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giugno 2014 Consiglio delle Autonomie locali dell’Umbria Attribuzione delle funzioni amministrative ai Comuni in attuazione dell’art. 118 comma I della Costituzione. Analisi della legislazione della Regione Umbria dal 2003 al 2013 dopo la riforma del Titolo V della Costituzione

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giugno 2014

Consiglio delle Autonomie locali dell’Umbria

Attribuzione delle funzioni amministrative ai Comuni

in attuazione dell’art. 118 comma I della Costituzione.

Analisi della legislazione della Regione Umbria dal 2003 al 2013

dopo la riforma del Titolo V della Costituzione

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INDICE

Parte Prima pag. 3

(Finalità della ricerca. Evoluzione del quadro normativo)

Parte Seconda pag. 27

(L’attribuzione delle funzioni amm.ve in Umbria)

Parte Terza pag. 35

(Esame della principale legislazione regionale umbrain materia di attribuzione di funzioni amministrative)

Parte Quarta pag. 40

(Schede di lettura delle ll.rr. umbre)

Parte Quinta pag. 156

(Giurisprudenza della Corte Costituzionale)

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PARTE PRIMA

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1. LA RICERCA

1.1. Le finalità della ricerca Ad ormai 13 anni dall’emanazione della novella costituzionale del 2001, appare opportuno analizzare come si sia, nel tempo, dispiegata la produzione legislativa della Regione Umbria, con particolare riferimento alle modalità di attribuzione delle funzioni amministrative nelle materie di sua competenza, in relazione sia ai soggetti costituzionalmente previsti – gli Enti locali ed in particolare i Comuni, – sia ad altre modalità di gestione di tali funzioni.

1.2. Le modalità di realizzazione Il lavoro intende fornire un’analisi della normativa legislativa regionale adottata dal 2003 al 2013 al fine di:– valutare lo stato di applicazione dell’art. 118 comma primo della Cost. nella parte in cui prevede che le funzioni amministrative, nelle materie di competenza legislativa regionale, debbano essere conferite ai Comuni salvo che in base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza possano essere conferite a (Città metropolitane) Province, Regioni, Stato.In particolare è emersa l’esigenza di analizzare il dato normativo legislativo regionale per porre in adeguata considerazione i seguenti ulteriori aspetti:– l’entità delle funzioni conferite dalla Regione agli enti locali, verificando se si tratta di funzioni “piene”, di parti di funzioni ovvero di semplice coinvolgimento procedurale degli enti locali al fine di adottare un atto che comunque resta di competenza regionale;– quali strumenti siano stati impiegati dal legislatore regionale con l’effetto concreto di non conferire ai Comuni alcune funzioni amministrative;– la sussidiarietà nel suo dispiegarsi in modo orizzontale e verticale e la conseguente eventuale non attribuzione ai Comuni per allocarle ad un livello più ampio/superiore.

2. IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO FINO AL 2001

2.1. Il dettato costituzionale La Costituzione del 1948, all’art. 118, poneva quale principio generale di allocazione delle funzioni amministrative il parallelismo tra esse e le funzioni legislative dello Stato e delle Regioni. A queste ultime sarebbero spettate le funzioni amministrative per le materie elencate all’art. 117, comma 1, Cost., oggetto di potestà legislativa concorrente. Lo Stato invece avrebbe beneficiato di una competenza generale, considerato il carattere residuale delle materie nelle quali poteva legiferare.Tale rigida ripartizione subiva però delle rilevanti deroghe: anche nelle materie di cui all’art. 117, comma 1, Cost. con legge della Repubblica si potevano attribuire alle Province, ai Comuni e agli altri Enti locali le relative funzioni amministrative. Lo Stato poteva delegare con legge alla Regione l’esercizio di altre funzioni amministrative, qualora esse avessero mostrato un interesse esclusivamente locale; le Regioni avrebbero dovuto esercitare le proprie funzioni

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amministrative delegandole agli Enti locali o avvalendosi dei loro uffici. Infine, l’art. 128 Cost. stabiliva che la determinazione delle funzioni delle Province e dei Comuni avvenisse con legge generale della Repubblica.Tanto l’art. 118, comma 1, Cost. quanto l’art. 128 Cost. prevedevano, così, una netta separazione dei ruoli tra Regioni ed Enti locali, in quanto prefiguravano un intervento del legislatore statale tendenzialmente rivolto a fissare criteri di ripartizione omogenei su tutto il territorio nazionale. L’art. 118, comma 3, invece, attraverso l’istituto dell’avvalimento e la delega nell’esercizio delle funzioni amministrative, sembrava favorire una sinergia tra il livello regionale e quello locale di governo e assecondare una probabile “regionalizzazione” del riparto di tali competenze. Rispetto a quest’ultimo profilo, il disposto dell’art. 129, comma 1, Cost., sulla assimilazione delle Province e dei Comuni a circoscrizioni di decentramento regionale, è rimasta sostanzialmente priva di seguito.

2.2. Il D.P.R. 616/77 Nel corso degli anni Settanta, con il D.P.R. n. 616 del 1977 si è proceduto ad un cospicuo trasferimento di funzioni amministrative alle Regioni per settori organici di materie (la legge delega n. 382 del 1975 ne individuava quattro, «ordinamento ed organizzazione amministrativa», «servizi sociali», «sviluppo economico», «assetto ed utilizzazione del territorio»). Ciononostante, sia a causa del contestuale “ritaglio in basso” delle competenze a favore degli Enti locali, sia per il persistere dei poteri di indirizzo e coordinamento in capo allo Stato, non si è realizzata una virtuosa collaborazione tra Regioni ed altri enti territoriali.L’attività legislativa regionale che si è sviluppata dopo il DPR 616, con l’approvazione di importanti leggi: riforma sanitaria, istruzione professionale, caccia, trasporti, ha utilizzato ampiamente l’istituto della delega, anche se tale delega è apparsa spesso impropria, con perché parti delle funzioni sono rimaste in capo alla Regione Secondo un’interpretazione avallata anche dalla Corte costituzionale (sent. n. 39 del 1957), la Regione, in quanto titolare della funzione delegata, manteneva, infatti, poteri di direttiva, di controllo e di sostituzione nei confronti degli Enti locali delegati. Le Regioni, inoltre, non si sono avvalse in nessun caso delle possibilità offerte dalla c.d. “amministrazione regionale indiretta”, la cui realizzazione era stata auspicata dal Costituente per «non vedere ulteriormente appesantito un apparato burocratico assai consistente che sommava all’amministrazione statale, centrale e decentrata, quella di Comuni e Province». Il modello di un’amministrazione regionale “snella”, che avrebbe dovuto servirsi degli uffici amministrativi degli Enti locali per esercitare le proprie competenze, non è mai stato seguito da nessuna Regione.

2.3. La legge n. 142 del 1990 Tale legge sull’ordinamento degli Enti locali, si articola secondo i seguenti temi: la disciplina dei controlli, il conferimento delle funzioni amministrative, la cooperazione tra enti territoriali e il rapporto tra la finanza regionale e locale. Rispetto alla materia dei controlli, l’art. 130 Cost. garantiva alle Regioni ampie possibilità di ingerenza nell’attività normativa e amministrativa degli

Enti locali, mediante la costituzione di un organo, il Comitato regionale di controllo (istituito secondo quanto previsto con legge statale e pertanto con caratteristiche uniformi in tutte le Regioni), che esercitava il controllo preventivo di legittimità su tutti gli atti delle Province, dei Comuni e degli altri Enti locali e, ove previsto dalla legge, il controllo di merito nella forma della richiesta motivata di riesame della deliberazione.Per quanto concerne la disciplina delle funzioni amministrative degli Enti locali, la legge n. 142 aveva esteso le possibilità di intervento per il legislatore regionale anche sulla specificazione delle funzioni degli Enti locali, in osservanza, però, dei principi fissati dal legislatore statale, che avrebbe continuato a «provvedere all’individuazione diretta delle competenze locali nella materie non di competenza regionale e ai sensi dell’art. 118, comma 1, nel caso di funzioni amministrative “di interesse esclusivamente locale”».

2.4 La legge 59 1997 (“Bassanini uno”) Tale normativa ha creato i presupposti tanto per la realizzazione del più ampio decentramento amministrativo possibile a Costituzione vigente, quanto per la modernizzazione dell’amministrazione centrale periferica dello Stato, tramite la semplificazione dei procedimenti amministrativi e degli strumenti normativi, con la delegificazione e il ricorso a testi unici. Il criterio sino ad allora seguito per il riparto delle funzioni amministrative viene completamente ribaltato, giacché l’art.1, comma 2, stabiliva che alle Regioni e agli Enti locali fossero conferiti (vale a dire trasferiti, delegati e attribuiti) tutte le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla cura degli interessi e alla promozione dello sviluppo delle rispettive comunità, nonché tutte le funzioni e i compiti amministrativi localizzabili nei rispettivi territori «in atto esercitati da qualunque organo o amministrazione dello Stato, centrali o periferici, ovvero tramite enti o altri soggetti pubblici». Tale clausola residuale a favore delle Regioni e degli Enti locali, il mantenimento in capo allo Stato della sola competenza generale di fissare i principi e i criteri direttivi nelle materie che non rientravano nell’elenco di cui all’art. 1, comma 3, della legge n. 59/1997, e il principio di sussidiarietà hanno rappresentato il vero motore di tale riforma.Il conferimento della generalità delle funzioni a Comuni e Province era temperato, però, dal principio di adeguatezza, che imponeva di tenere conto dell’idoneità organizzativa a svolgere anche in forma associata i compiti assegnati, e dal principio di differenziazione, secondo il quale bisognava procedere ad un trasferimento differenziato delle funzioni, considerando le caratteristiche strutturali, demografiche e territoriali degli enti riceventi.

2.5. Il D.lgs. n. 112 del 1998 Con tale decreto si è ulteriormente ridefinito e precisato (rispetto alla legge delega) il quadro dei rapporti tra Stato, Regioni ed Enti locali quanto alla titolarità e all’esercizio delle funzioni amministrative. Il citato decreto legislativo, infatti, non solo ha provveduto al conferimento di settori organici di funzioni e compiti a ciascuna categoria di destinatari (dallo Stato agli Enti locali e alle autonomie funzionali, in virtù del principio di sussidiarietà orizzontale), ma ha anche chiarito quali funzioni e compiti, pur rientrando nelle materie oggetto del conferimento, sono stati comunque

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attribuiti allo Stato (ad esempio, per quanto riguarda i rapporti internazionali e con l’UE). Infine, l’art. 1, comma 4, del d.lgs. n. 112/1998 ha stabilito che in nessun caso l’intervento dello Stato avrebbe potuto intaccare le funzioni e i compiti già attribuiti alle Regioni e agli Enti locali, determinandone un’indebita sottrazione.Il d.lgs. n. 112 del 1998, così come diversi decreti settoriali di attuazione della l. n. 59/1997, ha previsto anche la possibilità di concludere accordi di programma e convenzioni tra Stato, Regioni, Enti locali e altri soggetti pubblici e privati.

2.6. Il D.lgs. n. 267/2000. Con tale Decreto si realizza la trasformazione dell’“amministrazione locale in amministrazione generale”, secondo la previsione dall’art. 14, per il quale i Comuni sono chiamati a gestire anche servizi di competenza dello Stato, come i servizi elettorali, quelli di stato civile, di anagrafe, di leva militare e di statistica e gli altri, non enumerati, che possono essere loro affidati dal legislatore statale. Inoltre, «nei Comuni con popolazione superiore a 300000 abitanti, lo Statuto può prevedere particolari e più accentuate forme di decentramento di funzioni e di autonomia organizzativa e funzionale (art. 17, comma 5, d.lgs. n. 267/2000)». Quanto alle Province, ad esse spettano le funzioni amministrative che riguardano vaste zone intercomunali o l’intero territorio provinciale (art. 19, comma 1, d.lgs. n. 267/2000)25. La Provincia, poi, è titolare di rilevanti compiti di programmazione, concorrendo alla determinazione del programma regionale di sviluppo e, soprattutto, ferme restando le competenze dei Comuni e i programmi regionali, predisponendo e adottando il piano territoriale di coordinamento. A tale documento, trasmesso alla Regione per accertarne la conformità agli indirizzi regionali della programmazione socio-economica e territoriale, devono conformarsi, a loro volta, i Comuni nell’ambito dell’elaborazione degli strumenti di pianificazione territoriale (art. 20). Le Province, infatti, vigilano sulla compatibilità di questi strumenti con il piano da esse definito. Sul punto si tornerà nell’ultimo capitolo, evidenziando alcune incongruità della legge regionale toscana in materia di governo del territorio.

3. REGIONI ED ENTI LOCALI DOPO LA RIFORMA DEL TITOLO V

3.1 Il Titolo V novellato La norma più innovativa, imprescindibile elemento di fondo rispetto al nuovo assetto territoriale della Repubblica è rappresentato dal primo comma dell’art. 114 Cost. che indica gli enti territoriali Comune, Provincia, Città metropolitana e Regione quali elementi costitutivi della Repubblica accanto allo Stato, e, con quest’ultimo, in un rapporto di equiordinazione. Questa innovazione, che è stata anche definita «evidente e clamorosa», implica una distinzione fra lo Stato e la Repubblica in quanto quest’ultima viene ad identificarsi con lo Stato-ordinamento, secondo la distinzione introdotta già negli anni ’60 dall’illustre costituzionalista Costantino Mortati. Il nuovo art. 114 “scardina” definitivamente l’assetto gerarchico piramidale, caratteristico delle forme di Stato dell’Europa continentale ottocentesca e fonda, e consolida,

il nuovo modello di governance pluricentrica multilivello, già presente in nuce, ma non senza incoerenze e contraddizioni, nella Costituzione del 1948, ma rimasta sostanzialmente inattuata nei decenni successivi». Rispetto alla Costituzione originaria, inoltre, la riforma dell’art. 114 ha introdotto un ulteriore rilevante elemento di novità che consiste nel riconoscimento costituzionale dell’autonomia, in primo luogo statutaria, agli Enti locali, riconoscimento che nella Costituzione del 1948 era garantito solamente alle Regioni. Quanto detto, tuttavia, non fa venire meno le diversità di ruolo e di funzioni che continuano ad esistere fra i diversi enti e che è rinvenibile, ad esempio, nell’attribuzione della potestà legislativa solamente allo Stato e alle Regioni e nel mantenimento in capo allo Stato di una funzione unificante.

3.2. Il nuovo assetto della potestà normativa fra Stato, Regioni ed Enti locali L’aspetto più importante di tale innovazione, cioè la potestà legislativa, così come disciplinata dalla novella costituzionale n. 3 del 2001, in particolare, ha invertito il criterio che regolava il riparto delle competenze fra lo Stato e le Regioni: mentre precedentemente venivano elencate le materie in cui erano queste ultime ad avere competenza, nell’attuale art. 117 sono le competenze statali ad essere enumerate e la clausola residuale opera in favore delle Regioni. Ciò comporta che, mentre fino al 2001 la legge statale era la fonte a competenza generale «tenuta a cedere, in base al criterio di competenza, a fronte di altri atti normativi cui alcune materie erano attribuite in via riservata o preferenziale», il nuovo quadro costituzionale esclude la presunzione generale in favore della legge statale che è chiamata a fondare la sua competenza su una disposizione costituzionale che preveda una riserva in tal senso.

3.3. L’attuazione della riforma costituzionale: la legge “La Loggia” n. 131/2003Tale legge viene emanata allo scopo di rendere effettiva la riforma del Titolo V su tutto il territorio nazionale Essa prevedeva all’art.2 che il Governo veniva delegato ad adottare, entro il 31 dicembre 2005, uno o più decreti legislativi diretti ad individuare le funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane in modo da prevedere, anche al fine della tenuta e della coesione dell’ordinamento della Repubblica, per ciascun livello di governo locale, la titolarità di funzioni connaturate alle caratteristiche proprie di ciascun tipo di ente, essenziali e imprescindibili per il funzionamento dell’ente e per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunità di riferimento, tenuto conto, in via prioritaria, per Comuni e Province, delle funzioni storicamente svolte.Ma la delega contenuta nella legge La Loggia scadde vanamente, anche se conteneva concetti importanti, in quanto, a norma dell’art. 117 Cost., imponeva di individuare le funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane in modo da prevedere, anche al fine della tenuta e della coesione dell’ordinamento della Repubblica, per ciascun livello di governo locale, tre profili di funzioni:1°) le funzioni fondamentali erano quelle connaturate alle caratteristiche proprie di ciascun tipo di ente, essenziali e imprescindibili per il funzionamento dell’ente stesso: il profilo fondativo;

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2°) le funzioni fondamentali devono essere finalizzate al soddisfacimento dei bisogni primari delle comunità di riferimento: il profilo finalistico;3°) le funzioni fondamentali sono quelle storicamente svolte da Comuni e province: il profilo storico.

3.4. L’interruzione ed il mancato compimento della riforma costituzionale L’attuazione della novella costituzionale, oltre la mancata attuazione della delega contenuta nella legge La Loggia, subì, inoltre, un ulteriore blocco operativo dovuto alla scelta del Governo del tempo di puntare sulla c.d. Devolution, cioè un progetto di ulteriore riforma della Costituzione nella sua parte II, approvato da entrambi i rami del Parlamento e poi sottoposto ad un referendum costituzionale, svoltosi il 25 e 26 giugno 2006, nel quale la maggioranza dei votanti respinse tale progetto di riforma costituzionale. Tale riforma prevedeva, in riferimento alla materia di cui trattasi, quanto segue: • LaDevoluzione alle Regioni della potestà legislativa esclusiva in alcune

materie come organizzazione scolastica, polizia amministrativa regionale e locale, assistenza e organizzazione sanitaria (le norme generali sulla tutela della salute tornano di competenza esclusiva dello Stato);

• Alcuniambiti(comelasicurezzadellavoro,lenormegeneralisullatuteladella salute, le grandi reti strategiche di trasporto, l’ordinamento della comunicazione, l’ordinamento delle professioni intellettuali ordinamento sportivo nazionale, produzione strategica dell’energia) che, a seguito della riforma del 2001 erano regolati con leggi di principio statali e leggi di dettaglio regionali, sarebbero tornati di esclusiva competenza della legislazione statale;

• LaClausoladiInteresse nazionale: lo Stato, nel caso avesse ravvisato in una legge regionale elementi in contrasto con l’interesse nazionale, avrebbe potuto invitare la Regione ad eliminare le disposizioni pregiudizievoli, con il potere poi di annullarle.

• Clausoladisupremazia: lo Stato avrebbe potuto sostituirsi alle Regioni in caso di mancata emanazione di norme essenziali.

Il successivo Governo Prodi presentò nel 2007 un disegno di legge delega per la riforma costituzionale. La delega proposta comprendeva l’individuazione delle funzioni già esercitate e il trasferimento agli enti locali di quelle previste dall’art. 118 della Costituzione, l’istituzione delle città metropolitane, la disciplina delle forme associative, la revisione delle circoscrizioni e l’adozione della “Carta delle autonomie”. Anche questo provvedimento, però, non giunse a conclusione a causa della conclusione anticipata della legislatura, pur avendo trovato per molti aspetti condivisione nel corso dell’esame da parte, sia delle Regioni che dell’ANCI .Nel Gennaio 2010 fu presentato un d.d.l. d’iniziativa del successivo Governo per la “individuazione delle funzioni fondamentali di province e comuni, semplificazione dell’ordinamento regionale e degli enti locali, nonché delega al Governo in materia di trasferimento di funzioni amministrative, Carta delle autonomie locali e Riordino degli enti ed organismi decentrati”, composto di

undici capitoli comprendenti anche la soppressione delle comunità montane, dei consorzi e delle circoscrizioni comunali, le modifiche alle competenze degli organi del comune, le norme in materia di piccoli comuni e di controlli interni.Tale progetto individuava e disciplinava le funzioni fondamentali degli enti locali e trasferiva loro le funzioni. Un approccio che risultava, secondo le Regioni, più centralista della legge La Loggia, perché metteva in ombra la funzione legislativa regionale: la legge statale avocava, infatti, a sé, estensivamente, non solo l’attività ricognitiva di funzioni fondamentali degli enti locali (individuazione), ma anche la normazione (“disciplina le funzioni fondamentali”) e il trasferimento delle funzioni in generale ed attribuiva alla legge statale un primato rispetto alla legge regionale, non previsto nella Costituzione. Anche tale progetto decadde per la caduta del Governo proponente e la successiva fine della legislatura nel 2013.

E’ noto che bisogna arrivare alla legge n. 42/2009 e poi al D.L. 95/2012 per la individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni. L’art. 19 del DL 95/’12 convertito con modifiche nella legge 7.8.2012 n. 135 ha introdotto importanti novità sulle funzioni fondamentali, sulle modalità di esercizio associato di funzioni e servizi comunali e sulle unioni di comuni. L’art. 19 citato fornisce un nuovo elenco di funzioni fondamentali e sostituisce quello provvisorio contenuto nella legge sul federalismo fiscale.E’ doveroso precisare che la legge 42/2009 sul federalismo fiscale aveva identificato le funzioni fondamentali dei comuni ai fini della determinazione dei fabbisogni standard degli enti locali, mentre l’art. 19 ha individuato le 10 funzioni fondamentali in via non transitoria e senza finalità specifiche. Tra le funzioni dei comuni non fondamentali figurano quelle relative alla cultura, al settore sportivo, al turismo, allo sviluppo economico, ad alcuni servizi produttivi, con conseguenze in ordine alle modalità di finanziamento delle medesime.

4. L’ATTRIBUZIONE DELLE FUNZIONI AMMINISTRATIVE AGLI ENTI LOCALI

Il conferimento delle funzioni amministrative è disciplinato dal novellato art. 118 Cost., che abbandona principio del “parallelismo” in base al quale, salvo delega, le funzioni amministrative erano esercitate dall’ente che deteneva la potestà legislativa. L’attuale art. 118, nel primo comma, dispone che le funzioni amministrative siano attribuite in prima istanza ai Comuni, salvo che esigenze di esercizio unitario non ne comportino il conferimento a enti di livello territoriale superiore. Tale spostamento, peraltro, deve avvenire nel rispetto di tre principi che erano stati introdotti già precedentemente tramite la legislazione ordinaria, ma che nel 2001 trovano una sanzione costituzionale: sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Vale a dire più prossimo compatibile con le esigenze di efficace ed efficiente esercizio della funzione (sussidiarietà), assicurando con ciò equilibrio e corrispondenza fra natura delle funzioni e dimensione dell’istituzione (adeguatezza) e potendo in

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tal senso quindi anche diversificarsi fra gli enti dello stesso rango le funzioni conferite in relazione al possibile variare delle dimensioni (differenziazione)». Il principio di sussidiarietà, tuttavia, va inteso non solo nel senso di favorire la dislocazione delle funzioni al livello più prossimo al cittadino, ma anche in senso ascendente, ossia riconoscendo che gli enti di livello superiore rispetto a quello cui la funzione è attribuita possano intervenire nel suo esercizio qualora vi sia incapacità del primo di farvi fronte. Allo stesso principio di sussidiarietà è stato ricondotto il potere di sostituzione di cui, secondo l’art. 120, comma 2, della Costituzione è titolare il Governo nei confronti degli organi di Regioni, Città metropolitane, Province e Comuni, nei casi in cui non siano stati rispettati obblighi internazionali o comunitari, in caso di pericolo per la sicurezza pubblica, per la tutela dell’unità giuridica ed economica e per la garanzia dei livelli essenziali nell’erogazione dei servizi concernenti i diritti civili e sociali. In tal caso, infatti, il principio di sussidiarietà opererebbe in senso ascendente, legittimando lo Stato a provvedere all’adempimento delle funzioni.Nel secondo comma dell’art. 118, poi, si specificano i due ambiti di competenze di cui sono titolari Comuni, Province e Città metropolitane, ossia di «funzioni amministrative proprie e di quelle conferite con legge statale o regionale, secondo le rispettive competenze». A queste norme che riguardano il riparto delle funzioni amministrative in senso “verticale”, il Legislatore costituzionale ha aggiunto una disposizione relativa al coinvolgimento dell’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli o associati, nello svolgimento di attività di interesse generale nel rispetto, ancora una volta, del principio di sussidiarietà, questa volta declinato, però, in senso “orizzontale”. Infine, il comma 3 dell’art. 118 contiene una disposizione “settoriale” che chiama la legge statale a disciplinare le modalità di coordinamento fra Stato e Regioni nelle materie dell’immigrazione, dell’ordine pubblico e della sicurezza e della tutela dei beni culturali. È opportuno osservare che si tratta di competenze rientranti nella potestà esclusiva statale per le quali, dunque, si ipotizzerebbe un coinvolgimento delle Regioni

5. L’AUTONOMIA REGOLAMENTARE DEGLI ENTI LOCALI In relazione alle modalità di esercizio della legislazione, sia statale che regionale, appare rilevante l’espresso riconoscimento costituzionale dell’autonomia regolamentare nella «disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite», portando al culmine un’evoluzione che già aveva attribuito agli Enti locali il potere di adottare regolamenti. Con la riforma costituzionale del 2001 si è anche ampliata la potestà regolamentare all’intero ambito dell’organizzazione dell’ente e all’organizzazione e allo svolgimento delle funzioni svolte, essendo venuta meno la limitazione della stessa alle singole materie di volta in volta previste dalle leggi. La relazione che intercorre fra i regolamenti degli Enti locali e le leggi, sia regionali che statali, è stata chiarita da un intervento della Corte Costituzionale con la sentenza n. 372 del 2004, nella quale il Giudice costituzionale ha disposto che i regolamenti operino

nell’ambito della legislazione statale o regionale che assicura i requisiti minimi di uniformità. Anche nel rispetto di quanto disposto dall’art. 4 della legge n. 131 del 2003 di attuazione delle norme costituzionali novellate, la Corte, infatti, ha affermato che l’attribuzione della potestà regolamentare agli Enti locali nelle materie precedentemente indicate non comporta una riserva di regolamento ed un riparto rigido di competenza che esclude la legge regionale. Tale fonte è comunque chiamata a disciplinare le funzioni conferite agli Enti locali in presenza di esigenze unitarie.Nel complesso, volendo individuare una ratio nell’attribuzione della potestà regolamentare disposta dal sesto comma dell’art. 117, si può individuare una sorta di parallelismo tra l’esercizio della funzione ed il potere di regolarne lo svolgimento, un’applicazione del principio di sussidiarietà anche sul piano delle fonti, per cui il soggetto che gode della titolarità della funzione amministrativa deve disporre anche dei poteri normativi per esercitarla. Ciò è giustificabile in virtù di una lettura “funzionalista” della disciplina dei compiti amministrativi rispetto al loro esercizio, in base alla quale la potestà regolamentare ai sensi dell’art. 117, comma 6, costituirebbe uno strumento per l’esercizio della funzione stessa.

6. GLI INTERVENTI DELLA CORTE COSTITUZIONALE NELL’INTERPRETAZIONE DEL NOVELLATO TITOLO V

L’innovazione radicale della struttura costituzionale riferita all’attività legislativa ha generato un largo contenzioso delle Regioni nei confronti dello Stato negli anni successivi al 2001. Tale contenzioso riguarda le categorie di materie:• quelle nelle quali lo Stato ha competenza legislativa esclusiva (comma 2);• quelle di legislazione concorrente (comma 3) ossia la determinazione dei

principi fondamentali è riservata alla legislazione statale, mentre alle Regioni è lasciata la disciplina di dettaglio.;

• quelle di competenza esclusiva delle Regioni (comma 4) per le quali opera la clausola residuale, in base alla quale alle Regioni viene riconosciuta la potestà legislativa in via esclusiva in tutte le materie non enumerate nelle altre categorie.

6.1. La legislazione esclusiva dello Stato:art. 117, comma 2. La competenza esclusiva statale è risultata estesa dalla interpretazione data dalla Corte Costituzionale delle materie enumerate al comma 2 dell’art. 117. In particolare, tre sono state le “vie” che hanno portato a tale allargamento. In primo luogo, vi è l’interpretazione di diverse materie di competenza statale in base al comma 2 dell’art. 117, come “clausole trasversali” che permetterebbero allo Stato di intervenire su tutte le materie di competenza regionale. Questa categoria è stata introdotta in via giurisprudenziale in relazione ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti diritti civili e sociali (art. 117, comma 2, lettera m)) con la sentenza n. 282 del 2002. In tale pronuncia, a proposito

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della competenza a stabilire i livelli essenziali delle prestazioni, il Giudice costituzionale ha affermato che «non si tratta di una “materia” in senso stretto, ma di una competenza del legislatore statale idonea ad investire tutte le materie, rispetto alle quali il legislatore stesso deve poter porre le norme necessarie per assicurare a tutti, sull’intero territorio nazionale, il godimento di prestazioni garantite, come contenuto essenziale di tali diritti, senza che la legislazione regionale possa limitarle o condizionarle». Il medesimo principio è stato applicato anche alla tutela dell’ambiente, alla tutela della concorrenza e all’ordinamento civile.In secondo luogo, il Giudice costituzionale ha introdotto una “flessibilizzazione” del riparto di competenze attraverso l’applicazione all’attribuzione della potestà legislativa del principio di sussidiarietà, principio che la Costituzione indica, insieme a quelli di differenziazione e adeguatezza, come principio guida per l’allocazione delle funzioni amministrative (art. 118 Cost). Il passaggio logico effettuato dalla Corte è stato quello di attribuire allo Stato la competenza legislativa in quelle materie nelle quali, in virtù del principio di sussidiarietà, lo Stato mantiene la titolarità della funzione amministrativa (sentenza n. 303 del 2003). In terzo luogo, la Corte ha sempre risolto in favore dello Stato i casi c.d. di “concorrenza di competenze” nei quali, cioè, vi è una sovrapposizione fra materie rientranti nell’ambito della competenza statale e di quella regionale. Infine, il Giudice costituzionale ha applicato il criterio legislativo-evolutivo nella delimitazione delle materie, in base al quale l’esercizio della potestà legislativa in una determinata materia ne comporta lo spostamento di ambito materiale nell’art. 117.Si è inoltre osservato come le materie di competenza statale non si esauriscano in quelle elencate dall’art. 117. comma 2, ma ad esse vadano aggiunte quelle nelle quali altre disposizioni costituzionali, non toccate dalla riforma del 2001, contengono una riserva di legge; è il caso della disciplina dell’università, assente sia nel catalogo della competenza esclusiva statale che di quella concorrente.

6.2. La definizione delle materie di competenza statale: l’art. 117, comma 2.Diverse decisioni contribuiscono a definire le materie di competenza statale esclusiva, elencate nel secondo comma dell’art. 117, con percorsi interpretativi che, quasi sempre confermano o ampliano competenze dello Stato .La riserva statale della lettera e), in materia di “tutela del risparmio e dei mercati finanziari” (che, secondo la Corte, - riguarda in particolare la disciplina delle forme e dei modi in cui i soggetti possono ottenere risorse finanziarie derivanti da emissione di titoli o contrazione di debiti”), consente l’attribuzione ad organi centrali di poteri di coordinamento in tema di accesso degli enti territoriali al mercato dei capitali (sentenza 376/2003).Non può ricondursi alla “perequazione delle risorse finanziarie” (riservata allo Stato sulla base della medesima lettera e) una norma che, come quella mirante ad attenuare le conseguenze sanzionatorie del mancato o ritardato pagamento del contributo di costruzione, al di là della sua rubrica, non ha alcuna finalità di tal tipo (sentenza 362/2003).

Riguardo alla “tutela della concorrenza” (di cui alla stessa lettera e), la Corte esclude che possa esservi ricondotta una norma che si limita a disciplinare il rapporto pubblicistico tra gestore di impianto di telecomunicazione ed ente pubblico cui spettano i poteri di pianificazione, autorizzazione e vigilanza (sentenza 307/2003).La lettera g), che si riferisce all’ “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali”, serve a fondare la potestà legislativa statale in ordine alla norma che consente al ministero del lavoro di avvalersi di una società per azioni, a capitale interamente pubblico, per lo svolgimento di funzioni finalizzate alla promozione dell’occupazione: tale società, infatti, presenta tutti i caratteri proprie dell’ente strumentale, salvo rivestire la forma della società per azioni, ciò che non è sufficiente ad escludere la competenza statale (sentenza 363).La riserva statale in materia di ordine pubblico e sicurezza (lettera h) preclude una disciplina regionale in materia di polizia di sicurezza (che è cosa diversa dalla polizia amministrativa locale che segue, invece, in quanto strumentale, la distribuzione delle competenze principali cui accede) (sentenza 313/2003).Allo stesso modo, la riserva statale in materia di giurisdizione penale (lettera l) preclude una disciplina regionale in materia di polizia giudiziaria (sentenza 313/2003).Quanto alla materia dell’ “ordinamento civile” (di cui alla medesima lettera l), la Corte non la ritiene invasa da una norma regionale che rimetta alla volontà dei proprietari l’imposizione di vincoli di destinazione d’uso su immobili, i cui operano “locali storici”, finalizzata alla concessione di finanziamenti regionali (sentenza 94/2003); mentre è incostituzionale la legge regionale che disciplina il fenomeno del mobbing, prevedendo, tra l’altro, una diffida nei confronti del datore di lavoro da parte del centro anti-mobbing, diffida che configura un elemento dell’eventuale inadempimento del datore di lavoro (sentenza 359/2003). La materia dell’ordinamento civile, poi, comprende la disciplina delle persone giuridiche di diritto privato (e, quindi, anche delle fondazioni di origine bancaria; peraltro ciò non toglie che nei loro confronti, così come verso qualunque altro soggetto dell’ “ordinamento civile” valgano anche le norme regionali in quanto incidano sulle funzioni da queste svolte: sentenza 300/2003).

6.3. Le materie a legislazione concorrente : art. 117, comma 3.L’interpretazione delle competenze nelle materie concorrenti non è apparsa meno complessa della ricostruzione delle materie “esclusive”, in quanto buona parte di queste materie era inedita, ossia non avesse corrispondenza con l’elenco delle materie del “vecchio” art. 117 Cost..L’attuazione della novella costituzionale con l’apposito trasferimento delle funzioni amministrative, - che come sopra descritto non è stata realizzata - ha “riempito” di contenuti “etichette” che assai spesso sono apparse di difficile comprensione. La Corte si è mossa utilizzando la ricognizione delle funzioni amministrative già trasferite in passato alle Regioni e agli enti locali, sul presupposto che la riforma costituzionale non possa essere interpretata nel senso di revocare le

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attribuzioni già conferite alle Regioni in precedenza. Ma soprattutto la Corte ha privilegiato le materie “nominate” rispetto a quelle “innominate”. Nella sent. 50/2005, viene affermato che il criterio di prevalenza serve a coordinare le competenze esclusive dello Stato con quelle regionali: tutto dipende dalla possibilità di collocare in una determinata materia il “nucleo essenziale” della disciplina contesa, che va ricostruito sulla base della ratio della disciplina stessa, badando ai suoi “aspetti fondamentali”, non anche agli “aspetti marginali o effetti riflessi dell’applicazione della norma”. Per cui la ratio della legge conduce a identificare la materia “prevalente”, ed in essa restano attratte anche le eventuali norme di contorno; la competenza legislativa piena porta con sé le funzioni amministrative, senza necessità di subordinarne l’esercizio a procedure di leale collaborazione. Di fatto tale criterio della prevalenza nella giurisprudenza costituzionale fa sì che il principio di leale collaborazione operi ormai residualmente, soltanto laddove “non possa ravvisarsi la sicura prevalenza di un complesso normativo rispetto ad altri, che renda dominante la relativa competenza legislativa”. Quindi, maggiore è lo spazio che la giurisprudenza costituzionale riconosce all’operatività del principio di prevalenza, minore è la sovrapposizione tra interessi e competenze che la Corte giudica “rilevanti” e perciò meritevoli di tutela almeno sul piano procedurale. Non è affatto smentita dalla giurisprudenza della Corte la natura “trasversale” delle competenze dello Stato: semplicemente si ritiene che quelle materie, nonostante la “trasversalità”, siano pur sempre materie “esclusive” e, come tali, prevalenti su quelle regionali, senza che ci sia più bisogno di un coordinamento. La materia (si prenda la tutela della concorrenza o la tutela dell’ambiente) è “trasversale” perché predomina la considerazione del “fine” (o della ratio, dello “scopo”, dell’ “obiettivo”, delle “finalità” o degli “interessi”); ma anche il criterio di prevalenza opera esaltando la considerazione del “fine” della legge in questione, perché da essa deriva l’individuazione (in prospettiva teleologica) del “nucleo essenziale” della legge stessa: per cui si raggiunge la conclusione che il carattere trasversale di una competenza - e ciò la possibilità che lo Stato sconfini, perseguendo le sue finalità, in ambiti riservati alla competenza regionale – non comporti l’attenuazione, ma anzi il rafforzamento della prerogativa della legge statale, cioè si è andata consolidando l’interpretazione delle competenze «trasversali» come «esclusive» tout court”. Il criterio della prevalenza, poi, non opera, qusi mai a favore delle Regioni. Ogni qual volta il criterio sia stato applicato, esso ha premiato la competenza dello Stato; solo quando la Corte riconosce che esso non è applicabile, cioè che “non possa ravvisarsi la sicura prevalenza di un complesso normativo rispetto ad altri”, solo in quel caso la Regione ottiene, non già l’annullamento della legge “invasiva”, ma almeno il riconoscimento consolatorio dell’operatività del principio di leale collaborazione. Così il criterio della prevalenza appare la riedizione post-riforma dell’”interesse nazionale”, che consente alla Corte di affermare la piena competenza dello Stato senza troppo indugiare in argomentazioni o in valutazioni attorno all’opportunità di predisporre controtutele. La Corte ha poi utilizzato, al fine di ricondurre un determinato oggetto entro una

materia, il criterio legislativo-evolutivo. Con la conseguenza che un cambiamento nella legislazione ordinaria di settore può comportare lo spostamento della collocazione di un oggetto nel riparto materiale delle competenze legislative dell’art. 117 Cost. Così, ad esempio, a seguito della evoluzione legislativa, la disciplina degli asili nido viene ricondotta entro la materia dell’istruzione e, per alcuni profili, entro quella della “tutela del lavoro” (sentenza 370); la disciplina delle fondazioni di origine bancaria è ritenuta estranea, a seguito degli sviluppi legislativi, alla materia concorrente “casse di risparmio, casse rurali, aziende di credito a carattere regionale”, per essere ricondotta invece a quella, statale, dell’ordinamento civile (sentenza 300/2003).Inoltre, al fine di identificare la materia cui una norma afferisce, assume rilievo la finalità perseguita: una legge regionale sugli animali esotici, per esempio, in quanto persegue obiettivi di tutela igenico-sanitaria e di sicurezza veterinaria viene ricondotta alla materia concorrente della “tutela della salute” (sentenza 222/2003); mentre la disposizione statale che impone anche alle regioni di riservare, nell’acquisto dei pneumatici per i loro autoveicoli, una quota di almeno il 20% ai pneumatici ricostruiti viene ricondotta alla competenza esclusiva dello Stato in materia di ambiente (sentenza 378/2003).In molti casi, peraltro, la Corte riconosce che, “per la loro connessione funzionale, non sia possibile una netta separazione nell’esercizio delle competenze”: occorre allora “addivenire a forme di esercizio delle funzioni, da parte dell’ente competente, attraverso le quali siano efficacemente rappresentati tutti gli interessi e le posizioni costituzionalmente rilevanti...Vale il principio, detto della “leale cooperazione”, suscettibile di essere organizzato in modi diversi, per forme e intensità della pur necessaria collaborazione”.

6.4. La potestà legislativa regionale residuale (art. 117, comma 4)Riguardo alle competenze regionali residuali del comma 4 dell’art. 117, la Corte ha rilevato che “in via generale, occorre affermare l’impossibilità di ricondurre un determinato oggetto di disciplina normativa all’ambito di applicazione affidato alla legislazione residuale delle Regioni ai sensi del comma quarto del medesimo art. 117, per il solo fatto che tale oggetto non sia immediatamente riferibile ad una delle materie elencate nei commi secondo e terzo dell’art. 117 della Costituzione” Ad esempio, i lavori pubblici, di cui pure l’art. 117 non parla, costituiscono “ambiti di legislazione che non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potestà legislative esclusive dello Stato ovvero a potestà legislative concorrenti”. Materie innominate, come l’edilizia e l’urbanistica, sono a loro volta ricondotte dalla Corte entro la competenza concorrente del “governo del territorio” . D’altra parte, nella citata sentenza sul mobbing, la Corte afferma che “in realtà l’intera legge si fonda sul presupposto - da ritenere in contrasto con l’assetto costituzionale dei rapporti Stato-Regioni - secondo cui queste ultime, in assenza di una specifica disciplina di un determinato fenomeno emergente nella vita sociale, abbiano in via provvisoria poteri illimitati di legiferare”. Circa i limiti che incontra la potestà legislativa dell’art. 117, comma 4, la sentenza 274/2003 afferma che “valgono soltanto i limiti di cui al primo comma dello stesso articolo e

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quelli indirettamente derivanti dall’esercizio da parte dello Stato della potestà legislativa esclusiva in “materie” suscettibili, per la loro configurazione, di interferire su quelle in esame.

6.5. Le funzioni amministrative

Quanto alla distribuzione delle funzioni amministrative, di cui all’art. 118 Cost., la Corte ha individuato nel secondo comma un riserva di legge per la loro allocazione e distribuzione tra i diversi livelli di governo, riserva che non può ritenersi soddisfatta da una legge regionale che si limita ad autorizzare l’esercizio, in via “suppletiva”, del potere regolamentare, senza delimitarlo o indirizzarlo in alcun modo (sentenza 324/2003).Riguardo al principio di sussidiarietà, la più volte citata sentenza 303 afferma che la funzione che l’art. 118 assegna a tale principio “si discosta in parte da quella già conosciuta nel nostro diritto di fonte legale. Enunciato nella legge 15 marzo 1997, n. 59 come criterio ispiratore della distribuzione legale delle funzioni amministrative fra lo Stato e gli altri enti territoriali e quindi già operante nella sua dimensione meramente statica, come fondamento di un ordine prestabilito di competenze, quel principio, con la sua incorporazione nel testo della Costituzione, ha visto mutare il proprio significato. Accanto alla primitiva dimensione statica, che si fa evidente nella tendenziale attribuzione della generalità delle funzioni amministrative ai Comuni, è resa, infatti, attiva una vocazione dinamica della sussidiarietà, che consente ad essa di operare non più come ratio ispiratrice e fondamento di un ordine di attribuzioni stabilite e predeterminate, ma come fattore di flessibilità di quell’ordine in vista del soddisfacimento di esigenze unitarie”.Quanto alla sussidiarietà c.d. “orizzontale”, cui si riferisce l’art. 118, comma 4, Cost., la Corte ha affermato che le persone giuridiche private che, come le fondazioni di origine bancaria, operano in tale campo, appartengono alla sfera dei “soggetti dell’organizzazione delle libertà sociali” e non delle funzioni pubbliche, sfuggendo quindi alla disciplina regionale.In sostanziale continuità con la giurisprudenza relativa al vecchio Titolo V è stata ribadita la centralità del principio di leale collaborazione. Di conseguenza, un decreto ministeriale in materia di competenza concorrente, adottato senza il parere della Conferenza Stato-regioni, previsto dalla legge, è stato ritenuto viziato, indipendentemente dal problema della perdurante utilizzabilità, dopo la riforma, della legge su cui il decreto stesso si fondava: è infatti violato, direttamente, il principio di leale collaborazione.Circa la dibattuta questione della sorte della funzione di indirizzo e coordinamento dopo la riforma del Titolo V, la Corte ha affermato che “è da escludere la permanenza in capo allo Stato del potere di emanare atti di indirizzo e coordinamento, anche alla luce di quanto espressamente disposto dall’art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), il quale stabilisce che “nelle materie di cui all’art. 117, terzo e quarto comma, della Costituzione, non possono essere adottati gli atti di indirizzo e di coordinamento di cui all’art. 8 della legge 15 marzo 1997, n.

59, e all’art. 4 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112”. Una seconda questione interpretativa riguarda esclusivamente le funzioni di cui sono titolari Comuni, Province e Città metropolitane. Il problema consiste in una “asimmetria” esistente nelle disposizioni costituzionali che, nel secondo comma dell’art. 118, distinguono tali funzioni in “proprie” e “conferite”, mentre, al secondo comma, lettera p) dell’art. 117, attribuiscono allo Stato la competenza nella identificazione delle funzioni “fondamentali” di Comuni, Province e Città metropolitane. Se non vi è alcun dubbio che le funzioni “conferite” siano quelle attribuite dalla legge statale e da quella regionale in base al comma primo dell’art. 118, la questione rimane aperta nel definire il rapporto fra le funzioni “proprie” e quelle “fondamentali”. In assenza della legislazione attuativa- Legge La Loggia- la Corte ha identificato le funzioni “proprie” con quelle “fondamentali” degli Enti locali (sentenze n. 303 del 2003 e n. 6 del 2004), anche se, ad un esame più approfondito risulta permanere una differenza fra le due categorie di funzioni che si può evincere, in primo luogo, dal fatto che quello delle funzioni “proprie” è un concetto noto in dottrina e fatto proprio dal legislatore già con la legge n. 142 del 1990, a differenza dell’altro che è una formula utilizzata per la prima volta. Con il primo termine si indicherebbero, infatti, le funzioni «da riconnettere in maniera diretta alla ragion d’essere e al ruolo proprio di ciascuna istituzione autonomistica: sono cioè strettamente legate agli interessi della comunità rappresentata e sono frutto essenzialmente di una tipizzazione storicamente definitasi e sostanzialmente irreversibile». Per funzioni “fondamentali” si dovrebbero intendere, invece, quelle attribuzioni necessariamente eguali per gli enti dello stesso livello, e quindi quelle che costituiscono un quadro uniforme ed essenziale per ogni livello.

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PARTE SECONDA

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1. LE LEGGI REGIONALI DELL’UMBRIA DI RECEPIMENTO DELLE RIFORME ISTITUZIONALI.

1.1. La legge attuativa della Riforma Bassanini: L.r. n. 3/1999 “Riordino delle funzioni e dei compiti amministrativi del sistema regionale e locale delle autonomie dell’Umbria in attuazione della legge 15 marzo 1997, n. 59 e del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112”

Su tale legge che si proponeva appunto di conferire le funzioni ed i compiti amministrativi, che non richiedono l’unitario esercizio a livello regionale, alle province, ai comuni, alle comunità montane ed alle autonomie funzionali, si aprì un ampio articolato dibattito a livello di associazioni autonomistiche, ANCI ed UNCEM. Si chiedeva alla Regione di tener conto nell’attuazione della Legge Bassanini e del Decreto attuativo di:1. l’esigenza della società di aver risposte rapide, qualificate attraverso percorsi

semplificati;2. garantire sempre meglio la funzione di programmazione e di orientamento

che le istituzioni pubbliche debbono avere nei riguardi della società nelle sue diverse articolazioni;

3. elevare la conoscenza dei fenomeni che interessano la società e la stato di conservazione del territorio, le dinamiche produttive e sociali;

4. costruzione di politiche in tempi reali che tendano a governare i processi così da battere il degrado ed individuare azioni per rilanciare lo sviluppo compatibili e la qualità della vita.

La crisi del Paese era il prodotto di un uso distorto del Sistema Istituzionale.Pertanto si doveva assumere con nettezza come obiettivo della riforma amministrativa non quello di una ridistribuzione delle competenze amministrative tra i vari livelli istituzionali. Le ragioni profonde e autentiche dovevano muovere, invece, dal dichiarato e non più sostenibile livello di inefficienza delle amministrazioni pubbliche. Il rapporto tra cittadini e pubblica amministrazione nel Paese restava uno dei peggiori in Europa. Era necessario pertanto riqualificare e quindi alleggerire gli apparati burocratici con la riduzione delle strutture organizzative ed un completo trasferimento quindi di compiti di gestione e delle relative risorse a Comuni e Province; ma anche l’individuazione delle attività che, a determinate condizioni potessero essere più efficacemente svolte da privati: una riforma degli apparati regionali, in tutte le loro articolazioni, non solo in vista del miglioramento dell’efficienza e dell’economicità dell’azione amministrativa ma anche per la riattivazione e l’estensione della democrazia sostanziale. Si doveva realizzare, quindi, un sistema leggero, intelligente, sinergico, attraverso il riordino delle competenze, la riaffermazione dell’autonomia e delle responsabilità secondo il principio di sussidiarietà. Un rilancio della cultura regionalista intesa come esigenza a meglio cogliere, meglio rappresentare specificità locali e quindi meglio governare armonicamente il territorio.La nuova Regione doveva essere intesa più come sistema di comunità territoriali che come Ente.

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La Giunta regionale doveva procedere, quindi, a tenere conto di tutte le funzioni esercitate a seguito di tutti i trasferimenti da parte dello Stato a partire dai D.P.R. del ’72, al D.P.R. 616, non solo in riferimento alle materie conferite con il D.Lgs. 112: un’opera di ricognizione generale che doveva individuare per ogni materia “i compiti riferibili all’esigenza di unitario esercizio a livello regionale” e poi attraverso una consapevole opera di ingegneria istituzionale, ricostituire in capo o al Comune o alla Provincia o alla Comunità Montana le competenze secondo il principio d unicità, cioè senza sovrapposizioni né frazionamenti così da rendere immediatamente evidente al cittadino il soggetto responsabile per ciascuna funzione, così da rendere altresì possibile una risposta in tempi brevi e certi.Il risultato dell’attività legislativa regionale – L.R. 34/98 e L.R. 3/99 –non apparve però pienamente soddisfacente Infatti non erano state sottoposte al vaglio della “esigenza di unità di esercizio a livello regionale” i compiti e le funzioni di Enti, Istituti e Società creati in ormai 30 anni di attività legislativa dalla Regione dell’Umbria.Gli amministratori degli Enti locali del tempo chiedevano, in particolare alla Regione, che avrebbero dovute essere analiticamente indicate le ragioni per cui rimanevano in capo alla stessa Regione i compiti allora svolti da l’A.R.U.S.I.A, l’A.D.I.S.U., l’I.R.R.E.S., il S.E.D.E.S., la Sviluppumbria, la GE.PA.FIN., il Parco Tecnologico Agroalimentare e gli I.E.R.P..La L.R. 3/’99 aveva fatto infatti la scelta di mantenere in capo alla Regione l’attività di tali Enti senza alcuna verifica preventiva dell’esigenza di unitario esercizio a livello regionale di tali compiti.

1.2. Legge regionale 9 luglio 2007 , n. 23 Riforma del sistema amministrativo regionale e locale - Unione europea e relazioni internazionali - Innovazione e semplificazione.

La legge che recepisce nell’ordinamento regionale la novella costituzionale del 2001 dopo sei anni dalla sua emanazione, definisce l’assetto dei poteri e delle funzioni della Regione e degli Enti locali, confermando a questi ultimi la competenza in ordine all’organizzazione e allo svolgimento delle funzioni loro conferite, nel rispetto dei limiti fissati dalla legge regionale e prevedendo che i regolamenti regionali esistenti, all’entrata in vigore della legge, nell’ambito materiale riservato agli enti locali perdano efficacia nell’ordinamento di ogni singolo ente al momento che lo stesso emana le proprie norme regolamentari. Nell’ambito delle materie di competenza legislativa regionale saranno gli enti locali a determinare le sanzioni per la violazione dei regolamenti, all’interno dei limiti fissati dalla norma regionale. Vengono richiamati e sviluppati i principi costituzionali di sussidiarietà, adeguatezza e differenziazione, ma anche i principi di responsabilità e di efficienza, efficacia, economicità e di integrazione delle politiche in ambiti territoriali. Tali principi saranno attuati dalla Regione attraverso l’emanazione - entro un anno dall’approvazione- di atti legislativi riferiti a settori organici di materie,

con i quali vengono individuate le funzioni amministrative da conferire ai Comuni e alle Province. Per dare attuazione all’ultimo comma, dell’articolo 123 della Costituzione, la concertazione istituzionale viene collocata, in modo permanente, in capo al Consiglio delle Autonomie locali, La novità più importante della legge è l’attuazione della semplificazione istituzionale, attraverso la istituzione dell’Ambito Territoriale Integrato (ATI), quale livello istituzionale che unifica l’esercizio di una pluralità di funzioni afferenti varie materie quali: la sanità, l’integrazione socio-sanitaria, la gestione dei rifiuti, il ciclo idrico integrato, il turismo. Gli ATI rendono tutti i Comuni “adeguati” a divenire titolari di tutte le funzioni amministrative e possono, quindi, essere destinatari di ulteriori funzioni attribuite o delegate dalle Province, conferite dai Comuni per l’esercizio associato ovvero dai Comuni singoli mediante convenzione. L’ATI viene definito forma speciale di cooperazione dei Comuni, ha personalità giuridica di diritto pubblico e autonomia regolamentare, organizzativa e di bilancio. E’ lo strumento istituzionale dei Comuni per promuovere in modo coordinato lo sviluppo economico e sociale del territorio di livello sovracomunale, la partecipazione unitaria degli stessi ai processi di programmazione, pianificazione generale e settoriale di competenza della Regione e della Provincia. L’ATI costituisce un modello istituzionale mutuato dal servizio idrico integrato, per il quale il D.Lgs 152/2006, all’art. 200 lo prevede quale Autorità anche per la gestione integrata dei rifiuti urbani.

2. L’ATTIVITÀ LEGISLATIVA ATTUATIVA.

A seguito di una riforma costituzionale di tale portata, le Regioni dovettero far fronte all’esigenza di innovare il quadro normativo regionale e il sistema di riparto delle funzioni amministrative per adeguarlo al nuovo dettato costituzionale. Da un’analisi sommaria della legislazione prodotta dalle Regioni, si evince che l’intervento del Legislatore regionale dal 2001 al 2006 è stato molto poco incisivo di quanto ci si potesse aspettare per quanto riguarda l’attribuzione delle funzioni amministrative. Si possono individuare almeno due cause per spiegare tale fenomeno. In primo luogo vi è il mancato - o quanto meno incompleto - intervento dello Stato nella fase attuativa della riforma per quel che concerne l’esercizio delle funzioni amministrative ed il loro finanziamento, oltre che nella approvazione delle leggi quadro nelle materie di competenza concorrente. Ciò ha fatto sì che il Legislatore regionale operasse in un quadro di incertezza e, dunque, tendesse a posticipare un intervento più significativo, non sfruttando peraltro, almeno in una prima fase, i nuovi spazi di competenza attribuiti alle Regioni dalla modifica della Carta costituzionale.Una seconda ragione del limitato intervento del Legislatore regionale è da individuare dalla piena attuazione da questi data alla legislazione statale sul riordino del sistema delle Autonomie locali degli anni Novanta. A seguito

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delle “leggi Bassanini”, infatti, in molte Regioni è stata in gran parte rivista l’attribuzione delle funzioni amministrative nel rispetto di quanto disposto dalla legge statale sia nell’allocazione delle funzioni alle varie tipologie di enti che nella introduzione dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza. Alla fase di riforme del sistema territoriale “a Costituzione invariata” ha fatto seguito la riforma costituzionale nella quale i medesimi principi hanno rappresentato il fulcro della nuova disciplina costituzionale dell’esercizio delle funzioni amministrative. Per molte Regioni, dunque, sono stati sufficienti interventi tendenzialmente limitati sulle leggi di riordino delle funzioni amministrative approvate alla fine degli anni Novanta per adeguarsi alla nuova disciplina costituzionale.In particolare, si può osservare che molte delle leggi più rilevanti in questo ambito risalgono agli anni immediatamente successivi alle “leggi Bassanini”.L’attività di produzione legislativa regionale è poi ripresa e si è sviluppata nelle legislature 2005-2010 e nell’attuale 2010-2015.

3. IL PRINCIPIO DI SUSSIDIARIETÀ NEI RAPPORTI FRA REGIONI ED ENTI LOCALI. L’attuazione del principio di sussidiarietà da parte delle Regioni ha trovato la sua prima generale affermazione negli Statuti. Ai nuovi Statuti spettava infatti definire, come enuncia l’attuale art.123, oltre alla forma di governo, i principi fondamentali di organizzazione e di funzionamento di ciascuna Regione e quindi anche del sistema amministrativo regionale o, come si suole denominare, il sistema regionale delle autonomie. E pur con vari accenti gli statuti hanno posto a base della configurazione di tale sistema i principi costituzionali considerati. Al pari che nella legge n.131/03 più di uno Statuto ha fatto propri in particolare i criteri sulla redistribuzione delle funzioni amministrative regionali per natura e dimensione delle stesse. Ma la stasi da parte del legislatore statale nella definizione delle funzioni fondamentali degli enti locali, quale condizione preliminare per poter avviare l’azione regionale, è stato uno dei fattori alla base dei ritardi maturati nella attuazione Un altro fattore è da individuarsi nelle tradizionali difficoltà di rapporti fra Regioni ed Enti locali che talora emergono anche in giudizi di costituzionalità, in quanto pare in generale difficile trovare un punto di equilibrio fra il ruolo e le prerogative regionali e quelle locali in un rapporto di necessaria complementarietà. Da un lato, il legislatore regionale ha faticato a trovare una misura nuova e diversa nella disciplina delle funzioni amministrative attribuite agli enti locali( i requisiti minimi di uniformità di cui parla l’art.4 della legge La Loggia ) in presenza della riserva ad essi spettante in base all’art.117, 6° co. della potestà regolamentare sull’organizzazione e lo svolgimento delle funzioni amministrative loro attribuite.

Dall’altro, vi è la difficoltà da parte delle autonomie locali di inserirsi in un sistema amministrativo regionale che deve essere, come quello nazionale, pensato e strutturato all’insegna della sussidiarietà e dei rapporti di complementarietà che ne conseguono.Gli Statuti regionali si sono limitati a prevedere l’istituzione del Consiglio delle autonomie locali. Gli Enti locali che dovevano essere i nuovi “protagonisti” del sistema di amministrazione” a misura delle esigenze dei territori, dei cittadini e delle imprese, sono poi rimasti al margine del dibattito politico- istituzionale a causa della mancata previsione dell’accesso diretto alla Corte costituzionale nei confronti di leggi ritenute lesive della loro autonomia, in particolare per il mancato rispetto del principio di sussidiarietà, omissione che rappresenta un vulnus grave al principio costituzionale di “equiordinazione” .

4. IL LAVORO DI ANALISI

Il lavoro consiste in due parti:1. Analisi della legislazione regionale Si tratta, di verificare puntualmente l’attuazione concreta del principio di sussidiarietà analizzando l’attività legislativa della Regione Umbria. Le leggi sottoposte ad analisi sono quelle che prevedono l’esercizio di funzioni amministrative. Non compaiono pertanto nel lavoro le leggi regionali di organizzazione, di programmazione e finanziarie, o quelle meramente modificatrici di articoli o commi non rilevanti ai fini della presente indagine dal punto di vista quantitativo e qualitativo. Sono state classificate le leggi regionali dal 2003 al 2013 per le seguenti macromaterie:

1. affari istituzionali: affari istituzionali - programmazione - bilancio - finanze e tributi - demanio e patrimonio - ordinamento degli uffici - personale - polizia urbana e rurale - circoscrizioni comunali - difensore civico - affari generali;

2. agricoltura (agricoltura - foreste - demanio e patrimonio agricolo - forestale - bonifica- caccia e pesca);

3. attività produttive (attività produttive - artigianato - commercio - industria - lavoro - formazione e orientamento professionale - emigrazione ed immigrazione - cave e torbiere – acque minerali e termali);

4. sanità e assistenza: assistenza - sanità - edilizia ospedaliera;

5. cultura: cultura - beni culturali - diritto allo studio e istruzione - informazione -edilizia scolastica - sport - turismo;

6. territorio e ambiente: urbanistica - beni ambientali, protezione della natura, parchi e riserve naturali - tutela dell’ambiente dagli inquinamenti - tutela, disciplina e utilizzazione delle acque - opere

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idrauliche - lavori pubblici - casa - viabilità - trasporti - porti e aeroporti.

1. Analisi comparata delle leggi regionali delle Leggi regionali dell’ Umbria relativa alle suesposte materie .

Per esigenze di chiarezza e leggibilità, nonché per rendere più immediato il ruolo che ogni livello di governo ricopre nelle diverse materie, si è ritenuto opportuno presentare i risultati di tale analisi in apposite tabelle da pagina 40 in poi.

PARTE TERZA

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1.Valutazione della legislazione dell’Umbria. La valutazione che seguono su alcune leggi regionali analizzata muove dal riferimento, da una parte alla legislazione statale di riforma, ma soprattutto dalle statuizioni dello Statuto regionale.

1.1. affari istituzionali: • L. 23 dicembre 2011 , n. 18 Riforma del sistema amministrativo

regionale e delle autonomie locali e istituzione dell’Agenzia forestale regionale. Conseguenti modifiche normative. Sul contenuto di tale legge si evidenzia, da una parte il positivo conferimento agli ATI delle funzioni amministrative già di competenza delle Comunità montane, dall’altra, invece, appare non conforme ai principi statutari, l’assunzione in capo alla Regione, attraverso un ente strumentale, quale l’Agenzia per la forestazione di funzioni operative, in materia forestale, di fatto in competizione con i Comuni od anche con privati imprenditori.

• L.R.17 maggio 2013 , n. 11 Norme di organizzazione territoriale del servizio idrico integrato e del servizio di gestione integrata dei rifiuti - Soppressione degli Ambiti territoriali integrati. Gli ATI soggetto istituzionale della gestione di una serie copiosa di servizi da parte dei Comuni, indicati dalla L.R. 18/11 vengono soppressi e viene istituita a livello regionale un’unica struttura operativa, L’AURI, di fatto accentrando su un unico soggetto competenze che sono svolte a livello territoriale.

1.2. agricoltura (agricoltura - foreste - demanio e patrimonio agricolo - forestale - bonifica- caccia e pesca);

• L.R. 23 dicembre 2004 n. 30 “Norme in materia di bonifica”. Viene mantenuta la struttura organizzativa pre riforma con il mantenimento “intatto” dei Consorzi di Bonifica e l’attribuzione delle funzioni amministrative in maniera “residuale” ai Comuni, laddove non vi siano operanti i Consorzi stessi.

• L.R. 4 novembre 2011 , n. 12 Scioglimento dell’Agenzia regionale umbra per lo sviluppo e l’innovazione in agricoltura (A.R.U.S.I.A.)- Abrogazione della L.R. 26/10/1994, n. 35 . Si scioglie un’agenzia regionale e la Regione subentra nelle funzioni e nei compiti senza vagliare alcuna possibilità di attuare la sussidiarietà verticale.

1.3. attività produttive (attività produttive - artigianato - commercio - industria - lavoro - formazione e orientamento professionale - emigrazione ed immigrazione - cave e torbiere - acque minerali e termali);

• L.R. 2 maggio 2007 , n. 10 “Ulteriori modificazioni della l. r. n. 41/98 (Norme in materia di politiche regionali del lavoro e di servizi per l’impiego) - Soppressione dell’Agenzia Umbria Lavoro” . Anche in questo caso si registra l’assunzione in capo alla Regione di funzioni amministrative affidate ad un’agenzia, senza vagliare ipotesi più rispondenti ai dettami statutari.

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• L.R. 22 dicembre 2008 , n. 22 Norme per la ricerca, la coltivazione e l’utilizzo delle acque minerali naturali, di sorgente e termali. Tale legge , oltre a mantenere tutte le competenze amministrative in capo alla Regione attribuisce al Dirigente del servizio direttamente tutte le competenze in materia di rilascio di permessi e concessioni e vigilanza sull’applicazione della normativa . Una disposizione che sottrae di fatto agli organi regionali, Presidente e Giunta, ogni potere e valutazione: una disposizione, quindi, di molto dubbia costituzionalità .

1.4. territorio e ambiente: urbanistica - beni ambientali, protezione della natura, parchi e riserve naturali - tutela dell’ambiente dagli inquinamenti - tutela, disciplina e utilizzazione delle acque - opere idrauliche - lavori pubblici - casa - viabilità - trasporti - porti e aeroporti.

• L.R. 8 Luglio 2004 , n. 15 Norme in materia di trasporto di viaggiatori effettuato mediante noleggio di autobus con conducente. La Regione si attribuisce la funzione amministrativa di rilascio dell’autorizzazione per attività di noleggio alle imprese per l’esercizio della professione di trasportatore di persone, attività per la quale non si ritengono esistenti le esigenze di unitario esercizio a livello regionale.

2.Valutazione comparata sulle legislazioni regionali.

L’indagine sulla sussidiarietà verticale nella legislazione regionale assume un rilievo importante, in quanto conferma, come una la cartina di tornasole attraverso cui traspare – in filigrana – l’opera di effettiva conformazione degli apparati regionali al modello costituzionale.Sono molte le Regioni che hanno accompagnato la riallocazione delle funzioni nei diversi livelli territoriali, alla contestuale istituzione – altre volte al riordino, di aziende o agenzie cui è stato demandato l’esercizio di rilevanti funzioni del settore riformato.Sembra dunque di poter rilevare – in via di prima approssimazione – che al rafforzamento del corredo di competenze degli enti locali, nell’ambito della redistribuzione endoregionale delle funzioni, corrisponda, in molte realtà una più accentuata connotazione del profilo amministrativo della Regione in termini di programmazione, coordinamento, indirizzo e controllo, ma non consegua affatto la messa in discussione della sua amministrazione indiretta, storicamente strutturatasi Se ne ricaverebbe, in definitiva, un significativo indizio della perdurante attitudine delle Regioni a non dismettere del tutto le proprie funzioni operative, ma a mantenerne accentrata una quota considerevole e ad esercitarla per il tramite dei loro enti strumentali, con la conseguenza che non solo non si profilerebbe alcuna scomparsa dell’amministrazione regionale, ma sembrerebbero ben lungi dal concretizzarsi anche le prospettive di un suo drastico ridimensionamento.Vi è poi come rilevato l’autonomo processo di riordino degli enti strumentali delle Regioni, non accompagnato dal simultaneo trasferimento di funzioni amministrative, ma tal mantenimento delle stesse in capo alla Regione.La ratio della sussidiarietà era quella di attribuire ai Comuni la generalità delle

“funzioni amministrative”, considerandosi un eccezione - da motivarsi sulla base dei criteri di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza - l’attribuzione delle funzioni amministrative agli enti di livello superiore.Gli enti titolari della funzione legislativa (e quindi Stato e Regioni) avendo l’obbligo - e non già la facoltà - di assegnare ai Comuni la generale attuazione amministrativa degli interessi regolati, avrebbero dovuto preoccuparsi, in ogni singola legge, di motivare l’eventuale assegnazione di tale competenza agli Enti superiori. In tale prospettiva, anche tutta la legislazione precedente la riforma, avrebbe dovuto essere rivista nel senso di trasferire agli enti comunali il generale compito di attuare le legislazioni vigenti, all’insegna di una vera e propria deconcentrazione delle competenze amministrative.E’ quanto del resto aveva previsto l’art.7 della stessa legge la Loggia, affermando che “lo Stato e le Regioni, secondo le rispettive competenze, provvedono a conferire le funzioni amministrative da loro esercitate alla data di entrata in vigore della presente legge, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza, attribuendo a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato soltanto quelle di cui occorra assicurare l’unitarietà di esercizio, per motivi di buon andamento, efficienza o efficacia dell’azione amministrativa” (...).Essa dava dunque per scontato, che, “tutto il resto”, fosse per definizione di pertinenza comunale.

2.1. Il caso della Regione Lazio Tale Regione ha utilizzato una potestà normativa conferitagli dalla riforma costituzionale, cioè l’ordinamento degli uffici e degli enti dipendenti delle Regioni e, più in generale, l’organizzazione amministrativa regionale che sono diventate materie di competenza legislativa residuale regionale, per “scardinare” l’attuazione della sussidiarietà verticale.Lo stesso Statuto laziale, nel Titolo V dedicato all’“Organizzazione e all’attività amministrativa regionale”, delinea un sistema di amministrazione regionale composto da differenti modelli organizzativi: oltre alle strutture amministrative regionali in senso stretto (art. 53), sono infatti previste le agenzie regionali (art. 54), gli enti pubblici dipendenti (art. 55), le società e gli altri enti privati a partecipazione regionale (art. 56). Confrontato con lo Statuto della Regione Toscana , si può apprezzare, invece, un orientamento completamente rovesciato. L’art. 63 dello Statuto della Toscana, rubricato come “Sussidiarietà istituzionale”. dispone che la Regione, nelle materie di propria competenza, applichi i principi costituzionali di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza nel conferimento agli Enti locali delle funzioni amministrative, nel rispetto di quanto disposto dal primo comma dell’art. 118 Cost., con la previsione della riserva di legge in relazione al conferimento di funzioni. Nel terzo ed ultimo comma dell’art. 62 lo Statuto toscano esplicita un aspetto specifico dell’applicazione del principio di sussidiarietà, vale a dire la limitazione dell’esercizio delle funzioni amministrative da parte della Regione ai soli casi in cui vi siano riconosciute esigenze di esercizio unitario di livello regionale.

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Per avere un’idea di quanto sia variegato il sistema amministrativo regionale basta fare riferimento al fatto che attualmente si contano ben cinque agenzie regionali, ventisette enti pubblici dipendenti dalla Regione e dodici società partecipate. Tutti i modelli organizzativi richiamati fanno parte a pieno titolo del sistema amministrativo regionale: essi, infatti, pur avendo diversa natura giuridica e differenti gradi di autonomia, in ogni caso dipendono dalla Regione e sono preposti a svolgere tutta una serie di attività e di funzioni di competenza regionale.

1 - AFFARI ISTITUZIONALI

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Legge regionaleUmbria

24 settembre 2003, n. 18 norme in materia di forme associative dei comuni e di incentivazione delle stesse. altre disposizioni in materia di sistema pubblico endoregionale

Funzioni riservate alla Regione

La Regione approva il programma di riordino territoriale a) effettua la ricognizione delle fusioni, delle unioni di Comuni, delle Comunità montane, delle associazioni intercomunali;b) definisce gli ambiti territoriali ottimali per l’esercizio associato delle funzioni c) definisce le zone omogenee delle Comunità montane;d) specifica i criteri per la concessione dei contributi annuali e straordinari a sostegno delle fusioni, delle unioni di Comuni, delle Comunità montane e delle associazioni intercomunali.

Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi

Le Comunità montane sono titolari:a) delle funzioni loro attribuite dalle leggi statali e regionali;b) degli interventi speciali per la montagna stabiliti dalla Unione europea e dalle leggi statali e regionali;c) delle funzioni già esercitate dai soggetti gestori delle aree naturali protette regionali;d) dell’esercizio di ogni altra funzione conferita ad esse dalla Regione, dalle Province e dai Comuni.4. Le Comunità montane esercitano le funzioni in materia di prevenzione e lotta attiva agli incendi boschivi e di forestazione, anche nei territori dei Comuni non ricompresi nelle Comunità montane .5. Le Comunità montane esercitano, nei comprensori di bonifica ove non sono istituiti e operanti consorzi di bonifica, le relative funzioni.7. Le Comunità montane costituiscono l’ambito di esercizio associato delle funzioni operative di protezione civile, per i Comuni con popolazione inferiore a 25 mila abitanti.1. Le Comunità montane non possono svolgere attività commerciali, se non quelle strumentali alla valorizzazione di produzioni proprie.2. Le Comunità montane possono svolgere attività di lavori o servizi commissionate da soggetti privati solo mediante autonome strutture operative che assicurino la distinzione della gestione economico-contabile di tale attività rispetto a quelle istituzionali.

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l.r.25 gennaio 2005 , n. 1 disciplina in materia di polizia locale.

Funzioni attribuite ai Comuni

I Comuni singoli o associati e le Province esercitano, nelle materie loro proprie o conferite dalla legislazione statale e regionale, le funzioni:a) di polizia amministrativa per l’attività di accertamento, di prevenzione e repressione degli illeciti amministrativi derivanti dalla violazione di normative, leggi, regolamenti e di ordinanze di autorità regionali e locali. In materia di commercio, i relativi verbali sono trasmessi alla Camera di commercio competente;b) di polizia giudiziaria;c) di polizia stradale ;d) di polizia tributaria, limitatamente alle attività ispettive di vigilanza sull’osservanza delle disposizioni relative ai tributi locali;e) ausiliarie di pubblica sicurezza, per garantire, in concorso con le altre forze di polizia dello Stato, la sicurezza urbana nell’ambito del territorio di competenza;f) di informazione, di raccolta di notizie, di accertamento e rilevazione dati e altri compiti eventualmente previsti da leggi o regolamenti, a richiesta delle autorità competenti e degli uffici autorizzati per legge a richiederli;g) di soccorso in occasione di pubbliche calamità e disastri in raccordo con la protezione civile.Per l’esercizio delle funzioni, i Comuni singoli o associati e le Province istituiscono corpi e servizi di polizia locale e con regolamento stabiliscono il relativo ordinamento e organizzazione, nel rispetto delle norme della presente legge.Le polizie locali, comunque organizzate, non possono essere considerate strutture intermedie in un settore amministrativo o tecnico più ampio, né essere poste alle dipendenze di un dirigente di settore, di area o di unità operativa diversa. Salva diversa disposizione del regolamento del comune, il Comandante è inquadrato nella categoria apicale dell’ente da cui dipende e deve appartenere alla polizia locale.I Comuni singoli o associati e le Province esercitano, nelle materie loro proprie o conferite dalla legislazione statale e regionale, le funzioni:a) di polizia amministrativa per l’attività di accertamento, di prevenzione e repressione degli illeciti amministrativi derivanti dalla violazione di normative, leggi, regolamenti e di ordinanze di autorità regionali e locali. In materia di commercio, i relativi verbali sono trasmessi alla Camera di commercio competente;b) di polizia giudiziaria;c) di polizia stradale ;d) di polizia tributaria, limitatamente alle attività ispettive di vigilanza sull’osservanza delle disposizioni relative ai tributi locali;e) ausiliarie di pubblica sicurezza, per garantire, in concorso con le altre forze di polizia dello Stato, la sicurezza urbana nell’ambito del territorio di competenza;

f) di informazione, di raccolta di notizie, di accertamento e rilevazione dati e altri compiti eventualmente previsti da leggi o regolamenti, a richiesta delle autorità competenti e degli uffici autorizzati per legge a richiederli;g) di soccorso in occasione di pubbliche calamità e disastri in raccordo con la protezione civile.Per l’esercizio delle funzioni, i Comuni singoli o associati e le Province istituiscono corpi e servizi di polizia locale e con regolamento stabiliscono il relativo ordinamento e organizzazione, nel rispetto delle norme della presente legge.Le polizie locali, comunque organizzate, non possono essere considerate strutture intermedie in un settore amministrativo o tecnico più ampio, né essere poste alle dipendenze di un dirigente di settore, di area o di unità operativa diversa. Salva diversa disposizione del regolamento del comune, il Comandante è inquadrato nella categoria apicale dell’ente da cui dipende e deve appartenere alla polizia locale.

