dell’UE), ma anche ad attori non-governativi transnazionali orientati verso il profitto (quali le imprese
multinazionali), attori non-governativi transnazionali orientati verso l’interesse pubblico (quali le ONG, le campagne d’opinione come
Amnesty International, il Consiglio Ecumenico delle Chiese, la Caritas, il World Social Forum, ecc.), l’opinione pubblica
internazionale, distinta in opinione ufficiale, opinione spontanea di massa e opinione di élite militanti (pacifisti, no-global, ecologisti
ecc.), e addirittura movimenti terroristici e organizzazioni criminali a sfondo internazionale. In tal senso, l’articolo pubblicato su:
http://www.treccani.it/enciclopedia/i-nuovi-attori-della-politica-internazionale_(Atlante-Geopolitico)/.
Come specificato in Premessa, “la presente ricerca, pur non ignorando l’importanza, in seno alla Politica Internazionale, dei
rapporti transnazionali e delle relazioni non esclusivamente politiche, … è ispirata alla concezione delle R.I. quale disciplina intesa a
esaminare, mediante un approccio sistemico, le interazioni tra gli Stati ed a porre in primo piano, nell’agenda, la sicurezza globale”.
38. La sovranità territoriale indica la competenza esclusiva dello Stato in rapporto al proprio territorio e alle risorse naturali ivi contenute
(cd. sovranità esterna) nonché il potere di imperio dello Stato su tutte le persone fisiche e giuridiche che si trovino in tale ambito
territoriale (cd. sovranità interna). La sovranità personale/interna, in particolare, indica il potere di imperio dello Stato sugli individui
che gli appartengono per cittadinanza, ovunque essi siano anche all’estero o su spazi sottratti alla giurisdizione statale. In
generale, i poteri di sovranità dello Stato moderno incontrano limiti interni (le carte costituzionali) ed esterni (il diritto internazionale).
Lo Stato può acconsentire a delle limitazioni della propria sovranità per effetto dell’adesione a organizzazioni internazionali dotate
di poteri e funzioni tali da configurare una interferenza esterna alquanto penetrante nella sua potestà.
Accanto al territorio effettivo vi è quello fittizio, per cui navi e aeromobili dello Stato sono assoggettate al principio della bandiera,
mentre navi e aeromobili privati sono soggetti alla legge penale dello Stato della bandiera quando sono in alto mare o in una
regione in cui non si esercita alcuna sovranità, alla legge penale locale, quando si trovino entro il territorio dello Stato estero e i fatti
commessi a bordo turbino in qualche modo la sicurezza locale.
Il concetto di sovranità dello Stato fu teorizzato da Jean BODIN, che nel suo trattato del 1576, dal titolo “De la republique”, pose le
basi teoriche dello stato di diritto stabilendo il concetto di sovranità come summa in cives ac subditos legibusque soluta potestas: in
definitiva, un sistema politico/statale si distingue dalle altre forme di comunità in ragione della summa potestas, i cui soli limiti sono
quelli imposti dalle leggi di Dio e di natura. Sul tema della sovranità territoriale, Cfr. nota 33. In questa sede, appare opportuno
sottolineare che, nel principio di sovranità:
- risiede la facoltà di decidere sul cd. “stato di eccezione”, cioè la decisione sulla sussistenza dello stato di emergenza e
sull’individuazione dei mezzi per superarlo (concetto introdotto dal filosofo Carl Schmitt nel 1934, continua ad essere ampiamente
dibattuto dai costituzionalisti);
- trovano assorbimento i principi di esclusività della legge tributaria nel territorio dello Stato e il principio del limite territoriale
all’esercizio delle attività di accertamento e riscossione dei tributi (V. Roberto BAGGIO, “Il principio di territorialità ed i limiti alla
potestà tributaria”, Giuffrè Editore, 2009, pag. 14).
La giurisdizione, in senso stretto, consiste nella competenza e facoltà dello Stato di applicare le leggi e di salvaguardare gli
interessi tutelati dall’ordinamento giuridico. F. FARINELLI, nell’articolo “La produzione spaziale della società”, rileva come, per il
giurista BALDO (1327-1400) “la giurisdizione insiste sul territorio come sopra la palude la nebbia, generata dall’attiva potenza del
suolo”. V. http://www.mi.camcom.it/c/document_library/get_file?uuid=bf3af850-f7d3-42ab-8c4d-e828cbcdf6ff&group-Id=10157.
39. Sinteticamente, nel diritto internazionale il territorio include la terraferma, cioè lo spazio terrestre delimitato da confini (naturali o
legali) e comprende: le cd. acque interne (laghi, fiumi e porzioni di mare comprese entro le linee di base), il mare territoriale (cioè lo
specchio d’acqua antistante la costa entro il limite delle 12 miglia marine dalla cd. linea di base), il sottosuolo corrispondente, lo
spazio atmosferico sovrastante il territorio terrestre e quello marittimo. Vige una speciale disciplina per baie, golfi e stretti. Adiacente
al m. t. è la zona contigua, ove lo Stato costiero esercita poteri di controllo anche sulle navi straniere, al fine di prevenire o reprimere
infrazioni alla sua legislazione nazionale. L’estensione di tale zona è stabilita in 12 miglia nautiche misurate a partire dal limite
esterno del m.t.. Al di là della cd. zona economica esclusiva (lo specchio d’acqua compreso tra il limite della linea di base e il limite
delle 200 miglia, rispetto al quale lo stato costiero può esercitare diritti di sfruttamento delle risorse naturali, anche relative al
sottosuolo), il mare internazionale non è soggetto alla sovranità di alcuno stato in particolare, al pari degli spazi cosmici.
Le questioni di sovranità sulle aree marine sono oggetto del diritto internazionale marittimo, mentre gli spazi cosmici sono regolati
dal diritto aero-spaziale. V. Tullio SCOVAZZI, “Elementi di diritto internazionale del mare”, Giuffrè Editore , 1990.
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40. Il sovrapporsi delle diverse analisi di studio non sembra in grado di risolversi in una compiuta e condivisa nozione del termine:
nell’economia del presente lavoro si propongono due letture di generale portata. Sotto il profilo etimologico, talora si risale al latino
territorium, derivato del termine territor, cioè possessore della terra, tuttavia è prevalente l’associazione alla forma verbale terreo
che significa comandare, esercitare il terrore: in tal senso E. STUART, che richiamando il pensiero di M. Focault (‘territory is no
doubt a geographical notion, but it’s first of all a juridico-political one: the area controlled by a certain kind of power’) sottolinea come
il territorio, precondizione della statualità, è l’ambito definito dalla funzione del potere. Vedi “Land, terrain, territory”, Progress in
Human Geography, 2010, 34, http://phg.sagepub.com/content/34/6/799.
La nozione di carattere giuridico risulta fondamentalmente collegata al concetto di Stato affermatosi essenzialmente in seno alle
culture cd. occidentali. Per quanto attiene alle comunità di cultura islamica e al rapporto fra Islam e ordinamento politico e statuale,
lo studio di Panayotis VATIKIOTIS, professore di politica alla School of Oriental and African Studies dell'università di Londra, riporta:
“Esiste una differenza fra l'islam come guida e ideale ispiratore dell'autorità o dell'ordinamento politico, e l'islam con la sua legge, la
sciaria, come costituzione dello stato, o principio organizzatore di autorità e base di legittimità. Rimane il fatto che il nucleo della
fede è l'espressione terrena del messaggio divino; l'islam è per definizione una religione politica: impone doveri politici ai credenti.”.
I credenti si identificano nella umma, una comunità religiosa di fede islamica, la quale a sua volta ha significato sociale e politico
imperniato sulla nozione fondamentale di comunità espressione, appunto, di un'idea religiosa. "La comunità esiste perché i credenti
possano realizzare l'ideale islamico: il modello di universo rivelato da Dio (…) lo Stato esiste perché la norma islamica possa
informarne la vita e gli affari pubblici" (…)". Lo stato nazione nell'islam è dunque un concetto ideologico, non territoriale. Esso
comprende la comunità dei fedeli o dei credenti dovunque essi si trovino. L'appartenenza o meno ad esso si basa non sullo jus
sanguinis o sullo jus solis, bensì sullo jus religionis. L'islam è una religione che per definizione è una religione politica: "impone
doveri politici ai credenti" e pertanto "seri problemi sorgono quando ci si rende conto che l'islam è un'unità indissolubile di religione e
comunità, o nazione, e richiede che tale binomio o dualità venga inscritto nelle strutture temporali. (..). D'altro canto la umma non è
una chiesa, è una società di credenti che comprende coloro che professano l'islam, pregano rivolti alla qibla, osservano la sciaria e
preferibilmente vivono nella dar al-islam. La sua unità è, e nello stesso tempo non è, strettamente politica. La sua legge è una
decisione della volontà divina; non esistono altre fonti del diritto, comprese la Natura e la Ragione”. Vedi "Islam: stati senza nazioni",
Panayotis Vatikiotis, il Saggiatore, Milano, 1993.
41. La distinzione si è andata affermando negli ultimi decenni del 20° secolo, in ragione dello sviluppo del concetto di
“territorializzazione” come processo innescato dall’uomo, il quale tende - ora per istinto innato, ora per ragioni culturali, economiche,
sociali, politiche - a sviluppare, sia individualmente che collettivamente, comportamenti che caricano di valori (affettivi, economici,
giuridici, politici, linguistici, ideologici, religiosi, ecc.) le singole componenti e l’insieme di un determinato ambito spaziale. Nella
prospettiva introdotta da Claude RAFFESTIN (v. “Regione e regionalizzazione”, F. Angeli, Milano, 1984) ed elaborata da A. TURCO
(1988 e 2010), il termine indica il processo di socializzazione della natura attraverso una triplice articolazione. “Nella sua
dimensione costitutiva il processo di t., quali che siano il tempo, lo spazio, le collettività, i meccanismi di funzionamento e di
riproduzione sociale a cui ci si riferisce, istituisce tre forme di controllo sulla superficie terrestre che attengono il piano simbolico
(denominazione), materiale (reificazione), organizzativo (strutturazione). La declinazione ontologica del processo di t. si esprime
nella responsabilità dell’essere umano di abitare la natura, di conferire valore antropologico alla superficie terrestre, trasformando la
natura in territorio. L’azione umana consiste così nel trasformare l’agire spaziale in agire territoriale. Quanto al piano configurativo, il
processo di t. assume, nel pensiero e nella pratica sociale, molteplici e variabili configurazioni che si modellano in base alle
elaborazioni culturali e agli interessi in gioco. Tre di queste (…) assumono una vocazione universalistica: paesaggio, luogo e
ambiente. Il processo di t. è (…) processo in costante evoluzione (…) e (…) meccanismo di tipo essenzialmente cumulativo. Dal
primo punto di vista, nell’ambito di questo processo è possibile individuare, in ogni momento, le caratteristiche specifiche di un
territorio che si caratterizza come l’esito puntuale, storicamente circoscritto e connotato del processo di territorializzazione. Dal
secondo punto di vista (…) i diversi significati e valori che nel tempo vengono attribuiti allo stesso territorio difficilmente rimuovono
gli apporti che si sono stratificati precedentemente” (Angelo TURCO, “Territorio e Territorializzazione”, articolo pubblicato su
http://www.treccani.it/enciclopedia/territorializzazione_(Lessico-del-XXI-Secolo)/) (consultato il 12.01.2013).
42. La Convenzione di Montevideo (Uruguay) sui diritti e doveri degli Stati, trattato sottoscritto il 26 dicembre 1933 alla VII Conferenza
internazionale degli Stati americani, pur avendo valore giuridico vincolante per i soli paesi firmatari (19 Stati, di cui 3 con riserva),
all’art. 1 contiene una precisa ricognizione degli elementi considerati necessari e sufficienti per connotare l'assunzione di personalità
giuridica internazionale e, in definitiva, della qualifica di soggetto internazionale da parte di uno Stato: la contestuale presenza di
una popolazione permanente, un territorio definito, un potere di governo esclusivo, la capacità di intrattenere rapporti con altri Stati
(M. Frigo – A. Lang – M. Valenti, “Diritto della Comunità internazionale e dell’Unione europea”, G. Giappichelli Editore, 2011).
Con la dichiarazione di Bruxelles del 16 Dicembre 1991 gli Stati della U.E. hanno adottato le Guidelines Recognition of New States
in eastern Europe and in the Soviet Union, le quali prevedono il riconoscimento dei soli Stati che garantiscono il rispetto dello stato
di diritto, della democrazia, dei diritti umani e delle minoranze, nonché l’osservanza degli obblighi relativi al rispetto delle frontiere e
l’accettazione di obblighi in materia di disarmo.
Martin Ira GLASSNER aggiunge, ai tre elementi tipici (territorio, popolo, governo) dello Stato, due ulteriori requisiti, classificandoli di
natura “geografica”: un’economia organizzata (cioè il compito dello Stato di emettere moneta e controllarne la circolazione, la
regolamentazione del commercio estero, il controllo su molte attività economiche) ed un sistema di circolazione (cioè l’esistenza di
reti di comunicazione d’informazioni e idee, e reti di trasporto di persone e di cose). Vedi il “Manuale di geografia politica”, Franco
Angeli, ed. 2007, p.56. Si tratta, in effetti, di elementi intimamente connessi, rispettivamente, ai concetti di sovranità e territorialità
dello Stato.
43. Il concetto della “coincidenza” tra ordinamento e localizzazione è stato approfondito da Carl SCHMITT nel libro Der Nomos der
Erde, pubblicato nel 1950. Nel sintetizzare il pensiero del filosofo tedesco, N. IRTI (Cfr. nota 12) riporta: L'occupazione di terra
"costituisce per noi all'esterno (nei confronti di altri popoli) e all'interno (con riguardo all'ordinamento del suolo e della proprietà entro
un territorio), l'archetipo di un processo giuridico costitutivo (…) Questo atto originario viene interpretato come evento storico e
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come categoria logica: esso determina una forma spaziale da cui discende ogni altro istituto e criterio di diritto. Ordinamento e
localizzazione, Ordnung e Ortung, coincidono appieno: la superficie terrestre - occupata, resa 'individua' dai confini, unita verso
l'esterno e l'interno - si fa così luogo, spazio costitutivo e principio di ogni diritto. Il nomos (che nella propria radice ha il 'dividere' e il
'pascolare') è perciò "la forma immediata nella quale si rende spazialmente visibile l'ordinamento politico e sociale di un popolo”.
ln ragione del principio di territorialità degli ordinamenti giuridici, un cittadino italiano all’estero è soggetto alla legge penale dello
stato dove si trova, mentre uno straniero in Italia è soggetto alla legge nazionale. Al contrario, alcuni ordinamenti
(fondamentalmente, quelli legati alla cultura islamica) sono fondati sul principio di universalità del diritto (Cfr. nota 6).
La concezione politica moderna tende a considerare il territorio come spazio razionalmente necessario della sovranità dello Stato.
In tale ottica, il giurista Tomaso PERASSI osservava che “ogni Stato, ossia l’organizzazione della quale si concreta e per mezzo
della quale si esercita la propria signoria sugli uomini, è stabilito in una località della superficie terrestre (…) Territorio è la
denominazione tecnica di codesto ambito. Territorio non significa estensione di terra: ma ambito di signoria. Lo Staatsgebiet è
l’ambito di spazio in cui lo stato attua il suo diritto di gebieten, ossia d’imperare. Signoria e territorio non sono un diritto ed un
oggetto materiale, da esso distinto, ma un diritto considerato in sé, e l’ambito di spazio in cui si esercita un diritto di signoria.
Quando si dice che lo stato ha un territorio, non si dice altro se non che lo Stato ha un diritto di signoria nell’ambito di uno spazio
determinato”; v. T. PERASSI, “Paese, territorio e signoria nella dottrina dello Stato”, in Riv. dir. pubbl., 1912, pp. 6-7.
L’Autore concepisce il territorio (Gebiet) come ambito di competenza distinto dal paese (Land). Tale ricostruzione è supportata da
un’analisi etimologica: territorio discenderebbe dal latino terreo (Cfr. nota 40), come Gebiet da gebieten, ed entrambi significano
comandare: lo Stato esercita su un territorio definito il proprio potere sovrano. Il territorio dello stato è il luogo dove la sovranità
legittima si dispiega. Il territorio statale risulta ancora una volta collegato al concetto di sovranità e, in generale, a quello di politica.
Max WEBER, sociologo, in un saggio del 1919 sosteneva: “lo Stato moderno è un’associazione di dominio in forma di istituzione
(…) la quale, nell’ambito di un determinato territorio, ha conseguito il monopolio della violenza fisica legittima come mezzo per
l’esercizio della sovranità, e a tale scopo ne ha concentrato i mezzi materiali nelle mani del suo capo, espropriando quei funzionari
dei ‘ceti’ che prima ne disponevano per un loro proprio diritto, e sostituendovisi con la propria suprema autorità”. Vedi “La scienza
come professione. La politica come professione”, trad. P. Rossi, Edizioni di Comunità, Torino, 2001, p.55. Molte delle intuizioni di
Weber sono state riprese da Stein ROKKAN (1980), come rilevato da D. PALANO (Cfr. nota 6 ult.parte, p. 76).
44. Anche se la fisica delimitazione del territorio statuale trova origini già nell’antichità (si pensi alla costruzione di mura e valli nel corso
dell’Impero romano), quasi tutta la rete mondiale dei confini statali è stata tracciata negli ultimi 100 anni. In precedenza, la maggior
parte dei territori statali non era separata da linee, ma da vere e proprie zone, talora anche vaste, le quali - per la loro natura
morfologica - offrivano scarse opportunità di sfruttamento economico ovvero presentavano ostacoli naturali all’insediamento umano.
Tali zone avevano, di fatto, la funzione di impedire il contatto continuo ed effettivo tra comunità appartenenti a differenti entità
statali, che tuttavia compivano spesso azioni di penetrazione o avviavano temporanee azioni di insediamento nella zona di frontiera.
Progressivamente, le zone frontaliere sono state acquisite permanentemente dai vari Stati confinanti, sicché le linee di confine
hanno finito col “cancellare” le frontiere. I confini di oggi si presentano sulle carte geografiche come linee, ma in effett i il confine è
un piano verticale che taglia lo spazio aereo, il suolo e il sottosuolo di due Stati adiacenti. Questo significa che i confini servono
anche ad impedire che uno stato finitimo sfrutti giacimenti minerari posti a cavallo di un confine ovvero attraversi lo spazio aereo
altrui senza esplicita autorizzazione. Storicamente, la definizione dei confini statali ha dato e spesso continua a dar luogo a crisi e
dispute di carattere politico. La determinazione dei confini statali occupa due distinti rami del diritto: il diritto interno, in quanto
ciascuno stato per mezzo di leggi interne provvede a determinare quali territorî debbano considerarsi appartenergli; il diritto
internazionale, in quanto per mezzo di atti e di norme internazionali gli stati riconoscono reciprocamente l'appartenenza di
determinati territorî. I confini internazionali di ciascuno stato, esclusi quelli marittimi, risultano anzitutto da trattati, quando con un
atto di questa specie gli stati si accordano fra loro sui rispettivi confini, e dall'uso immemorabile, il che specialmente avviene per
stati di antica formazione che non hanno mai subito variazioni ai loro confini. Vi sono inoltre, per le catene dei monti, i fiumi, i laghi,
e i mari interni, alcune norme generali, sebbene di carattere suppletivo e valevoli solo ove non sia possibile dimostrare una diversa
volontà degli stati interessati. Quando una frontiera passa per una catena di montagne, la linea di confine, in mancanza di espressa
pattuizione contraria, si reputa corrispondere allo spartiacque. Quando è un fiume quello che divide due o più stati, è pacifico che
esso non spetta pro indiviso agli stati ripuari, ma è invece controverso in quale modo si debba dividere fra essi. Nella storia delle R.
I., i trattati a mezzo dei quali sono stati stabiliti i confini internazionali, spesso al termine di conflitti o situazioni di crisi, se da un lato
sono stati il generale risultato dei rapporti di forza che si sono determinati al termine della disputa, dall’altro hanno conferito
prevalenza, storicamente, ora ai criteri etnici, culturali, religiosi, linguistici dei popoli confinanti, ora a quelli cd. naturali. Il primo
criterio si è costantemente scontrato con la ineliminabile eterogeneità e interpenetrazione della popolazione mondiale. Del pari,
quando è prevalso il criterio dei cd. confini naturali, cioè il riferimento all’assetto naturale degli spazi geografici caratterizzati da zone
di transizione in cui scompaiono le caratteristiche individuanti di una regione e cominciano quelle differenzianti, non sempre i confini
sono stati percepiti come rispondenti alle aspettative/necessità di Stati/popoli interessati. Negli ultimi tempi, anche in ragione del
generale progresso tecnologico, è del tutto venuta meno la tendenza a conferire una funzione difensiva ai confini mediante la
costruzione di linee avanzate/fortificate, tuttavia – a dispetto di una generale permeabilità dei confini – sono sempre in atto le azioni
di controllo statuale e, soprattutto, non cessano le controversie territoriali e di confine (sull’argomento, Martin Ira GLASSNER, Cfr.
nota 42 ult. parte).
45. A. TURCO, Cfr. nota 41.
46. Il geografo francese Claude RAFFESTIN, che già agli inizi degli anni ‘80 ha sviluppato il concetto di territorialità (Cfr. nota 41),
osserva come “il territorio è il risultato di un’azione condotta da un attore sullo spazio. Appropriandosi concretamente o
astrattamente (per es., attraverso la rappresentazione) di uno spazio, l’attore territorializza questo spazio, riorganizzando
incessantemente le condizioni preesistenti”.
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Tale dinamica incessante, come vedremo, può innescarsi anche attraverso i processi di globalizzazione di cui si è detto nel
precedente capitolo. In tema di deterritorializzazione si pensi, ad esempio, allo svilimento di valori indigeni nei territori a suo tempo
colonizzati e all’attribuzione, ai medesimi, di valori esogeni. Si pensi altresì a talune azioni terroristiche dei tempi recenti, intese a
“osteggiare” l’affermazione dei valori culturali di Paesi considerati ostili, mediante la distruzione di edifici “simbolo”: l’abbattimento
delle Torri Gemelle di New York dell’11 settembre 2001, che causò la morte di migliaia di persone.
47. Secondo un famoso brocardo latino “ubi societas, ibi ius/ubi ius, ibi societas”. E’ stato osservato come tale formula, per il giurista
SANTI ROMANO, “valeva a sottolineare non tanto che non ci può essere diritto se non c’è società (…), quanto che non ci può
essere società se non c’è diritto” (Cfr. nota 8 ult. parte).
48. A conferma di una forma di convergenza tra le due prospettive, si riporta quanto è stato osservato in tema di confini, che sono le
linee ‘legali’ o ‘naturali’ che delimitano i territori: “Il confine, rompendo la continuità estensiva della superficie, determina un luogo,
questo o quel luogo della Terra (…) Il confine circoscrive e individua, divide e separa, e - prime tra le altre funzioni - include ed
esclude. La funzione inclusiva genera l'appartenenza: appartiene, ossia è parte di un tutto, chi si trova al di qua del confine. Costui è
cittadino, membro della civitas. Coloro che stanno dentro il confine si chiamano perciò conterranei: essi non soltanto abitano una
medesima e unica terra, ma da essa provengono. La conterraneità non è estendibile a tutti gli uomini, che pure dimorano sulla
superficie del globo, ma raccoglie soltanto coloro che hanno origine da un certo luogo. Conterraneità implica determinazione di
luogo; il luogo postula determinazione di confini. Senza confini, e dunque senza la separatezza da altri, gli uomini né appartengono
né si dicono 'conterranei'. I confini generano la forma spaziale dello Stato, e così di regioni, città, villaggi e di ogni altro gruppo
insediato sulla Terra. (…) Il confine adempie anche una funzione esclusiva. Dividendo e separando, non lascia oltrepassare. A
coloro che, stando dentro, 'appartengono', e dunque si ritrovano nell'esser 'conterranei', sono contrapposti i forestieri, gli uomini di
fuori (…). Il confine, individuando un luogo della superficie terrestre, cioè rendendolo individuum (unità non separabile né
scomponibile), esclude gli altri: non permette che quelli di dentro e quelli di fuori abbiano una terra in comune. L'esclusività sempre
si consegna a un aut-aut.(…) Istituti e linguaggio del diritto sono costruiti sul carattere dell'esclusività. Esclusivo non può non essere
ogni ordinamento giuridico, si direbbe ogni norma: la quale, regolando un caso o una materia, impedisce che essi, nel medesimo
istante di tempo, siano disciplinati da altra norma (…)”. In tal senso N. IRTI, Cfr. nota 12.
49. E’ stato osservato che “la sedentarizzazione testimonia che l’uomo passa da una condizione di sopravvivenza a una di vita. Nel
momento in cui diventa stanziale, l’uomo cerca di migliorare il quotidiano ed è solo in quel momento che le civiltà cominciano a
evolvere”, Marc LEVY, “La prima stella della notte”, Rizzoli, Milano 2009.
Gilles DELEUZE, facendo leva sull’importanza del ricorso alla tecnologia quale fattore essenziale per il progresso economico di
ogni comunità sociale, ha rilevato che: “la sedentarizzazione ha comportato evoluzioni estremamente significative delle tecnologie e
della stessa struttura sociale (...). In essa prendono corpo due strategie che valgono (…) per l’intera storia degli sviluppi tecnologici:
la prima è quella della ‘trasformazione’ della natura finalizzata alla soddisfazione di bisogni umani, di qualsiasi tipo; la seconda è
quella della ‘presa di distanza’ dall’ambiente naturale attraverso la realizzazione di un dominio sulla natura che si traduce nella
costruzione di artifici sempre più sofisticati (…). Con la sedentarizzazione si costituiscono società che cristallizzano nella loro
struttura sociale determinate continuità: la continuità del lavoro, della discendenza e del legame con la terra (…)”, “Tecnofilosofia,
per una nuova antropologia filosofica”, Associazione Culturale Eterotopia, 2000 (p.65).
D. PALANO (Cfr. nota 6 ult. parte, p. 66), sulla scorta di studio svolto da J. Gottmann - secondo il quale ogni insediamento umano
ha finito col conferire allo spazio una dimensione simbolica (le cd. “iconografie regionali”, prodromo delle identità nazionali) per
effetto della quale un determinato territorio è stato immaginato come unitario al proprio interno e differente dall’esterno - non manca
di sottolineare come, la tendenza alla circolazione (opposta e complementare alla stabilizzazione) costituisca anch’essa fattore di
progresso sociale, capace di cambiare l’ordine politico, economico e culturale dello spazio. Sul tema della circolazione, Cfr. nota 94.
50. Robert David SACK, “Human Territoriality: a theory”, Annals, Associations of American Geographers, Vol. 73,1983, pp. 55-74.
All’articolo ha fatto seguito il saggio “Human Territoriality: Its Theory and History”, Cambridge Studies in Historical Geography,
Cambridge University Press, 1986.
51. Peter J. TAYLOR, “The State as container: territoriality in the modern world-system”, Progress in Human Geography, June 1994 ,
18, pp. 151-162. Cfr. nota 28.
52. L’Autore (Cfr. nota 51) svolge tra l’altro un interessante excursus storico circa le modalità di trasformazione della concezione dello
Stato: secondo l’Autore, gli Stati cd. di diritto affermatisi in Europa dopo la metà del XV secolo, dotandosi di forze militari ed
acquisendo gradualmente la qualità di membri di un sistema interstatale, a seguito del Trattato di Vestfalia si sono imposti quali
protagonisti delle relazioni internazionali, svolgendo prevalentemente il ruolo di “warring States” con funzioni di “power container”.
Al termine della II G.M., affermatosi il principio di nazionalità fondato su basi territoriali e su condivisi elementi culturali, è stata
avvertita la necessità di assicurare l’equilibrio e la stabilità dei nuovi assetti e confini, che ha dato luogo ai “defensive States” con
funzioni di “cultural container”. Da ultimo, sul finire del XX secolo, la definitiva maturazione dei principi democratici che avevano
ispirato la rivoluzione francese hanno conferito agli Stati la qualità di “welfare States” con funzioni di “wealth container”. Tali
trasformazioni si sarebbero accompagnate all’evoluzione del sistema economico capitalistico e delle corrispondenti politiche
economiche promosse o adottate dagli Stati, che hanno progressivamente ampliato le loro competenze in modo variabile.
Robert D. SACK, come si è detto (Cfr. nota 50), ritiene che la territorialità nel genere umano risponda ad una precisa e spesso
indispensabile “geographical strategy” necessaria per controllare le risorse e per contenere le relazioni all’interno di un determinato
territorio. Il sociologo inglese Antony GIDDENS, ispirandosi a sua volta alla definizione di Max WEBER (Cfr. nota 43 ult. parte), ha
descritto lo Stato quale “bordered power container” nel trattato “The Nation-State and violence”, Cambridge, Polity Press, 1985.
53. Circa la portata del Trattato di Westfalia, Cfr. nota 8.
90
54. All’argomento, l’Autore (Cfr. nota 51, p. 151 e 156-157) osserva che: “A given state does not just exist in space, it has sovereign
power in a particular territory. Similarly, a nation is not an arbitrary spatial given, it has meaning only for a particular place, its
homeland. It is this basic community of state and nation as both being particular place, that has enabled them to be linked together
as nation-state (…).In the twentieth century the nation-state has become ubiquitous. All states, whatever their cultural make-up, are
assumed to be nation-states and carry out internal policies accordingly. The world consists of nearly 200 cultural containers (the
numbers having recently risen) within which national ideals are being reproduced in schooling, the mass media and all manner of
other social institutions” (…). The nation-state of the twentieth century (…) has become the great container of activities, first
capturing politics, then economics, followed by cultural identity and finally the idea of society itself. This fusing of polity, economy,
nation and society has produced the most powerful of all institutions in our times”.
Sul concetto di nazione, Cfr. note 14, 29, 36.
55. Al riguardo, l’Autore (Cfr. nota 51, p. 151) osserva che: “The idea of a world of nation-states has always been a myth in practice,
with virtually all states having cultural mixes of peoples including important minorities. Dividing up existing states along cultural lines
may therefore actually strengthen the interstate system as its new members come closer to the national ideal”.
In tema di formazione storica degli Stati-Nazione, G. LIZZA osserva che “praticamente non esiste Stato con una popolazione del
tutto omogenea sia sotto il profilo storico e culturale che sotto quello economico e sociale”. In generale, fattori di natura fisico-
geografica, storica, economica, culturale, etnica, linguistica, agiscono quali forze, ora centrifughe ora centripete, determinando,
rispettivamente, la tendenza al rafforzamento e alla coesione dello Stato ovvero la tendenza allo smembramento del medesimo. Per
maggiori dettagli, Cfr. nota 23, p. 131-143.
56. Invero, si ritiene che una tale affermazione abbia valore alquanto relativo: infatti se da un lato può verificarsi che una entità sub-
statale sia compresa entro i confini di più di una unità statale, dall’altro l’identità spazio politico - spazio “culturale”, in geografia, è
praticamente irrealizzabile. Paradossalmente, si direbbe che l’ipotesi sia effetto della cd. “trappola territoriale” (Cfr. succ. nota 60).
57. In tal senso D. PALANO, (Cfr. ult. parte nota 6, pp. 69-71), il quale rinvia allo studio svolto da BRENNER-JESSOP-JONES-
MacLEOD con il saggio “State/Space: A Reader”, Blackwell, Oxford, 2003. L’Autore inoltre, citando M. Mann (1984), sottolinea che
“a caratterizzare in modo specifico lo Stato moderno è (…) il fatto di avere raggiunto l’obiettivo di una stabile territorial izzazione del
dominio politico” attraverso il conseguimento del “monopolio della forza legittima (…) a garanzia dell’ordinamento” (p. 75).
58. Al riguardo l’Autore (Cfr. nota 57), concordando con il Taylor (Cfr. nota 51), precisa: “il momento che sancisce la definizione del
sistema interstatale viene tradizionalmente individuato nella Pace di Vestfalia (1648), al termine delle guerre di religione che
avevano sconvolto per un trentennio il continente europeo: con quel trattato, almeno in termini generali, viene riconosciuta
l’esistenza di una serie di unità politiche ognuna delle quali risultava sovrana all’interno dei propri confini. Benché quel modello
teorico si rispecchiasse solo parzialmente nella realtà, nei secoli successivi, il consolidamento degli Stati e l’affermazione del modo
di produzione capitalistico confermano il ruolo di ‘contenitore di potere’ dell’organizzazione statale e il suo radicamento territoriale”.
59. L’Autore (Cfr. nota 57), nel ricordare che si deve a C. Schmitt “l’idea che qualsiasi ordinamento concreto debba fondarsi sulla
possibilità di imprimere nella terra i confini indispensabili alla costituzione della comunità”, sottolinea come il giurista tedesco non sia
pienamente riuscito nell’intento di “rompere” l’equivalenza di ‘politico’ e ‘statale’ che aveva caratterizzato la riflessione dei giuristi e
dei teorici dell’Ottocento.
60. Il geografo inglese John AGNEW ha innescato un interessante dibattito allorché, circa 20 anni fa, ha sottolineato che nelle R.I.
prevale la tendenza a considerare lo Stato quale “ente territoriale stabile/non soggetto a variabili (benché i suoi confini effettivi
possano mutare), il quale opera allo stesso modo nel tempo ed indipendentemente dalla sua posizione all’interno del mutevole
ordine geopolitico globale (caratterizzato da mutamenti costanti dei mercati, delle alleanze militari, dei regimi monetari e
commerciali, ecc.)” e che “i confini del territorio non determinano, di per sé, l’ambito di appartenenza ad una comunità così come
non tutte le comunità non necessitano di territorialità”. Secondo l’Autore, pertanto, “International Relations theory needs to move
out of the territorial trap”. Tale trappola deriverebbe dal fatto che il territorio viene inteso ora come spazio definito dai confini
(oggetto di studio della sociologia politica, della macroeconomia, delle R.I.), ora come spazio strutturale, cioè dimensione geografica
che interconnette realtà locali/sub-statali (oggetto di studio della geografia umana, della storia economica, delle teorie sociologiche
sulla dipendenza). Entrambe le prospettive avrebbero idealizzato forme di rappresentazioni dello spazio non rispettose del contesto
storico. La fine della guerra fredda, l’incrementata velocità e volatilità dell’economia mondiale, l’emergere di movimenti politici
esterni al tradizionale assetto degli stati territoriali, insiste l’Autore, hanno evidenziato la presenza di processi che coinvolgono unità
sub-statali o unità di maggiori dimensioni agli stessi stati. Tutto ciò metterebbe in discussione “the established understanding of the
spatio-temporal framing of International Relations”. I fattori alla base dell’equivoco sarebbero da individuarsi nella contestuale
tendenza a: considerare gli Stati territoriali quali ideali entità astratte rispetto alle quali le R.I. sono un sistema chiuso, “astorico” e
“aspaziale”; conferire la caratteristica di “nazione” a tutti gli Stati, in ragione della loro territorialità; attribuire al termine
“internazionale” il significato di inter-statale. La concezione territoriale dello stato, a sua volta, sarebbe fondata su tre assunti
“geografici”: la reificazione dei territori statali quali entità spaziali non variabili, il ricorso a concetti “polari” quali interno/esterno e
nazionale/internazionale, la concezione dello stato quale entità preesistente e al contempo “contenitore” delle relazioni sociali. La
prima ipotesi avrebbe di fatto incoraggiato una lettura “astorica” e decontestualizzata dai processi di formazione ed estinzione dello
Stato; la seconda avrebbe oscurato l’interazione tra processi operanti rispetto a differenti scale; la terza tenderebbe a confinare la
vita sociale, economica, politica entro i confini territoriali degli Stati. La via d’uscita dalla “trappola” sarebbe rappresentata, secondo
AGNEW, dal recupero di una dimensione storico-geografica del concetto di Stato territoriale. Vedi: “The Territorial Trap: The
Geographical Assumptions of International Relations Theory”, Review of International Political Economy, Vol 1, 1994, pp. 53-80.
Per quanto attiene agli aspetti di carattere prettamente storico (e giuridico) della questione, l’inglese Elden STUART (Cfr. nota 40), a
distanza di circa 15 anni, ha fornito una replica all’appello lanciato da AGNEW, con la pubblicazione dell’articolo “Thinking Territory
91
Historically”, Geopolitcs, 15 (4), 2010, pp. 757-764, http://www.informaworld.com/10.1080/14650041003717517. Tale replica,
invero, risulta in sintonia con l’analisi svolta da M. DE LEONARDIS (Cfr. nota 8).
61. Negli anni ’70 lo studio delle relazioni internazionali è stato segnato da un serrato dibattito sul rapporto tra strutture e istituzioni
comprese nel sistema internazionale, che ha visto come protagonisti “neorealisti” e “neoliberali”:
- Kennet WALTZ (Cfr. nota 6), con la pubblicazione del saggio Theory of International Politics (1979), ha tentato di conferire
maggiore rigore concettuale alla teoria realista: mantenendo il concetto di potere come fulcro centrale delle R.I., ha introdotto
l'idea della struttura quale riflesso di alleanze e altre intese di cooperazione tra Stati di varie dimensioni, punti di forza e capacità .
Secondo Waltz e altri neorealisti , la struttura del sistema internazionale limita le opzioni di politica estera a disposizione degli
Stati ed influenza le istituzioni internazionali in modo rilevante, per cui il loro compito diventa il mantenimento della sicurezza;
- gli istituzionalisti neoliberali (V. Robert KEOHANE) sostengono che le istituzioni svolgono un ruolo rilevante, in quanto non si
limitano a riflettere o codificare la struttura di potere del sistema internazionale. Nel condividere la concezione realista degli stati
quali attori principali in un ambiente fondamentalmente privo di un ordine , essi sostengono che il comportamento dello Stato può
essere modificato dall'interazione con le istituzioni internazionali come l'Unione europea (UE ), la NATO, l'Organizzazione
Mondiale del Commercio ( OMC), le Nazioni Unite: tale interazione riduce nel lungo termine il rischio di conflitto.
Il “realismo neoclassico” sostiene che le azioni di uno stato nel sistema internazionale può essere spiegato da variabili sistemiche
(come la distribuzione delle capacità di potere tra gli Stati) così come da variabili cognitive (come la percezione e la percezione
erronea delle pressioni sistemiche, le intenzioni di altri Stati, o minacce) e variabili nazionali (come le istituzioni statali, le élite e gli
attori sociali all'interno della società) le quali influenzano il potere e la libertà d'azione dei decisori in materia di politica estera.
Tenendosi fedele al concetto neorealista di equilibrio di potere, il realismo neoclassico sostiene altresì che le diffidenza degli Stati e
l'incapacità di adeguata percezione reciproca oppure l’incapacità dei capi di Stato di mobilitare il potere dello Stato e il sostegno
pubblico può dar luogo ad un comportamento che porta a squilibri all'interno del sistema internazionale, l'ascesa e la caduta delle
grandi potenze , la guerra.
62. Il geografo statunitense Neil BRENNER, nell’analizzare, in chiave marxista, l’impatto della globalizzazione sul concetto di
territorialità dello Stato “container” (Cfr. nota 51) osserva che: “sia territorializzazione che deterritorializzazione sono momenti
costitutivi della dialettica permanente attraverso la quale lo spazio sociale è continuamente prodotto, riconfigurato e trasformato
sotto il capitalismo (…). La globalizzazione ha messo in rilievo la storicità della territorialità dello stato come una forma di
organizzazione socio-spaziale, decentrando la scala nazionale delle relazioni sociali ed intensificando l’importanza di forme di
territorialità sovra-nazionali e subnazionali (…) Oggi la territorialità dello Stato si intreccia sempre più e si sovrappone su varie forme
spaziali emergenti - dalle strutture istituzionali della UE e NAFTA ai flussi finanziari globali, a forme post-fordiste di organizzazione
industriale, gerarchie urbane globali e reti diasporiche transnazionali - che non possono essere descritti in modo adeguato come
spazi contigui, incompatibili tra loro ovvero a struttura chiusa”. Vedi “Beyond state-centrism? Space, territoriality, and geographical
scale in globalization studies”, Theory and Society, 28 (pp.69-70), Kluwer Academic Publ., Netherlands, 1999.
In tema di rapporto tra spazio geografico/territorio e relazioni economiche, che nell’economia della presente ricerca è stato appena
accennato, si vedano: David HARVEY, “Globalization and the spatial fix”, Geographisque Revue, 2/2001, http://geographische-
revue.de/archiv/gr2-01.pdf#page=23; Giovanni ARRIGHI, “Il lungo XX secolo”, Il Saggiatore, Milano, 1996-99. Sul volume, la
postfazione a cura di A. De Bernardi, http://www.storicamente.org/05_studi_ricerche/giovanni_arrighi.htm#par1
63. Secondo G. LIZZA (Cfr. nota 23 p. 45) in tali casi “il concetto di spazio politico prende il sopravvento sul concetto di territorio”. Un esempio di “spazio politico esteso” è rappresentato dal concetto di “Mediterraneo Allargato” recepito in ambito nazionale e non solo: sull’argomento, l’articolo del 06.12.14 di G. CAPRARA “Geopolitica e geostrategia del mediterraneo allargato”, http://www.eurasia-rivista.org/geopolitica-e-geostrategia-del-mediterraneo-allargato/21962/ Invero, si direbbe che in seno alla politica nazionale il concetto di “mediterraneo allargato” è destinato ad essere sostituito da quello di “zona euro mediterranea”. Si veda in questo senso il “Libro Bianco per la sicurezza internazionale e la Difesa” del Ministro della Difesa, p. 18 http://www.difesa.it/Primo_Piano/Documents/2015/04_Aprile/LB_2015.pdf
64. C. JEAN (Cfr. nota 128) osserva che, in tali casi, contano sempre meno i confini dello spazio territoriale e sempre più quelli fissati
dall'ampiezza dei flussi di attività economica mondiale.
Con il Trattato di Amsterdam (1997) l’Unione Europea, che è un’organizzazione internazionale regionale di integrazione economica
e politica, ha recepito nel suo ordinamento gli Accordi di Schengen (1985), volti a favorire la libera circolazione dei cittadini e la lotta
alla criminalità organizzata mediante l’abbattimento delle frontiere interne e la costituzione di un sistema comune di controllo alle
frontiere esterne: in tal modo, i territori degli Stati aderenti hanno assunto una dimensione di interesse politico comune. Di recente,
in esito all’iniziativa “Spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia”, oltre all’istituzione di Agenzia Frontex preposta alla creazione
di un sistema comune di asilo e all’adozione di una disciplina della immigrazione legale, sono state individuate forme di
cooperazione legale in materia civile, penale e di polizia. Della cd. area Schengen fanno parte anche tre paesi non aderenti all’UE
(Islanda, Norvegia, Svizzera).
65. A tale riguardo, é interessante l’articolo di Alberto CLEMENTI, “Territorio: una risorsa per lo sviluppo”, pubblicato a cura della
Enciclopedia Treccani sul sito http://www.treccani.it/enciclopedia/territorio-una-risorsa-per-lo-sviluppo_(XXI-Secolo)/ (consultato il
12.01.2014). Si propongono, di seguito, alcuni stralci particolarmente significativi:
- “al crocevia dei nuovi orientamenti della geografia, ma anche dell’economia, delle scienze sociali, dell’architettura e
dell’urbanistica, oltre che delle scienze biologiche, antropologiche e politiche, il territorio sembra diventare la chiave di volta
indispensabile per decifrare la condizione in cui versano le società locali, messe in crisi, ma al tempo stesso chiamate a esercitare
un protagonismo crescente di fronte ai processi di globalizzazione (…);
- “i nuovi orientamenti si stanno interrogando sulle potenzialità [del territorio] come risorsa strategica per lo sviluppo, in grado di
integrare in modo flessibile l’insieme delle condizioni locali per la produzione e di offrire così ambienti altamente competitivi per le
imprese e al tempo stesso di elevata coesione per le comunità insediate”;
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- “intendere il territorio come risorsa strategica per lo sviluppo, tanto più preziosa in quanto portatrice di specificità, di qualità e di
differenze, tutti valori sempre più apprezzati e ricercati dall’economia e dalla cultura della nostra epoca (…) sembra caratterizzare
verosimilmente anche gli scenari futuri, in cui c’è da ritenere che acquisteranno sempre più importanza le esperienze di qualità
dello spazio, anche di fronte all’estendersi dei processi di smaterializzazione dei flussi”;
- “nell’epoca della conoscenza che sta incalzando, il territorio sembra destinato a riacquistare centralità non solo per la cultura, ma
anche per la produzione della ricchezza e l’offerta di vantaggi competitivi sempre più condizionanti nell’economia postindustriale”;
- “nell’economia contemporanea fattori quali la qualità, la flessibilità e l’innovazione contano ormai più dei costi, e (…) i capitali
internazionali vengono attratti soprattutto da fixed assets incorporati negli spazi di maggiori potenzialità. In questa situazione il
territorio è destinato a rientrare pesantemente in gioco, ripopolando con i propri valori di specificità e di differenze lo spazio
astratto della produzione e del consumo, finora appiattito dalle razionalità di funzionamento dell’industria fordista o da quelle più
recenti dell’economia della conoscenza, dove le tecnologie digitali consentono di accedere a bacini di mercato sempre più globali,
sfruttando enormi economie di scala per la distribuzione del patrimonio di conoscenze e innovazioni”;
- “riemerge (…) con forza il bisogno di territorio, che s’insinua tra capitale e lavoro come nuovo fattore decisivo della produzione. È
questo infatti il tramite che per propria natura consente di offrire la più grande varietà di risorse relazionali, facilitando i processi di
apprendimento cumulativo, la sperimentazione di nuove configurazioni organizzative e la circolazione dei nuovi prodotti che è alla
base dei sistemi d’innovazione”;
- il territorio (…), propiziando il mutuo scambio di esperienze, consente di realizzare forme inedite di cooperazione tra i diversi
segmenti dei sistemi di produzione e consumo, fungendo da incubatore per quelle nuove ecologie relazionali, al tempo stesso
interne ed esterne, che rappresentano la chiave del successo nell’economia globale”;
- “il territorio-area cede (…) il passo a nuove forme di territori-rete, che hanno l’effetto di smaterializzare lo spazio mentre ne
ripropongono un ruolo determinante come ancoraggio materiale dei flussi a tutto campo”.
66. In tal senso l’Enciclopedia Treccani, alla voce “Geografia”, pubblicata da http://www.treccani.it-/enciclopedia-/geografia/ (consultato
il 24.11.2013).
Jerry BROTTON, esperto inglese di storia delle mappe, autore del testo: “La storia del mondo in dodici mappe”, Feltrinelli Editore,
Milano, 2013, pp. 20-22, osserva che l’esigenza di disporre di “rappresentazioni grafiche che facilitano una comprensione spaziale
di oggetti, condizioni, processi o eventi nel mondo umano” [si tratta della definizione del termine mappa introdotto nel 1987 da
Harley e David WOODWARD] risponde ad “uno dei bisogni più essenziali dell’intelletto umano: imporre un ordine e una struttura
dello spazio smisurato, apparentemente illimitato del mondo conosciuto”. L’Autore osserva che “Fin dalla prima infanzia, definiamo
noi in rapporto al mondo fisico in cui viviamo elaborando informazioni relative allo spazio. Gli psicologi chiamano quest’attività, lo
strumento mentale grazie al quale gli individui acquisiscono, catalogano e richiamano informazioni sul proprio ambiente spaziale,
‘mappatura cognitiva’. Attraverso la mappatura cognitiva ciascuno di noi si differenzia e si definisce spazialmente rispetto al mondo
smisurato, terrificante e inconoscibile che sta ‘fuori’ (…). Con la comparsa, oltre quarantamila anni fa, di metodi grafici di
comunicazione resistenti al tempo, l’uomo sviluppò la capacità di tradurre informazioni spaziali effimere in una forma permanente e
riproducibile”.