Funzioni riservate alla Regione

La Regione:a) esercita funzioni di coordinamento e indirizzo, nonché di sostegno alla attivi-tà operativa, formazione e aggiornamento professionale degli appartenenti alla polizia locale;b) promuove e incentiva, , l’esercizio associato delle funzioni di polizia locale;c) promuove, sulla base della legislazione statale , forme di collaborazione con le forze di polizia dello Stato, nonché intese interregionali per la realizzazione di interventi e sistemi informativi integrati in materia di sicurezza;d) coordina gli interventi di cui al punto c) con quelli volti a migliorare la sicurez-za delle comunità locali; e) effettua la raccolta e il monitoraggio dei dati inerenti lo svolgimento delle fun-zioni delle polizie locali e ne cura la diffusione;f) compie attività di ricerca, documentazione ed informazione in merito alle te-matiche inerenti le funzioni delle polizie locali e dei servizi operativi;g) definisce, al fine di assicurare l’omogeneità del servizio su tutto il territorio regionale, gli standard essenziali che i corpi di polizia locale debbono possedere in riferimento al rapporto fra la popolazione residente e il numero degli operatori della polizia locale;h) istituisce la Scuola regionale di polizia locale e promuove le opportune intese con gli enti locali;i) promuove l’attivazione di un numero telefonico unico di pronto intervento per la polizia locale.

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Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi

Il Comitato tecnico consultivo della Polizia locale, composto:a) un dirigente della struttura regionale competente in materia di polizia loca-le, con funzioni di presidente;b) quattro comandanti dei corpi di polizia locale di cui due ufficiali e due sot-toufficiali;c) due agenti;d) due esperti in materia di sicurezza urbana. Il Comitato ha compiti di studio, informazione e consulenza tecnica in ma-teria di polizia locale e formula proposte alla Giunta regionale per la migliore organizzazione e il coordinamento dei servizi di Polizia locale.2. Il Comitato esprime pareri e formula proposte:a) sulle caratteristiche delle uniformi e dei distintivi del personale addetto ai servizi di polizia locale;b) sulle caratteristiche e sulla dotazione dei mezzi e degli strumenti operativi in dotazione ai corpi e servizi di polizia locale;c) sullo svolgimento dei corsi di formazione, aggiornamento e riqualificazione professionale per gli addetti alla polizia locale.

Legge regionaleUmbria

l.r.23 dicembre 2011 , n. 18 riforma del sistema amministrativo regionale e delle autonomie lo-cali e istituzione dell’agenzia forestale regionale. conseguenti mo-difiche normative.

Funzioni attribuite ai Comuni

Unioni speciali di ComuniFunzioni in materia di politiche sociali a) funzioni attribuite agli A.T.I. (Disciplina per la realizzazione del sistema in-tegrato di Interventi e Servizi Sociali).Funzioni in materia di turismo a) informazione e accoglienza turistica, sulla base di indirizzi, criteri e stan-dardstabiliti.Alfinedigarantireomogeneitàdell’informazioneedeiservizisu tutto il territorio regionale, alla Regione compete il coordinamento, anche tecnico,delle funzioni, ivi compresa ladefinizionedella consistenza edelladislocazionedegliufficidiinformazioneeaccoglienzaturisticadiareavasta;b) raccolta e trasmissione alla Regione dei dati statistici mensili, acquisiti dai comuni, sul movimento turistico;c) comunicazioni concernenti le attrezzature e le tariffe delle strutture ricettive e conseguente rilascio dei cartellini vidimati, ;d) raccolta e redazionedelle informazioni turistiche locali aifinidell’imple-

mentazione del portale turistico regionale e connesso sviluppo delle attività on line;e) vigilanza e controllo, ivi compresa la lotta all’abusivismo, sulle strutture e le attività ricettive, sull’attività di organizzazione e intermediazione di viaggi in forma professionale e non professionale, sull’esercizio delle professioni turisti-che, , nonché sulle attività connesse alla statistica sul turismo;f)realizzazionedispecificiprogettiinmateriadivalorizzazionedell’offertatu-risticalocale,approvatidallaGiuntaregionaleedespressamenteaffidatiall’u-nione speciale di comuni.

Funzioni in materia di boschi e di terreni sottoposti a vincolo per scopi idrogeologicia) autorizzazioni per la realizzazione di interventi;b) tabellazione delle strade e piste sulle quali è vietata la circolazione nei ter-reni sottoposti a vincolo per scopi idrogeologici e nei boschi;c) individuazione delle aree nelle quali è consentita la circolazione dei veicoli a motore per lo svolgimento di manifestazioni pubbliche e gare;d) esame dei ricorsi avverso le sanzioni;e) rilascio delle autorizzazioni all’abbattimento e spostamento di alberi sot-toposti a tutela e raccolta ed estirpazione delle specie erbacee ed arbustive sottoposte a tutela;f) autorizzazioni all’impianto di talune specie arboree, g) autorizzazioni in deroga alle prescrizioni in materia di incendi boschivih) tenuta dell’elenco delle ditte boschive e degli operatori forestali;i) funzioni amministrative concernenti l’imposizione, l’esclusione e l’esenzione sui terreni del vincolo idrogeologico;j)rilasciodicertificatidiprovenienzaperilmaterialeforestaledimoltiplica-zione.

Funzioni in materia agricola a)riconoscimentodellaqualificadicoltivatoredirettoediimprenditoreagri-colo professionale, ai fini dell’applicazione delle norme nazionali, regionali,provinciali, comunali, vigenti;b)attestazioneall’UfficiodelRegistrodelmantenimentobeneficifiscaliafavo-re del coltivatore diretto e dell’imprenditore agricolo professionale ;c) controllo in ordine al compendio unico;d) gestione degli impianti irrigui già in carico all’Agenzia regionale umbra per lo sviluppo e l’innovazione in agricoltura (ARUSIA);e) attività istruttoria relativa ad interventi mirati alla ripresa delle attività pro-duttive a seguito di calamità naturali;f) attività connesse al servizio a favore Utenti Motori Agricoli;g) attività istruttoria relativa alle rilevazioni statistiche (campionarie e periodi-che) in agricoltura;h) parere relativo alla estinzione anticipata, alla restrizione ipotecaria ed ac-collo operazioni creditizie agrarie agevolate ;i)verificadellaidoneitàtecnico-produttivadeivigneti,aifinidellarivendica-zione della produzione di vini a D.O./I.G.;

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j) accertamenti sugli impianti viticoli connessi alla estirpazione, reimpianto e nuovi impianti;k)autorizzazioneall’acquistodiprodottifitosanitarierelativicoadiuvanti,;l) controllo delle aziende che praticano metodi di produzione biologica;m)individuazionedeglielementiperladefinitivaassegnazionedelleterrein-colte,abbandonateoinsufficientementecoltivate;n) vertenze su patti e contratti agrari.

Funzioniinmateriadifunghietartufia) autorizzazioni alla raccolta di funghi a particolari categorie di raccoglitori e ai non residenti in Umbria, ai sensi dell’articolo 5, comma 1, della medesima legge;b) irrogazione delle sanzioni per le violazioni alle disposizioni;c) attestazioni di riconoscimento delle tartufaie controllate o coltivate;d) approvazione della delimitazione del comprensorio consorziato ;e) limitazione o temporanea sospensione della raccolta;f) rilascio tesserini di autorizzazione alla raccolta ;g) istituzione di appositi albi, nei quali sono iscritte le tartufaie controllate e coltivate;h)mappaturadellezoneparticolarmentevocatealladiffusionedellatartufi-coltura;i) funzioni amministrative in materia di sanzioni;j) funzioni amministrative inerenti la decisione dei ricorsi amministrativi e di rappresentanza in giudizio ;k)iniziativeditutela,divalorizzazioneedincrementodelpatrimoniotartufi-colo,

Funzioniinmateriadibonificaneiterritoriovenonoperanoiconsorzidibonificaa) la sistemazione e l’adeguamento della rete scolante, le opere di raccolta, le opere di approvvigionamento, utilizzazione e distribuzione di acqua ad uso irriguo;b)leoperedisistemazioneeregolazionedeicorsid’acquadibonificaeirrigui,comprese le opere idrauliche sulle quali sono stati eseguiti interventi;c) le opere di difesa idrogeologica;d) gli impianti di sollevamento e di derivazione delle acque;e)leopereperlasistemazioneidraulico-agrariaedibonificaidraulica;f) le infrastrutture di supporto per la realizzazione e la gestione di tutte le ope-re di cui alle precedenti lettere;g)leoperefinalizzateallamanutenzioneealripristino,nonchéquelledipro-tezione dalle calamità naturali;h) le opere di completamento, adeguamento funzionale e normativo, ammo-dernamento degli impianti e delle reti irrigue e di scolo;i) gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria di tutte le opere di cui alle precedenti lettere;j) gli interventi e le opere di riordino fondiario.

Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi

Agenzia forestaleSono conferiti all’Agenzia i seguenti compiti:a) gestione dei beni agro-forestali, appartenenti al demanio e al patrimonio dellaRegione,finalizzataallatutelaedalmiglioramentodeglistessi;b) interventi di tutela e miglioramento dei boschi esistenti e attività connesse;c) imboschimento e rimboschimento e relative cure colturali;d) interventi di prevenzione e lotta attiva contro gli incendi boschivi ed altre avversità del bosco.2. L’Agenzia, su espressa delega e previo accordo o protocollo di intesa con l’ente o soggetto interessato, può svolgere compiti operativi nei seguenti am-biti:a) sistemazioni idraulico-forestali e idraulicoagrarie;b) gestione dei beni agro-forestali appartenenti al demanio e al patrimonio dei comuni e di altri enti pubblici;c)tutela,valorizzazioneeincrementodelpatrimoniotartuficolo;d) valorizzazione delle biomasse agricole e forestali;e) gestione faunistica;f) sistemazione e miglioramento delle aree verdi da destinare ad uso pubblico;g) supporto tecnico ed operativo in materia di protezione civile;h) sperimentazione e progetti dimostrativi nelle materie di competenza;i) conservazione degli ecosistemi naturali e salvaguardia dell’equilibrio ecolo-gico;l) realizzazione e gestione della rete irrigua;m) ogni attività per l’ottimale gestione degli ambiti silvo-pastorali e montani e del verde pubblico;n)eserciziodellefunzioniinmateriadibonifica.3.LaRegione,leprovince,icomuniealtrisoggettipossonoaffidareall’Agen-zia, mediante convenzione di durata almeno triennale, la gestione di attività omogenee o analoghe a quelle proprie della Agenzia medesima.

Legge regionaleUmbria

l.r.17 maggio 2013, n. 11 norme di organizzazione territoriale del servizio idrico integrato e del servizio di gestione integrata dei rifiuti - soppressione degli am-biti territoriali integrati

Funzioni attribuite ai Comuni

Soppressione degli Ambiti Territoriali Integrati- ATI L’intero territorio re-gionale costituisce ambito territoriale ottimale.

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Funzioni riservate alla Regione

La Regione esercita funzioni di indirizzo, programmazione, vigilanza e controllo:a) elabora piani e programmi di settore;b) stipula accordi o intese con amministrazioni statali o regionali;c)formulaindirizzielineeguidaaifinidellaattivitàdell’AURI;d) stabilisce criteri ed indirizzi per l’elaborazione del Piano d’ambito per il ser-viziodigestioneintegratadeirifiuti;e)verificalaconformitàdeipianieprogrammidell’AURIallanormativaeagliatti di programmazione regionali;f)svolgeattivitàspecifichedimonitoraggio,vigilanzaecontrollovolteallatu-tela degli utenti del servizio idrico integrato e del servizio di gestione integrata deirifiuti;g)promuoveiniziativeperlariduzionedeiconsumi,perlariduzionedeirifiutiprodotti,per incentivare lafilieradelriciclo,per ilrisparmio idricoeper lacostituzione di riserve idriche;h) promuove iniziative volte alla riduzione ed all’omogeneizzazione delle tariffe;i) favorisce processi di aggregazione delle gestioni esistenti nelle more del rial-lineamento delle scadenze delle gestioni in essere;l) esercita la vigilanza e il controllo sull’attività dell’AURI;m)definisceconappositoatto lemodalitàper l’acquisizionedall’AURIedalsoggetto gestore di tutti gli atti, i dati e le informazioni relativi ai servizi di cui alla presente legge;n) esercita i poteri sostitutivi qualora il Consiglio direttivo non intervenga;o) esercita i poteri sostitutivi in caso di mancata o ritardata approvazione da parte dell’AURI dei Piani d’ambito per il servizio idrico e per il servizio di gestio-nedeirifiutiedeiprogrammiannualidelleattivitàedegliinterventi.

Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi

AURI, forma speciale di cooperazione tra i comuni, soggetto tecnico di regola-zionedelservizioidricointegratoedelserviziodigestioneintegratadeirifiuti.L’AURI ha personalità giuridica di diritto pubblico, autonomia amministrativa, regolamentare, organizzativa e contabile. Sono conferite all’AURI le funzioni in materia di servizio idrico integrato e di serviziodigestioneintegratadeirifiutiperl’interoterritorioregionalecheco-stituisce ambito territoriale ottimale

2 - AGRICOLTURA

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Legge regionaleUmbria

23 dicembre 2004 n. 30“norme in materia di bonifica”

Funzioni riservate alla Regione

Adozioneprogrammaregionalepluriennaleperlabonifica.Ilprogrammapluriennalehacomefinalitàcontenereilrischioidraulico,di-fendere il suolo e le infrastrutture produttive, promuovere la manutenzione ordinaria e straordinaria di opere e territorio, conseguire il risparmio idrico in agricoltura e la valorizzazione delle risorse suolo e acqua, assicurare l’orga-nizzazioneefficaceedefficientedeiserviziperladifesadelsuoloelavaloriz-zazionedellarisorsaidricaaifiniprevalentementeagricoliedimiglioramentofondiario.. Il programma pluriennale, in particolare:a) stabilisce in via generale gli interventi e le azioni degli enti locali territoriali considerate di preminente interesse regionale, già individuate nei piani di bacinoedituteladelleacqueenellaprogrammazioneregionale,daaffidareaiconsorzidibonificaoallecomunitàmontaneb) individua, in mancanza dei piani di bacino e dei piani di tutela delle acque, gli indirizzi di programmazione del bacino per ciascun comprensorio di boni-fica;c) indica le linee-guida degli interventi e delle opere da realizzare attraverso i pianidibonifica.

Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi

Consorzidibonificachesvolgonoleseguentifunzioni:a)propostadipianodibonificaedeipianitriennalidiattuazione;b)adozionedelpianodiclassificaedelrelativoperimetrodicontribuenza;c)pianoannualediripartodelcontributodibonifica,sullabasedelpianodiclassifica;d) progettazione, realizzazione, manutenzione, esercizio, tutela e vigilanza del-leoperepubblichedibonifica;e)progettazione,esecuzioneegestionedelleoperedibonificadicompetenzaprivata,seaffidatadaiprivatistessi;f) predisposizione e attuazione dei piani di riordino fondiario;g) progettazione, realizzazione e gestione delle infrastrutture civili strettamen-teconnesseconleoperedellabonifica;h) progettazione, realizzazione e gestione degli impianti a prevalente uso irri-guo,degliimpiantiperlautilizzazionedelleacquereflueinagricoltura,degliacquedotti rurali e degli altri impianti, compresi in sistemi promiscui, funzio-naliaisistemicivilieirriguidibonifica;

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i)utilizzazionedelleacquefluentineicanalieneicaviconsortiliperusi che comportino la restituzione delle acque e siano compatibili con le suc-cessive utilizzazioni, ivi compresi la produzione di energia idroelettrica e l’ap-provvigionamento di imprese produttive,;j) predisposizione delle azioni di salvaguardia ambientale e di risanamento delleacque,alfinedellaloroutilizzazioneirrigua,dellarinaturalizzazionedeicorsid’acquaedellafitodepurazione.k) attuazione di studi, ricerche e sperimentazioni di interesse comprensoriale eregionaleperlabonifica,l’irrigazioneelatuteladelterritoriorurale,l) promozione di iniziative e realizzazione di interventi per la informazione e la formazione degli utenti, nonchè per la valorizzazione e la diffusione della co-noscenzadell’attivitàdibonificaediirrigazioneedellerisorseacquaesuolo

Legge regionaleUmbria

l.r.22 febbraio 2005 , n. 13“norme per la disciplina delle fattorie didattiche e modificazione dell’ art. 20 della legge regionale 28 febbraio 1994, n. 6 , come inte-grata e modificata dalla legge regionale 26 marzo 1997, n. 10 e dalla legge regionale 26 maggio 2004, n. 8 .”

Funzioni attribuite ai Comuni

Autorizzazione per l’esercizio dell’attività delle fattorie didattiche , sulla base deirequisitiinteramentefissatidallaRegione

Funzioni riservate alla Regione

Promozione della realizzazione di fattorie didattiche allo scopo di riavvicinare i cittadini ed in particolare le giovani generazioni al mondo agricolo, alla sua storia, alle sue tradizioni, alla sua cultura, alle sue molteplici funzioni volte a migliorare la qualità della vita.riconoscimento come fattorie didattiche delle imprese agricole e agrituristiche, singole o associate, che si impegnano a svolgere oltre alle attività tradizionali, attività didattiche, culturali e ricreative per la conoscenza dei cicli biologici animali e vegetali e dei processi di produzione, trasformazione e conservazione dei prodotti agricoli e silvo-pastorali, per educare ad un consumo alimentare consapevole, al rispetto per l’ambiente nell’ambito dello sviluppo sostenibile.Istituzione di corsi di formazione di operatore di fattoria didattica e di aggior-namento per imprenditori agricoli e operatori agrituristici che intendono atti-vare nelle loro aziende una fattoria didattica.

Legge regionaleUmbria

l.r.2 febbraio 2005 , n. 14norme per l’esercizio e la valorizzazione della pesca professionale e dell’acquacoltura.

Funzioni attribuite alle Province

Le Provincea) approvano e trasmettono alla Regione i piani annuali provinciali d’interven-to nel settore della pesca professionale e dell’acquacoltura in armonia con gli indirizzi impartiti dal programma regionale, nei limiti delle risorse loro rispet-tivamente destinate dal programma stesso;b) gestiscono i piani provinciali ed esercitano i controlli tecnici ed ammini-strativi circa il corretto impiego delle risorse per l’attuazione degli interventi previsti dai piani medesimi;c) rilasciano le licenze di pesca professionale;d)rilascianoleautorizzazioniperprelieviascoposcientifico;e) esprimono ai comuni il parere obbligatorio ma non vincolante per le auto-rizzazioni degli impianti di acquacoltura;f) rilasciano le concessioni;g) trasmettono alla Regione entro e non oltre il primo trimestre di ogni anno, unarelazionetecnicaefinanziariasull’attuazionedeirispettivipiani.

Funzioni riservate alla Regione

La Regionea) indirizzo, programmazione e coordinamento delle attività; b) ricerca e sperimentazione a supporto della programmazione;c) rapporti con le Autorità di Bacino;d) regolamentazione della pesca-turismo e dell’ittiturismo;e) regolamentazione del monitoraggio;f) regolamentazione dei programmi di controllo;g) regolamentazione del premio unico.

Istituzione Commissione consultiva, così composta:a)ildirigentedelServizioQualificazionedelleproduzionianimaliosuodelega-to, con funzioni di Presidente;b) il dirigente del Servizio Prevenzione e sanità pubblica o suo delegato;c) il dirigente del Servizio Programmazione forestale faunistica venatoria ed economia montana o suo delegato;d) un rappresentante designato da ciascuna delle province ;e) un rappresentante designato dall’Università degli studi di Perugia;f) un rappresentante designato da ciascuna delle associazioni del settore

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dell’acquacoltura e della pesca professionale che opera a livello regionale;g) un rappresentante designato dall’ARPA;h) due rappresentanti designati dal Consiglio delle autonomie locali, uno espressione dei comuni rivieraschi dei laghi ed uno espressione dei comuni rivieraschideifiumi.

Legge regionaleUmbria

l.r.22 ottobre 2008 , n. 15“norme per la tutela e lo sviluppo del patrimonio ittico regionale, la salvaguardia degli ecosistemi acquatici, l’esercizio della pesca professionale e sportiva e dell’acquacoltura”

Funzioni attribuite ai Comuni

Provvedono al rilascio, alla sospensione e alla revoca dell’autorizzazione all’e-sercizio dell’attività ittituristica.trasmettono al Servizio regionale competente in materia di pesca professionale e di turismo l’elenco delle autorizzazioni per l’esercizio dell’attività ittituristica e comunicano eventuali atti di sospensione e revoca. L’elenco è trasmesso per conoscenza alla Provincia competente.

Funzioni attribuite alle Province

Concorrono alla programmazione regionale.Esercitano le seguenti funzioni:a) adottano e trasmettono alla Regione il programma triennale per la tutela e la conservazione del patrimonio ittico e per la pesca sportiva, in armonia con gli indirizzi impartiti dalla programmazione regionale e nei limiti delle risorse loro rispettivamente destinate;b)concedonoifinanziamentiinmateriadipescasportivaetutelaeconser-vazione del patrimonio ittico secondo i criteri stabiliti nel Piano regionale e disciplinano i relativi procedimenti amministrativi;c) disciplinano il rilascio della licenza di pesca professionale;d) rilasciano le licenze di pesca professionale e i tesserini di pesca sportiva;e)rilascianoleautorizzazioniperprelieviascoposcientifico;f) rilasciano le autorizzazioni obbligatorie e vincolanti per la realizzazione di strutture idonee alla risalita dei pesci;g)rilascianoleautorizzazionipergliinterventiinambitofluvialeelacuale;h) rilasciano le autorizzazioni per l’esercizio degli impianti di acquacoltura;i) rilasciano le concessioni per la pesca professionale;l) istituiscono e gestiscono l’elenco dei pescatori sportivi;associazioni di protezione ambientale;

m) istituiscono e gestiscono l’elenco degli impianti di acquacoltura e l’elenco degli imprenditori ittici che esercitano la pesca professionale. Detti elenchi aggiornati sono trasmessi alle Aziende Unità Sanitarie Locali (USL) territorial-mentecompetentiaifinidellaregistrazione;n) provvedono alla cattura dellespecieitticheascopodiripopolamentonelleacquesuperficiali;o) disciplinano le modalità per la pesca a pagamento nei laghetti di pesca spor-tiva p) provvedono alla gestione dei bacini o parte di essi anche avvalendosi della collaborazione delle associazioni piscatorie e delle q) istituiscono e delimitano lezonedifrega,diprotezione,ditutelatemporaneaearegolamentospecifico;r) trasmettono alla Regione entro e non oltre il primo trimestre di ogni anno, una relazione tecnica efinanziaria sull’attuazionedei rispettivi programmi,riferita all’anno precedente.

Funzioni riservate alla Regione

Funzioni di indirizzo, programmazione, orientamento, coordinamento e controllo ed inoltre: a) i rapporti con l’Unione europea, con lo Stato, con le altre Regioni e con enti nazionali e regionali;b)laripartizionedelledisponibilitàfinanziariealleProvinceperl’eserciziodellefunzioni conferite;c) le nomine relative ai componenti delle Commissioni previste ;d) la ricerca e la sperimentazione a supporto della programmazione;e) l’elaborazione e l’aggiornamento della carta ittica;f) l’elaborazione e l’approvazione dei piani;g) la tenuta dei rapporti con le Autorità di Bacino;h) la promozione di iniziative per la diffusione delle conoscenze della fauna ittica, degli ambienti acquatici e dell’esercizio della pesca;i)ilriconoscimentodellostatodicrisideibacinilacustriefluvialidovutiaepi-demie, calamità naturali o avversità meteoriche ovvero ecologiche di carattere eccezionale.

Istituzione di due Commissioni consultive1. Per la pesca professionale e per l’acquacoltura, così composta:a) il dirigente del Servizio regionale competente in materia di pesca professio-nale ed acquacoltura o suo delegato, con funzioni di presidente;b) il dirigente del Servizio regionale competente in materia di pesca sportiva o suo delegato;c) il dirigente del Servizio regionale competente in materia di sanità veterinaria e sicurezza alimentare o suo delegato;d) il dirigente del Servizio programmazione e gestione ittiofaunistica di ciascu-na Provincia o suo delegato;e) un rappresentante designato da ciascuna delle associazioni nel settore dell’acquacoltura e della pesca professionale, che operano a livello regionale;

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3 - ATTIVITÀ PRODUTTIVE

f) un rappresentante designato dall’ARPA;g) un esperto in gestione ittica e biologia della pesca, designato dall’Università di Perugia;h) un rappresentante designato dalle due associazioni ambientaliste e natura-listiche maggiormente rappresentive a livello regionale.2. Per la pesca sportiva, così composta:a) il dirigente del Servizio regionale competente in materia di pesca sportiva o suo delegato, con funzioni di presidente;b) il dirigente del Servizio regionale competente in materia di pesca professio-nale ed acquacoltura o suo delegato;c) il dirigente del Servizio programmazione e gestione ittiofaunistica di ciascu-na Provincia;d) il rappresentante designato dalle due associazioni ambientaliste e naturali-stiche maggiormente rappresentative a livello regionale;e) un rappresentante designato da ciascuna delle quattro associazioni dei pe-scatori sportivi riconosciute a livello nazionale, maggiormente rappresentative e presenti in forma nel territorio regionale;f) un rappresentante designato dall’ARPA;g) un esperto in ambienti acquatici e loro ripristino designato dall’Università degli Studi di Perugia.

Legge regionaleUmbria

l.r.4 novembre 2011 , n. 12 scioglimento dell’agenzia regionale um-bra per lo sviluppo e l’innovazione in agricoltura (a.r.u.s.i.a.) - abro-gazione della l.r. 26/10/1994, n. 35 .

Funzioni riservate alla Regione

La Regione subentra nelle funzioni e nei compiti e in tutti i rapporti giuridici attivi e passivi dell’A.R.U.S.I.A , ivi compresa la titolarità dei beni immobili e mobili.

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Legge regionaleUmbria

3 luglio 2003 , n. 13“disciplina della rete distributiva dei carburanti per autotrazione”

Funzioni attribuite ai Comuni

Provvedono al rilascio delle autorizzazioni, nonché alla loro sospensione, revo-ca e decadenza, con riferimento agli interventi e alle attività di seguito indicati:a) installazione ed esercizio di nuovi impianti;b)modificazionidell’impianto;c) trasferimento dell’impianto;d) impianti di distribuzione ad uso privato, per natanti da diporto e aeromo-bili ad uso pubblico sentita l’autorità aeroportuale o per la navigazione delle acque competente;e) esercizio di impianti temporanei, in caso di ristrutturazione totale o parziale degli impianti già autorizzati.2. Spetta ai comuni:a) individuare gli impianti di pubblica utilità;b) determinare, nel rispetto delle norme regolamentari regionali, gli indici ur-banistico-ediliziperlamodificaelarealizzazionediimpiantistradalididistri-buzione dei carburanti, volti a favorire lo sviluppo di attività commerciali e artigiane integrative;c) ricevere le comunicazioni relative al trasferimento della titolarità delle au-torizzazionieallemodifichedegliimpiantinonsoggetteadautorizzazione;d)verificaregliimpiantiinbasealleincompatibilitàdisciplinatedallenormeregolamentari regionali;e) individuare le aree in cui ricollocare gli impianti incompatibili, esercitando le connesse funzioni amministrative, nel rispetto delle norme regolamentari regionali;f)fissaregliorarieleturnazioni;g) rilasciare le attestazioni per il prelievo di carburante in recipienti, da parte di operatori economici e altri utenti, presso distributori automatici;h) vigilare sull’osservanza delle norme della presente legge e irrogare le sanzio-ni amministrative previste.

Funzioni riservate alla Regione

Adottare norme regolamentari, concernenti in particolare:a) i criteri per il rilascio delle autorizzazioni di cui alla presente legge, ivi com-presa l’ipotesi di domande concorrenti, nonché per la loro sospensione, deca-denzaerevoca,applicandoilprincipiodisemplificazioneamministrativa;b)ladisciplinadellemodificheedelledistanzetraimpianti;c)ladeterminazionedellesuperficiminimedegliimpianti;

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d) la disciplina delle fattispecie di incompatibilità degli impianti esistenti;e) la disciplina del procedimento per la rilocalizzazione da parte dei comuni degli impianti incompatibili;f)ladisciplinadelcollaudodegliimpiantiedellemodifichenonsoggetteacol-laudo;g) i criteri per la disciplina del rilascio delle attestazioni comunali per il prelie-vo di carburante presso distributori automatici;h) le limitazioni al rilascio delle autorizzazioni degli impianti pubblici per uso natanti e aeromobili;i) la disciplina degli orari di apertura, dei turni di riposo, delle ferie, delle esen-zioni e del servizio notturno;j) le modalità di trasmissione alla Regione, da parte dei comuni, dei dati relativi alla rete dei distributori di carburante;k)lafissazionedellecondizioniatteaqualificaregliimpiantidipubblicauti-lità;l)ladefinizionedeicriteriedeirequisitiperilrilasciodelleautorizzazioneco-munalirelativeagliimpiantiadusoprivatoeperleverifichediidoneitàtec-nica.

Legge regionaleUmbria

l.r.27 dicembre 2006, n. 18 “legislazione turistica regionale”

Funzioni attribuite ai Comuni

I Comuni concorrono alla programmazione regionale nell’ambito delle forme e delle procedure di concertazione previste dalla normativa regionale vigente.2. Ai Comuni, anche in forma associata, sono conferite le funzioni in materia di:a) valorizzazione delle proprie risorse turistiche mediante la cura dell’offerta turistica locale, l’espletamento dei servizi turistici di base relativi all’informa-zione e all’accoglienza turistica e l’organizzazione di manifestazioni ed eventi;b)classificazionedellestrutturericettivesullabasedeirequisitiprevisti;c) rilascio delle autorizzazioni per l’esercizio delle attività ricettive; d) istituzione e gestione degli elenchi di tutte le strutture ricettive;e) raccolta e trasmissione alla Regione, avvalendosi dei Servizi turistici asso-ciati , di:1) dati statistici mensili sul movimento turistico, secondo criteri, termini e modalitàdefinitidallaGiuntaregionaled’intesaconiComunienelrispettodegli indirizzi impartiti nell’ambito del sistema statistico regionale e nazionale;2) comunicazioni concernenti le attrezzature e le tariffe delle strutture ricetti-ve;f) vigilanza e controllo sulle strutture ricettive, in conformità agli indirizzi, alle modalitàeaglistandarddefiniticonattodi indirizzodellaGiuntaregionale

che tiene conto delle proposte della Commissione ;g) vigilanza e controllo sull’attività di organizzazione e intermediazione di viag-gi in forma professionale e non professionale, nonché sull’esercizio delle pro-fessioni turistiche e sulle attività delle associazioni pro-loco.

Funzioni attribuite alle Province

Le Province concorrono alla programmazione regionale nell’ambito delle forme e delle procedure di concertazione previste dalla normativa regionale vigente.2. Coordinano le iniziative di sviluppo turistico nell’ambito del territorio di ri-ferimento in collaborazione con i Comuni singoli o associati.3. Esercitano le seguenti funzioni amministrative in materia di:a) autorizzazione all’esercizio dell’attività di agenzia di viaggio e turismo; b) programmazione e attuazione della formazione professionale finalizzataall’abilitazione all’esercizio delle professioni turistiche;c) abilitazione all’esercizio delle professioni turistiche;d)concessioneederogazionealleimpreseturistichedifinanziamentiperini-ziative nell’ambito di strumenti di interesse locale;e) istituzione e gestione dell’elenco delle pro-loco , concessione e l’erogazione di contributi;f) istituzione e gestione dell’elenco delle agenzie di viaggio e turismo e delle relativefiliali;g) istituzione e gestione dell’elenco delle associazioni nazionali senza scopo di lucro ;h) istituzione e gestione dell’elenco delle imprese professionali di congressi;i) istituzione e gestione degli elenchi delle professioni turistiche .4. La Provincia competente provvede annualmente alla pubblicazione di tali elenchinelBollettinoUfficialedellaRegione.Concorronoallaprogrammazioneregionale nell’ambito delle forme e delle procedure di concertazione previste dalla normativa regionale vigente.2. Coordinano le iniziative di sviluppo turistico nell’ambito del territorio di ri-ferimento in collaborazione con i Comuni singoli o associati.3. Esercitano le seguenti funzioni amministrative in materia di:a) autorizzazione all’esercizio dell’attività di agenzia di viaggio e turismo; b) programmazione e attuazione della formazione professionale finalizzataall’abilitazione all’esercizio delle professioni turistiche;c) abilitazione all’esercizio delle professioni turistiche;d)concessioneederogazionealleimpreseturistichedifinanziamentiperini-ziative nell’ambito di strumenti di interesse locale;e) istituzione e gestione dell’elenco delle pro-loco , concessione e l’erogazione di contributi;f) istituzione e gestione dell’elenco delle agenzie di viaggio e turismo e delle relativefiliali;g) istituzione e gestione dell’elenco delle associazioni nazionali senza scopo di lucro ;h) istituzione e gestione dell’elenco delle imprese professionali di congressi;

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i) istituzione e gestione degli elenchi delle professioni turistiche .4. La Provincia competente provvede annualmente alla pubblicazione di tali elenchinelBollettinoUfficialedellaRegione.

Funzioni riservate alla Regione

La Regione esercita le funzioni di programmazione, indirizzo, coordinamento e controllo attribuite dalla presente legge, e in particolare:a)promuove,qualificaetutelainItaliaeall’estero,ancheinformaintegrata,l’immagine unitaria e complessiva della Regione, nel rispetto delle sue diverse componenti artistiche, storiche, culturali, ambientali e paesaggistiche;b)programmaecoordinaleiniziativepromozionalielerelativerisorsefinan-ziarie statali e regionali;c)verifical’efficaciael’efficienzadelleattivitàpromozionali;d)individuairequisitiperlaclassificazionedellestrutturericettive,determinaeverificaglistandarddiqualitàdellestrutture,deiservizituristicidiinforma-zione e accoglienza e dei soggetti che possono collaborare allo svolgimento di tali attività;e) svolge azioni volte alla promozione dell’innovazione e alla diffusione della qualità, nonché determina i criteri per lo svolgimento delle funzioni di vigilan-za e controllo;f) individua annualmente i fabbisogni formativi delle professioni turistiche e definisceglistandardprofessionali,formativi,dipercorsoeproceduraliperlarealizzazione degli interventi formativi;g)individuairequisitiaifinidell’eserciziodell’attivitàturisticaperleassocia-zioni senza scopo di lucro, ivi comprese le pro-loco;h) individua i segni distintivi concernenti le attività di valorizzazione delle ri-sorse per la promozione turistica e ne disciplina la gestione e l’uso;i) raccoglie, elabora e comunica i dati statistici regionali del turismo, le rileva-zioni e le informazioni concernenti l’offerta e la domanda turistica;l) determina le modalità di formazione e di attuazione delle politiche di soste-gno allo sviluppo locale, in raccordo con gli enti locali, e attua le politiche di sostegno di carattere unitario.2. Concorre alla elaborazione e all’attuazione delle politiche comunitarie e na-zionali di settore e promuove atti di intesa e di concertazione con lo Stato e le altre Regioni, nonché con le istituzioni comunitarie.3.Promuovelosviluppoelaqualificazionedell’informazioneedellacomuni-cazioneafinituristici,attraversoilportaleregionale,collegatoeinseritoconilportale nazionale ed il portale europeo del settore. Le iniziative delle Autono-mie Locali sono inserite e coordinate con il portale regionale.4 Istituisce e detiene l’elenco generale delle strutture ricettive, L’elenco è pub-blicatoannualmentenelBollettinoUfficialedellaRegione.

Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi

La Commissione per la promozione della qualità, cui compete:a)allaclassificazionedellestrutturericettive;b) alla diffusione della cultura e della prassi della qualità in relazione ai servizi connessi con le attività turistiche, nonché in relazione ad altri servizi e attività dei territori;c) ai criteri per lo svolgimento delle funzioni di vigilanza e controllo da parte dei comuni;d) all’adeguamento dei requisiti e degli standard di qualità delle strutture ri-cettiveedeiservizi turistici, conseguentialleverificheeall’evoluzionedegliindirizzi programmatici della Regione.La Commissione, per lo svolgimento delle funzioni e dei compiti di cui ai com-mi 1 e 2, tiene conto:a)dellaqualificazionedioperatorieimprenditoriedellavalorizzazionedellaloro professionalità;b)dellaqualitàdell’accoglienza,ancheinrelazioneallacertificazionedelleim-prese e del territorio, ivi compresa l’ecocompatibilità;c) della tutela e soddisfazione del turista;d) della qualità dell’informazione e della comunicazione..Svolge le funzioni anche con riferimento alle strutture ricettive agrituristiche,

L’Osservatorio regionale sul turismo svolge i seguenti compiti:a) la realizzazione di studi, ricerche e indagini relativi agli aspetti qualitativi e quantitativi della domanda e dell’offerta turistica;b) lo svolgimento di attività di monitoraggio sugli esiti delle politiche regionali di promozione.

Legge regionaleUmbria

l.r. 2 maggio 2007, n. 10 “ulteriori modificazioni della l. r. n. 41/98 (norme in materia di po-litiche regionali del lavoro e di servizi per l’impiego) - soppressione dell’agenzia umbria lavoro”

Funzioni riservate alla Regione

1. L’Agenzia Umbria Lavoro è soppressa e gli organi sono sciolti.2. Le funzioni amministrative, già esercitate dall’Agenzia Umbria Lavoro, sono esercitate dalla Regione mediante struttura competente.

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Legge regionaleUmbria

l.r. 22 dicembre 2008, n. 22 norme per la ricerca, la coltivazione e l’utilizzo delle acque minerali naturali, di sorgente e termali.

Funzioni riservate alla Regione

La Regione adotta norme regolamentari su:a) la disciplina del procedimento per il rilascio del permesso di ricerca e della concessione,inclusalaspecificazionedelladocumentazione,nonchéladisci-plina del procedimento di revoca degli stessi;b) i criteri per la valutazione della capacità tecnico-economica e del program-ma di investimenti;c) i criteri per la delimitazione e la disciplina delle aree di salvaguardia delle acque minerali;d) la disciplina generale delle aree di salvaguardia delle acque minerali,e) le procedure per l’individuazione delle aree di salvaguardia delle concessioni vigenti; f) le modalità e i criteri per la realizzazione degli interventi;g) le procedure e le modalità per il pagamento e la riscossione dei diritti an-nuali ------------------------------------------------AlDirigentedelserviziocompetentevengonodirettamenteaffidatetuttelecompetenze in materia di rilascio di permessi e concessioni e vigilanza sull’ap-plicazione della normativa

Legge regionaleUmbria

l.r. 23 dicembre 2008 , n. 25 “norme in materia di sviluppo, innovazio-ne e competitività del sistema produttivo regionale”

Funzioni riservate alla Regione

La Regione adotta il documento di indirizzo pluriennale per le politiche per lo sviluppochedefinisce,sullabasedegliindirizzicomunitari,nazionalieregio-nali, alla luce dell’analisi dello scenario generale di riferimento e dell’anda-mento del sistema produttivo regionale, strategie ed obiettivi di medio e lungo terminearticolate,ivicompresaladefinizionediindirizziprogrammaticiperle agenzie e società regionali . La programmazione degli interventi a favore delle imprese appartenenti ai settori dell’artigianato, cooperazione, commer-cioeterziarioèdefinitatenendocontodellespecifichenormativeregionalidisettore.

Le politiche e gli interventi relativi al capitale umano, sono individuate nell’ambitodeldocumentopluriennaleGliinterventispecificipossonoessererichiamati nel Programma annuale. Detti interventi restano disciplinati, pro-grammati ed attuati, anche in raccordo con le politiche di cui alla presente legge,sullabasedellespecifichenormeedattiprogrammaticirelativia talicompetenze.Adotta il Programma annuale attuativo del documento di indirizzo pluriennale in coerenza con il documento annuale di programmazione.

Legge regionaleUmbria

l.r. 20 maggio 2009 , n. 12 disciplina per l’attività professionale di acconciatore.

Funzioni attribuite ai Comuni

1. I Comuni esercitano le funzioni di vigilanza e controllo in ordine al rispetto dei requisiti per l’esercizio delle attività previste dalla presente legge, fatte sal-ve le competenze della Azienda sanitaria locale (ASL) competente per territorio in materia di igiene, sanità e sicurezza degli operatori.2. I comuni disciplinano in particolare:a)lesuperficiminimeedirequisitidimensionalideilocaliimpiegatinell’eser-cizio dell’attività di acconciatore;dell’attività di acconciatore;b) i requisiti per migliorare la qualità dei servizi per i consumatori e assicurare le migliori condizioni di accessibilità ai servizi medesimi;c) l’obbligo e le modalità di esposizione delle tariffe professionali, degli orari di apertura e dei turni di chiusura;d) le disposizioni relative ai procedimenti amministrativi per la presentazione della dichiarazione di inizio attività (DIA);e) le modalità di svolgimento dell’attività presso il domicilio del cliente.3. I comuni esercitano le funzioni di vigilanza e controllo relativamente all’e-sercizio dell’attività di acconciatore.

Funzioni attribuite alle Province

Le Province esercitano le seguenti funzioni:a) concorrono alla definizione della programmazione regionale in materia,nell’ambito delle forme e delle procedure di concertazione previste dalla nor-mativa vigente;b) gestiscono le iniziative pubbliche di formazione professionale riguardanti le attività di acconciatore .

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Funzioni riservate alla Regione

La Regione stabilisce con proprio atto:a) i contenuti tecnico-culturali dei programmi dei corsi, le modalità di svolgi-mento degli esami, nonché gli standard di preparazione tecnico-culturale, ai finidelconseguimentodell’abilitazioneprofessionale,sentiteleassociazionidicategoria maggiormente rappresentative;b) la programmazione dell’offerta formativa pubblica, sulla base delle esigenze del settore;c) le modalità di accertamento delle competenze pregresse maturate con la frequenza di attività formative ed esperienze lavorative in imprese di accon-ciatura;d) le modalità di rilascio dell’abilitazione professionale , inclusa l’organizzazio-nedell’esamefinaleperilconseguimentodellastessa;e)lemodalitàdiaccertamentodellematurateesperienzelavorativequalificate. La Regione dispone l’autorizzazione e il riconoscimento dei corsi di formazione nonricompresinellaprogrammazionepubblicaregionale,inclusaladefinizio-nedelleeventualiprescrizionidimessainconformità,aifinidell’ammissionedei partecipanti all’esame di abilitazione professionale.

Legge regionaleUmbria

l.r. 5 aprile 2009 n. 7 sistema formativo integrato regionale

Funzioni riservate alla Regione

La Regione indirizza, sostiene e coordina il Sistema Formativo attraverso in-terventifinanziari,dipromozione,innovazioneesperimentazione,monitorag-gio, valutazione e controllo delle azioni e del sistema nel suo insieme.2. La Regione, d’intesa con il Ministero competente in materia di istruzione e conisuoiufficidecentrati,favorisceesostienelacostituzionediformeasso-ciativealfinediconsolidarel’autonomiascolasticaesviluppareunpiùprofi-cuo rapporto con il territorio.1. La Giunta regionale adotta il Piano triennale di attuazione e coordinamento degli interventi.

Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi

Conferenza del Sistema Formativo Integratofornisce linee e indirizzi per la predisposizione del Piano triennale e del Pro-gramma attuativo annuale nonché di determinare gli obiettivi relativi al rac-cordo, alla pari dignità tra i diversi sistemi e al mutuo riconoscimento dei

crediti in essi maturati.2. Della Conferenza fanno parte:a) il Presidente della Giunta regionale o l’Assessore regionale delegato in mate-ria di formazione professionale e istruzione, con funzioni di Presidente;b) il Presidente della Provincia di Perugia o suo delegato;c) il Presidente della Provincia di Terni o suo delegato;d) il Rettore dell’Università degli Studi di Perugia o suo delegato;e) il Rettore dell’Università per Stranieri di Perugia o suo delegato;f)illegalerappresentantedell’Ufficioscolasticoregionaleosuodelegato;g) due componenti designati dal Consiglio delle Autonomi locali;h) tre componenti designati dalle organizzazioni sindacali maggiormente rap-presentative;i) quattro componenti designati dalle organizzazioni imprenditoriali maggior-mente rappresentative;l) un componente della Camera di Commercio, Industria, Agricoltura e Arti-gianato di Perugia;m) un componente della Camera di Commercio, Industria, Agricoltura e Arti-gianato di Terni;n) tre rappresentanti degli organismi di formazione professionale accreditati, designati d’intesa dagli stessi organismi;o) quattro rappresentanti delle istituzioni scolastiche, di cui una paritaria, designati d’intesa dagli stessi organismi;p) tre rappresentanti del Forum regionale dei genitori.

Legge regionaleUmbria

l.r. 3 febbraio 2013 , n. 4 testo unico in materia di artigianato

Funzioni attribuite ai Comuni

I Comuni svolgono attività di vigilanza e controllo sull’impresa artigiana non-chésull’esercizioabusivodell’attivitàartigiana,disponendoverifiche,accer-tamenti e controlli in ordine al rispetto delle condizioni stabilite dal presente testo unico per l’esercizio delle attività imprenditoriali.2. I comuni, in particolare:a)effettuanoverificherelativeaiscrizione,modificazioneecancellazionedelleimprese dall’Albo anche su richiesta della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura;b) svolgono le funzioni relative all’esercizio dell’attività professionale di accon-ciatore ed estetista, di cui ai Titoli VII e VIII.3. I comuni trasmettono le risultanze delle attività alle Camere di commercio, industria,artigianatoeagricoltura,aifinidegliadempimentidicompetenza.

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Funzioni riservate alla Regione

La Regione, esercita le funzioni e i compiti amministrativi relativi alla materia artigianato non attribuiti dal presente testo unico ai Comuni o alle Camere di commercio,industria,artigianatoeagricoltura,alfinediassicurarnel’eserci-zio unitario delle funzioni nel rispetto dell’ articolo 118 della Costituzione

Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi

Le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura svolgono le seguenti funzioni:a) tenuta e aggiornamento dell’Albo;b)rilasciodeicertificati,attievisuresecondolerisultanzedell’Albo;c) riconoscimento dei mestieri artistici e tradizionali e dell’abbigliamento su mi-sura e nel rispetto dei limiti dimensionali , con apposita annotazione nell’Albo;d) attività di vigilanza e controllo;e) accertamento degli illeciti amministrativi e notifica dei relativi verbali aisoggetti interessati, salvoquantodispostodaspecifichenormativestatalioregionali;f) irroga le sanzioni ed incamera gli introiti dei relativi proventi, salvo quanto dispostodaspecifichenormativestatalioregionali.2. La Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura assicura agli imprenditori artigiani il necessario supporto tecnico-amministrativo in rela-zione alle funzioni svolte dalla stessa.

Legge regionaleUmbria

l.r. 2 luglio 2013 , n. 13 testo unico in materia di turismo.

Funzioni attribuite ai Comuni

I Comuni, singoli o associati, concorrono alla programmazione regionale nell’ambito delle forme e delle procedure di concertazione previste dalla nor-mativa regionale vigente.2. Ai Comuni, anche in forma associata, sono conferite le funzioni in materia di:a) valorizzazione delle proprie risorse turistiche mediante la cura dell’offerta turistica locale, l’espletamento dei servizi turistici di base e l’organizzazione di manifestazioni ed eventi;b) vigilanza e controllo sulle attività delle associazioni pro-loco.-------------------------------------I Comuni esercitano in forma obbligatoriamente associata mediante le unioni speciali di comuni, di seguito Unioni speciali, le seguenti funzioni:

a) informazione e accoglienza turistica, sulla base di indirizzi, criteri e stan-dardstabiliti.Alfinedigarantireomogeneitàdell’informazioneedeiservizisu tutto il territorio regionale, alla Regione compete il coordinamento, anche tecnico,delle funzioni, ivi compresa ladefinizionedella consistenza edelladislocazionedegliufficidiinformazioneeaccoglienzaturisticadiareavasta;b) integrazione dei servizi di informazione e accoglienza turistica nella rete regionale, curando la raccolta e la diffusione delle informazioni di interesse regionale, nel rispetto degli standard individuati;c)classificazionedellestrutturericettivesullabasedeirequisitiprevistiecuradeirelativielenchidatrasmetteremensilmenteallaRegione,aifinidellavali-dazione dei dati ISTAT;d) raccolta e trasmissione alla Regione dei dati statistici mensili sul movimen-todeiclientinellestrutturericettive,secondocriteri,terminiemodalitàdefi-niti dalla Giunta regionale, nel rispetto degli indirizzi impartiti nell’ambito del sistema statistico regionale, nazionale ed europeo;e) comunicazioni concernenti le attrezzature e le tariffe delle strutture ricettive e conseguente rilascio dei cartellini vidimati e della tabella riepilogo prezzi;f)raccoltaeredazionedelleinformazionituristichelocaliaifinidell’implemen-tazione del portale turistico regionale e connesso sviluppo delle attività on line;g) vigilanza e controllo, ivi compresa la lotta all’abusivismo, sulle strutture e le attività ricettive, sull’attività di organizzazione e intermediazione di viaggi in forma professionale e non professionale, sull’esercizio delle professioni turisti-che, nonché sulle attività connesse alla statistica sul turismo;h) realizzazione di specifici progetti inmateria di valorizzazione dell’offertaturistica locale, approvati dallaGiunta regionale ed espressamente affidatiall’Unione speciale.

Funzioni attribuite alle Province

le Province svolgono le seguenti funzioni amministrative:a) funzioni in materia di agenzia di viaggio e turismo;b) programmazione e attuazione della formazione professionale finalizzataall’esercizio delle professioni turistiche;c) abilitazione all’esercizio delle professioni turistiche;d)concessioneederogazionealleimpreseturistichedifinanziamentiperini-ziative nell’ambito di strumenti di interesse locale;e) istituzione e gestione dell’elenco delle pro-loco, la concessione e l’erogazione di contributi;f) istituzione e gestione dell’elenco delle agenzie di viaggio e turismo e delle relativefiliali;g) istituzione e gestione dell’elenco delle associazioni nazionali senza scopo di lucro;h) istituzione e gestione dell’elenco delle imprese professionali di congressi;i) istituzione e gestione degli elenchi ricognitivi delle professioni turistiche;l) istituzione e gestione degli elenchi ricognitivi dei direttori tecnici di agenzia di viaggio e turismo .

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Funzioni riservate alla Regione

1. La Regione esercita le funzioni di programmazione, indirizzo, coordinamen-to e controllo attribuite dal presente testo unico, e in particolare:a)promuove,qualificaetutelainItaliaeall’estero,ancheinformaintegrata,l’immagine unitaria e complessiva della Regione, nel rispetto delle sue diverse componenti artistiche, storiche, culturali, ambientali e paesaggistiche;b)programmaecoordinaleiniziativepromozionalielerelativerisorsefinan-ziarie statali e regionali;c)verifical’efficaciael’efficienzadelleattivitàpromozionali;d)individuairequisitiperlaclassificazionedellestrutturericettive,determinaeverificaglistandarddiqualitàdellestrutture;e) stabilisce indirizzi, criteri e standard dei servizi turistici di informazione e accoglienza e dei soggetti che possono collaborare allo svolgimento di tali at-tività;f) svolge azioni volte alla promozione dell’innovazione e alla diffusione della qualità, nonché determina i criteri per lo svolgimento delle funzioni di vigilan-za e controllo delle attività;g) individua le procedure per l’abilitazione professionale ;h)individuairequisitiaifinidell’eserciziodell’attivitàturisticaperleassocia-zioni senza scopo di lucro, ivi comprese le pro-loco;i) individua i segni distintivi concernenti le attività di valorizzazione delle risor-se per la promozione turistica e ne disciplina la gestione e l’uso;l) raccoglie, elabora e comunica i dati statistici regionali del turismo, le rileva-zioni e le informazioni concernenti l’offerta e la domanda turistica;m) determina le modalità di formazione e di attuazione delle politiche di soste-gno allo sviluppo locale, in raccordo con gli enti locali, e attua le politiche di sostegno di carattere unitario.2. La Regione concorre alla elaborazione e all’attuazione delle politiche comu-nitarie e nazionali di settore e promuove atti di intesa e di concertazione con lo Stato e le altre Regioni, nonché con le istituzioni comunitarie.3. La Regione svolge le attività di promozione turistica e integrata, anche at-traverso Sviluppumbria S.p.A. 4. La Regione promuove lo sviluppo e la qualificazione dell’informazione edellacomunicazioneafinituristici,attraversol’lnformationCommunicationTecnology regionale. Le iniziative delle Autonomie Locali sono inserite e coor-dinate con il portale regionale.5. È istituito presso la Giunta regionale l’elenco regionale delle località turisti-che o città d’arte). La Giunta regionale disciplina, con proprio regolamento, i criteri e le modalità per la costituzione e l’aggiornamento dell’elenco regionale. Per l’adozione del regolamento la Giunta regionale considera quali requisiti necessari,aifinidell’iscrizionenell’elenco,lapresenzanelComunerichieden-te di beni culturali, ambientali e paesaggistici e la presenza altresì di strutture ricettive.1. La Regione esercita le funzioni di programmazione, indirizzo, coordinamen-to e controllo attribuite dal presente testo unico, e in particolare:a)promuove,qualificaetutelainItaliaeall’estero,ancheinformaintegrata,

l’immagine unitaria e complessiva della Regione, nel rispetto delle sue diverse componenti artistiche, storiche, culturali, ambientali e paesaggistiche;b)programmaecoordinaleiniziativepromozionalielerelativerisorsefinan-ziarie statali e regionali;c)verifical’efficaciael’efficienzadelleattivitàpromozionali;d)individuairequisitiperlaclassificazionedellestrutturericettive,determinaeverificaglistandarddiqualitàdellestrutture;e) stabilisce indirizzi, criteri e standard dei servizi turistici di informazione e accoglienza e dei soggetti che possono collaborare allo svolgimento di tali at-tività;f) svolge azioni volte alla promozione dell’innovazione e alla diffusione della qualità, nonché determina i criteri per lo svolgimento delle funzioni di vigilan-za e controllo delle attività;g) individua le procedure per l’abilitazione professionale ;h)individuairequisitiaifinidell’eserciziodell’attivitàturisticaperleassocia-zioni senza scopo di lucro, ivi comprese le pro-loco;i) individua i segni distintivi concernenti le attività di valorizzazione delle risor-se per la promozione turistica e ne disciplina la gestione e l’uso;l) raccoglie, elabora e comunica i dati statistici regionali del turismo, le rileva-zioni e le informazioni concernenti l’offerta e la domanda turistica;m) determina le modalità di formazione e di attuazione delle politiche di soste-gno allo sviluppo locale, in raccordo con gli enti locali, e attua le politiche di sostegno di carattere unitario.2. La Regione concorre alla elaborazione e all’attuazione delle politiche comu-nitarie e nazionali di settore e promuove atti di intesa e di concertazione con lo Stato e le altre Regioni, nonché con le istituzioni comunitarie.3. La Regione svolge le attività di promozione turistica e integrata, anche at-traverso Sviluppumbria S.p.A. 4. La Regione promuove lo sviluppo e la qualificazione dell’informazione edellacomunicazioneafinituristici,attraversol’lnformationCommunicationTecnology regionale. Le iniziative delle Autonomie Locali sono inserite e coor-dinate con il portale regionale.5. È istituito presso la Giunta regionale l’elenco regionale delle località turisti-che o città d’arte). La Giunta regionale disciplina, con proprio regolamento, i criteri e le modalità per la costituzione e l’aggiornamento dell’elenco regionale. Per l’adozione del regolamento la Giunta regionale considera quali requisiti necessari,aifinidell’iscrizionenell’elenco,lapresenzanelComunerichieden-te di beni culturali, ambientali e paesaggistici e la presenza altresì di strutture ricettive.

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4 - SANITÀ E ASSISTENZA

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Legge regionaleUmbria

l.r.22 dicembre 2005 ,n. 30 sistema integrato dei servizi socio-educa-tivi per la prima infanzia

Funzioni attribuite ai Comuni

I Comuni autorizzano i servizi di carattere educativo pubblici e privati, nell’am-bito del proprio territorio.2. La Giunta regionale disciplina i criteri generali e le modalità per la conces-sione dell’autorizzazione.3. Per ottenere l’autorizzazione , i soggetti richiedenti devono essere in posses-so dei seguenti requisiti:a) disporre di strutture con le caratteristiche e gli standard previsti dal Piano triennale;b) disporre di personale in possesso dei titoli di studio previsti dalla normativa vigente;c) disporre di una équipe multiprofessionale;d) disporre di una struttura che garantisca la sicurezza ambientale;e) disporre di una struttura conforme in termini urbanistici, edilizi ed igienico-sanitari;f) disporre di spazi adeguatig) disporre di materiali idonei per l’attività pedagogica;h) disporre di un progetto educativo del servizio;i) disporre di un regolamento di funzionamento;l) applicare al personale dipendente il contratto collettivo nazionale di settore, secondoilproprioprofiloprofessionale;m)applicareilrapportonumericoeducatori/bambineebambiniiscrittidefi-nito dal Piano triennale;n) applicare, in caso di erogazione dei pasti la normativa vigente, adottando regimi dietetici adeguati, ed attuando gli indirizzi previsti in ambito socio-sa-nitario, attraverso le tabelle approvate dalla ASL competente con l’indicazione di preferenza per cibi biologici e cibi senza OGM.4.L’autorizzazionehaduratatriennaleepuòessererinnovatapreviaverificadel possesso dei requisiti.

Funzioni riservate alla Regione

La regione adotta il Piano del sistema integrato dei servizi socio-educativi per la prima infanzia e lo sottopone all’approvazione del Consiglio regionale.2. Il Piano del sistema dei servizi per la prima infanzia, di seguito denominato Piano triennale, è lo strumento di programmazione regionale del sistema dei servizi socio-educativi per la prima infanzia.3. Il Piano, che ha durata triennale, deve prevedere:a) la garanzia dei diritti all’educazione, alla socializzazione e al gioco delle bambine e dei bambini, senza esclusioni dovute a diversità sociali, etniche, culturali e religiose;

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b) la partecipazione attiva ed informata delle famiglie alla definizione dellescelte educative ed organizzative di carattere generale, nonché alla verificadella qualità del servizio;c) i diritti all’accoglienza ed al sostegno delle bambine e dei bambini diversa-mente abili, di quelli con disagi socio-culturali e sostegno alle famiglie in con-dizionididifficoltà;d) l’integrazione tra le diverse tipologie di servizi;e)l’omogeneitàdeititolidistudioedeiprofiliprofessionalideglioperatori;f) la continuità con la scuola d’infanziag) l’applicazione dei criteri di equità nella compartecipazione economica delle famiglie al costo di gestione del servizio.4.IlPianotriennaledefinisce:a)gliobiettividisviluppoediqualificazionedeiservizi;b) i criteri generali per la determinazione dei livelli essenziali di qualità e di organizzazione dei servizi;c) il rapporto numerico tra personale educatore, personale addetto ai servizi generali e bambine e bambini all’interno di ogni tipologia di servizio per l’in-fanzia, tenendo conto del numero degli iscritti e la loro età, con particolare attenzione a quelli di età inferiore ai dodici mesi, nonché della presenza di bambine e bambini diversamente abili o in particolari situazioni di disagio;d)icriterigeneraliperl’assegnazionedeifinanziamenti;e) i criteri per la realizzazione del monitoraggio e la valutazione della qualità;f) gli indirizzi per la sperimentazione di programmi ed azioni volti a promuo-vere l’integrazione tra i servizi per l’infanzia, a migliorarne la qualità, con par-ticolare riferimento alla qualificazione del personale addetto, a promuoverela continuità educativa e diffondere la cultura dell’infanzia nella comunità regionale;g) le modalità di partecipazione delle famiglie.

Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi

la Conferenza regionale della prima infanzia.Componenti:a) il Presidente della Giunta regionale o l’Assessore delegato con funzioni di Presidente;b) un rappresentante dell’Università degli studi di Perugia;c) un rappresentante della Direzione scolastica regionale;d) quattro componenti designati dal Consiglio delle Autonomie locali;e) tre componenti designati dalle organizzazioni sindacali regionali maggior-mente rappresentative;f) due componenti designati dal Forum del terzo settore;g) quattro componenti tecnico-professionali designati dalle ASL;h) due componenti designati dalle Associazioni dei delle Associazioni dei ge-nitori maggiormente rappresentative di cui al decreto ministeriale 18 febbraio 2002, n. 14;i)duecomponentidegliambititerritorialisocio-assistenziali,cosìcomedefinitidal Piano sociale regionale 2000-2002, designati dalla Giunta regionale;l) due coordinatori pedagogici dei servizi per l’infanzia dei Comuni designati dal Consiglio delle Autonomie locali.

Legge regionaleUmbria

legge regionale 28 dicembre 2009 , n. 26 disciplina per la realizzazio-ne del sistema integrato di interventi e servizi sociali.

Funzioni attribuite ai Comuni

Il Comune è titolare delle funzioni in materia di politiche sociali e concorre alla formazione degli atti di programmazione regionale in materia di politiche sociali, promuove sul proprio territorio l’attivazione ed il raccordo delle risorse pubblicheeprivate,aventiononaventifinalitàdiprofitto,perlarealizzazionediunsistemaarticolatoeflessibiledipromozioneeprotezionesocialeattra-verso interventi, attività e servizi sociali radicati nel territorio e organizzati in favore della comunità.2. Il comune esercita le funzioni amministrative in forma associata tramite gli Ambiti territoriali integrati, di seguito denominati ATI,. L’ATI esercita le funzioni e provvede alla erogazione dei servizi sociali tramite la Zona sociale intesa quale articolazione territoriale corrispondente al territorio dei distretti sanitari 3. L’integrazione dei servizi di assistenza sociale con quelli sanitari è attua-ta mediante accordi di programma fra l’ATI e l’Azienda unità sanitaria locale competente.

Funzioni attribuite alle Province

La Provincia esercita le seguenti funzioni:a) gestisce la formazione professionale secondo i piani per la formazione e l’ag-giornamento del personale addetto all’attività sociale secondo le indicazioni del Piano sociale regionale;b) concorre alla realizzazione del sistema informativo sociale regionale median-te la raccolta di dati con particolare riferimento alle aree sociali strettamente connesse con il sistema dei servizi sociali, quali la formazione, l’occupazione e l’inserimento lavorativo delle fasce deboli;c) collabora con la Regione per la implementazione di un sistema di documen-tazione delle conoscenze e delle esperienze.

Funzioni riservate alla Regione

La Regione esercita le funzioni di programmazione, coordinamento e indirizzo degli interventi sociali, nonchédi verificadell’attuazionea livello territoria-le. Disciplina l’integrazione degli interventi sociali e provvede, in particolare, all’integrazione socio sanitaria in coerenza con gli obiettivi del Piano sanitario regionale, nonché al coordinamento delle politiche dell’istruzione, della forma-zione, del lavoro e delle politiche sociali abitative.2. La Regione, in particolare:

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a) ripartisce le risorse del Fondo sociale regionale, del Fondo nazionale per le politiche sociali e degli altri Fondi nazionali del settore sociale;b) effettua il controllo delle risorse; c) vigila sulla effettiva realizzazione dei LIVEAS ;d)verifical’attuazionedelPianosocialeregionaleconriferimentoagliobiettivi,alle priorità, allo stato dei servizi, alla qualità degli interventi ed ai progetti sperimentali e dei Piani sociali di zona;e) adotta atti di indirizzo e di coordinamento nella materia oggetto della pre-sente legge, per salvaguardare esigenze di carattere unitario nel territorio re-gionale.3.LaRegionedefinisce,neilimitidellerisorsedisponibili,gliulterioriLIVEASrispetto a quelli individuati dalla legislazione statale..4. La Regione promuove periodicamente, e comunque almeno una volta all’an-no, incontri partecipativi con i soggetti sociali che concorrono alla realizzazio-nedellefinalitàdicuiallapresentelegge.

Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi

Gli ATI esercitano le seguenti funzioni:a)definiscegliobiettividaperseguirepergarantirelagestionesecondocriteridiefficienza,efficacia,economicitàetrasparenza,uniformitàeappropriatezzanelsistemadioffertaedequitàperl’accessodelleprestazionieneverificailraggiungimento;b) provvede al riequilibrio dell’offerta di interventi e servizi sociali sul territorio mediante l’assegnazione di apposite risorse;c) provvede al rilascio dell’accreditamento e istituisce l’elenco delle strutture accreditate;d) garantisce l’unitarietà degli interventi e degli adempimenti amministrativi, la territorializzazione di un sistema di servizi a rete, l’operatività del sistema degliufficidellacittadinanzaorganizzatenelleZonesociali.3. Le funzioni sono esercitate dagli ATI dal momento dell’adozione dei relativi atti di organizzazione. L’ATI esercita, altresì, le funzioni in materia di politiche sociali già esercitate da enti, consorzi, associazioni, conferenze e organismi comunque denominati.4. L’ATI trasmette alla Giunta regionale entro il 31 marzo di ciascun anno una relazione sulle attività svolte dalle Zone sociali ricomprese nel territorio di competenza.5.L’ATIdefinisceconproprioregolamentolemodalitàeicriteriperilfunzio-namento delle Zone sociali di cui sulla base degli indirizzi stabiliti dalla Giunta regionale che tengono conto dei principi di differenziazione ed adeguatezza e della autonomia organizzativa dei comuni.6. Le attività socio sanitarie integrate, individuate dal Piano attuativo locale (PAL) e dal Programma attuativo territoriale (PAT), sono svolte da personale con adeguate competenze tecnico professionali in materia sociale a disposizio-ne dell’ATI e da personale dipendente dalle Aziende unità sanitarie locali.

5 - CULTURA

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Legge regionaleUmbria

22 dicembre 2003 , n. 24 “sistema museale regionale - salvaguardia e valorizzazione dei beni culturali connessi”

Funzioni attribuite ai Comuni

1. I comuni esercitano tutte le funzioni amministrative e gestionali non espres-samente riservate dalla legge allo Stato, alla Regione o alle Province.2. In applicazione dei principi di cui all’ articolo 3 , commi 1, 2 e 5 del D.Lgs. n. 112/1998 , i comuni esercitano in particolare le seguenti funzioni:a) elaborazione e attuazione, per i musei, per le raccolte e per le altre strutture di cui sono titolari, consegnatari o gestori, dei progetti d’intervento per il con-seguimento e per il mantenimento di dotazioni e di prestazioni non inferiori ailivelliprevistidalPianoregionaledicuiall’articolo8,impiegandofinanzia-menti propri ed eventuali contributi da parte della Regione e di altri soggetti pubblici e privati;b) interventi per i musei, per le raccolte e per le altre strutture di proprietà ecclesiastica e privata, su istanza dei soggetti titolari;c) conclusione di accordi con altri soggetti pubblici, ecclesiastici e privati per la gestione dei musei, delle raccolte e delle altre strutture di loro competenza e dei relativi servizi tecnici e culturali, garantendo comunque i livelli minimi di dotazioni e prestazioni previsti dal Piano regionale.

Funzioni riservate alla Regione

La Regione esercita le seguenti funzioni:a) valorizzazione dei beni culturali e ambientali, promozione e organizzazione di attività culturali ai sensi dell’ articolo 117 della Costituzione ;b) concorso con lo Stato, mediante forme di intesa e coordinamento, nella materia della tutela dei beni culturali ai sensi dell’ articolo 118, terzo comma, della Costituzione ;c) censimento, inventariazione, catalogazione, documentazione dei beni cultu-rali e sviluppo delle relative banche dati regionali, anche di intesa e in concor-so con gli enti locali e i soggetti titolari di musei, di raccolte e di altre strutture diproprietàecclesiasticaeprivata,secondolemetodologiedefiniteincoope-razione con lo Stato ed eventualmente con le altre regioni;e) cooperazione nelle forme e nei modi stabiliti dalla legge dello Stato in ordine alla tutela, con il Ministero per i beni e le attività culturali e i titolari dei beni mobili di proprietà degli enti locali e di interesse locale, o comunque inclusi nei musei, nelle raccolte e nelle altre strutture degli enti locali e di interesse locale,sottopostiavincoloditutelaodestinataridiappositicontributifinan-ziari della Regione;

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f) determinazione, in armonia con le disposizioni del D.M. 10 maggio 2001 e con il Piano regionale , dei contenuti fondamentali da recepire negli statuti e regolamenti dei musei pubblici del Sistema museale dell’Umbria;g)determinazioneeverificadeglistandardqualitativiequantitatividaassi-curare nell’esercizio delle funzioni di conservazione, valorizzazione, gestione e promozione del patrimonio culturale costituito dalle raccolte, dalle altre strut-ture e dai musei di proprietà pubblica nel rispetto delle disposizioni dettate dalla legislazione statale in materia di tutela;h)determinazionedelle lineeguidaper iprofiliprofessionali, ipercorsi for-mativi e le modalità di accreditamento del personale da impiegare nei musei e nelle altre strutture di proprietà pubblica, nell’ambito dei criteri di cui all’ articolo 149, comma 4, lettera d), del D.Lgs. n. 112/1998 , in armonia con il D.M. 10 maggio 2001 e con il Piano regionale .2. La Regione esercita le funzioni attribuite dal D.Lgs. n. 42/2004 , dall’ arti-colo 47 del decreto del Presidente della Repubblica 24 luglio 1977, n. 616 e dal titolo IV, capo V del D.Lgs. n. 112/1998

Legge regionaleUmbria

l.r. 5 luglio 2004 , n. 9 “promozione della cultura musicale bandisti-ca e corale.

Funzioni riservate alla Regione

La Regione svolge le seguenti funzioni:a) la promozione di corsi di formazione musicale di tipo corale e bandistico;b) la promozione e il sostegno di iniziative musicali bandistiche e corali di ri-levante interesse artistico;c) il sostegno a progetti di orientamento musicale di tipo bandistico e corale realizzati dalle scuole pubbliche.2. Gli interventi sono attuati in conformità ad un programma annuale adotta-to dalla Giunta regionale sentiti gli organismi associativi dei complessi bandi-stici e corali presenti nel territorio regionale.3.SonobeneficiaridegliinterventiiComunieicomplessibandisticiecoralicon sede nel territorio regionale, costituiti con atto pubblico e che abbiano svoltoattivitàdaalmenounanno,glientie istituzioniprivatesenzafinidilucroconfinalitàeducativo-culturali.1. La Regione stabilisce i criteri e le modalità per la presentazione delle do-mande, per la concessione dei contributi e per la relativa rendicontazione.

Legge regionaleUmbria

l.r. 6 agosto 2004 , n. 17 norme in materia di spettacolo.

Funzioni attribuite ai Comuni

I Comuni:a) possono partecipare in forma diretta o convenzionata, con assunzione dei relativi oneri, alla costituzione ed al funzionamento di soggetti stabili operanti nel settore dello spettacolo;b) promuovono e realizzano, nell’ambito della programmazione regionale per lo spettacolo, il restauro, l’adeguamento funzionale delle sedi destinate ad attivitàdispettacolo,laqualificazionedelleattrezzatureel’innovazionetecno-logica, in funzione della valorizzazione del patrimonio storico e artistico dello spettacolo;c) collaborano con l’Osservatorio regionale dello spettacolo, d) collaborano con le Province a sostenere la diffusione e la crescita della cul-tura e delle attività musicali di tipo bandistico e corale e delle attività di spet-tacolo di rilevanza locale.

Funzioni attribuite alle Province

Le Province promuovono e sostengono, anche in collaborazione con i Comuni, lo spettacolo di rilevanza locale e non professionistico nelle sue diverse espres-sioni. In particolare:a) partecipano, in forma diretta o convenzionata, con l’assunzione dei relati-vi oneri, alla costituzione ed all’attività di soggetti stabili operanti nel settore dello spettacolo;b) promuovono la produzione, la distribuzione e la diffusione dello spettacolo attraverso la messa in rete dei piccoli teatri, con particolare riguardo alla ri-cerca, alla sperimentazione ed alla formazione del pubblico;c) promuovono, anche in collaborazione con i Comuni, la diffusione e lo svi-luppo delle attività di spettacolo nelle scuole;d) promuovono la diffusione e la crescita della cultura e delle attività musicali di tipo bandistico e corale.