In tema di importanza e complessità della conoscenza della geografia nell’antichità, si ricorderà come Lucio Anneo SENECA (metà
del sec. 1º a. C. - m. 37 d. C. circa) scherniva Alessandro Magno, allorché riferiva in una delle sue “Epistole a Lucilio”, Vol. I, 17:
“Alexander Macedonum rex discere geometriam coeperat, infelix, sciturus quam pusilla terra esset, ex qua minimum occupaverat.
Ita dico: 'infelix' ob hoc quod intellegere debebat falsum se gerere cognomen: quis enim esse magnus in pusillo potest? Erant illa
quae tradebantur subtilia et diligenti intentione discenda, non quae perciperet vesanus homo et trans oceanum cogitationes suas
mittens. 'Facilia' inquit 'me doce'. Cui praeceptor 'ista' inquit 'omnibus eadem sunt, aeque difficilia”. [Traduzione: “Alessandro, re dei
Macedoni, aveva incominciato a studiare la geometria per sapere, infelice, quanto fosse piccola la terra di cui aveva occupato una
minima parte. Infelice, sostengo, perché avrebbe dovuto capire che il suo soprannome era sbagliato: chi può essere grande in
pochissimo spazio? Gli argomenti che gli venivano insegnati erano sottili e bisognava studiarli con grande attenzione: non era in
grado di capirli un pazzo, che indirizzava i suoi pensieri al di là dell'oceano. ‘Insegnami nozioni facili’, disse. ‘Sono le stesse per
tutti, ugualmente difficili’, gli rispose il precettore”].
E’ da tenere presente che, secondo l’insegnamento di L. STRABONE (60 a. C. - 20 d. C. circa), “il geografo deve, per le nozioni
che gli servono come punto di partenza, affidarsi ai geometri, che hanno misurato tutta la Terra (…)”. Vedi Geographica, II, 5, 2. Di
fatto, l’applicazione della geometria nella misurazione del globo terrestre avrebbe molto più tardi implicato (in primis a séguito degli
studi di Giovanni Girolamo SACCHERI, 1667 – 1773), il passaggio dalla geometria piana (euclidea) a quella sferica (non euclidea),
con conseguente evoluzione degli studi cartografici della superficie terrestre.
67. In tal senso lo storico e geografo francese Germaine AUJAC. L’Autore riferisce, tra l’altro, che “probabilmente fu Eratostene di
Cirene (276/272-196/192), terzo direttore della Biblioteca di Alessandria, a coniare il termine 'geografia' per indicare, al tempo
stesso, la carta della Terra (ossia del mondo conosciuto) e la sua descrizione letteraria. Il verbo greco gráphein significa sia scrivere
sia dipingere o disegnare e, nell'antica Grecia, il geografo era colui che tracciava una carta o la commentava. Due secoli dopo
Strabone, contemporaneo dell'imperatore Augusto, raccolse in una vasta sintesi tutto ciò che si sapeva sulle regioni del mondo
abitato e sulle diverse condizioni di vita. Eratostene, astronomo e geometra, sviluppò l'aspetto matematico e fisico della geografia;
Strabone, che era innanzi tutto uno storico, pose l'accento sulla geografia economica e umana, sottolineando l'influenza del potere
politico sulla felicità dei popoli e i benefici di una buona amministrazione (…). Strabone fu uno dei primi a sottolineare il ruolo
politico, inteso nel senso nobile della parola, della geografia tutta orientata alla pratica di governo”. Il testo è riportato sul sito
http://www.treccani.it/enciclopedia/scienza-greco-romana-geografia_(Storia-della-Scienza)/ (consultato il 24.11.2013).
Invero, il quadro epistemologico proposto dall’Autore è in costante evoluzione. In particolare, a partire dagli inizi degli anni ’80 si è
fatta strada, nell’ambiente anglosassone, la tendenza, a sfondo marxista, ad includere lo studio della g. politica in seno a quella
economica. In tal senso il geografo Peter J. TAYLOR nel suo articolo “A Materialist Framework for Political Geography”,
Transactions of the Institute of British Geographers New Series, Vol. 7, No. 1 (1982), pp. 15-34, The Royal Geographical Society
(with the Institute of Brithish Geographers). Il sommario dell’articolo riporta: “It is proposed to locate political geography within the
93
holistic approach of political economy. The problem of defining the 'political' is seen as crucial for developing political geography and
our conclusions point us away from recent excessive concentration upon the state. A geographical perspective is identified in terms
of the three scales of analysis found in many current textbooks. The political and geographical are brought together in a political
economy of scale where the world-economy is the scale of reality, the state and nation represent the scale of ideology and the city
is the scale of experience. The materialist framework offered specifies these geographical scales as structurally related in the form
of ideology separating experience from reality”. Vedi http://www.jstor.org/stable/621909;
68. In tal senso J. BROTTON, Cfr. nota 66, p. 23.
69. Circa la suddivisione della disciplina in geografia fisica e geografia umana, Cfr. succ. nota 80.
70. Sotto certi aspetti può parlarsi, questa volta, di “trappola della geografia”: il problema di affermare il carattere unitario della
disciplina, distinguendola e separandola dalle scienze umane e dalle scienze naturali, viene concettualmente superato attraverso la
concezione dell’ambiente come una formazione insieme fisica e antropica, tuttavia tende a prevalere, spesso, l’orientamento inteso
a comprendere la geografia umana in seno alle scienze umane/sociali.
Federico FERRETTI, nel suo articolo “Articolazione costiera ed egemonia europea nella geografia del XIX secolo”, osserva che L.
Strabone (Cfr. note 67 e 69), nel mettere in relazione la “varietà di forme” dell’Europa con la sua prosperità, “ attribuisce la fortuna di
queste terre alla pronoia, un principio in virtù del quale coste, pianure e montagne non sono disposte a caso, ma secondo un
disegno che sta al geografo comprendere. Questo colloca le scienze geografiche su un piano epistemologico molto elevato, che
Strabone definisce proprio all’inizio della sua opera, laddove afferma: ‘nessuna scienza é affare di filosofia più della geografia’
[Geografia, I, 1, 1]. E’ filosofo, e allo stesso tempo geografo, colui che è in grado di comprendere e svelare, nel senso platonico del
termine, l’ordine del mondo”. L’articolo è pubblicato sul sito http://www.storicamente.org/05_studi_ricerche/summer-
school/ferretti_articolazione_-costiera.htm (consultato il 29.03.2014).
Invero, lo stesso Strabone valorizza altresì il rapporto “organizzazione politica-spazio geografico”, laddove nella sua opera afferma:
«Cominciamo dall’Europa, per la varietà di forme, e la virtù degli uomini e delle forme politiche, e la grande disponibilità di beni, e
poi è abitabile nella sua totalità» [Geografia, II, 5, 26].
71. In tal senso G. AUJAC (Cfr nota 67).
72. In tal senso BORIS BIANCHERI, nel suo articolo “Globalizzazione e regionalizzazione”, pubblicato dalla Enciclopedia Treccani on
line, http://www.treccani.it/geopolitico/saggi/2012/globalizzazione-e-regionalizzazione.html, (consultato il 24.01.14). L’Autore
continua osservando che “potrebbe quindi a prima vista apparire paradossale che, proprio accanto all’intensificazione dei processi
di globalizzazione, si registri una vera e propria ‘riscoperta della geopolitica’, ossia della disciplina che fa del rapporto tra la
geografia e i fenomeni socio-politici ed economici il proprio ambito d’indagine privilegiato”: si tratta di uno spunto interessante, che
sarà esaminato nel prosieguo della ricerca
73. R. O’BRIEN, “The end of Geography” articolo pubblicato su Global Financial Integration, London, 1992.
74. In tema di “fine della storia”, F. FUKUYAMA (Cfr. nota 9 ult. parte).
75. Lo stesso O’ BRIEN, più recentemente, ha sostenuto che il capitalismo finanziario quando è in crisi ritrova la necessità di
localizzarsi. E’ pertanto tornato a teorizzare una sua geografia della finanza. Vedi: “The geography of finance: after the storm”,
Cambridge Journal of Regions, Economy and Society Advance Access published June 9, 2009,
http://www.outsights.co.uk/library/25/-EndofGeographyrevisited .
La geografia della finanza, recente settore di studio che si colloca di fatto tra la g. economica e lo studio della International Political
Economy, esplora le relazioni tra attività finanziarie e organizzazione del territorio e propone strumenti di interpretazione dei
processi di localizzazione delle imprese e dei servizi prestando attenzione ai fattori sociali, culturali, storici e politici. In tal modo, i
sistemi economico e finanziario risultano “calati” nelle relazioni e nei valori di prossimità dello spazio geografico, che solo
virtualmente sono stati rimossi dai processi di globalizzazione: in definitiva, si tratta dell’ennesima conferma della rilevanza della
geografia nello studio delle R.I. In materia di “geografia della finanza”, Lucia M. Giuseppina, “Lo spazio geografico dell’economia
finanziaria” CELID, Torino, 2010.
76. L’articolo di R. KAPLAN “La vendetta della Geografia” pubblicato su Foreign Policy, è reperibile nella versione italiana sul sito
http://forum.termometropolitico.it/25657-robert-d-kaplan-la-vendetta-della-geografia.html (consultato il 19.01.2014) nonchè sul sito
http://www.ilsole24ore.com/art/SoleOnLine4/Tempo%20-libero%20e%20Cultura/2009/05/kaplanrivincitageografia.shtml .
77. L’Autore (Cfr. nota 76) si riferisce prevalentemente all’intervento statunitense in Iraq (2003) e richiama alla memoria la precedente
“lezione” della guerra in Vietnam (1960-75).
In tema di idealismo e realismo nelle R.I., si riporta la sintesi svolta da C.M. SANTORO (Cfr. nota 1): “La dicotomia classica degli
studiosi delle relazioni internazionali è, grosso modo, la stessa che contrapponeva, nel passato europeo, le teorie dello Stato e della
società politica, interna o internazionale, da Machiavelli a Hobbes, da Grozio a Bodin. Si tratta delle due correnti intellettuali che si
richiamano, su un versante alle teorie del 'realismo' politico e derivati, fino alle diramazioni 'neo-realiste' di scuola recente, e
sull'altro versante, alle teorie dell''idealismo' politico, fino alle più vicine tesi sul normativismo e sull'etica internazionale. Esse si
annidavano già all'interno della quaestio teorica sul rapporto fra politica e morale, fra norma etica e norma positiva di due scuole
radicalmente contrapposte (…) assai dinamiche nell'evoluzione della dottrina. Il capofila della scuola realista delle relazioni
internazionali intese come disciplina politologica moderna è stato l'inglese E. H. Carr (v., 1939), la cui opera più significativa,
apparsa all'inizio della seconda guerra mondiale, è una serrata critica del pensiero idealista, di cui A. Zimmern (v., 1931) era stato
94
l'alfiere fra le due guerre; dopo il secondo conflitto Hans Morgenthau (v., 1948) è stato l'architetto che ha costruito l'impalcatura
teorica di stampo realista e riduzionista, mentre K.N. Waltz, in due libri del 1959 e del 1979, ne ha completato e innovato l 'opera
insieme con R. Gilpin (v., 1981), inserendo la dottrina realista delle relazioni internazionali all'interno del metodo sistemico”.
78. L’Autore (Cfr. nota 76) nel suo articolo cita, quali fautori del “determinismo geografico”:
- l’ufficiale della marina statunitense A. T. MAHAN, che alla fine dell’ottocento sostenne l’importanza del potere marittimo come
proiezione di potenza sui continenti e fattore decisivo in ogni contesa internazionale;
- il “padre della moderna geopolitica” H.J. MACKINDER, che col suo articolo del 1904, sulla base del principio per cui “chi inizia è
l’uomo (…) chi mantiene il controllo, è soprattutto la natura”, costruì una mappa politica del mondo il cui centro di gravità
(Heartland) era rappresentato, da un punto di vista orografico, dall’insieme di Russia, Europa Centrale e Asia centrale (Eurasia);
- lo storico francese F. BRAUDEL, il quale nel 1949 pubblicò uno studio che metteva in risalto la circostanza che la povertà delle
terre mediterranee, unita a un clima incerto e spesso secco, spinse i greci e i romani a fare le loro conquiste.
Questi studiosi, secondo l’Autore, col loro pensiero politico “realistico” hanno anticipato una visione idonea a spiegare una serie di
cruciali vicende storiche che si sono realizzate nel tempo, tuttora foriera di ulteriori sviluppi. In tale chiave, “mappe alla mano”,
svolge una sintetica analisi politica dello scenario internazionale evidenziandone il complessivo stato di instabilità.
BRAUDEL introdusse il concetto di “geostoria” fondandolo sul rapporto tra la geografia dei fatti, l’analisi del sociale umano ed il
tempo. Nel convincimento che le vicende (di carattere sociale, economico, politico, culturale, religioso, militare, demografico etc.)
della storia umana devono essere ambientate nel loro luogo d’origine, di cui vanno osservate le forme condizionanti (le condizioni
ambientali-geografiche), i fatti non vengono ordinati verticalmente in serie cronologiche temporali, bensì disposti comparativamente
in una relazione spaziale. Da qui l’affermazione: “Per conoscere l’evoluzione storica dell’uomo non si può fare a meno della sua
dimensione spaziale, per comprendere la sua dimensione spaziale non si può fare a meno della sua evoluzione storica”.
79. L’Autore (Cfr. nota 76) conclude cosi il suo articolo: “pensavamo che la globalizzazione ci avesse liberati da un mondo antico fatto
di vecchie mappe, e invece quello ritorna (…) negare i fatti della geografia porta soltanto a disastri che ci rendono vittime di questa
geografia. Meglio, allora, dare un attento sguardo alla carta geografica e capire fino a che punto sfidare i limiti che ci impone, in
modo da dare un aiuto realmente efficace alla diffusione dei principi liberali. E’ proprio nel mezzo di questa rivincita della geografia
che si trova l’essenza del realismo, il punto cruciale di una politica globale lungimirante: lavorando al limite di ciò che è possibile,
senza precipitare nel precipizio dell’irraggiungibile”.
80. Il tedesco F. RATZEL, geografo ed etnologo, alla fine del 19° Sec., influenzato dalle teorie evoluzionistiche e cresciuto nel clima del
positivismo, sulla scia degli studi svolti da C. RITTER, fondatore della geografia umana, indagò sulle relazioni che si stabiliscono tra
l'ambiente naturale e le società umane, introducendo tra l’altro l’analogia “Stato-essere vivente” e il concetto di “spazio di vita”. Per
le sue idee, non sempre correttamente interpretate e talora enfatizzate dai suoi epigoni, è considerato il più autorevole esponente
del determinismo geografico, secondo cui tutte le manifestazioni umane sono rigidamente condizionate dall’ambiente fisico/habitat.
81. Il geografo Claude RAFFESTIN (Cfr. nota 41) si ispira al pensiero del francese Vidal DE LA BLACHE, che agli inizi del 20° secolo,
influenzato dall’idealismo e storicismo che si opponevano al positivismo, introdusse il principio che le società umane non sono
schiave dell’ambiente naturale, ma hanno la possibilità di scegliere (cd. possibilismo). Il testo di RAFFESTIN è estratto dall’articolo
“La sfida della geografia tra poteri e mutamenti globali”, pubblicato dalla Rivista documenti geografici, AA.VV., Edizioni Nuova
Cultura, Roma, 2012 (p. 55 – 60). L’Autore, con tono alquanto polemico, al termine del suo intervento sostiene che “da tutto questo
è uscita la famosa, troppo famosa geopolitica, che si è sostituita in questi ultimi trent’anni alla geografia politica (…)”. Come
vedremo, quanto riferito dall’A. in tema di rapporto tra la Geografia e le R.I., apre le porte, appunto, ad un’ulteriore “isola di teoria”:
la Geopolitica.
Sulla figura di Giovanni BOTERO (1544 - 1617), richiamata da Raffestin, si riporta un estratto della Enciclopedia Treccani: “Attento
lettore del Machiavelli e di J. Bodin, espose le sue idee politiche (...) nella opera sua più famosa, Della Ragion di Stato, in 10 libri
(1589), cercando in essa di affermare la supremazia dei valori etici e religiosi sulle istanze utilitarie della politica, che tuttavia finiva
poi per riconoscere come di fatto operanti nella prassi, lasciando così quei valori etici sul piano di una pura esigenza teorica. La
grande fortuna dell'opera (…) è legata all'espressione ricca e sistematica dei problemi relativi alla nascita dello stato moderno, da
quelli fiscali e tributarî a quelli militari, a quelli giuridici ed economici. Questi ultimi (…) furono ripresi e ampliati nelle Relazioni
universali (…)., organico repertorio di antropogeografia ricco di notizie sulla configurazione fisica, demografica, militare e politica di
tutti gli stati del mondo. L'opera divenne un vero e proprio manuale geopolitico della classe dirigente europea e consolidò
definitivamente la sua fama”. Vedi http://www.treccani.it/enciclopedia/giovanni-botero/ (consultato il 19.01.14).
82. Di recente (settembre 2012) l’articolo di R. KAPLAN (Cfr. nota 76) è diventato un libro, “The Revenge of Geography: What the Map
Tells Us About Coming Conflicts and the Battle Against Fate”, edito da Random House , di cui il Wall Street Journal ha pubblicato
ampi stralci tradotti in lingua italiana a cura del quotidiano Il Foglio e reperibili sul sito http://www.ilfoglio.it/soloqui/14906.
In questa nuova edizione, l’A. ridimensiona la portata di talune affermazioni, soprattutto laddove in chiusura riferisce “Non vorrei
essere frainteso (…) la geografia è buon senso, ma non è fato. La scelta individuale opera nell’ambito di un dato contesto
geografico e storico, che ha un impatto sulle decisioni, ma lascia aperte molte possibilità. Il filosofo francese Raymond Aron ha colto
questo spirito con la sua nozione di “determinismo probabilistico”, il quale lascia ampio spazio all’intervento umano. Prima però che
la geografia possa essere superata, deve essere rispettata. Le nostre élite che si occupano di politica estera sono abbacinate da
belle idee e prendono in scarsa considerazione i fatti fisici sul campo e le differenze culturali che ne derivano. Farsi strada con
successo nel mondo di oggi richiede che ci concentriamo prima sui vincoli e ciò significa prestare attenzione alle mappe. Solo allora
nasceranno delle soluzioni nobili. L’arte del governare consiste nel lavorare sul limite di ciò che è possibile, senza mai mettere un
piede in fallo”.
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83. Isabella DAMIANI (v. “Dispensa di Geografia politica ed economica – A.A. 2011-2012”) sottolinea che tale evoluzione della
geografia è strettamente collegata alla rielaborazione, in chiave marxista, della “teoria della dipendenza”, inizialmente introdotta da
Gunder FRANK (1967) per spiegare le differenze tra nuclei (paesi industrializzati) e periferie (paesi in via di sviluppo) e poi ampliata
da Immanuele WALLERSTEIN (1987) attraverso l’analisi storica del sistema-mondo, caratterizzato, a partire dal XX secolo, da
un’economia-mondo multi-governata da paesi in posizione centrale (nucleo), semiperiferica e periferica. V.
https://www.google.it/search?q=geografia+politica%2C+geopolitica%2C+asia+damiani&oq=geografia+politica%2C+geopolitica%2C
+asia+damiani&aqs=chrome..69i57.21023j0j8&sourceid=chrome&espv=210&es_sm=93&ie=UTF-8.
84. In tal senso Isabella DAMIANI (Cfr. nota 83) espone la corrente di pensiero introdotta nel 2007 dal geografo J.P. TAYLOR, con il
suo saggio “Political Geography, World-Economy, Nation-State”.
Come si è detto, il TAYLOR, a suo tempo, ha ricondotto lo studio della g. politica in seno a quella economica (Cfr. nota 67 ult.
parte).
Colin FLINT, nello svolgere un’analisi critica della teoria del sistema-mondo, osserva che essa ha giocato un ruolo importante nella
rinascita della geografia politica, ma è significativo che non sia stata presa in considerazione in seno alla geografia accademica
francese o tedesca o in altre parti del mondo. Vedi il saggio di C. Flint: “Geographic Perspectives on World-Systems Theory”,
Robert A., Denmark, 2010.
85. Max WEBER, “Il metodo delle scienze storico-sociali”, Einaudi, Torino, 2003 (ed. or. 1922)
.
86. Colin S. GRAY, “The Continued Primacy of Geography”, Orbis, Spring 1996, pp. 247-259.
87. L’Autore (Cfr. nota 86), nelle sue conclusioni, sostiene che “il concetto di geografia é pericolosamente onnicomprensivo e al pari di
quei fattori destinati a spiegare ogni cosa, è potenzialmente candidato a non spiegare nulla”. La disciplina, in ragione del suo
oggetto di studio (the geographical, phisical setting), influenza il comportamento umano nel campo economico, politico e strategico,
pertanto “il rapporto tra geografia ed economia, politica e strategia può (…) essere studiata come geoeconomia, geopolitica,
geostrategia”. Sicché, a dispetto del titolo dell’articolo che inneggia a “l’incontrastato primato della geografia”, GRAY conclude
affermando che “la collocazione geografica è solo un palco; non è la sceneggiatura, anche se esso suggerisce la trama e influenza
il cast dei personaggi (…) l'influenza della posizione geografica sui rapporti di forza internazionali è così pervasivo che può sfuggire
all’attenzione”. Ispirandosi alla cd. geopolitica classica, l’Autore sostiene che “geopolitics refers to the relation of International power
to the geographical setting”.
E’ da tenere presente che C. S. GRAY, nel suo saggio “Geopolitics of the Nuclear Era (1977)” sosteneva che, interpretata in termini
geopolitici, la guerra fredda era essenzialmente una contesa “between the insular imperium of the United States and the
‘Heartland’ imperium of the Soviet Union (…) for control/denial of control of the Eurasian-African ‘Rimlands’”.
88. Mackubin Thomas OWENS, “In defense of Classical Geopolitics”, Naval War College Review, Newport, Rhode Island (USA),
Autumn 1999, Vol. LII, n. 4. (Cfr. nota 73). In sintonia con GRAY, l’Autore ritiene che “geopolitics (…) seeks to establish the links
and casual relationships between geographical space and international power, for the purpose of devising specific strategic
prescriptions”. Sicchè “geopolitics provides the link between geography and strategy”.
John Bellamy FOSTER riassume così il pensiero strategico dell’Autore: “Owens, sulla scia di Mackinder e Spykman, pur criticando
Haushofer, afferma che l'obiettivo geopolitico prioritario degli Stati Uniti nel mondo post-Guerra Fredda è rimasto quello di impedire
l'ascesa di una potenza egemone capace di dominare il regno continentale eurasiatico e di sfidare gli Stati Uniti nel campo
marittimo”. http://monthlyreview.org/2006/01/01/the-new-geopolitics-of-empire (consultato il 22.01.2014) .
89. L’Autore (Cfr. nota 88), al riguardo, cita SPYKMAN, il quale scrisse due opere principali di geopolitica “classica”: “America’s
Strategy in World Politics” ( 1942) , completato poco prima dell'entrata degli Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale e l’opera
postuma “The Geography of the Peace” ( 1944).