Funzioni riservate alla Regione

La Regione esercita la potestà normativa e di programmazione, le funzioni di indirizzo, coordinamento e vigilanza. In particolare:a) promuove e sostiene la produzione e la distribuzione delle attività di spet-tacolo di rilevanza nazionale e internazionale, con particolare riferimento alle produzioni realizzate in Umbria;

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b) promuove lo sviluppo dell’imprenditoria dello spettacolo, con particolare riguardo per quella giovanile;c)definisce,anchesullabasedellepropostedeglientilocali,indirizziprogram-matici per il restauro, la ristrutturazione, l’adeguamento funzionale dei teatri e la costituzione di nuovi spazi dello spettacolo, anche con riferimento alle opportunità offerte dalla legislazione nazionale e dai programmi dell’Unione europea;d) promuove la cultura dello spettacolo, anche prevedendo progetti comuni con soggetti pubblici e privati;e) promuove la formazione e l’aggiornamento del personale artistico e tecnico dello spettacolo, in raccordo con la programmazione regionale in materia;f) svolge le funzioni di Osservatorio dello spettacolo tramite il competente Ser-vizio della Direzione regionale cultura, turismo, istruzione, formazione e la-voro, anche in collaborazione con gli enti locali, gli operatori dello spettacolo, gli istituti di ricerca pubblici e privati, per effettuare rilevazioni, analisi e ri-cerche,valutarelasituazionedeidiversicompartidellospettacolo,verificarel’efficaciadell’interventoregionale;g) costituisce, in collaborazione con i Comuni e le Province, l’Archivio dei gio-vani artisti umbri, con funzioni di supporto, documentazione, informazione e promozione della creatività giovanile in tutte le discipline artistiche, favorendo il raccordo dell’Archivio con strutture analoghe già operanti sul territorio na-zionale e dell’Unione europea;h) documenta le attività musicali in Umbria, acquisisce, conserva e diffonde i materiali sonori su ogni tipo di supporto e la letteratura musicale, avvalendosi dellaFonotecaregionale“OresteTrotta”.Per ilperseguimentodellefinalitàsuddette, interagisce con gli istituti di educazione musicale di ogni ordine e grado, con le università, con le istituzioni musicali e gli artisti dell’Umbria;i) promuove il territorio regionale quale sede di produzioni e di iniziative cine-matograficheetelevisiveavvalendosidelComitato“Umbriafilmcommission”,istituito con atto notarile del 16 luglio 2002.2. La Regione promuove la realizzazione di circuiti volti a diffondere lo spetta-colo nei piccoli comuni e nelle fasce di utenza marginali dell’Umbria.3. La Regione, anche su indicazione degli enti locali, può stipulare accordi e convenzioni con soggetti pubblici e privati, per promuovere iniziative che valorizzano il loro rapporto con il territorio.

Legge regionaleUmbria

l.r.28 marzo 2006, n. 6 norme sul diritto allo studio universitario.

Funzioni riservate alla Regione

La Regione adotta, nel rispetto delle procedure di concertazione e partenariato istituzionale e sociale, del documento regionale annuale di programmazione e acquisito il parere della Conferenza permanente Regione-Università , approva il Piano triennale per il diritto allo studio universitario.

Il Piano triennale, in particolare, contiene:a) gli obiettivi generali e di settore da perseguire, nonché le relative priorità;b)lerisorsefinanziariedestinateagliinterventiprevisti;c) i criteri generali per l’erogazione delle provvidenze e dei servizi;d) i criteri per la determinazione delle tariffe e la eventuale partecipazione degli studenti ai costi dei servizi;e)ladefinizionedegliinterventiedeiservizinondestinatiallageneralitàdeglistudenti;f) i criteri e le modalità relativi al controllo di gestione.---------------Conferenza permanente Regione-Università.1. È istituita la Conferenza permanente Regione-Università allo scopo di re-alizzare la concertazione delle linee e degli indirizzi per la predisposizione del Piano triennale tra la Regione, le università aventi sede legale in Umbria e le autonomie locali, nonché il monitoraggio e la valutazione degli interventi.2. La Conferenza è costituita con decreto del Presidente della Giunta regionale ed è composta da:a) il Presidente della Giunta regionale o l’Assessore delegato, con funzioni di presidente;b) il Rettore dell’Università degli studi di Perugia o suo delegato;c) il Rettore dell’Università per stranieri di Perugia o suo delegato;d) i legali rappresentanti degli istituti di grado universitario aventi sede legale in Umbria o loro delegati;e) il Presidente dell’Agenzia per il diritto allo studio universitario di cui all’ ar-ticolo 10-bis , o suo delegato; f) quattro componenti designati dal Consiglio delle autonomie locali indivi-duati tra i rappresentanti dei comuni presso cui hanno sede facoltà, corsi di laurea, istituti dell’Università degli studi di Perugia;g) cinque studenti eletti, con voto limitato a tre, dalla Commissione di cui all’ articolo 7 .3.LaConferenzasiriuniscealmenoduevolteall’annoalloscopodiverificarel’andamento dell’attuazione del Piano triennale di cui all’ articolo 4 . La Confe-renza è convocata in via straordinaria dal suo Presidente, qualora lo richieda un terzo dei suoi componenti.4. La Conferenza nella prima seduta, con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, adotta un regolamento per il proprio funzionamento.

Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi

ADiSU. 1. L’attuazione degli interventi previsti dagli atti di programmazione regiona-le compete all’Agenzia per il diritto allo studio universitario dell’Umbria, di seguito denominata ADiSU, ente strumentale regionale dotato di personalità giuridica pubblica, avente autonomia organizzativa, amministrativa contabile e gestionale, sottoposto all’indirizzo e alla vigilanza della Giunta regionale.2. L’ADiSU esercita le proprie funzioni con criteri di imprenditorialità ed eco-nomicità.

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Legge regionaleUmbria

l.r.3 settembre 2009 , n. 19 norme per la promozione e sviluppo delle attività sportive, motorie e ricreative. modificazioni ed abrogazioni.

Funzioni attribuite ai Comuni

I Comuni, singoli o associati, concorrono alla programmazione regionale nelle materie disciplinate dalla presente legge nell’ambito delle forme e delle proce-dure di concertazione previste dalla normativa vigente.2. I comuni esercitano le seguenti funzioni amministrative:a) attività promozionali concernenti la pratica sportiva nel rispetto delle norme regionali, statali e comunitarie;b) elaborazione dei progetti riguardanti l’impiantistica sportiva nel rispetto delle norme regionali, statali e comunitarie;c) rilascio dell’autorizzazione per l’apertura di centri di attività motoriad) la vigilanza, il controllo e l’irrogazione delle sanzioni amministrative sono di competenza dei comuni che le esercitano in conformità alla legge 24 novembre 1981,n.689(Modifichealsistemapenale),introitandoneirelativiproventi

Funzioni attribuite alle Province

Le Province concorrono alla programmazione regionale nelle materie di cui alla presente legge, nell’ambito delle forme e delle procedure di concertazione previste dalla normativa regionale vigente.2. Le province, in coerenza con la programmazione regionale, contribuiscono alla diffusione della cultura della pratica sportiva e delle attività motorie, assi-curando il concorso dei comuni e la partecipazione dell’associazionismo.

Funzioni riservate alla Regione

La Regione esercita le seguenti funzioni:a) organizzazione e coordinamento di attività di monitoraggio, studio, ricerca e costituzione delle banche dati per lo sport;b) programmazione delle sedi degli impianti e degli spazi destinati alla pratica sportivaalfinedifavorirneun’equilibratadistribuzionesulterritorioregiona-le,nonchéilmiglioramentoelaqualificazionedelpatrimonioesistente;c) incentivazione all’accesso al credito per gli impianti e le attrezzature sporti-ve da parte dei soggetti operanti nel settore dello sport anche attraverso con-venzioni con gli istituti di credito;d) promozione ed avviamento alla pratica sportiva dei giovani, anche contra-standone l’abbandono precoce, degli anziani e dei soggetti svantaggiati;e)definizionedeglistandardperlaformazionedeglioperatori;

f) promozione d’interventi diretti a diffondere l’attività motoria e sportiva come mezzoefficacediprevenzione,mantenimentoerecuperodellasalutepsicofisi-ca, nonché a prevenire il fenomeno del doping.

Legge regionaleUmbria

l.r. 20 marzo 2013 , n. 5 valorizzazione del patrimonio di archeolo-gia industriale.

Funzioni riservate alla Regione

1. La Regione favorisce e sostiene attività volte alla valorizzazione dei beni del patrimonio di archeologia industriale . Le attività possono consistere, tra l’al-tro, nelle iniziative di seguito elencate:a) iniziative volte allo studio, alla ricognizione ed alla catalogazione del patri-monio di archeologia industriale;b) iniziative volte alla salvaguardia e alla fruizione del patrimonio di archeolo-gia industriale;c)iniziativefinalizzatealladivulgazioneedalladidattica,ancheattraversol’or-ganizzazione di laboratori, nelle materie oggetto della presente legge;d) iniziativevoltealla riqualificazionee/oal riusodeibeni, compatibili conesigenze di conservazione e di tutela;e) iniziative dirette alla realizzazione di itinerari culturali e di percorsi tematici;f) iniziative di comunicazione e di promozione turistico-culturale.2. La Regione favorisce, altresì, la diffusione delle informazioni relative all’ar-cheologia industriale attraverso l’implementazione dei sistemi informativi e delle applicazioni informatiche.

Commissione regionale per la valorizzazione del patrimonio di archeologia in-dustrialeLa Commissione resta in carica per la durata della legislatura ed è composta da:a) due rappresentanti dell’Amministrazione regionale con competenze speci-fichenellamateriaoggettodellapresentelegge,designatidallaGiuntaregio-nale;b) tre rappresentanti designati dal Consiglio delle Autonomie locali, con com-petenzespecifichenellamateriaoggettodellapresentelegge.La Commissione, tenuto conto dei temi all’ordine del giorno, può invitare alle proprie sedute, senza diritto di voto, Soprintendenti e tecnici del Ministero per i Beni culturali, rappresentanti di associazioni che si occupano di archeologia industrialenellaRegioneedaltrisoggettiportatoridispecificiinteressi,non-ché esperti nella materia oggetto della presente legge.Il Presidente della Commissione è scelto tra i soggetti di cui al comma 2, let-tera a);

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6 - TERRITORIO E AMBIENTE

La Commissione svolge funzioni consultive e le seguenti attività:a) formula proposte alla Giunta regionale per la valorizzazione del patrimonio di archeologia industriale, in particolare, con riferimento alle attività indivi-duate ;b) esprime parere obbligatorio sul Piano e sul Programma annuale di valoriz-zazione del patrimonio di archeologia industriale.

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Legge regionaleUmbria

28 novembre 2003 , n. 23 norme di riordino in materia di edilizia re-sidenziale pubblica

Funzioni attribuite ai Comuni

I Comuni trasmettono alla Regione, secondo modalità e tempi stabiliti con norme regolamentari, i documenti di programmazione comunale che, suffra-gati dagli elementi emergenti dal contesto sociale ed economico del territorio, contengono:a)gliindicatoridelfabbisognofisiconelbreveemediotermineespressoanchedalle domande presentate per l’assegnazione degli alloggi in locazione;b) l’indicazione della disponibilità di aree o immobili sui quali è possibile loca-lizzareciascunacategoriadiinterventoalfinedidimostrarelafattibilitàdeglistessi;c) la previsione del fabbisogno delle risorse necessarie per ciascuna categoria di intervento;d)l’indicazionedellivellodicofinanziamentocomunaleperciascunacategoriadi intervento.

Funzioni riservate alla Regione

La Regione esercita la funzione di programmazione: 1.Gliindirizziedicriteriprogrammaticidicaratterestrategicofinalizzatiallarealizzazione delle politiche abitative sono contenuti nel piano triennale per l’edilizia residenziale, che si attua attraverso programmi operativi annuali.2.Conilpianotriennalevienequantificataladotazionedelfondonelperiododi riferimento è con successive leggi annuali di bilancio vengono rese disponi-bili le risorse per dare attuazione alle varie categorie di intervento previste nel piano.3.Ilpianotriennale,secondogliindirizzidefinitidalDAP,inarmoniaconlaprogrammazione regionale di settore e con il Piano urbanistico territoriale, tiene conto dei fabbisogni primari, espressi anche da particolari categorie so-ciali. In particolare:a) stabilisce gli obiettivi generali nel triennio e indica le azioni in cui si arti-cola la politica abitativa regionale, in relazione alle disponibilità delle risorse finanziarie;b)ripartisceifinanziamentiperlecategoriediinterventoritenuteprioritarieed eventualmente per ambiti territoriali, in relazione anche alla disponibilità diareeedificabili,diedificidarecuperareediprogrammiorganicidiinterven-to dei Comuni;c)tienecontoprioritariamentedellanecessitàdirecuperare,afiniabitativi,ilpatrimonio edilizio esistente nei centri urbani per limitare ulteriori fenomeni

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diespansionedellecittà,promuovendopoliticheintegratediriqualificazioneurbana e del sistema delle infrastrutture, di miglioramento dei servizi e della accessibilità dei centri storici;d) indica ifinanziamentidadestinarea specifiche categoriediutenti, tra iquali portatori di handicap, anziani, giovani, studenti universitari, cittadini extracomunitari;e)fissal’entitàdeicontributichepossonoessereassegnatiperciascunaca-tegoria d’intervento entro i limiti massimi stabiliti dagli articoli 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 14;f)indicairequisitigeneralidiammissibilitàalfinanziamentodelleproposte,con riferimento alla qualità dei progetti ed alla capacità degli operatori pubbli-ci e privati di realizzare e gestire, ove richiesto, gli immobili;g) riserva una quota di risorse per gli interventi a carattere sperimentale;h) attiva un sistema di premialità rivolto alle Amministrazioni locali che mag-giormente si impegnano, con proprie risorse o con riduzione delle imposte localisugliimmobili,perraggiungeregliobiettivifissatiaisensidellapresentelegge.

La regione gestisce l’Osservatorio della condizione abitativa, alla cui imple-mentazione ed aggiornamento contribuiscono le ATER, gli enti locali, gli ope-ratori privati, le organizzazioni sindacali, le associazioni di categoria, costitui-sce il supporto informativo per la rilevazione dei fabbisogni.LaRegionefissaicriteriperlavalutazioneperiodicadeifabbisogniabitativi,anche avvalendosi della collaborazione dei Comuni e delle ATER.

-----------------------------------------Il Comitato permanente per l’edilizia residenziale, competente a formulare pareri e proposte per la programmazione regionale e per l’attività dell’Osserva-torio sulla condizione abitativa. Il Comitato permanente per l’edilizia residenziale è formato da rappresentanti della Regione, dell’associazione nazionale Comuni d’Italia, delle ATER, delle Associazioni regionali delle imprese di costruzione, delle cooperative di produ-zione e lavoro e delle cooperative di abitazione, delle organizzazioni sindacali del settore delle costruzioni, degli inquilini e dei proprietari, maggiormente rappresentative a livello regionale.

Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi

Le ATER gestiscono tutto il patrimonio di proprietà pubblica Le ATER stipulano con gli enti proprietari apposite convenzioni, con le quali sono disciplinati i compiti di amministrazione e di manutenzione degli alloggi, di contabilizzazione e di riscossione dei canoni di locazione.3. Le ATER presentano annualmente alla Giunta regionale una relazione sullo stato di attuazione dei programmi costruttivi e sulla gestione del patrimonio.4. Le ATER concorrono alla individuazione del fabbisogno mediante la tra-smissione di informazioni sull’utenza che occupa gli alloggi di edilizia residen-ziale pubblica e sullo stato manutentivo della stessa,

Legge regionaleUmbria

l.r. 8 febbraio 2004 , n. 1 norme per l’attività edilizia.

Funzioni attribuite ai Comuni

Commissione per la qualità architettonica e il paesaggio1. I comuni istituiscono la commissione per la qualità architettonica e il pa-esaggio,qualeorganoconsultivocuispettal’emanazionedipareri,aifinidelrilascio dei provvedimenti comunali in materia di beni paesaggistici e di in-terventi in edifici e aree aventi interesse storico, architettonico e culturale,individuati come tali dalle relative normative e dagli strumenti urbanistici ge-nerali o attuativi, nonché dal piano urbanistico territoriale (PUT) e dal piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP).2. La commissione, esprime parere relativamente agli interventi che interes-sano:a) i siti di interesse naturalistico, le aree di particolare interesse naturalistico ambientale, nonché quelle di interesse geologico e le singolarità geologiche b) le aree contigue;c)icentristorici,glielementidelpaesaggioantico,l’edificatocivilediparti-colare rilievo architettonico e paesistico;d)gliedificiricadentinellezoneagricolecensitidaicomuni,qualiimmobilidiinteresse storico-architettonico. 3. La commissione svolge le funzioni consultive in materia ambientale ed esprime parere sulla qualità architettonica e sull’inserimento nel paesaggio degli interventi previsti dai piani attuativi. [26]4. Il comune, con il regolamento edilizio comunale, tenendo anche conto della eventuale partecipazione dei rappresentanti degli ordini e dei collegi professio-nali,definiscelacomposizione,lemodalitàdinominaeleulterioricompetenzedella commissione, oltre a quelle di cui ai commi 1 e 2, nell’osservanza dei seguenti criteri: a) la commissione costituisce organo di norma a carattere tecnico, i cui com-ponentidevonopossedereun’elevatacompetenzaespecializzazione,alfinediperseguire l’obiettivo fondamentale della qualità architettonica e urbanistica negli interventi;b) della commissione debbono obbligatoriamente fare parte almeno due esper-ti in materia di beni ambientali e architettonici, scelti nell’apposito elenco re-gionale costituito dalla Giunta regionale;c) della commissione deve obbligatoriamente far parte un geologo, nonché dei pareri in materia idrogeologica e idraulica; d) i pareri sono espressi limitatamente agli aspetti compositivi e architettonici degli interventi e al loro inserimento nel contesto urbano, rurale, paesaggisti-co-ambientale, nonché per gli aspetti di cui alla lettera c) .5. La commissione all’atto dell’insediamento può redigere un apposito docu-

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mento guida sui principi e sui criteri compositivi e formali degli interventi di riferimento per l’emanazione dei pareri.6. I pareri della commissione di cui al presente articolo, obbligatori e non vin-colanti, sono espressi entro trenta giorni dalla data della richiesta avanzata dal responsabile del procedimento.

Sportello unico per l’edilizia.1. I comuni, nell’ambito della propria autonomia organizzativa, anche me-diante esercizio in forma associata delle strutture, costituisconounufficiodenominato sportello unico per l’edilizia, che cura tutti i rapporti fra il privato, l’amministrazione e, ove occorra, le altre amministrazioni tenute a pronun-ciarsi in ordine all’intervento edilizio oggetto della richiesta di permesso o di denunciadiinizioattività.Icomunipossonoaffidareallosportellounicoperl’edilizia la competenza dei procedimenti in materia di attività edilizia di cui alla presente legge.2. Lo sportello unico per l’edilizia provvede in particolare:a) alla ricezione delle denunce di inizio attività, delle domande per il rilascio di permesso di costruire, delle comunicazioni, delle dichiarazioni e di ogni altro atto di assenso comunque denominato in materia di attività edilizia e del cer-tificatodiagibilità,nonchédeiprogettiapprovatidallacompetentesoprinten-denza ai sensi e per gli effetti degli articoli 36, 38 e 46 del D.Lgs. n. 490/1999 ;b) all’adozione dei provvedimenti in tema di accesso ai documenti amministra-tivi, in favore di chiunque vi abbia interesse nonché delle norme comunali di attuazione;c)allaconsegnadeipermessidicostruire,deicertificatidiagibilità,nonchédelle certificazioni attestanti le prescrizioni normative e le determinazioniprovvedimentali a carattere urbanistico, paesaggistico-ambientale, edilizio e diqualsiasialtrotipo,comunquerilevantiaifinidegliinterventiditrasforma-zioneediliziadelterritorio,ivicompresoilcertificatodidestinazioneurbani-stica;d) alla cura dei rapporti tra l’amministrazione comunale, il privato e le altre amministrazioni coinvolte nel procedimento relativo all’intervento edilizio og-getto dell’istanza di permesso di costruire, della denuncia di inizio attività o concernenteilcertificatodiagibilità;e)alrilasciodellacertificazionepreventivasullaesistenzaesullaqualitàdeivincoli .3.Aifinidelrilasciodelpermessodicostruireodelcertificatodiagibilitàlosportello acquisisce direttamente, ove questi non siano stati già allegati dal richiedente:a) il parere della competente azienda sanitaria locale (ASL), nel caso in cui non possaesseresostituitodaun’autocertificazione;b) il parere dei vigili del fuoco, ove necessario, in ordine al rispetto della nor-mativa antincendio.

Legge regionaleUmbria

l.r.8 luglio 2004 , n. 15 norme in materia di trasporto di viaggiatori effettuato mediante noleggio di autobus con conducente.

Funzioni riservate alla Regione

1. La Regione rilascia l’autorizzazione per attività di noleggio alle imprese in possesso dei requisiti previsti per l’esercizio della professione di trasportatore di persone che abbiano la sede legale o la principale organizzazione aziendale nel territorio regionale.2.L’impresa,alfinedelrilasciodell’autorizzazionedicuialcomma1,devepresentare un’apposita domanda e dichiarare:a) la denominazione aziendale;b) la sede legale o la sede della principale organizzazione aziendale;c)ilpossessodeirequisitidionorabilità,idoneitàfinanziaria,idoneitàprofes-sionale e aggiornamento professionale previsti dalla normativa vigente;d) il numero degli autobus disponibili per il servizio di noleggio;e)ilnumerodeglieventualiautobusacquistaticonilfinanziamentopubblicoocofinanziati;f) il possesso o meno dell’attestato di idoneità professionale estesa all’attività internazionale;g) la natura giuridica del rapporto del personale dell’azienda;h) il possessodel certificato di abilitazioneprofessionale di cui all’ articolo116, comma 8, del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 e successive mo-dificazioni,dapartedelpersonaledestinatoallaguidadegliautobus;i) il numero dei conducenti;j) l’iscrizione,perlefinalitàdicuiall’articolo6,alruoloregionaleprevistadalla legge 15 gennaio 1992, n. 21 .3. Alla domanda di cui al comma 2 è allegata:a) per i conducenti, la dichiarazione del legale rappresentante dell’impresa da cui si evince la qualità di dipendente, o di lavoratore con contratti temporanei consentiti dalla normativa vigente e la documentazione attestante la qualità di titolare socio o collaboratore familiare con l’iscrizione al registro delle imprese presso la Camera di commercio competente per territorio;b) la documentazione attestante la tipologia dei contratti collettivi di categoria applicati al personale.4.LaRegionestabilisce,conappositoatto,modalitàeprocedureperlaverificadellapermanenzadeirequisitidicuiaicommi2e3.Laverificaèeffettuataogni due anni.5. L’impresa è tenuta a comunicare alla Regione le eventuali variazioni rispet-to ai requisiti dichiarati e previsti ai commi 2 e 3 entro quindici giorni dall’av-venuta variazione.

1. La Giunta regionale istituisce e gestisce il registro delle imprese.

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Legge regionaleUmbria

l.r. 22 febbraio 2005 , n. 11 norme in materia di governo del terri-torio: pianificazione urbanistica comunale.

Funzioni attribuite ai Comuni

I comuni possono stabilire indici di utilizzazione territoriale per la realizzazio-nedinuoviedifici,inferioriagliindicimassimistabiliti,anchetenendocontodel sistema e delle unità di paesaggio, ove previste dallo strumento urbanisti-co generale, e della normativa paesistica, per particolari interessi ambientali da tutelare, nonché tenendo conto delle disposizioni legislative in materia di distretti rurali e agroalimentari di qualità.

Funzioni riservate alla Regione

La Regione disciplina compiutamente il piano regolatore generale dei Comuni1. Ilpianoregolatoregenerale (PRG)è lostrumentodipianificazionecon ilquale il comune, sulla base del sistema delle conoscenze e delle valutazioni , stabilisce la disciplina urbanistica per la valorizzazione e la trasformazione del territoriocomunale,definendolecondizionidiassettoperlarealizzazionediuno sviluppo locale sostenibile, nonché individua gli elementi areali, lineari e puntuali del territorio sottoposto a vincoli e stabilisce le modalità per la valo-rizzazione ambientale e paesaggistica.2. Il PRG è composto da:a) una parte strutturale che, in coerenza con gli obiettivi e gli indirizzi del-laprogrammazioneregionaleedellapianificazione territorialeprovinciale ,con particolare riferimento al Piano urbanistico territoriale (PUT) e al Piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP), e tenendo conto delle rela-zioniconaltriterritoricomunalicoinvolti,definiscelestrategieperilgovernodell’intero territorio comunale, provvedendo a:1)identificarelecomponentistrutturalidelterritorio;2) articolare il territorio comunale in sistemi ed unità di paesaggio;3)configurareilsistemadelleprincipaliattivitàefunzioniurbaneeterritoriali,anchedefinendoscenaridisviluppoqualitativoequantitativoattiacaratteriz-zarne la sostenibilità;4) indicare le azioni di conservazione, di valorizzazione e di trasformazione consideratestrategicheaifinidellosvilupposostenibile;b) una parte operativa, che individua e disciplina gli interventi relativi alle azioni di conservazione, valorizzazione e trasformazione del territorio, conside-rate strategiche nella parte strutturale, nel rispetto degli scenari qualitativi e quantitatividaquest’ultimadefinitieconspecificaattenzionealledimensionisociali, economiche, ambientali e morfologico-funzionali degli interventi.

4. Il PRG di norma è redatto da un gruppo multidisciplinare di progettazione, attoagarantirelecompetenzenecessarierispettoallevalenzespaziali,fisiche,sociali, culturali ed economiche del territorio e dell’insediamento. La Regione, sentito il Consiglio delle Autonomie locali, adotta inoltre, norme regolamentari attuative della presente legge, con riferimento:a) alla disciplina del piano comunale dei servizi alla popolazione, contenente l’individuazione dei comuni che devono provvedere all’approvazione del piano stesso;b) alle dotazioni territoriali e funzionali minime degli insediamenti;c) alle situazioni insediative, per le quali sonodefiniti parametri qualitativianche in riferimento alle destinazioni d’uso ammesse;d) alla disciplina delle modalità dell’esercizio del potere sostitutivo regionale,;e)alladefinizionedelle ipotesi incuièobbligatoria la formazionedelpianoattuativo ;f) agli elaborati del PRG;g) agli elaborati del piano attuativo, ivi compreso lo schema di convenzione per regolare i rapporti connessi alla sua attuazione;2.LaRegione,alfinediassicurarel’uniformitàdell’applicazionedelledisposi-zioni contenute nella presente legge adotta atti di indirizzo volti:a)alladefinizione,aifinidellaformazionedelquadroconoscitivo,dellemoda-litàedeglielementiintegrativi,nonchéalladefinizionedeicontenutideldo-cumento di bilancio urbanistico-ambientale e del documento di valutazione;b)adefinirecriterielineediindirizzofinalizzateallasostenibilitàambientaledegliinterventinell’ambitodellapianificazioneurbanisticacomunale;c)alladefinizionedelcontenutodellaconvenzioned)alladefinizionedeicontenuti,dellecondizioniedellelimitazioni,delpianoaziendale e del piano aziendale convenzionato;e) all’individuazione delle tipologie di serre che non comportano trasformazio-nepermanentedelsuoloequindinoncostituisconosuperficieutilecoperta

Legge regionaleUmbria

l.r. 28 febbraio 2005 , n. 20 norme in materia di prevenzione dall’in-quinamento luminoso e risparmio energetico.

Funzioni attribuite ai Comuni

I Comuni, si dotano di un Piano per l’illuminazione, disciplinando le nuove installazioni in conformità al regolamento regionale e perseguendo i seguenti obiettivi:a) riduzione dell’inquinamento luminoso;b) risparmio energetico;c)sicurezzadeltrafficoveicolareepedonale;d) sicurezza dei cittadini;

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e) ottimizzazione dei costi di esercizio e di manutenzione degli impianti.2. Il Piano per l’illuminazione provvede altresì al censimento degli osservatori astronomici professionali e non professionali, delimitando aree di particolare sensibilità intorno alle strutture sede di osservatori astronomici professionali e non professionali.3. Dalla data di entrata in vigore del regolamento i comuni assoggettano ad autorizzazione tutti gli impianti di illuminazione esterna, pubblici e privati, verificandolaconformitàdeiprogettiedeicapitolatiaicriteristabilitidalre-golamento stesso.4. I Comuni provvedono altresì:a)allaverifica,all’internodelperimetrodelleareediparticolaresensibilità,degli impianti esistenti non corrispondenti ai requisiti prescritti con conse-guente emanazione di provvedimenti idonei a garantirne l’adeguamento, entro tre anni dalla data di entrata in vigore del regolamento a partire dagli impianti maggiormente inquinanti. Per gli osservatori astronomici professionali e non professionali situati in centri abitati con popolazione superiore a ventimila abitanti, il piano per l’illuminazione può prevedere termini diversi, dando pri-orità all’adeguamento degli impianti esistenti maggiormente inquinanti;b) all’emanazione di provvedimenti volti ad imporre la posa in opera di scher-mature o dispositivi di protezione delle sorgenti altamente inquinanti in accor-do con le disposizioni del regolamentoc) all’applicazione delle sanzioni amministrative.

Funzioni riservate alla Regione

1. La Regione concorre all’attuazione del piano energetico nazionale, mediante lapromozionediiniziativefinalizzateall’adeguamentodegliimpiantidiillumi-nazione esterna esistenti, in conformità alle prescrizioni della presente legge e dei piani per l’illuminazione di cui all’ articolo 3 .2. La Regione provvede inoltre, nell’ambito delle attività di educazione ambien-tale, alla divulgazione delle informazioni sull’inquinamento luminoso, all’ag-giornamento tecnico-professionale del personale delle pubbliche amministra-zioni dotate di competenza in materia, nonché alla erogazione di incentivi per l’adeguamento degli impianti di illuminazione esterna esistenti.3. La Regione provvede altresì ad un periodico monitoraggio dell’inquinamento luminoso, avvalendosi del supporto tecnico dell’ARPA nonché della collabora-zionediistituzioniscientificheoperantiinmateriadiinquinamentoluminoso.4. La Regione, entro sei mesi dall’entrata in vigore della presente legge, adotta un regolamento per disciplinare l’attività in materia di prevenzione e riduzione dell’inquinamentoluminosoconilqualeprovvede,inparticolare,adefinire:a) i requisiti tecnici per la progettazione, l’installazione e la gestione degli im-pianti di illuminazione esterna;b) la tipologia degli impianti di illuminazione esterna, compresi quelli a scopo pubblicitario, da assoggettare ad autorizzazione da parte dell’amministrazione comunale e le relative procedure;c) le modalità ed i termini per l’adeguamento degli impianti esistenti ai requi-siti tecnici di cui alla lettera a) ;

d) i criteri per la predisposizione del piano comunale dell’illuminazione pub-blica di cui all’ articolo 3 ;e) i criteri per l’individuazione e le misure da applicare nelle zone di particolare protezione degli osservatori astronomici.5.Ancheaifinidellastesuradelregolamentoattuativo,tuttiinuoviimpiantidi illuminazione pubblica e privata realizzati sul territorio regionale devono essere realizzati secondo criteri antinquinamento luminoso ed a ridotto con-sumo energetico e devono quindi possedere, contemporaneamente, i seguenti requisiti minimi:a) apparecchi che, nella loro posizione di installazione, hanno una distribu-zione dell’intensità luminosa massima di 0 candele per 1000 lumen per angoli gamma uguali a 90 gradi ed oltre;b)lampadeconlapiùaltaefficienzapossibileinrelazioneallostatodellatec-nologiaetenutocontodellaspecificaapplicazione;c)luminanzamediadellasuperficieilluminatanonsuperioreadunacandelapermetroquadratoovvero,pergliimpiantifinalizzatiallasicurezzadipersoneo cose, non superiore ai valori minimi prescritti dalle norme che ne disciplina-no l’illuminazione;d) impiego, a parità di luminanza, di apparecchi che conseguano impegni ri-dotti di potenza elettrica, condizioni ottimali di interasse dei punti luce e ri-dotti costi manutentivi;e) dispositivi in grado di ridurre entro le ore ventiquattro l’emissione di luce in misura non inferiore al trenta per cento rispetto ai valori di pieno regime di operatività.

Legge regionaleUmbria

l.r. 18 novembre 2008 , n. 17 norme in materia di sostenibilità am-bientale degli interventi urbanistici ed edilizi.

Funzioni attribuite ai Comuni

I Comuni, dopo l’emanazione da parte della Regione delle norme regolamen-tari :a) adeguano il regolamento comunale per l’attività edilizia alle disposizioni della presente legge e delle relative norme regolamentari;b) stabiliscono la riduzione degli oneri di urbanizzazione secondaria e del co-sto di costruzione c)definisconogliincentiviinmateriadiimposteotassecomunali.I Comuni, nella formazione e approvazione degli strumenti urbanistici, appli-cano le disposizioni di urbanistica ed edilizia sostenibile di cui alla presente legge.

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Funzioni riservate alla Regione

LaRegioneeadottalacartografia.La Regione adotta norme regolamentari attuative con particolare riferimento:a)alladefinizionedeldisciplinaretecnicoperlavalutazionedellasostenibilitàambientaledegliedifici;b)alladefinizionedeicriterisullecaratteristicheedutilizzazionedeimateriali;c)alladefinizionedeirequisitidisostenibilitàambientale.

l.r.20 luglio 2008 , n. 12 norme per i centri storici.

I Comuni, anche in forma associata e con il concorso dei cittadini, delle as-sociazioni di categoria degli operatori economici, dei portatori di interessi col-lettivi e delle istituzioni pubbliche o di interesse pubblico, redigono il quadro strategico di valorizzazione dei centri storici e delle altre parti di tessuto urba-no contigue che con essi si relazionano. La redazione e l’approvazione del quadro strategico è obbligatoria solo per i Comuni con popolazione superiore a diecimila abitanti o con il centro storico diestensionesuperioreaquattordiciettaridisuperficieterritoriale.3. Il quadro strategico, redatto secondo le linee guida approvate dalla Giunta regionale, contiene, in particolare:a) l’analisi delle criticità e delle potenzialità di sviluppo del centro storico;b) l’indicazione del ruolo che il centro storico può svolgere nel proprio contesto territoriale mediante l’insediamento e lo sviluppo di attività e funzioni con esso coerenti e compatibili;c) l’indicazione delle azioni strategiche a carattere pluriennale e la sequenza temporale di realizzazione delle stesse, con le relative motivazioni, nonché de-gli strumenti anche di carattere urbanistico da utilizzare;d) gli interventi concreti che si intendono attivare;e)leprocedureelemodalitàperverificarelostatodiattuazionedegliinterven-ti di cui alla lettera d) , mediante un apposito monitoraggio;f)ilpianoeconomicoefinanziario;g) i programmi di formazione professionale per operatori del commercio, turi-smo, servizi e artigianato;h) i programmi, piani e progetti di promozione e sviluppo di centri commerciali naturali, centri polifunzionali di servizi e attività di prossimità,;i)laqualificazionedellasegnaleticatoponomastica,turistica,commerciale,dipubblica utilità e dei servizi nonché della cartellonistica pubblicitaria, secondo i criteri e gli indirizzi della Regionel) l’elenco dei beni di interesse pubblico di valore culturale di portata storica e di valore ambientale;m) l’indicazione degli strumenti di carattere normativo, procedurale ammini-strativo, partecipativo, organizzativo e gestionale necessari per l’attuazione del quadro strategico.4.IlquadrostrategicoèapprovatodalComuneedèsottopostoaverificacon

modalità e frequenza stabilite dal Comune stesso.5. Il Comune ed i soggetti interessati, con riferimento alle scelte e previsioni contenute nel quadro strategico che richiedono azioni integrate e coordinate, concludono accordi o protocolli d’intesa, anche con valenza contrattuale.

La Regione svolge azioni per favorire nei centri storici la redazione, da parte dei Comuni, dei quadri strategici di valorizzazione, e l’attuazione dei program-mi urbanistici e dei piani attuativi LaRegioneconcorrealfinanziamentodellaredazionedeiquadristrategicidivalorizzazione, alla elaborazione di studi, di ricerche sui centri storici ed all’at-tuazione delle azioni strategiche.

l.r. 3 maggio 2009 , n. 11 norme per la gestione integrata dei rifiuti e la bonifica delle aree inquinate.

Funzioni attribuite ai Comuni

Funzioni dei comuni.1. I comuni esercitano le seguenti funzioni amministrative:a)controllodelcorrettoconferimentodapartedeicittadinideirifiutiurbaniedassimilati ai servizi di raccolta nell’ambito del proprio territorio;b)promozioneeconclusionediaccordiconorganismipubblicieprivatialfinedigarantireunamaggioreefficaciaalleazionieagliinterventivoltiallaraccol-tadeirifiutieallapuliziadelleareeedeglispaziurbani;c) approvazione della realizzazione dei centri di raccolta o loro adeguamento allenormevigenti;rilascio,rinnovoemodificadell’autorizzazioneallagestionedegli stessi. 2. Nella redazione del Piano regolatore, parte operativa, i comuni individuano leareediservizioper la raccoltadifferenziatadei rifiutiurbaniedei rifiutiinerti,dimensionandoleinproporzioneallaquantitàdeirifiutiprodotti.3. I comuni adeguano i propri regolamenti edilizi a quanto previsto nella pro-gettazione degli interventi edilizi con riferimento all’individuazione degli spazi dadestinarealconferimentodapartedegliutentideirifiutidifferenziati.4. I comuni esercitano, altresì, le funzioni ad essi attribuite dagli articoli 198 e 255 del d.lgs. 152/2006.

Funzioni attribuite alle Province

Le province esercitano le funzioni di cui agli articoli 215 e 216 del d.lgs. 152/2006 .2. Le province esercitano, altresì, le funzioni amministrative di cui all’ articolo 197 del d.lgs. 152/2006 e recepiscono nel Piano territoriale di coordinamento provinciale (PTCP) le aree non idonee e le aree potenzialmente idonee alla lo-calizzazionedegliimpiantidirecuperoedismaltimentodeirifiuti,

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Funzioni riservate alla Regione

Funzioni della Regione.1. La Regione esercita le funzioni di programmazione, indirizzo, coordinamen-to e controllo attribuite dalla presente legge e in particolare:a)verificalacoerenzadelPianod’ambitorispettoalleprevisionidelPianore-gionaleperlagestionedeirifiuti,diseguitodenominatoPianoregionale,conparticolare riguardo ai seguenti aspetti:1)raggiungimentodegliobiettividicontenimentodellaproduzionedeirifiuti,di sviluppo dei servizi di raccolta differenziata a carattere domiciliare e di re-cuperodeirifiuti;2) dotazione dell’offerta impiantistica ovvero della rete delle strutture a sup-porto della raccolta differenziata, degli impianti dedicati al trattamento della frazione organica e del verde da raccolta differenziata, degli impianti di pre-trattamentodel rifiuto residuo, degli impianti di smaltimento finale e degliimpiantiditrattamentoesmaltimentodeirifiutiinerti;3) promozione dello sviluppo, in conformità con la normativa statale, di siste-mi di tariffazione che possono consentire la modulazione degli oneri a carico degliutentiancheinfunzionedellaquantitàedellaqualitàdeirifiutiprodotti;4) previsioni in merito alla distribuzione dei costi dei servizi;5) tariffazione per i servizi di smaltimento;b) promuove il coordinamento tra gli Ambiti territoriali integrati e l’integrazio-nedellepolitichedigestionedeirifiuti;c) favorisce l’aggregazione, anche progressiva, della gestione degli impianti di smaltimentofinalepresentinellaregione,perdisegnareunsistemaimpian-tisticoomogeneoedimprontatoallavalorizzazioneenergeticadeirifiutieallosmaltimentoindiscaricadeisoliflussiresidui;d) stabilisce indirizzi e criteri generali per il rilascio delle autorizzazioni, ivi compreselemodalitàdiprestazionedellegaranziefinanziarieerelativiimpor-ti;e) stabilisce indirizzi e criteri generali per la comunicazione di inizio attività, ivicompreselemodalitàdiprestazionedellegaranziefinanziarieerelativiim-porti.2. La Regione esercita, altresì, le seguenti funzioni:a) concede contributi e irroga sanzioni agli ATI in funzione dei risultati di rac-colta differenziata conseguiti dai comuni sulla base delle previsioni di legge ;b) sostiene gli interventi di riorganizzazione dei servizi orientati alla progressi-va estensione delle forme di raccolta differenziata domiciliare;c) provvede alla comunicazione e diffusione, a soggetti pubblici e privati, dei dati trasmessi dall’Agenzia regionale per la protezione ambientale di seguito denominata ARPA;d)certificalaquantitàdeirifiutiurbanieassimilatiprodottieivaloridirac-colta differenziata conseguiti da ciascun ATI e da ciascun comune;e) rilascia le autorizzazioni alla realizzazione e all’esercizio di impianti di ricer-ca e di sperimentazione;f) indice la Conferenza di servizi e adotta i provvedimenti conseguenti i quali prevedono i termini per la realizzazione degli interventi, per la procedura e per

la presentazione di eventuali integrazioni dei progetti.3. La Regione provvede, inoltre, in ordine:a)allaverificadicoerenzadellalocalizzazionedeinuoviimpiantiprevistidagliATI;b)allavalutazionedell’efficaciadelleazioniprevistedalPianoregionaleeall’a-nalisideglieventualiscostamentirispettoagliobiettivifissatidallapianifica-zioneregionaleedallepianificazionidiambitoaifinidelconseguimentodegliobiettividirecupero,autosufficienzadelsistemaditrattamentoesmaltimentosia a livello regionale che a livello dei singoli ATI;c) alla adozione di interventi correttivi ed integrativi necessari a garantire il conseguimento degli obiettivi previsti dal Piano regionale;d) alla analisi delle complessive capacità del sistema di trattamento e smalti-mento e valutazione della eventuale necessità di potenziamento degli impianti tenuto anche conto delle capacità residue delle discariche.4.LaRegionedefinisce,diconcertoconleprovince,icriteriperlalocalizzazio-ne e l’individuazione delle aree non idonee e delle aree potenzialmente idonee allalocalizzazionedegliimpiantidigestionedeirifiuti,alfinediperseguireilcorretto e ottimale inserimento degli stessi sul territorio e prevenire e contene-re i potenziali impatti derivanti.

Funzioni attribuite ad altri enti ed organismi

Funzioni dell’Ambito territoriale integrato.1. Ciascun ATI esercita le seguenti funzioni:a)organizza il serviziodigestione integratadei rifiutiurbaniedefiniscegliobiettivi da perseguire;b) elabora, approva e aggiorna il Piano d’ambito ;c) effettua il controllo ed il monitoraggio sull’attuazione del Piano d’ambito con particolare riferimento all’evoluzione dei fabbisogni ed all’offerta impiantistica disponibile e necessaria;d) assegna i contributi e irroga le sanzioni ai Comuni in funzione del consegui-mento dei risultati di raccolta differenziata;e) determina la tariffa di ATI, ;f)definisceleprocedurediaffidamentodelleattivitàdigestionedeirifiutiur-bani e assimilati 2. L’ATI promuove accordi di programma con soggetti pubblici e privati di riconosciutacompetenzainmateriadirifiuti,alfinediperseguireilmigliora-mentoqualitativodelserviziodigestioneintegratadeirifiutieilcontrollodellagestione.3. L’ATI, sulla base dei criteri e delle modalità stabilite dalla Giunta regionale, fornisce all’ARPA, con periodicità almeno trimestrale, i dati della raccolta e produzionedeirifiutiurbaniedassimilati,nonchétutteleinformazionisullagestionedeirifiuti,conespressoriferimentoaidatisullaproduzionepercia-scuncomunedellaquantitàdirifiutiraccoltainformadifferenziataeindiffe-renziata, per consentirne la validazione e l’elaborazione a cura dell’Osservato-rio regionale.

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4. L’ATI trasmette alla Giunta regionale, entro il 31 marzo di ogni anno, una relazione sullo stato di attuazione del Piano d’ambito.5.Alfinediuniformareiregolamenticomunalil’ATIadottaunregolamentotipo per tutti i comuni del proprio ambito in coerenza con le previsioni del Pia-no d’ambito.6. L’ATI istituisce il Comitato consultivo degli utenti del servizio di gestione integratadeirifiuti.

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Funzioni dell’Agenzia regionale per la protezione ambientale.1. L’ARPA provvede:a)allagestionedellaSezioneregionaledelCatastodeirifiuti;b) alla gestione del programma di monitoraggio del Piano regionale attraverso la raccolta dei dati trasmessi, entro il 31 gennaio di ogni anno, dai comuni, dalle province, dagli ATI e dai gestori degli impianti e di tutte le informazioni utili al popolamento del sistema di monitoraggio;c) alla trasmissione alla Giunta regionale di un rapporto semestrale sulla ge-stionedeirifiutiurbani;d)allarealizzazioneegestione,secondocriteridefinitidallaGiuntaregionale,diunsistemainformativodituttiidatiinerentiirifiutieleareedabonificare.Il sistema deve contenere almeno le seguenti banche dati:1)modellounicodidichiarazioneambientale(MUD)alfinedifornireunqua-droconoscitivodellaproduzioneedellagestionedei rifiutispeciali,nonchédella loro movimentazione da e verso il territorio regionale;2) anagrafe delle autorizzazioni ;3)anagrafedellecomunicazionirelativeagliimpiantidirecuperodeirifiuti;4) anagrafe delle iscrizioni relative ai trasportatori e gestori degli impianti; 5) archivio delle apparecchiature contenenti policlorobifenile (PCB) e delle al-treparticolaricategoriedirifiuti.

Osservatorio regionale sulla produzione, raccolta, recupero, riciclo e smalti-mentodeirifiuti.1. È istituito, presso l’ARPA, l’Osservatorio sulla produzione, raccolta, recupe-ro,ricicloesmaltimentodeirifiuti.2. L’Osservatorio è costituito con decreto del Presidente della Giunta regionale edècompostodaespertiinmateriadirifiuti:a) tre designati dall’ARPA di cui uno con funzioni di Presidente;b) tre designati dalla Giunta regionale;c) uno designato da ciascuna provincia;d) uno designato da ciascun ATI;e) uno designato dall’Albo nazionale gestori ambientali - Sezione regionale.3. L’Osservatorio coordina le attività di monitoraggio e controllo dell’attuazio-ne del Piano regionale , in particolare svolge le seguenti attività:a)verificaevalidazionedellequantitàdeirifiutiprodotteeconferitealserviziopubblico di gestione integrata con riferimento ad ogni ATI e ad ogni singolo comune;

b)verificaannualedellequotepercentualidirifiutiintercettateattraversoleazioni di raccolta differenziata con riferimento ad ogni ATI e ad ogni singolo comune;c)verificatrimestraledeidatigestionalidegliimpiantiperrifiutiurbani,conparticolare riferimentoaiquantitatividi rifiutiurbani e speciali conferiti indiscarica;d) analisi dei modelli adottati dai soggetti gestori in materia di organizzazione, gestione, controllo e programmazione dei servizi e dei correlati livelli di qualità dell’erogazione nonché degli impianti;e) trasmissione di una relazione annuale da inviare alla Giunta regionale, en-tro il 31 marzo, relativa alle attività di cui alle lettere a), b) e c);f) supporto allo sviluppo delle azioni attuative del Piano regionale per quanto di competenza della Regione.4.L’Osservatoriocollaboraconl’Osservatorionazionaledeirifiuti

Legge regionaleUmbria

l.r. 7 gennaio 2010, n. 5 disciplina delle modalità di vigilanza e controllo su opere e costru-zioni in zone sismiche.

Funzioni attribuite alle Province

Sono delegate alla provincia le funzioni amministrative concernenti le opere per il consolidamento di abitati e le funzioni del dirigente o responsabile del competenteufficiocomunale,inmeritoaicontrollieaccertamentidellevio-lazioni.

Funzioni riservate alla Regione

La Regione svolge le funzioni di indirizzo e coordinamento per l’esercizio delle competenze di cui alla presente legge e promuove un’adeguata formazione in materia sismica.LaRegionefavorisceindaginiperlavalutazionedelrischiosismico,finalizzatealladefinizionedelprogrammadiprevenzionesismica La Regione esercita le funzioni amministrative in materia di opere pubbliche la cui esecuzione è di competenza della Regione.

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PARTE QUINTA

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Giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia di attribuzione di fun-zioni amministrative agli EE.LL.

SENTENZA N. 22

ANNO 2014

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Gaetano SILVESTRI; Giudici : Luigi MAZ-ZELLA, Sabino CASSESE, Giuseppe TESAURO, Paolo Maria NAPOLITANO, Giuseppe FRIGO, Alessandro CRISCUOLO, Paolo GROSSI, Giorgio LATTANZI, Aldo CAROSI, Marta CARTABIA, Sergio MATTARELLA, Mario Rosario MOREL-LI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’art. 19 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con in-varianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, promossi dalle Regioni Lazio, Ve-neto, Campania, dalla Regione autonoma Sardegna e dalla Regione Puglia con ricorsi notificati il 12-17, il 12, il 13-17, il 12 e il 15-18 ottobre 2012, deposi-tati in cancelleria il 16, il 17, il 18, il 19 e il 24 ottobre 2012 e rispettivamente iscritti ai nn. 145, 151, 153, 160 e 172 del registro ricorsi 2012.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 3 dicembre 2013 il Giudice relatore Mario Ro-sario Morelli;

uditi gli avvocati Marcello Cecchetti per la Regione Puglia, Francesco Saverio Marini per la Regione Lazio, Luigi Manzi, Daniela Palumbo e Mario Bertolissi per la Regione Veneto, Beniamino Caravita di Toritto per la Regione Campa-nia, Massimo Luciani per la Regione autonoma Sardegna e l’avvocato dello Stato Raffaele Tamiozzo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

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Ritenuto in fatto

1.– Le Regioni Lazio, Veneto, Campania e Puglia, e la Regione autonoma Sar-degna, con i ricorsi in epigrafe, hanno proposto questioni di legittimità costitu-zionale di varie disposizioni del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cit-tadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dell’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, e, tra queste, dell’art. 19.

In particolare, le disposizioni censurate sono quelle di cui al comma 1, lettere a), b), c), d), e), ed ai commi da 2 a 6, con la precisazione, però, che le questio-ni relative ai commi 2, 5 e 6 sono state riservate a separata trattazione nella stessa udienza pubblica del 3 dicembre 2013.

In estrema sintesi, l’art. 19, per quanto forma in questa sede oggetto di impu-gnazione, rispettivamente:

– al comma 1, lettera a) – che reca il nuovo testo del comma 27 dell’art. 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizza-zione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122 – ridefinisce le funzioni fondamentali dei Comuni ai sensi della lettera p) dell’art. 117, secondo com-ma, Cost.

– al comma 1, lettera b) – che sostituisce il comma 28 dell’art. 14 anzidetto – dispone, con riferimento ai Comuni con popolazione fino ai 5.000 abitanti, l’e-sercizio obbligatorio in forma associata delle funzioni fondamentali, mediante unione di Comuni o convenzioni di durata triennale;

– al comma 1, lettera c) – che aggiunge il comma 28-bis al citato art. 14 – pre-vede che alle unioni di Comuni di cui al riscritto precedente comma 28 si ap-plichi la disciplina di cui all’art. 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali) e successive mo-dificazioni; e che ai Comuni con popolazione fino a 1.000 abitanti si applichi quanto previsto al comma 17, lettera a), dell’art. 16 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, a norma del quale il Consiglio comunale è composto dal sindaco e da sei consiglieri;

– al comma 1, lettera d) – che sostituisce il comma 30 dello stesso art. 14 – dispone che le Regioni, nelle materie di cui all’art. 117, commi terzo e quarto, Cost., individuano le dimensioni territoriali ottimali per l’esercizio delle funzio-ni in forma obbligatoriamente associata, mediante unioni e convenzioni;

– al comma 1, lettera e) – che sostituisce il comma 31 del medesimo art. 14 – individua il limite demografico minimo delle unioni di Comuni in 10.000 abi-tanti, salva diversa determinazione da parte della Regione;

– al comma 3 – che sostituisce l’art. 32 del citato d.lgs. n. 267 del 2000 – pone una disciplina articolata delle unioni di Comuni, con differenti profili, attinenti alle procedure di istituzione ed alla struttura organizzativa delle unioni, non-ché alla disciplina delle funzioni che queste ultime sono destinate a svolgere;

– al comma 4 prevede, per i Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, una facoltà di scelta tra i modelli organizzativi di cui ai precedenti commi 1 e 2.

2.– La Regione Lazio deduce che la disciplina recata dall’art. 19 denunciato – e, secondo il tenore della prospettazione, in particolar modo quella di cui al comma 1, lettere da a) a d) – violerebbe il combinato disposto degli artt. 117, secondo comma, lettera p), terzo e quarto comma, Cost., ledendo le attribu-zioni costituzionali regionali, dovendo essere ricondotta nell’alveo di siffatte attribuzioni «la regolazione delle associazioni degli enti locali», là dove lo Stato dovrebbe «limitarsi a stabilire la disciplina in tema di “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metro-politane”, restando evidentemente esclusi da tale “voce” tutti gli aspetti riguar-danti l’associazionismo di tali enti».

In questi termini – sottolinea la ricorrente – si sarebbe orientata la stessa giu-risprudenza costituzionale (sentenze n. 456 del 2005, n. 244 del 2005 e n. 229 del 2001), mettendo in luce il carattere «puntuale» della «tassativa» elencazione «degli enti, e degli aspetti della loro disciplina, contenuta nell’art. 117, comma secondo, lettera p)».

E tali conclusioni la medesima ricorrente ha ribadito con memoria depositata in prossimità dell’udienza del 3 dicembre 2013 (cui è stata rinviata, a seguito di ordinanza n. 227 del 2012, la trattazione delle questioni), nella quale ag-giunge che, sulla scorta dell’orientamento della giurisprudenza costituzionale (sentenza n. 27 del 2010), l’esercizio associato di funzioni da parte degli enti locali è da ascriversi alla potestà legislativa residuale delle Regioni, salva l’e-ventualità di un intervento di contenimento della spesa pubblica in base ai principi di coordinamento della finanza pubblica, che però, nel caso di specie, non sarebbe ravvisabile, posto che la normativa denunciata risulta dettagliata e non transitoria.

3.– Anche la Regione Veneto assume che il denunciato art. 19, con le sue plurime disposizioni (e, in particolare, i commi 1, lettere da b ad e, e 3) – le quali, là dove attengono specificamente ai Comuni, sono suscettibili di essere impugnate dalla Regione, giacché i profili di illegittimità che le riguardano «si traducono in altrettante violazioni dell’autonomia regionale costituzionalmen-te garantita» – violerebbe, in primo luogo, l’art. 117, quarto comma, Cost., dal quale, letto in combinato disposto con il secondo e il terzo comma dello

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stesso art. 117, si ricaverebbe che la materia «forme associative tra gli enti locali» rientra nella potestà legislativa regionale residuale. Il che sarebbe, del resto, confermato dalla stessa giurisprudenza costituzionale (sentenze n. 27 del 2010, n. 237 del 2009, n. 456 e n. 244 del 2005), che ha escluso, in rife-rimento alle comunità montane (e lo stesso varrebbe per le unioni di Comuni alle quali ha riguardo la norma denunciata), l’intervento della competenza statale di cui alla lettera p) del secondo comma dell’art. 117 Cost., ascrivendo la relativa disciplina alla competenza residuale delle Regioni.

Invero, nonostante le disposizioni di cui all’art. 19 del d.l. n. 95 del 2012, con-vertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, siano qualificate come norme di «coordinamento della finanza pubblica», esse sarebbero ben lungi dal costituire principi fondamentali di siffatta materia, posto che, per un verso, non si limitano a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, «intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente»; e, per altro verso, prevedono «in modo esaustivo stru-menti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi».

Inoltre, sarebbe violato anche l’art. 118, primo comma, Cost., il quale non fa riferimento alle unioni di Comuni o alle convenzioni tra Comuni, che, per-tanto, «dovrebbero essere, soprattutto nel rispetto del fondamentale art. 114 Cost., libere forme associative cui il Comune può (non deve) ricorrere».

Infine, la Regione Veneto sostiene che il «complesso di censure avanzate nei confronti dell’art. 19» condurrebbe a ritenere sussistente anche la violazione dell’art. 119 Cost., «peraltro anche con riguardo all’autonomia finanziaria di entrata e di spesa dei Comuni», nonché degli artt. 3 e 97 Cost., «specialmente per il fatto che i Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti sono obbligati tout court (e quindi in violazione del principio costituzionale di differenziazio-ne) all’esercizio mediante unione di Comuni o convenzione delle loro funzioni fondamentali».

3.1.– In prossimità dell’udienza del 3 dicembre 2013, la Regione Veneto ha depositato memoria con la quale insiste per l’illegittimità costituzionale delle denunciate disposizioni dell’art. 19.

4.– La Regione Campania ritiene, a sua volta, illegittimo il comma 1, lettera a) dell’art. 19, «nella parte in cui, nel modificare la disciplina delle funzio-ni fondamentali dei comuni precedentemente recata dall’art. 14, comma 27, decreto-legge n. 78/2010, riconosce in materia alle Regioni le sole funzioni di programmazione e di coordinamento, spettanti nelle materie di cui all’art. 117, commi terzo e quarto, Cost., nonché quelle esercitate ai sensi dell’art. 118 Cost.».

La ricorrente osserva al riguardo che la norma denunciata, nel circoscrivere il ruolo delle Regioni a quello dell’esclusivo svolgimento dei compiti di program-mazione e coordinamento, di fatto sottrarrebbe agli stessi enti «tutte le fun-

zioni non espressamente richiamate, malgrado le stesse siano pacificamente spettanti ai sensi del chiaro disposto degli artt. 117 e 118 Cost.».

Invero, si evincerebbe dall’art. 118 Cost. che la Regione è titolare «di un am-pio novero di funzioni che potrà delegare ai comuni o alle province o alle città metropolitane» e che tale attribuzione in concreto necessita di una legge di conferimento, come pure ribadito dall’art. 7 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3). Sicché, il legislatore (statale e regionale) ha il compito di conferire ai Comuni le funzioni amministrative precedente-mente esercitate, con contestuale trasferimento delle risorse necessarie, po-tendo però «provvedere all’allocazione delle funzioni medesime ad un livello di-verso da quello comunale, laddove ciò permetta il loro migliore esercizio». Ciò, tuttavia, non escluderebbe che, «nella propria opera di concreta destinazione delle funzioni amministrative rientranti nelle materie di propria competenza» (ai sensi dell’art. 117, commi terzo e quarto, Cost.), la Regione possa anche riservarsi «l’esercizio di compiti diversi ed ulteriori rispetto a quelli di program-mazione e coordinamento».

La norma denunciata limiterebbe, invece, il ruolo regionale allo svolgimento esclusivo di compiti di programmazione e controllo, ridimensionando in modo illegittimo il potere della Regione «di optare per un diverso sistema di ripar-to delle funzioni amministrative»; ciò determinando un vulnus agli artt. 117, commi terzo e quarto, e 118 Cost.

Ove, poi, non si intendesse riconoscere la lesione dell’art. 117, quarto com-ma, Cost., sussisterebbe in ogni caso quella del combinato disposto degli artt. 117 e 118 Cost. sul riparto costituzionale di competenze legislative di Stato e Regioni in materia di disciplina dell’esercizio delle funzioni amministrative da parte degli enti locali, «nella misura in cui la norma statale disciplina l’eser-cizio in forma associata, da parte dei comuni interessati, di tutte le funzioni amministrative e di tutti i servizi pubblici loro spettanti sulla base della legi-slazione vigente».

Difatti, non potendo revocarsi in dubbio che la competenza regionale in ma-teria di disciplina dell’esercizio delle funzioni amministrative sussista «ogni qualvolta le funzioni stesse interessino ambiti materiali di diretta pertinenza regionale (esclusiva o concorrente)», il censurato art. 19, mancando di distin-guere le funzioni amministrative attualmente esercitate dai Comuni interes-sati, ha «sicuramente ricompreso anche funzioni ricadenti in ambiti materiali regionali, violando in tal modo le attribuzioni costituzionalmente garantite alla regione».

4.1.– Peraltro, l’art. 19 prevede ulteriori disposizioni in materia di esercizio associato delle funzioni in ambito comunale, quali quelle di cui alle lettere da b) a d) del comma 1, che modificano integralmente la disciplina posta in materia dai commi 28 e seguenti dell’art. 14 del citato d.l. n. 78 del 2010. Tali

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disposizioni stabiliscono l’esercizio obbligatorio delle funzioni fondamentali, mediante unione o convenzione, da parte dei Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti (3.000 se in comunità montane), là dove il ruolo della Regione viene limitato, in relazione alle materie di cui al terzo e quarto comma dell’art. 117 Cost., «alla mera individuazione, previa concertazione con gli enti locali interessati nell’ambito del C.A.L., della dimensione territoriale ottimale e omo-genea per area geografica per lo svolgimento associato delle funzioni suddet-te». Inoltre, il comma 3 dell’art. 19 innova l’art. 32 del d.lgs. n. 267 del 2000, in ordine alla disciplina delle unioni di Comuni.

Secondo la ricorrente, anche tali disposizioni sarebbero, all’evidenza, in con-trasto con gli artt. 117 e 118 Cost., in ragione delle considerazioni in prece-denza svolte circa la competenza regionale riferita alla disciplina degli stru-menti e delle modalità a disposizione dei Comuni per l’esercizio congiunto delle funzioni loro spettanti.

4.2.– Con successive memorie depositate in prossimità sia dell’udienza pub-blica del 19 giugno 2013 che di quella del 3 dicembre 2013, la Regione Cam-pania ha reiterato e ulteriormente argomentato le conclusioni già rassegnate.

In particolare ha evidenziato che, in sede di esame del progetto di legge in itinere (AC 1542), tramite il quale si intenderebbe intervenire nuovamente sulla disciplina dell’unione dei Comuni, la Corte dei conti, nell’audizione del 6 novembre 2013, avrebbe espresso dubbi sulla reale incidenza delle nuove istituzioni sul risparmio di spesa nel lungo periodo, adducendo che «la poten-ziale dinamica virtuosa che connota, tendenzialmente, l’esercizio associato di funzioni e servizi è frenata dai fattori di rigidità della spesa corrente». Con ciò sarebbero smentite le enunciazioni del legislatore in ordine alla riconducibilità delle disposizioni di cui all’art. 19 denunciato al «coordinamento della finanza pubblica», trattandosi, in ogni caso, di disposizioni analitiche e di dettaglio, che non terrebbero conto, nel disegno di complessivo riordino cui mirano, dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza, tanto da non essere neppure in grado di assicurare «le attese riduzioni di spesa».

5.– Anche la Regione autonoma Sardegna ha impugnato l’art. 19 del d.l. n. 95 del 2012, il quale, «nel novellare l’art. 16 del decreto-legge n. 138 del 2011 e nel dettare ulteriori disposizioni in tema di unioni di comuni, ha ulteriormente modificato in profondità l’organizzazione politico-amministrativa dei comuni minori della Sardegna, attraverso una disciplina di estremo dettaglio e parti-colarmente stringente».

Le disposizioni del denunciato art. 19 – nell’istituire obbligatoriamente unioni di Comuni, nel ridurre contestualmente i consigli comunali a puri organi di partecipazione e il sindaco a semplice ufficiale di Governo – provocherebbero, di fatto, secondo la ricorrente «la soppressione dei comuni che partecipano a questa forma associativa e la loro sostituzione con un nuovo tipo di ente territoriale», con conseguente contrasto con le norme che garantiscono alla

Regione Sardegna una sfera di autonomia legislativa esclusiva in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni» di cui all’art. 3, pri-mo comma, lettera b), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), che la giurisprudenza costituzionale ha ritenuto particolarmente ampia, tanto da consentire l’istituzione di nuove Province.

Sarebbe, altresì violato l’art. 117, quarto comma, Cost., posto che la compe-tenza esclusiva dello Stato di cui alla lettera p) dell’art. 117, secondo comma, Cost., così come non può riguardare – per essere tassativamente riferita a Co-muni, Province e Città metropolitane (sentenze n. 456 e n. 244 del 2005) – le comunità montane (la cui disciplina rientra in quella residuale regionale, sic-come garantita, per il tramite dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione», anche alla Regione Sardegna) – del pari non potrebbe attenere alle unioni di Comuni.

Peraltro, non potrebbe far venir meno la lesività delle censurate disposizioni la clausola di salvaguardia delle competenze delle Regioni ad autonomia dif-ferenziata recata dal comma 29 dell’art. 16 del d.l. n. 138 del 2011, posta, in primo luogo, la già evidenziata competenza legislativa esclusiva della Regione Sardegna nella materia «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscri-zioni», nonché, ulteriormente, il fatto che l’art. 19 censurato «non introduce una normativa di carattere generale o limitata ai principi di semplificazione, accorpamento di funzioni e riduzione degli enti non necessari, bensì un’au-toritativa e unilaterale determinazione delle forme e delle modalità di attua-zione della c.d. intercomunalità, cui segue una regolamentazione di estremo dettaglio, della quale la Regione, anche attivando le procedure necessarie per il rispetto del proprio Statuto, e pur applicandosi quanto previsto dall’art. 27 della legge n. 42 del 2009, non potrebbe che prendere atto e recepire in via automatica». Sicché, sarebbe anche da escludere che la disciplina denunciata possa integrare una fondamentale riforma economico-sociale della Repubbli-ca, ovvero esercizio della potestà legislativa di cui all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.

5.1.– Con successiva memoria, la ricorrente, nel ribadire le ragioni dell’impu-gnativa, osserva, segnatamente, che la disciplina censurata, dettata in viola-zione della competenza esclusiva regionale in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni», di cui all’art. 3, comma 1, lettera b), dello statuto, non solo non prevederebbe alcun principio fondamentale in or-dine «alle esigenze di semplificazione, accorpamento di funzioni e riduzione degli enti non necessari», ma verrebbe a stabilire «un’autoritativa e unilaterale determinazione del livello demografico della c.d. intercomunalità, cui segue una regolamentazione di estremo dettaglio», che la Regione non potrebbe che recepire automaticamente, senza adattamenti in base alle procedure statu-tarie, come previsto dalla clausola di salvaguardia di cui all’art. 24-bis dello stesso d.l. n. 95 del 2012.

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La ricorrente esclude, inoltre, che la disposizione denunciata possa trovare titolo di legittimazione nello stesso art. 3 dello statuto, ove si prevede che la competenza legislativa regionale debba esercitarsi in armonia con i principi dell’ordinamento giuridico della Repubblica e nel rispetto delle norme fonda-mentali delle riforme economico-sociali della Repubblica stessa, non potendo i primi desumersi da una singola norma o da un singolo intervento normativo e le seconde essere ricondotte al profilo istituzionale degli enti locali anziché ai rapporti economico-sociali tra cittadini o tra cittadini e istituzioni. Ed anco-ra non potrebbe la norma denunciata essere giustificata come esercizio della potestà legislativa di cui alla lettera p) del secondo comma dell’art. 117 Cost., giacché questa regola soltanto il riparto di competenze tra Stato e Regioni or-dinarie, là dove è l’art. 3 dello statuto «a definire gli ambiti di attribuzione dello Stato e della Regione Sardegna».

La difesa regionale contesta, poi, che l’intervento normativo oggetto di censura possa ricondursi alla materia del «coordinamento della finanza pubblica», os-servando che, oltre ad essere di dettaglio, non sortirebbe alcun «effetto virtuo-so sui saldi di finanza pubblica», come sarebbe dimostrato dal fatto che nella “relazione tecnica” di accompagnamento al d.d.l. di conversione in legge del d.l. n. 95 del 2012 si afferma che in base alla previsione di cui all’art. 19 non deriveranno ulteriori spese, ma non già «utilità dal punto di vista dei risparmi finanziari».

6.– La Regione Puglia analogamente sostiene che il comma 1, lettera a), dell’art. 19 denunciato violerebbe gli artt. 117, secondo comma, lettera p), terzo e quar-to comma, e 118 Cost., «nella parte in cui include tra le funzioni fondamentali dei Comuni anche funzioni amministrative ricadenti in materie di competenza legislativa concorrente o residuale regionale».

A tal riguardo, la difesa regionale osserva che la potestà legislativa statale di cui alla lettera p) del secondo comma dell’art. 117 Cost., è «per sua natura, limitata», non potendo lo Stato giungere a «qualificare liberamente» qualsiasi funzione amministrativa come «funzione fondamentale» dei Comuni o delle Province, così da poterne disporre l’integrale disciplina. Ciò in quanto, diver-samente opinando, si priverebbe di qualunque «contenuto precettivo gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, secondo comma, Cost., i quali prescrivono che sia la legge regionale ad allocare e disciplinare le funzioni amministrative nelle materie diverse da quelle di competenza legislativa statale».

Ad avviso della ricorrente, il carattere «limitato» della richiamata potestà legi-slativa statale in materia di «funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane» sarebbe stato riconosciuto anche dalla giurisprudenza costitu-zionale, sebbene in essa non si rinvenga una chiara individuazione di siffatti limiti. Invero, secondo la Regione Puglia, dette «funzioni fondamentali» dovreb-bero in non altro consistere che nella potestà statutaria, nella potestà regola-mentare e nella potestà amministrativa «a carattere “ordinamentale” concer-nente le funzioni essenziali che attengono alla vita stessa e al governo degli

enti locali territoriali ivi espressamente contemplati». Con esclusione, quindi, delle funzioni «amministrativo-gestionali» in senso proprio, e, a maggior ragio-ne, di «alcune di quelle individuate dalla norma legislativa qui censurata».

In tal senso deporrebbe una serie di convergenti argomenti. In primo luogo, quello «topografico» e cioè l’aver l’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. inserito le «funzioni fondamentali» nell’ambito dello stesso testo normativo che contempla gli «organi di governo» e la «legislazione elettorale». In secondo luogo, il rilievo che assumono i principi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatez-za di cui all’art. 118, primo comma, Cost. nell’allocazione (sia da parte della legge statale, che della legge regionale) delle funzioni amministrative, sicché, essendo «la ratio della attribuzione allo Stato di una competenza legislativa […] da rintracciare in una esigenza unitaria di livello nazionale, risulterebbe del tutto incomprensibile individuare una tale esigenza unitaria nell’ipotesi in cui tra le funzioni fondamentali menzionate alla lettera p) dell’art. 117, secon-do comma, Cost., fossero annoverabili anche funzioni amministrative consi-stenti nella concreta cura di interessi». Peraltro, ciò non pregiudicherebbe la necessità di garantire standard di uniformità di certe funzioni rilevanti per le collettività locali, che, in quanto tali, si volessero includere tra le funzioni fon-damentali, potendo lo Stato attivare la propria competenza in materia di «livelli essenziali delle prestazioni» o, comunque, lo strumento del potere sostitutivo straordinario di cui all’art. 120, secondo comma, Cost.

Diversamente, la qualificazione in termini di «fondamentali» delle funzioni am-ministrative rientranti in materie di potestà legislativa regionale equivarrebbe ad espropriare le Regioni «della possibilità di disciplinare e allocare importanti funzioni amministrative ricadenti negli ambiti materiali che la Costituzione assegna alla loro competenza legislativa». In tale lesiva direzione si sarebbe mossa la norma denunciata, comprendendo tra le funzioni fondamentali «set-tori di primissima importanza». Tra questi, la «organizzazione dei servizi pub-blici di interesse generale di ambito comunale, ivi compresi i servizi di traspor-to pubblico comunale», che inerisce alla materia dei «servizi pubblici locali», da collocarsi nell’ambito dell’art. 117, quarto comma, Cost. Ed ancora, la «piani-ficazione urbanistica ed edilizia di ambito comunale nonché la partecipazione alla pianificazione territoriale di livello sovracomunale», riferibile al «governo del territorio»; la «progettazione e gestione del sistema locale dei servizi sociali ed erogazione della relative prestazioni ai cittadini, secondo quanto previsto dall’articolo 118, quarto comma, della Costituzione», ascrivibile alla compe-tenza residuale regionale, in materia di «servizi sociali» (come si evincerebbe dalle sentenze n. 61 e n. 40 del 2011, n. 10 del 2010 e n. 50 del 2008, di que-sta Corte). Inoltre, le funzioni in tema di «edilizia scolastica per la parte non attribuita alla competenza delle province», nonché in tema di «organizzazione e gestione dei servizi scolastici», posto che lo Stato, in materia di istruzione, dispone unicamente della competenza sulle «norme generali sull’istruzione» di cui all’art. 117, secondo comma, Cost., ed i «principi fondamentali» in materia di «istruzione» di cui all’art. 117, terzo comma, Cost. Così come le «attività, in ambito comunale, di pianificazione di protezione civile e di coordinamento dei

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primi soccorsi», rientranti nella competenza regionale in materia di «protezio-ne civile», ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost.; e, infine, le funzioni in materia di «polizia municipale e polizia amministrativa locale», espressamente escluse, dall’art. 117, secondo comma, Cost., dalla competenza esclusiva sta-tale e da ricondursi, invece, alla potestà legislativa regionale residuale.

La difesa regionale sostiene, poi, che dalla stessa giurisprudenza costituziona-le si trarrebbe la convinzione che «importanti servizi pubblici locali non possa-no senz’altro essere “avocati” alla competenza legislativa dello Stato mediante la utilizzazione, da parte di quest’ultimo, della qualificazione dei medesimi come “funzioni fondamentali”». Ciò si evincerebbe, anzitutto, dalla sentenza n. 274 del 2004, che ha «escluso che le norme in tema di servizi pubblici locali possano rientrare» nella anzidetta competenza statale, in quanto la «gestione dei predetti servizi non può certo considerarsi esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell’ente locale». Inoltre, con la sentenza n. 325 del 2010 si è affermato chiaramente che il servizio idrico integrato «non costitui-sce funzione fondamentale dell’ente locale».