Spikman oppose la tesi del “Rimland “ alla dottrina del Heartland di Mackinder, sostenendo che controllando la fascia costiera
Euroasiatica (Europa , Medio Oriente e regione orientale dell'Asia –Pacifico), gli Stati Uniti avrebbero potuto limitare il potere del
Heartland eurasiatico. Egli insisteva sul fatto che gli Stati Uniti dovevano costruire basi navali e aeree sull’Atlantico settentrionale e
nell’area del trans-Pacifico, in modo da abbracciare l'Eurasia. Parafrasando la teoria di Mackinder, scrisse: “Se ci deve essere uno
slogan per la politica di potenza del Vecchio Mondo, deve essere: Chi controlla la fascia costiera domina Eurasia; chi domina
Eurasia controlla i destini del mondo”. Nella prima opera Spykman insisteva sul fatto che la politica statunitense deve essere
indirizzata alla “prevenzione di egemonia", definita come “una posizione di potenza che permetta il dominio di tutto ciò che sia alla
portata". Nella seconda opera egli suggeriva che l'obiettivo primario doveva essere quello di garantire che l'Unione Sovietica non
stabilisse una egemonia sul Rimland europeo. Egli precisava: ‘La forza dell'Unione Sovietica, per quanto grande, sarebbe
insufficiente per preservare la sua sicurezza contro un Rimland unificato sotto l'egemonia degli Stati Uniti”.
Secondo alcuni studiosi il concetto di “Rimland” ha rappresentato il background della teoria del “contenimento”, tuttavia George
Kennan non risulta avervi fatto esplicito riferimento. In effetti, le opinioni di Spykman sono state molto lette nei circoli politici
americani, ma a partire dal 1942, il termine ‘geopolitica’ era sempre più off limits negli Stati Uniti a causa degli allarmi che erano
stati sollevati nei media americani intorno al pensiero geopolitico tedesco e all'influenza di Karl Haushofer su Hitler (Cfr. nota 115).
Accusato di filo nazismo dopo la fine della Guerra, Haushofer morì suicida con la moglie nel 1946. Il figlio Albrecht, anch'egli
studioso di geopolitica, poeta e drammaturgo, aveva preso parte alla resistenza. Il 20 luglio 1944, arrestato con l’accusa di aver
preso parte al fallito attentato contro Hitler, era stato assassinato dai nazisti nella prigione nel distretto di Moabit a Berlino.
90. Al riguardo, l’Autore (Cfr. nota 88) cita C. S. GRAY (Cfr. nota 86).
96
91. L’intento dell’Autore (Cfr. nota 88) è quello di “incastonare” quello che egli definisce “il ragionamento geografico” in seno alla
geopolitica “classica”. Infatti, richiamando il pensiero di Saul B. COHEN, OWENS afferma: “A form of geographic reasoning that
necessarily encompasses all these branches is geopolitics, ‘the relation of international political power to the geographical setting’.
Geopolitics is essentially the study of the political and strategic relevance of geography to the pursuit of international power. As
such, it is most closely related to strategic geography, which is concerned with the control of, or access to, spatial areas that have
an impact on the security and prosperity of nations (…). Properly understood and employed (…), geopolitical analysis is an
indispensable part of strategy making”. Coerentemente con questa impostazione, OWENS, richiamando la teoria di R. CHASE, B.
HILL, P. KENNEDY, sostiene che “The pivotal-state concept is geographical in that it argues that certain states are important to the
stability of entire regions. It is, however, nongeopolitical in that it does not explicitly describe a hierarchy among those regions”.
92. Come vedremo, GRAY e OWENS, operando il recupero della geopolitica in chiave “neoclassica”, condividono la prospettiva per cui
la Geografia è così “invadente” rispetto allo sviluppo delle R.I. e comprende una gamma di studi così ampia e complessa, da
pregiudicarne l’utilizzo ai fini della spiegazione degli eventi della politica internazionale: di qui la visione dello spazio geografico
come scena statica dell’azione e la necessità di rivolgere lo sguardo alla Geopolitica per comprenderne la dinamica”. Tale
prospettiva, in qualche modo, sembra alquanto suggestionata dall’intento di interpretare le R.I. come la sommatoria delle pol itiche
estere degli Stati.
Come si è detto, nel mondo anglosassone la geopolitica è generalmente considerata un sottoinsieme della geografia politica.
93. In tal senso C.M. SANTORO, Cfr. nota 6 e Cap. 1 paragrafo 2.
94. Al riguardo è stato osservato (v. “Corso di geografia politico-economica – Appunti - Anno Accademico 2011-2012” pubblicato sul
sito http://www.coris.uniroma1.it/materiali/17.04.22-_DISPENSE%202011-2012.pdf.) che “un carattere strategico dello ‘spazio
geografico’ è l'eterogeneità, che è determinata dalle discontinuità: l'insieme di queste discontinuità (…) rappresenta la struttura
dell'organizzazione geografica, la cui complessità è data da compresenza e interazione di caratteri culturali, sociali, funzionali,
economici, storici, politici, per i quali diverse aree si sviluppano con tassi differenziati e seguono traiettorie di crescita diverse
(Hubert, 1993). Lo spazio, a sua volta, conferisce allo stock dei caratteri, al loro mix ed alle loro relazioni, ‘posizioni’ che
condizionano le interazioni e che designano lo spazio geografico non come una misura geometrica ma come un fenomeno. La
posizione non è un semplice attributo astratto di un luogo dello spazio, ma il risultato di fenomeni di varia natura e di diversa
intensità, non più dedotto dalle sole condizioni locali della geografia fisica (Ratzel, 1897). L'identità del luogo va concepita, quindi,
come la risultante globale di molteplici relazioni nello spazio, implicate da quel luogo. La posizione esprime il ruolo del territorio nel
sistema di relazioni che determina sia la sua personalità politica che la sua situazione geografica. Ciò che permette di definire la
posizione (…) è la circolazione. L'insieme dei movimenti, dei trasporti, degli scambi di uomini, cose, idee attraverso il mondo, è ciò
che ne determina la compartimentazione, il significato di ciascun compartimento in rapporto agli altri (…) ciò che un popolo può fare
del proprio territorio (Gottmann, 1952)”. Il concetto di posizione non deve, quindi, essere riferito alla griglia dei meridiani e dei
paralleli, ma “ad una griglia assai più complessa disegnata sulla faccia della terra dai flussi di persone, beni materiali, informazioni,
decisioni, ecc., corrispondenti a tutti i tipi di scambi: economici, politici, culturali. Il valore di un luogo diviene, quindi, il valore di
scambio che, in un dato sistema di rapporti intersoggettivi, viene attribuito a certe sue specifiche caratteristiche ambientali”
(Dematteis, 1995). Spazio geografico e ‘valore posizionale’ sono presenti anche nel pensiero economico: “L'economia nazionale è
sempre servita da unità spaziali di riferimento".
In tema di “circolazione”, F. FERRETTI, ne “Il mondo senza la mappa”, Ed. Zero in condotta, 2007, p. 8, riassumendo il pensiero di
E. Reclus, osserva: “Il mondo è caratterizzato dal movimento e dalle relazioni: rapporti dinamici fra gli uomini e gli ambienti fisici, ma
anche mobilità degli uomini sulla superficie della Terra, che tende a portarli dall’interno verso i litorali e a circolare all’interno dei
bacini, marini o fluviali, con per risultato un métissage umano che rende vani i dibattiti sull’esistenza di differenti razze umane, e
stimola al contrario una riflessione alla scala dell’umanità, intesa nel suo insieme”. In generale, i fenomeni sociali e politici che
ritrovano un legame con lo spazio, dalle identità nazionali alle istituzioni statali alle formazioni di tipo comunitario, sono generati da
discontinuità di tipo naturale. Sull’argomento, vedi anche la nota 158.
95. Si pensi agli eventi che tra il 1989 e il 1999 hanno dato luogo al crollo del sistema sovietico nell’Europa centrorientale, alla
disgregazione dell’URSS, alla dissoluzione della Jugoslavia, alla scissione della Cecoslovacchia, con riflessi sulla nascita di nuovi
soggetti, la metamorfosi della mappa politica, la riconfigurazione spaziale di organizzazioni internazionali come l’ONU e regionali
come l’UE. Gli eventi del post Guerra Fredda hanno avuto altresì conseguenze dirette sul “consolidato” assetto delle Alleanze
politico-militari del II dopoguerra (NATO e Patto di Varsavia, in primis). Le recenti vicende del separatismo ucraino, peraltro
concomitante con una forte crisi economica, dimostrano che detto processo di disgregazione, a distanza di circa 25 anni, non si è
tuttora consolidato.
96. In questa prospettiva, è possibile pervenire anche ad una “geografia” delle R.I. [Saul Bernard COHEN, “The Geography of
International Relations”, Rowman & Littlefield, 2009 - 457 pagine] e ad una geografia delle relazioni economiche internazionali, “The
new Geography of International Economic Relations”, Background paper prepared by the UNCTAD Secretariat
[http://www.g77.org/doha/Doha-BP01-New_Geography_of_International_Economic_Relations.pdf]. In tema di geografia della
finanza, Cfr. nota 75.
In tema di metodo geografico, è stato precisato: “credo che almeno tre caratteristiche essenziali della geografia possano essere
facilmente identificate. La prima caratteristica è l’importanza della distribuzione spaziale (…). La seconda caratteristica è data
dall’importanza che la geografia attribuisce alle relazioni tra l’uomo e l’ambiente (…). La terza caratteristica della geografia è
rappresentata dalla sintesi regionale”. P. HAGGETT, L’arte del geografo, Bologna, Zanichelli, 1993.
I principali strumenti del geografo sono: le carte geografiche, l’osservazione diretta, i dati statistici (informazioni quantitative), le
immagini (strumenti iconici).
97
97. In tal senso John DEWEY (1859-1952), filosofo e pedagogista statunitense, nell’articolo " The School and Society”, The School
and Social Progress", Chicago: University of Chicago Press (1907). L’articolo riporta: “The unity of all the sciences is found in
geography. The significance of geography is that it presents the earth as the enduring home of the occupations of man. The world
without its relationship to human activity is less than a world (…). The earth is the final source of all man's food. lt is his continual
shelter and protection, the raw material of all his activities, and the home to whose humanizing and idealizing all his achievement
returns. It is the great field, the great mine, the great source of the energies of heat, light, and electricity; the great scene of ocean,
stream, mountain, and plain, of which all our agriculture and mining and lumbering, all our manufacturing and distributing agencies,
are but the partial elements and factors. It is through occupations determined by this environment that mankind has made its
historical and political progress. It is through these occupations that the intellectual and emotional interpretation of nature has been
developed. It is through what we do in and with the world that we read its meaning and measure its value”.
98. In tal senso B. BIANCHERI, Cfr. nota 72. In merito alla definizione dello studio della geopolitica, esiste un’ampia gamma di soluzioni
e ipotesi che avremo modo di esaminare in seguito.
99. Carlo JEAN, esperto italiano di geopolitica e strategia militare, osserva che “Le origini della geopolitica, nella sua accezione
allargata, risalgono agli albori della storia, cioè alle origini della politica e della geografia. La politica, come la strategia e l'economia,
non possono prescindere dai loro rapporti con l'ambiente geografico, politico, strategico ed economico, siano essi tanto fisici o
naturali quanto antropici. Storicamente, l'influsso dei fattori geografici è sempre stato considerato importante, implicitamente o
esplicitamente. I geografi, come gli esploratori, hanno sempre fornito notizie utili ai politici, agli strateghi e ai mercanti. I
condizionamenti e le opportunità che offre la geografia hanno rappresentato, sin dagli albori della storia, tematiche di interesse
fondamentale: l'influsso del clima, della morfologia e della collocazione geografica sugli interessi e sulle caratteristiche dei popoli e
degli Stati, la contrapposizione fra terra e mare, popoli nomadi e sedentari, città e campagne, montagne e pianure. In tal senso il
pensiero geopolitico può esser fatto risalire alla Bibbia, a Strabone, a Erodoto, ad Aristotele. Geopolitiche sono le teorie
sull'evoluzione ciclica della storia, da Ibn Khaldūn a Vico, o sull'influsso del clima sulla cultura, l'organizzazione sociale e le strutture
politiche, da Aristotele a Bodin e a Montesquieu (v. Konigsberg, 1960). Geopolitiche sono la concezione romana che ha presieduto
alla costruzione delle grandi strade per unificare l'Impero, l'urbanistica di Cosimo de' Medici o la geografia ‛volontaria' di Vauban,
mirante a correggere le vulnerabilità naturali della Francia e a rafforzarne le difese. Geopolitiche sono anche le dottrine
mercantilistiche, da E. J. Hamilton a F. List (...) Geopolitici sono stati il cosiddetto Great game, svoltosi nel secolo scorso fra gli
Imperi britannico e zarista in Caucaso e in Asia centrale, come pure l'affermazione della frontiera naturale francese sul Reno,
anticipata da Richelieu ma affermatasi con specifiche connotazioni naturalistiche, sotto l'influenza dell'illuminismo, durante la
Rivoluzione francese. Geopolitiche sono state le decisioni di introdurre l'insegnamento della geografia nelle scuole e università,
dapprima in Prussia, dopo il Congresso di Vienna, e successivamente in Francia, dopo la sconfitta del 1870-1871 e la perdita
dell'Alsazia e della Lorena. In particolare, le decisioni prese a questo riguardo dal governo prussiano, sollecitato dai geografi K.
Ritter e A. Von Humboldt (…) sono state ispirate dalla volontà di acquisire il consenso del popolo tedesco all'unificazione,
dimostrandone la necessità ‛naturale' attraverso sapienti rappresentazioni cartografiche” . Il testo è estratto dall’articolo dal titolo
“Geopolitica”, pubblicato on line a cura della Enciclopedia TRECCANI. V.
http://www.treccani.it/enciclopedia/geopolitica_(Enciclopedia_del_Novecento)/.
100. Circa il ricorso al termine “ isola di teoria”, v. SANTORO (Cfr. note 3 e 4).
101. In generale, l’esasperazione – alla fine del XIX secolo - delle teorie del darwinismo in vari campi scientifici, induceva a conferire una
interpretazione geografica delle dinamiche politiche (ed economiche) in chiave “realistica” e all’insegna di uno spiccato
determinismo geografico. In tale sfera di influenza si colloca il pensiero del geografo ed etnologo tedesco F. RATZEL,
“sistematore” della geografia umana e della geografia politica (Cfr. nota 80). Per quanto attiene la natura di tali studi:
- la geografia antropica (1882-1891) superava l'impostazione etnografica ottocentesca legata alle esplorazioni coloniali e
all'interesse per i popoli primitivi. Il problema chiave era il rapporto tra l'uomo e l'ambiente: l'uomo era diventato un oggetto da
spiegare scientificamente e l'ambiente il motore dell'evoluzione;
- la geografia politica (1897) era impostata sulla teoria dello Stato come essere vivente e sul concetto di “spazio vitale”. Tale ultimo
concetto, mutuato da Oskar PESCHEL, che lo aveva coniato legandolo alla biogeografia, valeva a spiegare non solo la
correlazione tra gruppi umani e unità spaziali del loro sviluppo, ma anche la propensione di uno stato ad espandere i propri confini
in conformità di criteri razionali.
E’ stato osservato che, secondo le indagini di RATZEL “ la cultura geografica ha da sempre dimostrato la sua efficacia politica, al
punto che si potrebbe citare un numero incalcolabile di azioni fallite a causa di un orizzonte politico-geografico deformato o
immaginario, della cattiva conoscenza di un Paese o dei suoi abitanti, del suo terreno, del suo clima (…) In tutte le fasi del loro
sviluppo gli stati vanno considerati come organismi che intrattengono dei necessari rapporti con il loro territorio, e proprio per questa
ragione devono essere studiati da un punto di vista geografico (…) come formazioni spazialmente delimitate e regolate da fenomeni
che la geografia descrive, misura, disegna e compara scientificamente”. In tal senso l’articolo di Andrea FAIS, “In difesa della
geopolitica – Temi e prospettive di una scienza discriminata”, articolo pubblicato sul sito http://andreafais.wordpress.com/-
2011/01/09/analisi-in-difesa-della-geopolitica/ (consultato il 08.03.2014).
G. LIZZA (Cfr. nota 23, p. 15) sottolinea come, l’opera di RATZEL fu valorizzata da Otto MAULL (1925), il quale sottolineò
l’esigenza di rivolgere l’attenzione all’ambiente umanizzato, perché è la cultura che dà ai gruppi umani capacità e attitudini tanto
differenziate. Sicché l’uomo rappresenta il ponte fra il rapporto Stato-condizioni naturali ed il rapporto Stato-condizioni culturali.
Circa gli studi a carattere strategico, Cfr. nota 151.
102. In tal senso l’Enciclopedia TRECCANI on line, alla voce Kjellèn, http://www.treccani.it/enciclopedia/rudolf-kjellen/ (consultato il
10.02.2014).
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C. JEAN (Cfr. nota 99) , esperto di geopolitica e strategia militare, sottolinea che “Kjellén considerava la geopolitica una delle cinque
categorie necessarie per l'analisi politica degli Stati, della loro struttura e delle loro relazioni, in cui interagiscono popolazione,
territorio, società, economia e ordinamento giuridico e istituzionale; le altre quattro categorie erano rappresentate da demopolitica,
sociopolitica, ecopolitica e cratopolitica. Secondo Kjellén la geopolitica non è solo un contenitore spaziale delle altre quattro
categorie, che essa unifica su un determinato territorio, ma influisce anche direttamente sulle caratteristiche dello Stato e quindi
sulla sua politica e sulla sua storia. Essa va esaminata sotto tre aspetti: la topopolitica, che riguarda la posizione di uno Stato
rispetto agli altri; la morfopolitica, che analizza gli effetti della forma del territorio; la fisiopolitica, relativa alle caratteristiche fisiche, in
primo luogo alle dimensioni dello Stato”. Tenuto conto che nello studio dello svedese alcuni fattori geografici (le risorse naturali
dall'ecopolitica, l'entità della popolazione dalla demopolitica, ecc.) non venivano considerati dalla geopolitica, ma dalle altre quattro
categorie di analisi dello Stato, JEAN ritiene che Kjellén fosse propenso a “combinare” la geografia con la scienza della politica.
103. Invero, tali teorizzazioni/modelli risultano talora definiti “geostrategici” in ragione del fatto che “si focalizzavano non sullo Stato ma
sul mondo politico nel suo complesso, alla ricerca di modelli teorici dello sviluppo e del comportamento degli Stati (…)”. Attraverso
quest’ottica globale degli affari geopolitici, taluni studiosi “proposero di fatto ai loro governi politiche o strategie da seguire”. In tal
senso M.I. GLASSNER (Cfr. nota 42, p. 196), il cui pensiero sembra ispirarsi a quello di Yves LACOSTE, propenso ad utilizzare i
termini: ‘geopolitica’ per indicare il dibattito interno sulla politica estera, influenzato dalla rappresentazione che ogni gruppo politico
ha del proprio spazio nella definizione degli interessi nazionali; ‘geostrategia’ per designare i rapporti, sia competitivi che
cooperativi, fra i vari soggetti geopolitici che si confrontano nel campo delle politiche estere, di sicurezza, economica e culturale. C.
JEAN (Cfr. nota 99) osserva che tale interpretazione tende a conferire “un’accezione troppo estesa al termine strategia, tale da
comprendere di fatto tutta la politica estera”. Secondo lo studioso italiano “la geostrategia si interessa della dimensione militare, e
dovrebbe essere quindi una ‘geopolitica militare’, una sorta di ‘sorella minore’ della geopolitica” (…): la geopolitica apparterrebbe al
campo della politica, mentre la geostrategia si dovrebbe riferire al campo specificamente militare, subordinato e strumentale alla
geopolitica. Al contrario, il geografo e geopolitico Saul Bernard COHEN (Cfr. nota 91), negli anni sessanta, tendeva a conferire alla
geostrategia un’accezione più ampia rispetto alla geopolitica, per due opinabili ma convergenti motivi: da un lato, l’esigenza
contingente di interpretare la politica internazionale tipica dell’epoca dei due blocchi affermatisi alla fine della II G.M., i quali
venivano definiti quali “regioni geostrategiche” inclusive di regioni geopolitiche differenti; dall’altro, l’ostracismo nei confronti del
termine geopolitica quale “scienza malvagia” e sostanzialmente “filo-nazista”.
104. Una tale concezione sarebbe entrata in contrasto con l’idealismo politico di matrice wilsoniana, che di lì a poco, all’indomani della I
Guerra Mondiale, avrebbe ispirato l’istituzione della Società delle Nazioni (Cfr. nota 2).
E’ stato osservato come, nella sua analisi, Kjellén aspirava a realizzare uno studio nel quale le interrelazioni tra entità politiche
territorialmente definite avesse lo stesso peso delle variabili ambientali. Sin dalla sua genesi, dunque, “l’analisi geopolit ica è
inevitabilmente condizionata dalle visioni che i soggetti politici elaborano di queste interdipendenze nello scacchiere internazionale
(…) queste interpretazioni non sono, e d’altronde non potrebbero mai essere univoche e oggettive, in quanto la loro elaborazione è
inevitabilmente condizionata dai diritti storici di cui ognuno di tali soggetti è portatore”. In tal senso G. BETTONI, “ Dispensa
integrativa – Corso di geopolitica e comunicazione LM”,
http://didattica.uniroma2.it/assets/uploads/corsi/135460/DIDATTICA.GEOPOLITICA_-E_COMUNICAZIONE_.pdf (consultato il
10.02.2014).
105. Jerry BROTTON, nel suo saggio “La storia del mondo in dodici mappe” (Cfr. nota 66, pp. 370-397) traccia una dettagliata e
interessante biografia di Sir Mackinder (1861-1947): al termine degli studi di geografia ad Oxford (durante i quali si iscrisse alla
Kriegspiel Society, un istituto dei giochi di guerra) e di un corso di diritto internazionale all’Inner Temple di Londra, avendo maturato
un grande interesse per l’economia politica, dopo aver tenuto dei cicli di lezioni di geografia presso Oxford (1886-7) e aver
collaborato alla fondazione della Geographical Asociation (1893), si accreditò presso la London School of Economics (1895) come
lettore di geografia nonché di “Applicazioni della geografia a problemi economici e politici particolari”.