Donde, la considerazione che dette funzioni fondamentali non possano iden-tificarsi con quelle aventi la «cura concreta di interessi», la cui allocazione ad un livello di governo diverso da quello ritenuto inadeguato deve avvenire per legge in forza del principio di sussidiarietà e, posto che la legge potrebbe attri-buirle ad un livello «ultracomunale» (si veda, ad es., l’art. 3-bis del d.l. n. 138 del 2011), «appare chiaro che nessuna funzione di cura concreta di interessi è ontologicamente propria e indefettibile per i comuni», essendo quest’ultime solo quelle «ordinamentali».

In ogni caso, le sentenze sopra citate avrebbero escluso che lo Stato possa ascrivere ad libitum la qualifica di «fondamentale» a qualsiasi funzione delle Province, Comuni e Città metropolitane ed hanno ritenuto che detta qualifica-zione non possa riguardare i servizi pubblici locali e, segnatamente, il servizio pubblico integrato.

Né potrebbe valere a contrario – soggiunge la difesa regionale – quanto de-ciso dalla più recente sentenza n. 148 del 2012, che ha dichiarato non fon-data «analoga censura» mossa proprio dalla Regione Puglia avverso l’art. 14, comma 27, del d.l. n. 78 del 2010, posto che in quell’occasione la Corte ha ritenuto che la qualificazione di «funzioni fondamentali» fosse caratterizzata dalla «transitorietà» ed orientata a «limitati fini», mentre la norma attualmente denunciata detta una disciplina generale e «a regime».

6.1.– È censurata poi, dalla medesima ricorrente, la lettera d) del comma 1 dell’art. 19, che affida alla Regione l’individuazione della dimensione territo-riale ottimale e omogenea per area geografica per lo svolgimento, in forma ob-bligatoriamente associata da parte dei Comuni delle funzioni fondamentali; la norma impugnata contrasterebbe, anzitutto, con gli artt. 117, quarto comma, e 118, secondo comma, Cost., «nella parte in cui si rivolge anche a funzioni

amministrative ricadenti in ambiti materiali affidati, ex art. 117, quarto com-ma, Cost., alla potestà legislativa regionale residuale».

Sul presupposto che le funzioni fondamentali possano essere solo quelle «ordi-namentali» e, dunque, quelle essenziali attinenti «alla vita stessa e al governo degli enti locali», la Regione Puglia sostiene che l’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. non potrebbe legittimare lo Stato a dettare disposizioni che disciplinino l’allocazione e l’esercizio di funzioni amministrative soltanto in ra-gione del fatto che queste ultime siano qualificate «fondamentali» dalla stessa legge statale. Invero, lo Stato è legittimato a dettare principi di allocazione del-le funzioni amministrative, che dovranno, poi, essere svolti dalla legislazione regionale ed in tal senso si declina la disciplina oggetto di censura, la quale «pone alcuni principi fondamentali sulla allocazione di funzioni amministra-tive». Tuttavia, detta legittimazione dovrà essere circoscritta alle materie di competenza esclusiva ovvero a quelle di competenza concorrente ex art. 117, terzo comma. Cost., ma non già investire le materie di competenza residuale delle Regioni, di cui al quarto comma dell’art. 117 Cost.

L’art. 19, comma 1, lettera d), del d.l. n. 95 del 2012 si porrebbe, inoltre, in contrasto con l’art. 123, primo e ultimo comma, Cost., «nella parte in cui impone alla Regione di attivare una “concertazione con i comuni interessati nell’ambito del Consiglio delle autonomie locali”».

Siffatta previsione invaderebbe, infatti, la riserva di potestà statutaria regio-nale in materia di organizzazione e di funzionamento della Regione, stabilita dal primo comma dell’art. 123 Cost., nonché sulla disciplina del Consiglio delle autonomie locali e delle sue funzioni «quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti locali», riconosciuta dal quarto comma dello stesso art. 123. Né, peraltro, sussisterebbe qualche titolo di legittimazione statale ad in-tervenire sul Consiglio delle autonomie locali, «che la Costituzione espressa-mente qualifica quale organo regionale necessario e indefettibile». Del resto, la normativa statale con la quale si è individuato l’organo regionale titolare di determinate funzioni è stata già oggetto di pronunce di incostituzionalità, per lesione dell’autonomia regionale quanto alla sua organizzazione interna, con le sentenze n. 22 del 2012, n. 201 del 2008 e n. 387 del 2007.

6.2.– L’esaminata impugnativa coinvolge anche la disposizione di cui alla let-tera e) del comma 1 dello stesso art. 19, che individua il limite demografico minimo delle unioni di Comuni in 10.000 abitanti, salva diversa determina-zione da parte della Regione «entro i tre mesi antecedenti il primo termine di esercizio associato obbligatorio delle funzioni fondamentali, ai sensi del com-ma 31-ter».

Detta norma, secondo la ricorrente, violerebbe l’art. 117, secondo comma, let-tera p), e quarto comma, Cost., «in quanto il legislatore statale ordinario non dispone di un titolo di legittimazione a regolare l’istituzione e l’organizzazione delle unioni di comuni, poiché, in materia di ordinamento degli enti locali,

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come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza costituzionale, gode sol-tanto della competenza a stabilire norme in tema di legislazione elettorale, funzioni fondamentali e organi di governo di Province, Comuni e Città metro-politane».

Infatti dopo la riforma costituzionale del 2001, lo Stato non avrebbe più un titolo di legittimazione generale per disciplinare «l’ordinamento degli enti lo-cali», che ora spetta, in linea generale-residuale, alle Regioni, mentre lo Stato medesimo «può intervenire soltanto per disciplinare le funzioni fondamentali, la legislazione elettorale, e gli organi di governo dei soli enti locali costituzio-nalmente necessari, ovverosia Comuni, Province e Città metropolitane», man-tenendo, poi, per talune materie (ad es. il coordinamento della finanza pubbli-ca), una competenza trasversale.

Sarebbe questa, ad avviso della Regione Puglia, una impostazione seguita an-che dalla giurisprudenza costituzionale, come dimostrerebbe la ritenuta non pertinenza della lettera p) del secondo comma dell’art. 117 Cost. al caso delle «comunità montane», quali anch’esse «unione di Comuni» (sentenza n. 244 del 2005), al pari di quelle contemplate dalla norma denunciata. Sulla stessa scia si porrebbero le sentenze n. 173 del 2012, n. 327 del 2009, n. 326 del 2008, n. 397 del 2006 e n. 456 del 2005, concernente il «“sub settore” della “orga-nizzazione degli uffici regionali e degli enti locali” e, all’interno di quest’ultima, dell’“organizzazione delle società dipendenti, esercenti l’industria o i servizi”».

6.3.– Quanto al comma 3 dell’art. 19 – che pone una disciplina articolata delle unioni di Comuni con differenti profili – ed al connesso successivo comma 4, sostiene la ricorrente che anche tali disposizioni sarebbero in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera p), e quarto comma, Cost.

Lo Stato – come già evidenziato in precedenza – non potrebbe, infatti, esibire una competenza legislativa diversa da quella inerente alla legislazione eletto-rale, alle funzioni fondamentali e agli organi di governo di Province, Comuni e Città metropolitane, per cui non avrebbe titolo alcuno «per disciplinare l’i-stituzione e l’organizzazione di enti locali differenti da quelli appena menzio-nati, quali le unioni di comuni, tanto più e a maggior ragione se la suddetta disciplina pretende di assumere – come nel caso di specie – natura vincolante e conformativa delle potestà normative e amministrative della Regione e dei comuni interessati», così da incidere su un ambito affidato alla potestà regio-nale residuale di cui al quarto comma dell’art. 117 Cost.

6.3.1.– La Regione Puglia, come detto, censura infine il comma 7 dell’art. 32 del d.lgs. n. 267 del 2000, come sostituito dal comma 3, dello stesso art. 19, il quale stabilisce in via generale che «Alle unioni competono gli introiti derivanti dalle tasse, dalle tariffe e dai contributi sui servizi ad esse affidati».

La disposizione richiamata, a suo avviso, contrasterebbe, infatti, con i commi primo, secondo e sesto dell’art. 119 Cost., «i quali, nel riconoscere esclusiva-

mente agli enti autonomi costitutivi della Repubblica l’autonomia finanziaria di entrata e di spesa, il potere di stabilire ed applicare “tributi ed entrate pro-pri” (in armonia con la Costituzione e secondo “i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario”), nonché la disponibilità di un proprio patrimonio, impediscono che la legge statale possa sottrarre au-tonomia impositiva e di entrata nonché risorse patrimoniali ai suddetti enti, attribuendole in titolarità a nuovi e diversi enti territoriali» e cioè alle unioni di Comuni.

Peraltro, in tal modo la norma censurata violerebbe anche i limiti che l’art. 117, terzo comma, Cost. impone alla potestà legislativa dello Stato in materia di «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», «fuoriu-scendo dall’ambito dei “principi fondamentali” e invadendo perciò gli spazi costituzionalmente affidati alla potestà legislativa regionale sia dal terzo che dal quarto comma dell’art. 117 Cost.».

6.4.– In prossimità dell’udienza del 3 dicembre 2013 la Regione Puglia ha de-positato memoria, con la quale ulteriormente argomenta l’illegittimità costitu-zionale delle denunciate disposizioni, osservando quanto segue.

In relazione alla censura che investe la lettera a) del comma 1 dell’art. 19 (denunciato giacché «concerne funzioni amministrative diverse da quelle pro-priamente ordinamentali, comprendendo anche funzioni amministrativo-ge-stionali e, in ogni caso, perché qualifica come “fondamentali” funzioni che non possono in alcun caso essere ritenute tra quelle “indefettibili” dei Comuni»), la ricorrente esclude che lo Stato possa, esso stesso, «definire ed individuare il “carattere fondamentale” delle funzioni» di cui alla lettera p) del secondo comma dell’art. 117 Cost., essendo queste solo quelle «proprie e indefettibili degli enti locali» e cioè quelle che l’ente «deve svolgere necessariamente e im-mancabilmente, in modo tale che sarebbe impensabile l’esistenza di un ente locale che non le svolgesse». Tali sarebbero le funzioni «coessenziali alla vita dell’ente» e cioè le funzioni “ordinamentali” (tra cui, quella statutaria, regola-mentare, di autorganizzazione, di bilancio) e non già quelle di «gestione e cura di concreti interessi», le quali devono, invece, essere distribuite in base all’art. 118 Cost. dai legislatori di volta in volta competenti. In tal senso, del resto, parrebbe orientarsi anche la difesa erariale, allorché distingue tra funzioni attinenti alla vita dell’ente e quelle amministrative in senso stretto.

Quanto alla censura che investe la lettera d) del comma 1 dell’art. 19 (denun-ciato in quanto, «trattandosi di una disciplina di principio circa l’allocazione delle funzioni amministrative, il legislatore statale avrebbe potuto legittima-mente intervenire solo ed esclusivamente nell’ambito delle materie per le quali sia titolare della potestà esclusiva o – al più – concorrente»), la Regione esclu-de che possa valere, a sostegno dell’infondatezza della questione, l’argomento della ascrivibilità della disciplina impugnata alla materia del «coordinamento della finanza pubblica», posto che il suo oggetto principale è «il riordino delle funzioni e la loro redistribuzione alla luce della individuazione degli ambiti

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ottimali», mentre il fine della riduzione della spesa non sarebbe neppure “ac-cessorio”.

Né, secondo la ricorrente, potrebbe al riguardo invocarsi il titolo legittimante della competenza esclusiva statale di cui alla lettera p) del secondo comma dell’art. 117 Cost., che, in ogni caso, seppure autorizzasse lo Stato stesso alla “individuazione delle funzioni fondamentali”, non potrebbe comunque con-sentirgli di dettare una disciplina «di dettaglio del contenuto di quelle stesse funzioni», ove pertinenti a materie di competenza regionale.

7.– In tutti i riferiti giudizi si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, formulando – e ri-badendo in successive memorie – conclusioni di inammissibilità o comunque di non fondatezza delle questioni sollevate dalle Regioni.

La difesa erariale osserva che la definizione delle funzioni fondamentali rientra nella competenza esclusiva statale e l’elenco dettato dalla norma denunciata non esorbita da siffatta competenza, ma vi include «funzioni di organizzazione generale dell’amministrazione, gestione finanziaria, contabile e di controllo, che attengono alla vita ed al governo dell’ente» e che vanno distinte dalle fun-zioni amministrative in senso stretto. Sostiene, infatti, che le funzioni fonda-mentali dei Comuni di cui alla lettera p) del secondo comma dell’art. 117 Cost. «coincidono con le funzioni proprie di cui all’art. 118, secondo comma, Cost., sì che l’unica distinzione munita di un significato è quella tra funzioni proprie e funzioni conferite», ed il citato art. 117, secondo comma, lettera p), «integra, dunque, una competenza trasversale, in grado di consentire allo Stato l’indi-viduazione delle funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropo-litane anche nelle materie riconducibili alla competenza legislativa regionale, residuale e concorrente».

Tale impostazione sarebbe confermata dall’art. 2, comma 4, lettera b), della legge n. 131 del 2003, il quale fa coincidere la nozione di funzioni fondamen-tali con quella di funzioni proprie, che spetta allo Stato individuare ed allo-care ad un livello di governo piuttosto che ad un altro, nel rispetto del primo comma dell’art. 118 Cost., senza però incontrare il limite del riparto delle competenze legislative, «cosicché tale operazione ben può essere svolta su ogni sorta di funzione amministrativa, quale che sia l’ente cui spetta la competenza legislativa sulla materia». Il limite dell’art. 117 Cost. opererebbe, invece, per la disciplina delle funzioni fondamentali, posto che l’art. 117, sesto comma, Cost., «attribuisce a comuni, province e città metropolitane la potestà regola-mentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite». Peraltro, ove le funzioni fondamentali siano ricon-ducibili a materie di competenza regionale (concorrente o residuale), «spetta allo Stato individuare esclusivamente il livello di governo al quale imputare la funzione fondamentale, residuando in capo alla Regione il compito di dettare la disciplina della relativa funzione»; e tale principio risulta rispettato dalla norma denunciata.

Sarebbe altresì destituita di fondamento la censura della lettera d) del com-ma 1 dell’art. 19 per asserito contrasto con l’art. 123 Cost., giacché la norma denunciata non detta la disciplina sul funzionamento del Consiglio delle au-tonomie locali, ma prevede soltanto che la Regione individui la dimensione ter-ritoriale ottimale, previa concertazione con i Comuni interessati, da svolgersi nell’ambito di detto Consiglio.

La difesa erariale sostiene altresì l’infondatezza delle ulteriori doglianze riguar-danti l’art. 19, e qui scrutinate, giacché le disposizioni denunciate perseguono l’obiettivo di contenimento della spesa corrente per il funzionamento degli enti locali tramite un disciplina uniforme, che viene a coordinare la disciplina di settore; si tratterebbe, dunque, di normativa di principio riconducibile alla materia del coordinamento della finanza pubblica.

Considerato in diritto

1.– Sono state proposte dalle Regioni Lazio, Veneto, Campania e Puglia, e dalla Regione autonoma Sardegna varie questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), con-vertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135.

Segnatamente, le disposizioni denunciate – seppure in misura diversa da par-te di ciascuna Regione – sono quelle di cui al comma 1, lettere a), b), c), d), e), ed ai commi da 2 a 6.

2.– In questa sede si avrà riguardo alle questioni che attengono ai commi 1, 3 e 4, essendo state riservate a separata trattazione, nella stessa udienza del 3 dicembre 2013, quelle relative ai commi 2, 5 e 6.

2.1.– L’art. 19, comma 1, lettera a), è specificamente censurato dalla Regione Campania «nella parte in cui, nel modificare la disciplina delle funzioni fon-damentali dei comuni precedentemente recata» dall’art. 14, comma 27, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizza-zione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 30 luglio 2010, n. 122, «riconosce in materia alle Regioni le sole funzioni di programmazione e di coordinamento, spettanti nelle materie di cui all’art. 117, commi terzo e quarto, Cost., nonché quelle esercitate ai sensi dell’art. 118 Cost.».

Detta norma, ad avviso della ricorrente, violerebbe gli artt. 117, commi terzo e quarto, e 118 Cost., giacché, nel circoscrivere il ruolo delle Regioni a quello dell’esclusivo svolgimento dei compiti di programmazione e coordinamento, di fatto sottrarrebbe agli stessi enti «tutte le funzioni non espressamente ri-

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chiamate, malgrado le stesse siano pacificamente [loro] spettanti ai sensi del chiaro disposto degli artt. 117 e 118 Cost.», così da ridimensionare in modo illegittimo il potere della Regione «di optare per un diverso sistema di riparto delle funzioni amministrative».

La stessa disposizione è denunciata dalla Regione Puglia nella parte in cui include tra le «funzioni fondamentali» dei Comuni anche funzioni ammini-strative ricadenti in materie di competenza legislativa concorrente o residuale regionale. Donde, la prospettata lesione degli art. 117, secondo comma, lettera p), terzo e quarto comma, e 118, secondo comma, Cost., essendo la potestà legislativa statale di cui alla citata lettera p) «per sua natura, limitata», non potendo lo Stato giungere a «qualificare liberamente» qualsiasi funzione ammi-nistrativa come «funzione fondamentale» dei Comuni o delle Province, così da poterne disporre l’integrale disciplina, tanto da privare di «contenuto precet-tivo gli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118, secondo comma, Cost., i quali prescrivono che sia la legge regionale ad allocare e disciplinare le funzioni amministrative nelle materie diverse da quelle di competenza legislativa stata-le»; con l’ulteriore conseguenza che dette funzioni fondamentali non possano identificarsi con quelle aventi la «cura concreta di interessi».

2.2.– Le disposizioni di cui alle lettere da b) a d) del comma 1 dell’art. 19, là dove stabiliscono l’esercizio obbligatorio delle funzioni fondamentali, mediante unione o convenzione, da parte dei Comuni con popolazione fino a 5.000 abi-tanti (3.000 se in comunità montane), sono accomunate in un’unica censura dalla Regione Campania, la quale si duole di un vulnus agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., giacché il ruolo della Regione verrebbe limitato «alla mera individuazione, previa concertazione con gli enti locali interessati nell’ambito del C.A.L. [Consiglio delle autonomie locali], della dimensione ter-ritoriale ottimale e omogenea per area geografica per lo svolgimento associato delle funzioni suddette».

2.3.– La disposizione di cui alla lettera d) del citato comma 1 dell’art. 19 è impugnata anche dalla Regione Puglia, sia nella parte in cui si rivolge a fun-zioni amministrative ricadenti in ambiti materiali affidati, ex art. 117, quarto comma, Cost., alla potestà legislativa regionale residuale, sia nella parte in cui impone alla Regione di attivare una «concertazione con i comuni interessati nell’ambito del Consiglio delle autonomie locali».

Ad avviso della ricorrente sussisterebbe, quanto al primo profilo di censura, una lesione degli artt. 117, quarto comma, e 118, secondo comma, Cost., giacché, potendo le funzioni fondamentali essere solo quelle «ordinamentali» e, dunque, quelle essenziali attinenti «alla vita stessa e al governo degli enti locali», lo Stato non potrebbe che disciplinare funzioni amministrative «fonda-mentali» in materie di competenza esclusiva ovvero di competenza concorrente ex art. 117, terzo comma. Cost., ma non già investire le materie di competenza residuale delle Regioni.

In riferimento al secondo aspetto della doglianza, verrebbe poi in rilievo il con-trasto con l’art. 123, primo e ultimo comma, Cost., che pone una riserva di potestà statutaria regionale in materia di organizzazione e di funzionamento della Regione, nonché sulla disciplina del Consiglio delle autonomie locali e delle sue funzioni «quale organo di consultazione fra la Regione e gli enti loca-li».

La Regione Puglia denuncia, altresì, la lettera e) dello stesso comma 1 dell’art. 19, asserendo che violerebbe l’art. 117, secondo comma, lettera p), e quarto comma, Cost., «in quanto il legislatore statale ordinario non dispone di un tito-lo di legittimazione a regolare l’istituzione e l’organizzazione delle unioni di co-muni, poiché, in materia di ordinamento degli enti locali, come ripetutamente affermato dalla giurisprudenza costituzionale, gode soltanto della competenza a stabilire norme in tema di legislazione elettorale, funzioni fondamentali e organi di governo di Province, Comuni e Città metropolitane».

2.4.– Le disposizioni di cui alle lettere da a) a d) del comma 1 dell’art. 19 sono unitariamente censurate dalla Regione Lazio, che adduce, a sua volta, un vulnus all’art. 117, secondo comma, lettera p), terzo e quarto comma, Cost., in combinato disposto tra loro, per lesione delle attribuzioni costituzionali re-gionali, nell’ambito delle quali andrebbe ricondotta «la regolazione delle asso-ciazioni degli enti locali», dovendo lo Stato «limitarsi a stabilire la disciplina in tema di “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane”, restando evidentemente esclusi da tale “voce” tutti gli aspetti riguardanti l’associazionismo di tali enti».

2.5.– Le disposizioni di cui alle lettere da b) ad e) dello stesso comma 1 dell’art. 19 sono denunciate anche dalla Regione Veneto

Pure ad avviso di detta ricorrente, il citato art. 19 violerebbe, in parte qua, l’art. 117, quarto comma, Cost., essendo riservata alla potestà legislativa re-gionale la materia «forme associative tra gli enti locali»; nonché l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto le censurate disposizioni, ancorché qualificate come norme di «coordinamento della finanza pubblica», sarebbero ben lungi dal co-stituire principi fondamentali di siffatta materia, posto che, per un verso, non si limitano a porre obiettivi di riequilibrio della finanza pubblica, «intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, del-la spesa corrente», e, per altro verso, prevedono «in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi».

Sussisterebbe, altresì, una lesione dell’art. 118, primo comma, Cost., il quale non fa riferimento alle unioni di Comuni o alle convenzioni tra Comuni, che, pertanto, «dovrebbero essere, soprattutto nel rispetto del fondamentale art. 114 Cost., libere forme associative cui il Comune può (non deve) ricorrere»; così come sarebbero vulnerati gli artt. 3 e 97 Cost., essendo i Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti «obbligati tout court (e quindi in violazione del principio costituzionale di differenziazione) all’esercizio mediante unione di Comuni o convenzione delle loro funzioni fondamentali».

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2.6.– Il comma 3, ed il connesso comma 4, dell’art. 19 sono impugnati da tutte le ricorrenti Regioni a statuto ordinario, che convergono nel prospettare la vio-lazione degli artt. 117 e 118 Cost., posto che dette censurate disposizioni in-ciderebbero sulla competenza regionale riferita alla disciplina degli strumenti e delle modalità a disposizione dei Comuni per l’esercizio congiunto delle fun-zioni loro spettanti.

In particolare la Regione Puglia argomenta la dedotta illegittimità del comma 3 dell’art. 19 con distinto riferimento alle parti in cui esso sostituisce sia i commi 1, 2, 3 e 4, sia per altro verso il comma 7 dell’art. 32 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 (Testo unico delle leggi sull’ordinamento degli enti locali).

Sotto il primo profilo di censura, la norma violerebbe l’art. 117, secondo com-ma, lettera p), e quarto comma, Cost., giacché lo Stato non potrebbe far valere una competenza legislativa diversa da quella inerente alla legislazione eletto-rale, alle funzioni fondamentali e agli organi di governo di Province, Comuni e Città metropolitane, per cui non avrebbe titolo alcuno «per disciplinare l’i-stituzione e l’organizzazione di enti locali differenti da quelli appena menzio-nati, quali le unioni di comuni, tanto più e a maggior ragione se la suddetta disciplina pretende di assumere – come nel caso di specie – natura vincolante e conformativa delle potestà normative e amministrative della Regione e dei comuni interessati», così da incidere su un ambito affidato alla potestà regio-nale residuale.

In relazione all’altro profilo della doglianza, sussisterebbe un contrasto sia con l’art. 119, primo, secondo e sesto comma, Cost., che impedisce che la legge statale possa sottrarre autonomia impositiva e di entrata, nonché risorse pa-trimoniali ai suddetti enti autonomi costitutivi della Repubblica, attribuendole in titolarità a nuovi e diversi enti territoriali e cioè alle unioni di Comuni; sia con l’art. 117, terzo e quarto comma, Cost., esorbitando dai principi fonda-mentali in materia di «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario» e invadendo perciò gli spazi costituzionalmente affidati alla potestà legislativa regionale concorrente e residuale.

2.7.– La Regione autonoma Sardegna – nell’impugnare, in forza di censure sostanzialmente indistinte, l’intero art. 19 – ha, con più specifica attinenza al suo comma 3, prospettato, anzitutto, la violazione dell’art. 3, primo comma, lettera b), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), sul rilievo che la normativa denunciata, nell’istituire obbliga-toriamente unioni di Comuni, e nel ridurre contestualmente i consigli comu-nali a puri organi di partecipazione e il sindaco a semplice ufficiale di Governo, provocherebbe, di fatto, «la soppressione dei comuni che partecipano a questa forma associativa e la loro sostituzione con un nuovo tipo di ente territoriale», con conseguente contrasto con le norme che garantiscono alla Regione Sar-degna una sfera di autonomia legislativa esclusiva in materia di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni».

Sarebbe leso, altresì, secondo la ricorrente, anche l’art. 117, quarto com-ma, Cost., posto che la competenza esclusiva dello Stato di cui alla lettera p) dell’art. 117, secondo comma, Cost., così come non può riguardare le comu-nità montane (la cui disciplina rientra in quella residuale regionale, siccome garantita, per il tramite dell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 «Modifiche al titolo V della parte seconda della Costituzione», anche alla Regione autonoma Sardegna), così del pari non potrebbe attenere alle unioni di Comuni.

3.– Possono essere scrutinate preliminarmente le questioni proposte dalla Re-gione autonoma Sardegna, giacché queste, rispetto alle altre impugnazioni, presentano un profilo peculiare, derivante dalla connotazione di ente ad auto-nomia speciale della ricorrente.

Va, infatti, evidenziato che il d.l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, ha previsto all’art. 24-bis, la seguente “Clausola di salvaguardia”: «Fermo restando il contributo delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano all’azione di risanamento così come determinata dagli articoli 15 e 16, comma 3, le disposizioni del pre-sente decreto si applicano alle predette regioni e province autonome secondo le procedure previste dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, anche con riferimento agli enti locali delle autonomie speciali che esercitano le funzioni in materia di finanza locale, agli enti ed organismi stru-mentali dei predetti enti territoriali e agli altri enti o organismi ad ordinamento regionale o provinciale».

Su tale clausola di salvaguardia questa Corte si è già pronunciata (sentenze n. 236, n. 225 e n. 215 del 2013), ponendo in rilievo che essa «ha la precisa fun-zione di rendere applicabili le disposizioni del decreto agli enti ad autonomia differenziata solo a condizione che, in ultima analisi, ciò avvenga nel “rispetto” degli statuti speciali» (segnatamente, sent. n. 236 del 2013), derivandone la non fondatezza della questione sollevata sulla norma del d.l. n. 95 del 2012 anche là dove questa sia in contrasto con la normativa statutaria.

Sicché, interferendo le disposizioni censurate con la potestà esclusiva in ma-teria di «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni», di cui all’art. 3 dello statuto per la Sardegna, viene, nella specie, appunto, ad ope-rare la clausola di salvaguardia di cui all’art. 24-bis del d.l. n. 95 del 2012, con conseguente declaratoria di non fondatezza della questione sollevata dalla Regione Sardegna.

4.– Vengono ora in esame le impugnative delle altre Regioni ricorrenti, con distinto riferimento alle varie disposizioni oggetto di censura.

4.1.– Le questioni che investono la lettera a) del comma 1 dell’art. 19 non sono fondate.

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4.1.1.– Per meglio cogliere la portata delle censure, giova premettere una sin-tetica ricognizione del quadro normativo entro il quale si colloca il thema de-cidendum, rammentando anzitutto che l’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. riserva allo Stato la potestà legislativa in materia di «legislazione elet-torale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane».

Quanto alle «funzioni fondamentali di Comuni» – che interessano in questa sede – l’art. 2 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamen-to dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), modificato dall’art. 1 della legge 28 maggio 2004, n. 140 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 29 marzo 2004, n. 80, recante disposizioni urgenti in materia di enti locali. Proroga di termini di deleghe le-gislative) e, successivamente, dall’art. 5 della legge 27 dicembre 2004, n. 306 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 9 novembre 2004, n. 266, recante proroga o differimento di termini previsti da disposizioni legi-slative. Disposizioni di proroga di termini per l’esercizio di deleghe legislative), assegnava al Governo la delega, da esercitare entro il 31 dicembre 2005, per la «individuazione delle funzioni fondamentali, ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione, essenziali per il funzionamento di Co-muni, Province e Città metropolitane nonché per il soddisfacimento di bisogni primari delle comunità di riferimento».

Tra i principi e criteri direttivi della delega, oltre al rispetto delle competenze legislative e costituzionali ai sensi degli artt. 114, 117 e 118 Cost., era anno-verata (comma 4, lettera b) l’individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e delle Città metropolitane «in modo da prevedere, anche al fine della tenuta e della coesione dell’ordinamento della Repubblica, per ciascun livello di governo locale, la titolarità di funzioni connaturate alle caratteristiche proprie di ciascun tipo di ente, essenziali e imprescindibili per il funzionamento dell’ente e per il soddisfacimento di bisogni primari delle co-munità di riferimento, tenuto conto, in via prioritaria, per Comuni e Province, delle funzioni storicamente svolte».

Peraltro, si prevedeva, anche una valorizzazione dei «principi di sussidiarietà, di adeguatezza e di differenziazione nella allocazione delle funzioni fondamen-tali in modo da assicurarne l’esercizio da parte del livello di ente locale che, per le caratteristiche dimensionali e strutturali, ne garantisca l’ottimale gestione anche mediante l’indicazione dei criteri per la gestione associata tra i Comuni» (comma 4, lettera c); la previsione di «strumenti che garantiscano il rispetto del principio di leale collaborazione tra i diversi livelli di governo locale nello svolgimento delle funzioni fondamentali che richiedono per il loro esercizio la partecipazione di più enti, allo scopo individuando specifiche forme di consul-tazione e di raccordo tra enti locali, Regioni e Stato» (comma 4, lettera d); non-ché la valorizzazione delle «forme associative anche per la gestione dei servizi di competenza statale affidati ai comuni» (comma 4, lettera n).

La delega anzidetta non è stata esercitata, sicché la prima, provvisoria, indivi-duazione delle funzioni fondamentali si è avuta, nell’ambito del processo di at-tuazione del cosiddetto “federalismo fiscale”, con l’art. 21 della legge 5 maggio 2009, n. 42 (Delega al Governo in materia di federalismo fiscale, in attuazione dell’articolo 119 della Costituzione), orientata, in particolare, secondo il com-ma 2, alla «determinazione dell’entità e del riparto dei fondi perequativi degli enti locali in base al fabbisogno standard o alla capacità fiscale» di Comuni e Province.

In attesa dell’emanazione della legislazione delegata, il comma 3 dello stesso art. 21 ha «provvisoriamente» individuato per i Comuni le seguenti funzio-ni: «a) funzioni generali di amministrazione, di gestione e di controllo, nella misura complessiva del 70 per cento delle spese come certificate dall’ultimo conto del bilancio disponibile alla data di entrata in vigore della presente leg-ge; b) funzioni di polizia locale; c) funzioni di istruzione pubblica, ivi compresi i servizi per gli asili nido e quelli di assistenza scolastica e refezione, nonché l’edilizia scolastica; d) funzioni nel campo della viabilità e dei trasporti; e) fun-zioni riguardanti la gestione del territorio e dell’ambiente, fatta eccezione per il servizio di edilizia residenziale pubblica e locale e piani di edilizia nonché per il servizio idrico integrato; f) funzioni del settore sociale».

Nell’esercizio della anzidetta delega è poi intervenuto l’art. 3 del decreto legi-slativo 26 novembre 2010, n. 216 (Disposizioni in materia di determinazione dei costi e dei fabbisogni standard di Comuni, Città metropolitane e Province), che, per i fini specifici dello stesso decreto legislativo, ha ribadito l’individua-zione «in via provvisoria» delle funzioni fondamentali di cui all’art. 21 delle legge n. 42 del 2009, precisando anch’esso che ciò avveniva «fino alla data di entrata in vigore della legge statale di individuazione delle funzioni fondamen-tali di Comuni, Città metropolitane e Province».

Un richiamo espresso all’art. 21 della legge n. 42 del 2009 si rinveniva nell’art. 14, comma 27 del d.l. n. 78 del 2010; disposizione che è stata poi sostituita da quella denunciata e sottoposta all’attuale esame. Anche in questo caso, il rinvio era per i fini «dei commi da 25 a 31» (cioè per l’esercizio associato delle funzioni fondamentali tramite convenzioni o unioni di Comuni) e, segnata-mente, «fino alla data di entrata in vigore della legge con cui sono individuate le funzioni fondamentali di cui all’articolo 117, secondo comma, lettera p), della Costituzione».

È, dunque, con la censurata disposizione della lettera a) del comma 1 dell’art. 19 del d.l. n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, che, nel riscrivere il comma 27 dell’art. 14 citato, vengono individuate, non più in via dichiaratamente provvisoria, né con espressa limitazione od orientamento verso specifici fini, le funzioni fondamentali dei Comuni, tramite una elencazione più ampia di quella che recavano i citati artt. 21 della legge n. 42 del 2009 e 3 del d.lgs. n. 216 del 2010.

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La nuova disposizione appare ispirata da quanto previsto dall’art. 2 del d.d.l. n. 2259 (attualmente all’esame del Senato), noto come “Carta delle autono-mie”, sebbene quest’ultimo rechi un numero ancor più ampio di funzioni fon-damentali dei Comuni.

4.1.2.– Questa Corte ha ritenuto, in linea più generale, che l’art. 117, secon-do comma, lettera p), Cost. «indica le componenti essenziali dell’intelaiatura dell’ordinamento degli enti locali, per loro natura disciplinate da leggi destina-te a durare nel tempo e rispondenti ad esigenze sociali ed istituzionali di lungo periodo, secondo le linee di svolgimento dei princìpi costituzionali nel processo attuativo delineato dal legislatore statale ed integrato da quelli regionali» (sen-tenza n. 220 del 2013).

Peraltro, al di là di quale possa essere la configurazione del rapporto tra le «funzioni fondamentali» degli enti locali di cui all’articolo 117, secondo com-ma, lettera p), e le «funzioni proprie» di cui all’art. 118, secondo comma, Cost., in ogni caso «sarà sempre la legge, statale o regionale, in relazione al riparto delle competenze legislative, a operare la concreta collocazione delle funzioni, in conformità alla generale attribuzione costituzionale ai Comuni o in dero-ga ad essa per esigenze di “esercizio unitario”, a livello sovracomunale, delle funzioni medesime» (sentenza n. 43 del 2004). Sicché, in tale prospettiva, si è escluso (sentenze n. 325 del 2010 e n. 272 del 2004) che la disciplina concer-nente le modalità dell’affidamento della gestione dei servizi pubblici locali di rilevanza economica possa ascriversi all’àmbito delle «funzioni fondamentali dei Comuni, delle Province e Città metropolitane», perché «la gestione dei pre-detti servizi non può certo considerarsi esplicazione di una funzione propria ed indefettibile dell’ente locale».

Tale assunto è stato fatto proprio anche dalla sentenza n. 307 del 2009, la quale però ha ritenuto, con specifico riferimento al servizio idrico integrato, che la non separabilità tra la gestione della rete e la gestione di detto servi-zio costituisca principio riconducibile alla competenza esclusiva dello Stato in materia di funzioni fondamentali dei Comuni, posto che «le competenze comunali in ordine al servizio idrico sia per ragioni storico-normative sia per l’evidente essenzialità di questo alla vita associata delle comunità stabilite nei territori comunali devono essere considerate quali funzioni fondamentali degli enti locali», restando la competenza regionale nella materia di servizi pubblici locali «in un certo senso limitata dalla competenza statale suddetta», potendo «continuare ad essere esercitata negli altri settori, nonché in quello dei servizi fondamentali, purché non sia in contrasto con quanto stabilito dalle leggi sta-tali». Diversamente si è invece opinato quanto, per l’appunto, alle modalità di affidamento dei servizi pubblici locali a rilevanza economica, per cui non può essere evocata la lettera p) del secondo comma dell’art. 117 Cost., giacché «la regolamentazione di tali modalità non riguarda un dato strutturale del servizio né profili funzionali degli enti locali ad esso interessati (come, invece, la prece-dente questione relativa alla separabilità tra gestione della rete ed erogazione del servizio idrico), bensì concerne l’assetto competitivo da dare al mercato di riferimento».

Sin d’ora giova inoltre rammentare che la competenza legislativa esclusiva statale di cui alla citata lettera p) non è invocabile in riferimento alle “comuni-tà montane”, atteso che il richiamo limitato a Comuni, Province e Città metro-politane, ivi presente, «deve ritenersi tassativo» (sentenze n. 237 del 2009, n. 397 del 2006, n. 456 del 2005 e n. 244 del 2005).

Specifico e peculiare rilievo assume, inoltre, la sentenza n. 148 del 2012 di questa Corte, che ha dichiarato non fondate le questioni di legittimità costitu-zionale dell’art. 14, comma 27, del d.l. n. 78 del 2010, su cui è intervenuta la norma denunciata.

Si trattava, invero, di censure mosse dalla Regione Puglia in forza di argo-mentazioni che, in parte, sono riproposte in questa sede. La Regione allora sosteneva, infatti, che il richiamo all’art. 21, comma 3, della legge n. 42 del 2009 avrebbe consentito di estendere la qualifica di “funzioni fondamentali dei Comuni” – con conseguente attribuzione allo Stato della relativa competenza legislativa esclusiva – «anche a funzioni “amministrativo-gestionali”, o comun-que, più in generale, a funzioni volte alla cura concreta di interessi». Sicché, la norma impugnata sarebbe stata in contrasto con «i limiti che caratterizzano la potestà legislativa attribuita allo Stato dall’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost., ledendo gravemente l’autonomia legislativa della Regione, ricono-sciuta dai commi terzo e quarto dell’art. 117 Cost. e richiamata dal comma secondo dell’art. 118 Cost., in riferimento alla disciplina ed alla allocazione delle funzioni amministrative dei Comuni».

La Corte ha ritenuto, invece, che le questioni muovessero «da un erroneo pre-supposto interpretativo, in quanto il richiamo operato dalla norma impugnata alla generica elencazione di cui all’art. 21, comma 3, della legge n. 42 del 2009 non è, di per sé, lesivo di competenze legislative e amministrative delle Regio-ni», rispondendo esso «all’esigenza di sopperire, sia pure transitoriamente ed ai limitati fini indicati nella stessa norma impugnata, alla mancata attuazione della delega contenuta nell’art. 2 della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposi-zioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costitu-zionale 18 ottobre 2001, n. 3)».

4.1.3.– Superata, con la norma denunciata, la provvisorietà e la settorialità degli interventi normativi precedenti in materia, ne deve, quindi, conseguire che allo Stato spetta l’individuazione delle funzioni fondamentali dei Comuni tra quelle che vengono a comporre l’intelaiatura essenziale dell’ente locale, cui, però, anche storicamente, non sono estranee le funzioni che attengono ai servizi pubblici locali; sicché l’elencazione di cui alla norma denunciata non si discosta da siffatto criterio elettivo.

La disciplina di dette funzioni è, invece, nella potestà di chi – Stato o Regione – è intestatario della materia cui la funzione stessa si riferisce.

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In definitiva, la legge statale è soltanto attributiva di funzioni fondamentali, dalla stessa individuate, mentre l’organizzazione della funzione rimane attrat-ta alla rispettiva competenza materiale dell’ente che ne può disporre in via regolativa.

La competenza regionale, nelle materie – di carattere concorrente o residuale – ad essa riservate, non viene, dunque, incisa dalla disposizione in esame, per cui perdono di consistenza tutte le censure proposte.

4.2.– Le questioni relative all’art. 19, comma 1, lettere b), c), d) ed e), non sono fondate.

4.2.1.– Le doglianze attengono, in via generale, alla disciplina sulla gestione associata delle funzioni fondamentali.

Il comma 1, lettera b), dell’art. 19, sostituendo il previgente comma 28 dell’art. 14 del d.l. n. 78 del 2010, ha previsto che tutti i Comuni con popolazione fino a 5.000 abitanti, ovvero fino a 3.000 abitanti se appartengono o sono appar-tenuti a comunità montane, esercitino obbligatoriamente in forma associata, mediante unioni di Comuni (art. 32 del d.lgs. n. 267 del 2000) o convenzione (art. 30 dello stesso d.lgs. n. 267 del 2000), la quasi totalità delle funzioni fondamentali, con esclusione della tenuta dei registri di stato civile e di popo-lazione e compiti in materia di servizi anagrafici nonché in materia di servizi elettorali e statistici, nell’esercizio delle funzioni di competenza statale.

Rispetto alle previgente disciplina, non sussiste più la divisione tra Comuni sopra e sotto i 1000 abitanti.

La disposizione in esame ricomprende, infatti, anche i Comuni sotto i 1.000 abitanti, ai quali, tuttavia, il comma 2 dello stesso art. 19 riserva la facoltà di accedere ad un modello di unione derogatorio, regolato dall’art. 16 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, come sostituito dal citato comma 2 dell’art. 19, e non già quella dell’art. 32 del d.lgs n. 267 del 2000, inciso dal comma 3 del medesimo art. 19, che invece, a mente della denunciata lettera c) del comma 1, si applica alle unioni di cui al comma 28 dell’art. 14 del d.l. n. 78 del 2010, come modificato dalla lettera b) citata.

Le lettere d) ed e) del comma 1 introducono modifiche ai commi 30 e 31 dell’art. 14 del d.l. n. 78 del 2010, concernenti sia il termine entro il quale la Regione può determinare un limite demografico minimo dell’unione dei Comuni di-verso da quello pari a 10.000, sia i termini (già prorogati dal decreto-legge 29 dicembre 2011, n. 216 «Proroga di termini previsti da disposizioni legislative», convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 24 febbraio 2012, n. 14) entro i quali i Comuni attuano le novellate disposizioni in tema di obbligo di esercizio associato di funzioni.

In particolare:

– il limite demografico minimo delle unioni è confermato in 10.000 abitanti, salvo diverso limite determinato dalla Regione entro il 1° ottobre 2012 con ri-guardo ad almeno tre delle funzioni fondamentali ed entro il 1° ottobre 2013 per le altre. Le Regioni, infatti, nelle materie di competenza concorrente e re-siduale, potranno individuare, previa concertazione con i Comuni da svolgersi nell’ambito del Consiglio delle autonomie locali (CAL), limiti diversi;

– la durata minima delle convenzioni per l’esercizio obbligatorio delle funzioni in forma associata è fissata in tre anni. Al termine di tale periodo, qualora non si dimostri l’efficacia e l’efficienza nella gestione, i Comuni sono obbligati ad esercitare le funzioni mediante unione;

– sono stati ridefiniti i termini per dare attuazione alla gestione associata tra piccoli Comuni secondo un procedimento articolato in due fasi:

a) entro il 1° gennaio 2013 i Comuni interessati devono svolgere in forma as-sociata almeno tre delle funzioni fondamentali;

b) entro il 1° gennaio 2014 l’obbligo di esercizio associato coinvolge anche le altre sette funzioni.

Rispetto ai termini di attuazione stabiliti, la nuova disciplina prevede che, qualora i Comuni non ottemperino, il prefetto assegna loro un termine peren-torio, decorso il quale si attiva il potere sostitutivo del Governo ai sensi dell’art. 8 della legge n. 131 del 2003.

4.2.2.– La giurisprudenza di questa Corte in tema di forme associative di enti locali ha riguardato, segnatamente, le comunità montane, che rappresenta-no «un caso speciale di unioni di Comuni, create in vista della valorizzazione delle zone montane, allo scopo di esercitare, in modo più adeguato di quanto non consentirebbe la frammentazione dei comuni montani, “funzioni proprie”, “funzioni conferite” e funzioni comunali» (così la citata sentenza n. 244 del 2005).

Si è già detto, peraltro, come la competenza statale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera p), Cost. sia, in tale ambito, inconferente, giacché l’ordinamen-to delle comunità montane è riservato alla competenza legislativa residuale delle Regioni, di cui al quarto comma dell’art. 117 Cost., pur in presenza della qualificazione di dette comunità come enti locali contenuta nel d.lgs. n. 267 del 2000, in quanto le stesse non sono contemplate dall’art. 114 Cost. (oltre che, come detto, dalla citata lettera p).

La Corte, ha, quindi, ritenuto (sentenze n. 237 del 2009 e n. 456 del 2005) che non possono venire in rilievo neppure i principi fondamentali desumibili dal Testo unico sugli enti locali (d.lgs. n. 267 del 2000) e, dunque, non può trova-

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re applicazione la disposizione di cui all’art. 117, terzo comma, ultima parte, Cost., «la quale presuppone, invece, che si verta nelle materie di legislazione concorrente».

Tuttavia, si è pure affermato (sentenze n. 151 del 2012, n. 91 del 2011, n. 326 del 2010, n. 27 del 2010 e n. 237 del 2009) che un titolo di legittimazione statale per intervenire nell’ambito anzidetto comunque si rinviene nei principi fondamentali di «coordinamento della finanza pubblica», ai sensi dell’art. 117, terzo comma, Cost., ove la disciplina dettata, nell’esercizio di siffatta potestà legislativa concorrente, sia indirizzata ad obiettivi di contenimento della spesa pubblica.

A questi fini, come messo in rilievo in molteplici occasioni da questa Corte (tra le tante, sentenze n. 236 del 2013, n. 193 del 2012, n. 151 del 2012, n. 182 del 2011, n. 207 del 2010, n. 297 del 2009), il legislatore statale può, con una disciplina di principio, legittimamente imporre alle Regioni e agli enti locali, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazio-nali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bi-lancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti territoriali. Vincoli che possono considerarsi rispettosi dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali quando stabiliscano un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa»; e siano rispettosi del ca-none generale della ragionevolezza e proporzionalità dell’intervento normativo rispetto all’obiettivo prefissato.

4.2.3.– Nel caso in esame, le norme denunciate risultano, appunto, decisa-mente orientate ad un contenimento della spesa pubblica, creando un siste-ma tendenzialmente virtuoso di gestione associata di funzioni (e, soprattutto, quelle fondamentali) tra Comuni, che mira ad un risparmio di spesa sia sul piano dell’organizzazione “amministrativa”, sia su quello dell’organizzazione “politica”, lasciando comunque alle Regioni l’esercizio contiguo della compe-tenza materiale ad esse costituzionalmente garantita, senza, peraltro, incidere in alcun modo sulla riserva del comma quarto dell’art. 123 Cost. In definitiva, si tratta di un legittimo esercizio della potestà statale concorrente in materia di «coordinamento della finanza pubblica», ai sensi del terzo comma dell’art. 117 Cost.

4.3.– Le questioni che investono i commi 3 e 4 dell’art. 19 non sono fondate.

4.3.1.– Le doglianze riguardano l’istituzione e disciplina delle «Unioni di co-muni», di cui all’art. 32 del d.lgs. n. 267 del 2000, come modificato dal com-ma 3, e si estendono, di riflesso e senza specifica motivazione, al comma 4, del predetto art. 19. La disciplina impugnata prevede, anzitutto, un’unione di Comuni costituita in prevalenza da Comuni montani, che è detta «unione di comuni montani» e può esercitare anche le specifiche competenze di tutela e di promozione della montagna (ex art. 44, secondo comma, Cost.) e delle leggi in favore dei territori montani.

Stabilisce poi che ogni Comune può partecipare ad una sola unione ed è pre-visto che le unioni di Comuni possono stipulare apposite convenzioni tra loro o con singoli Comuni.

Individua, inoltre, nel dettaglio gli organi dell’unione e le modalità della loro costituzione. Stabilisce che lo statuto individui le funzioni svolte dall’unione e le corrispondenti risorse e non più la disciplina degli organi dell’unione; rico-nosce in via generale la potestà regolamentare e statutaria.

All’unione sono conferite dai Comuni le risorse umane e strumentali necessa-rie all’esercizio delle funzioni ad essa attribuite e vengono, quindi, introdotti nuovi vincoli in materia di spesa di personale: infatti, fermi restando i vincoli previsti dalla normativa vigente, la spesa sostenuta per il personale dell’unio-ne non può comportare, in sede di prima applicazione, il superamento della somma delle spese di personale sostenute precedentemente dai singoli Co-muni partecipanti; inoltre, si dispone che, attraverso specifiche misure di ra-zionalizzazione organizzativa e una rigorosa programmazione dei fabbisogni, devono essere assicurati progressivi risparmi di spesa in materia di personale.

È, inoltre, confermato che all’unione competono gli introiti derivanti da tasse, tariffe e dai contributi sui servizi ad essa affidati.

4.3.2.– Le argomentazioni che sono state già sviluppate in precedenza (se-gnatamente, punti 4.2.2. e 4.2.3.) sono riferibili anche al denunciato comma 3, e si riflettono sul connesso comma 4, considerato che tale disposizione è orientata finalisticamente al contenimento della spesa pubblica, siccome po-sta da un provvedimento di riesame delle condizioni di spesa e con contenuti armonici rispetto all’impianto complessivo della rimodulazione delle «unioni di comuni».

Dunque, opera anche in questo caso il titolo legittimante della competenza in materia di «coordinamento della finanza pubblica», di cui al comma terzo dell’art. 117 Cost., esercitata dallo Stato attraverso previsioni che si configura-no come principi fondamentali e non si esauriscono in una disciplina di mero dettaglio.

Né può ravvisarsi la dedotta violazione dell’art. 119 Cost., giacché non solo è legittimo incidere con una manovra finanziaria sulle risorse degli enti territo-riali, purché non siano tali da determinare uno squilibrio incompatibile con le complessive esigenze di spesa e pregiudizievole per l’esercizio delle funzioni ad essi riservate (sentenze n. 298 del 2009, n. 381 del 2004 e n. 437 del 2001), ma rileva anche il fatto che l’attribuzione alle unioni di Comuni di «introiti derivanti dalle tasse, dalle tariffe e dai contributi» riguarda i «servizi ad esse affidati», sicché non verrebbero sottratte risorse per l’esercizio di funzioni da parte di enti che non fanno parte dell’unione stessa.

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per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce la decisione sulle ulteriori questioni di legittimi-tà costituzionale aventi ad oggetto altre disposizioni del decreto-legge oggetto di impugnazione;

riuniti i giudizi;

1) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, lettera a), del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini non-ché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 7 agosto 2012, n. 135, promossa, in riferimento agli artt. 117, commi terzo e quarto, e 118 della Costituzione, dalla Regione Campania con il ricorso in epigrafe;

2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, lettera a), promossa in riferimento agli art. 117, secondo comma, lettera p), terzo e quarto comma, e 118, secondo comma, Cost., dalla Regione Puglia con il ricorso in epigrafe;

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, lettere da a) a d), del d.l. n. 95 del 2012, promosse, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera p), terzo e quarto comma, Cost., dalla Re-gione Lazio con il ricorso in epigrafe;

4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, lettere da b) a d), del d.l. n. 95 del 2012, promosse, in riferimento agli artt. 117, terzo e quarto comma, e 118 Cost., dalla Regione Campania con il ricorso in epigrafe;

5) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 1, lettere d) ed e), del d.l. n. 95 del 2012, promosse, in riferimento agli artt. 117, secondo comma, lettera p), e quarto comma, 118 e 123, primo e quarto comma, Cost., dalla Regione Puglia con il ricorso in epigrafe;

6) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19, commi 1, lettere da b) ad e), e 3, del d.l. n. 95 del 2012, promosse, in riferi-mento agli artt. 3, 97, 117, terzo e quarto comma, e 118, primo comma, Cost., dalla Regione Veneto con il ricorso in epigrafe;

7) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19, commi 3 e 4, del d.l. n. 95 del 2012, promosse, in riferimento agli artt. 117, e 118 Cost., dalle Regioni Lazio, Veneto e Campania con i ricorsi in epigrafe;

8) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 19, comma 3, del d.l. n. 95 del 2012, promossa, in riferimento agli artt. 117, se-condo comma, lettera p), terzo e quarto comma, e 119, primo, secondo e sesto comma Cost., dalla Regione Puglia con il ricorso in epigrafe;

9) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 19 del d.l. n. 95 del 2012, promosse, in riferimento all’art. 3, primo comma, lettera b), della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna) ed all’art. 117, quarto comma, Cost., dalla Regione autonoma Sar-degna con il ricorso in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Con-sulta, il 10 febbraio 2014.

F.to:

Gaetano SILVESTRI, Presidente

Mario Rosario MORELLI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l’11 febbraio 2014.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella MELATTI

.

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CORTE COST., SENT. N. 236/2013 (GIUDIZIO IN VIA PRINCIPALE - NORMA-TIVA STATALE - PREVISIONE DELLA SOPPRESSIONE DI ALMENO IL 20% DEGLI ENTI STRUMENTALI CHE ESERCITANO FUNZIONI SPETTANTI AI COMUNI, ALLE PROVINCE E ALLE CITTÀ METROPOLITANE - PRIMA CEN-SURA: ORGANIZZAZIONE REGIONALE - NON FONDATEZZA, IN RAGIONE DELL’ERRONEO PRESUPPOSTO INTERPRETATIVO SUPPOSTO DALLA PAR-TE RICORRENTE, SECONDO CUI ANCHE LE REGIONI SAREBBERO INTE-RESSATE DALLA PREDETTA RIDUZIONE - SECONDA CENSURA: LESIONE DELL’AUTONOMIA FINANZIARIA DEGLI ENTI LOCALI - NON FONDATEZZA, PER RICONDUCIBILITÀ DELLA DISPOSIZIONE NELL’AMBITO DEI PRINCIPI FONDAMENTALI IN MATERIA DI COORDINAMENTO DELLA FINANZA PUB-BLICA - DISPOSIZIONE SECONDO CUI, DECORSI NOVE MESI DALLA DATA DI ENTRATA IN VIGORE DELLA NORMATIVA IMPUGNATA, SE NON È STATA DATA ATTUAZIONE ALLA PREDETTA RIDUZIONE DEGLI ENTI STRUMENTA-LI, QUEST’ULTIMI SONO AUTOMATICAMENTE SOPPRESSI - ARTT. 3 E 97 COST. - ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE PER MANIFESTA IRRAGIONEVO-LEZZA - PREVISIONE DI UN’ANALOGA RIDUZIONE DEGLI ENTI STRUMEN-TALI ANCHE A SCAPITO DELLE REGIONI - COORDINAMENTO DELLA FINA-ZA PUBBLICA E AUTONOMIA FINANZIARIA - NON FONDATEZZA - DIVIETO PER GLI ENTI LOCALI DI ISTITUIRE ENTI, AGENZIE O ORGANISMI - ARTT. 117, COMMA 2, LETT. P); 118; 119 COST. - NON FONDATEZZA)

SENTENZA N. 236

ANNO 2013

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Franco GALLO Presidente

Luigi MAZZELLA Giudice

Gaetano SILVESTRI ”

Sabino CASSESE ”

Giuseppe TESAURO ”

Paolo Maria NAPOLITANO ”

Giuseppe FRIGO ”

Alessandro CRISCUOLO ”

Paolo GROSSI ”

GiorgioLATTANZI ”

Aldo CAROSI ”

Marta CARTABIA ”

Sergio MATTARELLA ”

Mario Rosario MORELLI ”

Giancarl CORAGGIO ”

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 9, commi 1, 1-bis, 2, 3, 4, 5 e 6, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, promossi dalle Regioni Lazio e Veneto e dalle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna con ricorsi notificati rispettivamente il 12-17, il 12, il 15 e il 12 ottobre 2012, depositati in cancelleria il 16, il 17 e il 19 ottobre 2012 ed iscritti ai nn. 145, 151, 159 e 160 del registro ricorsi 2012.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell’udienza pubblica del 18 giugno 2013 il Giudice relatore Paolo Maria Napolitano;

uditi gli avvocati Massimo Luciani per la Regione autonoma Sardegna, Fran-cesco Saverio Marini per la Regione Lazio, Luigi Manzi e Mario Bertolissi per la Regione Veneto, Giandomenico Falcon per la Regione autonoma Friuli-Ve-nezia Giulia e l’avvocato dello Stato Gabriella D’Avanzo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso notificato il 12 ottobre 2012 e depositato il successivo 16 ot-tobre la Regione Lazio ha impugnato, tra gli altri, l’articolo 9, commi 1, 2, 3 e 4, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con

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modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, per violazione degli artt. 117, commi quarto e sesto, e 123 della Costituzione.

Il ricorrente premette che la norma impugnata, nel dichiarato intento di re-alizzare il contenimento della spesa e il corrispondente conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, ha stabilito che «Regioni, Province e Comuni sop-primono o accorpano o, in ogni caso, assicurano, la riduzione dei relativi oneri finanziari in misura non inferiore al 20%, enti, agenzie e organismi comun-que denominati. [...] che esercitano, alla data di entrata in vigore del decreto, anche in via strumentale, funzioni fondamentali di cui all’art. 117, secondo comma, lett. p) Cost., o funzioni amministrative spettanti a Comuni, Province e Città metropolitane ai sensi dell’art. 118 della Costituzione».

Il legislatore ha previsto un’apposita procedura articolata in tre passaggi: a) ricognizione, entro tre mesi dall’entrata in vigore del decreto, di tutti gli «enti, agenzie e organismi» che esercitano funzioni fondamentali o, in ogni caso, di tipo amministrativo degli enti locali (comma 2); b) definizione, mediante intesa da adottarsi in sede di Conferenza Unificata, dei «criteri e della tempistica» per l’attuazione della norma (comma 3); c) soppressione ope legis di tutti gli enti, agenzie e organismi, con conseguente nullità di tutti gli atti successivamente adottati, qualora le Regioni, le Province e i Comuni, decorsi nove mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, non abbiano concretamente dato attua-zione al precetto normativo (comma 4).

Poste tali premesse, secondo la Regione ricorrente, non dovrebbero nutrirsi dubbi sul fatto che la disciplina impugnata contrasti con gli art. 123 e 117, comma quarto, Cost., incidendo indebitamente sulla sfera di autonomia orga-nizzativa e di funzionamento dell’amministrazione regionale.

A tale proposito la ricorrente ribadisce che i principi fondamentali di orga-nizzazione e funzionamento regionale attengono, ai sensi dell’art. 123 Cost., all’autonomia statutaria, nell’esercizio della quale la Regione Lazio ha indivi-duato e disciplinato puntualmente una serie di strutture organizzative, quali le «Agenzie regionali» (art. 54 dello statuto), gli «enti pubblici dipendenti dalla Regione» (art. 55 dello statuto), le «società ed altri enti privati a partecipazione regionale» (art. 56 dello statuto), rimettendo alla legge regionale la disciplina relativa all’istituzione e al funzionamento di tali organismi.

La materia «organizzazione amministrativa» della Regione, inoltre, ricade, in forza dell’art. 117, comma quarto, Cost., nella propria potestà legislativa resi-duale e non sono ammesse interferenze ad opera del legislatore statale.

Sulla base di ciò, la Regione conclude nel senso che il censurato art. 9, commi l, 2, 3 e 4 – per effetto del quale è prevista la «soppressione» o l’«accorpamento» di enti, agenzie e organismi comunque denominati – deve essere dichiarato co-stituzionalmente illegittimo per violazione dei citati articoli 123 e 117, comma quarto, Cost., trattandosi di previsione che incide in via immediata sui predet-ti ambiti materiali di competenza regionale.

L’illegittimità costituzionale dello stesso articolo rileverebbe, altresì, sotto un ulteriore e concorrente profilo. Il comma l, infatti, impone anche agli enti lo-cali l’obbligo di soppressione o accorpamento di agenzie ed enti che esercitino funzioni fondamentali e funzioni loro conferite, in aperto contrasto con l’art. 117, comma sesto, Cost., che riconosce, come noto, ai predetti enti la potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite, le quali possono essere svolte attraverso enti, agenzie ed organismi vari.

A seguito della riforma del titolo V della Costituzione, che ha delineato un nuo-vo quadro delle funzioni e dei poteri dei Comuni e delle Province (e delle Città metropolitane), è possibile individuare un fondamento di rango costituzionale alla disciplina delle funzioni e dell’organizzazione degli enti locali. Inoltre, la lesione delle menzionate sfere di autonomia costituzionale garantite in capo alle Regioni e agli enti locali non sarebbe esclusa dall’individuazione, da parte del legislatore statale, dell’accordo in Conferenza unificata e dal richiamo al principio di leale collaborazione per l’attuazione della norma.

Tali meccanismi di raccordo si mostrano inidonei ad evitare le lesioni di com-petenza prospettate, ove si consideri che, per espressa previsione normativa (comma 4), si procederà comunque alla soppressione ope legis di enti, agenzie ed organismi vari, con conseguente nullità degli atti da essi adottati, qualora la Regione e gli enti locali laziali non abbiano dato, entro nove mesi dall’en-trata in vigore del decreto – e, dunque, in un arco temporale ristretto – intera attuazione al dettato normativo statale.

La ricorrente censura anche l’eccessiva astrattezza e genericità del meccani-smo volto ad individuare i «criteri e la tempistica» per l’attuazione della nor-ma, ove si consideri che tali criteri saranno facilmente applicabili nelle sole ipotesi di enti ed organismi che risultino, in maniera inequivocabile, inutili ed antieconomici. Nei restanti casi, tuttavia, sarebbe particolarmente difficoltosa la ricerca di presupposti univoci e precisi sulla cui base procedere, in vista dell’unica finalità di ridurre del 20 per cento gli oneri finanziari, alla soppres-sione o all’accorpamento degli organismi contemplati dalla norma.

La Regione evidenzia che la richiamata disciplina statale, la quale fa leva su finalità formalmente connesse al «coordinamento e al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica», non possa ritenersi legittimamente adottata dal-lo Stato nell’esercizio della propria competenza legislativa concorrente in tema di «coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario», prevista dall’art. 117, comma terzo, Cost. e dall’art. 119, comma secondo, Cost.

La ricorrente, a tal proposito, richiama la giurisprudenza costituzionale che ha negato ogni valore all’autoqualificazione ai fini dell’individuazione della materia cui ascrivere la normativa impugnata (sentenza n. 247 del 2010), do-vendosi far riferimento all’oggetto della disciplina medesima.

Secondo la Regione, il legislatore statale non sarebbe intervenuto, se non in termini meramente marginali e riflessi, nella materia «coordinamento della

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finanza pubblica», rispetto alla quale, peraltro, lo Stato deve in ogni caso limi-tarsi a dettare esclusivamente norme di principio e non di dettaglio come nella presente circostanza. In realtà, l’oggetto della disciplina impugnata sarebbe rappresentato da un vasto e profondo intervento modificativo dell’assetto or-ganizzativo regionale, rispetto al quale, tuttavia, lo Stato non potrebbe vantare alcuna competenza.

Sulla base di queste considerazioni la Regione chiede che la norma impugna-ta sia dichiarata costituzionalmente illegittima per violazione degli artt. 117, commi quarto e sesto, e 123 Cost.

1.1.– In data 26 novembre 2012 si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, concludendo nel senso dell’infondatezza delle questioni sollevate dalla Regione Lazio.

La difesa statale evidenzia che gli obblighi di soppressione o accorpamento o riduzione degli oneri finanziari sono motivati dalle esigenze di coordinamento e di conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, nonché di contenimento della spesa e di migliore svolgimento delle funzioni amministrative. Il processo di riforma degli enti pubblici strumentali è, d’altronde, già da diversi anni al centro di numerosi interventi normativi diretti a procedere ad una loro drasti-ca riduzione, per razionalizzare il funzionamento della pubblica amministra-zione e contenere le spese della stessa.

L’Avvocatura dello Stato richiama la giurisprudenza costituzionale secondo cui le disposizioni statali che intervengono in tema di coordinamento della finanza pubblica possono incidere anche sulla materia dell’organizzazione e del funzionamento della Regione (sentenza n. 159 del 2008), riconducibile al comma quarto dell’art. 117 Cost. (sentenze n. 188 del 2007, n. 2 del 2004 e n. 274 del 2003). Le norme statali che fissano limiti alla spesa delle Regioni e degli enti locali possono qualificarsi principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica alla seguente duplice condizione: in primo luogo, che si limitino a porre obiettivi di riequilibrio della medesima, intesi nel senso di un transitorio contenimento complessivo, anche se non generale, della spesa corrente; in secondo luogo, che non prevedano in modo esaustivo strumenti o modalità per il perseguimento dei suddetti obiettivi (sentenze n. 142 del 2012, n. 139 del 2009, n. 289 e n. 120 del 2008).

Entrambi i requisiti sarebbero nel caso di specie rispettati. La disposizione in esame, infatti, in attuazione dell’obiettivo generale di contenere una voce importante della spesa pubblica corrente, prevede un’articolata procedura (commi 2 e 3) in cui s’innestano diversi momenti di raccordo tra lo Stato e le Regioni e distinti adempimenti per pervenire, entro il termine individuato dalla norma, alla soppressione degli enti, il tutto nel rispetto del principio di leale collaborazione. In particolare, il comma 2 vincola ad un accordo, da persegui-re in sede di Conferenza unificata (ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, recante «Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di

interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali»), la ricognizione degli enti da sopprimere o da accorpare. Il comma 3 rimanda ad un’intesa – da concludere nella stessa sede, ai sensi dell’art. 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131 (Disposizioni per l’adeguamento dell’ordinamento della Repubblica alla legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3), e sulla base del principio di leale collaborazione – per ciò che concerne la definizione delle modalità e della tempistica per l’attuazio-ne degli obblighi di cui alla norma in commento. La previsione finale, secondo cui, in caso di mancato intervento da parte degli enti territoriali interessati entro il termine di 9 mesi, si determina l’automatica soppressione degli enti e vengono colpiti da nullità tutti gli atti da questi successivamente adottati, ponendosi al termine di una procedura caratterizzata da numerosi momenti di concertazione che lasciano alle regioni ampie possibilità di autonome scelte in merito alla razionalizzazione degli enti strumentali, rappresenta, invero, stru-mento di concreta attuazione della disposizione in esame, al fine di realizzare gli obiettivi indicati dal legislatore statale.

2.– Con ricorso notificato il 12 ottobre 2012 e depositato il successivo 17 otto-bre la Regione Veneto ha impugnato, tra gli altri, l’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012 per violazione degli artt. 117, 118 e 119 Cost.

Dopo aver riportato il contenuto della norma impugnata, la ricorrente eviden-zia che la stessa non contiene principi fondamentali di «coordinamento della finanza pubblica» dettati dallo Stato nell’esercizio della sua potestà legislativa concorrente e, dunque, si pone in contrasto con l’art. 117, comma terzo, Cost.

La Regione Veneto richiama la giurisprudenza della Corte costituzionale con la quale si è affermato che quando una disposizione di legge statale imponga– come nel caso di specie – vincoli ad una singola voce di spesa delle Regioni (o degli Enti locali), essa deve considerarsi costituzionalmente illegittima, perché «pone un precetto specifico e puntuale, comprimendo l’autonomia finanziaria regionale ed eccedendo dall’ambito dei poteri statali in materia di coordina-mento della finanza pubblica» risolvendosi ciò «in un’indebita invasione dell’a-rea riservata dall’art. 119 Cost. alle autonomie regionali» (sentenze n. 182 del 2011 e n. 157 del 2007).

In particolare, secondo la ricorrente, i commi l, l-bis e 4 dell’art. 9 porrebbe-ro chiaramente precetti specifici e puntuali che comprimono l’autonomia fi-nanziaria regionale: alle Regioni sarebbe impedito il contenimento della spesa pubblica per il tramite della riduzione di voci di spesa diverse da quelle rap-presentate dagli enti che svolgono funzioni amministrative regionali (comma l); alle Regioni sarebbe impedito il contenimento della spesa pubblica per il tramite della soppressione o dell’accorpamento o comunque della riduzione degli oneri finanziari di aziende speciali o di enti (o istituzioni) che gestiscano servizi socio-assistenziali, educativi e culturali (comma l bis).

La violazione degli artt. 118 e 119 Cost. sarebbe evidente e consequenziale rispetto alla già denunciata violazione dell’art. 117, comma terzo, Cost.

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Lo stesso comma 5, imponendo alle Regioni di adeguarsi ai principi di cui al comma l, relativamente agli enti, alle agenzie ed agli organismi comunque de-nominati e di qualsiasi natura che svolgano ai sensi dell’art.118 Cost. funzioni amministrative conferite alle medesime Regioni, imporrebbe, in realtà, alle Regioni di ridurre una singola, specifica e ben individuata voce di spesa, in palese contrasto con gli artt.117 e 119 della Costituzione, come riconosciuto dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 157 del 2007.

La Regione Veneto censura anche il comma 6 dell’art. 9 nella parte in cui che vieta agli Enti locali di istituire enti, agenzie o organismi che esercitino una o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell’art. 118 Cost.

Tale norma esulerebbe dalle materie che l’art. 117, comma secondo, lettera p), Cost. riserva alla potestà legislativa esclusiva dello Stato. Inoltre risulterebbe violato anche l’art. 118 Cost. perché una siffatta disciplina interferisce con l’autonomia amministrativa degli Enti locali e con il potere delle Regioni di conferire funzioni amministrative agli Enti locali.

Infine, la Regione ritiene violato anche l’art. 119 Cost., perché la norma impu-gnata interferisce pesantemente con l’autonomia finanziaria regionale e locale.

A tal proposito la ricorrente evidenzia che le Regioni sono legittimate a de-nunciare l’illegittimità costituzionale di una legge statale anche per violazione delle competenze proprie degli Enti locali purché la «stretta connessione, in particolare [...] in tema di finanza regionale e locale, tra le attribuzioni regio-nali e quelle delle autonomie locali consenta di ritenere che la lesione delle competenze locali sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali» (sentenze n.169 e n. 95 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 196 del 2004).

La ricorrente lamenta anche la violazione degli artt. 3 e 97 Cost., in quanto il legislatore statale avrebbe imposto dall’alto divieti e vincoli, piuttosto che sol-lecitare correzioni idonee a coniugare la ricchezza dei diversi modelli organiz-zativi con la necessità di contenimento della spesa pubblica in contrasto con il principio di ragionevolezza.

2.1.– In data 21 novembre 2012 si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, concludendo nel senso dell’infondatezza delle questioni sollevate dalla Regione Veneto.

Nell’atto di costituzione vengono sviluppate difese analoghe a quelle svolte nell’atto di costituzione contro il ricorso della Regione Lazio che sono state sopra riportate.

3.– Con ricorso notificato il 15 ottobre 2012 e depositato il successivo 19 otto-bre la Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia ha impugnato, tra gli altri, l’art. 9, commi 1, 2, 3 e 4, del d.l. n. 95 del 2012, per violazione degli artt. 4 e 54 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione

Friuli-Venezia Giulia), nonché degli artt. 3, 97 e 117, comma quarto, Cost.

Preliminarmente, la Regione evidenzia che l’impugnazione dell’art. 9 avviene in subordine, per l’ipotesi che esso risulti applicabile alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia. Infatti, secondo la ricorrente, la norma impugnata non sarebbe destinata a vincolarla, per il disposto della clausola di salvaguardia di cui all’art. 24-bis del d.l. n. 95 del 2012, secondo la quale «fermo restando il contributo delle regioni a statuto speciale e delle province autonome di Trento e di Bolzano all’azione di risanamento così come determinata dagli articoli 15 e 16, comma 3, le disposizioni del presente decreto si applicano alle predette regioni e province autonome secondo le procedure previste dai rispettivi statu-ti speciali e dalle relative norme di attuazione, anche con riferimento agli enti locali delle autonomie speciali che esercitano le funzioni in materia di finanza locale, agli enti ed organismi strumentali dei predetti enti territoriali e agli altri enti o organismi ad ordinamento regionale o provinciale».

Pertanto non sarebbero vincolanti per la Regione tutte le disposizioni che non contengono una specifica affermazione circa la loro applicabilità alle autono-mie speciali.

Inoltre, secondo la ricorrente, l’art. 9 non porrebbe alcun vincolo ai modi con i quali in futuro le «procedure previste dai rispettivi statuti speciali e dalle re-lative norme di attuazione» ne disciplineranno eventualmente l’applicazione (sentenze n. 198, n. 193 e n. 178 del 2012).

La Regione ritiene che la non applicabilità dell’art.9 alle autonomie speciali, in forza della clausola di salvaguardia, non possa essere contraddetta da quanto statuito con la sentenza n. 289 del 2008 perché in quel caso la clausola di salvaguardia era formulata in modo del tutto generico tale da non consentire la disapplicazione delle norme di quel decreto. Infatti non risultava neppure precisato «quali norme (dovessero) considerarsi non applicabili alla ricorrente per incompatibilità con lo statuto speciale e con le relative norme di attuazione e quali, invece, (dovessero) ritenersi applicabili».

Mentre nel caso in esame la clausola di salvaguardia di cui all’art. 24-bis in-dividuerebbe con precisione le disposizioni che rimangono applicabili, con ciò individuando precisamente anche quelle non applicabili, costituite dall’insie-me delle altre.

Inoltre, l’art. 24-bis non condizionerebbe l’applicabilità delle disposizioni in questione ad un indeterminato giudizio di compatibilità, ma la escluderebbe direttamente, rinviandola per il futuro alle «procedure previste dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione», cioè ad ulteriori e futuri atti normativi, il cui contenuto è vincolato solo dallo statuto e dalla stessa Costituzione.

La ricorrente, tuttavia, nel caso la Corte ritenga applicabile l’art. 9 in esame anche alla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, censura la norma per vio-lazione degli artt. 117 e 118 Cost.

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La disposizione impugnata avrebbe, secondo la ricorrente, contenuto pret-tamente organizzativo e violerebbe la competenza primaria regionale di cui all’art. 4, numero l, dello statuto speciale di autonomia, in materia di ordina-mento degli Uffici e degli Enti dipendenti dalla Regione (oltre che la competen-za residuale in materia riconosciuta a tutte le Regioni).