106. Si ricorderà che T. R. MALTHUS (1766-1834), economista e demografo inglese, circa un secolo prima (1798) aveva pubblicato “An
essay on the principle of population as it affects the future improvement of society”, col quale aveva sostenuto che la popolazione
tendeva a crescere più rapidamente dei mezzi di sussistenza, quando non vi siano freni che ne ostacolino il libero sviluppo
107. Jerry BROTTON, nel suo saggio (Cfr. nota 66) fornisce una serie di interessanti dettagli sul pensiero di Mackinder ed il contesto nel
quale avvenne il suo intervento presso la RGS. I suoi studi erano ampiamente influenzati dal darwinismo e in particolare dal
concetto della rilevanza della “distribuzione geografica”, cioè l’influenza della geografia sulla biologia nell’evoluzione della specie. Al
contempo, lo studioso inglese era animato dall’intento di promuovere lo studio della geografia nelle scuole ed il progresso della
cartografia, competere con i progressi compiuti dagli studi geografici in Germania (in una conferenza del 1895 espresse grande
ammirazione per l’antropogeografia di Ratzel), conferire dignità scientifica allo studio della geografia e, soprattutto, un ruolo
pragmatico, cioè ‘un’unificazione tra lo scientifico ed il pratico’. Significative, in tal senso, le affermazioni: ‘il geologo guarda il
presente per poter interpretare il passato; il geografo guarda il passato per poter interpretare il presente”; e ancora: “credo che
lungo le linee che ho indicato si possa elaborare una geografia che soddisfi contemporaneamente le esigenze pratiche dell’uomo di
stato e del commerciante, le esigenze teoriche dello storico e dello scienziato e le esigenze intellettuali dell’insegnante”. Al riguardo
lo storico Brotton osserva: “la preoccupazione di Mackinder era che, a differenza dei geografi tedeschi, quelli inglesi non erano
capaci di sintetizzare gli aspetti pratici della ricerca geografica all’interno di una teoria complessiva della geografia (…) la sua
convinzione che ‘quello geografico è un punto di vista distinto da cui osservare, analizzare e raggruppare i fatti dell’esistenza, e
come tale merita di stare a fianco dei punti di vista teologico o filosofico, linguistico, matematico, fisico e storico’ (…) anticipava un
tentativo, ancora più ambizioso, di portare i geografi e gli esploratori inglesi in prima linea nelle vicende internazionali”. Nel
frattempo, i suoi interessi si rivolgevano sempre più verso la politica e l’avventura coloniale. Sicché, anche al fine di completare la
propria formazione, Mackinder partecipò ad una fortunata spedizione esplorativa in Kenia (1899-1900). In quel periodo maturò in lui
99
la decisione di abbandonare il partito liberale per affiliarsi in quello conservatore, che al tempo era favorevole ad una forma di
protezionismo imperiale basato sulla forza della marina inglese e sull’introduzione di tariffe doganali favorevole ai commerci inglesi
oltremare. Poco dopo, nel 1902, pubblicò il testo Britain and the British Seas, con il quale argomentava, ancora una volta, che la
geografia fisica plasma il mondo sociale e che la geografia, a seguito dei viaggi di Colombo, aveva conferito all’Inghilterra due
qualità complementari “insularità e universalità”, dunque “una parte unica nel dramma del mondo” che le aveva consentito di
diventare “signora dei mari” e di sviluppare un impero nato dal mare, di potenza senza uguali e di autorità globale. Tale autorità era
tuttavia minacciata, in quanto l’equilibrio dei poteri globali, agli inizi del XX secolo, stava cambiando. In qualche modo, Mackinder
aveva “preparato il terreno” per affrontare nuovamente la Royal Geographic Society. Invitato dal prestigioso consesso qualche
anno prima, nel 1887, a presentare le linee del suo pensiero più giovanile, aveva stupito ma anche raggelato l’uditorio, allorché
aveva fatto “balenare lo spettro della chiusura della società, a meno che non si fosse riformata, paragonandola a un Alessandro che
piange perché non ha più mondi da conquistare”.
Nel XIX secolo furono costituite Società geografiche in molte città europee [Parigi (1821), Berlino (1828), Londra (1830), San
Pietroburgo (1845)] e nord americane [New York (1851)], spesso animate da spirito mercantilista ed imperialista. Tali società
avevano patrocinio statale e forte sostegno da parte del mondo mercantile, diplomatico, e militare. Esse raccoglievano e
pubblicavano informazioni, sponsorizzavano spedizioni e organizzavano incontri durante i quali gli esploratori, di ritorno dai loro
viaggi, potevano presentare i loro risultati o partecipare a dibattiti su questioni tecniche come la mappatura.
108. In tal senso G. LIZZA (Cfr. nota 23 p. 13).
109. C. JEAN (Cfr. nota 99) osserva come le tesi sostenute da H.J. Mackinder o quelle sulla decadenza dell’Europa sono tornate oggi
d’attualità, anche a causa delle preoccupazioni per lo spostamento del centro dell’economia mondiale dall’Atlantico al Pacifico.
Tra gli studiosi che in tempi recenti hanno “riscoperto” e valorizzato le teorie di Mackinder, oltre a R. KAPLAN (Cfr. nota 76), Colin
GRAY, “In defense of the Hearthland of Sir Halford Mackinder and His Critics Hundred Years on”, Comparative Strategy, 2004, Vol.
29, pp. 9-25.
G. LIZZA (Cfr. nota 23 p. 13) rileva che l’opera di Mackinder, per quanto rappresenti un quadro di idee superato, formula alcuni
concetti e insegnamenti di carattere generale di notevole interesse, quali:
- la ripartizione delle terre e dei mari come fattore essenziale nell’evoluzione della storia politica e culturale;
- l’importanza della navigazione marittima nella storia delle civiltà e nella politica degli Stati;
- l’organizzazione economica dei grandi spazi interni come base di ogni forza politica.
110. In tal senso J. BROTTON (Cfr. nota 66, pp. 385-388). L’Autore osserva che la mappa di Mackinder “mostra tre zone distinte. La
prima, la zona perno tratteggiata, copre la maggior parte della Russia e dell’Asia Centrale ed è tutta chiusa all’interno senza sbocchi
sul mare (…): Al di là di questa zona vi sono due mezzelune concentriche. La prima, la mezzaluna interna o marginale, è in parte
oceanica ed è composta da Europa, nord Africa, Medio Oriente, India e parte della Cina. La mezzaluna esterna o insulare,
prevalentemente oceanica, comprende Giappone, Australia, Canada, le Americhe, l’Africa meridionale e l’Inghilterra (…). Il
medesimo Autore rileva che la mappa “è palesemente priva degli attributi canonici della cartografia regionale o globale (…) qui non
c’è scala né reticolato di latitudine e longitudine. Manca anche una toponimia di base: oceani, nazioni, addirittura i continenti non
sono indicati dalle scritte, e per una mappa che difende una tesi apertamente politica, è strano non vedere proprio alcuna divisione
delle terre lungo confini nazionali, imperiali, etnici o religiosi. Anche la sua peculiare forma ovale era obsoleta: i cartografi l’avevano
abbandonata dal XVI secolo (…). L’immagine tracciata da Mackinder era in effetti una mappa tematica, che utilizzava ‘dati’
fortemente orientati politicamente (…). Si basava sulle mappe tematiche, fisiche e morali, che avevano dominato tanta parte della
cartografia ottocentesca per produrre un’immagine fondazionale della geopolitica, una carta, convincente ma ideologicamente
colorata, del mondo come grande scacchiera imperiale. Qualche geografo metterebbe in discussione il suo statuto di carta:
estendeva le definizione di carta tematica, senza utilizzare dati verificabili a sostegno della sua tesi (…) come Mercatore, Mackinder
non aveva alcun interesse per i poli nord e sud, che (…) non sono nemmeno presenti (…). La carta che ne risultava aveva un
aspetto al tempo stesso sorprendentemente moderno e stranamente arcaico (…) anche se il mappamondo di Mackinder è
praticamente obsoleto, la visione del mondo che esprimeva continua a influenzare le vite delle persone in tutto il mondo” (Cfr. nota
66 pag. 397).
111. Si tratta della pubblicazione dal titolo: “Democratic Ideals and Reality: A Study in the Politics of Reconstruction” (1919).
112. In tal senso Martin Ira GLASSNER (Cfr. nota 42, p. 196), il quale sottolinea che, secondo Mahan, per la conquista e il
mantenimento del dominio dei mari, oltre alla flotta sono importanti altri sei fattori:
- posizione geografica: la possibilità di affacciarsi su uno o più mari od oceani, meglio se intercomunicanti; avere confini terrestri
non vulnerabili; possedere basi strategiche poste a controllo di importanti rotte commerciali;
- configurazione fisica del territorio: la disponibilità di linea costiera dotata di porti naturali, estuari, golfi e promontori nonché foci di
grandi fiumi navigabili idonei a favorire il commercio interno;
- estensione territoriale, cioè la lunghezza delle coste;
- entità numerica della popolazione, quale fattore essenziale per garantirsi una flotta mercantile e militare adeguata;
- carattere nazionale e in particolare l’attitudine alle attività commerciali e marittime;
- natura e politica di governo tali da consentire lo sfruttamento delle opportunità offerte da ambiente e popolazione.
Lo studioso statunitense N. SPYKMAN (Cfr. nota 89), in un suo breve saggio del 1938 (“Geography and Foreign Policy II”, The
American Political Science Review, Vol. 32 n. 2 April 1938, pp. 213-236), nel dare seguito al pensiero di A.T. Mahan, sosteneva:
“The factors that condition the policy of states are many. They are permanent and temporary, obvious and hidden; they include,
apart from the geographic factor, population density, the economic structure of the country, the ethnic composition of the people, the
form of government, and the complexes and pet prejudices of foreign ministers”.
100
113. In tema di teorizzazioni strategiche, non si può fare a meno di citare Geoffrey PARKER, che nel suo saggio “Western geopolitical
thaught in the twentyeth century” (1985) individua sei distinti modelli geopolitici i quali vengono così riepilogati da Natalya
KORLOTYAN (nell’articolo “La geopolitica e la sua evoluzione”, pubblicato sul sito http://www.eurasia-rivista.org/la-geopolitica-e-la-
sua-evoluzione/17408/):
- il primo, quello binario, corrisponde a quello proposto da Mackinder (1912), il quale contrapponeva due potenze (una marittima ed
una terrestre) che si contendono il predominio la cd. regione eurasiatica;
- il secondo, cd marginale, corrisponde a quello sviluppato da Spykman (1956), che considera quale area dominante la fascia
marginale (rimland), teatro di grandi civiltà del passato, estendentesi dall’Europa all’Asia orientale atraversando Medio Oriente,
Iran, Afghanistan e contraddistinta da elevata densità di popolazione e notevole sviluppo nei traffici marittimi (Cfr. nota 89);
- il terzo, cd. zonale, corrisponde a quello ipotizzato da Haushofer (1924), secondo il quale i territori a nord dell’equatore sono sede
delle potenze (Stati Uniti, Europa, Russia, Cina, Giappone) che controllano le rispettive fasce a sud;
- il quarto, cd. pluralista, introdotto da Cohen (anni ’60), che tende a individuare alcune regioni geostrategiche con caratter i
omogenei rispetto alle quali una pluralità di potenze (Stati Uniti, Europa occidentale, Russia, Cina, Giappone, ma anche Sudafrica
e Australia) assumono il ruolo di leader e assicurano stabilità e sicurezza;
- il quinto, fondato sul divario centro-periferia introdotto dalla scuola francese (anni ’70) e propenso a focalizzare l’attenzione sulla
conflittualità tra l’Occidente in posizione egemonica e il Terzo Mondo politicamente ed economicamente sottomesso;
- il sesto, cd. idealista, riflesso dell’esigenza (avvertita in primis dal Parker) di un ordine mondiale armonioso, garante della pace.
114. F. FERRETTI, citando F. Farinelli, sottolinea come “ogni carta è innanzitutto un progetto sul mondo, come l’ambivalenza del
vocabolo anglo-sassone plan ancora certifica, e il progetto di ogni carta è quello di trasformare – giocando d’anticipo, cioè
precedendo - la faccia della terra a propria immagine e somiglianza”. Al contempo, l’Autore rinvia agli studi di M. Focault sull’intimo
collegamento tra “potere” e “conoscenza”. (Vedi l’articolo “La doppia voce di Brian Harley. Immagine e potere nella storia della
cartografia”, sul sito http://figuredelpotere.altervista.org/commento_foucault.php. In effetti, otre a costituire mezzo di conoscenza, le
mappe (e prima ancora le esplorazioni) hanno storicamente assunto il valore di strumento di potere e/o ordine dello spazio. Tale
prospettiva è ampiamente testimoniata dalla storica tendenza a secretare le scoperte geografiche e le mappe che ne scaturivano: al
riguardo, è possibile consultare una vastissima bibliografia.
M. Paola PAGNINI, nella sua introduzione al volume “Geografia per il principe. Teoria e misura dello spazio geografico. Omaggio a
Eliseo Bonetti", che raccoglie i contributi di AA. VV., ed. Unicopli, 1985, annota che “poche discipline sono vicine al potere come la
geografia per il ruolo di informatrice diretta del Principe, cioè del potere, che ha avuto in passato (...). Se in passato è stata accanita
la polemica tra ‘geografi di corte’ e ‘geografi puri’, anche oggi la questione non è risolta e i geografi si chiedono se ci possa essere
obiettività nella misura dello spazio e se le teorie alla base di questa misura sono fatte per il Principe o sono scienza esatta”. La
studiosa pone l’accento sulla "dotta guerra intestina” condotta in Germania nel corso del 1700, tra i ‘geografi di stato’, difensori
dell'utilità della geografia intesa come descrizione di singoli spazi politicamente delimitati (gli Stati) e i ‘geografi puri’, assertori del
carattere disinteressato e non utilitaristico del loro sapere. Un dibattito che celava la reale natura della contesa che era un problema
di misura, di ordine da assegnare alle varie parti del mondo conosciuto, di logica alla quale sottomettere il sistema geografico.
Al riguardo dei progressi compiuti nel campo della geografia ad opera di studiosi germanici, oltre ai nomi di Carl Ritter (1779-1859)
e Friedrich Ratzel (1844-1904) (Cfr. nota 80), lo storico J. Brotton (Cfr. nota 66) menziona: Alexander Von Humboldt (1769-1859),
naturalista, biologo ed esploratore, esperto di oceanografia ed autore dell’opera “Il cosmo”, dove descriveva in maniera intelligibile
e letteraria la struttura dell'Universo dal punto di vista delle conoscenze di allora (1845); August Petermann (1822-1878), cartografo
innovativo ed esperto di geografia politica, promotore di esplorazioni artiche; Oscar Peschel (1826-1875), autore del saggio “Nuovi
problemi di geografia comparata”, considerata a lungo come la prima opera di geografia scientifica, il quale con Ferdinand von
Richtofen (1833-1905), fondò la geomorfologia. Attraverso questi studiosi, la tradizione tedesca aveva mostrato la via per
sintetizzare gli aspetti pratici della ricerca geografica all’interno di una teoria complessiva della disciplina, al punto che Von
Humboldt, oggi considerato il fondatore della geografia moderna, avendo ridefinito la possibilità della geografia come metodo di
ricerca scientifica e offerto con la sua opera, un quadro completo del mondo naturale e dell’universo fisico, aveva proclamato la
geografia la più grande di tutte le scienze, in grado di sintetizzare tutto.
Andrea FAIS osserva come, sulla scia dei contributi di Carl Ritter ed Alexander Von Humboldt, la geografia era entrata
prepotentemente nel dibattito culturale tedesco del XIX secolo, al punto che – circa trent’anni dopo – Friederich ENGELS “fissò la
base geografica come uno dei principali fattori che contraddistinguono e condizionano la struttura economica”, così da “innestare
nel socialismo scientifico l’importanza dei territori ed i fondamentali parametri di analisi e sintesi degli spazi”. Vedi
http://andreafais.wordpress.com/2011/01/09/analisi-in-difesa-della-geopolitica/.
115. Haushofer (1869-1946), ufficiale dell’esercito e cultore di geopolitica, nello studio delle unità e degli spazi geopolitici, teneva conto
non solo dei fattori geografici, ma anche di quelli che intervengono in tale sviluppo, come la struttura etnica, i movimenti migratori, la
densità popolazione. Per Haushofer lo Stato vive col desiderio di espandere i propri territori e la mancanza di una visione
geopolitica può essere la spiegazione della disfatta della Germania nella prima guerra mondiale.
Accanto alla scuola di Haushofer, in Germania si sviluppò anche quella di HENNING (1924), secondo la quale la Geopolitica era
designata a trattare lo Stato come un organismo influenzato da tutti i fattori geografici nel suo formarsi ed evolversi, nella sua storia
politica e nella sua tendenza: era pertanto da considerarsi una scienza dinamica, mentre la geografia politica era statica, in quanto
rappresentazione dello Stato al presente e al passato.
Su tale scia, la Geopolitica si diffuse anche in Italia ed in particolare a Trieste, ad opera di G. ROLETTO ed E. MASSI (1931), che
la definirono come una scienza dinamica, la quale si sviluppa a partire dalla Geografia politica e studia le condizioni della vita e
dello sviluppo dello Stato oltre alle basi geografiche dei problemi politici che nascono dai loro rapporti.
Per quanto attiene alla scuola francese, “durante gli anni trenta (…) lo studio della geografia politica (…) abbracciava gran parte dei
temi che oggi verrebbero definiti geopolitici. Dal momento che affondava le sue radici nel possibilismo vidaliano (Cfr. nota 81),
anziché nel determinismo neo-ratzeliano, fu essenzialmente giudicata come una branca della geografia umana. La geopolitique si
sviluppò come una forma applicata di questa geographie politique, il cui principale oggetto di studio era l’analisi della scena
101
internazionale da una prospettiva spaziale: definizione dei problemi e formulazione delle soluzioni possibili (…). Lo studio in Francia
cessò bruscamente all’indomani della sconfitta del 1940 (…)”. Vedi in tal senso John O’LOUGHLIN, il quale cita G. PARKER (Cfr.
nota 113) nel suo “Dizionario di Geopolitica”, Asterios, Trieste, 2000.
116. Lo storico di geografia J. BROTTON (Cfr. nota 66 p. 396) riferisce che nell’aprile 1944, mentre le forze alleate si preparavano per lo
sbarco in Normandia, Mackinder fu insignito presso l’ambasciata americana a Londra della Charles P. Daly Medal per essersi
distinto nel campo della geografia. Nel ringraziare, lo studioso (ottantatreenne) volle precisare: “Vi sono grato, in primo luogo, per la
testimonianza che avete dato della mia fedeltà alla democrazia, visto che, per quanto assurdo possa sembrare, sono stato criticato
da alcune parti per aver contribuito a fornire le fondamenta del militarismo nazista. Gira voce, così mi vien detto, che io abbia
ispirato Haushofer, che ha ispirato Hess, che a sua volta ha suggerito a Hitler, mentre dettava il Mein Kampf, certe idee geo-
politiche che si dice avrebbero avuto origine da me. Sono tre anelli di una catena, ma del secondo e del terzo non so nulla. Quel
che so invece per certo da quanto ha scritto lui stesso è che qualsiasi cosa Haushofer abbia adattato da me, l’ha preso da un
discorso che ho tenuto alla Royal Geographic Association proprio quarant’anni fa, molto prima che si parlasse di un partito nazista”.
117. La Prof. A. INCOGNITO spiega: “La geografia politica é l'ambito disciplinare della geografia che si occupa di studiare i differenti
esiti, nei diversi luoghi, dei processi politici e di potere, così come i modi in cui quegli stessi processi sono condizionati dai contesti
spaziali. É una scienza di tipo statico” che si occupa dello studio delle entità statali, delle località, dello status delle Relazioni
Internazionali. Vedi articolo pubblicato sul sito http://www.fscpo.unict.it/ssp/Dispense/Geografia_Economico_Politica-
/geopolitica.pdf.
Per una disamina dell’evoluzione della geografia politica dal secondo dopoguerra al 1990, si rinvia a G. LIZZA, Cfr. nota 23 pp. 32-
45.
118. In tal senso Carlo JEAN nel suo articolo “Geopolitica” (Cfr. nota 99).
Isabella DAMIANI (Cfr. nota 84) precisa che il “recupero” del termine “geopolitica” risale alla fine degli anni ’70, al lorché fu
adoperato:
- da Henry KISSINGER, Segretario di Stato USA durante le presidenze di R. Nixon e G. Ford, che nel 1977 denunciò la strategia
di destabilizzazione guidata dall’Unione Sovietica in Africa e in America Latina;
- dal francese Yves LACOSTE, pioniere dello studio geografico del sottosviluppo e animatore della Rivista Hérodote (1975), che
negli anni settanta assunse una posizione polemica contro la geografia tradizionale, considerata al servizio delle classi dominanti.
119. In tal senso lo studioso Emidio DIODATO, “Il paradigma geopolitico – Le relazioni internazionali nell’era globale”, Meltemi editore
srl, Roma, 2010, pp. 8-9. L’Autore, al riguardo delle due visioni strategiche predominanti, precisa che “la prima assegnava agli Stati
Uniti il compito di controbilanciare qualsiasi tentativo di dominio mondiale proveniente dall’Eurasia; la seconda assegnava a una
pluralità di centri di potere, capaci di creare sfere d’influenza entro grandi spazi, nelle Americhe, in Europa e in Asia, il compito di
governare vaste aree geografiche bilanciandosi tra loro”.
120. Nel mondo anglosassone, fin dagli anni ottanta, sia il mondo accademico che gli studiosi di politica e relazioni internazionali hanno
mostrato un rinnovato interesse per la geopolitica classica. Esperti come Colin S. GRAY (Cfr. note 86 e 87) in Gran Bretagna e
Mackubin T. OWENS (Cfr. nota 88) negli Stati Uniti, nel promuovere una riscoperta degli autori del periodo “classico” - in particolare
Nicholas J. Spykman (Cfr. nota 89), noto per il modello geopolitico del “Rimland” (allegato 3), che in qualche modo rappresenta una
combinazione tra il modello del hearthland di Mackinder e la teoria del maritime power di Mahan (Cfr. nota 112) - hanno sostenuto
che il loro pensiero strategico è ancora uno strumento prezioso per leggere le relazioni di potere post-Guerra Fredda e che la
geografia rimane il fattore più importante nelle relazioni internazionali, perché qualificato ‘il più permanente’ e, in ultima analisi,
‘ineludibile’, nonostante i cambiamenti cruciali nel rapporto tra l'uomo e il territorio discendente dalle nuove tecnologie nel settore
militare, dei trasporti e delle comunicazioni.
Federico BORDONARO osserva che N. SPYKMAN, lungi dall’avallare una concezione deterministica della geografia ed una visione
meramente spaziale nei rapporti di forza, era orientato (già in epoca antecedente alla formulazione del suo famoso modello) a
valorizzare la sfera politica, i mutamenti derivanti dagli eventi storici, i progressi tecnologici, l’impatto della spazialità in termini di
scelte strategiche. Al riguardo, lo studioso italiano cita i seguenti passaggi fondamentali estratti dal saggio di Spykman: “Geography
and Foreign Policy II”, The American Political Science Review, Vol. 32 n. 2 April 1938, pp. 213-236”:
- “The geography of a country is rather the material for, than the cause of, its policy, and to admit that the garment must ultimately
be cut to fit the cloth is not to say that the cloth determines either the garment’s style or its adequacy. But the geography of a state
cannot be ignored by men who formulate its policy. The nature of the territorial base has influenced them in that formulation in the
past and will continue to do so in the future”;
- “The full meaning of a given location can be obtained only by considering the specific area in relation to two systems of reference:
a geographic system of reference from which we derive the facts of location, and a historical system of reference by which we
evaluate those facts”;
- “Size is not strength but potential strength (…). Since the Industrial Revolution (…) strength has become more and more identified
with industrial strength. Raw material resources and industrial organization have therefore become the prerequisites of power
whether by land or by sea. But size is still operative in the sense that the larger the area the grater the chances that it contains
varying climatic ranges and varying topography, and therefore varied resources and economic possibilities”;
- “Size is of primary importance as an element of defence, particularly if the vital centers of a country are far removed from the
border" [con esplicito riferimento alla campagna napoleonica in Russia].
Lo stesso BORDONARO sottolinea la lungimiranza del pensiero di Spykman, laddove lo studioso statunitense, nell’ipotizzare che
dimensioni territoriali e risorse, ove combinate col progresso tecnologico, avrebbero potuto proiettare uno Stato ovvero un'alleanza
di Stati allo status di grande potenza, ha previsto, nel 1938 che in 50 anni, una confederazione di stati europei avrebbe avuto
accesso al "quadrumvirato delle potenze mondiali", probabilmente formato da Stati Uniti, URSS, Cina e India. Vedi in tal senso
102
l’articolo “Rediscovering Spykman – The Rimland, geography of peace and foreign policy”, May 2009, pubblicato sul sito
http://www.exploringgeopolitics.org/Publication_Bordonaro_Federico_Rediscovering_Spykman_Rimland_Geography_Peace_Foreig
n_Policy.html.