La parte della norma che si riferisce agli enti locali, violerebbe sia la compe-tenza legislativa primaria della Regione in materia di ordinamento degli enti locali prevista dall’art. 4, numero l-bis, dello statuto speciale di autonomia, sia la competenza regionale in materia di finanza locale prevista dall’art. 54 del medesimo statuto (secondo il quale «allo scopo di adeguare le finanze delle Province e dei Comuni al raggiungimento delle finalità ed all’esercizio delle funzioni stabilite dalle leggi, il Consiglio regionale può assegnare ad essi an-nualmente una quota delle entrate della Regione») e dalle norme di attuazione di cui all’art. 9 del decreto legislativo 2 gennaio 1997, n. 9 (Norme di attua-zione dello Statuto speciale per la regione Friuli-Venezia Giulia in materia di ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni), che ha precisato che «spetta alla regione disciplinare la finanza locale, l’ordinamento finanzia-rio e contabile, l’amministrazione del patrimonio e i contratti degli enti locali» (comma l), e che «la regione finanzia gli enti locali con oneri a carico del proprio bilancio, salvo il disposto di cui al comma 3» (comma 2).

La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia sottolinea, inoltre, che la legge 13 dicembre 2010, n. 220, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2011)», in attuazione di un accordo stipulato tra Regione e Stato, ha stabilito le modalità con cui la medesima Regione concorre agli obiettivi di finanza pubblica e, soprattutto, ha stabilito chiaramente che lo Stato non può dettare norme di coordinamento finanziario in relazione agli enti locali del Friuli Venezia Giulia i cui costi, del resto, sono a carico della Regione.

La ricorrente evidenzia che la citata legge n. 220 del 2010 si è basata su un ac-cordo e non può essere unilateralmente derogata dal legislatore statale, pena la violazione del principio pattizio che domina i rapporti finanziari tra Stato e Regioni speciali.

Risulterebbe, infine, violata anche la stessa autonomia organizzativa degli enti locali, garantita dall’art. 114, comma secondo, Cost., nonché dall’art.117, comma sesto (secondo periodo), Cost., in tema, rispettivamente, di autonomia statutaria e regolamentare.

Le disposizioni sopra riportate sarebbero, poi, costituzionalmente illegittime per ulteriori specifiche ragioni. In primo luogo, sarebbe illegittimo il vincolo posto dal comma l a Regioni, Province e Comuni teso a sopprimere o accorpa-re gli «enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica», o a ridurre almeno nella misura del 20% gli oneri finanziari relativi ad essi.

Quanto alla soppressione, si tratterebbe di un irragionevole vincolo alla au-tonomia organizzativa della Regione e degli enti autonomi, smentito del resto dallo stesso legislatore, che lo pone in alternativa alla predetta riduzione degli oneri finanziari.

Ma anche tale vincolo sarebbe illegittimo, in quanto relativo ad una specifica voce di spesa, che per giunta non rappresenta né un aggregato complessivo né un aggregato significativo, essendo evidente che sia le funzioni che le struttu-re che attualmente esercitano le funzioni dovrebbero essere ricollocate, senza neppure la garanzia di una effettiva riduzione di spesa.

Ma anche ove, in denegata ipotesi, tale principio fosse in sé e per sé legittimo come principio di coordinamento della finanza pubblica, sarebbero comunque illegittime le norme dettagliate che lo accompagnano (sentenze 297 del 2009 e n. 159 del 2008). Così sarebbe per la norma che direttamente esclude l’appli-cazione della disposizione alle aziende speciali, agli enti ed alle istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi e culturali, anziché lasciare tale individuazione alle singole regioni interessate, che, tra l’altro, sono com-petenti anche per le materie in questione.

Così sarebbe per il comma 4, in base al quale, trascorsi nove mesi senza che le regioni, le province e i comuni abbiano dato attuazione a quanto disposto dal comma l, «gli enti, le agenzie e gli organismi indicati al medesimo comma l sono soppressi», e «sono nulli gli atti successivamente adottati dai medesimi».

Si tratterebbe di un intervento non consentito rispetto all’autonomia organiz-zativa della ricorrente Regione (anche in relazione alla propria potestà prima-ria in materia di enti locali e dei propri compiti in materia di finanza locale) e degli stessi enti locali.

La Regione ricorrente richiama la sentenza n. 237 del 2009 che ha dichiarato illegittima una analoga disciplina di dettaglio ed auto applicativa. Si trattereb-be inoltre di una norma del tutto irragionevole, in quanto la «soppressione», con norma generale, di strutture non precisamente individuate, e la dichia-razione di nullità di atti anche essi non precisamente individuati, determina una situazione di incertezza giuridica con riferimento sia al personale che alle funzioni, mentre la transizione delle competenze a organi e strutture non in-dividuati ne comprometterebbe l’esercizio.

Alla ricorrente sembra, dunque, evidente la violazione del principio di ragione-volezza e di buon andamento di cui all’art. 97 Cost.

La Regione sarebbe legittimata ad invocare i principi di ragionevolezza e buon andamento, perché le norme che li violano inciderebbero su materie regionali (sentenze n. 80 e n. 22 del 2012), anzi condizionerebbero la stessa organizza-zione della Regione e degli enti locali della Regione.

La ricorrente impugna per gli stessi motivi anche il comma 5 dell’art. 9 evi-denziando l’oscurità della norma che, peraltro, si porrebbe in contraddizione

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con il comma 4, rendendo il complesso normativo ulteriormente incerto, con nuova violazione dei parametri già esposti a proposito del comma 4.

Da ultimo, la Regione impugna il comma 6 dell’art. 9 nella parte in cui fa «di-vieto agli enti locali di istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell’articolo 118 della Costi-tuzione».

Poiché gli enti locali non hanno altre funzioni che quelle fondamentali e le altre ad essi conferite, la norma si traduce in un divieto assoluto per essi di istituire «enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natu-ra giuridica». Inoltre la norma è destinata ad applicarsi a tutti gli enti locali, eccettuato forse il Comune di Roma per il suo speciale status di capitale. Nella Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia, il divieto si applicherebbe al comune più piccolo così come per i Comuni di Udine e Trieste. Nessuno di essi sarebbe giuridicamente in grado di istituire il minimo organismo, comunque denomi-nato e di «qualsiasi natura giuridica».

Una simile disposizione – nella sua estensione indiscriminata – violerebbe evi-dentemente il principio di ragionevolezza e di proporzionalità, non essendovi rapporto alcuno con i presunti vantaggi per la finanza pubblica, la cui portata del resto non è neppure enunciata.

Vi sarebbe, infine, l’evidente violazione della potestà legislativa regionale in materia di ordinamento degli enti locali e di finanza locale, nonché dell’auto-nomia stessa degli enti locali interessati, come protetta dagli artt. 114 e 117 Cost., sopra indicati.

3.1.– In data 22 novembre 2012 si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato, concludendo nel senso dell’infondatezza delle questioni sollevate dalla Regione autonoma Friu-li-Venezia Giulia.

La difesa statale rileva che le norme censurate sono volte ad assicurare il co-ordinamento ed il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, il conte-nimento della spesa ed il migliore svolgimento delle funzioni amministrative e dispongono che Regioni, Province e Comuni assicurino la riduzione degli oneri finanziari relativi ad enti, agenzie ed organismi che esercitino funzioni spet-tanti agli enti territoriali. Le stesse, pertanto, rientrerebbero nella copertura statuale del coordinamento della finanza pubblica.

Inoltre, il legislatore statale avrebbe anche previsto un ampio coinvolgimento degli enti territoriali interessati. Si prevede, infatti, che la ricognizione di qual-sivoglia ente avvenga in sede di accordo sancito nell’ambito della Conferenza unificata e che, quindi, nella stessa sede, si provveda, mediante intesa, alla individuazione dei criteri e della tempistica per l’attuazione di quanto previsto dall’articolo e alla definizione delle modalità di monitoraggio.

Il legislatore, pertanto, avrebbe prefigurato un percorso procedurale dominato dal principio consensualistico cui conseguirebbe l’infondatezza di tutte le do-glianze formulate dalla ricorrente.

Per quanto riguarda le censure mosse ai profili sanzionatori in caso di man-cata attuazione del disposto di cui al comma l, l’Avvocatura dello Stato rileva che, anche in questo caso, gli strumenti previsti dal legislatore costituiscono principi di coordinamento della finanza pubblica e rientrano nella competenza legislativa concorrente dello Stato, ai sensi dell’art. 117, comma terzo, Cost.

Infine, quanto al comma 6, che contiene il divieto agli enti locali di istituire enti, agenzie ed organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giu-ridica, i rilievi della regione non dovrebbero essere accolti, atteso che anche per essi varrebbe la riconducibilità ai principi di coordinamento della finanza pubblica.

4.– Con ricorso notificato il 12 ottobre 2012 e depositato il successivo 19 otto-bre, la Regione autonoma Sardegna ha impugnato, tra gli altri, l’art. 9, commi 1, 2, 3, e 4, del d.l. n. 95 del 2012, per violazione degli artt. 3, comma 1, lettere a), b) e q), e 7 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), nonché degli artt. 3, 117, comma terzo, e 119 Cost.

La Regione evidenzia che la norma impugnata regola nel dettaglio l’organizza-zione amministrativa degli enti territoriali, imponendo alle Regioni e agli enti locali non solo una quota di risparmio di gestione delle funzioni amministrati-ve così esercitate, ma obbligando all’accorpamento o alla soppressione di enti e organizzazioni, senza considerare che la Regione, nell’esercizio della propria competenza legislativa esclusiva nelle materie «ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione», «ordinamento degli enti locali e delle relati-ve circoscrizioni» e «biblioteche e musei di enti locali» (art. 3, comma 1, lettere a, b e q, dello statuto speciale di autonomia), potrebbe conseguire il medesimo risultato di contenimento della spesa pubblica utilizzando le forme di gestione delle funzioni pubbliche ritenute più idonee allo scopo.

Per tale motivo la disposizione menzionata violerebbe le norme statutarie indi-cate, e, nello stesso tempo, anche l’art. 117, comma terzo, Cost., nella misura in cui detta norme per il coordinamento della finanza pubblica che travalicano i «principi fondamentali» della materia.

L’imposizione, ai fini del contenimento degli oneri della finanza pubblica, di obblighi che si ripercuotono direttamente sull’organizzazione degli enti locali fa sì che sia lesa anche l’autonomia finanziaria della Regione, di cui all’art. 7 dello statuto speciale e all’art. 119 Cost., che tale autonomia tutelano.

A questo proposito la ricorrente richiama la sentenza della Corte costituziona-le n. 82 del 2007 nella quale si afferma che non è contestabile «il potere del le-gislatore statale di imporre agli enti autonomi, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, ine-

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vitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti», e che, «in via transitoria e in vista degli specifici obiettivi di riequilibrio della finan-za pubblica perseguiti dal legislatore statale», possono anche imporsi limiti complessivi alla crescita della spesa corrente degli enti autonomi (sentenza n. 36 del 2004). Tali vincoli devono ritenersi applicabili anche alle autonomie speciali, in considerazione dell’obbligo generale di partecipazione di tutte le Regioni, ivi comprese quelle a statuto speciale, all’azione di risanamento del-la finanza pubblica (sentenza n. 416 del 1995 e successivamente, anche se non con specifico riferimento alle Regioni a statuto speciale, sentenze n. 417 del 2005, n. 353, n. 345 e n. 36 del 2004). Un tale obbligo, però, deve essere contemperato e coordinato con la speciale autonomia in materia finanziaria di cui godono le predette Regioni, in forza dei loro statuti. In tale prospettiva, la previsione normativa del metodo dell’accordo tra le Regioni a statuto speciale e il Ministero dell’economia e delle finanze, per la determinazione delle spese correnti e in conto capitale, nonché dei relativi pagamenti, deve considerarsi espressione della descritta autonomia finanziaria e del contemperamento di tale principio con quello del rispetto dei limiti alla spesa imposti dal cosiddetto «patto di stabilità» (sentenza n. 353 del 2004).

Pertanto, il legislatore statale, onde conseguire il maggior risparmio nello svol-gimento delle funzioni pubbliche degli enti locali, doveva limitarsi ad indicare il risparmio atteso, rispettando l’autonomia organizzativa delle Regioni.

Né si potrebbe dire, ovviamente, che con l’articolo censurato il legislatore sta-tale abbia inteso esercitare la propria potestà esclusiva in materia di «funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane», di cui all’art. 117, comma secondo, lettera p), Cost., per la semplice ragione che tale competen-za generale non può certo prevalere (secondo i comuni principi di risoluzione delle antinomie) su quella speciale dettata, in materia, dall’art. 3, comma 1, lettere a) e b), dello statuto speciale, che affida alla competenza esclusiva della Regione autonoma Sardegna le materie «ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione e stato giuridico ed economico del personale» e «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni».

Senza considerare, inoltre, che l’art. 117, comma secondo, lettera p), Cost., «concerne l’istituzione e la regolazione delle funzioni amministrative, il proce-dimento da seguire, gli interessi pubblici da perseguire, mentre la disposizione censurata agisce sul versante dell’organizzazione degli enti al fine di consegui-re un ipotetico vantaggio di finanza pubblica».

Per quest’ultimo profilo, poi, sarebbe violato anche il principio di ragionevo-lezza di cui all’art. 3 Cost., in relazione all’art. 3, comma 1, lettere a), b) e q), dello statuto speciale di autonomia , in quanto il divieto per gli enti locali di istituire enti strumentali impedisce che Province e Comuni, anche in ossequio alla normativa regionale, possano esercitare le proprie funzioni in regime di intercomunalità, istituendo un apposito ente associativo, anche qualora tale modello organizzativo comporti significative economie di scala.

4.1.– In data 21 novembre 2011 si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall’Avvocatura dello Stato concludendo nel senso dell’infondatezza delle questioni sollevate dalla Regione autonoma Sar-degna.

La difesa statale rileva che attraverso le misure introdotte dall’articolo impu-gnato il legislatore ha inteso assicurare, come si legge al comma primo dell’art. 9, «il coordinamento e il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, il contenimento della spesa e il migliore svolgimento delle funzioni amministra-tive». La norma segue le previsioni restrittive del patto di stabilità interno di cui all’art. 14 del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in ma-teria di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito, con modificazioni, dalla legge 30 luglio 2012, n. 122, il cui comma 32, recante il divieto di costituire società per i comuni con una densità abitativa inferiore a determinati parametri è espressamente richiamato al comma 7 dell’art. 9 in esame.

Sarebbe pertanto riduttiva e, comunque, infondata, l’impostazione interpreta-tiva che della norma in esame ha dato la ricorrente, omettendo di misurarne la legittimità nel più ampio contesto degli interventi legislativi miranti alla realizzazione del medesimo obiettivo del rispetto dei vincoli posti dal patto di stabilità.

È noto come il legislatore statale possa, con una disciplina di principio, impor-re agli enti territoriali, anche ad autonomia speciale, determinati obblighi volti al contenimento della spesa pubblica a fini di coordinamento finanziario. Sot-to tale profilo, la giurisprudenza della Corte ha elaborato una nozione ampia in materia di «principi fondamentali di coordinamento della finanza pubblica», precisando che la piena attuazione del suddetto principio di coordinamento fa sì che la competenza statale non si esaurisca con l’esercizio del potere le-gislativo, ma implichi anche «l’esercizio di poteri di ordine amministrativo, di regolazione tecnica, di rilevazione di dati e di controllo» (sentenze n. 112 e n. 29 del 2011, n. 57 del 2010). Peraltro, al comma 3 della disposizione in esame, il legislatore introduce anche, quale presupposto applicativo delle nuove rego-le, una previsione di reciproca collaborazione tra lo Stato e le Regioni, al fine di raggiungere, attraverso gli strumenti di leale cooperazione, una soluzione condivisa sull’individuazione dei criteri e della tempistica per l’attuazione del sistema che contemperi le peculiarità degli enti coinvolti.

5.– In prossimità dell’udienza le Regioni Lazio, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, hanno presentato memorie con le quali hanno ribadito le ragioni a sostegno dell’illegittimità costituzionale delle norme impugnate, insistendo per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi.

6.– L’Avvocatura dello Stato, sempre in prossimità dell’udienza, ha presentato memorie con le quali ha ribadito le proprie argomentazioni a sostegno dell’in-fondatezza dei ricorsi.

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Considerato in diritto

1.– Le Regioni Lazio, Veneto, Friuli-Venezia Giulia e Sardegna, con distinti ricorsi, rispettivamente contrassegnati con i numeri 145, 151, 159 e 160 del registro ricorsi dell’anno 2012, hanno sollevato, in via principale, questione di legittimità costituzionale tra gli altri dell’art. 9, commi 1, 1-bis, 2, 3, 4, 5 e 6 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, in riferimento agli articoli 3, 97, 117, commi secondo, terzo, quarto e sesto, 118, 119 e 123 della Costitu-zione.

Per tutte le ricorrenti il punto centrale del dubbio di costituzionalità è costi-tuito, in sintesi, dalla asserita lesione della loro potestà legislativa in materia di «organizzazione regionale» di cui all’art. 117, comma quarto, Cost., dalla violazione dell’autonomia finanziaria degli enti locali di cui all’art. 119 Cost. e dalla assenza di titoli di legittimazione dello Stato ad adottare la disciplina in esame.

La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia lamenta anche la lesione da parte della norma impugnata degli artt. 4 e 54 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), che riserva alla competenza legislativa primaria della Regione la materia ordinamento de-gli uffici e degli Enti dipendenti dalla Regione mentre la Regione autonoma Sardegna lamenta anche la violazione degli artt. 3, comma l, lettere a), b) e q), e 7 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), ove si attribuisce alla Regione medesima la competenza legislativa esclusiva nelle materie «ordinamento degli uffici e degli enti amministrativi della Regione», «ordinamento degli enti locali e delle relative circoscrizioni» e «biblioteche e musei di enti locali».

Stante la connessione esistente tra i predetti ricorsi, i relativi giudizi devono essere riuniti per essere decisi con un’unica pronuncia, la quale avrà ad ogget-to esclusivamente le questioni di legittimità costituzionale delle disposizioni legislative sopra indicate, essendo riservata ad altre decisioni la valutazione delle restanti questioni sollevate coi medesimi ricorsi dalle sopraindicate Re-gioni.

2.– La Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia solleva le questioni di costitu-zionalità solo in via cautelativa qualora si ritenga l’art. 9 direttamente applica-bile anche a Regioni e Province autonome.

In realtà, secondo la ricorrente, le disposizioni del decreto-legge non sarebbero vincolanti per gli enti che godono di autonomia speciale, dovendosi applicare la clausola di salvaguardia di cui all’art. 24-bis del d.l. n. 95 del 2012, secondo la quale «fermo restando il contributo delle Regioni a statuto speciale e delle

province autonome di Trento e di Bolzano all’azione di risanamento così come determinata dagli articoli 15 e 16, comma 3, le disposizioni del presente de-creto si applicano alle predette regioni e province autonome secondo le proce-dure previste dai rispettivi statuti speciali e dalle relative norme di attuazione, anche con riferimento agli enti locali delle autonomie speciali che esercitano le funzioni in materia di finanza locale, agli enti ed organismi strumentali dei predetti enti territoriali e agli altri enti o organismi ad ordinamento regionale o provinciale».

2.1.– Le questioni sollevate dalle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna non sono fondate.

La clausola di salvaguardia prevista dall’art. 24-bis del d.l. n. 95 del 2012 ri-mette l’applicazione delle norme introdotte dal decreto alle procedure previste dagli statuti speciali e dalle relative norme di attuazione.

Tale clausola è stata introdotta, in sede di conversione, alla fine del testo del d.l. n. 95 del 2012, proprio per garantire che il contributo delle Regioni a sta-tuto speciale all’azione di risanamento venga realizzato rispettando i rapporti e i vincoli che gli statuti speciali stabiliscono tra livello nazionale e Regioni a statuto speciale. Essa dunque non costituisce una mera formula di stile, priva di significato normativo, ma ha la «precisa funzione di rendere applicabile il decreto agli enti ad autonomia differenziata solo a condizione che siano “ri-spettati” gli statuti speciali» (sentenza n. 241 del 2012) ed i particolari percorsi procedurali ivi previsti per la modificazione delle norme di attuazione degli statuti medesimi.

La previsione di una procedura “garantita” al fine di applicare agli enti ad au-tonomia speciale la normativa introdotta esclude, perciò, l’automatica effica-cia della disciplina prevista dal decreto-legge per le Regioni a statuto ordinario (sentenza n. 178 del 2012). Le norme dell’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012, dun-que, non sono immediatamente applicabili alle Regioni ad autonomia speciale, ma richiedono il recepimento tramite le apposite procedure prescritte dalla normativa statutaria e di attuazione statutaria.

La partecipazione delle Regioni e delle Province autonome alla procedura im-pedisce che possano introdursi norme lesive degli statuti e determina l’infon-datezza delle questioni sollevate dalle Regioni autonome Friuli-Venezia Giulia e Sardegna (sentenze n. 178 del 2012 e n. 145 del 2008).

3.– La prima delle questioni sollevate, comune ai restanti ricorsi delle Regioni Lazio e Veneto, riguarda il comma 1 dell’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012 il quale, nel dichiarato intento di realizzare il contenimento della spesa e il corrispon-dente conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica, stabilisce che «Regio-ni, Province e Comuni sopprimono o accorpano o, in ogni caso, assicurano la riduzione dei relativi oneri finanziari in misura non inferiore al 20%, enti, agenzie e organismi comunque denominati che esercitano, alla data di entrata in vigore del decreto, anche in via strumentale, funzioni fondamentali di cui all’art. 117, secondo comma, lett. p) Cost., o funzioni amministrative spettanti

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a Comuni, province e Città metropolitane ai sensi dell’art. 118 della Costitu-zione».

Vi è da premettere che, per la migliore comprensione della disposizione, sa-rebbe stato preferibile non spezzare il collegamento tra i primi due verbi («sop-primono o accorpano») e le parole che fungono da complemento oggetto («enti, agenzie e organismi comunque denominati»), spostando al termine della frase il terzo verbo e l’espressione cui viene a dare significato («o, in ogni caso, as-sicurano la riduzione dei relativi oneri finanziari in misura non inferiore al 20%»).

Secondo le Regioni ricorrenti, la norma sopra citata violerebbe l’art. 117, com-ma quarto, Cost. in quanto ascrivibile alla materia «organizzazione ammini-strativa» delle Regioni.

La Regione Lazio evoca anche la violazione dell’art. 123 Cost. perché i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento delle Regioni sono riservati all’autonomia statutaria.

La Regione Veneto lamenta inoltre l’illegittima compressione dell’autonomia finanziaria regionale in violazione degli artt. 117, comma terzo, e 118 Cost.

3.1.– La questione non è fondata.

In primo luogo, è necessario individuare l’ambito di applicazione dell’art. 9, comma 1, del d.l. n. 95 del 2012 in quanto le Regioni ricorrenti incorrono nell’erroneo presupposto interpretativo di ritenere che tale disposizione disci-plini anche l’accorpamento, la soppressione o la riduzione, nella misura del 20 per cento dei costi, degli enti, agenzie e organismi comunque denominati istituiti dalla Regione per lo svolgimento delle funzioni amministrative di pro-pria competenza.

Infatti, come si è detto, la principale delle censure svolte nei ricorsi in esame riguarda la violazione della competenza legislativa residuale delle Regioni in ordine alla materia «organizzazione amministrativa della Regione e degli enti pubblici regionali» rientrante nella competenza residuale delle Regioni ai sensi dell’art.117, comma quarto, Cost.

L’art. 9, comma 1, invece, prevede esclusivamente la soppressione, l’accorpa-mento e la riduzione dei costi di enti, agenzie o organismi comunque denomi-nati e di qualsiasi natura giuridica che svolgano funzioni fondamentali di cui all’articolo 117, comma secondo, lettera p), Cost. o funzioni amministrative spettanti a Comuni, Province e Città metropolitane ai sensi dell’art. 118 Cost.

La disposizione in esame individua, dunque, un criterio funzionale per circo-scriverne l’ambito di applicazione rivolgendosi solo ai soggetti – enti, agenzie e organismi comunque denominati – che operano nell’ambito di Comuni, Pro-vince e Città metropolitane.

Del resto, che gli enti strumentali delle Regioni siano esclusi dall’ambito di ap-plicazione della norma non è soltanto affermato nella Relazione al Senato del disegno di legge di conversione del decreto-legge n. 95 del 2012, nella quale si precisa che «Si introduce l’obbligo, con l’articolo 9, per gli enti territoriali di sopprimere o accorpare enti, agenzie ed organismi al fine di raggiungere una riduzione degli oneri finanziari non inferiore al 20 per cento» e ribadito dal Relatore che ha illustrato il provvedimento alla Commissione Bilancio della Camera nella seduta del 1° agosto 2012, ma risulta dalla stessa lettera della disposizione legislativa. Infatti la platea dei soggetti destinatari dell’intervento è costituita esclusivamente da quelli che esercitano, anche in via strumentale, funzioni fondamentali (ai sensi dell’art. 117, comma secondo, lettera p, Cost.) o funzioni amministrative spettanti ai suddetti enti locali ai sensi dell’art. 118 Cost. Il riferimento, nell’incipit della disposizione, alle “Regioni” deve, quindi, intendersi come una fuorviante indicazione del soggetto, dotato di potere legi-slativo, che, ai sensi del comma secondo dell’art. 118 Cost., può, unitamente allo Stato, conferire agli enti locali funzioni amministrative.

La disposizione che potrebbe interferire con l’organizzazione amministrativa regionale è il comma 5 dell’art. 9, che prevede l’obbligo per le Regioni di pro-cedere, ai fini del coordinamento della finanza pubblica, all’adeguamento ai principi di cui al comma 1 relativamente agli enti, agenzie ed organismi co-munque denominati e di qualsiasi natura, che svolgano, ai sensi dell’art. 118 Cost., funzioni conferite alle medesime Regioni.

Pertanto le censure delle ricorrenti aventi ad oggetto la violazione da parte dell’art. 9, comma 1, del d.l. n. 95 del 2012 della competenza legislativa resi-duale delle Regioni nella materia «organizzazione regionale» di cui all’art. 117, comma quarto, Cost. non sono fondate.

Per lo stesso motivo, non sono fondate anche le censure proposte rispetti-vamente dalla Regione Lazio in relazione alla violazione dell’art. 123 Cost., che rimette alla potestà statutaria la determinazione dei principi fondamentali dell’organizzazione regionale (nei limiti dei principi fondamentali) e quella del-la Regione Veneto, in relazione agli artt. 117, comma terzo, 118 e 119 Cost. per l’illegittima compressione dell’autonomia finanziaria regionale.

3.2.– La Regione Lazio impugna l’art. 9, comma 1, anche sotto il profilo dell’il-legittima imposizione agli enti locali, da parte del legislatore statale, dell’ob-bligo di soppressione o accorpamento di agenzie ed enti che esercitino funzio-ni fondamentali e funzioni loro conferite, in aperto contrasto con l’art. 117, comma sesto, Cost., che riconosce ai predetti enti la potestà regolamentare in ordine alla disciplina dell’organizzazione e dello svolgimento delle funzioni loro attribuite, le quali possono essere svolte anche attraverso enti, agenzie ed organismi vari.

La Regione Veneto, invece, lamenta la violazione, da parte della norma citata, dell’autonomia finanziaria degli enti locali di cui all’art. 119 Cost..

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Va premesso che tali censure sono ammissibili in quanto, secondo la giuri-sprudenza di questa Corte, le Regioni sono legittimate a denunciare l’illegitti-mità costituzionale di una legge statale anche per violazione delle competenze proprie degli Enti locali perché la «stretta connessione in particolare [...] in tema di finanza regionale tra le attribuzioni regionali e quelle delle autonomie locali consent(e) di ritenere che la lesione delle competenze locali sia poten-zialmente idonea a determinare una vulnerazione delle competenze regionali» (sentenze n. 298 del 2009, n. 169 del 2007, n. 95 del 2007, n. 417 del 2005 e n. 196 del 2004).

3.3.– Le questioni non sono fondate.

Il legislatore motiva la previsione di obblighi di soppressione o accorpamento o riduzione degli oneri finanziari con le «esigenze di coordinamento, consegui-mento degli obiettivi di finanza pubblica, (di) contenimento della spesa e […] migliore svolgimento delle funzioni amministrative».

Nella giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidato l’orientamento secon-do cui il legislatore statale può, con una disciplina di principio, legittimamente imporre alle Regioni e agli enti locali, per ragioni di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati anche dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti territoriali (ex pluri-mis, sentenze n. 182 del 2011, n. 207 e n. 128 del 2010).

Questi vincoli possono considerarsi rispettosi dell’autonomia delle Regioni e degli enti locali quando stabiliscono un «limite complessivo, che lascia agli enti stessi ampia libertà di allocazione delle risorse fra i diversi ambiti e obiettivi di spesa» (sentenza n. 182 del 2011, nonché sentenze n. 297 del 2009, n. 289 del 2008 e n. 169 del 2007).

In altri termini, le norme statali devono limitarsi a porre obiettivi di conteni-mento senza prevedere in modo esaustivo strumenti e modalità per il persegui-mento dei suddetti obiettivi in modo che rimanga uno spazio aperto all’eserci-zio dell’autonomia regionale (sentenza n. 182 del 2011). Inoltre, la disciplina dettata dal legislatore non deve ledere il canone generale della ragionevolezza e proporzionalità dell’intervento normativo rispetto all’obiettivo prefissato.

Sulla base delle considerazioni che precedono e in applicazione dei canoni in-terpretativi sopra indicati deve ritenersi che le disposizioni contenute nell’art. 9, comma 1, del d.l. n. 95 del 2012 costituiscono effettivamente espressione di principi fondamentali nella materia del coordinamento della finanza pubblica proprio per la chiara finalità di riduzione della spesa e per la proporzionalità dell’intervento rispetto al fine che il legislatore statale intende perseguire. La norma impugnata, infatti, dopo aver indicativamente previsto la possibilità di una soppressione o di un accorpamento degli «enti, agenzie e organismi comunque denominati», limita il contenuto inderogabile della disposizione al risultato di una riduzione del 20 per cento dei costi del funzionamento degli enti strumentali degli enti locali. In sostanza, l’accorpamento o la soppressio-

ne di taluni di questi enti può essere lo strumento, ma non il solo, per ottenere l’obiettivo di una riduzione del 20 per cento dei costi.

Per il raggiungimento di questo obiettivo, i commi 2 e 3 prevedono un duplice procedimento volto alla ricognizione di tali enti e all’individuazione dei crite-ri e della tempistica per l’attuazione del principio posto dal comma 1 con il coinvolgimento delle autonomie locali. Il comma 2 dell’art. 9, infatti, prevede che «con accordo sancito in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’articolo 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, si provvede alla complessiva ricognizione degli enti, delle agenzie e degli organismi, comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica di cui al comma 1» mentre il comma 3 rimanda l’individuazione dei criteri e della tempistica per l’attuazione della norma e per la definizione delle modalità di monitoraggio ad un’intesa «ai sensi dell’articolo 8, comma 6, della legge 5 giugno 2003, n. 131, e sulla base del principio di leale collaborazione».

Il legislatore statale ha, dunque, previsto un ampio coinvolgimento anche delle autonomie locali nell’individuare le modalità della riduzione dei costi degli enti strumentali mediante lo strumento dell’intesa in sede di Conferenza unificata ai sensi dell’art. 9 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 (Definizione ed ampliamento delle attribuzioni della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano ed unificazione, per le materie ed i compiti di interesse comune delle regioni, delle province e dei comuni, con la Conferenza Stato-città ed autonomie locali).

Deve, pertanto, ritenersi che quanto disposto dal comma in questione non comporti, di per sé, una indebita invasione dell’area riservata dall’art. 119 Cost. all’autonomia degli enti locali, cui la legge statale può legittimamente prescrivere criteri ed obiettivi di riduzione dei costi. Va anche sottolineato che l’obiettivo di riduzione degli oneri finanziari relativi agli enti strumentali in misura non inferiore al 20 per cento è rispettoso del canone generale della ragionevolezza e proporzionalità dell’intervento normativo rispetto alla sfera di autonomia degli enti locali.

4.– Il comma 1-bis dell’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012 è impugnato dalla sola Regione Veneto nella parte in cui esclude dall’ambito di applicazione del com-ma 1 le aziende speciali, gli enti e le istituzioni che gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi e culturali.

Secondo la ricorrente, tale disposizione impedirebbe alle Regioni il conteni-mento della spesa pubblica per il tramite della soppressione o dell’accorpa-mento o comunque della riduzione degli oneri finanziari di aziende speciali o di enti (o istituzioni) che gestiscano servizi socio-assistenziali, educativi e culturali.

4.1.– La questione non è fondata.

Infatti, come si è detto, gli enti strumentali delle Regioni sono esclusi dall’am-bito di applicazione del comma 1, che invece si rivolge solo a enti, agenzie e

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organismi comunque denominati che svolgono funzioni amministrative – fon-damentali o conferite – di Comuni, Province e Città metropolitane.

5.– La Regione Lazio impugna i commi 2 e 3 dell’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012 nella parte in cui prevedono una procedura concertata per la ricognizione di tutti gli «enti, agenzie e organismi» e per la definizione, mediante intesa, da adottarsi in sede di Conferenza unificata, dei «criteri e della tempistica» per l’attuazione della norma.

La ricorrente evidenzia l’eccessiva astrattezza e genericità del meccanismo vol-to all’individuazione dei criteri e della tempistica per l’attuazione della norma in assenza di titoli di legittimazione statale, non essendo le norme citate ascri-vibili alla competenza legislativa concorrente in materia di «coordinamento della finanza pubblica» di cui all’art. 117, comma terzo, Cost. e, in ogni caso, non potendosi qualificare le stesse quali norme di principio nella suddetta materia.

5.1.– La questione non è fondata.

Il processo di razionalizzazione degli enti pubblici strumentali, attraverso la loro trasformazione, soppressione o accorpamento, con l’obiettivo del conte-nimento dei costi, presenta problematiche particolarmente complesse in rela-zione alle esigenze di riorganizzazione dell’esercizio delle funzioni precedente-mente svolte dagli enti in oggetto e al trasferimento del personale dipendente.

Va ribadito ancora una volta che le disposizioni di cui ai commi 1, 2, 3 e 4 dell’art. 9 si rivolgono esclusivamente ad enti, agenzie e organismi comunque denominati che svolgono funzioni di Comuni, Province e Città metropolitane e, che pertanto, le stesse non ledono alcuna prerogativa organizzativa o finan-ziaria regionale.

Il legislatore statale, con le citate disposizioni, sempre in funzione dell’obiettivo di riduzione della spesa corrente per il funzionamento degli enti strumentali degli enti locali, si limita a individuare un procedimento che vede il più ampio coinvolgimento delle autonomie locali, oltre che delle stesse Regioni, mediante il meccanismo dell’intesa in sede di conferenza unificata, per stabilire concre-tamente le modalità con le quali deve essere raggiunto l’obiettivo prefissato di riduzione di spesa.

Ne consegue che le disposizioni impugnate, considerate nel loro insieme e in relazione al risultato finale che esse si prefiggono di raggiungere, non si pon-gono in contrasto con gli artt. 117, comma terzo, e 119 Cost., in quanto non prevedono «in modo esaustivo e puntuale strumenti o modalità per il persegui-mento» di obiettivi di riequilibrio finanziario, non introducono limiti puntuali a singole voci di spesa degli enti locali e, pertanto, non comportano alcuna indebita invasione dell’autonomia finanziaria degli enti locali (sentenze n. 182 del 2011, n. 207 e n. 128 del 2010).

6.– Le Regioni ricorrenti impugnano anche il comma 4 dell’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012.

Tale disposizione prevede che «decorsi nove mesi dalla data di entrata in vigore del decreto, se le Regioni, le Province e i Comuni non hanno dato attuazione a quanto disposto dal comma 1, gli enti, le agenzie e gli organismi indicati al medesimo comma 1 sono soppressi. Sono nulli gli atti successivamente adot-tati dai medesimi».

La Regione Lazio ritiene che detto comma violi l’art. 117, comma quarto, Cost. in quanto norma ascrivibile alla materia “organizzazione amministrativa” della Regione e l’art. 123 Cost. perché i principi fondamentali di organizzazione e funzionamento delle Regioni sono riservati all’autonomia statutaria.

La Regione Veneto afferma che la citata disposizione, introducendo precetti specifici e puntuali che chiaramente comprimono l’autonomia finanziaria re-gionale e degli enti locali, si porrebbe in contrasto con gli artt. 117, comma terzo, e 118 Cost. Ritiene anche violati gli artt. 3 e 97 Cost., in quanto sarebbe leso il principio di “ragionevolezza della legislazione”.

In particolare, la Regione lamenta, da un lato che la norma impugnata non consente il contenimento della spesa pubblica per il tramite della riduzione di voci di spesa diverse da quelle rappresentate dagli enti che svolgono deter-minate funzioni amministrative e dall’altro, che è impedito il contenimento della spesa pubblica per il tramite della soppressione o dell’accorpamento o comunque della riduzione degli oneri finanziari di aziende speciali o di enti (o istituzioni) che gestiscono servizi socio-assistenziali, educativi e culturali.

Va, preliminarmente, affermata l’ammissibilità di tutte le censure, anche se non riferite a parametri relativi al riparto delle competenze legislative.

Secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, infatti, le Regioni sono le-gittimate a denunciare la legge statale anche per la lesione di parametri diversi da quelli relativi al riparto delle competenze legislative ove la loro violazione comporti una compromissione delle attribuzioni regionali costituzionalmente garantite o ridondi sul riparto di competenze legislative (ex plurimis, sentenze n. 128 e n. 33del 2011, n. 156 e n. 52 del 2010).

Nel caso in esame l’automatica soppressione di tutti gli enti strumentali degli enti locali impedisce che questi possano svolgere anche le funzioni eventual-mente conferite ai medesimi dal legislatore regionale nell’esercizio delle pro-prie competenze legislative.

Risulta evidente, pertanto, che la questione, se pure sollevata in relazione agli artt. 3 e 97 Cost., coinvolga anche le attribuzioni costituzionali delle Regioni.

6.1.– La questione è fondata.

Il legislatore statale, decorso il termine di nove mesi dall’approvazione del de-creto-legge, sopprime in modo indistinto tutti gli enti strumentali che svolgono funzioni fondamentali o conferite di Province e Comuni senza che questi siano sufficientemente individuati.

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L’incertezza circa i soggetti destinatari della norma è tale che, come si è visto, lo stesso legislatore statale ha ritenuto necessario un procedimento concerta-to per la complessiva ricognizione degli enti, delle agenzie e degli organismi, comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica da sopprimere o accor-pare e per l’individuazione dei criteri e della tempistica per l’attuazione della norma.

Risulta palese, pertanto, la contraddittorietà della disposizione in esame, che stabilisce la soppressione ex lege di tutti gli enti comunque denominati allo scadere del termine di nove mesi dall’approvazione del decreto-legge non te-nendo conto della previsione di cui ai commi 2 e 3, istitutiva di un procedi-mento volto alla ricognizione dei suddetti enti e all’individuazione dei criteri e della tempistica per l’attuazione della norma con il coinvolgimento delle auto-nomie locali.

Inoltre, l’automatica soppressione di enti, agenzie e organismi comunque de-nominati e di qualsiasi natura giuridica che esercitano, anche in via strumen-tale, funzioni nell’ambito delle competenze spettanti a Comuni, Province, e Città metropolitane ai sensi dell’art. 118 Cost., prima che tali enti locali abbia-no proceduto alla necessaria riorganizzazione, pone a rischio lo svolgimento delle suddette funzioni, rischio ulteriormente aggravato dalla previsione della nullità di tutti gli atti adottati successivamente allo scadere del termine.

In conclusione, la difficoltà di individuare quali siano gli enti strumentali effet-tivamente soppressi e la necessità per gli enti locali di riorganizzare i servizi e le funzioni da questi svolte rendono l’art. 9, comma 4, del d.l. n. 95 del 2012 manifestamente irragionevole

Restano assorbite le restanti censure della norma in esame sollevate dalle Re-gioni Lazio e Veneto in relazione ad altri parametri.

7.– La Regione Veneto impugna anche il comma 5 dell’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012 nella parte in cui prevede che: «Ai fini del coordinamento della finanza pubblica, le regioni si adeguano ai principi di cui al comma 1 relativamente agli enti, agenzie ed organismi comunque denominati e di qualsiasi natura, che svolgono, ai sensi dell’articolo 118, della Costituzione, funzioni ammini-strative conferite alle medesime regioni».

Secondo la ricorrente, in tal modo il legislatore statale imporrebbe alle Regioni di ridurre una singola, specifica e ben individuata voce di spesa, in contrasto con gli artt. 117, comma terzo, e 119 Cost.

7.1.– La questione non è fondata.

Una volta riconosciuta al comma 1 dell’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012 la natura di normativa di principio nella materia concorrente del coordinamento della fi-nanza pubblica di cui all’art. 117, comma terzo, Cost. deve, a maggior ragione, riconoscersi la medesima natura anche al successivo comma 5.

Con tale disposizione, infatti, il legislatore statale ha fissato degli obiettivi di riduzione dei costi degli enti strumentali lasciando alle Regioni, nell’esercizio delle loro competenze, il più ampio spazio di autonomia per adeguarsi ai prin-cipi stabiliti dal comma 1. Infatti, mentre con riferimento alla riduzione dei co-sti degli enti strumentali degli enti locali, come si è visto, è stata prevista una procedura concertata particolarmente celere per dare attuazione alla norma, invece, per quanto riguarda le Regioni non è stato previsto alcun termine e non è stata imposta alcuna specifica modalità per l’adeguamento dell’ordina-mento regionale ai suddetti principi.

La disposizione impugnata, dunque, costituisce principio fondamentale di co-ordinamento della finanza pubblica (art. 117, comma terzo, Cost.) ed è pertan-to ascrivibile a tale titolo alla competenza legislativa concorrente dello Stato. Ne consegue che l’eventuale impatto di essa sull’autonomia finanziaria (119 Cost.) ed organizzativa (117, comma quarto, e 118 Cost.) delle Regioni si tra-duce in una «circostanza di fatto come tale non incidente sul piano della le-gittimità costituzionale» (sentenza n. 40 del 2010, n. 169 del 2007 e n. 36 del 2004).

8.– La Regione Veneto, infine, impugna il comma 6 dell’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012, ritenendo che tale disposizione, nella parte in cui vieta agli Enti locali di istituire enti, agenzie o organismi che esercitino una o più funzioni fondamen-tali e funzioni amministrative loro conferite ai sensi dell’art. 118 Cost., violi gli artt. 117, comma 2, lettera p), 118 e 119 Cost., perché, non disciplinando gli organi di governo e le funzioni fondamentali degli Enti locali, invade una ma-teria riservata alla potestà legislativa regionale e interferisce con l’autonomia amministrativa e finanziaria degli Enti locali oltre che con il potere di conferire funzioni amministrative agli Enti locali.

8.1.– La questione relativa al comma 6 dell’art. 9 del d.l. n. 95 del 2012 non è fondata nei sensi di seguito precisati.

La norma impugnata stabilisce il divieto per gli enti locali di istituire enti, agenzie e organismi comunque denominati e di qualsiasi natura giuridica, che esercitino una o più funzioni fondamentali e funzioni amministrative loro con-ferite ai sensi dell’articolo 118 Cost. Tale disposizione deve essere necessaria-mente coordinata con quanto stabilito nei commi precedenti e, in particolare, nel comma 1.

Infatti l’obiettivo del legislatore è esclusivamente la riduzione dei costi relativi agli enti strumentali degli enti locali nella misura almeno del 20 per cento, anche mediante la soppressione o l’accorpamento dei medesimi. Pertanto la disposizione in esame deve essere interpretata nel senso che il divieto di isti-tuire nuovi enti strumentali opera solo nei limiti della necessaria riduzione del 20 per cento dei costi relativi al loro funzionamento. Vale a dire che, se, com-plessivamente, le spese per «enti, agenzie e organismi comunque denominati» di cui ai commi 1 e 6 del citato art. 9, resta al di sotto dell’80 per cento dei precedenti oneri finanziari, non opera il divieto di cui al comma 6.

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Una siffatta interpretazione, costituzionalmente orientata, si rende necessaria anche per consentire agli enti locali di dare attuazione al comma 1 mediante l’accorpamento degli enti strumentali che svolgono funzioni fondamentali o conferite. In tal modo, infatti, gli enti locali potranno procedere all’accorpa-mento degli enti strumentali esistenti anche mediante l’istituzione di un nuo-vo soggetto, purché sia rispettato l’obiettivo di riduzione complessiva dei costi.

Per Questi Motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riservata a separate pronunce ogni decisione sulle ulteriori questioni di le-gittimità costituzionale aventi ad oggetto altre disposizioni del decreto-legge oggetto di impugnazione;

riuniti i giudizi;

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 4, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 (Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario), convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, commi 1, 2, 3, 5 e 6, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con mo-dificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, sollevata, in riferimento agli articoli 4 e 54 della legge costituzionale 31 gennaio 1963, n. 1 (Statuto speciale della Regione Friuli-Venezia Giulia), dalla Regione autonoma Friuli-Venezia Giulia con il ricorso indicato in epigrafe;

3) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, commi 1, 2 e 3, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 7 della legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3 (Statuto speciale per la Sardegna), dalla Regione autonoma Sardegna con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 9, commi 1, 1-bis, 2, 3 e 5, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con mo-dificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, sollevate, in riferimento agli articoli 3, 97, 117, commi secondo, lettera p), terzo, quarto e sesto, 118, 119 e 123 della Costituzione, dalle Regioni Lazio e Veneto con i ricorsi indicati in epigrafe;

5) dichiara non fondate – nei sensi di cui in motivazione – le questioni di le-gittimità costituzionale dell’articolo 9, comma 6, del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 135 del 2012, sollevate, in riferimento agli artt. 3, 97, 117, commi secondo e quarto, 118 e 119 della Co-

stituzione, dalla Regione Veneto con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Con-sulta, il 17 luglio 2013.

F.to:

Franco GALLO, Presidente

Paolo Maria NAPOLITANO, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 24 luglio 2013.

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CORTE COST., SENT. N. 50/2013 (GIUDIZIO IN VIA PRINCIPALE - LEGGE DELLA REGIONE ABRUZZO - ISTITUZIONE DELLE ASSI [ASSEMBLEE DEI SINDACI] QUALE ORGANO CONSULTIVO DELL’ERSI [ENTE REGIONALE PER IL SERVIZIO IDRICO INTEGRATO], CHE HA ASSUNTO TUTTE LE FUN-ZIONI DELLE SOPPRESSE AUTORITÀ D’AMBITO - TUTELA DELL’AMBIEN-TE - NON FONDATEZZA - PREVISIONE DI PARERI VINCOLANTI DA PARTE DELLE ASSI NELL’AMBITO DELLE ATTIVITÀ PIANIFICATORIE DELL’ERSI - TUTELA DELL’AMBIENTE E TUTELA DELLA CONCORRENZA - ILLEGITTIMI-TÀ COSTITUZIONALE - PREVISIONE DI SVOLGIMENTO DEL CONTROLLO ANALOGO SUI GESTORI IN HOUSE DEL SERVIZIO MEDIANTE PARERI NON VINCOLANTI - VIOLAZIONE DELL’ART. 117, COMMA 1, COST. PER MANCA-TO RISPETTO DEI PRINCIPI EUROPEI SULL’AFFIDAMENTO IN HOUSE - IL-LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE)

SENTENZA N. 50

ANNO 2013

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Luigi MAZZELLA Presidente

Gaetano SILVESTRI Giudice

Giuseppe TESAURO “

Paolo Maria NAPOLITANO “

Giuseppe FRIGO “

Alessandro CRISCUOLO “

Paolo GROSSI “

Giorgio LATTANZI “

Aldo CAROSI “

Marta CARTABIA “

Sergio MATTARELLA “

Mario Rosario MORELLI “

Giancarlo CORAGGIO “

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 10, 11, primo perio-do, 14 e 16, della legge della Regione Abruzzo 12 aprile 2011, n. 9 (Norme in materia di Servizio Idrico Integrato della Regione Abruzzo), promosso dal Pre-sidente del Consiglio dei ministri con ricorso spedito per la notifica il 1° luglio 2011, ricevuto il successivo 6 luglio, depositato in cancelleria l’11 luglio, ed iscritto al n. 67 del registro ricorsi 2011.

Visto l’atto di costituzione della Regione Abruzzo;

udito nell’udienza pubblica del 13 marzo 2013 il Giudice relatore Gaetano Silvestri;

uditi l’avvocato dello Stato Giustina Noviello per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Federico Tedeschini per la Regione Abruzzo.

Ritenuto in fatto

1.– Con ricorso spedito per la notifica il 1° luglio 2011, ricevuto il successivo 6 luglio e depositato l’11 luglio, il Presidente del Consiglio dei ministri, rappre-sentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 10, 11, primo periodo, 14 e 16, della legge della Regione Abruzzo 12 aprile 2011, n. 9 (Norme in materia di Servizio Idrico Integrato della Regione Abruzzo), per violazione dell’art. 117, primo e secondo comma, lettere e) ed s), della Costituzione.

1.1.– Il ricorrente assume in premessa che la normativa impugnata sarebbe ascrivibile all’ambito materiale della gestione delle risorse idriche, rientrante nella competenza legislativa esclusiva statale in tema di tutela dell’ambiente e dell’ecosistema (ex art. 117, secondo comma, lettera s, Cost.) e di tutela della concorrenza (ex art. 117, secondo comma, lettera e, Cost.).

Da quanto appena detto discenderebbe la natura vincolante, nei confronti del legislatore regionale, delle norme recate dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale), «che costituiscono standards minimi ed uniformi di tutela dell’ambiente validi sull’intero territorio nazionale». Siffatta ricostruzione avrebbe trovato conferma, da ultimo, nelle sentenze della Corte costituzionale n. 187 e n. 44 del 2011.

1.2.– Sulla base di tali premesse il ricorrente ritiene che debbano essere cen-surati i commi 11, 12 (recte: 10) e 14 dell’art. 1 della legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011.

Il comma 10 stabilisce: «In ciascuna Provincia del territorio regionale è istitu-ita l’assemblea dei sindaci – di seguito denominata ASSI – per l’esercizio delle competenze nelle materie assegnate agli enti locali dalla legislazione statale e regionale, in particolare i compiti di organizzazione del Servizio, di adozione

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del piano d’ambito provinciale, di scelta della forma di gestione, di determina-zione e modulazione delle tariffe all’utenza, di affidamento della gestione. L’as-semblea dei sindaci si riunisce su base provinciale e si articola nei subambiti territoriali corrispondenti agli ambiti di competenza dei singoli soggetti gestori che operano nella Regione. La partecipazione ai lavori dell’assemblea è gratu-ita».

Il comma 11, primo periodo, dispone: «L’ASSI, nell’ambito delle competenze materiali e territoriali di cui al comma 10, esprime in via ordinaria pareri ob-bligatori e vincolanti all’ERSI».

Infine, il comma 14 prevede: «L’ERSI propone gli atti fondamentali di piani-ficazione e di programmazione del Servizio alle ASSI, che esprimono parere obbligatorio e vincolante. L’ERSI coordina ed unifica a livello regionale le de-liberazioni delle ASSI al fine di mantenere l’uniformità di azione sull’intero territorio regionale, sentita la Commissione del Consiglio regionale competen-te, che deve esprimersi in via definitiva entro e non oltre i ventuno (21) giorni successivi alla richiesta da parte dell’ERSI. Il parere si intende reso in senso favorevole qualora la Commissione consiliare non si pronunci in via definitiva nel termine perentorio su indicato».

La richiamata normativa regionale si porrebbe in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., «per il tramite della normativa statale di ri-ferimento in materia ambientale, da considerarsi quale disciplina interposta», ed in particolare dell’art. 149, comma 3, secondo periodo, del d.lgs. n. 152 del 2006.

L’art. 149 – posto nel Titolo II (dedicato al «Servizio idrico integrato») della Sezione III del citato d.lgs. n. 152 del 2006 – prevede che l’Autorità d’ambito provveda alla predisposizione e/o aggiornamento del piano d’ambito, il quale è costituito, tra l’altro, dal «programma degli interventi». Ai sensi del citato art. 149, comma 3, secondo periodo, «il programma degli interventi, commisurato all’intera gestione, specifica gli obiettivi da realizzare, indicando le infrastrut-ture a tal fine programmate e i tempi di realizzazione».

Il ricorrente ritiene che le previsioni della legge regionale si pongano in contra-sto con le anzidette norme statali, specie là dove la prima prevede (comma 10) l’istituzione in ciascuna Provincia di un’assemblea dei sindaci (ASSI), che si riunisce su base provinciale e si articola nei sub-ambiti territoriali corrispon-denti agli ambiti di competenza dei singoli soggetti gestori che operano nella Regione.

Secondo la difesa statale, l’attribuzione all’assemblea dei sindaci della com-petenza ad adottare il piano d’ambito provinciale porrebbe l’assemblea stessa in una posizione di egemonia rispetto all’ente regionale per il servizio idrico integrato (ERSI), che costituisce il soggetto competente per l’ambito territoriale unico regionale (ATUR).

La denunciata egemonia discenderebbe, in particolare, dalla previsione di un parere, non solo obbligatorio, ma anche vincolante da parte delle ASSI all’ER-SI, che renderebbe difficilmente realizzabile il ruolo di coordinamento a livello regionale delle deliberazioni delle ASSI, assegnato dalla legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011 all’ERSI.

In sostanza, i commi censurati attribuirebbero all’ERSI il compito di «coordi-nare una somma di distinti Piani d’ambito provinciale, piuttosto che comporre la sintesi degli stessi, in modo pienamente coerente con quanto stabilito dal citato art. 149, comma 3, secondo periodo». Al riguardo, il ricorrente ritiene che sarebbe stato necessario demandare all’ERSI la funzione di redigere un autonomo e unitario piano d’ambito (su scala regionale) e di procedere alla sua adozione.

Sarebbe, pertanto, negata la necessaria prospettiva d’insieme che solo un pia-no d’ambito unitario potrebbe assicurare a tutela delle comunità locali e degli utenti.

Il ricorrente osserva che, mentre la normativa statale prevede un programma unitario di interventi ed obiettivi, ponendo in capo all’AATO (ed ora ai soggetti individuati dalle Regioni ai sensi dell’art. 2, comma 186-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato. Legge finanziaria 2010») le funzioni di piani-ficazione, le norme regionali impugnate prevedono espressamente che «L’ERSI coordina ed unifica a livello regionale le deliberazioni delle ASSI al fine di man-tenere l’uniformità di azione sull’intero territorio regionale». Di conseguenza, le esigenze di unitarietà sarebbe assicurate, nella normativa regionale, «solo dalla funzione di “coordinamento” e non dalla pianificazione stessa».

1.3.– Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna anche il comma 16 dell’art. 1 della legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011, secondo cui «In conformità alla normativa vigente, il controllo analogo sui gestori in house del Servizio è svolto dall’ERSI ovvero dal Commissario di cui al successivo comma 19. Il con-trollo analogo è esercitato, nel rispetto dell’autonomia gestionale del soggetto gestore, attraverso parere obbligatorio sugli atti fondamentali del soggetto ge-store in house».

La difesa statale contesta la previsione secondo cui il «controllo analogo», svol-to dall’ERSI sui gestori in house del Servizio idrico integrato, debba essere esercitato «solo mediante pareri obbligatori – ma non vincolanti – ed in più con l’obbligo di rispettare l’“autonomia gestionale” dei soggetti gestori».

La norma anzidetta, a parere del ricorrente, non sarebbe in linea con il diritto dell’Unione europea, come applicato dalla Corte di giustizia (è richiamata la sentenza 13 novembre 2008, in causa C-324/07), e quindi con l’art. 117, pri-mo comma, Cost.; il censurato comma 16 si porrebbe, inoltre, in contrasto con l’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost.

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1.3.1.– Quanto alla violazione del diritto dell’Unione europea, la difesa statale sottolinea come l’in house providing costituisca un modello eccezionale, i cui requisiti devono essere interpretati con rigore, poiché costituiscono una dero-ga alle regole generali del diritto dell’Unione europea imperniate sul modello della competizione aperta.

Il ricorrente precisa, altresì, che la giurisprudenza europea e nazionale ha definito i caratteri essenziali del cosiddetto controllo analogo, richiedendo, a tal fine, un controllo strutturale, non limitato agli aspetti formali, ma effettivo e svincolato da qualsiasi condizione, futura ed eventuale. In particolare, la Corte di giustizia ha interpretato in maniera restrittiva l’affidamento dei ser-vizi tramite in house providing, riconducendo il concetto di controllo da par-te dell’amministrazione affidante alla possibilità di quest’ultima di esercitare un’influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni più importanti. Questo controllo non sarebbe assicurato dalla sola detenzione in mano pubblica dell’intero capitale sociale della società (è richiamata la sen-tenza 6 aprile 2006, in causa C-410/04).

In definitiva, la difesa statale ritiene che il requisito del «controllo analogo» postuli un rapporto tra gli organi della società affidataria e l’ente pubblico affidante, tale che «quest’ultimo sia in grado, con strumenti pubblicisti o con mezzi societari di derivazione privatistica, di indirizzare “tutta” l’attività socia-le attraverso gli strumenti previsti dall’ordinamento». Al riguardo, è citata la sentenza del Consiglio di Stato, sez. V, 7 aprile 2011, n. 2151, nella quale si afferma che «ad avviso delle istituzioni comunitarie per controllo analogo s’in-tende un rapporto equivalente, ai fini degli effetti pratici, ad una relazione di subordinazione gerarchica; tale situazione si verifica quando sussiste un con-trollo gestionale e finanziario stringente dell’ente pubblico sull’ente societario. In detta evenienza, pertanto, l’affidamento diretto della gestione del servizio è consentito senza ricorrere alle procedure di evidenza pubblica prescritte dalle disposizioni comunitarie».

Il ricorrente evidenzia, altresì, come sia stata affermata la necessità che il consiglio di amministrazione della società affidataria in house non sia titolare di rilevanti poteri gestionali e che l’ente pubblico affidante eserciti, pur se con moduli societari su base statutaria, poteri di ingerenza e di condizionamento superiori a quelli tipici del diritto societario, caratterizzati da un margine di rilevante autonomia della governance rispetto alla maggioranza azionaria (è citata la sentenza del Consiglio di Stato, sez. VI, 3 aprile 2007, n. 1514). Ne deriva un modello di gestione in cui le decisioni più importanti devono essere sottoposte al vaglio preventivo dell’ente affidante o, in caso di “in house frazio-nato”, della totalità degli enti pubblici soci.

La difesa statale ritiene, pertanto, che la norma regionale impugnata, preve-dendo solo un parere obbligatorio ma non vincolante da parte dell’ente pub-blico affidante sulle scelte del gestore in house del servizio ed imponendo il ri-spetto dell’autonomia gestionale del soggetto affidatario, configuri «un sistema che svuota di contenuto il c.d. controllo analogo e, quindi, aggira il divieto di

affidamento del servizio “in house” solo in via eccezionale e […] i principi ge-nerali del diritto comunitario, tra cui la non discriminazione, la parità di trat-tamento, la trasparenza». Da quanto appena detto discenderebbe la violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.

1.3.2.– In riferimento al parametro costituzionale di cui all’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., il ricorrente sostiene che la violazione delle regole della concorrenza derivi dalla mancata previsione di un controllo effettivo e strutturale sui soggetti in house da parte dell’ente pubblico locale. La norma regionale impugnata, infatti, consentirebbe a soggetti svincolati da un control-lo stringente dell’ente pubblico locale la gestione in house del servizio idrico.

2.– La Regione Abruzzo si è costituita in giudizio chiedendo che le questioni prospettate siano dichiarate inammissibili o infondate.

2.1.– In via preliminare, la resistente contesta l’ascrivibilità delle norme impu-gnate alle materie della tutela dell’ambiente e della tutela della concorrenza, evidenziando le differenze esistenti fra le norme in esame e quelle oggetto dei giudizi decisi con le sentenze della Corte costituzionale n. 187 e n. 44 del 2011.

Le norme regionali sottoposte all’odierno scrutinio riguarderebbero, piuttosto, la materia dell’organizzazione del servizio idrico integrato sul territorio regio-nale e l’allocazione delle funzioni amministrative di cui erano titolari le sop-presse autorità d’ambito. Al riguardo, la Regione Abruzzo avrebbe «corretta-mente esercitato la delega assegnatale dall’art. 2, comma 186-bis, della legge n. 191 del 2009», secondo cui «entro un anno dalla data di entrata in vigore della presente legge, le regioni attribuiscono con legge le funzioni già eserci-tate dalle Autorità, nel rispetto dei princìpi di sussidiarietà, differenziazione e adeguatezza».

La difesa regionale fa altresì notare che già l’art. 9 della legge 5 gennaio 1994, n. 36 (Disposizioni in materia di risorse idriche) e, successivamente, l’art. 148 del d.lgs. n. 152 del 2006 attribuivano alle Regioni il potere di disciplinare le forme ed i modi della cooperazione tra gli enti locali ricadenti nel medesimo ambito ottimale. Entrambe le disposizioni da ultimo citate sono state abroga-te, ma il citato comma 186-bis dell’art. 2 della legge n. 191 del 2009 avrebbe nuovamente assegnato alle Regioni il compito di organizzare il servizio sul proprio territorio; compito che la Regione Abruzzo avrebbe assolto con la legge impugnata.

2.2.– In ordine alle impugnative proposte nei confronti dei commi 10, 11 e 14 dell’art. 1 della legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011, la resistente eccepisce, in via preliminare, la genericità delle censure.

Nel merito, la resistente, dopo aver richiamato il disposto dell’art. 142 del d.lgs. n. 152 del 2006 e del comma 186-bis dell’art. 2 della legge n. 191 del 2009, precisa che la finalità delle norme impugnate è quella di realizzare un modello di gestione «in grado di far convergere tutto il sistema delle autonomie locali nel nuovo soggetto d’ambito e di assicurare la presenza di tutti i livelli di governo presenti sul territorio regionale».

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In particolare, la partecipazione della Regione sarebbe assicurata attraverso l’autorità d’ambito regionale, rappresentata dall’ERSI; la partecipazione delle Province si realizzerebbe riconoscendo loro un ruolo di coordinamento degli enti locali, mediante la presidenza e la direzione delle ASSI, formate su base provinciale; infine, la partecipazione dei Comuni sarebbe garantita dalla loro presenza in seno alle ASSI e dall’attribuzione del potere di esprimere pareri obbligatori e vincolanti. Infine, le Province, attraverso i loro presidenti, e quat-tro sindaci, in rappresentanza degli enti locali, sono componenti del Consiglio di amministrazione dell’ERSI.

La resistente richiama, altresì, la sentenza della Corte costituzionale n. 128 del 2011, nella quale si precisa che il comma 186-bis dell’art. 2 della legge n. 191 del 2009 «riserva al legislatore regionale un’ampia sfera di discrezionali-tà, consentendogli di scegliere i moduli organizzativi più adeguati a garantire l’efficienza del servizio idrico integrato e del servizio di gestione ugualmente integrato dei rifiuti urbani, nonché forme di cooperazione fra i diversi enti ter-ritoriali interessati».

La legge regionale impugnata avrebbe realizzato l’unitarietà della gestione del servizio idrico integrato, attraverso la costituzione di un unico ambito terri-toriale ottimale (ATUR), ed al contempo avrebbe migliorato il sistema di con-trollo sulle gestioni «collocandolo presso un soggetto altamente specializzato e competente». La scelta della Regione sarebbe, del resto, in linea con le com-petenze riconosciute alla stessa dalla Costituzione, dall’art. 142, commi 2 e 3, del d.lgs. n. 152 del 2006 e dall’art. 2, comma 186-bis, della legge n. 191 del 2009. Queste disposizioni, infatti, avrebbero sancito «in maniera indiscutibile un obbligo di coinvolgimento degli enti locali nei processi di organizzazione, indirizzo e controllo del servizio idrico integrato».

La difesa regionale conclude sul punto rilevando come all’ERSI spetti non solo «proporre» alle ASSI gli atti fondamentali di pianificazione e di programmazio-ne del servizio, ma anche «unificare i documenti di pianificazione e garantire l’uniformità di indirizzo e di azione sull’intero territorio regionale» (art. 1, com-ma 14, della legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011).

In ordine all’asserita violazione dell’art. 149, comma 3, del d.lgs. n. 152 del 2006, la resistente ritiene che dalla lettura sistematica dell’intera legge regio-nale, recante le norme censurate, si evinca la natura autonoma e unitaria del piano d’ambito regionale, che non sarebbe costituito dalla mera «somma di di-stinti piani d’ambito provinciali» ma deriverebbe dall’attività di coordinamento e di unificazione svolta dall’ERSI su scala regionale.

2.3.– Quanto all’impugnativa proposta nei confronti del comma 16 dell’art. 1 della legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011, la resistente, dopo aver precisato che la predetta disposizione reca nell’incipit l’obbligo a conformarsi «alla norma-tiva vigente», evidenzia come il legislatore regionale abbia «inteso declinare il potere di direzione dell’ERSI sui soggetti affidatari in house del servizio idrico integrato con la previsione di pareri obbligatori su tutti gli atti fondamentali

di gestione, ai quali gli affidatari medesimi sono tenuti ad adeguarsi, nel qua-dro delle proprie scelte gestionali». In questo modo sarebbe stata configurata quella situazione di «effettivo controllo e di orientamento dell’attività della so-cietà controllata», richiesta dalla normativa e dalla giurisprudenza dell’Unione europea per giustificare l’affidamento diretto.

L’art. 1, comma 16, inoltre, risulterebbe in linea con la normativa statale in materia, «almeno con quella vigente al momento della sua entrata in vigore». È richiamato, al riguardo, l’art. 15, comma 1-ter, del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee), con-vertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 20 novembre 2009, n. 166, il quale stabilisce che «tutte le forme di affidamento della gestione del servizio idrico integrato […] devono avvenire nel rispetto dei principi di autono-mia gestionale del soggetto gestore». La norma da ultimo citata sarebbe volta a garantire che l’ingerenza e il controllo sugli atti fondamentali delle società che gestiscono il servizio non comprimano, in modo assoluto, quel minimo di autonomia imprescindibilmente connessa alla loro natura di soggetti che svol-gono un’attività di carattere industriale.

Sulla base delle considerazioni che precedono, la resistente ritiene che il cen-surato comma 16 non si ponga in contrasto né con il diritto dell’Unione euro-pea né con le norme poste dal legislatore nazionale a tutela della concorrenza.

Considerato in diritto

1.– Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvoca-tura generale dello Stato, ha promosso questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1, commi 10, 11, primo periodo, 14 e 16, della legge della Regione Abruzzo 12 aprile 2011, n. 9 (Norme in materia di Servizio Idrico Integrato della Regione Abruzzo), per violazione dell’art. 117, primo e secondo comma, lettere e) ed s), della Costituzione.

2.– Il ricorrente impugna, innanzitutto, i commi 10, 11 e 14 dell’art. 1 della legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011 per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., «per il tramite della normativa statale di riferimento in mate-ria ambientale, da considerarsi quale disciplina interposta», ed in particolare dell’art. 149, comma 3, secondo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambientale).

I commi censurati, prevedendo un parere, non solo obbligatorio, ma anche vincolante da parte delle ASSI (Assemblee dei sindaci) all’ERSI (Ente regionale per il servizio idrico integrato), attribuirebbero a quest’ultimo il compito di «co-ordinare una somma di distinti Piani d’ambito provinciale, piuttosto che com-porre la sintesi degli stessi, in modo pienamente coerente con quanto stabilito dal citato art. 149, comma 3, secondo periodo».

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Sarebbe, pertanto, negata la necessaria prospettiva d’insieme che solo un pia-no d’ambito unitario potrebbe assicurare a tutela delle comunità locali e degli utenti.

3.– Preliminarmente, si deve rilevare che, nel periodo intercorso tra l’impugna-zione e la discussione delle questioni in esame, i commi 10 e 14 sono stati mo-dificati dalla legge della Regione Abruzzo 17 luglio 2012, n. 34 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 3 agosto 2011, n. 25 recante: “Disposizioni in materia di acque con istituzione del fondo speciale destinato alla perequazione in favore del territorio montano per le azioni di tutela delle falde e in materia di proventi relativi alle utenze di acque pubbliche”, integrazione alla legge regio-nale 17 aprile 2003, n. 7 recante: “Disposizioni finanziarie per la redazione del bilancio annuale 2003 e pluriennale 2003-2005 della Regione Abruzzo – legge finanziaria regionale 2003”, modifiche alla legge regionale 12 aprile 2011, n. 9 recante “Norme in materia di Servizio Idrico Integrato della Regione Abruzzo” e modifica all’art. 63 della L.R. n. 1/2012 recante: Legge finanziaria regionale 2012).

In particolare, nel comma 10 sono stati inseriti due nuovi periodi, i quali pre-vedono che «L’Assemblea dei Sindaci è integrata dai Sindaci dei Comuni di altre province che sono soci del soggetto gestore che opera prevalentemente nella provincia. Le maggioranze e le presenze previste nel comma 11 e nei regolamenti di cui al comma 12 sono determinate tenendo conto di tale inte-grazione».

Nel secondo periodo del comma 14, invece, sono state inserite, dopo le parole «deliberazioni delle ASSI», le seguenti «superando eventuali contrasti».

Si tratta di modifiche che non incidono sulla sostanza normativa oggetto dell’impugnativa statale; pertanto, le questioni promosse mantengono inalte-rata la loro attualità e devono intendersi trasferite sul testo oggi vigente delle disposizioni censurate.

4.– La questione di legittimità costituzionale dei commi 10, 11 e 14 è parzial-mente fondata, nei termini di seguito precisati.

4.1.– Il servizio idrico integrato è stato qualificato da questa Corte come «servi-zio pubblico locale di rilevanza economica» (sentenza n. 187 del 2011), pur nel rilievo che tale espressione non è mai utilizzata in ambito comunitario (sen-tenza n. 325 del 2010). La giurisprudenza costituzionale è inoltre univoca nel ritenere che la disciplina normativa di tale servizio ricade nelle materie della «tutela della concorrenza» e della «tutela dell’ambiente», entrambe di compe-tenza legislativa esclusiva dello Stato. Di conseguenza, la potestà legislativa regionale deve contenersi nei limiti, negativi e positivi, tracciati dalla legisla-zione statale.

4.2.– Per quanto riguarda le Autorità d’ambito, preposte alla programmazione ed alla gestione del servizio idrico integrato nel territorio delle Regioni, l’art. 2, comma 186-bis, della legge 23 dicembre 2009, n. 191 (Disposizioni per la

formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – legge finanziaria 2010), nel sopprimere le Autorità d’ambito territoriale, di cui agli artt. 148 e 201 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (Norme in materia ambienta-le), ha stabilito che «le regioni attribuiscono con legge le funzioni già esercitate dalle Autorità, nel rispetto dei principi di sussidiarietà, differenziazione e ade-guatezza».

Con la modifica del 2009, la legislazione statale ha inteso realizzare, mediante l’attuazione dei principi di cui sopra, una razionalizzazione nella programma-zione e nella gestione del servizio idrico integrato, superando la precedente frammentazione. Perché ciò avvenga, è innanzitutto necessario che i soggetti cui sono affidate le funzioni abbiano una consistenza territoriale adeguata, ma è anche indispensabile che i piani d’ambito abbiano natura integrata e uni-taria, in modo da realizzare l’efficienza, l’efficacia e l’economicità del servizio.

5.– La Regione Abruzzo, avvalendosi degli spazi di autonomia ad essa ricono-sciuti dalla legge statale (art. 2, comma 186-bis, della legge n. 191 del 2009) e dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 128 del 2011), ha previsto (art. 1, comma 5, della legge reg. n. 9 del 2011), per il servizio idrico integrato, un ambito territoriale unico regionale (ATUR), coincidente con l’intero territo-rio regionale, ed un unico soggetto d’ambito competente (ente regionale per il servizio idrico – ERSI), al quale sono attribuite tutte le funzioni già assegnate alle soppresse Autorità d’ambito.

L’art. 1, comma 10, della stessa legge regionale istituisce l’assemblea dei sin-daci (ASSI) in ciascuna Provincia della Regione, «per l’esercizio delle competen-ze nelle materie assegnate agli enti locali dalla legislazione statale e regionale». L’ASSI, «nell’ambito delle competenze materiali e territoriali di cui al comma 10, esprime in via ordinaria pareri obbligatori e vincolanti all’ERSI» (art. 1, comma 11). Inoltre, «l’ERSI propone gli atti fondamentali di pianificazione e di programmazione del Servizio alle ASSI, che esprimono parere obbligatorio e vincolante» (art. 1, comma 14).

5.1.– Si deve al riguardo osservare che il rispetto dei principi di sussidiarietà, di differenziazione e di adeguatezza, richiamati dal sopra citato art. 2, comma 186-bis, della legge n. 191 del 2009, implica che non possa essere trascura-to, nella prefigurazione normativa regionale della struttura e delle funzioni dei soggetti attributari dei servizi, il ruolo degli enti locali e che debba essere prevista la loro cooperazione in vista del raggiungimento di fini unitari nello spazio territoriale che il legislatore regionale reputa ottimale. Si deve ritenere, pertanto, che un organismo come l’assemblea dei sindaci (ASSI) ben si inseri-sca nell’organizzazione dell’ente regionale unitario, allo scopo di mantenere un costante rapporto tra programmazione e gestione del servizio su scala regiona-le ed esigenze dei singoli territori compresi nell’ambito complessivo dell’ERSI.

Per tale ragione, la questione di legittimità costituzionale del comma 10 dell’art. 1 della legge della Regione Abruzzo n. 9 del 2011 non è fondata.

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5.2.– La presenza attiva dei Comuni nell’organizzazione e nell’esercizio delle funzioni dell’ente regionale non può tuttavia privare quest’ultimo della potestà di decidere in via definitiva, operando una sintesi delle diverse istanze e dei concorrenti, e in ipotesi divergenti, interessi delle singole comunità territoriali sub-regionali. La stessa legge regionale impugnata, dopo la modifica introdot-ta nel comma 14 dell’art. 1, prevede che il coordinamento e l’unificazione, a livello regionale, delle deliberazioni delle ASSI avvenga «superando eventuali contrasti». Ciò in coerenza con l’art. 149, comma 3, secondo periodo, del d.lgs. n. 152 del 2006 – evocato dal ricorrente come norma interposta ai fini del presente giudizio – che così stabilisce: «Il programma degli interventi, com-misurato all’intera gestione, specifica gli obiettivi da realizzare, indicando le infrastrutture a tal fine programmate e i tempi di realizzazione».

Emerge dalla disposizione statale sopra citata – nel suo complesso ed anche al di là dell’inciso sopra riportato – la natura necessariamente unitaria del piano d’ambito affidato alla competenza dell’ente regionale. Tale unitarietà si pone tuttavia in contrasto con l’effetto vincolante attribuito dalle norme regionali impugnate ai pareri espressi dall’Assemblea dei sindaci, portatori di istanze potenzialmente frammentarie, di cui si deve tener conto nella redazione del piano regionale, ma che non possono condizionare in modo insuperabile l’at-tività programmatoria e pianificatoria dell’ente regionale attributario del ser-vizio. La natura vincolante del parere dell’ASSI finisce per vanificare di fatto, nel territorio della Regione Abruzzo, l’intento razionalizzatore ed efficientistico della riforma statale, con cui sono state soppresse le preesistenti Autorità d’ambito.

Per i motivi sopra specificati, si deve dichiarare l’illegittimità costituzionale dei commi 11 e 14 dell’art. 1 della legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011, limitatamente alle parole «e vincolanti» nel comma 11 e alle parole «e vincolante» nel comma 14, per contrasto con l’art. 149 del d.lgs. n. 152 del 2006, quale norma inter-posta, rispetto all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost.

5.3.– Per le ragioni evidenziate nel paragrafo precedente, deve essere dichia-rata, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 15, della legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011, limitatamente alle parole «e vincolante».

6.– Il ricorrente impugna, inoltre, l’art. 1, comma 16, secondo periodo, della legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost., in quanto la previsione di un parere obbligatorio ma non vincolante da parte dell’ente pubblico affidante sul gestore in house del servizio, e del rispet-to dell’autonomia gestionale del soggetto affidatario, delineerebbe «un sistema che svuota di contenuto il c.d. controllo analogo e, quindi, aggira il divieto di affidamento del servizio “in house” solo in via eccezionale e […] i principi ge-nerali del diritto comunitario, tra cui la non discriminazione, la parità di trat-tamento, la trasparenza».

Il comma 16, secondo periodo, è impugnato anche per violazione dell’art. 117, secondo comma, lettera e), Cost., in quanto la mancata previsione di un con-trollo effettivo e strutturale sui soggetti in house da parte dell’ente pubblico locale determinerebbe la violazione delle regole della concorrenza. La norma regionale, infatti, consentirebbe a soggetti svincolati da un controllo stringen-te dell’ente pubblico locale la gestione in house del servizio idrico.

6.1.– Preliminarmente, deve essere rilevato che il censurato secondo periodo del comma 16 è stato abrogato dalla legge reg. Abruzzo n. 34 del 2012, con la conseguenza che la norma impugnata è stata in vigore dal 5 maggio 2011 (data dell’entrata in vigore della legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011) al 26 luglio 2012 (data dell’entrata in vigore della legge reg. Abruzzo n. 34 del 2012).

La norma in esame prevede, al primo periodo, non impugnato, che il control-lo analogo sui gestori in house sia svolto dall’ERSI o dal Commissario di cui al successivo comma 19 della medesima legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011. Il secondo periodo indica le modalità di esercizio del controllo analogo che sono ritenute illegittime dal Presidente del Consiglio dei ministri nell’odierno giudi-zio di costituzionalità.

Nonostante l’integrale abrogazione del censurato secondo periodo del comma 16, non è possibile escludere che la norma ivi prevista abbia avuto applicazio-ne nel periodo di vigenza. Infatti, mentre l’ERSI non risulta ancora istituito, il Commissario di cui al comma 19 è stato nominato prima dell’abrogazione del-la norma impugnata, con la conseguenza che il controllo analogo sui gestori in house ben potrebbe essere stato esercitato secondo le modalità qui censurate.

Pertanto, questa Corte è tenuta ad esaminare il merito delle questioni promos-se.

6.2.– La Corte di giustizia dell’Unione europea ha riconosciuto che rientra nel potere organizzativo delle autorità pubbliche degli Stati membri “auto-produrre” beni, servizi o lavori, mediante il ricorso a soggetti che, ancorché giuridicamente distinti dall’ente conferente, siano legati a quest’ultimo da una “relazione organica” (cosiddetto affidamento in house). Allo scopo di evitare che l’affidamento diretto a soggetti in house si risolva in una violazione dei principi del libero mercato e quindi delle regole concorrenziali, che impongo-no sia garantito il pari trattamento tra imprese pubbliche e private, la stessa Corte ha affermato che è possibile non osservare le regole della concorrenza a due condizioni. La prima è che l’ente pubblico svolga sulla società in house un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi; la seconda è che il soggetto affidatario realizzi la parte più importante della propria attività con l’ente pubblico (sentenza 18 novembre 1999, in causa C-107/98, Teckal). Tale impostazione è costantemente richiamata dalla giurisprudenza di questa Cor-te (ex plurimis, sentenza n. 439 del 2008).

6.3.– La norma regionale impugnata prevede che il controllo analogo sia eser-citato – dall’ERSI ovvero dal Commissario unico straordinario (CUS) – sugli

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affidatari in house del servizio idrico integrato «nel rispetto dell’autonomia gestionale del soggetto gestore», attraverso «parere obbligatorio» sugli atti fon-damentali di quest’ultimo.

Si deve in proposito ricordare che l’art. 15 del decreto-legge 25 settembre 2009, n. 135 (Disposizioni urgenti per l’attuazione di obblighi comunitari e per l’esecuzione di sentenze della Corte di giustizia delle Comunità europee), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 20 novembre 2009, n. 166, novellando l’art. 23-bis del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 (Disposizioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la compe-titività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 6 agosto 2008, n. 133, stabiliva: «Tutte le forme di affidamento del servizio idrico integrato, di cui all’articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008 […] devono avvenire nel rispetto dei principi di autonomia gestionale del soggetto gestore […]».

A seguito dell’esito positivo della consultazione referendaria ammessa con sentenza n. 24 del 2011 di questa Corte, l’art. 23-bis del d.l. n. 112 è stato abrogato, mentre l’art. 4 del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 (Ulteriori misure urgenti per la stabilizzazione finanziaria e per lo sviluppo), convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della legge 14 settembre 2011, n. 148, sostanzialmente riproduttivo della norma abrogata, è stato dichiarato costi-tuzionalmente illegittimo con la sentenza n. 199 del 2012, per violazione del divieto di ripristino di normativa abrogata a seguito di referendum, e quindi dell’art. 75 Cost.

La conseguenza delle vicende legislative e referendarie brevemente richiamate è che, attualmente, si deve ritenere applicabile la normativa e la giurispruden-za comunitarie in materia, senza alcun riferimento a leggi interne.

6.4.– Alla luce di quanto sinora esposto, il comma 16 dell’art. 1 della legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011 deve ritenersi costituzionalmente illegittimo sia per la previsione del rispetto dell’autonomia gestionale del soggetto affidatario in house, sia per la prescrizione di pareri obbligatori, ma non vincolanti, sugli atti fondamentali del soggetto gestore.

Per il primo profilo, si deve ricordare che la Corte di giustizia dell’Unione eu-ropea ha affermato che sul soggetto concessionario deve essere esercitato «un controllo che consente all’autorità pubblica concedente di influenzarne le de-cisioni. Deve trattarsi di una possibilità di influenza determinante sia sugli obiettivi strategici che sulle decisioni importanti» (sentenza 13 ottobre 2005, in causa C-458/03, Parking Brixen). Ciò non significa che siano annullati tut-ti i poteri gestionali dell’affidatario in house, ma che la «possibilità di influenza determinante» è incompatibile con il rispetto dell’autonomia gestionale, senza distinguere – in coerenza con la giurisprudenza comunitaria – tra decisioni importanti e ordinaria amministrazione.

Anche con riferimento al secondo profilo, è appena il caso di osservare che il condizionamento stretto, richiesto dalla giurisprudenza comunitaria, non può

essere assicurato da pareri obbligatori, ma non vincolanti, resi peraltro – come esplicitamente prevede la norma impugnata – «sugli atti fondamentali del sog-getto gestore in house».

Pertanto, l’intero secondo periodo del comma 16 dell’art. 1 della legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011 deve essere dichiarato costituzionalmente illegittimo, per violazione dell’art. 117, primo comma, Cost.

7.– Si devono ritenere assorbite le altre censure di legittimità costituzionale prospettate dal ricorrente.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 11, primo perio-do, della legge della Regione Abruzzo 12 aprile 2011, n. 9 (Norme in materia di Servizio Idrico Integrato della Regione Abruzzo), limitatamente alle parole «e vincolanti»;

2) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 14, della legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011, limitatamente alle parole «e vincolante»;

3) dichiara, in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 15, della legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011, limitatamente alle parole «e vincolante»;

4) dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 1, comma 16, secondo periodo, della legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011, nel testo vigente prima della sua abro-gazione;

5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 10, della legge reg. Abruzzo n. 9 del 2011, promossa, in riferimento all’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Con-sulta, il 25 marzo 2013.

F.to:

Luigi MAZZELLA, Presidente

Gaetano SILVESTRI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 28 marzo 2013.

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CORTE COST., SENT. N. 161/2012 (GIUDIZIO IN VIA PRINCIPALE - LEGGE DELLA REGIONE ABRUZZO IN MATERIA DI IPAB - COORDINAMENTO DEL-LA FINANZA PUBBLICA - DEROGA ALLA NORMATIVA STATALE RIGUARDO AI DIVIETI DI ASSUNZIONE E BLOCCO DEL TURN-OVER PER LE IPAB E LE NASCENTI ASP - ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE - DEVOLUZIONE AI COMUNI, IN VIA TRANSITORIA E FINO ALLA COSTITUZIONE DELLE ASP, DEL PERSONALE DELLE IPAB ESTINTE, IN POSIZIONE SOPRANNUMERA-RIA - ONERE CHE COMPORTA L’INCREMENTO DELLE SPESE DI PERSO-NALE - ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE; TRASFERIMENTO AL COMUNE, CON OBBLIGO DI RITRASFERIMENTO ALLE ASP, DELLE STRUTTURE DI ASSISTENA E BENEFICIENZA PUBBLICA GIÀ PRESENTI SUL TERRITORIO REGIONALE - TRASFERIMENTO DI STRUTTURE SENZA PERSONALE CHE RISULTA IMPRODUTTIVO E NON POTREBBE SALVAGUARDARE LA CONTI-NUITÀ DELLE FUNZIONI SVOLTE - ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE; PRE-VISIONE DELLA CORRESPONSIONE DI INDENNITÀ AGLI ORGANI DI GO-VERNO DELLE ASP - CONTRASTO CON IL PRINCIPIO DI COORDINAMEN-TO FINANZIARIO CHE PREVEDE LA GRATUITÀ DELLA PARTECIPAZIONE A ENTI CHE «COMUNQUE RICEVONO CONTRIBUTI A CARICO DELLE FINAN-ZE PUBBLICHE» - ILLEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE)

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Alfonso QUARANTA residente

Franco GALLO Giudice

Luigi MAZZELLA “

Gaetano SILVESTRI “

Sabino CASSESE “

Giuseppe TESAURO “

Paolo Maria NAPOLITANO “

Giuseppe FRIGO “

Alessandro CRISCUOLO “

Paolo GROSSI “

Giorgio LATTANZI “

Aldo CAROSI “

Marta CARTABIA “

Sergio MATTARELLA “

Mario Rosario MORELLI “

ha pronunciato la seguente

1.— Con ricorso notificato il 12-15 settembre 2011 e depositato il 20 settem-bre 2011, il Presidente del Consiglio dei ministri ha impugnato in via princi-pale l’articolo 5, commi 1 e 2; l’art. 6, commi 3, 4, 5, 6 e 7; l’art. 11, commi 8 e 9, e l’art. 15, commi 3 e 4, della legge della Regione Abruzzo 24 giugno 2011, n. 17, che reca «Riordino delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Be-neficienza (IPAB) e disciplina delle Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona (ASP)», in riferimento agli artt. 97, terzo comma, e 117, terzo comma, Cost. ed alle norme interposte costituite dall’art. 76, comma 7, del decreto legislativo n. 12 del 2008 [recte: decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, recante «Disposi-zioni urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività, la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria», convertito in legge 6 agosto 2008, n. 133] e dall’art. 6, comma 2, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78 (Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica), convertito in legge 30 luglio 2010, n. 122.

Detta legge, secondo quanto disposto dal d.lgs. 4 maggio 2001, n. 207 (Riordi-no del sistema delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza, a norma dell’articolo 10 della L. 8 novembre 2000, n. 328), prevede e disciplina la tra-sformazione delle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficienza (IPAB) in Aziende pubbliche di servizi alla persona (ASP) o in soggetti aventi personalità giuridica di diritto privato senza scopo di lucro, stabilendo l’estinzione delle istituzioni per le quali risulti accertata l’impossibilità della trasformazione.

1.1.— Il ricorrente ha anzitutto lamentato la violazione dell’art. 117, terzo comma, Cost. da parte degli artt. 5, comma 2, e 15, comma 4, della stessa legge della Regione Abruzzo n. 17 del 2011.

La prima norma consente alle IPAB, fino alla loro trasformazione in ASP, di modificare, in deroga al divieto sancito dal comma precedente dello stesso art. 5, la propria dotazione organica, limitatamente all’individuazione di eventuali profili professionali previsti da specifiche normative, qualora sussistano effet-tive esigenze connesse con il regolare svolgimento delle attività statutarie.

La seconda, in deroga a quanto disposto dal precedente comma 3, consente alle ASP, una volta costituite, in sede di prima applicazione della legge e fino all’approvazione del regolamento che determinerà le dotazioni organiche, di superare eventuali carenze di personale, connesse con effettive esigenze di assicurare il regolare svolgimento di attività statutarie, mediante specifiche selezioni, secondo quanto previsto dall’art. 5, comma 2.

Entrambe le menzionate disposizioni, limitandosi a far salva, con clausola dal ricorrente considerata inadeguata, la «compatibilità con le disposizioni di bilancio», consentirebbero ad IPAB ed ASP di incrementare la dotazione orga-nica senza raccordo con la normativa statale in materia di spesa di personale degli enti comunque riconducibili al sistema delle autonomie. In particolare, risulterebbe violato il principio di contenimento della spesa pubblica sancito dall’art. 76, comma 7, del d.lgs. n. 12 [recte: d.l. n. 112] del 2008, principio in

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materia di coordinamento della finanza pubblica che impone specifici limiti e divieti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsi-voglia tipologia contrattuale.

1.2.— Il ricorrente ha altresì dedotto l’illegittimità costituzionale di alcuni commi dell’art. 6 della medesima legge regionale n. 17 del 2011: a) il comma 3, il quale prevede che l’estinzione delle IPAB comporti il trasferimento alle ASP e, fino alla loro costituzione, al Comune o ai Comuni ove siano ubicate le strutture attraverso cui le Istituzioni perseguivano i loro fini, delle situazioni giuridiche pregresse, del personale dipendente di ruolo e dei patrimoni; b) il comma 4, secondo cui, fino alla costituzione delle ASP, il personale dipenden-te di ruolo delle IPAB è temporaneamente assegnato, in posizione soprannu-meraria rispetto alla dotazione organica, al Comune affidatario delle procedu-re di estinzione; c) il comma 5, alla stregua del quale con il provvedimento di estinzione tutti gli adempimenti di ricognizione delle situazioni giuridiche in essere, compresi quelli relativi al personale, sono affidati al Sindaco del Co-mune sede dell’Istituzione estinta, in qualità di organo liquidatore; d) il comma 6, che dispone il trasferimento ai singoli Comuni, con obbligo di successivo trasferimento al patrimonio indisponibile dell’ASP territorialmente competen-te, delle strutture destinate ad attività socio-assistenziali e socio-educative appartenenti ad Istituzioni infraregionali aventi sede legale in altra Regione, comprese quelle realizzate in regime di convenzione con l’impiego dei fondi pubblici derivanti dall’intervento straordinario nel Mezzogiorno; e) il comma 7, che disciplina il procedimento attraverso cui i Comuni acquisiscono al loro patrimonio le strutture delle Istituzioni in considerazione.

Ad avviso del ricorrente anche tali disposizioni, assegnando, seppure tempo-raneamente, ai Comuni nuove strutture e nuovo personale senza operare il necessario raccordo con la normativa statale in materia di spesa di personale degli enti riconducibili al sistema delle autonomie, si porrebbero in contrasto con il principio in materia di coordinamento della finanza pubblica espresso dall’art. 76, comma 7, del d.lgs. n. 12 [recte: d.l. n. 112] del 2008, violando così l’art. 117, terzo comma, Cost.

1.3.— Il ricorrente ha inoltre denunciato l’illegittimità costituzionale degli artt. 5, commi 1 e 2; 6, commi 3, 4, 5, 6 e 7; 15, commi 3 e 4, della legge regionale per violazione dell’art. 97, terzo comma, Cost. perché dette norme prevedono il generico trasferimento dalle IPAB alle ASP e, fino alla costituzione di queste ultime, ai Comuni di tutto il personale, anche non selezionato con pubblico concorso, e ciò senza specificare i requisiti e le modalità dell’originaria assun-zione.

1.4 — Viene, infine, prospettata l’illegittimità costituzionale dell’art. 11, com-mi 8 e 9, della medesima legge regionale n. 17 del 2011, secondo cui al presi-dente dell’Azienda compete un’indennità determinata in misura percentuale su quella spettante ai direttori generali delle Aziende unità sanitarie locali dell’Abruzzo ed a ciascuno dei componenti del consiglio di amministrazione una pari al sessanta per cento di quella spettante al presidente.

Tali previsioni si porrebbero in contrasto con il principio di coordinamento della finanza pubblica espresso dall’art. 6, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, secondo cui: «la partecipazione agli organi collegiali, anche di amministrazio-ne, degli enti, che comunque ricevono contributi a carico delle finanze pub-bliche, nonché la titolarità dei predetti enti è onorifica; essa può dar luogo esclusivamente al rimborso delle spese sostenute ove previsto dalla normativa vigente; qualora siano già previsti, i gettoni di presenza non possono superare l’importo di 30 euro a seduta giornaliera. La violazione di quanto previsto dal presente comma determina responsabilità erariale e gli atti adottati dagli or-gani degli enti e degli organismi pubblici interessati sono nulli». Risulterebbe in tal modo violato l’art. 117, terzo comma, Cost.

2.— Con atto depositato il 21 ottobre 2011 si è costituita in giudizio la Regione Abruzzo.

2.1.— In via preliminare essa ha eccepito la parziale inammissibilità dell’im-pugnativa per essere stato erroneamente indicato il parametro interposto, in-dividuato nell’art. 76, comma 7, del d.lgs. n. 12 del 2008 invece che, corretta-mente, del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008.

2.2.— Nel merito la difesa regionale ha sostenuto che la disposizione richia-mata quale parametro interposto si applicherebbe solamente ad enti locali e camere di commercio, come specificato nella stessa rubrica della disposizione, e non anche alle IPAB di natura pubblica (ossia quelle non costituite in asso-ciazioni o fondazioni di diritto privato) ed alle ASP, che andrebbero annoverate tra gli enti pubblici non economici. Sul punto, peraltro, il ricorso sarebbe af-fetto da eccessiva genericità, non essendo stati chiariti i motivi di riconduzio-ne delle Istituzioni e delle Aziende agli enti locali, estendendo loro i limiti ed i divieti di assunzione per questi ultimi previsti.

Secondo la resistente, quand’anche si ritenesse riferibile ad IPAB ed ASP il dettato del citato art. 76, comma 7, la relativa applicazione non sarebbe im-pedita dal suo mancato espresso richiamo ad opera della normativa regionale censurata.

Quanto, in particolare, agli artt. 5, comma 2, e 15, comma 4, la Regione ne ha sostenuto la legittimità, argomentando dalla necessità di dare applicazione agli artt. 4 e 5 del d.lgs. n. 207 del 2001.

In ordine all’art. 6, commi da 3 a 7, la Regione, oltre a lamentare l’astrattezza e la genericità della censura, ha richiamato le argomentazioni difensive esposte con riferimento alle disposizioni testé menzionate.

2.3.— Quanto agli artt. 5, commi 1 e 2; 6, commi da 3 a 7, e 15, commi 3 e 4, in riferimento all’art. 97, terzo comma, Cost., la resistente ha contestato l’assi-milabilità della temporanea assegnazione al Comune del personale delle IPAB (in attesa della costituzione delle ASP) alla sua assunzione, considerato anche l’obbligo di prosecuzione dei rapporti di lavoro sancito dal d.lgs. n. 207 del 2001. Ha inoltre evidenziato la necessità di limitare le questioni al personale

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delle IPAB di natura privatistica, atteso che per quelle dotate di soggettività pubblica non sarebbe dato ipotizzare una procedura di selezione diversa dal pubblico concorso.

2.4.— Per quel che concerne l’art. 11, commi 8 e 9, la resistente ha eviden-ziato che il presupposto del divieto sancito dall’art. 6, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010 consiste nella ricezione di contributi a carico delle finanze pubbli-che e che nessuna norma della legge impugnata prevederebbe l’erogazione di contributi o finanziamenti pubblici a favore delle ASP. La norma interposta, peraltro, non potrebbe trovare applicazione nella fattispecie in quanto non si riferisce agli enti previsti dal decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 (Nor-me generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche), nel cui novero rientrerebbero le ASP quali enti pubblici non eco-nomici regionali.

3.— In punto di fatto va rilevato che il ricorso è stato notificato il 12 settembre 2011, dunque oltre il termine di sessanta giorni previsto per l’impugnazione delle leggi regionali, che è scaduto l’11 settembre 2011. La data in questione, tuttavia, è coincisa con una domenica e, pertanto, il ricorso risulta tempesti-vo. Infatti, a norma dell’art. 22 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), nei procedimenti davanti alla Corte si osservano, in quanto applicabili, le norme del regolamen-to per la procedura innanzi al Consiglio di Stato in sede giurisdizionale. I pro-cedimenti giurisdizionali davanti al Consiglio di Stato sono disciplinati, ora, dal codice del processo amministrativo, approvato dall’art. 1 del d.lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (Attuazione dell’articolo 44 della legge 18 giugno 2009, n. 69, recante delega al governo per il riordino del processo amministrativo), il quale, all’art. 52, comma 3, prevede che «Se il giorno di scadenza è festivo il termine fissato dalla legge o dal giudice per l’adempimento è prorogato di diritto al primo giorno seguente non festivo». Tale regola si applica dunque ai giudizi davanti alla Corte costituzionale, sia per effetto del rinvio dinamico contenuto nel citato art. 22 della legge n. 87 del 1953, sia perché – essendo espressa an-che dall’art. 155, quarto comma, del codice di procedura civile — la stessa co-stituisce ormai principio generale dell’ordinamento (sentenza n. 85 del 2012).

4.— Quanto all’eccezione di inammissibilità sollevata dalla Regione Abruzzo circa l’inesatta individuazione del parametro interposto da parte del ricorren-te, essa non può essere accolta.

In effetti, la norma interposta alla quale si correlano le questioni non è conte-nuta nell’art. 76, comma 7, del d.lgs. n. 12 del 2008, erroneamente invocato dal Presidente del Consiglio, bensì nell’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008. Nel caso in esame, tuttavia, l’ine-satta indicazione non ha impedito alla Regione convenuta di identificare con chiarezza la consistenza delle questioni di legittimità sollevate e di svolgere pertinenti difese, risultando agevolmente enucleabile il parametro con il quale le norme censurate contrasterebbero (sentenza n. 533 del 2002).

Questa Corte ritiene, pertanto, di dover procedere all’esame nel merito delle questioni.

5.— Preliminarmente occorre prendere atto che, successivamente alla propo-sizione del ricorso, l’art. 76, comma 7 («È fatto divieto agli enti nei quali l’inci-denza delle spese di personale è pari o superiore al 40% delle spese correnti di procedere ad assunzioni di personale a qualsiasi titolo e con qualsivoglia tipo-logia contrattuale; i restanti enti possono procedere ad assunzioni di personale nel limite del 20 per cento della spesa corrispondente alle cessazioni dell’anno precedente. Ai fini del computo della percentuale di cui al periodo precedente si calcolano le spese sostenute anche dalle società a partecipazione pubblica locale totale o di controllo che sono titolari di affidamento diretto di servizi pubblici locali senza gara, ovvero che svolgono funzioni volte a soddisfare esi-genze di interesse generale aventi carattere non industriale, né commerciale, ovvero che svolgono attività nei confronti della pubblica amministrazione a supporto di funzioni amministrative di natura pubblicistica. La disposizione di cui al precedente periodo non si applica alle società quotate su mercati re-golamentari. Per gli enti nei quali l’incidenza delle spese di personale è pari o inferiore al 35 per cento delle spese correnti sono ammesse, in deroga al limite del 20 per cento e comunque nel rispetto degli obiettivi del patto di stabilità interno e dei limiti di contenimento complessivi delle spese di personale, le assunzioni per turn-over che consentano l’esercizio delle funzioni fondamen-tali previste dall’articolo 21, comma 3, lettera b), della legge 5 maggio 2009, n. 42»), del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008, ha subito alcuni interventi di modifica per effetto dell’art. 28, comma 11-quater («All’ar-ticolo 76, comma 7, primo periodo, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modificazioni, le parole: “40 %” sono sostituite dalle seguenti: “50 per cento”»), del d.l. 6 dicembre 2011, n. 201 (Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici), convertito in legge 22 dicembre 2011, n. 214; dell’art. 4, comma 103, lettera a) («All’articolo 76 del decreto-legge 25 giu-gno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al comma 7, primo periodo, dopo le parole: “i restanti enti possono procedere ad assunzioni di personale” sono inserite le seguenti: “a tempo indeterminato”»), della legge 12 novembre 2011, n. 183 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e plurien-nale dello Stato - Legge di stabilità 2012), ed, infine, dell’art. 4-ter, comma 10 («All’articolo 76, comma 7, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, converti-to, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e successive modifica-zioni, sono apportate le seguenti modificazioni: a) al primo periodo, le parole: “20 per cento” sono sostituite dalle seguenti: “40 per cento”; b) dopo il primo periodo è inserito il seguente: “Ai soli fini del calcolo delle facoltà assunzionali, l’onere per le assunzioni del personale destinato allo svolgimento delle funzio-ni in materia di polizia locale, di istruzione pubblica e del settore sociale è cal-colato nella misura ridotta del 50 per cento; le predette assunzioni continuano a rilevare per intero ai fini del calcolo delle spese di personale previsto dal primo periodo del presente comma”; c) al secondo periodo, le parole: “periodo

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precedente” sono sostituite dalle seguenti: “primo periodo”; d) dopo il secondo periodo è inserito il seguente: “Ferma restando l’immediata applicazione della disposizione di cui al precedente periodo, con decreto del Presidente del Con-siglio dei Ministri, su proposta del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, di concerto con i Ministri dell’economia e delle finanze e dell’interno, d’intesa con la Conferenza unificata, possono essere ridefiniti i criteri di calcolo della spesa di personale per le predette società”; e) al terzo periodo, la parola: “precedente” è sostituita dalla seguente: “terzo”; f) al quarto periodo, le parole: “20 per cento” sono sostituite dalle seguenti: “40 per cento”; al medesimo periodo sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: “; in tal caso le disposizioni di cui al secondo periodo trovano applicazione solo in riferimento alle assunzioni del personale destinato allo svolgimento delle funzioni in ma-teria di istruzione pubblica e del settore sociale”»), del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16 (Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento), convertito in legge 26 aprile 2012, n. 44, che ne hanno variato il contenuto complessivo.

L’articolato ius superveniens non ha comportato, tuttavia, rilevanti modifiche ai termini delle questioni sollevate dal Presidente del Consiglio dei ministri poiché nelle formulazioni normative succedutesi nel tempo permane – con modalità applicative tutte inconciliabili con alcune delle norme regionali im-pugnate – la regola limitativa delle assunzioni di personale, invocata dal ri-corrente e contestata, quanto alla sua applicabilità alla fattispecie in esame, dalla Regione. Ne consegue che la questione risulta del pari pertinente, sia in riferimento alla precedente che alle intermedie ed alla vigente formulazione dell’art. 76, comma 7.

6.— Nel merito, la ricorrente prospetta tre diversi gruppi di questioni di legitti-mità costituzionale: il primo ed il terzo presentano come riferimento l’art. 117, terzo comma, Cost., in quanto risulterebbero violati i principi di coordinamen-to della finanza pubblica espressi da due distinte norme interposte, individua-te rispettivamente nell’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008 (della cui complessa evoluzione si è dato conto preceden-temente), e nell’art. 6, comma 2, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito in legge n. 112 del 2010. Il secondo inerisce alla pretesa violazione dell’art. 97, terzo comma, Cost. in quanto non sarebbero state rispettate le regole di accesso all’impiego pubblico mediante concorso.

7.— Le questioni relative agli impugnati artt. 5, comma 2, 6, commi 3, 4, 6 e 7 e 15, comma 4, della legge regionale n. 17 del 2011 sono fondate in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. ed alla norma interposta invocata.

7.1.— L’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008, convertito in legge n. 133 del 2008, dispone che, quando le spese di personale per gli enti locali e per le camere di commercio superano il 50 per cento (al momento della proposizione del ricorso la norma prevedeva il 40 per cento) delle spese correnti, gli enti in questione non possono procedere a nuove assunzioni, a qualsiasi titolo e con qualsiasi tipologia contrattuale; quando invece l’incidenza delle spese di per-

sonale è pari o inferiore al 35 per cento delle spese correnti, sono consentite deroghe parziali in relazione al turn-over.

Tale disposizione ha natura di principio di coordinamento della finanza pub-blica, come già riconosciuto dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenze n. 148 del 2012 e n. 108 del 2011).

L’impugnato art. 5, comma 2, della stessa legge regionale prevede una deroga implicita al principio espresso dal comma 1 del medesimo art. 5, secondo cui le Istituzioni sottoposte al riordino, fino alla trasformazione in ASP ovvero in fondazioni o associazioni, non possono procedere all’ampliamento della do-tazione organica né all’assunzione di personale a tempo indeterminato per i posti vacanti in organico. In particolare, la disposizione riconosce alle IPAB la possibilità di assunzione in presenza di condizioni del tutto diverse e non compatibili con quelle specificate dalla norma interposta: oltre all’introduzio-ne della fattispecie derogatoria inerente a profili professionali previsti da spe-cifiche normative, collega la menzionata deroga al semplice presupposto che l’assunzione comporti invarianza di spesa rispetto a quella sostenuta nell’e-sercizio precedente alla data di entrata in vigore della legge regionale stessa e al fatto che la nuova spesa risulti compatibile con le disponibilità di bilancio.

Preso atto dell’inconciliabilità tra le due disposizioni, non superabile nemme-no attraverso un’interpretazione sistematica delle norme impugnate, dirimen-te ai fini del decidere appare la riconducibilità o meno delle Istituzioni sottopo-ste al riordino all’ambito soggettivo di applicazione della disciplina contenuta nell’art. 76, comma 7.

Sulla natura delle IPAB esiste in dottrina ed in giurisprudenza uno storico di-battito, via via alimentato e condizionato dalle modifiche normative succedu-tesi nella disciplina delle stesse. Anche questa Corte ha avuto modo di rilevare la peculiarità di detti enti (sentenza n. 173 del 1981) e del loro regime giuridi-co, caratterizzato dall’intrecciarsi «di una intensa disciplina pubblicistica con una notevole permanenza di elementi privatistici, il che conferisce ad esse una impronta assai peculiare rispetto ad altre istituzioni pubbliche» (sentenza n. 195 del 1987), giungendo ad affermare che «devesi convenire con quella dottri-na che parla di una assoluta tipicità di questi particolari enti pubblici, in cui convivono forti poteri di vigilanza e tutela pubblica con un ruolo ineliminabile e spesso decisivo della volontà dei privati, siano essi i fondatori, gli ammini-stratori o la base associativa» (sentenza n. 396 del 1988).

L’importanza rivestita in un lungo arco temporale da tali Istituzioni di natura pubblica, la rilevanza degli statuti e delle tavole di fondazione, peraltro note-volmente eterogenei, ed i poteri di vigilanza e di tutela pubblica inducono ad affermare un’indubbia peculiarità di questo genere di soggetti, non cataloga-bili in precise categorie di enti pubblici. In questa sede, tuttavia, è utile sot-tolineare come l’evidenziata peculiarità delle IPAB non impedisca la ricondu-cibilità delle stesse alle regole degli enti locali, quanto alla specifica disciplina della spesa ed, in particolare, di quella – di carattere rigido – concernente il

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personale. La disposizione interposta costituita dall’art. 76, comma 7, si rife-risce all’intero complesso delle funzioni amministrative ascrivibili alle compe-tenze delle autonomie locali, come testimonia l’inserimento, nel calcolo degli oneri del personale, della spesa sostenuta anche dalle società partecipate che integrano, sotto questo profilo, l’attività degli enti azionisti.

Nella prospettiva della finanza pubblica allargata, d’altronde, la presenza di enti già impegnati nel settore dei servizi sociali – nel quale operano parallela-mente agli enti locali – e per di più soggetti ad un riordino che ne determina l’integrazione funzionale a livello infraregionale, comporta la necessità di un coordinamento complessivo onde evitare che il riordino possa diventare occa-sione per il superamento di quei limiti di spesa di personale, che il legislatore vede con notevole preoccupazione nel particolare momento storico in cui cade il riassetto.

Proprio la natura finanziaria strutturale dei principi richiamati nell’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008 induce a ritenere che agli stessi parametri sia soggetta la gestione delle IPAB, soprattutto nel momento transitorio del trapasso dalle vecchie Istituzioni alle nuove Aziende.

Per questi motivi, la questione sollevata dal Presidente del Consiglio in merito all’art. 5, comma 2, della legge della Regione Abruzzo n. 17 del 2011 deve rite-nersi fondata, con conseguente accoglimento del ricorso sul punto.

7.2.— Analoghe considerazioni riguardano la censura sollevata nei confronti dell’art. 15, comma 4, della legge regionale impugnata, secondo cui in sede di prima applicazione, e comunque fino all’approvazione del regolamento delle costituende ASP, queste ultime possono procedere a selezioni di personale in presenza di carenze correlate ad effettive esigenze di assicurare il regolare svolgimento delle attività statutarie. Poiché, per quel che riguarda le modalità attuative, l’art. 15, comma 4, richiama l’art. 5, comma 2, precedentemente esaminato, dall’illegittimità di quest’ultimo deriva quella della norma in esa-me, sebbene essa si riferisca ad un ente, l’ASP, diverso dalle IPAB. Anche in questo caso non si rinviene un’univoca classificazione di tale nuova tipologia di aziende, che mutuano caratteri misti e peculiari sia dalle disciolte Istitu-zioni che dal contesto programmatorio ed operativo in cui vengono inserite. Le accomuna alle IPAB la natura di ente pubblico, le differenzia certamente da esse il carattere imprenditoriale dell’attività esercitata, improntata a cri-teri di economicità anche se non rivolta a fini di lucro. Nondimeno, le stesse ragioni sistematiche che inducono a ricomprendere la gestione delle IPAB nel complesso della finanza pubblica allargata ed a sottoporle a coordinamento riguardano anche le ASP, per le quali si accentua l’integrazione nella program-mazione e nella gestione dei servizi sociali su base locale nonché l’esigenza che detta integrazione si ispiri a criteri di efficienza ed economicità. Ciò comporta la conseguente preclusione normativa ad un loro utilizzo che possa concretar-si in strumento elusivo dei limiti di spesa corrente ed, in particolare, di quella rigida di personale, il cui contenimento il legislatore concepisce come misura strutturale per il risanamento dei conti pubblici nella loro consolidata consi-stenza.

Anche il regime delle assunzioni delle ASP deve dunque rispettare i limiti pre-scritti dall’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008, risultando conseguente-mente illegittima la prescrizione contenuta nell’art. 15, comma 4, della legge regionale impugnata.

7.3.— Ad analoga conclusione si perviene con riguardo ai commi 3 e 4 dell’art. 6 della medesima legge.

Dette disposizioni, con riferimento al caso di estinzione delle IPAB, prescrivo-no che, fino alla costituzione delle ASP, il personale dipendente ed i patrimoni delle Istituzioni siano assegnati temporaneamente ai Comuni nei quali risulta-no ubicate le strutture attraverso cui esse perseguivano i loro fini istituzionali; ciò con l’obbligo di successivo conferimento alle ASP territorialmente compe-tenti (art. 6, comma 3). In particolare, fino alla costituzione delle Aziende il personale dipendente di ruolo delle Istituzioni estinte è assegnato, in via tem-poranea ed in posizione soprannumeraria rispetto alla dotazione organica, al Comune affidatario delle procedure di estinzione (art. 6, comma 4).

Secondo la Regione le prescrizioni in esame sarebbero perfettamente in linea con i principi contenuti nella legge 8 novembre 2000, n. 328 (Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali) e nel d.lgs. n. 207 del 2001 ed, in ogni caso, l’assegnazione temporanea del personale non costituirebbe “assunzione”, secondo l’accezione giuridica che questo termine riveste.

L’assunto non è condivisibile.

La posizione soprannumeraria, infatti, non può evitare l’incremento degli one-ri del personale e la violazione delle percentuali in relazione alle quali l’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008 fissa i limiti strutturali per la gestione di detta categoria di spesa. Né può ritenersi che la temporanea assegnazione al Comune, pur in difetto di specifica previsione, debba avvenire nei limiti di compatibilità con le percentuali indicate dal parametro interposto, come de-dotto dalla Regione, atteso che le norme regionali nulla dispongono per il caso in cui ciò non sia possibile a causa dell’eccessivo numero di unità di personale eventualmente interessate, implicitamente disponendone il transito integrale, quale che sia il contingente coinvolto.

Nel caso in esame non è revocabile in dubbio la piena operatività dell’art. 4, comma 1, del d.lgs. n. 207 del 2001, che dispone il subentro delle Aziende in tutti i rapporti attivi e passivi delle disciolte od estinte IPAB, e dell’art. 4, comma 3, dello stesso decreto, secondo cui l’attuazione del riordino non costi-tuisce causa di risoluzione del rapporto di lavoro con il personale dipenden-te: non è in contestazione la volontà del legislatore statale di salvaguardare i livelli occupazionali, garantendo la continuità dei rapporti di lavoro. Anzi, il principio di continuità invocato dalla Regione non riguarda soltanto i rapporti di lavoro con il personale delle IPAB estinte, ma la stessa gestione dei servizi che il legislatore assegna alle istituende ASP.

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Tuttavia, mentre la successione nei rapporti attivi e passivi viene sancita dal legislatore statale per quel che concerne il passaggio alle nuove Aziende, ana-loga previsione manca con riferimento ai Comuni, cui è semplicemente asse-gnato un ruolo gestionale nelle operazioni amministrative propedeutiche alla creazione ed al subentro delle ASP.

Il principio di successione e di mantenimento dei rapporti di lavoro può per-tanto essere invocato soltanto in riferimento al subentro delle ASP e non in ordine al transito temporaneo nei Comuni, non contemplato dalla normativa statale.

Poiché, dunque, l’assegnazione temporanea del personale al Comune come momento attuativo del processo di riordino delle Istituzioni non trova fonda-mento legittimante nel d.lgs. n. 207 del 2001, il relativo onere non attiene ai rapporti di successione passiva e deve essere considerato quale mero fattore di incremento della spesa di personale, finendo in tal modo per collidere con i rigorosi precetti contenuti nell’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008 e con le percentuali costituenti parametro di contenimento della spesa pubblica per la categoria in esame. Pertanto, l’art. 6, commi 3 e 4, della legge impugnata è costituzionalmente illegittimo per contrasto con la suddetta norma interposta e, dunque, con l’art. 117, terzo comma, Cost.

7.4.— I commi 6 e 7 dell’art. 6 non presentano profili di diretta interferenza con la norma interposta invocata dall’Avvocatura dello Stato poiché dispon-gono il trasferimento ai Comuni, con obbligo di successivo conferimento al patrimonio indisponibile dell’ASP territorialmente competente, delle strutture già destinate ad attività socio-assistenziali e socio-educative delle Istituzioni infraregionali aventi sede legale in altra Regione.

Tuttavia, trasferire al Comune strutture prive del personale che le utilizza ren-derebbe improduttiva e disfunzionale l’operazione, anche in considerazione del rilievo che nessuna norma autorizza il Comune stesso a gestioni stralcio, in attesa del subentro delle ASP. In tal modo, anche il principio di continu-ità dei servizi invocato dalla Regione non sarebbe salvaguardato, risultando assolutamente inutile ed irragionevole il passaggio temporaneo di tali cespiti patrimoniali nella sfera giuridica dell’ente locale. Pertanto, in considerazione dell’inscindibile connessione funzionale esistente tra i commi 3 e 4 dell’art. 6 afferenti al personale e le due disposizioni in esame, l’illegittimità costitu-zionale dei primi deve estendersi in via consequenziale alle seconde, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953 (ex plurimis, sentenza n. 131 del 2012).

Restano assorbite le ulteriori censure formulate con riguardo alle norme in esame.

8.— Quanto alle residue questioni di legittimità costituzionale proposte in ri-ferimento agli artt. 97, terzo comma, e 117, terzo comma, Cost. in relazione all’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008, nessuna di esse è fondata.

8.1.— In particolare, l’art. 5, comma 1, e l’art. 15, comma 3, entrambi im-pugnati, sanciscono il divieto di ampliamento delle dotazioni organiche e di assunzione di personale a tempo indeterminato per posti vacanti in organico, sia per le IPAB sottoposte a riordino che per le istituende ASP.

Alla stregua di tale contenuto normativo non è configurabile una violazione dell’art. 97, terzo comma, Cost., unico parametro invocato con riguardo a det-te norme.

8.2.— Neanche le censure proposte nei confronti dell’art. 6, comma 5, sono fondate, né in riferimento all’art. 97, terzo comma, Cost. né in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost.

La disposizione, infatti, si limita a disciplinare e specificare gli adempimenti propedeutici al riordino già elencati all’art. 4, comma 1, della medesima legge regionale n. 17 del 2011. Tali incombenti consistono in una serie di operazio-ni indispensabili al riordino, quali la ricognizione delle situazioni giuridiche pendenti; dei saldi di tesoreria; del patrimonio mobiliare ed immobiliare; del personale già in servizio.

Non è dato vedere sotto quale prospettiva dette prescrizioni, finalizzate a rag-giungere gli scopi previsti dalla normativa statale e da quella regionale, ri-sultino lesive del principio di coordinamento della finanza pubblica espresso dall’art. 76, comma 7, del d.l. n. 112 del 2008 e del dettato dell’art. 97, terzo comma, Cost.

Anche in relazione all’esposta censura la questione deve dunque essere di-chiarata non fondata.

9.— La questione sollevata nei confronti dell’art. 11, commi 8 e 9, della legge regionale n. 17 del 2011, in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. ed alla norma interposta costituita dall’art. 6, comma 2, del d.l. n. 78 del 2010, con-vertito in legge n. 122 del 2010, è fondata.

Quest’ultima disposizione afferma in modo incontrovertibile il principio di gra-tuità della partecipazione ad organi di enti che «comunque ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche».

Essa si inquadra nelle misure di coordinamento della finanza pubblica ed assume una posizione autonoma e distinta dalle altre norme di analoga natu-ra contenute nel medesimo art. 6, in ordine alle quali questa Corte ha avuto modo di affermare che l’articolo stesso «al fine di ridurre il costo degli apparati amministrativi, ha prescritto un taglio, secondo percentuali prestabilite, di numerose voci di spesa proprie delle amministrazioni statali, stabilendo altre-sì, al comma 20, che le singole disposizioni con cui tali tagli sono stati indicati nel corpo dello stesso art. 6 costituiscono principi di coordinamento della fi-nanza pubblica per Regioni, Province autonome ed enti del Servizio sanitario nazionale» (sentenza n. 182 del 2011) e che «Il legislatore statale può, con una disciplina di principio, legittimamente imporre agli enti autonomi, per ragioni

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di coordinamento finanziario connesse ad obiettivi nazionali, condizionati an-che dagli obblighi comunitari, vincoli alle politiche di bilancio, anche se questi si traducono, inevitabilmente, in limitazioni indirette all’autonomia di spesa degli enti» (sentenza n. 132 del 2012).

Pur inserendosi in un contesto autonomo e distinto, sia sotto il profilo sogget-tivo che funzionale, dai restanti commi dell’articolo precedentemente evocato dalle richiamate sentenze, il parametro interposto di cui all’art. 6, comma 2, prima parte, del d.l. n. 78 del 2010 è anch’esso infatti norma di coordinamen-to della finanza pubblica ed, in quanto tale, indefettibile riferimento per la legislazione regionale. Detta norma si ispira alla finalità di contenimento dei costi della politica e degli apparati amministrativi così come il successivo com-ma 3 del medesimo art. 6, ma si differenzia da quest’ultimo sia sotto il profilo soggettivo che oggettivo.

Per quel che riguarda il profilo soggettivo, occorre rilevare come la prima parte del comma 2 («A decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto la partecipazione agli organi collegiali, anche di amministrazione, degli enti, che comunque ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche, nonché la titolarità di organi dei predetti enti è onorifica; essa può dar luogo esclusiva-mente al rimborso delle spese sostenute ove previsto dalla normativa vigente; qualora siano già previsti i gettoni di presenza non possono superare l’impor-to di 30 euro a seduta giornaliera») si riferisca in generale agli enti fruitori di contributi a carico delle finanze pubbliche mentre l’ultimo periodo ne delimita l’ambito in senso negativo, escludendo espressamente l’operatività della nor-ma nei confronti degli «enti previsti nominativamente dal decreto legislativo n. 300 del 1999 e dal decreto legislativo n. 165 del 2001, e comunque alle università, enti e fondazioni di ricerca e organismi equiparati, alle camere di commercio, agli enti del Servizio sanitario nazionale, agli enti indicati nella tabella C della legge finanziaria ed agli enti previdenziali ed assistenziali na-zionali, alle ONLUS, alle associazioni di promozione sociale, agli enti pubblici economici individuati con decreto del Ministero dell’economia e delle finanze su proposta del Ministero vigilante, nonché alle società».

Le ASP, in quanto enti infraregionali connotati da una gestione di tipo impren-ditoriale delle proprie risorse secondo criteri di economicità (art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 207 del 2001 ed art. 7, comma 1, della legge regionale impugna-ta), non rientrano tra gli enti esclusi dall’applicazione del principio di gratuità, non essendo comprese nelle tipologie individuate per relationem mediante i richiami normativi operati dalla norma interposta e neppure tra quelli espres-samente menzionati.

Anche sotto l’aspetto oggettivo, la fattispecie in esame rientra nella prescri-zione dell’art. 6, comma 2, prima parte, del d.l. n. 78 del 2010. In particolare, non può essere condivisa la tesi della resistente, secondo cui la legge regionale impugnata non prevederebbe ipotesi di ricezione di «contributi a carico delle finanze pubbliche».

Diversi elementi, sia testuali che conseguenti all’interpretazione sistematica delle norme in materia, inducono a ritenere il contrario.

Anzitutto occorre rilevare come nella locuzione generale di enti «che comunque ricevono contributi a carico delle finanze pubbliche» rientrino non solo quelli che ricevono erogazioni finanziarie bensì tutti quelli che ricevono qualunque beneficio in risorse pubbliche, in grado di incrementare le componenti attive del bilancio dell’ente destinatario o di diminuirne quelle passive. In proposi-to non v’è dubbio che le costituende ASP ricevano diversi cespiti di natura pubblica, sia di carattere finanziario che patrimoniale. Il decreto legislativo di riordino n. 207 del 2001, infatti, prevede all’art. 4, comma 1, che «Le istitu-zioni riordinate in aziende di servizi o in persone giuridiche private a norma del presente decreto legislativo conservano i diritti e gli obblighi anteriori al riordino. Esse subentrano in tutti i rapporti attivi e passivi delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza di cui alla legge 17 luglio 1890, n. 6972, dalle quali derivano». Pertanto sia i cespiti immobiliari che i contributi ed i finanziamenti già attribuiti dalle pubbliche amministrazioni rientrano nelle operazioni di successione.

Inoltre, le operazioni di trasformazione delle IPAB in ASP sono incentivate dal legislatore nel rispetto della finalità di attuare il processo di riorganizzazione: così gli atti relativi al riordino sono ad esempio esenti dalle imposte di registro, ipotecarie e catastali (art. 4, comma 4, del d.lgs. n. 207 del 2001).

Con riguardo all’aspetto strettamente finanziario non può ignorarsi come esse acquisiscano le dotazioni di cassa delle preesistenti IPAB, alle quali hanno indubbiamente concorso i contributi regionali ad esse precedentemente spet-tanti per effetto delle leggi della Regione Abruzzo 2 ottobre 1998, n. 110, re-cante «Norme sulle Istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (I.P.A.B.) aventi sede ed operanti nel territorio regionale» (art. 9, commi 1 e 2: «1. La Re-gione eroga contributi a favore delle I.P.A.B. al fine di favorire il miglioramento dei servizi erogati agli utenti. 2. A tale scopo vengono stanziati nel bilancio regionale fondi per l’erogazione di: a) contributo in c/capitale per costruzioni e ristrutturazioni fabbricati; b) contributi in interessi su mutui per gli interventi di cui sopra; c) contributi per riqualificazione e formazione del personale; d) garanzie per i mutui CC.DD.PP.»), e 29 novembre 1999, n. 125, recante «In-terventi per l’attivazione di R.S.A. pubbliche» (art. 2, comma 3: «Ai fini del fi-nanziamento dei predetti adeguamenti – ossia, per adeguare le strutture delle IPAB che svolgono in via prevalente attività socio-sanitaria di assistenza ad anziani non autosufficienti, disabili o inabili comunque denominati –, si prov-vede con le risorse stanziate nel bilancio regionale di cui al successivo art. 7 nonché, con parte del risparmio ottenuto dalla decurtazione del 13% del tetto di spesa per l’acquisto di prestazioni dalle strutture private accreditate, al sen-si della L.R. n. 37/1999»).

L’erogazione di tali contributi rimane confermata fino al completamento del riordino delle Istituzioni (art. 21, comma 4, della legge regionale impugnata). A sua volta, il d.lgs. n. 207 del 2001 dispone che le Regioni definiscano «le risor-

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se regionali eventualmente disponibili per potenziare gli interventi e le iniziati-ve delle istituzioni nell’ambito della rete dei servizi» (art. 2, comma 2, lettera c) e che, per «incentivare e potenziare la prestazione di servizi alla persona nelle forme dell’azienda pubblica di servizi alla persona» stabiliscano «i criteri per la corresponsione di contributi ed incentivi alle fusioni di più istituzioni» (art. 19, comma 1), eventualmente anche disciplinando procedure semplificate di fusione ed istituendo forme di incentivazione mediante iscrizione nel proprio bilancio di un apposito fondo cui destinare una quota delle risorse di cui all’art. 4 – rubricato «Sistema di finanziamento delle politiche sociali» – di cui alla legge n. 328 del 2000 (art. 19, comma 2).

La stessa legge regionale n. 17 del 2011 prevede l’inserimento delle ASP nel sistema integrato di interventi e servizi sociali realizzato sul territorio regiona-le (art. 1, comma 3) e la legge n. 328 del 2000 precisa che «la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali si avvale di un finanziamento plurimo a cui concorrono, secondo competenze differenziate e con dotazioni finanziarie afferenti ai rispettivi bilanci» gli enti locali, le Regioni e lo Stato (art. 4, comma 1).

Inoltre, l’art. 6, comma 1, del d.lgs. n. 207 del 2001 prevede che l’ASP «informa la propria attività di gestione a criteri di efficienza, efficacia ed economicità, nel rispetto del pareggio di bilancio da perseguire attraverso l’equilibrio dei costi e dei ricavi, in questi compresi i trasferimenti» effettuati dalle pubbliche amministrazioni, mentre l’art. 14, comma 1, lettera e), dello stesso decreto prevede la redazione di un piano di valorizzazione del patrimonio immobiliare anche attraverso eventuali dismissioni, evidentemente produttive di corrispet-tivi finanziari.

Dal punto di vista più specificamente patrimoniale l’art. 7, commi 4, 6 e 7, della legge regionale n. 17 del 2011 prevede che i Comuni, nella fase di costi-tuzione delle ASP, assicurino «il necessario apporto patrimoniale», sia in sede di confluenza nei nuovi soggetti degli organismi comunali preposti ai servizi alla persona (comma 4), sia in caso di partecipazione volontaria (comma 6), sia in caso di conferimento alle ASP di beni già trasferiti ai Comuni a seguito di pregresse estinzioni (comma 7).

Sotto il profilo sistematico non è altresì indifferente, ai fini della qualificazione della natura pubblica delle risorse gestite dalle ASP, il regime di controllo e vi-gilanza sulle aziende stesse, attribuito al competente servizio dell’assessorato regionale (art. 18 della legge regionale) ed il potere sostitutivo della Regione, di cui all’art. 19 della stessa legge impugnata.

Alla luce delle esposte ragioni deve ritenersi che al presidente e ai consiglieri di amministrazione delle ASP si applichi l’art. 6, comma 2, prima parte, del decreto-legge n. 78 del 2010, convertito in legge n. 122 del 2010, e che, per-tanto, l’esercizio delle loro cariche sia gratuito, potendosi dar luogo esclusiva-mente al rimborso delle spese sostenute ove previsto dalla normativa vigente. Ne deriva l’illegittimità dell’art. 11, commi 8 e 9, della legge regionale n. 17 del

2011 — in riferimento all’art. 117, terzo comma, Cost. – che prevede la corre-sponsione di un’indennità agli organi suddetti, con conseguente accoglimento del ricorso anche sotto questo profilo.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

1) dichiara l’illegittimità costituzionale degli articoli 5, comma 2, 6, commi 3, 4, 6 e 7, 15, comma 4, e 11, commi 8 e 9, della legge della Regione Abruzzo 24 giugno 2011, n. 17, che reca «Riordino delle Istituzioni Pubbliche di Assi-stenza e Beneficienza (IPAB) e disciplina delle Aziende Pubbliche di Servizi alla Persona (ASP)»;

2) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 5, comma 1, 6, comma 5, e 15, comma 3, della medesima legge della Regione Abruzzo n. 17 del 2011, promosse, in riferimento agli artt. 97, terzo comma, e 117, terzo comma, della Costituzione, dal Presidente del Consiglio dei ministri con il ricorso indicato in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Con-sulta, il 20 giugno 2012.

F.to:

Alfonso QUARANTA, Presidente

Aldo CAROSI, Redattore

Gabriella MELATTI, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 27 giugno 2012.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: Gabriella MELATTI

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CORTE COST. SENTENZA N. 303/3003

SENTENZA N.303 ANNO 2003

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Riccardo CHIEPPA Presidente

Gustavo ZAGREBELSKY Giudice

Valerio ONIDA “

Carlo MEZZANOTTE “

Fernanda CONTRI “

Guido NEPPI MODONA “

Piero Alberto CAPOTOSTI “

Annibale MARINI “

Franco BILE “

Giovanni Maria FLICK “

Ugo DE SIERVO “

Romano VACCARELLA “

Paolo MADDALENA “

Alfio FINOCCHIARO “

ha pronunciato la seguente SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell’articolo 1, commi da 1 a 12 e 14, della legge 21 dicembre 2001, n. 443 (Delega al Governo in materia di infra-strutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive); dell’art. 13, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 11, della legge 1° agosto 2002, n. 166, (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti); de-gli articoli da 1 a 11, 13 e da 15 a 20 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190 (Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse naziona-le); del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198 (Disposizioni volte ad acce-lerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443) ed allegati A, B, C e D dello stesso decreto legislativo n. 198 del 2002; promossi con ricorsi: della Regione Marche, notifi-cati il 22 febbraio, il 25 ottobre e il 12 novembre 2002, depositati il 28 febbra-

io, il 31 ottobre e il 18 novembre 2002, rispettivamente iscritti ai numeri 9, 81 e 86 del registro ricorsi 2002; della Regione Toscana, notificati il 22 febbraio, il 1° e il 24 ottobre, e l’11 novembre 2002, depositati il 1° marzo, il 9 e il 30 ot-tobre, e il 16 novembre 2002, rispettivamente iscritti ai numeri 11, 68, 79 e 85 del registro ricorsi 2002; della Regione Umbria, notificati il 22 febbraio e l’11 novembre 2002, depositati il 4 marzo e il 19 novembre 2002, rispettivamente iscritti ai numeri 13 e 89 del registro ricorsi 2002; della Provincia autonoma di Trento, notificati il 22 febbraio e il 25 ottobre 2002, depositati il 4 marzo e il 5 novembre 2002, rispettivamente iscritti ai numeri 14 e 83 del registro ricorsi 2002; della Regione Emilia-Romagna, notificati il 23 febbraio e il 12 novembre 2002, depositati il 5 marzo e il 19 novembre 2002, rispettivamente iscritti ai numeri 15 e 88 del registro ricorsi 2002; della Provincia autonoma di Bolzano, notificato il 25 ottobre 2002, depositato il 31 successivo ed iscritto al n. 80 del registro ricorsi 2002; della Regione Campania, notificato il 12 novembre 2002, depositato il 16 successivo ed iscritto al n. 84 del registro ricorsi 2002; della Regione Basilicata, notificato il 12 novembre 2002, depositato il 19 suc-cessivo ed iscritto al n. 87 del registro ricorsi 2002; della Regione Lombardia, notificato il 12 novembre 2002, depositato il 21 successivo ed iscritto al n. 90 del registro ricorsi 2002; e del Comune di Vercelli, notificato il 12 novembre 2002, depositato il 21 successivo ed iscritto al n. 91 del registro ricorsi 2002.

Visti gli atti di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri, nonché gli atti di intervento dell’Associazione Italia Nostra-Onlus ed altre, della Società Wind Telecomunicazioni s.p.a., della Vodafone Omnitel s.p.a., della Società H3G s.p.a., della T.I.M. s.p.a. - Telecom Italia Mobile e dei Comuni di Ponte-curone, Monte Porzio Catone, Roma, Polignano a Mare, Mantova e del Coordi-namento delle associazioni consumatori (CODACONS);

udito nell’udienza pubblica del 25 marzo 2003 il Giudice relatore Carlo Mezzanotte;uditi gli avvocati Stefano Grassi per la Regione Marche; Vito Vac-chi, Lucia Bora e Fabio Lorenzoni per la Regione Toscana; Giandomenico Fal-con e Maurizio Pedetta per la Regione Umbria; Giandomenico Falcon e Luigi Manzi per la Provincia autonoma di Trento; Giandomenico Falcon, Luigi Manzi e Fabio Dani per la Regione Emilia-Romagna; Roland Riz e Sergio Panunzio per la Provincia autonoma di Bolzano; Beniamino Caravita di Toritto e Massi-mo Luciani per la Regione Lombardia; Vincenzo Cocozza per la Regione Cam-pania; Antonino Cimellaro e Carlo Rienzi per il Comune di Vercelli; Corrado V. Giuliano per l’Associazione Italia Nostra-Onlus ed altre; Beniamino Cara-vita di Toritto e Vittorio D. Gesmundo per la Società Wind Telecomunicazioni s.p.a.; Marco Sica e Mario Libertini per la Vodafone Omnitel s.p.a.; Nicolò Za-non per la Società H3G s.p.a.; Giuseppe De Vergottini, Mario Sanino e Carlo Malinconico per la T.I.M. s.p.a. - Telecom Italia Mobile; Antonino Cimellaro e Carlo Rienzi per il Comune di Pontecurone; Antonino Cimellaro per i Comu-ni di Monte Porzio Catone e Mantova; Sebastiano Capotorto per il Comune di Roma; Vito Aurelio Pappalepore per il Comune di Polignano a Mare; Carlo Rienzi per il CODACONS; e l’avvocato dello Stato Paolo Cosentino per il Presi-dente del Consiglio dei ministri.

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Ritenuto in fatto

1. Con distinti ricorsi, ritualmente notificati e depositati, le Regioni Marche, Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento han-no sollevato questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione e, limitatamente alla Provincia autonoma di Trento, all’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3 (Modi-fiche al titolo V della parte seconda della Costituzione) - dell’art. 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443 (Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive), anche detta “legge obiettivo”.

In particolare, le Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna hanno denun-ciato i commi da 1 a 12 ed il comma 14 del menzionato art. 1, mentre la Re-gione Marche ha impugnato soltanto i commi da 1 a 5. La Provincia autonoma di Trento ha censurato a sua volta i commi da 1 a 4 dello stesso art. 1, preci-sando di non ritenere lese le prerogative ad essa spettanti in forza dello statuto e delle norme di attuazione, bensì affermando di voler denunciare l’incostitu-zionalità della legge n. 443 del 2001 “in quanto essa contraddice l’ulteriore livello di autonomia, spettante alla Provincia ai sensi dell’art. 117 della Costi-tuzione” e dell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, il quale estende alle Regioni ad autonomia differenziata le previsioni del Titolo V della Parte II della Costituzione “per le parti in cui prevedono forme di autonomia più ampie rispetto a quelle già attribuite”.

2. Quanto alle singole censure, tutte le ricorrenti denunciano il comma 1 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001, il quale attribuisce al Governo il compito di individuare le infrastrutture pubbliche e private e gli insediamenti produt-tivi strategici e di preminente interesse nazionale da realizzare per la moder-nizzazione del Paese.

Si lamenta anzitutto la violazione dell’art. 117 Cost., adducendosi al riguardo che il predetto compito non è ascrivibile ad alcuna delle materie di competenza legislativa esclusiva statale.

Le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento so-stengono, inoltre, che, non essendo più contemplata dall’art. 117 Cost. la ma-teria dei “lavori pubblici di interesse nazionale”, non sarebbe nemmeno possi-bile far riferimento alla dimensione nazionale dell’interesse così da escludere la potestà legislativa regionale, atteso che la scelta del legislatore costituzio-nale è stata proprio quella di considerare detta dimensione come rilevante in relazione al riparto solo nell’ambito di quanto assegnato allo Stato a titolo di potestà legislativa esclusiva o concorrente.

Le Regioni Marche e Toscana adducono poi che l’individuazione delle grandi opere potrebbe, in parte, rientrare in uno degli ambiti materiali individuati dall’art. 117, terzo comma, Cost. (quali porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale

dell’energia), ma la disposizione censurata, da un lato, prevederebbe una di-sciplina di dettaglio e non di principio e dunque lesiva dell’autonomia legisla-tiva regionale; dall’altro escluderebbe le Regioni dal processo “codecisionale”, che dovrebbe essere garantito in base allo strumento dell’intesa tra Stato e Regioni medesime.

Tale ultimo profilo di censura, sia pure in subordine all’assunto per cui nella specie non sarebbe comunque possibile far riferimento ad alcuna delle ma-terie elencate nel terzo comma dell’art. 117 Cost., è fatto proprio anche dalle Regioni Umbria ed Emilia-Romagna e dalla Provincia autonoma di Trento, se-condo le quali la potestà legislativa concorrente dello Stato e delle Regioni su tali opere, chiaramente anche di interesse “nazionale”, richiederebbe che su di esse vi sia un coinvolgimento di entrambi i livelli di governo.

In definitiva, si ritiene che la disposizione del comma 1 violi anche il princi-pio di leale collaborazione, giacché non prevede che l’individuazione delle c.d. grandi opere sia determinata dalle Regioni, o quanto meno dal Governo d’inte-sa con le Regioni interessate.

2.1. Il comma 1 dell’art. 1 viene altresì specificamente denunciato dalla Re-gione Marche per contrasto con gli artt. 118 e 119 Cost. In difetto di una puntuale indicazione dei presupposti che giustificano, in base a sussidiarietà, un’allocazione a livello centrale delle funzioni relative alla programmazione, decisione e realizzazione delle singole opere strategiche oggetto della disciplina censurata, risulterebbe violato il primo comma dell’art. 118 Cost.

La ricorrente rileva inoltre che la disposizione censurata non potrebbe giustifi-carsi neppure come una forma di intervento previsto dall’art. 119, quinto com-ma, Cost., ossia quale attribuzione di risorse aggiuntive e di interventi speciali in favore delle singole autonomie locali, giacché essa si limita a prevedere una competenza generale dello Stato sulla determinazione di programmi e inter-venti da realizzarsi in futuro e rispetto ai quali dovranno definirsi e ricercarsi le relative risorse. Così, attribuendo al Governo il compito di reperire tutti i finanziamenti allo scopo disponibili, la disposizione denunciata verrebbe ad incidere sull’autonomia finanziaria delle Regioni, costituzionalmente garantita “in relazione al reperimento delle risorse per la realizzazione delle infrastruttu-re la cui decisione rientra nella competenza regionale”.

3. Tutte le ricorrenti impugnano poi il comma 2 dell’art. 1 della “legge obiet-tivo”, che detta - dalla lettera a) alla lettera o) - i principî ed i criteri direttivi in base ai quali il Governo è chiamato ad emanare, entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi “volti a definire un quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli inse-diamenti individuati ai sensi del comma 1”.

In base ad analoghe censure, che evocano il contrasto con l’art. 117 Cost., si deduce anzitutto che la prevista normativa, in quanto derogatoria della legge quadro sui lavori pubblici (legge 11 febbraio 1994, n. 109), violerebbe la po-testà legislativa esclusiva delle Regioni in materia di appalti e lavori pubblici.

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Si sostiene inoltre che, pur nella ipotesi in cui si intenda riconoscere in mate-ria una potestà legislativa concorrente, sarebbero egualmente violate le com-petenze regionali perché il denunciato comma 2 detta principî non già alle Regioni ma al Governo e ciò attraverso una disciplina compiuta e di dettaglio, non cedevole rispetto ad una eventuale futura legislazione regionale.

In particolare le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, nonché la Provincia au-tonoma di Trento, affermano che la disposizione del comma 2 sarebbe ben lungi dal conformarsi al modello costituzionale, per il quale, anche in relazione alle opere maggiori, la competenza legislativa ripartita deve riflettersi in una gestione congiunta tra Stato e Regioni in “tutti i momenti in cui l’amministra-zione di tali opere si scompone, secondo le regole dei principî di sussidiarietà e di leale cooperazione”.

3.1. La sola Regione Marche assume altresì l’esistenza della violazione degli artt. 117, quarto comma, 118 e 119 Cost., nella parte in cui il comma 2 preve-de criteri direttivi rivolti all’esercizio di competenze amministrative e al reperi-mento e all’organizzazione delle risorse.

3.2. Le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, nonché la Provincia autonoma di Trento sollevano inoltre ulteriori specifiche censure avverso le lettere g) ed n), del comma 2, lamentandone il contrasto con il “diritto europeo”.

Quanto alla lettera g), nella parte in cui circoscrive l’obbligo per il soggetto aggiudicatore di rispettare la normativa europea in tema di evidenza pubblica solo “nel caso in cui l’opera sia realizzata prevalentemente con fondi pubblici”, si tratterebbe di previsione che non trova riscontro nella direttiva 93/37 CEE, neppure nel caso del ricorso all’istituto della concessione di lavori pubblici (art. 3, § l) o all’affidamento ad unico soggetto contraente generale. Essendo, infatti, pur sempre quello dell’appalto di lavori un contratto a titolo oneroso tra un imprenditore e un’amministrazione aggiudicatrice, la stessa partecipa-zione diretta al finanziamento dell’opera o il reperimento dei mezzi finanziari occorrenti, da parte del contraente generale [comma 2, lettera f)], non rileve-rebbe ai fini dell’esenzione dal regime comunitario.

Secondo la Regione ricorrente l’interesse a siffatta censura si radicherebbe sia nella titolarità di competenza legislativa concorrente, sia nel fatto che l’ema-nazione di disposizioni contrastanti con la normativa europea “renderà non più semplice ma al contrario più difficoltosa la realizzazione delle opere”, cui la Regione stessa ha interesse, per il probabile avvio di contestazioni in sede comunitaria.

Da tale ultimo profilo muove l’ulteriore censura che investe la lettera n), se-conda frase, dello stesso comma 2, nella parte in cui restringe, per tutti gli “interessi patrimoniali”, la tutela cautelare al “pagamento di una provvisio-nale”. Questa disposizione - che preclude la sospensione del provvedimento impugnato e rende possibile la prosecuzione della gara fino alla stipulazione del contratto, consolidando gli effetti di eventuali atti illegittimi compiuti nel-

la procedura di gara - si porrebbe in contrasto con la direttiva 89/665/CEE (c.d. direttiva ricorsi), riducendo “le possibilità di tutela piena per i concorrenti che lamentino violazioni delle norme comunitarie in materia di appalti” e ciò in quanto anticiperebbe alla fase cautelare quella limitazione della tutela al risarcimento del danno che l’art. 2, paragrafo 6, della citata direttiva consente nella fase successiva alla “stipulazione di un contratto in seguito all’aggiudi-cazione dell’appalto”.

Una scelta, questa, che - oltre a risultare incompatibile con l’art. 113 Cost. - potrebbe determinare “un forte aggravio dei costi, data la necessità di pagare due volte il profitto d’impresa (una volta a titolo di compenso, la seconda a titolo di danno)” e tale, in ogni caso, da rendere presumibile una reazione ne-gativa da parte delle autorità comunitarie e delle imprese interessate, così da “complicare ulteriormente la vicenda delle opere interessate”.

4. E’ poi denunciato, da tutte le ricorrenti, il comma 3, che abilita il Governo a modificare o integrare il regolamento di attuazione della legge quadro sui lavori pubblici n. 109 del 1994, adottato con d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, ponendosi così in contrasto con l’art. 117, sesto comma, Cost., secondo il qua-le lo Stato non avrebbe alcuna potestà regolamentare nella predetta materia.

5. Tutte le parti ricorrenti impugnano inoltre il comma 4, che delega il Gover-no, limitatamente agli anni 2002 e 2003, ad emanare, nel rispetto dei principî e dei criteri direttivi di cui al precedente comma 2, uno o più decreti legislativi recanti l’approvazione definitiva di specifici progetti di infrastrutture strategi-che individuate secondo quanto previsto al comma 1.

Le censure mosse dalle ricorrenti, che si svolgono secondo argomentazioni già sviluppate in riferimento alla questione concernente il comma 2, evidenziano che le cosiddette “infrastrutture strategiche” rientrano in parte in materie di potestà legislativa concorrente, in parte in materie di potestà legislativa re-gionale residuale, sicché non sarebbe ammissibile, in riferimento a queste ultime, l’intervento di alcun “decreto legislativo” per la diretta approvazione definitiva dell’opera, mancando appunto la potestà legislativa statale specifica nella materia.

6. La sola Regione Marche censura il comma 5, sostenendo che la prevista clausola di salvaguardia in favore delle autonomie speciali confermerebbe “la violazione, a danno delle Regioni di diritto comune, delle competenze costitu-zionalmente garantite dagli artt. 117, 118 e 119 Cost.”.

7. Le Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna denunciano infine i com-mi da 6 a 12 ed il comma 14 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001, che dettano una disciplina in materia edilizia.

Nel delineare sinteticamente il contenuto delle censurate disposizioni, le ri-correnti evidenziano, segnatamente, che con il comma 6 si indicano alcuni interventi edilizi per i quali l’interessato può scegliere la realizzazione “in base

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a semplice denuncia di inizio di attività” in alternativa a concessione o auto-rizzazione edilizia; ad esso si ricollega il comma 12, il quale stabilisce che “le disposizioni di cui al comma 6 si applicano nelle Regioni a statuto ordinario a decorrere dal novantesimo giorno dalla data di entrata in vigore della presen-te legge”, e che le stesse Regioni “con legge, possono individuare quali degli interventi indicati al comma 6 sono assoggettati a concessione edilizia o ad autorizzazione edilizia”.

Le censure, di analogo tenore, prospettano la violazione dell’art. 117 Cost., sostenendosi, in linea principale, che l’edilizia rientra nelle materie a potestà legislativa residuale delle Regioni e dunque non potrebbe essere oggetto di disciplina statale.

In ogni caso, secondo le ricorrenti, ove si intendesse ricondurre la materia dell’edilizia a quella del governo del territorio e, quindi, a materia di legisla-zione concorrente, sarebbe egualmente violato l’art. 117 Cost., in quanto le disposizioni denunciate pongono una disciplina analitica e dettagliata, non limitandosi dunque a dettare i principî fondamentali.

In particolare, poi, avverso il comma 12 la Regione Toscana deduce che la norma, rendendo applicabile alle Regioni quanto disposto dal comma 6, vani-ficherebbe le leggi regionali che hanno disciplinato procedure e titoli abilitativi per l’attività edilizia.

Le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna precisano altresì che, seppure il de-nunciato comma 12 ritarda di novanta giorni l’applicazione del comma 6 e consente alle leggi regionali di individuare quali degli interventi indicati dal medesimo comma continuino ad essere assoggettati a concessione edilizia o ad autorizzazione edilizia, tuttavia, da un lato, permarrebbe il carattere ope-rativo e non di principio della disciplina statale; dall’altro, al legislatore regio-nale sarebbe lasciata soltanto la scelta “di fissare se per un certo intervento è necessario o meno il previo provvedimento, mentre i commi 8, 9 e 10, che pure contengono mere norme procedurali e di dettaglio, appaiono intangibili da parte del legislatore regionale”.