Per una ulteriore lettura in chiave di attualità del pensiero di Spykman, v. l’articolo di Francis P. SEMPA “Spykman’s World”, APR.
2006, pubblicato sul sito http://www.unc.edu/depts/diplomat/item/2006/0406/semp/sempa_spykman.html.
121. In tal senso J. LOUGHLIN (Cfr. nota 115), il quale osserva come, secondo LACOSTE, il termine geopolitique risulti in linea con le
idee del geografo anarchico Eliséee RECLUS (1830-1905), che aveva interpretato “il ragionamento geografico come un mezzo per
resistere all’oppressione”. Secondo Lacoste “la geografia non dovrebbe essere uno strumento di forza per coloro che detengono il
potere, ma dovrebbe aiutare una comunità a farsi una più esatta coscienza del proprio spazio”: in tal senso G. LIZZA, Cfr. nota 23
p. 37.
122. In tal senso G. BETTONI, il quale sintetizza il pensiero di Y. Lacoste richiamando l’opera dal medesimo curata ( “Dictionnaire de
Geopolitique”, Preambolo pagg. 1-35, Flammarion, 1993) nel suo articolo “Dalla Geopolitica alla pianificazione territoriale”, Liuc
Papers, n. 127, Serie Economia e Istituzioni 11, Suppl. a luglio 200.
Il Bettoni, sulla base della prospettiva dello studioso francese, osserva che:
- “una situazione geopolitica si definisce, in un dato momento di un’evoluzione storica, attraverso delle rivalità di potere (qualunque
sia la loro importanza) e dei rapporti tra le forze che si trovano sulle diverse parti del territorio in questione”;
- “le rivalità di potere non si manifestano solo al di fuori di uno stato, bensì anche al suo interno e coinvolgono altri attori che ne
fanno parte”: di qui il distinguo tra una geopolitica “esterna” ed una “interna” alle entità statali;
- “la comunicazione che si viene a creare tra attore ed opinione pubblica è la rappresentazione”;
- un uso scientifico della geopolitica “presuppone la volontà di produrre delle rappresentazioni più obiettive di quanto non lo
possano essere quelle in disputa tra loro. In questo modo la geopolitica si rivela strumento di grande efficacia per la soluzione di
situazioni altrimenti difficilmente districabili” e addirittura “per la previsione di possibili scenari futuri”;
- “quello che accade su un territorio ingloba l’azione umana, diventa quindi essenziale fare ricorso a tutte quelle scienze umane,
come sociologia, economia e ovviamente anche storia. Ognuna di queste scienze o discipline sono utili per la comprensione di
una data situazione territoriale”.
123. “Il post-moderno, più che essere un paradigma, riunisce una molteplicità di posizioni critiche caratterizzate dalla sfiducia nelle
possibilità del pensiero moderno, accusato di costringere silenziosamente il libero fluire della vita all’interno di categorie
presuntivamente universali. Per la g. p. non è più possibile spiegare la realtà all’interno di un unico paradigma e per questo si
propone di decostruire le rappresentazioni dominanti, metterne in luce il non detto e dare spazio alla pluralità del reale. Il
postmoderno critica ogni pretesa di oggettività, verità e neutralità del processo conoscitivo; ne riconosce la natura parziale e
soggettiva, che si impone come oggettiva per mantenere la propria posizione dominante. Caduta ogni pretesa di oggettività del
sapere, ogni gesto umano cade sotto la lente del punto di vista e diventa politico, in quanto espressione di una soggettività.
Nell’ambito delle scienze sociali questo ha comportato la rivalutazione della dimensione spaziale, quindi della geografia, come
analisi delle relazioni contingenti tra gli enti che occupano uno stesso luogo e che generano una situazione irripetibile grazie alle
interazioni reciproche. In tal senso la voce “Geografia post-moderna”, pubblicata dall’Enciclopedia Treccani sul sito
http://www.treccani.it/enciclopedia/geografia-postmoderna_(Lessico_del_XXI_Secolo)/#.
124. In tal senso C. JEAN (Cfr. nota 99) , nel riassumere i contenuti del saggio “Critical geopolitics” che O’ Tuathail ha pubblicato nel
1996.
Nel pensiero di O’Tuathail i soggetti studiati non sono solo i detentori ufficiali ed espliciti di prerogative politiche (le autorità
attraverso le proprie istituzioni), ma anche altri in grado di esercitare forme meno evidenti ma non meno incisive di potere. Da qui la
necessità di sviluppare la distinzione tra formal geopolitics (la geopolitica degli intellettuali), practical geopolitics (dei politici e
strateghi governativi), popular geopolitics (dei media), structural geopolitics (degli apparati di controllo).
Alla “critical geopolitics” aderisce anche il geografo statunitense John AGNEW (Cfr. nota 60), autore nel 1994 di un articolato breve
saggio (The territorial Trap: The Geographical Assumptions of International Relations Theory) col quale criticava alquanto
aspramente la concezione, ampiamente diffusa in seno allo studio delle R.I. (e non solo), di una territorialità dello Stato
“decontestualizzata” dal punto di vista storico e geografico.
125. Tra i vari contributi pubblicati dalla rivista Limes, diretta dal geopolitologo Lucio Caracciolo:
- l’articolo di Y. LACOSTE, “Che cos’è la geopolitica”, Limes -Rivista italiana di geopolitica, Gruppo Editoriale L’Espresso, n. 3,
1994, pp.265-302, a mezzo del quale il geografo francese ha sintetizzato il suo pensiero in materia di geopolitica;
- l’ articolo di C.M. SANTORO, “L’ambiguità di Limes e la vera geopolitica: elogio della teoria”, Limes, n. 4, 1997, pp. 307-313,
contenente una severo giudizio nei confronti della “geopolitica critica” ed in particolare dell’approccio promosso dal mondo
accademico francese prima e dalla rivista Limes dopo, incapaci di conferire un senso compiuto alle categorie analitiche della
geopolitica tradizionale. La rivista italiana, in particolare, recependo contributi eterogenei non provvisti di un “filo rosso”
concettuale, rischierebbe di ridursi a semplice raccolta di scritti incoerenti.
126. Si tratta del saggio “Geopolitica”, pubblicato per la prima volta nel 1994 da Laterza, Roma-Bari.
127. In tal senso Luciana ZIRUOLO, la quale riferisce: ” Per Jean, la ricomparsa della geopolitica, legata agli eventi internazionali del
post 1989, è un sintomo del riacutizzarsi della lotta per il dominio dello spazio e un invito a ridefinire i propri particolari interessi
nazionali. Egli afferma la necessità di considerare accanto ai tre fattori classici della geopolitica – la terra, il mare, l’aria – anche un
quarto elemento, il fuoco, ovvero la tecnologia, capace di mutare il significato dei primi tre. La geopolitica nell’interpretazione di
Jean assurge a “metodo di ragionamento [...], un modo di pensare allo spazio, non in modo neutrale, oggettivo, mantenendo le
103
mani pulite, ma in funzione di propri progetti, valori, visioni del mondo e della storia”. Posta la non neutralità del sapere geopolitico
Jean mostra attenzione per gli aspetti più propriamente attivi racchiusi in quel sapere: la geopolitica come consigliere del principe,
necessaria riflessione che precede l’azione politica. Più che scienza predittiva è mezzo di autocoscienza dei soggetti politici. Se la
geografia politica riguarda la politica avvenuta, la geopolitica riguarda la politica futura; mentre la prima, seppur descrittiva, è
comunque una scienza, la seconda è piuttosto una metageografia. Il metodo per giungere a una corretta geopolitica, secondo Jean,
consiste di tre fasi: a) individuazione delle rappresentazioni geografiche che esprimono le percezioni profonde circa gli interessi
nazionali e il senso dello spazio proprio di ciascun popolo e che affondano le loro radici nella sua storia e nella sua cultura e valori;
b) elaborazione di scenari geopolitici particolari e generali allo scopo di individuare le tendenze e le dinamiche che probabilmente si
verificheranno per l’evoluzione dei fattori in gioco o per iniziativa degli altri soggetti politici con cui si interagisce; c) definizione delle
opzioni politiche disponibili per influire sul cambiamento in maniera coerente con i propri interessi e valori”. Vedi l’articolo “Appunti di
Geopolitica”, http://www.italia-liberazione.it-/novecento/geopolitica.html. (consultato il 14.03.2014).
Nel tracciare un percorso per il pensiero geopolitico nazionale, C. JEAN (Cfr. nota 99) afferma “Se, nel periodo della guerra fredda,
il riferimento principale della politica italiana era costituito dagli Stati Uniti, nel ‛terzo dopoguerra' esso si è spostato sull'Europa, che
l'unificazione tedesca ha trasformato da un sistema di equilibri in uno almeno parzialmente gerarchico. L'importanza del rapporto
con gli Stati Uniti per l'Italia rimane però determinante, anche perché la presenza americana garantisce uno stretto legame fra il
Mediterraneo e l'Europa centrale e mantiene un maggior equilibrio interno europeo, il che costituisce la premessa per la
continuazione di quel processo d'integrazione europea che rappresenta, per il nostro paese, un interesse vitale. Mutata è anche la
dimensione del Mediterraneo. In passato esso era diviso in senso est-ovest dal confronto bipolare, ma era unificato dalla presenza
della Sesta Flotta; oggi, invece, esiste una separazione nel senso dei paralleli, fra nord e sud. Inoltre, mentre nel periodo della
guerra fredda la politica interna italiana era caratterizzata da una divisione ideologica verticale fra governo e opposizione, ora
predominano le tensioni che contrappongono le zone settentrionali (e soprattutto quelle nordorientali) del paese a quelle centrali e
meridionali. Infine, la caduta delle rigide strutture della guerra fredda ha fatto riscoprire talune dimensioni geopolitiche proprie degli
Stati preunitari italiani, soprattutto, ma non solo, sotto il profilo economico (v. Incisa di Camerana, 1993; v. Santoro, 1993). È ripresa
in Italia la riflessione geopolitica, volta a superare la visione eccessivamente ideologizzata di molte delle forze politiche e culturali
italiane; essa pone al centro del dibattito la definizione degli interessi nazionali italiani (…)”.
128. C. JEAN, “Manuale di geopolitica”, Laterza, Bari-Roma, 2003.
129. In tal senso Emidio DIODATO (Cfr. nota 119). Lo studioso, citando Thomas KUHN (1922-1996), chiarisce che “un paradigma è
un’insieme di assunti teorici e metodologici condivisi da una determinata comunità scientifica (…) che di volta in volta si impongono
su altri”. Sulla base dell’interpretazione del nuovo corso della geopolitica, l’Autore osserva che “il problema che la ricerca geopolitica
contemporanea si pone è, in linea di massima, quello di valutare se (…) l’attuale sistema tendenzialmente uni-multipolare sarà
superato”. In tale chiave di lettura, dopo aver esaminato, anche dal punto di vista storico e politico, il concetto di equilibrio, delinea
“un paradigma geopolitico per poter giungere - mediante una prospettiva politologica - alla descrizione di uno scenario plausibile
delle relazioni internazionali contemporanee, in virtù della capacità dei principali centri di potere (o poli) di garantire un equilibrio
legittimo e un concreto ordinamento del globo terrestre”.
Secondo il pensiero di Friedrich von HAYECK (1899-1992) il “razionalismo costruttivista” è la teoria secondo cui “l’uomo, dato
che ha creato egli stesso le istituzioni della società e della civiltà, deve anche poterle alterare a suo piacimento in modo che
soddisfino i suoi desideri e le sue aspirazioni”. V. “Individualismo: quello vero e quello falso”, Rubbettino Editore, 1997..
Il termine “olismo” viene generalmente adoperato per indicare che il tutto è più della somma delle parti di cui è composto. La
scienza “olistica” consiste nello studio multidisciplinare dei sistemi complessi. “Nel campo delle scienze umane si parla di ‘olismo’ a
proposito di quelle concezioni secondo cui oggetto delle scienze sociali sarebbero non gli individui e le loro azioni e preferenze, ma
le strutture di cui gli individui farebbero parte e alle cui azioni esse non sarebbero riducibili (…). In epistemologia s’intende con o. la
tesi secondo la quale un’ipotesi scientifica non ha un proprio circoscritto ambito di conseguenze empiriche tramite cui possa essere
sottoposta a controllo, essendo ogni ipotesi connessa direttamente o indirettamente a porzioni più o meno vaste della teoria cui
appartiene, se non addirittura ad altre teorie, dal che segue che il controllo empirico riguarda la teoria nella sua globalità”. In tal
senso l’Enciclopedia TRECCANI, alla voce “olismo”, http://www.treccani.it/enciclopedia/olismo/.
130. In tal senso l’articolo di Peter R. FABER, “Thinking about geography: some competing geopolitical models for the 21th century”,
Research Paper, NATO Defence College, n. 15/2005, Rome, 2005 (pp. 2-3).
131. Tra i teorici della geoeconomia, Edward N. LUTTWAK, From geopolitics to geoeconomics. Logic of conflict, grammar of commerce,
in ‟The national interest", 1990, XX, pp. 17-24; P. KRUGMAN, autore del saggio Geography and trade, Cambridge, Mass., 1991 (tr.
it.: Geografia e commercio internazionale, Milano 1995).
Per alcuni cenni sul tema, cfr. anche nota 13.
132. “Termine introdotto dall’economista e geopolitico statunitense E. LUTTWAK per indicare un campo di ricerca e di applicazione
(enucleatosi nell’ultimo quindicennio del 20° sec. dall’economia internazionale, dalla geografia economica e dalla geopolitica) che
ha come oggetto le strategie più efficaci per la crescita della produttività e della competitività dei paesi”. In tal senso la Voce
“Geoeconomia” su Enciclopedia TRECCANI on line, http://www.treccani.it/enciclopedia/geoeconomia/. (consultato il 01.03.2014).
133. Invero, sembra trattarsi di una teoria essenzialmente orientata a formulare l’interpretazione dell’evoluzione dell’economia
capitalistica. Si direbbe che l’incorporamento, di fatto, della geopolitica in seno alla geoeconomia, presenta una certa analogia con
la “sistemazione” a suo tempo proposta da J. P. TAYLOR nel rapporto tra geografia politica e geografia economica (Cfr. nota 67 ult.
parte).
104
134. In tal senso Carlo JEAN, (Cfr. nota 128, p. 211). Per una una dettagliata critica della geoeconomia da parte dell’Autore, v. pp.
168-169).
135. In tal senso Martin Ira GLASSNER, Cfr. nota 42 ult. parte, p. 106.
136. In tal senso l’economista Paolo SAVONA, nell’articolo “Geoeconomia” pubblicato da http://www.treccani.it/enciclopedia/-
geoeconomia_(Enciclopedia-del-Novecento)/ (consultato il 01.03.2014). L’economista osserva che tale teoria “(…) si è specializzata
nell'esame dei modi in cui si svolge o dovrebbe svolgersi la competizione tra ‛sistemi-paese' nel nuovo scenario economico e
politico globale brevemente delineato, ossia nello studio dell'insieme delle caratteristiche che rendono competitivo con l'estero un
sistema economico o, più specificatamente, un apparato industriale nazionale o una parte di esso”. L'oggetto di studio tende a
spingersi “fino a considerare l'azione globale svolta da organizzazioni internazionali o da sottosistemi privati o misti (cioè privati e
pubblici), come compagnie petrolifere, banche e società di assicurazioni, imprese di telecomunicazioni o, più in generale, società
multinazionali (…)”.
137. In tal senso Yves LACOSTE, “Che cos’è la geopolitica”, pubblicato dalla Rivista italiana “Limes” n.3, 1994, pp.265-302.
In termini analoghi si esprime R. KAPLAN (Cfr. nota 76), laddove osserva: “lo sconvolgimento generato dall'attuale crisi economica
viene (…) a rafforzare ulteriormente l'importanza della geografia, in quanto indebolisce l'ordine sociale e gli altri prodotti della civiltà
umana lasciando, come uniche strutture di contenimento, le frontiere naturali del globo”.
138. In tal senso il sociologo Paolo PERULLI, “Istituzioni e nuova economia della conoscenza”, articolo pubblicato sulla Rivista
Sociologia del Lavoro, Franco Angeli, 2002, n. 88 pp. 12.
139. In tal senso Natalino IRTI (Cfr. nota 12), nel corso di intervista rilasciata in data 8.4.2006, pubblicata a mezzo di articolo “Il Mercato
tra Nichilismo e Dono: attualità di una profezia nietzschiana” a cura di G. SACCO e F. GAMBINO. V. il sito www.rivista.ssef.it
140. Sul tema, si rinvia all’articolo di Matteo Dian “Le isole Senkaku o Diaoyu come termometro degli equilibri in Asia orientale”,
http://temi.repubblica.it/limes/le-isole-senkaku-o-diaoyu-come-termometro-degli-equilibri-in-asia-orientale/38774 .
141. Per una cronaca “recente”, si veda l’articolo di Giorgio CUSCITO “La Russia si riprende la Crimea”, pubblicato sul sito
http://temi.repubblica.it/limes/la-russia-si-riprende-la-crimea/58802. ( consultato il 14.03.2014).
Nell’ambito di tale crisi, un ruolo particolare è svolto dalla Crimea, entità sub-statale dell’Ucraina, il cui territorio riveste enorme
interesse per la politica economica e militare della Russia. In riferimento a tale crisi, significativa la posizione statunitense: “Barack
Obama ramped up pressure on Russian president Vladimir Putin on Thursday by imposing visa restrictions on officials for
‘threatening the sovereignty of Ukraine’ and signing an executive order enabling further sanctions against Moscow. The White
House said the measures were a response to Russia’s ‘ongoing violation of Ukraine’s sovereignty and territorial integrity’, a
reference to its intervention in the southern peninsula of Crimea”: notizia del 06.03.2014 ore 15:37 pubblicata sul sito
http://www.theguardian.com/world/2014/mar/06/us-visa-restrictions-officials-ukraine-russia.
Sul tema, anche l’articolo di Luigi OFFREDDU, “Il G7 avverte la Russia: annettere la Crimea violerebbe la Carta ONU”, in seno al
quale si richiamano anche gli Accordi di Helsinki del 1975 ed il Memorandum di Budapest del 1994. Articolo pubblicato dal Corriere
della Sera del 13.03.2014.
Invero, l’evoluzione di tale crisi (ad oggi, l’annessione di fatto della Crimea a seguito di referendum dichiarativo dell’indipendenza
nonché l’insorgenza del separatismo filo-russo nell’area orientale dell’Ucraina) conferma il monito di Y. LACOSTE (Cfr. nota 137):
“il destino dei 25 milioni di russi che vivono fuori dalla Russia, pongono problemi geopolitici tanto più gravi in quanto cominciano a
essere sfruttati da alcuni leader politici”.
142. In tal senso Colin S. GRAY, (Cfr. nota 86). L’affermazione dello studioso, invero, si colloca in una prospettiva che, come si è già
detto, è ispirata ad una concezione della geopolitica in chiave “neoclassica” (“geopolitics refers to the relation of International
political power to the geographical setting”) ed in particolare quale studio al servizio della grand strategy: significativo, al riguardo, il
seguente passaggio, intenzionalmente omesso nel corpo del testo: “The geopolitician and national or international security analyst
must study all of the instruments of grand strategy, not just the military one”.
143. Giuseppe BETTONI, “Dalla Geopolitica alla pianificazione territoriale”, Liuc Papers, n. 127, Serie Economia e Istituzioni 11, Suppl. a
luglio 2003 (Cfr. anche nota 122).
144. In tema di “scientificità” della geopolitica, l’Autore aggiunge: “se esistessero delle leggi dello spazio utilizzabili dalla geopolitica allora
la società avrebbe poca scelta, colui che si occupasse di geopolitica fornirebbe alla società i risultati del suo studio e non ci sarebbe
alcuna scelta, ma solo la via da lui indicata. Ma così non è!”.
145. In tema di “multidisciplinarietà della geopolitica” l’Autore aggiunge: “ma questo non deve far pensare che la geopolitica sia un
qualcosa che contiene dentro di sé tutto, non è la ‘regia’ di tutto. Essa non è la fonte originale da cui attingono tutte le altre materie,
siano esse scienze o no”.
146. In tema di “dinamicità” della geografia, l’Autore aggiunge: “Lo studio della geografia significa studiare qualcosa di dinamico perché
la geografia è qualcosa che cambia continuamente, che non smette di evolvere, ad opera dell’uomo e della natura. Non si può
continuare a pensare che una volta comunicata la geografia di un determinato luogo essa sia data e fissata, immutabile. Nel
momento stesso in cui si cerca di comunicare la geografia di un dato luogo, essa sta già mutando, ecco perché si tratta di uno
studio continuato, che non è solo descrittivo. Deve tenere presente tutta una serie di interazioni per poter essere veramente
105
compreso. Nel momento in cui si parla di un dato luogo, non si può estromettere tutto ciò che ci ostacola nel definirlo con chiarezza.
Bisogna accettare questa complessità e cercare di approfondirne la conoscenza e, cosa ancora più difficile, comunicarla. ‘La
Geografia non è cosa immutabile, essa si fa, si rifà ogni giorno; ad ogni istante, essa si modifica attraverso l’azione dell’uomo’
scriveva Reclus in l’Homme et la Terre. (…)”.
147. In tema di “dimensione temporale” della geopolitica, l’Autore aggiunge: “Esistono tempi diversi per ogni tipo di fenomeno, come ere
geologiche, anni solari, anni borsistici, ma anche mandati presidenziali. Ognuna di queste cose ha ritmi evolutivi assolutamente
diversi, però ognuna di esse può intervenire in una data situazione geopolitica, con rapporti di causa/effetto spesso sorprendenti.
Quello che spesso si mette in atto nella geopolitica è un’analisi diacronica diversa da quella classicamente storica”.
148. In tema di “lettura della storia in chiave diacronica”, l’Autore specifica: “Questo permette di meglio conservare innanzi a sé l’effetto
di cui si vorrebbe spesso trovare la causa, anche perché nella geopolitica il presente è l’oggetto di studio. Questo presente è
chiaramente collegato ad eventi e situazioni passati, che possono essere leggibili in tempi brevi o lunghi. Sono questi quei legami
che in geopolitica vengono chiamati legami di causalità. Si tratta di legami che danno luogo a concatenazioni che a loro volta
conducono agli eventi di cui ci interessiamo. Questi eventi spesso sono frutto non solo di una concatenazione, ma spesso e
volentieri di incroci fra le stesse diverse concatenazioni. Sono esattamente questi gli eventi che si deve cercare di prevedere”.
149. Dopo aver svolto queste riflessioni, a conclusione del suo articolo (Cfr. nota 143), G: BETTONI - in sintonia con il pensiero di
LACOSTE (Cfr. nota 125) e recuperando la teoria delle scale geografiche e temporali introdotta da BRAUDEL (Cfr. nota 78) -
specifica come, la geopolitica possa svolgere un ruolo essenziale anche nella comprensione di questioni interne ai vari Stati (cd.
geopolitica interna) ed in particolare nella pianificazione territoriale: “La geopolitica ha quindi un ruolo estremamente importante
nella gestione del territorio interno dei vari stati. Ogni attore politico preposto alla gestione del territorio nazionale (presidenti di
regioni, sindaci, ecc.) ha una propria strategia di sviluppo e sullo stesso territorio altri attori politici hanno altre strategie. Se è vero
che la geopolitica si occupa proprio di quei conflitti per il controllo del territorio, allora lo sviluppo territoriale messo in atto dai vari
attori politici territoriali è sicuramente un enorme campo di intervento per l’analisi geopolitica. Proprio per capire meglio quello che vi
accade, dirimere al meglio i conflitti tra i vari attori politici (la negoziazione altro non è che una forma di conflitto, di antagonismo tra
attori) e cercare quindi di dare vita a delle strategie che possano essere al meglio coerenti e quanto meno condivise, occorre
mettere in atto il metodo della geopolitica”.