Sempre le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna svolgono ulteriori considerazio-ni sull’incostituzionalità del comma 14, il quale delega il Governo a modificare il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia, di cui all’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50, per adeguarlo alle modifiche disposte dalla legge n. 443.

Ad avviso delle ricorrenti, sarebbe il concetto stesso di testo unico a violare il riparto costituzionale delle competenze e ciò non soltanto per le materie “residuali regionali”, nelle quali non è prevista, in linea di principio, alcuna interferenza della normativa statale, ma anche per le materie di competenza concorrente; per queste ultime la diretta disciplina operativa dovrebbe esse-re essenzialmente regionale, con il vincolo di conformazione ai principî della legislazione statale. Non sarebbe, pertanto, possibile emanare un “testo uni-

co” delle disposizioni relative ad una materia concorrente, giacché un simile testo conterrebbe norme statali per le quali sarebbe naturale la impossibilità di applicazione in ambito regionale “se non attraverso il vincolo che i principî esercitano sulla legislazione regionale, per definizione esclusa dal testo unico”.

Risulterebbe, poi, paradossale - sostengono ancora le ricorrenti - la conce-zione di un testo unico (come nel caso dell’edilizia) delle disposizioni statali legislative e regolamentari, atteso che già nel precedente assetto costituzionale non poteva aversi, nelle materie di competenza legislativa regionale, una nor-mativa statale regolamentare.

8. Con memorie di identico contenuto, si è costituito in tutti i giudizi il Presi-dente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura gene-rale dello Stato, il quale ha concluso per la reiezione dei ricorsi.

Quanto alla dedotta incostituzionalità dell’art. 1, comma 1, della legge n. 443 del 2001, per cui si lamenta l’omessa previsione legislativa di una intesa tra Stato e Regioni interessate, la difesa del Presidente del Consiglio osserva, an-zitutto, che la materia dei lavori pubblici non rientra nella potestà legislativa residuale regionale e ciò in quanto, nel testo riformato dell’art. 117 Cost., nel quale non compare il riferimento alla materia dei lavori pubblici di interesse regionale, si sarebbe adottato il “criterio della strumentalità” di detta materia (già presente nel decreto legislativo n. 112 del 1998). In tal senso, allo Stato sarebbe attribuita la “potestà legislativa di principio” in tema di appalti che sono riferibili a quelle materie rientranti nella potestà legislativa concorrente (porti e aeroporti; grandi reti di trasporto e di navigazione; distribuzione nazio-nale dell’energia; protezione civile).

Peraltro, argomenta ancora l’Avvocatura dello Stato, dovrebbe escludersi, in ogni caso, la necessità dello strumento dell’intesa in ordine all’attività diretta all’individuazione di un’opera pubblica, giacché essa non richiede esercizio di potestà legislativa, trattandosi di “esplicazione della funzione amministrativa, come tale disciplinata dall’art. 118 Cost.”. Sicché, venendo in rilievo, nella fattispecie, l’individuazione e la realizzazione di opere di “preminente interesse nazionale”, sarebbe “in re ipsa che, per assicurarne l’esercizio unitario, siffatte funzioni non possano che spettare allo Stato”.

Nondimeno, il fatto che la disposizione censurata preveda, quanto all’attività di individuazione dell’opera, la compartecipazione delle Regioni, sia in proprio, sia come componenti della Conferenza unificata, indurrebbe ad escludere che vi sia un vulnus alle competenze costituzionalmente garantite alle Regioni stesse.

Altrettanto infondate sarebbero, ad avviso della difesa erariale, le censure mos-se al comma 2 dell’art. 1, posto che l’avere la disposizione dettato principî e criteri direttivi per la futura attività normativa di delegazione, sì da consentire - secondo la prospettata doglianza - l’emanazione di una disciplina di dettaglio e, quindi, invasiva delle competenze regionali, non concreterebbe una lesione

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delle prerogative costituzionali delle Regioni, bensì “una mera eventualità” di lesione. Di dette prerogative la legge n. 443 del 2001 avrebbe, comunque, te-nuto conto, prevedendo (al comma 3) il parere della Conferenza unificata.

In riferimento, poi, alla censura che investe il comma 3 dell’art. 1 - a supporto della quale si adduce la carenza di potestà regolamentare in capo allo Stato - l’Avvocatura ribadisce la natura concorrente della competenza legislativa nel settore dei lavori pubblici, potendo così lo Stato, “per il principio di continui-tà”, dettare una disciplina di dettaglio, “seppur con carattere di cedevolezza”.

Quanto, inoltre, alle doglianze mosse avverso i commi 6 e seguenti dello stes-so art. 1 - le quali fanno leva sull’asserita violazione dell’art. 117 Cost., per essere la materia dell’edilizia ricompresa nella sfera di competenza legislativa esclusiva regionale e, in ogni caso, ove ricondotta tale materia al governo del territorio, per aver le disposizioni denunciate previsto una disciplina di detta-glio - la difesa erariale ricorda che le norme censurate riguardano le condizioni per il rilascio di concessioni ed autorizzazioni edilizie e i casi in cui a siffatti provvedimenti può sostituirsi, facoltativamente, la denuncia di inizio attività; riguardano cioè l’attività di “uso e governo del territorio”, in quanto tale rien-trante nella competenza concorrente di cui all’art. 117, terzo comma, Cost.

Ad avviso dell’Avvocatura, dovrebbe comunque escludersi che in tal caso sia stata adottata una normativa di dettaglio: la previsione, “a livello di principio”, della “surrogabilità della concessione edilizia con la denuncia di inizio attività, in presenza di particolari condizioni obiettive”, supererebbe, infatti, il princi-pio, contenuto in altra legge statale, per il quale era possibile il ricorso alla denuncia di inizio attività soltanto in relazione ad interventi edilizi minori.

9. Le ricorrenti hanno ribadito le rispettive ragioni con memoria illustrativa depositata in prossimità dell’udienza pubblica fissata per il 19 novembre 2002 e poi rinviata al 25 marzo 2003.

9.1. Nelle memorie si puntualizza, tra l’altro, che la disciplina posta dalla legge impugnata è stata innovata dall’art. 13 della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti), che, in particolare, ha sostituito il comma 1 dell’art. 1 (concernente le modalità di individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici) ed il successivo comma 2, lettera c) (sulle procedure di approvazione dei relativi progetti).

Tuttavia, ad avviso delle ricorrenti, le predette norme, così come innovate, conservano i vizi di incostituzionalità già dedotti nei vari ricorsi proposti av-verso la legge n. 443 del 2001.

In particolare, secondo le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento, le ricordate modifiche non inciderebbero sull’interesse al ricorso, non essendo venuto meno l’impianto fondamentale della legge n. 443 del 2001, basato sulla attrazione alla competenza statale non solo della programmazione, ma anche dell’approvazione dei progetti e, in buona parte,

della realizzazione delle opere - sia pubbliche che private - tramite la semplice soggettiva qualificazione delle stesse come “strategiche” e di “preminente inte-resse nazionale”. Sicché, la “norma” censurata sarebbe ancora presente nella disposizione impugnata e quindi la questione di costituzionalità sollevata non avrebbe affatto “perso d’attualità, riguardando l’art. 1, comma 1, della legge n. 443 del 2001, come modificato dalla legge n. 166 del 2002”.

In ogni caso, sostengono ancora le ricorrenti, l’originaria disposizione è già stata attuata con la deliberazione 21 dicembre 2001 del Comitato intermini-steriale per la programmazione economica (CIPE) [Legge obiettivo: I° Program-ma delle infrastrutture strategiche (Delibera n. 121/2001)], “sicché l’interesse al ricorso permane anche in relazione alla formulazione originaria della dispo-sizione”.

9.2. La Regione Toscana, diversamente dalle altre parti ricorrenti, ha inoltre dichiarato di non voler più insistere nella denuncia dei commi da 6 a 12 e del comma 14, poiché tale normativa è stata oggetto di successiva modifica da parte dell’art. 13 della legge n. 166 del 2002, nel senso del riconoscimento della validità delle leggi regionali emanate in materia edilizia e della possibili-tà per le Regioni di ampliare o ridurre l’ambito applicativo dei titoli abilitativi previsti dal legislatore nazionale.

10. Anche il Presidente del Consiglio dei ministri ha depositato una memoria nel giudizio promosso dalla Provincia autonoma di Trento con la quale insiste per il rigetto del ricorso, evidenziando in particolare che le modifiche apportate dalla legge n. 166 del 2002 alla legge impugnata sarebbero tali da determinare la carenza di interesse a ricorrere in relazione a tutte le censure imperniate sul difetto di una previa intesa Stato-Regioni.

11. In prossimità dell’udienza pubblica del 25 marzo 2003 hanno depositato ulteriori memorie illustrative le Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna nonché la Provincia autonoma di Trento.

11.1. Nel ribadire le argomentazioni svolte nei precedenti scritti la Regione Toscana ritiene altresì che le disposizioni denunciate non potrebbero trovare giustificazione neppure in base all’art. 120 Cost. Mancherebbe infatti la legge che disciplina le procedure atte a garantire l’esercizio del potere sostitutivo nel rispetto del principio di sussidiarietà e, in ogni caso, tale esercizio non potreb-be mai essere consentito in base a previsioni astratte di interventi a fronte di motivati dissensi espressi dalle Regioni nelle materie di propria competenza. Giammai potrebbe poi ritenersi che il dissenso della Regione sul progetto pre-liminare e definitivo di un’opera pubblica rappresenti fattispecie legittimante l’attivazione del potere sostitutivo, e ciò in quanto la Regione non sarebbe inadempiente ma esprimerebbe il proprio dissenso motivato ed offrirebbe so-luzioni alternative così da rendere necessaria, alla luce del principio di leale collaborazione, una soluzione condivisa che tenga conto delle molteplici com-petenze regionali incise dalla localizzazione di un’opera.

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Nella memoria si contesta poi che le norme censurate possano giustificarsi in base all’art. 118, primo comma, Cost., giacché l’individuazione e la realizzazio-ne di un’opera pubblica richiedono comunque l’esercizio di potestà legislativa e questa deve essere esercitata nel rispetto del riparto delle competenze stabilite nella Costituzione. Sicché, nelle materie di competenza regionale (concorrente e residuale) spetterebbe alle Regioni medesime disciplinare, nell’esercizio della propria potestà amministrativa, il procedimento in questione, attribuendo agli enti locali le relative funzioni nel rispetto dei criteri di sussidiarietà, adegua-tezza e differenziazione di cui all’art. 118 Cost.

Da ultimo si insiste nella rinuncia all’impugnazione, per sopravvenuto difetto di interesse, dei commi da 6 a 12 e 14 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001, atteso che le modiche apportate dalla successiva legge n. 166 del 2002 per-mettono alla Regione di esercitare le proprie competenze legislative in materia edilizia.

11.2. Le Regioni Umbria, Emilia-Romagna e Provincia autonoma di Trento, con memorie di identico contenuto, ribadiscono le ragioni già sviluppate in precedenza, contestando le argomentazioni sostenute dalla difesa erariale.

In particolare, si insiste nel fatto che non sarebbe possibile fare ricorso, al fine di radicare nello Stato la competenza legislativa a provvedere alla disciplina delle cosiddette grandi opere, al criterio della strumentalità delle materie coin-volte, né tanto meno ai principî di sussidiarietà ed adeguatezza, che attengono all’allocazione delle funzioni amministrative.

Si esclude inoltre che, al medesimo scopo, possa invocarsi l’interesse nazio-nale, giacché, come tale, esso rappresenterebbe un criterio generico che, nel contesto della riforma del Titolo V, non potrebbe più operare al fine del ri-parto delle materie, al quale provvede accuratamente l’art. 117 Cost. in base ad una specifica elencazione: l’interesse nazionale non costituirebbe dunque titolo autonomo di competenza statale, né giustificherebbe una disciplina che rimetta alla discrezionalità del Governo la sua definizione.

Da ultimo si riafferma la sussistenza di un interesse ad una pronuncia nel merito sulla censura che lamenta l’assenza dell’intesa Stato-Regioni e ciò no-nostante la modifica introdotta in tal senso dalla legge n. 166 del 2002 al denunciato comma 1 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001, giacché la disposi-zione originaria aveva già trovato attuazione con la predisposizione del primo programma di infrastrutture strategiche.

12. Con ricorso iscritto al reg. ric. n. 68 del 2002, ritualmente notificato e depositato, la Regione Toscana ha sollevato questione di legittimità costitu-zionale dell’articolo 13, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 11, della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti), denunciandone il contrasto con gli artt. 117, 118 e 119 Cost.

La Regione osserva preliminarmente che la disposizione impugnata ha modi-ficato l’art. 1 della legge 21 dicembre 2001, n. 443, concernente le modalità di individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici, e che proprio quest’ultima disposizione è stata da essa in precedenza denun-ciata con ricorso iscritto al n. 11 del reg. ric. dell’anno 2002. Ad avviso della Regione le modifiche apportate dall’art. 13 al menzionato art. 1 non sarebbe-ro tali da elidere i dubbi di incostituzionalità già prospettati, tanto più che lo stesso art. 13 risulterebbe illegittimo e lesivo dell’autonomia regionale costi-tuzionalmente garantita.

12.1. Secondo la ricorrente le disposizioni censurate avrebbero potuto tro-vare fondamento nella materia “lavori pubblici di interesse nazionale”, ma la stessa non è prevista tra quelle elencate dal nuovo art. 117 Cost., che ha eliminato ogni riferimento alla dimensione nazionale dell’interesse, affidando al contrario alla competenza legislativa concorrente materie (quali: porti e ae-roporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia) in cui la predetta dimensione è implicita nel loro stesso contenuto.

Dovrebbe inoltre escludersi, ad avviso della Regione, che le stesse disposizioni possano fondarsi sul terzo comma dell’art. 117 Cost., giacché le c.d. grandi opere non sono necessariamente collegate a materie ivi elencate, come nel caso, ad esempio, della realizzazione degli insediamenti produttivi che si ri-connette alla materia dell’industria, di competenza residuale regionale ai sensi del quarto comma dell’art. 117 Cost. Analogamente è da dirsi per la disciplina dei lavori pubblici e privati, trattandosi di materia riservata alla legislazione regionale, con l’unico limite del rispetto della Costituzione e dei vincoli deri-vanti dall’ordinamento comunitario.

In ogni caso, ove si volesse ammettere una competenza statale relativamen-te ad opere strategiche collegate a materie elencate nel terzo comma dell’art. 117 Cost., la stessa non potrebbe che esercitarsi attraverso l’individuazione dei principî regolatori, mentre la normativa denunciata non si limita a dettare principî alle Regioni in tema di individuazione e realizzazione delle c.d. gran-di opere, ma al contrario definisce i criteri ai quali il Governo dovrà attenersi nell’esercizio della delega con una disciplina compiuta, dettagliata e minu-ziosa, tale da elidere ogni possibilità di intervento normativo da parte delle Regioni medesime.

Argomenta ancora la ricorrente che una tale illegittima appropriazione da par-te dello Stato di potestà legislative regionali non potrebbe giustificarsi in nome dell’interesse nazionale, che il nuovo Titolo V non contempla più come limite alla potestà legislativa delle Regioni, così come non prevede un generale potere di indirizzo e coordinamento. Non sarebbe dunque ammissibile reintrodurre limiti alla potestà legislativa regionale non espressamente previsti in Costitu-zione riferendosi alla rilevanza nazionale di un’opera.

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12.2. Ad avviso della Regione le disposizioni impugnate violerebbero anche l’art. 118 Cost. A tale riguardo si osserva che, per un verso, l’effettivo rispetto dei criteri di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza imporrebbe che ogni scelta legislativa di allocazione delle funzioni debba essere supportata dall’analisi e dalla verifica dei livelli di governo maggiormente rispondenti a detti criteri e che, dunque, debbano essere resi conoscibili i motivi della scel-ta e quindi dell’esercizio in concreto di tale potere discrezionale: il che non avviene nel caso in esame. Per altro verso, le esigenze di esercizio unitario richiamate dall’art. 118 Cost. non potrebbero costituire un titolo autonomo legittimante l’intervento del legislatore statale, come invece accade in base alle denunciate disposizioni. Ciò perché l’art. 118, primo comma, Cost. è norma che fissa i criteri per l’allocazione delle funzioni, ma non disciplina le fonti deputate ad allocare le stesse e quindi non rappresenta il presupposto su cui fondare variazioni e spostamenti rispetto alla titolarità della potestà legislati-va, come stabilita dall’art. 117.

12.3. Il fatto poi che il comma 3 del censurato art. 13 abbia introdotto il prin-cipio per cui l’individuazione delle grandi opere avviene d’intesa con le Regioni interessate e con la Conferenza unificata, anziché sulla base del loro pare-re (come originariamente previsto), non costituirebbe, secondo la ricorrente, una modifica tale da far superare gli evidenziati dubbi di incostituzionalità, in quanto, da un lato, l’intesa non può rappresentare un meccanismo trami-te il quale lo Stato si appropria di potestà legislative ad esso non riservate e, dall’altro, non è contemplato alcun meccanismo a garanzia che l’intesa non sia di fatto recessiva rispetto al potere dello Stato di provvedere ugualmente a fronte del motivato dissenso regionale. In definitiva l’intesa non garantireb-be una reale forma di coordinamento paritario, con ciò ledendo il principio di leale cooperazione che imporrebbe, nella materia in esame, una effettiva codeterminazione del contenuto dell’atto di individuazione delle grandi opere.

12.4. La Regione sostiene altresì che neppure i commi 5 e 6 del denunciato art. 13, che dettano i criteri ai quali deve attenersi il Governo nell’emanare il decreto legislativo volto a disciplinare le modalità di approvazione dei progetti preliminari e definitivi delle opere strategiche, garantirebbero il rispetto delle attribuzioni regionali. Ciò in quanto il ruolo della Regione nell’approvazione dei progetti (demandata al CIPE o a decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previa deliberazione del CIPE integrato dai Presidenti delle Regioni, sentita la Conferenza unificata, previo parere delle competenti commissioni parlamentari) sarebbe soltanto quello di esprimere un parere, mentre l’appro-vazione di detti progetti assume particolare rilievo poiché determina la localiz-zazione urbanistica dell’opera, la compatibilità ambientale della medesima e sostituisce ogni permesso ed autorizzazione comunque denominati.

Ad avviso della ricorrente le disposizioni denunciate inciderebbero quindi sul-la materia, di legislazione concorrente, del governo del territorio, dettando un regime derogatorio per l’individuazione delle opere e per l’approvazione dei progetti delle stesse che non lascerebbe spazio alla legislazione regionale; in-

terferirebbero sulla normativa regionale già vigente che disciplina i procedi-menti per l’approvazione delle opere pubbliche, prevedendo le necessarie ve-rifiche di natura urbanistica, idrogeologica e di difesa del suolo (laddove essa Regione ha attribuito tali funzioni amministrative ai Comuni e alle Province); esautorerebbero la Regione delle proprie attribuzioni in merito alla valutazione di impatto ambientale delle opere. A tal specifico riguardo la Regione Toscana rileva che il comma 3 dell’art. 13 prevede che anche le strutture concernenti la nautica da diporto possono essere inserite nel programma delle infrastrut-ture strategiche, ciò comportando che la valutazione di impatto ambientale sulle stesse debba effettuarsi con la procedura prevista dal successivo comma 5 e dunque dal Ministro competente, restando così sottratto alle Regioni, con lesione delle relative attribuzioni in materia di porti e valorizzazione dei beni ambientali.

12.5. La ricorrente osserva poi che le prospettate censure non potrebbero essere superate dal fatto che il comma 3 del denunciato art. 13 della legge n. 166 del 2002 prevede che il Governo, nell’emanare il decreto delegato, dovreb-be agire “nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle Regioni”, giacché, oltre ad essere espressione vaga e generica, si tratta di indicazione che non potrebbe comunque essere rispettata, considerato che sono già i principî posti dalla delega a vulnerare le attribuzioni delle Regioni.

12.6. La Regione assume infine che i commi 1 e 11 dell’art. 13, nel preve-dere specifici stanziamenti per la progettazione e la realizzazione delle opere strategiche individuate dal CIPE, contrasterebbero sia con gli artt. 117 e 118 Cost., in quanto “fanno riferimento al programma predisposto dal CIPE che […] è elaborato in spregio alle competenze regionali”, sia con l’art. 119 Cost., incidendo sull’autonomia finanziaria delle Regioni che la norma costituzionale garantisce in relazione al reperimento delle risorse per la realizzazione delle infrastrutture la cui decisione rientra nella competenza regionale.

13. Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappre-sentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Quanto alla dedotta violazione dell’art. 117 Cost., la difesa erariale osserva che l’omessa previsione della materia dei lavori pubblici regionali nella legge costituzionale n. 3 del 2001 si giustificherebbe in ragione del perseguimento del criterio, già presente nel decreto legislativo n. 112 del 1998, della stru-mentalità della materia dei lavori pubblici, per cui allo Stato spetta la potestà legislativa di principio per la disciplina degli appalti relativi alle materie ricom-prese nella potestà legislativa concorrente.

Con riferimento poi al profilo di censura che sostiene esservi lesione delle at-tribuzioni regionali in considerazione della minuziosità della normativa intro-dotta, l’Avvocatura rileva che l’attività di individuazione di un’opera pubblica non richiederebbe l’esercizio di potestà legislative, ma solo di quelle ammini-strative, ai sensi dell’art. 118 Cost.

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Quanto poi alla denunciata violazione proprio dell’art. 118, primo comma, Cost. si osserva che, allorquando è necessario assicurare l’esercizio unitario di funzioni amministrative, come è in riferimento all’individuazione e realiz-zazione di opere di “preminente interesse nazionale”, la fonte normativa di distribuzione delle funzioni medesime non potrebbe che essere una legge sta-tale. Legge che, nel caso di specie, correttamente espliciterebbe i presupposti per l’allocazione delle funzioni al massimo livello, che sono espressamente indicati in “finalità di riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio na-zionale”, in “fini di garanzia della sicurezza strategica e di contenimento dei costi dell’approvvigionamento energetico del Paese” e nell’“adeguamento della strategia nazionale a quella comunitaria delle infrastrutture e della gestione dei servizi pubblici locali di difesa dell’ambiente”.

La difesa erariale sostiene inoltre che proprio le doglianze mosse avverso la mancata previsione sia di una previa intesa per l’individuazione delle opere strategiche, sia dell’integrazione del CIPE con la presenza dei Presidenti del-le Regioni per l’approvazione dei relativi progetti, hanno indotto il legislatore a modificare in questo senso la legge n. 443 del 2001, tramite l’art. 13 della legge n. 166 del 2002, e ciò per assicurare “il rispetto delle attribuzioni costi-tuzionali” delle Regioni.

Quanto infine alle censure riguardanti i commi 1 e 11 del menzionato art. 13, l’Avvocatura ritiene che gli artt. 117 e 118 Cost., in ragione delle argomenta-zioni già spese, non siano violati nella procedura di individuazione e approva-zione dei progetti da parte del CIPE e che parimenti non possa reputarsi leso l’art. 119 Cost. giacché, trattandosi di progettazione e realizzazione di opere di preminente interesse nazionale, è allo Stato che compete autorizzare i limiti di impegno e la destinazione della spesa derivanti dagli stanziamenti del proprio bilancio.

14. In prossimità dell’udienza la Regione Toscana ha depositato una memoria con cui, ribadendo le argomentazioni già svolte, insiste nelle conclusioni già rassegnate.

15. Nello stesso giudizio hanno depositato, fuori termine, congiunto atto di in-tervento ad adiuvandum l’Associazione Italia Nostra-Onlus, Legambiente-On-lus, l’Associazione italiana per il World Wide Fund For Nature (WWF)-Onlus, per sentire dichiarare l’incostituzionalità dell’art. 13, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 11, della legge n. 166 del 2002, denunciato dalla Regione Toscana.

16. La Regione Toscana, le Province autonome di Bolzano e di Trento, la Re-gione Marche hanno proposto questione di legittimità costituzionale in via principale di numerosi articoli del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, recante “Attuazione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazio-ne delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale”, denunciandone il contrasto con gli artt. 76, 117, 118 e 120 Cost., nonché con gli artt. 8, primo comma, numeri 5, 6, 9, 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22, 24; 9, primo comma, numeri 8, 9, e 10; 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, nel testo approvato con d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670

(Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige). Più nello specifico, la Toscana impugna gli artt. 1-11, 13, 15, 16, commi 1, 2, 3, 6, 7; 17-20; la Provincia autonoma di Bolzano gli artt. 1, commi 1 e 7; 2, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 7; 3, commi 4, 5, 6, 9; 13, comma 5; 15; la Regione Marche gli artt. 1-11, 13, 15-20; la Provincia autonoma di Trento gli artt. 1, 2, 3, 4, 13 e 15.

17. Il ricorso della Provincia autonoma di Trento è stato depositato presso la cancelleria della Corte costituzionale il 5 novembre 2002, cioè il giorno succes-sivo alla scadenza del termine di dieci giorni previsto dall’art. 32, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87. Con apposita istanza la Provincia rende noto che il mancato rispetto del termine non può essere imputato a negligenza, ma alla impossibilità, conseguente alla mancata disponibilità dell’atto presso l’Ufficio notifiche, per ragioni che atterrebbero al funzionamento di tale ufficio e che sono state espressamente riconosciute dal medesimo con certificato alle-gato al ricorso depositato. Pur non negando il carattere perentorio del termine di cui è discorso, la Provincia istante ritiene che ciò non dovrebbe impedire l’applicazione di ulteriori principî giuridici come quello dell’errore scusabile, espressamente riconosciuto nel giudizio amministrativo. Si chiede pertanto di considerare scusabile, e dunque tempestivo, il deposito effettuato dalla Pro-vincia autonoma di Trento il 5 novembre 2002. In subordine, peraltro, ove la Corte ritenesse che la mancata menzione dell’errore scusabile negli artt. 31, terzo comma, e 32, terzo comma, della legge n. 87 del 1953 sia dalla Corte ri-tenuta preclusiva dell’applicazione di tale istituto, l’istante eccepisce l’illegitti-mità costituzionale in parte qua di tali disposizioni, per violazione dell’art. 24, primo comma, Cost. e del principio di ragionevolezza.

18. In tutti i ricorsi si osserva preliminarmente come la disciplina statale non potrebbe trovare fondamento negli specifici titoli abilitativi delle lettere e), m) e s), dell’art. 117 Cost., in quanto la disciplina oggetto di impugnazione non avrebbe nulla a che vedere con la tutela della concorrenza [lettera e)], dell’am-biente e dell’ecosistema [lettera s)] né tanto meno con la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale [lettera m)].

Le ricorrenti pongono inoltre in risalto come le Regioni sarebbero divenute titolari della competenza legislativa concorrente in molte delle materie che attengono alla realizzazione di opere pubbliche, quali “porti e aeroporti civili”, “grandi reti di trasporto e navigazione”, “trasporto e distribuzione nazionale dell’energia”, “governo del territorio”. Solo in relazione alle opere pubbliche relative ai predetti settori materiali lo Stato sarebbe dunque titolare di potestà legislativa, che dovrebbe peraltro essere esercitata attraverso la predisposizio-ne di una normativa di principio, non anche attraverso discipline di dettaglio che, come nella specie, comprimano gli spazi di scelta politica delle Regioni. La materia degli insediamenti produttivi e delle infrastrutture strategiche, per di più, sarebbe interamente affidata alla potestà legislativa residuale delle Re-gioni, così da escludere ogni intervento normativo statale.

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L’esigenza di tutelare un interesse nazionale non potrebbe giustificare la dero-ga al riparto delle competenze costituzionali che il decreto impugnato avrebbe introdotto, in quanto l’interesse nazionale non potrebbe più costituire il tito-lo per sottrarre oggetti alle materie di competenza regionale. Egualmente, si aggiunge nel ricorso della Regione Toscana, non varrebbe invocare l’art. 118, primo comma, e le esigenze di esercizio unitario ivi richiamate, che non po-trebbero costituire un titolo autonomo legittimante l’intervento del legislatore statale in materie di competenza delle Regioni, giacché l’art. 118 non conter-rebbe un riparto di materie ulteriore e potenzialmente antagonista rispetto a quello contenuto nell’art. 117 Cost.

Le disposizioni impugnate sarebbero illegittime pure per contrasto con l’art. 76 Cost., giacché la legge di delegazione espressamente prevedeva che la dele-ga dovesse essere esercitata «nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle Regioni».

18.1. Nello specifico, sono oggetto di impugnazione:

a) - l’art. 1, comma 1, che regola la progettazione, l’approvazione e realizza-zione delle infrastrutture strategiche e degli insediamenti produttivi di premi-nente interesse nazionale, individuati da un apposito programma approvato dal CIPE (art. 1 legge n. 443 del 2001). Le opere sono differenziate in catego-rie. Quelle per le quali l’interesse regionale è concorrente con il preminente interesse nazionale sono individuate con intese quadro fra Governo e singole Regioni e per esse è previsto che le Regioni medesime partecipino, con le mo-dalità stabilite nelle intese, alle attività di progettazione, affidamento dei lavori e monitoraggio, «in accordo alle normative vigenti ed alle eventuali leggi regio-nali allo scopo emanate».

La Provincia autonoma di Bolzano ritiene che tale disposizione sarebbe rivolta a salvaguardare unicamente le competenze ad essa riconosciute dallo statu-to speciale e dalle norme di attuazione, senza alcun riferimento alle nuove e maggiori competenze che le spetterebbero ai sensi degli artt. 117 e 118 Cost. Risulterebbe inoltre violato l’art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992, il quale impone il sollecito adeguamento (sei mesi) della legislazione provinciale ai principî della legislazione statale, tenendo ferma «l’immediata applicabilità nel territorio regionale (…) degli atti legislativi dello Stato nelle materie nelle quali alla Regione o alla Provincia autonoma è attribuita delega di funzioni statali»;

b) - l’art. 1, comma 5, il quale dispone che le Regioni, le Province, i Comuni, le Città metropolitane applicano, per le proprie attività contrattuali ed organiz-zative relative alla realizzazione delle infrastrutture e diverse dall’approvazione dei progetti (comma 2) e dalla aggiudicazione delle infrastrutture (comma 3), «le norme del presente decreto legislativo fino alla entrata in vigore di una di-versa norma regionale, (…) per tutte le materie di legislazione concorrente». Le Regioni Toscana e Marche e la Provincia autonoma di Trento ne denunciano il contrasto con l’art. 117 Cost., poiché in materie di competenza regionale con-

corrente sarebbe posta una normativa cedevole di dettaglio, il che, dopo la ri-forma del Titolo V della Parte II della Costituzione, non sarebbe più consentito;

c) - l’art. 1, comma 7, lettera e), che, nel definire opere per le quali l’interesse regionale concorre con il preminente interesse nazionale «le infrastrutture (…) non aventi carattere interregionale o internazionale per le quali sia prevista, nelle intese generali quadro di cui al comma 1, una particolare partecipazione delle Regioni o Province autonome alle procedure attuative» e opere di carat-tere interregionale o internazionale «le opere da realizzare sul territorio di più Regioni o Stato, ovvero collegate funzionalmente ad una rete interregionale o internazionale», sarebbe incostituzionale in primo luogo per eccesso di de-lega, giacché la legge n. 443 del 2001 non avrebbe autorizzato il Governo a porre un regime derogatorio anche per le opere di interesse regionale (ricorso della Regione Toscana). Inoltre, si argomenta in tutti i ricorsi, la disposizione in oggetto, nell’escludere la concorrenza dell’interesse regionale con il premi-nente interesse nazionale in relazione ad opere aventi carattere interregionale o internazionale, sarebbe lesiva delle competenze attribuite alle Regioni dagli artt. 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118, primo comma, Cost. Del pari illegittima sarebbe la subordinazione all’intesa statale dell’individuazione del-le opere per le quali esista un concorrente interesse regionale. La medesima disposizione contrasterebbe inoltre con gli artt. 19, 20 e 21 delle norme di at-tuazione dello statuto del Trentino-Alto Adige recate dal d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 (Norme di attuazione dello statuto speciale per la Regione Trentino-Alto Adige in materia di urbanistica ed opere pubbliche), giacché escluderebbe la necessità di un’intesa per le infrastrutture e i collegamenti interregionali e internazionali;

d) - l’art. 2, comma 1, il quale stabilisce che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti «promuove le attività tecniche ed amministrative occorrenti ai fini della sollecita progettazione ed approvazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi ed effettua, con la collaborazione delle Regioni e delle Province autonome interessate con oneri a proprio carico, le attività di sup-porto necessarie per la vigilanza, da parte del CIPE, sulla realizzazione delle infrastrutture». Secondo la prospettazione delle Province autonome di Trento e di Bolzano sarebbero riservati al Ministero delle infrastrutture e dei traspor-ti i compiti tecnici e amministrativi che l’art. 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige attribuisce alle Province autonome, con violazione anche dell’art. 4, comma 1, del decreto legislativo n. 266 del 1992, il quale prevede che «nelle materie di competenza propria della Regione o delle Province auto-nome la legge non può attribuire agli organi statali funzioni amministrative (…) diverse da quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale e le norme di attuazione»;

e) - l’art. 2, commi 2, 3, 4, 5 e 7, il quale, nel riservare al Ministero delle in-frastrutture e dei trasporti l’attività di progettazione, direzione ed esecuzione delle infrastrutture ed il potere di assegnare le risorse integrative necessarie alle attività progettuali, anziché assegnare i fondi direttamente alle Province

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autonome di Trento e Bolzano, violerebbe l’art. 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e l’art. 4, comma 3, del decreto legislativo n. 266 del 1992, secondo cui «fermo restando quanto disposto dallo statuto speciale e dalle relative norme di attuazione, nelle materie di competenza propria della Provincia, le amministrazioni statali, comprese quelle autonome, e gli enti di-pendenti dallo Stato non possono disporre spese né concedere, direttamente o indirettamente, finanziamenti o contributi per attività nell’ambito del territorio regionale o provinciale»;

f) – l’art. 2, comma 5, il quale, nel prevedere che per la nomina di commissari straordinari destinati a seguire l’andamento delle opere aventi carattere in-terregionale o internazionale debbano essere sentiti i Presidenti delle Regioni interessate, si porrebbe in contrasto, ad avviso di tutte le ricorrenti, con gli artt. 117 e 118 Cost. e con il principio di leale collaborazione, in quanto su tale oggetto dovrebbe essere prevista la forma più intensa di collaborazione dell’intesa. I commi 5 e 7 sarebbero inoltre incostituzionali anche perché at-tribuirebbero allo Stato compiti decisionali che in base all’art. 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992 sarebbero di competenza della Provincia autonoma di Bolzano;

g) - l’art. 2, comma 7, che attribuisce al Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentiti i Ministri competenti, nonché, per le infrastrutture di competenza dei soggetti aggiudi-catari regionali, i Presidenti delle Regioni, il potere di abilitare i commissari straordinari ad adottare, con poteri derogatori della normativa vigente e con le modalità di cui all’art. 13 del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67 (Disposi-zioni urgenti per favorire l’occupazione), i provvedimenti e gli atti di qualsiasi natura necessari alla sollecita progettazione, istruttoria, affidamento e realiz-zazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi, in sostituzione dei soggetti competenti. Le Regioni Toscana e Marche e la Provincia autonoma di Trento lamentano la lesione degli artt. 117 e 118 Cost., in quanto la previsione impugnata si applica anche alle opere regionali e potrebbe pertanto riguardare provvedimenti che spetterebbe alla Regione e alle Province adottare nell’eserci-zio delle proprie competenze normative e amministrative. Secondo la Regione Toscana difetterebbero inoltre i presupposti ai quali l’art. 120 Cost. subordina il legittimo esercizio dei poteri sostitutivi statali. Infine, si sostiene nel ricorso della Provincia autonoma di Bolzano, risulterebbe violato anche l’art. 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992, giacché allo Stato sarebbero stati attribuiti compiti decisionali spettanti alla Provincia;

h) - l’art. 3, il quale disciplina la procedura di approvazione del progetto preli-minare delle infrastrutture, le procedure di valutazione d’impatto ambientale (VIA) e localizzazione, secondo tutte le ricorrenti sarebbe illegittimo nella sua interezza, in quanto disciplinerebbe la procedura di approvazione del progetto preliminare con regolazione di minuto dettaglio, mentre, in relazione ad ogget-ti ricadenti nella competenza regionale in materia di governo del territorio, la legislazione statale avrebbe dovuto limitarsi alla predisposizione dei principî

fondamentali. Il medesimo art. 3, nella parte in cui affida al CIPE l’approva-zione del progetto preliminare delle infrastrutture coinvolgendo le Regioni in-teressate ai fini dell’intesa sulla localizzazione dell’opera, ma prevedendo pure che il medesimo progetto non sia sottoposto a conferenza di servizi, ad avviso della Regione Toscana violerebbe l’art. 76 Cost., poiché l’art. 1, comma 2, let-tera d), della legge di delega n. 443 del 2001 autorizzava solo a modificare la disciplina della conferenza dei servizi e non a sopprimerla del tutto.

Del pari incostituzionali sarebbero, secondo tutte le ricorrenti, i commi 6 e 9 dell’art. 3, i quali, nel prevedere che lo Stato possa procedere comunque all’ap-provazione del progetto preliminare relativo alle infrastrutture di carattere interregionale e internazionale superando il motivato dissenso delle Regioni, violerebbero gli artt. 114, commi primo e secondo, 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118, commi primo e secondo, Cost. Le Regioni, si osserva nei ricorsi, sarebbero infatti relegate in posizione di destinatarie passive di provvedimenti assunti a livello statale in materie che sono riconducibili alla potestà legislati-va concorrente. Per le ragioni appena esposte sarebbero incostituzionali anche gli artt. 4, comma 5, e 13, comma 5, che alla procedura dell’art. 3, comma 6, fanno espresso rinvio;

i) - l’art. 4, comma 5, nella parte in cui prevede che l’approvazione del progetto definitivo sia adottata «con il voto favorevole della maggioranza dei componenti del CIPE», sarebbe, ad avviso della Regione Toscana, costituzionalmente ille-gittimo per contrasto con l’art. 76 Cost., e specificamente con l’art. 1, comma 3-bis, della legge di delega, il quale prevede quale momento indefettibile del procedimento di approvazione del progetto definitivo il parere obbligatorio del-la Conferenza unificata;

j) - le norme contenute negli artt. 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 e 11, che introducono rilevanti modifiche in materia di appalti e di concessioni dei lavori pubblici, secondo le Regioni Toscana e Marche sarebbero illegittime in quanto incidenti su materie ascrivibili alla competenza legislativa residuale delle Regioni, ine-rendo alla materia dei lavori pubblici e degli appalti. Non varrebbe neppure, si soggiunge nel ricorso della Regione Toscana, rilevare che in tale materia siano recepite ed applicate norme di fonte comunitaria, giacché l’attuazione di norme comunitarie in materia di competenza regionale spetterebbe comunque alle Regioni;

k) - l’art. 8, nella parte in cui prevede che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti pubblichi la lista delle infrastrutture per le quali il soggetto aggiudi-catore ritiene di sollecitare la presentazione di proposte da parte di promotori e, se la proposta è presentata, stabilisce che il soggetto aggiudicatore, valutata la stessa come di pubblico interesse, promuova la procedura di VIA e se neces-sario la procedura di localizzazione urbanistica, secondo la Regione Toscana sarebbe illegittimo, oltre che per i profili evidenziati alla lettera j), anche per l’ulteriore ragione che non chiarirebbe se le infrastrutture inserite nella lista per sollecitare le proposte dei promotori siano da individuare tra quelle già

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ricomprese nel programma di opere strategiche formato d’intesa con le Regio-ni, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge di delega n. 443 del 2001, o se al contrario si debba consentire la presentazione di proposte dei promotori an-che per opere non facenti parte del programma, e sulle quali nessuna intesa è stata raggiunta con le Regioni interessate;

l) - l’art. 13, che disciplina le procedure per la localizzazione, l’approvazione dei progetti, la VIA degli insediamenti produttivi e delle infrastrutture private strategiche per l’approvvigionamento energetico, richiamando gli artt. 3 e 4, sarebbe incostituzionale, secondo la Regione Marche, per le medesime ragioni già esposte con riguardo alle disposizioni citate; inoltre esso, secondo la Pro-vincia autonoma di Trento, violerebbe l’art. 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992, in quanto, per effetto della semplice individuazione, con atto statale di carattere amministrativo, del preminente interesse nazionale di alcuni inse-diamenti privati, spoglierebbe la Provincia ricorrente dei poteri amministrativi ad essa spettanti. Il medesimo art. 13, nel comma 5, sarebbe inoltre lesivo delle competenze costituzionali della Provincia autonoma di Bolzano per il fatto di prevedere che l’approvazione del CIPE sostituisce le autorizzazioni, concessioni edilizie e approvazioni in materia di urbanistica e opere pubbliche che rientrano nelle competenza della Provincia medesima;

m) - l’art. 15, il quale attribuisce al Governo la potestà regolamentare di inte-grazione di tutti i regolamenti emanati in base alla legge n. 109 del 1994, e, nel comma 2, autorizza i regolamenti emanati in esercizio della potestà di cui al comma 1 ad abrogare o derogare, dalla loro entrata in vigore, le norme di diverso contenuto precedentemente vigenti nella materia, si porrebbe in con-trasto, ad avviso della Regione Toscana, con l’art. 1, comma 3, della legge di delega n. 443 del 2001, che delegava il Governo ad integrare e modificare solo il regolamento n. 554 del 1999. Tutte le ricorrenti lamentano inoltre che l’at-tribuzione al Governo di potestà regolamentare in materia di appalti e di opere pubbliche, materia che non sarebbe qualificabile come di potestà esclusiva statale, contravverrebbe al rigido riparto di competenza posto nell’art. 117, se-sto comma, Cost. La potestà di dettare norme regolamentari in materie diverse da quelle di legislazione esclusiva non potrebbe essere riconosciuta neppure alla condizione che i regolamenti statali siano cedevoli rispetto a quelli regio-nali, poiché l’articolo impugnato avrebbe espressamente escluso la propria cedevolezza per la parte della disciplina da esso recata non riconducibile a materie di competenza esclusiva statale. Il medesimo articolo è impugnato dalla Provincia autonoma di Bolzano nel comma 4, ove si statuisce l’appli-cabilità nei confronti delle Regioni e delle Province autonome della disciplina regolamentare adottata dallo Stato con il d.P.R. 23 dicembre 1999, n. 554, in radicale contrasto con quanto statuito da questa Corte nella sentenza n. 482 del 1995;

n) - l’art. 16, commi 1, 2, 3, 6 e 7, il quale, anticipando la disciplina proce-dimentale oggetto di impugnazione ai progetti già in corso, incorrerebbe, se-condo la Regione Toscana, nei medesimi vizi già illustrati in riferimento alle singole fasi del procedimento;

o) - gli artt. 17, 18, 19 e 20, per la parte in cui dettano una disciplina della pro-cedura di VIA di opere e infrastrutture che deroga alla disciplina regionale e provinciale, sono denunciati dalle Regioni Marche e Toscana, le quali ritengo-no lese le proprie competenze a disciplinare gli strumenti attuativi della tutela dell’ambiente dettati dal legislatore comunitario;

p) - l’art. 19, comma 2, che demanda la valutazione di impatto ambientale a una commissione speciale costituita dal Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambiente e della tutela del territorio, sarebbe illegittimo, a giudizio delle Regioni Marche e Toscana, per la mancata previsio-ne di una partecipazione delle Regioni, che sarebbero in tal modo estromesse dalla funzione di attuazione del valore costituzionale «ambiente»;

q) - gli artt. 1, commi 1 e 7; 2, commi 1, 2, 3, 4, 5, e 7; 3, commi 4, 5, 6 e 9; 13, comma 5; e 15, nel prevedere procedimenti di approvazione che comporta-no l’automatica variazione degli strumenti urbanistici, determinano l’accerta-mento della compatibilità ambientale e sostituiscono ogni altra autorizzazio-ne, approvazione e parere, disattenderebbero, secondo la Provincia autonoma di Bolzano, le norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige recate dal d.P.R. n. 381 del 1994, che subordinano l’adozione di alcune delle opere previste dal decreto impugnato alla previa intesa con la Provincia.

19. Si è costituito in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, rap-presentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che i ri-corsi siano dichiarati infondati. La difesa erariale sostiene innanzitutto che la materia dei lavori pubblici, non richiamata nel nuovo testo dell’art. 117 Cost., non potrebbe essere ascritta alla potestà residuale della Regione, ma che, al contrario, lo Stato conserverebbe la potestà legislativa di principio per la di-sciplina degli appalti riferibili alle materie comprese nella potestà legislativa concorrente. Ciò senza considerare che anche nel nuovo Titolo V l’interesse nazionale potrebbe legittimare il superamento della ripartizione per materie posta nel medesimo art. 117.

Inoltre, prosegue l’Avvocatura, la legge n. 166 del 2002, recependo le istanze regionali, avrebbe previsto che l’individuazione delle opere avvenga d’intesa fra lo Stato e le Regioni, sicché il decreto impugnato si dovrebbe considerare rispettoso delle attribuzioni regionali. La partecipazione effettiva delle Regioni alla fase di approvazione, come prevede l’art. 2, comma 1, del decreto impu-gnato, priverebbe di fondamento la censura relativa al potere sostitutivo con-ferito al Governo nell’ipotesi di dissenso della Regione interessata, tanto più che la fattispecie sarebbe perfettamente conforme allo schema di esercizio del potere sostitutivo delineato nell’art. 120, secondo comma, Cost., venendo in questione opere che, per la loro indubitabile rilevanza strategica, sarebbero in grado di incidere sull’unità economica del Paese.

Quanto alla ammissibilità di una normativa statale di dettaglio, ovviamente cedevole, in materia di potestà concorrente, la difesa del Presidente del Con-siglio dei ministri osserva che ciò risponderebbe «ad una esigenza imprescin-

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dibile, in applicazione del principio di continuità, quando non vi sia alcuna altra norma applicabile alla fattispecie». Neppure dovrebbe dirsi leso l’art. 118 Cost., poiché la nuova formulazione di tale articolo attribuisce le funzioni am-ministrative sulla base del principio di sussidiarietà, precisando che tali fun-zioni devono essere attribuite allo Stato quando occorra assicurarne l’esercizio unitario, ciò che, secondo l’Avvocatura, accadrebbe nel caso di specie, doven-dosi realizzare opere di “preminente interesse nazionale”.

Con riguardo alle censure che investono la previsione della nomina governa-tiva di un commissario straordinario che vigili sull’andamento delle opere e l’attribuzione ad esso del potere di adottare i provvedimenti necessari alla tem-pestiva esecuzione dell’opera, la difesa erariale replica osservando: che la pro-cedura ha luogo solo per le opere di interesse internazionale o interregionale; che comunque è previsto che siano sentiti i Presidenti delle Regioni coinvolte; che infine i poteri sostitutivi del commissario non potranno oltrepassare le competenze dell’ente conferente, non potendo lo Stato conferire poteri maggio-ri di quelli di cui esso stesso gode.

In merito alla mancata previsione della partecipazione regionale alla procedu-ra di valutazione di impatto ambientale dell’opera si rileva che la VIA attiene alla tutela dell’ambiente, materia attribuita alla competenza esclusiva dello Stato.

20. In prossimità dell’udienza pubblica del 25 marzo 2003 tutte le parti han-no depositato ulteriori memorie difensive. La Regione Toscana e la Provincia autonoma di Bolzano contestano l’esistenza di un criterio di strumentalità del-la materia dei lavori pubblici, dal quale discenderebbe la conseguenza che lo Stato sarebbe abilitato a dettare i principî per la disciplina degli appalti riferi-bili alle materie soggette alla potestà legislativa concorrente. Di strumentalità, si argomenta nel ricorso toscano, si potrebbe parlare solo se nell’art. 117 Cost. fosse stata inserita tra le materie riservate allo Stato quella dei “lavori pubblici di interesse nazionale”, ciò che non è avvenuto. Anche ad accedere alla tesi della strumentalità, peraltro, non verrebbero meno le ragioni di illegittimità costituzionale delle norme denunciate. In tale ottica, osservano la Regione Toscana e la Provincia autonoma di Bolzano, dovrebbe comunque essere rite-nuta di competenza statale la sola disciplina delle opere pubbliche comprese nelle materie di competenza legislativa esclusiva statale, ad esempio le opere concernenti la difesa o l’ordine pubblico, non anche tutte le altre opere che i decreti impugnati invece menzionano e regolamentano con normativa di mi-nuto dettaglio. Allo Stato, prosegue la Provincia autonoma di Bolzano, spet-terebbe solo la determinazione dei principî fondamentali della disciplina dei lavori che riguardino le infrastrutture sulle quali è riconosciuta una potestà legislativa concorrente e quindi, proprio applicando il criterio della strumen-talità, non si giustificherebbe la disciplina statale delle procedure per la rea-lizzazione di infrastrutture riconducibili a materie attribuite alla competenza esclusiva o concorrente della Provincia.

Del pari infondata, secondo tutte le ricorrenti, sarebbe la tesi statale secondo la quale l’interesse nazionale rappresenterebbe ancora un limite alla pote-stà legislativa regionale che consentirebbe di superare la ripartizione posta nell’art. 117 Cost., giacché in tal modo sarebbe inammissibilmente reintrodot-to in Costituzione un limite che non è più espressamente previsto. La tutela degli interessi unitari potrebbe ormai essere realizzata solo attraverso poteri e istituti espressamente previsti in Costituzione. Si aggiunge nella memoria del-la Provincia autonoma di Trento che, se le Regioni non potessero intervenire là dove sono in gioco interessi nazionali, non si giustificherebbero nemmeno i poteri sostitutivi disciplinati nell’art. 120, secondo comma, Cost. Inoltre, os-serva la Provincia, già dall’art. 13 del decreto-legge n. 67 del 1997, risultava che opere “di rilevante interesse nazionale” potevano non di meno essere di competenza regionale, mentre il decreto legislativo n. 112 del 1998 avrebbe attribuito allo Stato la competenza su “grandi reti infrastrutturali dichiarate di interesse nazionale con legge statale” sul presupposto che non fosse giusti-ficabile una disciplina che, come quella impugnata, rimettesse la definizione di tale interesse alla discrezionalità del Governo.

Neppure si potrebbe affermare, soggiunge la Regione Toscana, che la norma-tiva impugnata sarebbe rispettosa dell’autonomia regionale poiché è stato in essa previsto che l’individuazione delle opere sia effettuata d’intesa fra Stato e Regioni e l’approvazione dei progetti avvenga attraverso l’intesa. Gli accordi e le intese non possono infatti vincolare il legislatore statale o regionale, vi-sto che l’ordine costituzionale delle competenze legislative è indisponibile. Il richiamo che la difesa erariale fa all’art. 120 Cost., si prosegue nella memoria della Toscana, non sarebbe pertinente, perché tale disposizione richiede la definizione, con legge, delle procedure atte a garantire che il potere sostitutivo sia esercitato nel rispetto del principio di sussidiarietà e di leale collaborazio-ne, e tale legge non è stata ancora emanata, con conseguente impossibilità di applicare il medesimo art. 120. Inoltre l’intervento sostitutivo in discorso sarebbe attivato in assenza di un inadempimento regionale, e per effetto della sola manifestazione del dissenso da parte della Regione (memoria della Re-gione Toscana), e non sarebbe giustificabile con l’esigenza di garantire l’unità economica del Paese (memoria della Provincia autonoma di Bolzano), sicché l’avere legittimato un intervento sostitutivo in assenza di ogni inadempimento regionale sarebbe ragione di illegittimità del decreto legislativo per violazione del principio di leale collaborazione, richiamato dallo stesso art. 120, secondo comma, Cost.

Quanto alla asserita legittimità delle norme di dettaglio “cedevoli”, le ricorrenti ricordano la sentenza n. 282 del 2002 di questa Corte, dalla quale sarebbe chiaramente desumibile che la competenza statale nelle materie di potestà concorrente è «limitata alla determinazione dei principî fondamentali della materia», sicché non sarebbero più ammissibili normative suppletive statali.

L’Avvocatura, si osserva nella memoria della Provincia autonoma di Bolzano, invoca la legge n. 166 del 2002, che, a suo dire, avrebbe recepito le istanze

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regionali in materia, ma il richiamo sarebbe inconferente, poiché la legge in questione è precedente rispetto al decreto impugnato, così da non poter spie-gare alcuna influenza sulla questione all’esame della Corte. Nella medesima memoria e in quella della Provincia di Trento si ribadisce che la soluzione procedimentale contemplata nell’art. 3, comma 6, per superare il dissenso della Provincia sarebbe illegittima, per la mancata previsione di un’intesa, e respinge sul punto le diverse considerazioni dell’Avvocatura, che invocherebbe in modo errato l’art. 1, comma 2, del decreto impugnato. Parimenti incostitu-zionale sarebbe la nomina del commissario straordinario. Il rilievo che la pro-cedura censurata riguarderebbe soltanto le opere di interesse internazionale o interregionale, oltre a non trovare fondamento nella lettera della norma impu-gnata (così nella memoria della Provincia autonoma di Trento) non varrebbe comunque a farne venire meno l’illegittimità, posto che per i collegamenti di tale natura gli artt. 19, 20 e 21 del d.P.R. n. 381 del 1974 imporrebbero il rag-giungimento di un’intesa, non essendo sufficiente la mera audizione dei Pre-sidenti delle Regioni interessate (memorie delle Province autonome di Trento e Bolzano).

In riferimento alla denunciata lesione dell’art. 118 Cost., secondo la Provin-cia autonoma di Bolzano, non sarebbe possibile invocare la sussistenza di esigenze unitarie relativamente alle funzioni amministrative, giacché la Co-stituzione, «lasciando alle Regioni la competenza a dettare la disciplina della materia, ha ritenuto che non sussistesse un’esigenza di assoluta uniformità tra Regione e Regione nemmeno quanto a disciplina legislativa». Comunque, alla Provincia di Bolzano, in base all’art. 16 dello statuto di autonomia, non potrebbero essere sottratte le funzioni amministrative nelle materie che rien-trano nella sua competenza legislativa, non essendo applicabile alla medesima l’art. 118 Cost., quando ciò determini un regime di minor garanzia rispetto a quello assicurato dallo statuto. Inoltre, si legge nella memoria della Provincia autonoma di Trento, l’art. 118 sancirebbe il principio del parallelismo non quanto alla spettanza delle funzioni amministrative, ma in ordine al potere di allocare le funzioni, sicché lo Stato non avrebbe avuto il potere di allocare le funzioni amministrative relative a opere pubbliche, salvo quelle rientranti in materie di potestà legislativa esclusiva statale.

21. Ha anche depositato ulteriori memorie, per il Presidente del Consiglio dei ministri, l’Avvocatura generale dello Stato. La difesa erariale muove dalla con-statazione che non si possano enfatizzare gli aspetti innovativi della riforma del Titolo V e al contempo continuare ad utilizzare schemi concettuali propri del precedente assetto costituzionale, occorrendo al contrario «ampliare l’o-rizzonte all’esperienza degli Stati federali». In simile prospettiva sarebbe inne-gabile la rilevanza costituzionale dell’interesse nazionale, che legittima, negli Stati Uniti con la formula degli implied powers, in Germania con quella della Sachzusammenhang (connessione delle materie) e con la Natur der Sache (natura della cosa), l’intervento della Federazione nelle materie di competen-za degli Stati membri. Proprio in considerazione della natura delle opere da realizzare in base al decreto impugnato, che pur avendo rilevanza regionale,

convergerebbero funzionalmente nel programma di modernizzazione del Pae-se, sarebbe evidente come la competenza debba spettare allo Stato. I soggetti privati non sarebbero infatti invogliati a investire risorse se la localizzazione e progettazione delle opere venisse rimessa a discipline e soggetti diversi e la stessa procedura per l’individuazione del contraente, che incide sulle condi-zioni economiche dell’operazione, dipendesse dalle scelte legislative e ammi-nistrative di ogni Regione. Per ragioni analoghe sarebbero legittimi anche i meccanismi di superamento del dissenso regionale e gli interventi sostitutivi da parte dei commissari straordinari, i quali sarebbero diretti non solo a ga-rantire l’interesse pubblico statale alla realizzazione dell’opera, ma anche a diminuire il “rischio amministrativo” dell’operazione finanziata con capitali privati. Alla luce di tali considerazioni l’Avvocatura sostiene che le attribuzioni costituzionali delle Regioni riceverebbero adeguata considerazione nella par-tecipazione alle sedi deliberative statali.

Tornando al tema della configurabilità del limite dell’interesse nazionale, l’Av-vocatura ricorda come nel dibattito dottrinario siano state numerose le voci che hanno radicato tale limite nell’art. 5 Cost., e, con specifico riguardo alla materia dei lavori pubblici, osserva come essa presenti aspetti che non possono prescindere da un’impostazione unitaria. Il regime degli appalti, ad esempio, presupporrebbe la concorrenza delle imprese, materia che risulta assegnata alla competenza esclusiva dello Stato, e sempre alla tutela della concorrenza dovrebbe essere ricondotta tutta la disciplina che riguarda i meccanismi di aggiudicazione e di qualificazione delle imprese con riferimento alla materia delle opere pubbliche, che pure è di competenza regionale. Proprio in consi-derazione dei profili delle materie di potestà concorrente che possono incidere su interessi tutelati a livello unitario, e ricadenti nell’ambito delle materie di competenza esclusiva statale, sarebbe giustificato il ricorso a una gestione uniforme e ispirata a esigenze di sicurezza e di efficienza a livello nazionale di opere infrastrutturali essenziali allo sviluppo del Paese.

22. Le Regioni Campania, Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria, Lombardia hanno proposto questione di legittimità costituzionale in via principale, in riferimento agli artt. 3, 9, 32, 41, 42, 44, 70, 76, 77, 97, 114, 117, 118 e 119 Cost., nonché all’art. 174 del trattato istitutivo della Comunità europea, dell’intero decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198, recante “Di-sposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomu-nicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell’art. 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443”, e in particolare degli artt. 1, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12.

Nei ricorsi regionali si osserva in via preliminare che la legge di delega n. 443 del 2001 autorizzava l’adozione di una normativa specifica per le sole in-frastrutture di telecomunicazione puntualmente individuate anno per anno, mentre nel caso di specie non vi sarebbe stata tale individuazione, ma esclu-sivamente una «sintesi del piano degli interventi nel comparto delle comunica-zioni». Inoltre, si osserva nei ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna e Umbria,

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la delega sarebbe stata conferita per la realizzazione di “grandi opere”, men-tre tralicci, pali, antenne, impianti radiotrasmittenti, ripetitori, che il decreto legislativo n. 198 disciplina, costituirebbero solo una molteplicità di piccole opere, del tutto estranee all’oggetto della delega. Infine, si aggiunge nei ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia, lungi dall’uniformarsi ai principî e criteri direttivi della delega, il decreto impugnato, nell’art. 1, porreb-be i principî che informano le disposizioni successive, con ciò confermando la violazione della delega.

Si invoca la violazione dei limiti della delega, nello specifico:

a) - per l’art. 3, in quanto la delega stabiliva che le infrastrutture strategiche dovessero essere individuate d’intesa con la Regione, mentre di tale intesa non vi sarebbe traccia (ricorso della Regione Toscana);

b) - per l’art. 3, comma 1, sull’assunto che non era stato conferito al Governo alcun potere di derogare alle norme della legge 22 febbraio del 2001, n. 36 (ri-corso delle Regioni Marche e Lombardia);

c) - per l’art. 3, comma 2, che dispone la deroga, sotto il profilo urbanistico, “ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento”, là dove l’art. 1, comma 2, della legge n. 443 del 2001 prevedeva solo una deroga «agli articoli 2, da 7 a 16, 19, 20, 21, da 23 a 30, 32, 34, 37-bis, 37-ter e 37-quater della legge 11 febbraio 1994, n. 109», nonché alle ulteriori disposizioni della medesima legge che non fossero necessaria ed immediata applicazione delle direttive comuni-tarie (ricorsi delle Regioni Marche e Lombardia);

d) - per l’art. 4, comma 1, poiché in tale disposizione mancherebbe ogni rife-rimento a infrastrutture che siano state dichiarate “strategiche” ai sensi della legge n. 443 del 2001, così da potere essere riferita alle infrastrutture radioe-lettriche tout court (tutti i ricorsi);

e) - per l’art. 11, che avrebbe illegittimamente innovato al d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (ricorso della Regione Marche);

f) - per l’art. 12, commi 1 e 2, il quale, disponendo l’efficacia delle nuova di-sciplina anche alle installazioni di infrastrutture già assentite dalle ammini-strazioni, farebbe assumere al decreto impugnato, in assenza di una specifica previsione di infrastrutture di telecomunicazioni strategiche nel programma approvato dal CIPE nel 2001, una efficacia retroattiva (ricorsi delle Regioni Toscana e Marche);

g) - per l’art. 12, comma 4, che avrebbe eliminato le procedure di “valutazio-ne di impatto ambientale”, là dove la delega contemplava solo la loro riforma (ricorso della Regione Marche). Inoltre la medesima delega stabiliva che le infrastrutture strategiche sarebbero state individuate d’intesa con la Regione, ma di tale intesa non vi sarebbe traccia nell’art. 3 del decreto legislativo impu-gnato (ricorso della Regione Toscana).

In merito alla denunciata lesione dell’art. 117 Cost., nei ricorsi delle Regioni Campania, Toscana, Marche, Basilicata e Lombardia si sostiene che il decreto legislativo n. 198 disciplinerebbe oggetti riconducibili alle materie “ordina-mento della comunicazione”, “governo del territorio” e “tutela della salute”, di potestà concorrente, con disposizioni di minuto dettaglio. Nei ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna e Umbria, dopo aver notato come sia lo stesso legi-slatore a escludere di agire nell’esercizio della potestà esclusiva quando asse-risce, all’art. 1, di dettare i “principî fondamentali” nella materia considerata, si afferma che nella materia oggetto del decreto legislativo n. 198 spetterebbe alle Regioni una potestà legislativa piena, salvi gli aspetti relativi alla tutela dell’ambiente, della salute e quelli collegati al governo del territorio, ossia alla localizzazione delle opere.

Risulterebbe inoltre indefinito, secondo la ricorrente Regione Marche, lo stesso criterio di individuazione delle infrastrutture di telecomunicazione che dovreb-bero rientrare nell’ambito della disciplina derogatoria prevista dal legislatore delegante. Il provvedimento del CIPE al quale, ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge di delega, era affidata l’individuazione delle opere, infatti, avrebbe semplicemente indicato i flussi di investimento, non anche le opere da realiz-zare. Da ciò la conclusione che le infrastrutture di telecomunicazioni si atter-rebbero, per una parte, alla materia di potestà concorrente “ordinamento della comunicazione”, per l’altra, a materie come l’urbanistica e l’edilizia, l’industria e il commercio, che sarebbero ascrivibili alla potestà legislativa residuale delle Regioni e che non potrebbero essere svuotate del loro contenuto semplicemen-te invocando il carattere di “interesse nazionale” delle opere da realizzare.

Nello specifico, i ricorsi regionali censurano le seguenti disposizioni del decre-to legislativo n. 198 del 2002:

a) - l’art. 1, che imporrebbe, con normazione di dettaglio, una procedura dero-gatoria e unificata a livello nazionale per opere che rientrerebbero anche nel-la competenza regionale, per la connessione dell’oggetto della disciplina con materie di competenza regionale sia concorrente, sia residuale (ricorsi delle Regioni Campania, Marche, Basilicata e Lombardia);

b) - l’art. 3, per la parte in cui afferma che le categorie di infrastrutture di telecomunicazioni strategiche sono opere di interesse nazionale, realizzabili esclusivamente sulla base delle procedure definite nel decreto, in deroga alle disposizioni dell’art. 8, comma 1, lettera c), della legge n. 36 del 2001, che ave-va previsto la competenza legislativa regionale nella definizione delle modalità per il rilascio delle autorizzazioni all’installazione degli impianti; i commi 2 e 3 del medesimo articolo sono inoltre impugnati in quanto stabiliscono che le infrastrutture di comunicazione possono essere realizzate in ogni parte del territorio comunale anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento, con la precisazione che la disciplina delle opere di urbanizzazione primaria è applicabile alle opere civili e in ge-nere ai lavori e alle reti indispensabili per la realizzazione delle infrastrutture

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di telecomunicazione. La deroga alle previsioni urbanistiche ed edilizie locali determinerebbe lesione delle competenze regionali in materia di ordinamento della comunicazione, governo del territorio, urbanistica ed edilizia e rendereb-be vana ogni pianificazione territoriale, anche a livello comunale (ricorsi delle Regioni Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia); inoltre la medesima disposizione, liberalizzando, sotto il profilo urbanistico, il diritto di installazione degli impianti di telecomunicazione, sacrificherebbe in modo eccessivo interessi costituzionali come quello alla tutela del paesaggio e all’ordinato sviluppo urbanistico del territorio, determinando una violazione del limite della utilità sociale che l’art. 41 Cost. pone alla iniziativa economica privata (ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna e Umbria);

c) - l’art. 4, il quale prevede che l’autorizzazione alla installazione sia rilasciata previo accertamento della compatibilità del progetto con i limiti di esposizio-ne, i valori di attenzione e gli obiettivi di qualità stabiliti, con riferimento ai campi elettromagnetici, uniformemente a livello nazionale. Così disponendo, il legislatore statale avrebbe vanificato la legislazione regionale già adottata in materia sulla base dell’art. 3, comma 1, lettera d), della legge n. 36 del 2001 (ricorsi Toscana, Emilia-Romagna e Umbria) e impedito alle Regioni di porre, a tutela di interessi sanitari e ambientali delle rispettive popolazioni, misure di garanzia ulteriori rispetto a quelle che il legislatore nazionale abbia fissato su tutto il territorio nazionale (ricorso della Regione Lombardia);

d) - gli artt. 5 e 6, nel disciplinare i procedimenti di autorizzazione relativi alle infrastrutture di telecomunicazione per impianti radioelettrici, detterebbero regole di estremo dettaglio in materia di competenza regionale concorrente; inoltre le disposizioni in oggetto, unitamente all’art. 7, comma 7, autorizzando l’installazione degli impianti in qualunque posizione, senza imporre distanze minime dalle abitazioni, recherebbero un eccessivo e ingiustificato pregiudizio alla tutela dell’ambiente e della salute e violerebbero in particolare il principio di precauzione di cui all’art. 174, comma 2, del trattato istitutivo della CE, non essendo consentito, in tale materia, affidarsi alla “autodisciplina” dei privati come si è fatto con la previsione di denunce di inizio attività e meccanismi di silenzio-assenso (ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia);

e) - gli artt. 7, 8, 9 e 10, che pongono una disciplina di favore per le opere ci-vili, gli scavi e le occupazioni di suolo pubblico strumentali alla realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione, favorirebbero alcuni operatori nel settore delle telecomunicazioni senza che le Regioni, pur titolari della potestà legislativa in materia di ordinamento della comunicazione, abbiano in alcun modo potuto interloquire sulla individuazione di tali soggetti e sulla necessità di ammetterli a tale regime speciale e derogatorio (tutte le ricorrenti);

f) - l’art. 12, il quale, nel dettare le disposizioni finali, attribuisce valore di autorizzazione e di dichiarazione di inizio attività anche ai titoli già rilasciati per l’installazione delle infrastrutture e alle istanze già presentate, alla data di entrata in vigore della nuova normativa, per gli impianti con tecnologia UMTS

o con potenza di antenna eguale o inferiore a 20 Watt. La disposizione in og-getto, per un verso, anticiperebbe l’applicazione della nuova normativa anche a infrastrutture che non sono state ancora individuate con il programma delle opere strategiche, contraddicendo così l’art. 1 della legge di delega n. 443 del 2001, per l’altro estenderebbe retroattivamente la disciplina derogatoria già denunciata come lesiva delle competenze regionali. Pure incostituzionale sa-rebbe, secondo la Regione Marche, l’abrogazione dell’art. 2-bis della legge 1° luglio 1997, n. 189, per effetto della quale risulterebbe esclusa la competenza della Regione a prevedere, nell’esercizio delle proprie attribuzioni legislative, l’applicazione di procedure di valutazione di impatto ambientale anche in re-lazione ad oggetti non specificamente individuati dalle direttive comunitarie.

Ulteriori censure, diverse da quelle che denunciano la violazione del quadro costituzionale delle competenze legislative, investono:

a) - gli artt. 3, comma 2; 5; 7; 9; 12, commi 3 e 4; nonché gli allegati A, B, C e D. Le norme e gli allegati in discorso attribuirebbero al Governo un potestà normativa diretta alla modificazione o integrazione dei regolamenti di esecu-zione e attuazione della legislazione finora vigenti in materie di potestà concor-rente, in tal modo violando l’art. 117, sesto comma, Cost., il quale riconosce allo Stato la potestà regolamentare solo nelle materie di legislazione esclusiva statale (ricorso della Regione Marche);

b) - gli articoli e allegati citati nel punto precedente (ricorso della Regione Marche), nonché gli artt. da 4 a 9 (ricorso della Regione Toscana), che, nel disciplinare dettagliatamente il procedimento per il rilascio dei titoli abilitativi per l’installazione delle infrastrutture di telecomunicazioni e per le opere con-nesse, si porrebbero in contrasto con l’art. 118 Cost., il quale affiderebbe alle Regioni la competenza a distribuire le funzioni nelle materie in cui è ad esse riconosciuta potestà legislativa concorrente o residuale. Nel caso di specie sarebbe lesiva delle attribuzioni regionali l’allocazione a livello centrale delle funzioni amministrative relative alla specifica localizzazione sul territorio e alla concreta realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazione;

c) - gli artt. 5, commi 3, 4, 5, 6, e 7; 6, comma 1; 7, commi 2, 3, 4, 5, 6, e 7; 8, comma 3; 9, commi 1, 2, e 3; 12, comma 4 (ricorso della Regione Marche), che, disponendo una serie di semplificazioni procedurali dei processi decisionali per la realizzazione delle infrastrutture di telecomunicazioni impedirebbero alle Regioni di concorrere all’attuazione del valore costituzionale della tutela ambientale;

d) - in particolare gli artt. 7, comma 5; e 9, comma 3, sono impugnati nel ri-corso della Regione Basilicata per la parte in cui prevedono che nell’ipotesi di contrasto fra le amministrazioni interessate nella procedura di installazione di infrastrutture di comunicazione la decisione sia rimessa al Presidente del Consiglio dei ministri, con ciò sacrificando, secondo la prospettazione regio-nale, le attribuzioni riconosciute in materia alla Regione e contraddicendo la

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legge n. 241 del 1990, che affida la decisione finale al Consiglio dei ministri solo quando l’amministrazione dissenziente o procedente sia un’amministra-zione statale e non anche nelle altre ipotesi, nelle quali la potestà decisionale sarebbe conferita ai competenti organi esecutivi degli enti territoriali;

e) – l’art. 9, commi 5 e 10, per la parte in cui impone agli enti locali forme di programmazione in tempi predefiniti dal legislatore statale e limita, per gli ope-ratori, gli oneri connessi alle attività di installazione, scavo e occupazione di suolo pubblico, violerebbe il principio dell’autonomia finanziaria, il quale po-stulerebbe che tutte le funzioni amministrative spettanti alle Regioni e diverse da quelle ordinarie siano finanziate attraverso la diretta attribuzione di risorse ai loro bilanci, senza vincoli sulle modalità di spesa, e comunque precludereb-be allo Stato di limitare l’autonomia regionale nella selezione degli strumenti da impiegare per realizzare le grandi opere di interesse nazionale (ricorsi delle Regioni Campania, Toscana, Marche, Emilia-Romagna e Umbria);

f) - gli artt. 5, comma 6; 7, comma 4; 9, comma 2, che estendono la regola della maggioranza all’adozione dell’atto finale in Conferenza dei servizi, con ciò de-terminando, secondo la ricorrente Regione Campania, la totale pretermissione della volontà della Regione in materie di propria competenza;

g) - l’intero decreto legislativo, poiché, nel disporre, nel complesso delle sue disposizioni e segnatamente nell’art. 13, un trattamento differenziato per le Regioni ordinarie rispetto alle Regioni ad autonomia speciale, violerebbe il principio di parità di trattamento fra le autonomie regionali e il principio di ragionevolezza, posto che tale diversità di trattamento sarebbe ormai ingiu-stificata, alla luce della revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione e specificamente della clausola di estensione di cui all’art. 10 della legge co-stituzionale n. 3 del 2001 (ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia).

23. Si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, con il patrocinio dell’Avvocatura generale dello Stato, e ha chiesto che i ricorsi siano rigettati.

Secondo la difesa erariale non sussisterebbe alcuna violazione dell’art. 76 Cost., giacché la legge di delega specificamente riguardava le “infrastrutture pubbliche e private e gli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale da realizzare per la modernizzazione e lo sviluppo del Pae-se”, la cui individuazione concreta era rimessa a un programma approvato dal CIPE che, nell’allegato 5, elencherebbe le infrastrutture di telecomunicazioni per la realizzazione dei servizi UMTS, banda larga e digitale terrestre. La piena conformità alla delega del decreto legislativo impugnato sarebbe comprovata anche dal fatto che con esso si sarebbero razionalizzate le procedure autoriz-zatorie per l’installazione degli impianti di telecomunicazioni, come richiedeva l’art. 1, comma 2, lettera b), della delega. Il decreto non inciderebbe neppu-re, prosegue l’Avvocatura, sulla disciplina relativa ai limiti di esposizione ai campi elettromagnetici contenuta nella legge n. 36 del 2001, ma al contrario

imporrebbe il rispetto dei limiti attualmente fissati nel decreto ministeriale 3 settembre 1997, n. 381.