150. Colin S. GRAY, “Inescapable geography”, Journal of Strategic Studies, Vol. 22 Issue 2-3, 1999, http://dx.doi.org/-
10.1080/01402399908437759. Nel premettere che la strategia è il risultato del “dialogo” tra politica e potere militare e che la prima
ha valore preminente sulla seconda, l’Autore nel suo articolo sottolinea che la geografia influisce sulla strategia attraverso tre modi:
- è il fisico “campo d’azione” di quanti progettano ed eseguono tecniche strategiche;
- guida o perlomeno modella le scelte tecnologiche che dominano tattica, logistica, istituzioni e cultura militare;
- fornisce spunti per la enucleazione di pensiero teorico che risulta quale comune comprensione di geopolitica.
Invero, l’interpretazione dell’Autore circa il significato del termine “geostrategia” (Cfr. nota 103), risulta alquanto interessante, in
quanto tende a includere in tale campo di studi i cosiddetti “modelli geopolitici”, nel presupposto che la geostrategia rappresenta il
campo “pratico” della geopolitica. In altri termini, il connubio tra geografia e strategia sostanzierebbe una forma di “geopolitics in
action”.
151. In tema di “studi strategici e geopolitici”, C.M. SANTORO (Cfr. nota 1) precisa: “Il campo degli studi strategici, al quale corrisponde
per converso il settore delle 'ricerche sulla pace' (peace research), è (…) un terreno di ricerca che precede, come quello della
politica estera, la nascita ufficiale della disciplina delle relazioni internazionali. In esso si studia essenzialmente l'ambito concettuale
e scientifico della guerra e se ne circoscrive il campo d'analisi, anche se il metodo della strategia, intesa come scienza
dell'organizzazione delle forze sul terreno per un fine politico (Clausewitz, 1832), non va applicato esclusivamente all'impiego della
forza militare, bensì all'intera gamma della teoria dei giochi, utilizzata sovente nello studio delle relazioni internazionali come
modello di comportamento degli attori nelle loro interazioni politiche. Le teorie strategiche hanno comunque acquisito uno statuto
scientifico autonomo, che le rende automaticamente una branca delle relazioni internazionali. L'arte o la scienza militare sono
concetti ambigui, ma le teorie in quanto tali sono delle vere isole di teoria riconoscibili e acquisite al patrimonio culturale delle
relazioni politiche internazionali. Concetti come 'guerra assoluta' e 'guerra limitata', 'guerra totale' e 'strategia dell'approccio indiretto'
(v. Liddel Hart, 1954) sono punti fermi nello studio della politica internazionale, sia del passato che del presente. I modelli strategici
che hanno dato corpo ai concetti teorici sono assai numerosi. Nel periodo del sistema bipolare i più significativi sono stati quelli
della 'guerra convenzionale' e/o della 'guerra nucleare', con le loro derivazioni politiche nei paradigmi concettuali del 'controllo degli
armamenti' e della 'deterrenza nucleare'. Le teorie strategiche hanno (…) una base materiale (…). Le teorie sul potere marittimo (v.
Mahan, 1890; v. Corbett, 1911), così come quelle sul potere terrestre (v. Mackinder, 1904; v. Haushofer, 1934; v. Spykman, 1942)
e, più recentemente, quelle sul potere aereo (v. Douhet, 1921; v. De Severski, 1942), corrispondono bene all'evoluzione delle
diverse forme del pensiero strategico costituendone il quadro contestuale di riferimento (v. Jean, 1994)”.
152. Harvey STARR, “Territory, Proximity, and Spatiality: The Geography of International Conflict” (nr. 2, pagg. 387 – 406), pubblicato da
International Studies Review, Blackwell Publishing, Maine (USA), 2005.
153. L’Autore (Cfr. nota 152) rileva che, per il geografo, lo spazio implica l’estensione dell’area geografica e può essere inteso in senso
sia assoluto che relativo. L’ubicazione dei luoghi e degli oggetti costituisce il punto di partenza di qualsiasi studio geografico, e
anche di qualsiasi movimento o azione umana:
- l’ubicazione assoluta consiste nell’identificazione del luogo sulla base di un sistema preciso e riconosciuto di coordinate. Esistono
molteplici sistemi riconosciuti per localizzare le posizioni. Uno di essi è il reticolato geografico di meridiani e paralleli, tramite il
quale è possibile descrivere l’ubicazione assoluta di qualsiasi punto in termini di gradi, minuti e secondi di longitudine e latitudine;
106
- l’ubicazione relativa è la posizione di un luogo in relazione a quella di altri luoghi o attività. L’ubicazione relativa, esprimendo la
posizione in termini di distanza e dunque tempistica di collegamento tra siti/situazioni di luogo, comporta una serie di implicazioni
di carattere sociale ed economico: la tecnologia è in grado di ridurre i tempi di percorrenza delle distanze, rendendo raggiungibili,
entro ore, siti il cui collegamento ordinario sia assicurato da tradizionali mezzi di trasporto o linee di comunicazione che richiedono
viaggi della durata di giorni o settimane.
Del pari, la stipula di accordi di cooperazione/alleanza ovvero l’insorgere di rapporti ostili/contenzioso, possono realizzare effetti di
notevole importanza nella percezione dei cd. rapporti di vicinato tra comunità più o meno distanti tra loro.
154. L’Autore (Cfr. nota 152) fa notare che già venti anni prima (Quincy Wright, 1942) si era ipotizzato che alla maggiore distanza tra
Stati corrisponde una più ampia possibilità di conflitto quando le potenze risultino cosi’ isolate tra loro da avere difficoltà nella mutua
comprensione: si tento’ di individuare e misurare le varie forme di distanza (sotto il profilo non solo della tecnologia, cultura,
educazione, sviluppo sociale, politica, ma anche delle aspettative e delle percezioni) e su tale strada si sono incanalati vari studi
successivi.
155. La “possibilità di interagire” deriva, secondo l’Autore (Cfr. nota 152), dall’elaborazione del concetto di “environmental possibilism”
(SPROUT, 1969), il quale – in contrapposizione a vecchi modelli geopolitici a sfondo deterministico – prende in considerazione
l’insieme dei fattori che limitano le decisioni e condizionano il tipo di azione suscettibile di essere adottata nonché le relative
conseguenze, ascrivendo la scelta alla volontà di selezionare o meno una delle opzioni che l’ambiente presenta: si tratterebbe di un
derivato del concetto del “cognitive behaviorism” (sempre elaborato da SPROUT, 1969), in base al quale un soggetto reagisce al
suo ambiente in base alla personale percezione e lo interpreta alla luce della sua esperienza.
156. L’A. (Cfr. nota 152) riferisce che tale assunto scaturisce dalla circostanza che la vicinanza puo’ generare una elevata percezione
della minaccia, del beneficio o della interdipendenza. Gli Stati che sono vicini sono visti come più importanti: tale prospettiva
influenza il processo di scelta degli organi decisionali attraverso la valutazione dei calcoli di utilità. La volontà di interagire e di
gestire un conseguente possibile conflitto in modi differenti, per esempio, dipenderà dall’importanza o rilevanza di una questione o
di un avversario.
157. Per completezza, si rileva che, in un ulteriore articolo scritto in collaborazione con G. Dale THOMAS, dal titolo “International
Borders: What they are, what they mean, and why we should care” (nr. 49, pagg. 123-139), International Studies Review,
Blackwell Publishing, Maine (USA), 2005, H. STARR (Cfr. nota 152), facendo ricorso ad una serie di informazioni desunte mediante
ricorso a tecnologia GIS (Geographic Information System) e richiamando i concetti di “ease of interaction-opportunity” e “salience-
willingness)”, perviene al concetto di “vital borders”. A mezzo di questi tre parametri, gli AA. svolgono un’analisi di tipo statistico del
rapporto tra confini esistenti (301 linee di confine terrestre, individuate tra 151 Stati contigui) e ipotesi di conflitto internazionale.
Nell’economia della nostra ricerca, invero, non si è avuto modo di approfondire tale analisi, tuttavia si esprimono riserve circa la
relativa portata, tenuto conto che, da una prima lettura, si ha perplessità sulle modalità di enucleazione del concetto di “confini
vitali”, che sembrano introdurre un approccio di tipo deterministico nello studio delle R.I..
158. La relazione uomo-terra è rappresentata in modo suggestivo da Carl SCHMITT (Cfr. nota 6): “è’ significativo il fatto che l’uomo,
quando si trova su una costa, guardi spontaneamente dalla terra verso il mare aperto, e non, al contrario, dal mare verso la terra”
(Terra e mare. Una riflessione sulla storia del mondo) ; “io resto alla e sulla terra. Per me l’uomo è un figlio della terra e lo rimarrà
fintantoché resta uomo” (Dialogo sul nuovo spazio) .
In generale, si osserva come la correlazione tra i termini “prossimità” e “prossimo” sia alquanto significativa: il primo,
immediatamente correlato ad un elemento tipicamente geografico (lo spazio geografico, appunto), il secondo ad un elemento
psicologico e sociale (la percezione e il sentimento della affinità del ceppo umano): di qui, tra l’altro, il “connubio” tra “fine della
geografia” e “fine della storia” nella cd. era della globalizzazione. Si tratta di due argomenti ampiamente dibattuti nella presente
ricerca. Tale connubio è estremizzato nel pensiero espresso da F. FARINELLI (Cfr. nota 38), laddove disquisendo sulla
globalizzazione, si afferma: “La fine dello spazio significa la fine del prossimo, perché implica quella dell’idea di prossimità, del
prossimo (…) il funzionamento del mondo ci costringe oggi a passare dall’idea di abitare una tavola, cioè una mappa, a quella di
abitare un globo, una sfera”. In modo provocatorio l’Autore conclude: “se la Terra è davvero un globo, e non una mappa, come
l’intera modernità ha preteso, allora lo spazio non esiste". Ma se il filosofo greco PLATONE (Atene 428 o 427 a. C. - ivi 348 o 347)
nel dialogo “Timeo, o della Natura” aveva già teorizzato che la terra era sferica (per volere di Dio), nel teorico presupposto che la
sfera sia la forma più perfetta, Henry David THOREAU (Concord, Massachusetts, 1817 - ivi 1862), filosofo impegnato nella ricerca
di un rapporto organico e armonioso tra individuo e mondo naturale, a notevole distanza di tempo e tuttavia ben lungi,
verosimilmente, dall’immaginare l’avvento della cd. era della globalizzazione e della dimensione cibernetica, ha osservato: “nothing
seems the earth so spacius as to have friends at distance: they make the latitudes and longitudes”. V. http://www.brainyquote.com/quotes/quotes/-h/henrydavid121437.html. In tempi più recenti Thor HEYERDAHL (1914-2002),
antropologo, archeologo, esploratore e scrittore norvegese, annotava: “Di confini non ne ho mai visto uno. Ma ho sentito che
esistono nella mente di alcune persone”. V. http://aforisticamente.com/2014/10/06/frasi-e-citazioni-di-thor-heyerdahl/.
Sull’argomento, vedi anche prec. nota 94.
159. In tal senso C.M. SANTORO (Cfr. nota 1), al cui pensiero ci siamo ispirati nell’introdurre, in generale, lo studio delle R.I.
160. In tal senso lo stesso Autore, C. M. SANTORO (Cfr. note 3 e 4).
161. In tal senso C.M. SANTORO nel suo articolo “L’ambiguità di Limes e la vera geopolitica: elogio della teoria”, Limes, Rivista Italiana
di Geopolitica, n. 4/1996, pp. 307-313). L’Autore osserva in particolare: “Dotata, nonostante tutto e fin dalle origini, di un’anima
‘globalista’ (…) frutto dell’espansione imperialista, dell’evoluzione delle tecnologie di trasporto e dei sistemi di comunicazione, e oggi
107
del ‘cablaggio” telematico, la dimensione spaziale della politica sta diventando ancora una volta il metro di misura dell’interazione
politica fra attori operanti nel sistema internazionale, proprio nel momento in cui il collasso delle ideologie del Novecento si fa più
palese”.
162. Tale la prospettiva del Santoro, il quale da un lato tende ad avversare la g. critica in quanto conferirebbe allo studio della geopolitica
una funzione fondamentalmente descrittiva, dall’altro tende ad attribuire al medesimo il ruolo tipico ad esso conferito dalla cd.
geopolitica neoclassica (Cfr. note 120 e 151). A fronte di ciò, lo studioso (Cfr. nota 161) lamenta il fatto che “L'approccio moderno
alle relazioni internazionale (…) ha (…) troppo spesso trascurato il fattore di contesto per privilegiare il fattore interattivo. Ha
prestato più attenzione al contenuto sistemico rispetto al contenitore territoriale, e soprattutto alle differenze spazio-temporali e
culturali, in nome di una spiccata tendenza alla globalizzazione”.
163. Il testo tra virgolette è dello stesso C.M. SANTORO (Cfr. nota 161).
In tema di valore cognitivo dell’immaginazione, Cfr. nota 182. Sul medesimo tema, una famosa citazione di A. EINSTEIN:
“Imagination is more important than knowledge. For knowledge is limited to all we now know and understand, while imagination
embraces the entire world, and all there ever will be to know and understand”. Vedi il sito http://www.quoteyard.com/imagination-is-
more-important-than-knowledge-for-knowledge-is-limited-to-all-we-now-know-and-understand-while-imagination-embraces-the-
entire-world/
164. G. LIZZA sostiene che, nella misura in cui oggigiorno “la società vive sempre di più, contemporaneamente, a un livello
sovranazionale e infranazionale, e sempre di meno a un livello nazionale (…)” lo Stato rappresenta storicamente “la forma
giuridicamente più perfetta e strutturalmente evoluta e complessa della società, quella che più incisivamente e sensibilmente può
agire nell’organizzazione del territorio e dei gruppi umani, quando si basa sulla determinazione di dati valori e desideri sentiti dalla
totalità o almeno dalla maggioranza della popolazione (che gli assicura il suo consenso) ed è finalizzata al soddisfacimento delle
istanze popolari, regionali e locali, così da superare il concetto di Stato-nazione – proprio dell’Ottocento – e diventare un cosiddetto
Stato composito” (Cfr. nota 23 pp. 109 e 119).
165. Sul “moderno” concetto di “stato nazione”, Cfr. nota 14.
166. Robert COOPER (“Fine delle Nazioni – Ordine e Caos nel XXI secolo”, Lindau, Torino, 2004), ispirandosi al pensiero di Mann (The
Sources of Social Power, Cambridge University Press, 1986) spiega la natura degli stati-nazione e le loro relazioni col potere
globale, proponendo di dividere i vari stati in tre categorie: quelli “premoderni”, sempre prossimi al caos, come la Somalia e
l’Afghanistan, quelli “moderni”, che perseguono senza esitazioni i propri interessi nazionali, come Cina, Brasile e India, e quelli
“postmoderni” (gli Stati che compongono l’Unione Europea e il Giappone), che hanno volontariamente rinunciato a parte della loro
sovranità e indipendenza in nome di valori quali l’apertura, la legge, la sicurezza reciproca. Gli USA, secondo l’autore, non hanno
ancora deciso se abbracciare il mondo postmoderno dell’interdipendenza o se continuare nell’unilateralismo e nell’esercizio della
potenza, anche militare. Cooper sostiene che il problema fondamentale per gli Stati postmoderni è come operare in un mondo nel
quale i missili e i terroristi ignorano le frontiere e dove le certezze della Guerra Fredda non esistono più. Egli ritiene che gli europei
debbano essere pronti ad usare anche la forza, se vogliono davvero salvaguardare ciò che hanno raggiunto, e formula una teoria
dell’imperialismo cooperativo, sottolineando i valori morali che sottostanno alle scelte di politica estera.
167. Enzo CANNIZZARO osserva come “il mondo contemporaneo non ammette, se non in rare ipotesi, casi di territorio non sottoposti a
controllo statale”, “Corso di Diritto Internazionale”, Ed. Giuffrè, 2011 (p. 284). L’accesso degli Stati agli spazi marittimi, a sua volta, è
disciplinato dal diritto internazionale marittimo.
L’inesistenza di territori “giuridicamente” liberi da un lato e l’affermarsi del divieto dell’uso della forza nelle relazioni tra Stati
dall’altro, hanno comportato il venir meno di almeno due (occupazione di porzioni di terra non appartenenti ad altri Stati e conquista
mediante ricorso all’uso o alla minaccia dell’uso della forza militare) tra i quattro principali “modi di acquisto del territorio” riconosciuti
dal diritto internazionale consuetudinario. Permangono dunque, da un punto di vista teorico, le ipotesi di “cessione” di territori per
mezzo di trattati consensuali tra stati e quelle di “accessione” a nuovi territori originati da processi naturali. L’inesistenza di territori
“liberi” condiziona drammaticamente la nascita di “nuovi” Stati. Tuttavia, come è stato osservato, in trent’anni il numero dei paesi
della terra è triplicato. In buona misura, tale dato scaturisce da un lato dal realizzarsi graduale e spesso conflittuale lento processo
di decolonizzazione seguito al secondo dopoguerra, dall’altro lato, dal collasso dell’Unione Sovietica (in tal senso, Martin Ira
GLASSNER (Cfr. nota 38, ult. parte).
168. Nel 1946 sul pianeta già non vi erano più terrae incognitae e la geografia sembrava arrivata a un punto morto. Quell’anno John K.
Wright all’apertura del quarantatreesimo incontro annuale dell’Associazione dei Geografi Americani di cui era presidente, affermò
“se per terra incognita intendiamo un’area che ignoriamo totalmente, allora oggi non esistono più terrae incognitae sulla faccia
della terra”.
Oggigiorno, tuttavia, eventi naturali (e non) come il ritiro dei ghiacciai, le deforestazioni, le costruzioni di dighe o la creazione di
bacini d’acqua, lasciano aperte le porte a sempre nuove forme/ipotesi di territorializzazione e dunque a dinamiche rilevanti anche ai
fini delle R.I. Al riguardo dello scenario geopolitico dell’area artica, v. il Quaderno Speciale n. 2/2008 pubblicato dalla Rivista Limes,
dal titolo: “Partita al Polo”. Nel suo editoriale, L. CARACCIOLO commenta: “L’innalzamento delle temperature e lo scioglimento dei
ghiacci artici aprono un nuovo scenario che dilata l'estensione dello spazio geopolitico del nostro pianeta. La Partita al Polo
promette poste in gioco più che rilevanti, che avranno ripercussioni globali (…)”.
169. Gli studiosi sono spesso respinti da quello che sembra eccessivamente ovvio. Corre l’obbligo, tuttavia, di specificare che, come
peraltro si è detto attraverso un’analisi non così ovvia (Cfr. nota 60) che non esistono, di fatto, Stati con una popolazione del tutto
108
omogenea sotto il profilo storico e culturale (né tantomeno sociale ed economico), per cui anche gli Stati cd. Nazione comprendono
ampie minoranze etniche, religiose, linguistiche; inoltre, sono molti gli Stati cd. compositi. In generale:
- gli Stati moderni sono diversamente caratterizzati, sotto il profilo strutturale, in ragione dei rispettivi ordinamenti giuridici e delle
politiche sociali ed economiche;
- esistono varie forme di classificazione degli Stati, a seconda che il parametro sia costituito da: dimensioni territoriali, posizione
geografica, omogeneità culturale, pil, demografia – risorse – vie di comunicazione) e territorio, popolazione e curva demografica,
sistema economico, strutture politiche e sociali, ideologia, potenza militare, ambiente, sviluppo scientifico e tecnologico ecc.
Come si è detto, gli Stati sono entità territoriali storicamente soggette - per cause di ordine sociale, economico, politico - a profondi
mutamenti: si pensi alle recenti vicende che nell’arco di circa un decennio (tra il 1989 e il 1999) hanno dato luogo al crollo del
sistema sovietico nell’Europa centrorientale, alla disgregazione dell’Unione Sovietica, alla dissoluzione dello Stato Iugoslavo, alla
scissione della Cecoslovacchia, con conseguenti riflessi sulla nascita di nuovi soggetti e la successiva graduale riconfigurazione
spaziale di organizzazioni internazionali come l’ONU e regionali come l’Unione Europea. Gli eventi del post Guerra Fredda hanno
avuto altresì conseguenze dirette sul “tradizionale” assetto delle Alleanze politico-militari del secondo dopoguerra (NATO e Patto di
Varsavia, in primis).
170. Al riguardo, il geografo Y. LACOSTE (Cfr. nota 137) ha sottolineato che:
- ci sono in Europa (soprattutto nell’area balcanica) e in altre parti del mondo “una serie di conflitti nei quali la posta in gioco non è
più la terra come poteva essere un tempo, e nemmeno una morale per l’umanità (…), ma parti di territorio molto precise,
rivendicate per ragioni intricatissime: territori storici, territori-simbolo disputati fra nazioni rivali”;
- per giustificare le proprie rivendicazioni e i propri diritti su dei territori, o per concepire le proprie strategie, i protagonisti (i capi di
stato e i loro consiglieri), tenuto conto delle loro rappresentazioni geopolitiche personali e collettive, si riferiscono a diversi tipi di
argomentazioni o di ragionamenti che appartengono all’arsenale delle teorie geopolitiche;
- “lo sviluppo della libertà di stampa e della libertà di espressione in un sempre maggior numero di paesi provoca la moltiplicazione
delle rivendicazioni geopolitiche di dimensione locale, regionale e nazionale”.
In tema di valore simbolico del territorio, nell’ottica di rivendicare l’importanza delle diversità culturali, è stato osservato che
oggigiorno “la terra è in effetti un mondo in cui, praticamente, non esistono vuoti, spazi disabitati. Così come nessuno di noi è al di
fuori o al di là della geografia, nessuno di noi è completamente libero dalla lotta per la geografia. Questa lotta è complessa e
interessante perché si tratta non solo di soldati e cannoni, ma anche di idee, forme, immagini e fantasie (. . .)”, Edward L. SAID,
“Cultura e imperialismo”, Gamberetti, 1995.
Un caso particolare di “costruzione” di entità statale è rappresentato dallo Stato di Israele. Il filosofo Roberto ESPOSITO, nel
recensire il libro di Donatella Di Cesare dal titolo “Israele. Terra, ritorno, anarchia”, edito da Bollati Boringhieri, ha pubblicato un
articolo sulla Repubblica del 03.02.2014, col quale osserva: “È una intensa riflessione filosofica, dall'angolo di visuale dell'eccezione
ebraica, sul rapporto tra popolo, nazionalità e Stato nell'epoca della globalizzazione. Lo 'stato' - nel senso del modo di essere, oltre
che dell'organismo politico - di Israele non può essere omologato agli altri Stati sovrani, uniti tra loro dal nomos della terra. E ciò non
soltanto per la ferita irrimarginabile inferta dalla Shoah, ma per una storia radicata in un rapporto con la trascendenza che sporge
dall'orizzonte immanente della politica moderna. Tale eccedenza è testimoniata dal destino ambivalente del sionismo (…). Il destino
di Israele non è lo Stato, ma qualcosa che, attraverso di esso, si pone al contempo anche al suo esterno. Come sostiene Lévinas, la
stella di David brilla nel punto di tensione tra identità e alterità, spazio e tempo, terra e cielo. Solo restando fedele all'attesa, Israele
può corrispondere alla promessa di cui è esito e testimonianza”. R. Esposito, “Il nuovo ordine del mondo nell’eccezione di Israele”,
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2014/02/03/il-nuovo-ordine-del-mondo-nelleccezione-di.html.
171. E’ da rammentare, al riguardo, che il possesso del territorio comporta la sovranità sullo spazio aereo sovrastante, sulla eventuale
fascia costiera, ecc. Di conseguenza, la difesa e la sicurezza del territorio presuppone, per uno Stato costiero, la disponibilità e la
prontezza operativa di un adeguato dispositivo di forze (terrestri, marittime, aeree) che dovendo operare congiuntamente in una
ampia gamma di missioni, siano estremamente versatili e tecnologicamente all’avanguardia.
A ciò si aggiunga il fatto che, ai fini strategici, anche in una fase di avanzata tecnologia, può divenire la sede per l’installazione, il
mantenimento e l’uso di basi militari, l’avamposto per il controllo di traffici mercantili e non, il corridoio per il passaggio di mezzi
militari/trasporti terrestri, il controllo e/o lo sfruttamento di risorse naturali pregiate, ecc.
172. In generale, si rileva che i soggetti (anche internazionali e transnazionali) interessati agli affari di carattere economico e finanziario,
avendo necessità di assicurarsi condizioni di libertà d’accesso e certezza dei mercati di scambio e dei luoghi di produzione,
beneficiano degli interventi degli Stati intesi a favorire la difesa e la sicurezza del territorio.
173. A titolo di esempio, si pensi alla recente (22 maggio 2013) Decisione 2013/233/PESC del Consiglio dell’Unione Europea, intesa a
“fornire alle autorità libiche sostegno per sviluppare la capacità di accrescere la sicurezza delle frontiere (…) a breve termine e
assistenza per sviluppare un concetto più ampio di gestione integrata delle frontiere a più lungo termine”, mediante l’istituzione di
missione civile di PSDC (politica di sicurezza e di difesa comune) denominata EUBAM (EU Border Assistance Mission) Lybia, da
condursi nel contesto di una situazione suscettibile di “deteriorarsi e ostacolare il conseguimento degli obiettivi dell’azione esterna
dell’Unione enunciati nell’articolo 21 del trattato sull’Unione europea (TUE)”.
174. Non è questa la sede per approfondire il tema del cd. “arab arising”, fenomeno di protesta manifestatosi inizialmente in Tunisia, i
cui effetti continuano ad avere ampia risonanza a livello di politica internazionale, anche in ragione del fatto che le crisi interne agli
Stati islamici dell’area meridionale e orientale del mediterraneo spesso sono state e continuano ad essere strumentalizzate da
movimenti che si ispirano a forme di estremismo religioso oppure a dichiarata tendenza terroristica.
Il Mediterraneo, per la sua caratteristica di “mare fra le terre”, è una realtà geografica assimilabile ad un vero e proprio variegato
territorio, scenario di significative vicende storiche umane. Lo studioso David ABULAFIA, a conclusione di un approfondito studio
storico, ha affermato: “il Mediterraneo ha finito (…) per diventare forse il più dinamico luogo di interazione tra società diverse sulla
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faccia del pianeta, giocando nella storia della civiltà umana un ruolo assai più significativo di qualsiasi altro specchio di mare”, “Il
Grande Mare”, Mondadori, Firenze, 2013.
175. Cfr. nota 152.
176. Dal 1991 il HIIK è impegnato nella diffusione della conoscenza circa l'emergere, l’evoluzione e la risoluzione dei conflitti politici
interstatali e intrastatali. Il “Barometro dei conflitti” viene pubblicato annualmente e contiene il risultato delle ricerche. E’ reperibile
sul sito http://www.hiik.de/en/
177. I complessivi 396 conflitti rilevati dal HIIK nel 2012 risultano classificati in cinque livelli, sulla base della loro crescente intensità:
105 disputes; 83 non-violent crises, 165 violent crisis, 25 limited wars, 18 wars. Nel 2011 i conflitti furono 387, mentre nel 2009 se
ne rilevarono 365: è evidente che si registra una escalation, nel settore dei conflitti.
178. A fronte di tale situazione, è abbastanza significativo il grafico in allegato 5, che rappresenta i dati inerenti le spese che le entità
statali sopportano per garantirsi le esigenze di sicurezza militare.
179. Il totale considerato (262) rappresenta un dato “complessivo” dei conflitti che, in senso ampio, sono collegati a questioni territoriali:
in tale chiave di lettura, sono state altresì considerati i conflitti connessi allo sfruttamento di risorse naturali. Tale dato aggregato
risulta pari al doppio dei conflitti connessi a divergenze ideologiche o religiose, che pure è il dato “semplice” che in asso luto risulta
essere il più elevato.
Il rapporto dell’Istituto tedesco mostra in effetti i seguenti dati: 130 conflitti connessi a “system/ideology” (il perseguimento di un
cambiamento del sistema politico o economico oppure a divergenze ideologiche/religiose; 88 conflitti connessi al tentativo di
conquistare “national power”; 81 conflitti connessi a “resources”; 79 conflitti connessi a “subnational predominance”
(conseguimento del controllo di fatto su un territorio o su una popolazione); 54 conflitti connessi a “territory”; 48 conflitti connessi a
“secession” (la separazione di un territorio da uno stato esistente al fine di istituirvi un nuovo Stato o annetterlo ad uno esistente); -
41conflitti classificati “other”; 40 conflitti connessi ad “autonomy” (conseguimento di maggiori diritti politici, socioeconomici o culturali
all’interno di una entità statale); 33 conflitti connessi a “international power”; 00 connessi a processi di decolonializzazione.
180. Negli ultimi decenni si è speculato a tal punto sul concetto del terrorismo quale forma di minaccia “asimmetrica”, priva di confini
territoriali e agevolata nel suo consolidamento - nell’era della globalizzazione – dal ricorso alla dimensione cibernetica, da
sottovalutarsi in modo poco scusabile il principio per cui ogni e qualsiasi fenomeno umano (a carattere sociale, culturale, religioso,
economico, politico) è destinato in ogni caso a generarsi, manifestarsi e incidere, prima o poi, nello spazio geografico terrestre.
Sul complesso tema dell’affermarsi dell’ISIS, Loretta NAPOLEONI, "Isis, Stato del terrore", Feltrinelli, Milano, 2014.
E’ molto significativo il fatto che il processo in atto, di territorializzazione dell’ISIS, si accompagna a violente operazioni di
deterritorializzazione consistenti nella distruzione sistematica di monumenti storici presenti sui territori che vengono reclamati quale
“sede storica” del califfato” e percepiti come simbolo e impronta di culture considerate ostili (Cfr. nota 46).
Dante ALIGHIERI, nella sua Commedia (1304 – 1321) recita: “l’aiuola che ci fa tanto feroci, volgendom' io con li etterni Gemelli,
tutta m'apparve da' colli a le foci” (V. Paradiso, Canto XII, 151).
Il concetto dantesco della Terra come “aiuola” viene fatto risalire dagli studiosi a BOEZIO (Cfr. nota 17), che nel De Consolatione
Philosophiae, II, 7 definisce il pianeta “angustissima area”. Il filosofo medievale romano, a sua volta, probabilmente aveva a mente il
passo di M. T. CICERONE (106 – 43 a.C.) nel suo De Republica VI, 20 (55-51 a.C.): “Sentio ... te sedem etiam nunc hominum ac
domum contemplarisi. Si tibi parva, ut est, ita videtur, haec caelestia semper spectato, illa humana contemnito … Omnis enim terra,
quae colitur …, angustata verticibus, lateribus latior, parva quaedam insula est circumfusa illo mari, quod Atlanticum, quod
magnum, quem Oceanum appellatis in terris, qui tamen tanto nomine quam sit parvus vides” [“Mi accorgo che contempli ancora la
sede e la dimora degli uomini; ma se davvero ti sembra così piccola, quale in effetti è, non smettere mai di tenere il tuo sguardo
fisso sul mondo celeste e non dar conto alle vicende umane (…). Nel suo complesso infatti la terra (…) abitata, stretta ai vertici, più
larga ai lati, è, come dire, una piccola isola circondata da quel mare che sulla terra chiamate Atlantico, Mare Magno, Oceano, ma
che, a dispetto del nome altisonante, vedi bene quanto sia minuscolo”]. Lo stesso CICERONE, nell’opera menzionata - attraverso
un percorso inverso a quello di DANTE, che osserva la Terra dall’alto - punta il dito verso il cielo per indicare l’esistenza di un aldilà,
quasi un paradiso laico per coloro i quali operano per il bene dello stato e praticano la politica come espressione più alta della vita.
Si tratta del passo in cui Scipione l'Africano, apparso in sogno al nipote adottivo Scipione Emiliano, indica la Via Lattea e
raccomanda: “Sed quo sis, Africane, alacrior ad tutandam rem publicam, sic habeto: omnibus, qui patriam conservaverint,
adiuverint, auxerint, certum esse in caelo definitum locum, ubi beati aevo sempiterno fruantur; nihil est enim illi principi deo, qui
omnem mundum regit, quod quidem in terris fiat, acceptius quam concilia coetusque hominum iure sociati, quae civitates
appellantur; harum rectores et conservatores hinc profecti huc revertuntur” [Ma perché tu sia più pronto a difendere lo Stato,
Africano, tieni presente questo: per tutti gli uomini che abbiano conservato gli ordinamenti della patria, si siano adoperati per essa,
l'abbiano resa potente, è assicurato in cielo un luogo ben definito, dove da beati fruiscono di una vita sempiterna. A quel sommo dio
che regge tutto l'universo, nulla di ciò che accade in terra è infatti più caro delle unioni e aggregazioni di uomini, associate sulla
base del diritto, che vanno sotto il nome di città: coloro che le reggono e ne custodiscono gli ordinamenti partono da questa zona
del cielo e poi vi ritornano]. V. http://www.classicitaliani.it/dante1/somnium.htm. Poco dopo SENECA (Cfr. nota 66 seconda parte),
nelle sue “Naturales Quaestiones”, 1, praefatio 8-11, si sarebbe espresso così: “Hoc est illud punctum quod tot gentes ferro et igne
dividitur? O quam ridiculi sunt mortalium termini! Si quis formicis det intellectum hominis, nonne et illae unam aream in multas
provincias divident? Cum te in illa vere magna sustuleris, quotiens videbis exercitus subrectis ire vexillis et equitem modo
ulteriora explorantem, modo a lateribus affusum, libebit dicere: ‘it nigrum campis agmen. Formicarum iste discursus est in angusto
laborantium. Quid illis et nobis interest nisi exigui mensura corpusculi ? Punctum est istud in quo navigatis, in quo bellatis, in quo
regnatis. Sursum ingentia spatia sunt, in quorum possessionem animus admittitur”. ["È tutto qui quel punto che viene diviso col ferro
e col fuoco fra tante popolazioni? Oh, come sono ridicoli i confini dei mortali! Se qualcuno desse alle formiche l’intelletto di un uomo,
110
non dividerebbero forse anch'esse una sola aia in molte province? Quando ti sarai innalzato a quelle realtà veramente grandi, tutte
le volte che vedrai eserciti marciare a vessilli spiegati e la cavalleria ora andare in avanscoperta, ora sparsa ai lati, farà piacere dire:
‘Va la nera schiera per i campi: codesto è un correre qua e là di formiche che si affaticano in uno spazio ristretto. Che differenza c’è
fra noi e loro, se non le dimensioni di un esiguo corpicino?’ È un punto codesto in cui navigate, in cui combattete, in cui regnate. In
alto vi sono spazi immensi, al cui possesso è ammessa l’anima”]. A circa un secolo di distanza, il siriano Luciano di SAMOSATA
(120-180 d.C.), nel “dialogo con Menippo”, in lingua greca recitava: “E prima mi sembrò molto piccola veder la terra, assai più
piccola della luna; per modo che a un tratto volgendomi in giù, non sapevo più dove fossero questi monti e questo sì gran mare; e
se non avessi scorto il colosso di Rodi e la torre del Faro, la mi saria interamente sfuggita. Ma queste due moli altissime, e l'Oceano
che tranquillo rifletteva i raggi del sole, mi fecero accorto che io vedevo la terra. E come vi ficcai gli occhi attenti mi si parò innanzi
tutta la vita umana, non pure le nazioni e le città, ma gli uomini stessi, chi navigava, chi guerreggiava, chi coltivava i campi, chi
piativa; e le donne, e le bestie, e tutto quello che l'almo seno della terra nutrisce (…). Volsi giù lo sguardo alla terra, e vidi
chiaramente le città, gli uomini, e tutto ciò che essi facevano non pure a cielo scoperto, ma nelle case dove credono che nessuno li
vegga (…). Raccontarti tutte le cose per filo è impossibile, o amico mio (…). Le principali eran come quelle che Omero descrive
rappresentate su lo scudo d'Achille: qua nozze e conviti, là tribunali ed adunanze; in un luogo si faceva sagrifizi, in un altro si
piangeva un morto. Gettavo lo sguardo nella Getica, e vedeva i Geti guerreggiare; più in là su gli Sciti, e li vedeva erranti su le loro
carrette; volgevo l'occhio un po' dall'altra banda e miravo gli Egiziani coltivare la terra, i Fenicii trafficare, i Cilicii pirateggiare, gli
Spartani farsi flagellare, gli Ateniesi piatire. Da tutte queste cose che accadevano nello stesso tempo considera tu che guazzabuglio
pareva (…). Di questa confusione è composta la vita umana; gli uomini non pure parlano in diverso tuono, ma vestono in diverse
fogge, si muovono in diverso modo, e pensano con diversi capi, finché il maestro che batte il tempo li scaccia ad uno ad uno dalla
scena, dicendo che non bisognano più (…). Insomma tutte le cose svariatissime che si rappresentano su questo gran teatro mi
parevano ridicolezze: e specialmente mi facevan ridere coloro che contendono per un pezzo di terra, che superbiscono di coltivare
le pianure di Sicione, o di possedere quella di Maratona presso il monte Enoe, ovvero mille iugeri in Acarnania; perchè tutta la
Grecia, di lassù, non mi pareva di quattro dita, e in paragone l'Attica non era più che un punto. Onde io pensavo quanta è la parte
che ne hanno i ricchi che ne menano tanta superbia: chi di essi possiede più iugeri mi pareva che coltivasse uno degli atomi di
Epicuro”. V. http://sentieridellamente.it/files/Questioni-naturali.pdf
181. “(…) nos esse natos, ut et communiter ad eas virtutes apti essemus, quae notae ilustresque sunt, iustitiam, dico, temperantiam,
ceteris generis eiusdem (…) easque ipsas virtutes (…) nos magnificentius appetere et ardentius, habere etiam insitam quandam vel
potius innatam cupiditatem scientiae natosque esse ad congregationem hominum et ad societatem communitatemque generis
humani (…)” [M. T. Cicerone (106 a.C. – 43 a.C.) – De finibus Oratio, Liber IV, 4].
182. In tema di “valore cognitivo dell’immaginazione”, Giacomo CORNA-PELLEGRINI (1931 – 2001), nel suo articolo dal titolo
“Geografia culturale, geo-politica e immaginazione cognitiva”, annota: “I contrasti geopolitici hanno (…) generalmente le loro radici
nella difficile convivenza, su uno stesso territorio, di popolazioni culturalmente diverse, nessuna delle quali tollera l' influenza e
peggio il controllo che altra da sé propone o impone. La distanza, spesso, non è affatto d'ordine etnico, bensì strettamente culturale
(spesso religiosa, ideologica o soltanto di costumi sociali). Essa si fa tanto maggiore quando, da una parte, risulta difficile o
addirittura impossibile percepire il punto di vista altrui (…) Il lento progresso di consapevolezza della diversità tra conoscenza diretta
della realtà e immaginazione di un' altra realtà diversa dalla prima, verso cui orientarsi, fu probabilmente la linea centrale di
evoluzione: dai primati agli ominidi e poi all' homo sapiens (…). La conoscenza della realtà esterna muove dal livello sensoriale (la
vista, il tatto, l' udito, l' olfatto, il gusto) e si approfondisce attraverso procedimenti di connessione tra i diversi fenomeni percepiti; tra
essi è essenziale quello di "causa-effetto". L' immaginazione nasce, a sua volta, da una qualche conoscenza della realtà, e procede
aggiungendo però, agli elementi da essa apportati, nuovi elementi, non constatati in alcun modo attraverso i sensi, ma invece
inventati o creati dalla mente (…). Come nella vita quotidiana di ogni uomo, così anche nella ricerca scientifica la conoscenza e l'
immaginazione si sono sempre trovate l' una accanto all' altra: l' una indispensabile supporto all' altra (…). Immaginare ciò che non
si conosce è (…) procedimento abituale, ma anche delicato e talora foriero di errori (…). Nel ‘grande oltre’ della cartografia cinese o
nell' ‘hic sunt leones’ della cartografia medioevale occidentale, i confini delle terre sono soltanto abbozzati, proprio perché sono
soltanto immaginati (…). La scoperta del Nuovo Mondo da parte di Cristoforo Colombo, fu il risultato dell' erronea immaginazione
che un solo oceano separasse l' Europa dall' Asia orientale (...). Pur tenendo conto di tutto ciò che di una organizzazione territoriale
è osservabile, misurabile e quantificabile, sarebbe spesso impossibile descrivere i caratteri culturali di un territorio e dei suoi abitanti
senza ricorrere ad una lettura e interpretazione in gran parte soggettive, legate alle capacità immaginative di chi tenta di
rappresentarli e di comprenderli attraverso la loro cultura immateriale (…). Una delle modalità più importanti e delicate del l'
immaginazione è quella di porsi "nello sguardo altrui" (…). Dare spazio alla immaginazione come strumento cognitivo è dunque un'
operazione complessa, perché - in sede scientifica - richiede comunque conferme che solo con altri mezzi di conoscenza si
possono raggiungere (…). L' immaginazione è però il primo passo per raggiungere risultati che, senza di essa, sarebbero
impossibili”. V. il sito http://www.ub.edu/geocrit/b3w-198.htm. (consultato il 7 febbraio 2015).
L’Autore, in premessa all’articolo su riportato, sostiene: “Nella Geografia culturale la necessità di ricorrere alla immaginazione,
accanto alla conoscenza diretta e documentata dei fatti, è particolarmente forte, poiché gli oggetti di questa branca del conoscere
sono, accanto alla cultura materiale (cibarsi, vestirsi, abitare, lavorare), i modi stessi di pensare delle persone, la loro filosofia della
vita, i valori cui attribuiscono particolare importanza, l' immagine che hanno di sé e gli altri di loro: cioè i principali caratteri della
cultura immateriale”. Viene alla mente la suggestiva rappresentazione contenuta nel saggio dal titolo “A Week on the Concord and
Merrimack Rivers” (1849) di H. D. THOREAU (Cfr. nota 158): “This world is but a canvas to our imagination”.
Carl SAUER nel 1931, sulla scia degli studi di A. von Humboldt, E. Kapp, C. Ritter, F. Ratzel (Cfr. nota 114), delineò i principi
fondamentali e gli obiettivi della Geografia Culturale definendola quale “applicazione dell’idea di cultura ai problemi geografici” (in tal
senso Adalberto VALLEGA, “Geografia culturale. Luoghi, spazi, simboli”, Torino, Utet, 2003, p. 21).
Come si evince dall’articolo di Corna-Pellegrini, l’appello all’immaginazione cognitiva nell’approccio alla g. culturale si risolve, in
qualche modo, in una forma di affascinante convergenza tra il campo di studio della medesima e quello della geopolitica applicata
alle R.I..
111
183. E’ di Albert EINSTEIN la seguente affermazione: “Let’s not pretend that things will change if we keep doing the same things. A crisis
can be a real blessing to any person, to any nation. For all crises bring progress. Creativity is born from anguish, just like the day is
born form the dark night. It’s in crisis that inventiveness is born, as well as discoveries made and big strategies. He who overcomes
crisis, overcomes himself, without getting overcome. He who blames his failure to a crisis neglects his own talent and is more
interested in problems than in solutions. Incompetence is the true crisis. The greatest inconvenience of people and nations is the
laziness with which they attempt to find the solutions to their problems. There’s no challenge without a crisis. Without challenges, life
becomes a routine, a slow agony. There’s no merit without crisis. It’s in the crisis where we can show the very best in us. W ithout a
crisis, any wind becomes a tender touch. To speak about a crisis is to promote it. Not to speak about it is to exalt conformism. Let us
work hard instead. Let us stop, once and for all, the menacing crisis that represents the tragedy of not being willing to overcome it.”
[traduzione: “Non aspettiamoci che il mondo possa cambiare se continuiamo a fare sempre le stesse cose. La crisi è la più grande
benedizione per le persone e le nazioni, perché la crisi porta progressi. La creatività nasce dall’angoscia come il giorno nasce
dalla notte oscura. È nella crisi che sorgono l’inventiva, le scoperte e le grandi strategie (…). Chi attribuisce alla crisi i propri
fallimenti e difficoltà, violenta il suo stesso talento e dà più valore ai problemi che alle soluzioni (…). L’ inconveniente delle
persone e delle nazioni è la pigrizia nel cercare soluzioni e vie di uscita. Senza crisi non ci sono sfide, senza sfide la vita è una
routine, una lenta agonia (…). Parlare di crisi significa incrementarla, e tacere nella crisi è esaltare il conformismo. Invece,
lavoriamo duro. Finiamola una volta per tutte con l’unica crisi pericolosa, che è la tragedia di non voler lottare per superarla”]. V.
http://www.cemp-international.it/upload/cempnews7.pdf
184. Il testo originale recita: “Quaerit etiam ratione animus, cum summa loci sit / lnfinita foris haec extra moenia mundi, / Quid sit ibi
porro, quo prospicere usque velit mens; / Atque animi jactus liber quo pervolet ipse”. Tito LUCREZIO Caro (primo decennio del sec.
1° a. C. – 55 circa a.C), “De rerum natura”, Lb. 2, vv. 1044-47.
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NOTA SUL Ce.Mi.S.S. e NOTA SULL’AUTORE
Ce.Mi.S.S.185
Il Centro Militare di Studi Strategici (Ce.Mi.S.S.) è l'Organismo che gestisce, nell'ambito e per conto del
Ministero della Difesa, la ricerca su temi di carattere strategico.
Costituito nel 1987 con Decreto del Ministro della Difesa, il Ce.Mi.S.S. svolge la propria opera valendosi di
esperti civili e militari, italiani ed esteri, in piena libertà di espressione di pensiero.
Quanto contenuto negli studi pubblicati riflette quindi esclusivamente l'opinione del Ricercatore e non
quella del Ministero della Difesa.
Contrammiraglio Emanuele MARTINA
Laureatosi in Giurisprudenza nel 1982 presso la Facoltà di Giurisprudenza
dell’Università degli Studi di Bari, dopo il Corso per Ufficiali a Nomina Diretta a
cura dell’Accademia Navale di Livorno, prestando servizio nella Marina
Militare ha svolto innumerevoli incarichi, a bordo e a terra, nei tipici settori di
competenza del Corpo di Commissariato Militare Marittimo. Nell’ultimo
periodo il Contrammiraglio Martina ha espletato le funzioni di Capo Ufficio
Dottrina Logistica del Reparto Logistica dello Stato Maggiore M.M., Direttore
della Direzione di Commissariato M.M. di Augusta, Addetto di Forza Armata
per il Comitato di Bilancio Militare della NATO, Direttore Amm.vo e
Consulente Legale del Comando Logistico M.M. di Napoli. Ha frequentato, in Italia e all’estero, vari Corsi di
formazione professionale nel settore della logistica militare. Al termine della frequenza di apposito corso a
cura dell’Istituto Alti Studi della Difesa e dell’Università degli Studi La Sapienza di Roma, ha conseguito, nel
2014, Master Universitario Interfacoltà di II livello in Strategia globale e sicurezza.
__________________
185 http://www.difesa.it/SMD_/CASD/IM/CeMiSS/Pagine/default.aspx