In ordine alla denunciata lesione della competenza legislativa concorrente del-le Regioni, la difesa statale sostiene che la materia cui inerisce il decreto le-gislativo sia esclusivamente quella della tutela dell’ambiente e non già quella del governo del territorio e contesta il rilievo secondo il quale non sarebbe consentito nel caso in esame stabilire una normativa uniforme a livello nazio-nale, poiché alcune Regioni avrebbero già esercitato la loro potestà legislativa in tema di localizzazione degli impianti di telecomunicazioni, rammentando come le leggi regionali emanate in questa materia siano state tutte impugnate dal Governo proprio sotto il profilo della violazione della competenza esclusiva statale in materia di ambiente. L’ulteriore interesse sottostante la discipli-na oggetto di impugnazione consisterebbe nella tutela della concorrenza nel settore delle telecomunicazioni, che sarebbe certo favorita dalla previsione di procedure autorizzatorie uniformi su tutto il territorio nazionale.

Quanto alla dedotta violazione dell’art. 118 Cost., l’Avvocatura contesta l’as-sunto dei ricorrenti, secondo il quale l’esigenza di esercizio unitario delle fun-zioni amministrative non potrebbe costituire un titolo autonomo legittimante l’intervento del legislatore statale, osservando come sia ancora controversa, in dottrina, l’applicabilità alla legislazione concorrente regionale dei principî di sussidiarietà e di adeguatezza e proseguendo che il limite dell’interesse na-zionale, pur non più menzionato in Costituzione, potrebbe comunque essere considerato contenuto implicito del principio di unità e indivisibilità della Na-zione.

24. Nei giudizi instaurati con i ricorsi delle Regioni Campania, Toscana e Mar-che hanno spiegato intervento le società H3G s.p.a., T.I.M. s.p.a. – Telecom Italia Mobile, Vodafone Omnitel N.V. (già Vodafone Omnitel s.p.a.), Wind Te-lecomunicazioni s.p.a.; in quelli introdotti con i ricorsi delle Regioni Basilica-ta, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia tutte le società menzionate, tranne H3G s.p.a. Tutti gli intervenienti hanno chiesto che le questioni sollevate siano dichiarate improponibili, inammissibili e comunque infondate.

25. Avverso gli artt. 1, 3, 4, 5, 6, 7, 9 e 12 e gli allegati A, B, C, D del decreto le-gislativo n. 198 del 2002 ha proposto ricorso, «per sollevare questione di legit-timità costituzionale e conflitto di attribuzione», anche il Comune di Vercelli. Il ricorrente ritiene che la propria legittimazione ad impugnare discenderebbe dal fatto che la revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione avrebbe attribuito direttamente ai Comuni potestà amministrative e normative che do-vrebbero poter essere difese nel giudizio di legittimità costituzionale in via di azione e nel giudizio per conflitto di attribuzione.

25.1. Nel giudizio promosso dal Comune di Vercelli si è costituito il Presiden-te del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, il quale preliminarmente ha eccepito il difetto di legittimazione al

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ricorso da parte del Comune, chiedendo che il ricorso sia dichiarato impropo-nibile e inammissibile.

Ha spiegato intervento, con atto pervenuto fuori termine, T.I.M. s.p.a. - Tele-com Italia Mobile.

26. In prossimità dell’udienza pubblica del 25 marzo tutte le parti, nonché gli intervenienti, hanno depositato ulteriori memorie difensive.

26.1. In via preliminare le Regioni Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Ro-magna, Umbria e Lombardia contestano che la disciplina impugnata riguardi infrastrutture inserite nel programma di individuazione delle opere strategi-che approvato dal CIPE il 21 dicembre 2001. Si afferma in proposito che, in base all’allegato 5 richiamato dalla difesa erariale, il legislatore avrebbe pro-ceduto solo sulla base di una «sintesi del piano degli interventi nel comparto delle telecomunicazioni», rinviando a una futura delibera del CIPE l’individua-zione delle opere ritenute strategiche, ciò che peraltro la legge di delega non avrebbe consentito. La disciplina impugnata troverebbe dunque applicazione nei confronti di opere che non sarebbero state indicate come strategiche e si sarebbero perciò sottratte alla previa intesa con le Regioni. Tale conclusione, secondo la Regione Toscana, sarebbe confermata dall’art. 12 del decreto, che attribuisce efficacia retroattiva alle norme impugnata.

Nelle memorie si contesta anzitutto che il decreto legislativo in esame, come sostenuto dall’Avvocatura, si attenga alle materie della tutela della concor-renza (memorie delle Regioni Campania, Toscana, Marche, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia) o a quella della tutela dell’ambiente e della salute (me-morie delle Regioni Campania, Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia), rilevandosi in tale ultimo caso come la relazione al de-creto fornisca una indicazione palesemente contraria. Del resto, si osserva nelle memorie difensive di Toscana, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia, la giurisprudenza costituzionale più recente sarebbe chiara nell’affermare che in materia di tutela dell’ambiente spetterebbe allo Stato solo il potere di fis-sare standard di tutela uniformi sull’intero territorio nazionale, non anche di escludere l’intervento regionale negli ambiti di propria competenza, come sarebbe quello dei lavori pubblici, materia non più contemplata negli elenchi dell’art. 117, commi secondo e terzo, Cost. La stessa tutela della concorrenza, si aggiunge nella memoria delle Marche, non potrebbe giustificare la previsio-ne di un procedimento derogatorio delle procedure ordinarie, giacché nessuna violazione della par condicio degli imprenditori interessati al settore potrebbe derivare dal rispetto di tali procedure.

Nella memoria della Regione Toscana si pone in risalto come la disciplina del procedimento di installazione degli impianti non costituisca di per sé una ma-teria e si sostiene che spetterebbe all’ente competente legiferare nella materia cui inerisce il procedimento. Nelle materie di potestà concorrente, come quelle coinvolte dalle disposizioni impugnate, il legislatore statale avrebbe dovuto

dettare i principî cui il legislatore regionale avrebbe dovuto attenersi nella di-sciplina legislativa di quel procedimento, conformemente, del resto, a quanto era stato già fatto con la legge n. 36 del 2001.

Del pari da respingere, si sostiene nella memoria dell’Emilia-Romagna, sa-rebbe la prospettazione della difesa erariale secondo la quale tutte le attività che coinvolgono interessi sovraregionali, in forza dei principî di sussidiarietà e di adeguatezza, esigerebbero una disciplina unitaria a livello statale. Si af-ferma al riguardo che il decreto legislativo n. 198 del 2002 non coinvolgerebbe interessi sovraregionali, disciplinando l’installazione di vari singoli impianti di comunicazione e che comunque i principî di sussidiarietà e adeguatezza riguardano l’allocazione delle funzioni amministrative da parte dei legislatori competenti, mentre l’allocazione delle funzioni legislative è direttamente posta nell’art. 117 Cost.

Ad avviso della Regione Lombardia, nell’impianto del decreto legislativo im-pugnato assumerebbe una particolare rilevanza l’art. 3, comma 2, che san-cirebbe l’automatica prevalenza dell’interesse statale alla installazione delle infrastrutture su tutti gli interessi alla cui tutela sono preposte le autonomie territoriali, potendo essa derogare anche agli strumenti urbanistici. La diffor-mità di tale automatismo rispetto all’ordine costituzionale delle competenze sarebbe stata già riconosciuta dalla Corte costituzionale in altre consimili oc-casioni (si citano, ad esempio, le sentenze n. 524 del 2002 e n. 206 del 2001), nelle quali la modifica dello strumento urbanistico senza il consenso della Regione sarebbe stata ritenuta lesiva delle competenze regionali in materia urbanistica.

Riguardo agli interventi degli operatori di telecomunicazione Tim, Wind, Voda-fone Omnitel e H3G, le Regioni Toscana, Marche, Emilia-Romagna e Lombar-dia ne eccepiscono preliminarmente la inammissibilità e contestano puntual-mente le argomentazioni da questi spese avverso i ricorsi regionali.

26.2. L ’Avvocatura generale dello Stato insiste per il rigetto del ricorso.

Tutti i ricorsi, secondo la difesa statale, prenderebbero le mosse da una errata impostazione concettuale: la totale svalutazione della nozione di “rete”, che assumerebbe un decisivo rilievo, tanto sotto il profilo tecnico quanto nei ri-svolti giuridici, per quanto attiene alle infrastrutture di telecomunicazione. La natura delle opere in oggetto renderebbe del tutto priva di senso la visione par-cellizzata e atomistica dell’impianto di telecomunicazione che appare sottesa alle censure di costituzionalità. Dalla struttura fenomenica dell’oggetto della disciplina discenderebbe dunque la assoluta necessità di fissare, su base na-zionale, limiti e criteri omogenei, uniformi e non discriminanti, in assenza dei quali una “rete” non sarebbe neppure configurabile. Non potrebbero comun-que essere compromessi, «in assenza di obiettive ragionevoli giustificazioni e di essenziali interessi meritevoli di tutela dall’ordinamento», la completezza e la funzionalità delle reti e l’efficiente espletamento del servizio universale, che peraltro costituiscono oggetto di obblighi comunitari.

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Quanto alla denunciata violazione della competenza legislativa concorrente delle Regioni si osserva che la materia cui inerisce il decreto legislativo n. 198 deve considerarsi quella della tutela dell’ambiente, di competenza legislativa esclusiva statale: il principale interesse al quale è preordinata la disciplina impugnata sarebbe infatti quello del rispetto dei limiti alle emissioni elettro-magnetiche. Pur volendo accedere alla ricostruzione dell’ambiente come ma-teria trasversale, non potrebbe negarsi, ad avviso della difesa erariale, che il legislatore nazionale possa fissare principî e criteri uniformi, per l’intero terri-torio, proprio ad evitare distorsioni e impedimenti che metterebbero a rischio la stessa esistenza della rete unitaria. Del resto la possibilità per lo Stato di le-giferare anche in materie di potestà legislativa concorrente o addirittura esclu-siva, quando vi sia la necessità di garantire livelli minimi e uniformi di tutela sull’intero territorio nazionale, sarebbe stata riconosciuta dalla Corte costitu-zionale con la sentenza n. 536 del 2002. Nella fattispecie all’esame della Corte un limite alla legislazione regionale sarebbe desumibile dall’art. 120, comma 1, Cost., il quale mira ad escludere che le Regioni possano adottare «provve-dimenti che ostacolino in qualsiasi modo la libera circolazione delle persone e delle cose tra le Regioni»: l’efficacia di funzionamento della rete potrebbe essere compromessa da normative regionali che frappongano ostacoli alla sua configurazione funzionale e alla circolazione degli apparati di telefonia mobile. La normativa statale impugnata sarebbe poi preordinata ad attuare il prin-cipio costituzionale della tutela della concorrenza, riservata alla competenza esclusiva statale. Se non fossero definite procedure certe e uniformi sull’intero territorio nazionale, prosegue la difesa statale, non solo si violerebbe la disci-plina comunitaria, ma si verrebbe a determinare una anomala distorsione del mercato sia a livello internazionale, sia all’interno.

Sarebbe da respingere anche la censura fondata sull’asserita lesione dell’art. 118 Cost., essendo possibile sostenere, in applicazione del principio di sus-sidiarietà, che le potestà regionali debbano conformarsi agli interessi della comunità regionale, mentre tutte le attività che coinvolgono interessi sovrare-gionali esigono una disciplina unitaria a livello statale, anche nelle materie di competenza concorrente.

L’Avvocatura si diffonde infine sulle conseguenze di carattere economico che deriverebbero dall’accoglimento dei ricorsi e rammenta come l’esigenza di una armonizzazione nell’adozione di procedure per l’installazione degli impianti di telecomunicazione sia stata espressa anche nella cosiddetta direttiva “qua-dro”, 2002/21/CE, in via di recepimento.

26.3. Nelle memorie depositate dalle società TIM s.p.a. - Telecom Italia Mo-bile, H3G s.p.a., Wind Telecomunicazioni s.p.a. e Vodafone Omnitel N.V., si argomenta anzitutto sulla ammissibilità degli interventi proposti e si sostiene che esse sono titolari di un interesse, rilevante, autonomo e particolarmente qualificato, anche in virtù della delibera CIPE n. 121 del 21 dicembre 2001, ad ottenere l’accertamento della legittimità delle norme impugnate, poiché, qualora i ricorsi fossero accolti, vi sarebbe una diretta e irrimediabile lesione

della propria libertà di iniziativa economica. Inoltre, la società TIM assume che negare la possibilità di intervenire a difesa dei propri interessi concreterebbe una lesione del diritto di difesa che l’art. 24 Cost. assicura come inviolabile e ciò in quanto, nell’ipotesi di accoglimento dei ricorsi, la decisione della Corte risulterebbe incontestabile in altre sedi giudiziarie. La medesima società chie-de in ogni caso che sia preso in considerazione il contributo informativo che è in grado di offrire a causa della sua specifica competenza di esercente un servizio di rilevanza pubblicistica.

Nel merito tutti gli atti di intervento si diffondono nell’argomentare le ragioni della ritenuta legittimità del decreto legislativo n. 198 del 2002.

27. Sono intervenuti, con atti pervenuti fuori termine, il Comune di Roma nel giudizio promosso con il ricorso della Regione Umbria; i Comuni di Monte Porzio Catone, Pontecurone e Mantova nei giudizi promossi con i ricorsi delle Regioni Campania, Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria, Lombardia e del Comune di Vercelli; il Comune di Polignano a Mare e il Coor-dinamento delle associazioni consumatori (CODACONS) nel giudizio promos-so con il ricorso della Regione Lombardia.

28. All’udienza pubblica del 25 marzo 2003, in sede di discussione, le parti ricorrenti, nonché gli intervenienti, hanno illustrato le rispettive ragioni e ri-badito le conclusioni già rassegnate negli atti depositati.

Considerato in diritto

1. Le Regioni Marche, Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna e la Provincia autonoma di Trento (reg. ric. nn. 9, 11, 13-15 del 2002) denunciano la legge 21 dicembre 2001, n. 443 (Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive), cosiddetta “legge obiettivo”, il cui unico articolo è impugnato in più commi e, segnatamente, nei commi da 1 a 12 e nel comma 14, censurati per asserito contrasto con gli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione.

La Regione Toscana (reg. ric. n. 68 del 2002) impugna, per contrasto con gli artt. 117, 118 e 119 Cost., anche l’art. 13, commi 1, 3, 4, 5, 6 e 11, della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti), che reca alcune modifiche alla legge n. 443 del 2001.

La Regione Toscana, la Provincia autonoma di Bolzano, la Regione Marche e la Provincia autonoma di Trento (reg. ric. nn. 79-81 e 83 del 2002) denunciano altresì numerosi articoli del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190 (Attua-zione della legge 21 dicembre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infra-strutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale), in riferimento agli artt. 76, 117, 118 e 120 Cost., nonché allo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, nel testo approvato con d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670 (Approvazione del testo unico delle leggi costituzionali concernenti lo statuto speciale per il Trentino-Alto Adige).

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Infine, le Regioni Campania, Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia ed il Comune di Vercelli (reg. ric. nn. 84-91 del 2002) impugnano sia l’intero testo del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198 (Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di tele-comunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell’art. 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443), sia, speci-ficamente, numerosi articoli del medesimo decreto legislativo, lamentando la violazione degli artt. 3, 9, 32, 41, 42, 44, 70, 76, 77, 97, 114, 117, 118 e 119 Cost., nonché dell’art. 174 del trattato istitutivo della Comunità europea.

1.1. La stretta connessione per oggetto e per titolo delle norme denunciate, tutte contenute nella legge di delega n. 443 del 2001 e nei decreti legislativi n. 190 e n. 198 del 2002 che se ne proclamano attuativi, nonché la sostanziale analogia delle censure prospettate dalle ricorrenti, rendono opportuna la trat-tazione congiunta dei ricorsi, che vanno quindi decisi con un’unica sentenza.

2. Prima di affrontare nel merito le censure proposte dalle ricorrenti è oppor-tuno soffermarsi sul contenuto della legge n. 443 del 2001. Si tratta di una disciplina che definisce il procedimento da seguire per l’individuazione, la lo-calizzazione e la realizzazione delle infrastrutture pubbliche e private e degli insediamenti produttivi strategici di preminente interesse nazionale da realiz-zare per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese. Il procedimento si articola secondo queste cadenze: il compito di individuare le suddette opere, da assol-versi “nel rispetto delle attribuzioni costituzionali delle Regioni”, è conferito al Governo (comma 1). Nella sua originaria versione la disposizione stabiliva che l’individuazione avvenisse, sentita la Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, a mezzo di un programma “formu-lato su proposta dei Ministri competenti, sentite le Regioni interessate, ovvero su proposta delle Regioni, sentiti i Ministri competenti”. Il programma doveva tener conto del piano generale dei trasporti e doveva essere inserito nel Do-cumento di programmazione economico-finanziaria (DPEF), con indicazione degli stanziamenti necessari per la realizzazione delle opere. Nell’individuare le infrastrutture e gli insediamenti strategici il Governo era tenuto a procedere “secondo finalità di riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazio-nale” e ad indicare nel disegno di legge finanziaria “le risorse necessarie, che integrano i finanziamenti pubblici, comunitari e privati allo scopo disponibili”. L’originario comma 1 prevedeva, infine, che “in sede di prima applicazione del-la presente legge il programma è approvato dal Comitato interministeriale per la programmazione economica (CIPE) entro il 31 dicembre 2001”.

Il comma 1 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001 è stato modificato dall’art. 13, comma 3, della legge 1° agosto 2002, n. 166, che ha mantenuto in capo al Governo l’individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti strategici e di preminente interesse nazionale, ma ha elevato il livello di coinvolgimento delle Regioni e delle Province autonome, introducendo espressamente un’inte-sa: in base all’art. 1, comma 1, attualmente vigente, l’individuazione delle ope-re si definisce a mezzo di un programma che è predisposto dal Ministro delle

infrastrutture e dei trasporti “d’intesa con i Ministri competenti e le Regioni o Province autonome interessate”. Tale programma deve essere inserito sempre nel DPEF ma previo parere del CIPE e “previa intesa della Conferenza unifica-ta”, e gli interventi in esso previsti “sono automaticamente inseriti nelle intese istituzionali di programma e negli accordi di programma quadro nei comparti idrici ed ambientali […] e sono compresi in un’intesa generale quadro avente validità pluriennale tra il Governo e ogni singola Regione o Provincia autono-ma, al fine del congiunto coordinamento e realizzazione delle opere”. Anche nella sua attuale versione la norma ribadisce tuttavia che “in sede di prima applicazione della presente legge il programma è approvato dal CIPE entro il 31 dicembre 2001”.

Regolata la fase di individuazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale, la legge n. 443 del 2001, al comma 2, conferisce al Governo la delega ad emanare, entro 12 mesi dall’entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi “volti a definire un quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti individuati ai sensi del comma 1”, dettando, alle lettere da a) ad o) del medesimo comma 2, i principî e i criteri direttivi per l’eserci-zio del potere legislativo delegato. Questi ultimi investono molteplici aspetti di carattere procedimentale: sono fissati i moduli procedurali per addivenire all’approvazione dei progetti, preliminari e definitivi, delle opere [lettere b) e c)], dovendo risultare, quelli preliminari, “comprensivi di quanto necessario per la localizzazione dell’opera d’intesa con la Regione o la Provincia autonoma com-petente, che, a tal fine, provvede a sentire preventivamente i Comuni interes-sati” [lettera b)]; sono individuati i modelli di finanziamento [tecnica di finanza di progetto: lettera a)], di affidamento [contraente generale o concessionario: in particolare lettere e) ed f)] e di aggiudicazione [lettere g) e h)], ed è predisposta la relativa disciplina, anche in deroga alla legge 11 febbraio 1994, n. 109, ma nella prescritta osservanza della normativa comunitaria.

L’assetto procedimentale così sinteticamente descritto - che trova ulteriore svolgimento in numerose altre disposizioni della legge n. 443 del 2001, tra le quali quelle sulla disciplina edilizia (commi da 6 a 12 e comma 14), anch’esse impugnate - si completa con il comma 3-bis, introdotto dal comma 6 dell’art. 13 della legge n. 166 del 2002, il quale prevede una procedura di approvazione dei progetti definitivi “alternativa” a quella stabilita dal precedente comma 2, demandata ad un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri previa deli-berazione del CIPE integrato dai Presidenti delle Regioni e Province autonome interessate, sentita la Conferenza unificata e previo parere delle competenti commissioni parlamentari.

2.1. Questa Corte non è chiamata, nella odierna sede, a giudicare se le singole opere inserite nel programma meritino di essere considerate strategiche, se sia corretta la loro definizione come interventi di preminente interesse nazionale o se con tali qualificazioni siano lese competenze legislative delle Regioni. Simili interrogativi potranno eventualmente porsi nel caso di impugnazione della de-

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liberazione approvativa del programma, che non ha natura legislativa. In que-sta sede si tratta solo di accertare se il complesso iter procedimentale prefigu-rato dal legislatore statale sia ex se invasivo delle attribuzioni regionali; si deve cioè appurare se il legislatore nazionale abbia titolo per assumere e regolare l’esercizio di funzioni amministrative su materie in relazione alle quali esso non vanti una potestà legislativa esclusiva, ma solo una potestà concorrente.

Il nuovo art. 117 Cost. distribuisce le competenze legislative in base ad uno schema imperniato sulla enumerazione delle competenze statali; con un rove-sciamento completo della previgente tecnica del riparto sono ora affidate alle Regioni, oltre alle funzioni concorrenti, le funzioni legislative residuali.

In questo quadro, limitare l’attività unificante dello Stato alle sole materie espressamente attribuitegli in potestà esclusiva o alla determinazione dei principî nelle materie di potestà concorrente, come postulano le ricorrenti, significherebbe bensì circondare le competenze legislative delle Regioni di ga-ranzie ferree, ma vorrebbe anche dire svalutare oltremisura istanze unitarie che pure in assetti costituzionali fortemente pervasi da pluralismo istituziona-le giustificano, a determinate condizioni, una deroga alla normale ripartizione di competenze [basti pensare al riguardo alla legislazione concorrente dell’or-dinamento costituzionale tedesco (konkurrierende Gesetzgebung) o alla clau-sola di supremazia nel sistema federale statunitense (Supremacy Clause)]. Anche nel nostro sistema costituzionale sono presenti congegni volti a rendere più flessibile un disegno che, in ambiti nei quali coesistono, intrecciate, attri-buzioni e funzioni diverse, rischierebbe di vanificare, per l’ampia articolazione delle competenze, istanze di unificazione presenti nei più svariati contesti di vita, le quali, sul piano dei principî giuridici, trovano sostegno nella procla-mazione di unità e indivisibilità della Repubblica. Un elemento di flessibilità è indubbiamente contenuto nell’art. 118, primo comma, Cost., il quale si ri-ferisce esplicitamente alle funzioni amministrative, ma introduce per queste un meccanismo dinamico che finisce col rendere meno rigida, come si chiarirà subito appresso, la stessa distribuzione delle competenze legislative, là dove prevede che le funzioni amministrative, generalmente attribuite ai Comuni, possano essere allocate ad un livello di governo diverso per assicurarne l’e-sercizio unitario, sulla base dei principî di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza. E’ del resto coerente con la matrice teorica e con il significato pratico della sussidiarietà che essa agisca come subsidium quando un livello di governo sia inadeguato alle finalità che si intenda raggiungere; ma se ne è comprovata un’attitudine ascensionale deve allora concludersi che, quando l’istanza di esercizio unitario trascende anche l’ambito regionale, la funzione amministrativa può essere esercitata dallo Stato. Ciò non può restare senza conseguenze sull’esercizio della funzione legislativa, giacché il principio di le-galità, il quale impone che anche le funzioni assunte per sussidiarietà siano organizzate e regolate dalla legge, conduce logicamente ad escludere che le singole Regioni, con discipline differenziate, possano organizzare e regolare funzioni amministrative attratte a livello nazionale e ad affermare che solo la legge statale possa attendere a un compito siffatto.

2.2. Una volta stabilito che, nelle materie di competenza statale esclusiva o concorrente, in virtù dell’art. 118, primo comma, la legge può attribuire allo Stato funzioni amministrative e riconosciuto che, in ossequio ai canoni fon-danti dello Stato di diritto, essa è anche abilitata a organizzarle e regolarle, al fine di renderne l’esercizio permanentemente raffrontabile a un parametro legale, resta da chiarire che i principî di sussidiarietà e di adeguatezza convi-vono con il normale riparto di competenze legislative contenuto nel Titolo V e possono giustificarne una deroga solo se la valutazione dell’interesse pubblico sottostante all’assunzione di funzioni regionali da parte dello Stato sia pro-porzionata, non risulti affetta da irragionevolezza alla stregua di uno scrutinio stretto di costituzionalità, e sia oggetto di un accordo stipulato con la Regione interessata. Che dal congiunto disposto degli artt. 117 e 118, primo comma, sia desumibile anche il principio dell’intesa consegue alla peculiare funzione attribuita alla sussidiarietà, che si discosta in parte da quella già conosciuta nel nostro diritto di fonte legale. Enunciato nella legge 15 marzo 1997, n. 59 come criterio ispiratore della distribuzione legale delle funzioni amministrative fra lo Stato e gli altri enti territoriali e quindi già operante nella sua dimensione meramente statica, come fondamento di un ordine prestabilito di competen-ze, quel principio, con la sua incorporazione nel testo della Costituzione, ha visto mutare il proprio significato. Accanto alla primitiva dimensione statica, che si fa evidente nella tendenziale attribuzione della generalità delle funzioni amministrative ai Comuni, è resa, infatti, attiva una vocazione dinamica della sussidiarietà, che consente ad essa di operare non più come ratio ispiratrice e fondamento di un ordine di attribuzioni stabilite e predeterminate, ma come fattore di flessibilità di quell’ordine in vista del soddisfacimento di esigenze unitarie.

Ecco dunque dove si fonda una concezione procedimentale e consensuale del-la sussidiarietà e dell’adeguatezza. Si comprende infatti come tali principî non possano operare quali mere formule verbali capaci con la loro sola evocazione di modificare a vantaggio della legge nazionale il riparto costituzionalmente stabilito, perché ciò equivarrebbe a negare la stessa rigidità della Costituzione. E si comprende anche come essi non possano assumere la funzione che aveva un tempo l’interesse nazionale, la cui sola allegazione non è ora sufficiente a giustificare l’esercizio da parte dello Stato di una funzione di cui non sia tito-lare in base all’art. 117 Cost. Nel nuovo Titolo V l’equazione elementare inte-resse nazionale = competenza statale, che nella prassi legislativa previgente sorreggeva l’erosione delle funzioni amministrative e delle parallele funzioni legislative delle Regioni, è divenuta priva di ogni valore deontico, giacché l’in-teresse nazionale non costituisce più un limite, né di legittimità, né di merito, alla competenza legislativa regionale.

Ciò impone di annettere ai principî di sussidiarietà e adeguatezza una valenza squisitamente procedimentale, poiché l’esigenza di esercizio unitario che con-sente di attrarre, insieme alla funzione amministrativa, anche quella legisla-tiva, può aspirare a superare il vaglio di legittimità costituzionale solo in pre-senza di una disciplina che prefiguri un iter in cui assumano il dovuto risalto

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le attività concertative e di coordinamento orizzontale, ovverosia le intese, che devono essere condotte in base al principio di lealtà.

2.3. La disciplina contenuta nella legge n. 443 del 2001, come quella recata dal decreto legislativo n. 190 del 2002, investe solo materie di potestà statale esclusiva o concorrente ed è quindi estranea alla materia del contendere la questione se i principî di sussidiarietà e adeguatezza permettano di attrarre allo Stato anche competenze legislative residuali delle Regioni. Ed è opportu-no chiarire fin d’ora, anche per rendere più agevole il successivo argomentare della presente sentenza, che la mancata inclusione dei “lavori pubblici” nella elencazione dell’art. 117 Cost., diversamente da quanto sostenuto in nume-rosi ricorsi, non implica che essi siano oggetto di potestà legislativa residuale delle Regioni. Al contrario, si tratta di ambiti di legislazione che non integrano una vera e propria materia, ma si qualificano a seconda dell’oggetto al quale afferiscono e pertanto possono essere ascritti di volta in volta a potestà legisla-tive esclusive dello Stato ovvero a potestà legislative concorrenti.

3. Alla stregua dei paradigmi individuati nei paragrafi che precedono, devono essere saggiate le censure che si appuntano sulla legge n. 443 del 2001, nella sua versione originaria ed in quella modificata dalla legge n. 166 del 2002.

3.1. Per primo deve essere esaminato il ricorso della Provincia autonoma di Trento, nel quale vengono censurati i commi da 1 a 4 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001 sul parametro dell’art. 117 Cost. Il ricorso è proposto sulla premessa che le competenze provinciali fondate sullo statuto speciale non siano scalfite; sarebbero invece lese le attribuzioni spettanti alla Provincia ai sensi dell’art. 117 Cost., in virtù della clausola di favore contenuta nell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, secondo la quale alle Regioni speciali e alle Province autonome, fino all’adeguamento dei rispettivi statuti, si applica la disciplina del nuovo titolo V nella parte in cui assicura forme di autonomia più ampie rispetto a quelle previste dagli statuti stessi. In partico-lare, il comma 5 del denunciato art. 1, nel fare salve le competenze delle Re-gioni a statuto speciale e delle Province autonome, di cui agli statuti speciali e alle relative norme di attuazione, lascerebbe indenni le attribuzioni di cui al d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, per il quale, per gli interventi concernenti le autostrade (art. 19), la viabilità, le linee ferroviarie e gli aerodromi (art. 20), lo Stato deve ottenere la previa intesa della Provincia. Del pari la posizione della Provincia risulterebbe garantita dal decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266 e segnatamente dall’art. 4, che le riserva “la gestione amministrativa di ogni opera che lo statuto non assegni alla competenza statale”.

La Provincia, ponendo a base del proprio ricorso la violazione di competenze più ampie rispetto a quelle statutarie, che assume derivanti dall’art. 117 Cost., aveva l’onere di individuarle nel raffronto con le competenze statutarie, che, per sua stessa ammissione, sono fatte salve dalla legge oggetto di impugnazio-ne. Ai fini di una corretta instaurazione del giudizio di legittimità costituziona-le la ricorrente non poteva quindi limitarsi al mero richiamo all’art. 117 Cost.

Il ricorso è pertanto inammissibile.

3.2. In via preliminare va dichiarato inammissibile il congiunto intervento ad adiuvandum dell’Associazione Italia Nostra-Onlus, di Legambiente-Onlus, dell’Associazione italiana per il World Wide Fund For Nature (WWF)-Onlus, nel giudizio instaurato con il ricorso della Regione Toscana avverso la legge n. 166 del 2002. Va qui ribadito l’orientamento consolidato di questa Corte secondo il quale nei giudizi di legittimità costituzionale in via di azione non è ammessa la presenza di soggetti diversi dalla parte ricorrente e dal titolare della potestà legislativa il cui esercizio è oggetto di contestazione (cfr., da ultimo, sentenze n. 49 del 2003, n. 533 e n. 510 del 2002, n. 382 del 1999).

4. Le Regioni Marche, Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna denunciano il comma 1 nella sua prima formulazione, lamentando anzitutto la violazione dell’art. 117 Cost., perché la relativa disciplina non sarebbe ascrivibile ad alcuna delle materie di competenza legislativa esclusiva statale; e del resto, argomentano le ricorrenti, non essendo più contemplata dall’art. 117 Cost. la materia dei “lavori pubblici di interesse nazionale”, non sarebbe possibile far riferimento alla dimensione nazionale dell’interesse al fine di escludere la potestà legislativa regionale o provinciale.

Le predette ricorrenti sostengono poi che l’individuazione delle grandi opere potrebbe, in parte, rientrare in uno degli ambiti materiali individuati dall’art. 117, terzo comma, Cost. (quali porti e aeroporti civili; grandi reti di trasporto e di navigazione; produzione, trasporto e distribuzione nazionale dell’energia), ma la disposizione censurata, da un lato, detterebbe una disciplina di dettaglio e non di principio e quindi sarebbe comunque lesiva dell’autonomia legislativa regionale; dall’altro, escluderebbe le Regioni dal processo “codecisionale”, che dovrebbe essere garantito attraverso lo strumento dell’intesa.

La Regione Marche denuncia inoltre il medesimo comma 1 per contrasto con gli artt. 118 e 119 Cost. sul rilievo che non sarebbero stati rispettati i prin-cipî di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza e che sarebbe stata lesa l’autonomia finanziaria regionale con l’attribuzione al Governo del compito di reperire tutti i finanziamenti.

La Regione Toscana, con distinto e successivo ricorso, impugna il comma 1 anche nella formulazione modificata dall’art. 13, comma 3, della legge n. 166 del 2002, ribadendo che la disposizione violerebbe l’art. 117 Cost., in quanto non troverebbe fondamento nella competenza legislativa statale esclusiva o concorrente; e in ogni caso, in quanto detterebbe una disciplina compiuta, dettagliata e minuziosa che precluderebbe alla Regione ogni possibilità di scel-ta. La ricorrente deduce altresì la violazione dell’art. 118, primo comma, Cost., assumendo che, da un lato, non sarebbero stati rispettati i criteri di sussidia-rietà, differenziazione ed adeguatezza; dall’altro, le esigenze di esercizio uni-tario di cui parla l’art. 118 Cost. non autorizzerebbero una deroga al riparto della potestà legislativa posto dall’art. 117 Cost. Infine, sempre ad avviso della

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Regione Toscana, l’introduzione di un’intesa con le Regioni interessate e con la Conferenza unificata ai fini dell’individuazione delle grandi opere non consen-tirebbe di eliminare i prospettati dubbi di incostituzionalità, giacché l’intesa non garantirebbe una reale forma di coordinamento paritario, in assenza di meccanismi atti ad impedire che essa sia recessiva dinanzi al preminente po-tere dello Stato, che potrebbe procedere anche a fronte del motivato dissenso regionale.

4.1. Vanno scrutinate nel merito le censure che le Regioni sollevano avverso il comma 1 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001, anche quelle che ne inve-stono l’originaria versione, dovendosi escludere che le sopravvenute modifiche recate dall’art. 13, comma 3, della legge n. 166 del 2002 abbiano determinato sul punto una cessazione della materie del contendere. Ciò in quanto proprio in base alla disposizione originaria è stato approvato il programma delle in-frastrutture e degli insediamenti produttivi da parte del CIPE (con delibera n. 121 del 21 dicembre 2001) ed è a tale programma che fa riferimento anche il comma 1 nel testo novellato dall’art. 13 della legge n. 166 del 2002, come può desumersi chiaramente dal fatto che la norma, riprendendo in parte la dispo-sizione anteriore, stabilisce che “in sede di prima applicazione della presente legge il programma è approvato dal CIPE entro il 31 dicembre 2001”.

Tutte le censure sono infondate e per dar conto di ciò è bene esaminare pre-liminarmente l’impugnazione proposta dalla sola Regione Toscana avverso il comma 1, nel testo sostituito dalla legge 1° agosto 2002, n. 166.

Quando si intendano attrarre allo Stato funzioni amministrative in sussidia-rietà, di regola il titolo del legiferare deve essere reso evidente in maniera esplicita perché la sussidiarietà deroga al normale riparto delle competenze stabilito nell’art. 117 Cost. Tuttavia, nel caso presente, l’assenza di un richia-mo espresso all’art. 118, primo comma, non fa sorgere alcun dubbio circa l’og-gettivo significato costituzionale dell’operazione compiuta dal legislatore: non di lesione di competenza delle Regioni si tratta, ma di applicazione dei principî di sussidiarietà e adeguatezza, che soli possono consentire quella attrazio-ne di cui si è detto. Predisporre un programma di infrastrutture pubbliche e private e di insediamenti produttivi è attività che non mette capo ad attribu-zioni legislative esclusive dello Stato, ma che può coinvolgere anche potestà legislative concorrenti (governo del territorio, porti e aeroporti, grandi reti di trasporto, distribuzione nazionale dell’energia, etc.). Per giudicare se una leg-ge statale che occupi questo spazio sia invasiva delle attribuzioni regionali o non costituisca invece applicazione dei principî di sussidiarietà e adeguatezza diviene elemento valutativo essenziale la previsione di un’intesa fra lo Stato e le Regioni interessate, alla quale sia subordinata l’operatività della disciplina. Nella specie l’intesa è prevista e ad essa è da ritenersi che il legislatore abbia voluto subordinare l’efficacia stessa della regolamentazione delle infrastruttu-re e degli insediamenti contenuta nel programma di cui all’impugnato comma 1 dell’art. 1. Nel congegno sottostante all’art. 118, l’attrazione allo Stato di funzioni amministrative da regolare con legge non è giustificabile solo invo-

cando l’interesse a un esercizio centralizzato di esse, ma è necessario un pro-cedimento attraverso il quale l’istanza unitaria venga saggiata nella sua reale consistenza e quindi commisurata all’esigenza di coinvolgere i soggetti titolari delle attribuzioni attratte, salvaguardandone la posizione costituzionale. Ben può darsi, infatti, che nell’articolarsi del procedimento, al riscontro concre-to delle caratteristiche oggettive dell’opera e dell’organizzazione di persone e mezzi che essa richiede per essere realizzata, la pretesa statale di attrarre in sussidiarietà le funzioni amministrative ad essa relative risulti vanificata, perché l’interesse sottostante, quale che ne sia la dimensione, possa essere interamente soddisfatto dalla Regione, la quale, nel contraddittorio, ispirato al canone di leale collaborazione, che deve instaurarsi con lo Stato, non solo alleghi, ma argomenti e dimostri la propria adeguatezza e la propria capacità di svolgere in tutto o in parte la funzione.

L’esigenza costituzionale che la sussidiarietà non operi come aprioristica mo-dificazione delle competenze regionali in astratto, ma come metodo per l’al-locazione di funzioni a livello più adeguato, risulta dunque appagata dalla disposizione impugnata nella sua attuale formulazione.

Chiarito che la Costituzione impone, a salvaguardia delle competenze regiona-li, che una intesa vi sia, va altresì soggiunto che non è rilevante se essa prece-da l’individuazione delle infrastrutture ovvero sia successiva ad una unilate-rale attività del Governo. Se dunque tale attività sia stata già posta in essere, essa non vincola la Regione fin quando l’intesa non venga raggiunta.

In questo senso sono quindi da respingere anche le censure che le ricorren-ti indirizzano contro il comma 1 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001, nella versione anteriore alla modifica recata dalla legge n. 166 del 2002, per il fatto che in essa era previsto che le Regioni fossero solo sentite singolarmente ed in Conferenza unificata e non veniva invece esplicitamente sancito il principio dell’intesa. L’interpretazione coerente con il sistema dei rapporti Stato-Regioni affermato nel nuovo Titolo V impone infatti di negare efficacia vincolante a quel programma su cui le Regioni interessate non abbiano raggiunto un’inte-sa per la parte che le riguarda, come nel caso della deliberazione CIPE del 21 dicembre 2001, n. 121.

5. Tutte le Regioni ricorrenti impugnano il comma 2 dell’art. 1, che detta - dalla lettera a) alla lettera o) - i principî ed i criteri direttivi in base ai quali il Governo è chiamato ad emanare, entro 12 mesi dall’entrata in vigore della leg-ge, uno o più decreti legislativi “volti a definire un quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti individuati ai sensi del comma 1”.

Con analoghe censure, che evocano il contrasto con l’art. 117 Cost., e, per la Regione Marche, anche gli artt. 118 e 119 Cost., si deduce anzitutto che la prevista normativa derogatoria della legge quadro sui lavori pubblici n. 109 del 1994 violerebbe la potestà legislativa esclusiva delle Regioni in materia di appalti e lavori pubblici.

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Si sostiene inoltre che le competenze regionali sarebbero ugualmente violate anche se si ricadesse nell’ambito della potestà legislativa concorrente, perché il denunciato comma 2 detterebbe una disciplina compiuta e di dettaglio, non cedevole rispetto ad una eventuale futura legislazione regionale.

Le censure sono genericamente formulate e quindi inammissibili. Per com-prenderlo è sufficiente la ricognizione del contenuto delle disposizioni denun-ciate.

Il comma 2 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001 ha ad oggetto la delega ad emanare uno o più decreti legislativi volti a definire il quadro normativo fina-lizzato alla celere realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti pro-duttivi individuati ai sensi del comma 1. Nell’esercizio della delega il Governo, autorizzato a riformare le procedure per la valutazione di impatto ambientale (VIA) e l’autorizzazione integrata ambientale, nel rispetto dell’art. 2 della diret-tiva 85/337/CEE, come modificata dalla direttiva 97/11/CE, e ad introdurre un regime speciale anche derogatorio di numerose disposizioni della legge 11 febbraio 1994, n. 109, che non siano necessaria ed immediata applicazione delle direttive comunitarie, è tenuto a rispettare i principî e criteri direttivi fis-sati nelle lettere da a) ad o) del medesimo comma 2.

Come già detto in precedenza, l’indirizzo imposto al legislatore delegato investe una molteplicità di aspetti a carattere procedimentale e muove dal modello di finanziamento delle opere, con il concorso del capitale privato, attraverso la disciplina della tecnica di finanza di progetto [lettera a)] per finanziare e realiz-zare le infrastrutture e gli insediamenti di cui al comma 1.

La delega autorizza poi il Governo a definire i moduli procedurali sostitutivi di quelli previsti per il rilascio dei provvedimenti concessori o autorizzatori di ogni specie, avuto riguardo anche alla durata delle procedure per l’approvazio-ne dei progetti preliminari, “comprensivi di quanto necessario per la localizza-zione dell’opera d’intesa con la Regione o la Provincia autonoma competente, che, a tal fine, provvede a sentire preventivamente i Comuni interessati, e, ove prevista, della VIA”, nonché a prefigurare le procedure necessarie per la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza e per l’approvazione del progetto definitivo, con previsione di termini perentori per la risoluzione delle interferenze con servizi pubblici e privati e di responsabilità patrimoniali in caso di mancata tempestiva risoluzione [lettera b)].

Viene quindi impartita al Governo la direttiva di attribuire al CIPE, integrato dai Presidenti delle Regioni interessate, il compito di valutare le proposte dei promotori, di approvare il progetto preliminare e quello definitivo, di vigila-re sull’esecuzione dei progetti approvati, adottando i provvedimenti conces-sori ed autorizzatori necessari, comprensivi della localizzazione dell’opera e, ove prevista, della VIA istruita dal competente Ministero. Si prescrive inoltre che vengano affidati al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti compiti di istruttoria e di formulazione di proposte e quello di assicurare il supporto ne-

cessario per l’attività del CIPE, eventualmente tramite un’apposita struttura tecnica di advisor e di commissari straordinari [lettera c)].

La delega prosegue autorizzando la modificazione della disciplina in materia di conferenza di servizi e dettando i criteri ispiratori per il suo funzionamento [lettera d)].

Vengono quindi individuati i modelli di affidamento e di aggiudicazione con-cernenti la realizzazione delle opere di cui al comma 1, e prefigurata la cornice della rispettiva disciplina, anche in deroga alla legge n. 109 del 1994, ma si impone al Governo il rispetto della normativa comunitaria.

Si prevede inoltre che il legislatore delegato affidi la realizzazione delle in-frastrutture strategiche ad un unico soggetto contraente generale o conces-sionario [lettera e)] e si dettano i criteri che devono presiedere alla disciplina dell’affidamento a contraente generale, con riferimento all’art. 1 della direttiva 93/37/CEE [lettera f)].

Quanto poi al soggetto aggiudicatore, si stabilisce l’obbligo, nel caso in cui l’opera sia realizzata prevalentemente con fondi pubblici, di rispettare la nor-mativa europea in tema di evidenza pubblica e di scelta dei fornitori di beni o servizi, “ma con soggezione ad un regime derogatorio rispetto alla citata legge n. 109 del 1994 per tutti gli aspetti di essa non aventi necessaria rilevanza comunitaria” [lettera g)]. Al tempo stesso si autorizza, nel rispetto della norma-tiva comunitaria ed al fine di favorire il contenimento dei tempi e la massima flessibilità degli strumenti giuridici, l’introduzione di specifiche deroghe alla vigente disciplina in materia di aggiudicazione di lavori pubblici e di realizza-zione degli stessi, indicando i criteri per regolamentare l’attività del contraente generale e la costituzione di società di progetto [lettera h)].

La delega investe ancora i profili concernenti l’individuazione di misure ade-guate per valutare il regolare assolvimento degli obblighi assunti dal contraen-te generale [lettera i)], la previsione, nel caso di concessione di opera pubblica unita a gestione della stessa, di appositi meccanismi di corresponsione del prezzo al concessionario, nonché di fissazione della durata della concessione medesima [lettera l)], con il rispetto dei relativi piani finanziari [lettera m)].

La delega detta criteri anche in ordine alle forme di tutela risarcitoria sus-seguente alla stipula dei contratti di progettazione, appalto, concessione o affidamento a contraente generale, prescrivendo che debba essere esclusa la reintegrazione in forma specifica e ristretta la tutela cautelare, per tutti gli interessi patrimoniali, “al pagamento di una provvisionale” [lettera n)]. Infine si stabilisce che il Governo debba prevedere, per le procedure di collaudo delle opere, “termini perentori che consentano, ove richiesto da specifiche esigenze tecniche, il ricorso anche a strutture tecniche esterne di supporto alle com-missioni di collaudo” [lettera o)].

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Si è dunque in presenza di una disciplina particolarmente complessa che insi-ste su una pluralità di materie, tra loro intrecciate, ascrivibili non solo alla po-testà legislativa concorrente ma anche a quella esclusiva dello Stato (ad esem-pio la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema). In un quadro normativo siffatto, le censure mosse dalle ricorrenti non raggiungono il livello di specificità che si richiede ai fini di uno scrutinio di merito (in tal senso v. sentenza n. 384 del 1999), poiché nei motivi di ricorso non vi è neppure una sintetica esposizione delle ragioni per cui le disposizioni contenute nel comma 2 denunciato, sin-golarmente considerate, determinino una lesione delle attribuzioni regionali. 6. Sono invece sufficientemente circostanziate le questioni che le Regioni Um-bria ed Emilia-Romagna sollevano sulle lettere g) ed n), del comma 2, soste-nendone il contrasto con il “diritto europeo”. In particolare la lettera g), nella parte in cui circoscrive l’obbligo per il soggetto aggiudicatore di rispettare la normativa europea in tema di evidenza pubblica solo “nel caso in cui l’ope-ra sia realizzata prevalentemente con fondi pubblici”, violerebbe la direttiva 93/37/CEE, alla quale non sarebbe conforme neppure nel caso del ricorso all’istituto della concessione di lavori pubblici (art. 3 § l) o all’affidamento ad unico soggetto contraente generale.

La questione deve essere scrutinata nel merito, nel senso della non fondatez-za, a prescindere dal problema più generale, che investe ora l’interpretazione dell’art. 117, primo comma, Cost., se ed entro quali limiti l’ipotesi di contrasto di una norma interna con l’ordinamento comunitario sia idonea a radicare la competenza del giudice delle leggi.

Nei giudizi di impugnazione deve essere tenuto fermo l’orientamento già espresso da questa Corte (sentenze n. 85 del 1999, n. 94 del 1995 e n. 384 del 1994), secondo il quale il valore costituzionale della certezza e della chiarezza normativa deve fare aggio su ogni altra considerazione soprattutto quando una esplicita clausola legislativa di salvaguardia del diritto comunitario renda, come nella specie, manifestamente insussistente il denunciato contrasto.

La lettera g) dell’art. 2, infatti, contiene una delega al Governo perché siano adottate procedure di aggiudicazione anche derogatorie rispetto alla legge n. 109 del 1994 quando non si tratti di opere realizzate prevalentemente con fondi pubblici, ma non autorizza il Governo a violare il diritto comunitario: al contrario si prevede che la deroga non debba riguardare gli aspetti aventi necessaria rilevanza comunitaria. Anche la disciplina dell’aggiudicazione in appalto di opere realizzate con prevalenti fondi privati dovrà quindi rispettare il diritto comunitario, qualunque ne sia il contenuto.

6.1. La lettera n), seconda frase, a sua volta, nella parte in cui restringe, per tutti gli “interessi patrimoniali”, la tutela cautelare al “pagamento di una provvisionale”, disattenderebbe la direttiva 89/665/CEE (c.d. direttiva ricor-si), giacché ridurrebbe “le possibilità di tutela piena per i concorrenti che la-mentino violazioni delle norme comunitarie in materia di appalti”.

Anche in questo caso si può prescindere dal problema appena richiamato dei rapporti tra il diritto comunitario e il diritto interno e dei limiti entro i quali di questi rapporti possa conoscere la Corte costituzionale. La questione è infatti inammissibile per difetto di interesse sotto un duplice profilo: in primo luogo, essa evoca un contrasto col diritto comunitario senza però dedurre l’esistenza di una lesione delle attribuzioni regionali; inoltre la disposizione denunciata investe la tutela giurisdizionale di terzi e non riguarda quindi materie di com-petenza legislativa delle Regioni

6.2. ¾ La Regione Toscana denuncia infine la lettera c) del medesimo comma 2, come sostituito dall’art. 13, comma 5, della legge n. 166 del 2002, deducen-do il contrasto con gli artt. 117 e 118 Cost. Essa non garantirebbe il rispetto delle attribuzioni delle Regioni, relegate ad un ruolo meramente consultivo nell’approvazione dei progetti, demandata al CIPE, integrato dai Presidenti del-le Regioni interessate. Inoltre la ricorrente, premesso che il comma 3 dell’art. 13, nel sostituire il comma 1 dell’art. 1 della legge n. 443, dispone che anche le strutture concernenti la nautica da diporto possono essere inserite nel pro-gramma delle infrastrutture strategiche, rileva che la previsione secondo cui la valutazione di impatto ambientale sulle stesse debba essere effettuata dal Ministro competente e non dalle Regioni violerebbe le attribuzioni di queste ultime in materia di porti e valorizzazione dei beni ambientali.

La questione non è fondata.

Contrariamente a quanto dedotto dalla ricorrente, la disposizione impugnata, nell’attribuire al CIPE, integrato dai Presidenti delle Regioni e delle Province autonome interessate, il compito di approvare i progetti preliminari e defini-tivi delle opere individuate nel programma di cui al comma 1, non circoscrive affatto il ruolo delle Regioni (o delle Province autonome) a quello meramente consultivo, giacché queste, attraverso i propri rappresentanti, sono a pieno titolo componenti dell’organo e partecipano direttamente alla formazione del-la sua volontà deliberativa, potendo quindi far valere efficacemente il proprio punto di vista. Occorre inoltre considerare che l’approvazione dei progetti deve essere comprensiva anche della localizzazione dell’opera, sulla quale, come già per la relativa individuazione, ai sensi del comma 1 dell’art. 1, è prevista l’inte-sa con la Regione o la Provincia autonoma interessata [lettera b) del medesimo comma 2].

Né infine può dirsi che la disposizione denunciata, come sostenuto dalla ricor-rente, affidi al Ministro competente l’effettuazione della valutazione di impatto ambientale sulle opere inserite nel programma, considerato che dalla piana lettura della norma risulta che una siffatta valutazione è affidata al CIPE in composizione allargata ai rappresentanti regionali e provinciali, mentre al Mi-nistro è lasciata unicamente la relativa fase istruttoria.

7. ¾ E’ fondata la questione di legittimità costituzionale – sollevata da tutte le ricorrenti – che investe l’art. 1, comma 3, della legge n. 443, nella parte in cui

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autorizza il Governo a integrare e modificare il regolamento di cui al d.P.R. 21 dicembre 1999, n. 554, per renderlo conforme a quest’ultima legge e ai decreti legislativi di cui al comma 2.

Che ai regolamenti governativi adottati in delegificazione fosse inibito discipli-nare materie di competenza regionale era già stato affermato da questa Corte avendo riguardo al quadro costituzionale anteriore all’entrata in vigore della riforma del Titolo V della Parte II della Costituzione. Nelle sentenze n. 333 e n. 482 del 1995 e nella più recente sentenza n. 302 del 2003 l’argomento su cui è incentrata la ratio decidendi è che lo strumento della delegificazione non può operare in presenza di fonti tra le quali non vi siano rapporti di gerarchia, ma di separazione di competenze. Solo la diretta incompatibilità delle norme regionali con sopravvenuti principî o norme fondamentali della legge stata-le può infatti determinare l’abrogazione delle prime. La ragione giustificativa di tale orientamento si è, se possibile, rafforzata con la nuova formulazione dell’art. 117, sesto comma, Cost., secondo il quale la potestà regolamentare è dello Stato, salva delega alle Regioni, nelle materie di legislazione esclusiva, mentre in ogni altra materia è delle Regioni. In un riparto così rigidamente strutturato, alla fonte secondaria statale è inibita in radice la possibilità di vincolare l’esercizio della potestà legislativa regionale o di incidere su dispo-sizioni regionali preesistenti (sentenza n. 22 del 2003); e neppure i principî di sussidiarietà e adeguatezza possono conferire ai regolamenti statali una ca-pacità che è estranea al loro valore, quella cioè di modificare gli ordinamenti regionali a livello primario. Quei principî, lo si è già rilevato, non privano di contenuto precettivo l’art. 117 Cost., pur se, alle condizioni e nei casi sopra evidenziati, introducono in esso elementi di dinamicità intesi ad attenuare la rigidità nel riparto di funzioni legislative ivi delineato. Non può quindi esse-re loro riconosciuta l’attitudine a vanificare la collocazione sistematica delle fonti conferendo primarietà ad atti che possiedono lo statuto giuridico di fonti secondarie e a degradare le fonti regionali a fonti subordinate ai regolamenti statali o comunque a questi condizionate. Se quindi, come già chiarito, alla legge statale è consentita l’organizzazione e la disciplina delle funzioni ammi-nistrative assunte in sussidiarietà, va precisato che la legge stessa non può spogliarsi della funzione regolativa affidandola a fonti subordinate, neppure predeterminando i principî che orientino l’esercizio della potestà regolamenta-re, circoscrivendone la discrezionalità.

8. E’ fondata pure la questione di legittimità costituzionale dell’art. 1, comma 3-bis, della legge n. 443 del 2001, introdotto dall’art. 13, comma 6, della legge n. 166 del 2002, proposta dalla Regione Toscana lamentando la violazione de-gli artt. 117 e 118 Cost., per il fatto che alle Regioni sarebbe stato riservato un ruolo meramente consultivo nella fase di approvazione dei progetti definitivi delle opere individuate nel programma governativo.

La disposizione denunciata consente che tale approvazione, in alternativa alle procedure di cui al comma 2, avvenga con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri. Per questa procedura alternativa è previsto che il decreto del Pre-

sidente del Consiglio sia adottato previa deliberazione del CIPE integrato dai Presidenti delle Regioni o delle Province autonome interessate, sentita la Con-ferenza unificata e previo parere delle competenti commissioni parlamentari.

Dalla degradazione della posizione del CIPE da organo di amministrazione attiva (nel procedimento ordinario) ad organo che svolge funzioni preparatorie (nel procedimento “alternativo”) discende che la partecipazione in esso delle Regioni interessate non costituisce più una garanzia sufficiente, tanto più se si considera che non è previsto, nel procedimento alternativo, alcun ruolo del-le Regioni interessate nella fase preordinata al superamento del loro eventuale dissenso.

9. Tutte le Regioni impugnano il comma 4 dell’art. 1, in riferimento all’art. 117 e, limitatamente al ricorso della Regione Marche, anche agli artt. 118 e 119 Cost.

La disposizione contiene una delega al Governo ad emanare, nel rispetto dei principî e dei criteri direttivi di cui al comma 2, previo parere favorevole del CIPE, integrato dai Presidenti delle Regioni interessate, sentite la Conferen-za unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281 e le competenti commissioni parlamentari, uno o più decreti legislativi recanti l’approvazione definitiva di specifici progetti di infrastrutture strategiche indi-viduate secondo quanto previsto al comma 1.

Le impugnazioni delle ricorrenti sono svolte molto succintamente e si limitano ad operare un mero rinvio agli argomenti sviluppati in relazione a disposizioni di diverso contenuto senza ulteriori precisazioni, se non quella che si verse-rebbe in materia di potestà legislativa residuale sulla quale lo Stato sarebbe radicalmente privo di competenza. Anche il denunciato comma 4 dell’art. 1, come le precedenti disposizioni, riguarda però materie di competenza con-corrente o esclusiva dello Stato e non investe potestà residuali. Né tra queste ultime, per le ragioni già esposte, possono ritenersi compresi i lavori pubblici. Le impugnazioni vanno pertanto rigettate.

10. Il motivo di ricorso proposto dalla Regione Marche contro l’art. 1, comma 5, della legge n. 443 del 2001, a mente del quale, ai fini della presente legge, “sono fatte salve le competenze delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome”, non ha una sua autonoma consistenza ma deve essere interpre-tato come argomento teso a corroborare le censure svolte negli altri motivi di ricorso, sulle quali si è appena deciso.

11. Le Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna denunciano i commi da 6 a 12 e il comma 14 dell’art. 1, che disciplinano, nel loro complesso, il regime degli interventi edilizi con disposizioni il cui contenuto conviene subito illu-strare.

Il comma 6 prevede che, per determinati interventi, in alternativa a conces-sioni ed autorizzazioni edilizie, l’interessato possa avvalersi della denuncia di

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inizio attività (DIA). L’alternativa riguarda in particolare: a) gli interventi edilizi minori, di cui all’art. 4, comma 7, del decreto-legge n. 398 del 1993 (convertito nella legge n. 493 del 1993); b) le ristrutturazioni edilizie, comprensive della demolizione e ricostruzione con la stessa volumetria e sagoma; c) gli interventi ora sottoposti a concessione, se sono specificamente disciplinati da piani at-tuativi che contengano precise disposizioni plano-volumetriche, tipologiche, formali e costruttive, la cui sussistenza sia stata esplicitamente dichiarata dal consiglio comunale in sede di approvazione degli stessi piani o di ricognizione di quelli vigenti; d) i sopralzi, le addizioni, gli ampliamenti e le nuove edifica-zioni in diretta esecuzione di idonei strumenti urbanistici diversi da quelli in-dicati alla lettera c), ma recanti analoghe previsioni di dettaglio. Rimane ferma la disciplina previgente quanto all’obbligo di versare il contributo commisura-to agli oneri di urbanizzazione ed al costo di costruzione (comma 7).

Il comma 8 stabilisce che la tutela storico-artistica o paesaggistico-ambientale per la realizzazione degli interventi di cui al comma 6 sia subordinata al pre-ventivo rilascio del parere o dell’autorizzazione richiesti dalle disposizioni di legge vigenti e in particolare dal testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali, di cui al decreto legislativo 29 ottobre 1999, n. 490.

Il comma 9 e il comma 10 contengono la disciplina relativa al caso in cui le opere da realizzare riguardino immobili soggetti a un vincolo la cui tutela competa, anche in via di delega, all’amministrazione comunale (comma 9) ov-vero soggetti a un vincolo la cui tutela spetti ad amministrazioni diverse da quella comunale (comma 10). Nel primo caso è previsto che il termine per la presentazione della denuncia di inizio attività, di cui all’art. 4, comma 11, del decreto-legge 5 ottobre 1993, n. 398, decorre dal rilascio del relativo atto di assenso. Nel secondo caso si prevede che, ove il parere favorevole del soggetto preposto alla tutela non sia allegato alla denuncia, il competente ufficio comu-nale convoca una conferenza di servizi ai sensi degli artt. 14, 14-bis, 14-ter e 14-quater della legge 7 agosto 1990, n. 241, e il termine di venti giorni per la presentazione della denuncia di inizio dell’attività decorre dall’esito della con-ferenza. Tanto nel caso in cui l’atto dell’autorità comunale preposta alla tutela del vincolo non sia favorevole, quanto nel caso di esito non favorevole della conferenza, la denuncia di inizio attività è priva di effetti.

Il comma 11, a sua volta, abroga il comma 8 dell’art. 4 del decreto-legge n. 398 del 1993, il quale prevedeva la possibilità di procedere ad attività edili-zie minori sulla base di denuncia inizio attività a condizione che gli immobili non fossero assoggettati alle disposizioni di cui alla legge n. 1089 del 1939, alla legge n. 1497 del 1939, alla legge n. 394 del 1991, ovvero a disposizioni immediatamente operative dei piani aventi la valenza di cui all’art. 1-bis del decreto-legge n. 312 del 1985, convertito nella legge n. 431 del 1985, o dalla legge n. 183 del 1989, o che non fossero comunque assoggettati dagli stru-menti urbanistici a discipline espressamente volte alla tutela delle loro carat-teristiche paesaggistiche, ambientali, storico-archeologiche, storico artistiche, storico architettoniche e storico testimoniali.

In base al comma 12 le disposizioni di cui al comma 6 “si applicano nelle Re-gioni a statuto ordinario a decorrere dal novantesimo giorno dalla data di en-trata in vigore della presente legge” e “le Regioni a statuto ordinario, con legge, possono individuare quali degli interventi indicati al comma 6 sono assogget-tati a concessione edilizia o ad autorizzazione edilizia”. Con il comma 14 viene delegato il Governo ad emanare, entro il 30 giugno 2003, un decreto legislativo volto a introdurre nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamenta-ri in materia edilizia, di cui all’art. 7 della legge n. 50 del 1999, e successive modificazioni, le modifiche strettamente necessarie per adeguarlo alle dispo-sizioni di cui ai commi da 6 a 13 (quest’ultima disposizione, non denunciata, fa salva la potestà legislativa esclusiva delle Regioni a statuto speciale e delle Province autonome di Trento e di Bolzano).

E’ importante rilevare che il comma 12 è stato modificato dall’art. 13, comma 7, della legge n. 166 del 2002, il quale ha aggiunto alla versione originaria le seguenti disposizioni: “salvo che le leggi regionali pubblicate prima della data di entrata in vigore della presente legge siano già conformi a quanto previsto dalle lettere a), b), c) e d) del medesimo comma 6, anche disponendo eventuali categorie aggiuntive e differenti presupposti urbanistici. Le Regioni a statuto ordinario possono ampliare o ridurre l’ambito applicativo delle disposizioni di cui al periodo precedente”.

Tutte le disposizioni il cui contenuto si è ora esposto hanno portata generale e prescindono dalla disciplina procedimentale concernente le infrastrutture e gli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale, della quale non costituiscono ulteriore svolgimento.

Contro di esse si orientano le censure delle ricorrenti, le quali assumono che lo Stato avrebbe violato la competenza residuale delle Regioni in materia edili-zia e, subordinatamente, avrebbe leso, con una disciplina di dettaglio, la com-petenza regionale concorrente in materia di governo del territorio.

Nelle memorie presentate in prossimità dell’udienza, la Regione Toscana, in considerazione della sopravvenuta modifica del comma 12, ha espressamen-te dichiarato di rinunciare ai motivi di ricorso concernenti i commi da 6 a 12 ed il comma 14. Insistono invece nelle censure le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, sicché questa Corte deve pronunciarsi su di esse.

11.1. E’ innanzitutto da escludersi che la materia regolata dalle disposizioni censurate sia oggi da ricondurre alle competenze residuali delle Regioni, ai sensi dell’art. 117, quarto comma, Cost. La materia dei titoli abilitativi ad edi-ficare appartiene storicamente all’urbanistica che, in base all’art. 117 Cost., nel testo previgente, formava oggetto di competenza concorrente. La parola “urbanistica” non compare nel nuovo testo dell’art. 117, ma ciò non autorizza a ritenere che la relativa materia non sia più ricompresa nell’elenco del terzo comma: essa fa parte del “governo del territorio”. Se si considera che altre materie o funzioni di competenza concorrente, quali porti e aeroporti civili, grandi reti di trasporto e di navigazione, produzione, trasporto e distribuzio-

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ne nazionale dell’energia, sono specificamente individuati nello stesso terzo comma dell’art. 117 Cost. e non rientrano quindi nel “governo del territorio”, appare del tutto implausibile che dalla competenza statale di principio su que-sta materia siano stati estromessi aspetti così rilevanti, quali quelli connessi all’urbanistica, e che il “governo del territorio” sia stato ridotto a poco più di un guscio vuoto.

11.2. Chiarito che si versa in materia di competenza concorrente, resta da chiedersi se nelle disposizioni denunciate vi siano aspetti eccedenti la for-mulazione di un principio di legislazione. Un accurato esame della disciplina poc’anzi richiamata conduce a una risposta negativa. Non vi è nulla in essa che non sia riconducibile ad una enunciazione di principio e che possa essere qualificato normativa di dettaglio.

Giova premettere che i principî della legislazione statale in materia di titoli abilitativi per gli interventi edilizi non sono rimasti, nel tempo, immutati, ma hanno subito sensibili evoluzioni.

Dal generale e indifferenziato onere della concessione edilizia (legge n. 10 del 1977) si è passati all’autorizzazione per gli interventi di manutenzione stra-ordinaria e fra questi al silenzio-assenso quando non siano coinvolti edifici soggetti a disciplina vincolistica (legge n. 457 del 1978). Il silenzio-assenso è stato successivamente ampliato ed esteso e fatto oggetto di specifiche previ-sioni procedurali (legge n. 94 del 1982, che ha convertito il decreto-legge n. 9 del 1982). Alle Regioni è stato poi attribuito (legge n. 47 del 1985) il potere di semplificare le procedure ed accelerare l’esame delle domande di concessione e di autorizzazione edilizia e di consentire, per le sole opere interne agli edifici, l’asseverazione del rispetto delle norme di sicurezza e delle norme igienico-sanitarie vigenti, secondo un modello che, in qualche modo, anticipa l’istituto della denuncia di inizio attività. Ed ancora (decreto-legge n. 398 del 1993, convertito nella legge n. 493 del 1993) sono state nuovamente regolate le pro-cedure per il rilascio della concessione edilizia, eliminando il silenzio-assenso e prevedendo in sua vece la nomina di un commissario regionale ad acta con il compito di adottare il provvedimento nei casi di inerzia del Comune. Si è giunti quindi alla disciplina sostanziale e procedurale della denuncia di inizio attività (DIA) per taluni enumerati interventi edilizi, imponendo alle Regioni l’obbligo di adeguare la propria legislazione ai nuovi principî (legge n. 662 del 1996).

E’ dunque lungo questa direttrice, in cui lo Stato ha mantenuto la disciplina dei titoli abilitativi come appartenente alla potestà di dettare i principî della materia, che si muovono le disposizioni impugnate. Le fattispecie nelle quali, in alternativa alle concessioni o autorizzazioni edilizie, si può procedere alla realizzazione delle opere con denuncia di inizio attività a scelta dell’interessa-to integrano il proprium del nuovo principio dell’urbanistica: si tratta infatti, come agevolmente si evince dal comma 6, di interventi edilizi di non rilevante entità o, comunque, di attività che si conformano a dettagliate previsioni degli strumenti urbanistici. In definitiva, le norme impugnate perseguono il fine,

che costituisce un principio dell’urbanistica, che la legislazione regionale e le funzioni amministrative in materia non risultino inutilmente gravose per gli amministrati e siano dirette a semplificare le procedure e ad evitare la dupli-cazione di valutazioni sostanzialmente già effettuate dalla pubblica ammini-strazione.

Né può dirsi che le modificazioni introdotte nell’ultimo periodo del comma 12 dell’art. 1, e cioè l’attribuzione alle Regioni del potere di ampliare o ridurre le categorie di opere per le quali è prevista in principio la dichiarazione di ini-zio attività, abbiano comportato, nella disciplina contenuta nel comma 6, un mutamento di natura e l’abbiano trasformata in normativa di dettaglio. Vi è solo una maggiore flessibilità del principio della legislazione statale quanto alle categorie di opere a cui la denuncia di inizio attività può applicarsi. Resta come principio la necessaria compresenza nella legislazione di titoli abilitativi preventivi ed espressi (la concessione o l’autorizzazione, ed oggi, nel nuovo testo unico n. 380 del 2001, il permesso di costruire) e taciti, quale è la DIA, considerata procedura di semplificazione che non può mancare, libero il legi-slatore regionale di ampliarne o ridurne l’ambito applicativo.

La materia del contendere in relazione ai commi 6 e 12 non è dunque cessata, come invece vorrebbe l’Avvocatura generale dello Stato, ma le censure che le Regioni Umbria ed Emilia-Romagna hanno tenute ferme nei confronti di que-ste disposizioni non possono essere accolte, giacché, anche dopo le soprav-venute modificazioni del comma 12, le disposizioni impugnate si limitano a porre principî e non costituiscono norme di dettaglio.

11.3. Del pari va respinta la censura relativa al comma 7, il quale, senza avere il contenuto di norma di dettaglio, si limita a reiterare l’obbligo dell’interessa-to di versare gli oneri di urbanizzazione commisurati al costo di costruzione anche quando il titolo abilitativo consista nella denuncia di inizio attività. L’onerosità del titolo abilitativo riguarda infatti un principio della disciplina un tempo urbanistica e oggi ricompresa fra le funzioni legislative concorrenti sotto la rubrica “governo del territorio”.

11.4. Non sono fondate le questioni concernenti i commi da 8 a 11 dell’art. 1, per le quali sono svolti motivi di censura analoghi a quelli appena esaminati.

Seppure, infatti, non si fosse in presenza di una legislazione statale rientrante nell’art. 117, secondo comma, lettera s), Cost., che attribuisce allo Stato la competenza esclusiva in materia di tutela dell’ambiente, ecosistema e beni culturali, le disposizioni censurate non eccederebbero l’ambito della potestà legislativa statale nelle materie di competenza concorrente, e in particolare nella materia “governo del territorio”. In effetti esse, lungi dal porre una di-sciplina di dettaglio, costituiscono espressione di un principio della legisla-zione statale diverso da quello previgente, contenuto nell’art. 4, comma 8, del decreto-legge n. 398 del 1993 (che viene espressamente abrogato), secondo il quale può procedersi con denuncia di inizio attività anche alla realizzazione degli interventi edilizi di cui al comma 6 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001

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che riguardino aree o immobili sottoposti a vincolo. Il legislatore, stabilito tale nuovo principio, ha coordinato l’istituto della denuncia di inizio attività con le vigenti disposizioni che pongono vincoli, a tal fine ribadendo la indispensabili-tà che l’amministrazione preposta alla loro tutela esprima il proprio parere, la cui assenza priva di effetti la denuncia di inizio attività. In definitiva le dispo-sizioni censurate si limitano a far salva la previgente normativa vincolistica, senza alterare il preesistente quadro delle relative competenze, anche delegate alle amministrazioni comunali, e senza attrarre allo Stato ulteriori competen-ze. Le attribuzioni regionali non sono pertanto lese.

11.5. Le considerazioni svolte nei precedenti paragrafi inducono a ritenere priva di fondamento la censura che le ricorrenti muovono al comma 14, con-tenente la delega al Governo ad emanare un decreto legislativo volto ad intro-durre nel testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia edilizia di cui all’art. 7 della legge 8 marzo 1999, n. 50 le modifiche strettamen-te necessarie per adeguarlo alle disposizioni dei commi da 6 a 13. Si sostiene dalle ricorrenti che la disposizione sia illegittima in quanto sarebbe “il concetto stesso di testo unico che ripugna al riparto costituzionale delle competenze” e ciò non soltanto per le materie residuali regionali, ma anche per le materie di competenza concorrente, nelle quali sulle Regioni grava soltanto il vincolo di conformarsi ai principî della legislazione statale.

Le disposizioni impugnate – lo si è appena visto – non sono tuttavia ascrivibili a competenze residuali e hanno il contenuto di principî che le Regioni possono svolgere con proprie norme legislative. Inserire quei principî in un testo unico già vigente è dunque operazione che non lede alcuna attribuzione regionale.

12. La Regione Toscana ha impugnato anche i commi 1, 4 e 11 dell’art. 13 della legge n. 166 del 2002.

12.1. Il comma 4 inserisce, dopo il comma 1 dell’art. 1 della legge n. 443 del 2001, il “comma 1-bis”, il quale detta le indicazioni che deve contenere il programma delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di preminente interesse nazionale da inserire nel documento di programmazione economico-finanziaria. La ricorrente assume che la disposizione violerebbe gli artt. 117 e 118, primo comma, Cost. per le stesse identiche ragioni già poste a fondamento della censura svolta avverso il comma 3 dell’art. 13 della legge n. 166 del 2002, che ha sostituito il comma 1 della citata legge n. 443.

Il motivo di ricorso è da respingersi sulla base delle stesse argomentazioni che hanno condotto a ritenere infondate le censure avverso il menzionato comma 1 dell’art. 1 nella versione vigente: la doglianza in esame non assume infatti alcuna autonomia rispetto a quella già scrutinata, con la quale, del resto, è prospettata congiuntamente.

12.2. Nei commi 1 e 11 dell’art. 13 della legge n. 166 sono individuati ed autorizzati i limiti di impegno di spesa quindicennali per la progettazione e realizzazione delle opere strategiche e di preminente interesse nazionale “in-

dividuate in apposito programma approvato” dal CIPE, prevedendo, tra l’al-tro, che le risorse autorizzate “integrano i finanziamenti pubblici, comunitari e privati allo scopo disponibili”. Il successivo comma 11 dispone i necessari stanziamenti di bilancio.

In ordine a tali disposizioni la Regione Toscana sostiene che esse, nel preve-dere specifici stanziamenti per la progettazione e la realizzazione delle opere strategiche approvate dal CIPE, contrasterebbero sia con gli artt. 117 e 118 Cost., in quanto si riferirebbero al programma predisposto dal CIPE che si as-sume elaborato “in spregio alle competenze regionali”; sia con l’art. 119 Cost., perché inciderebbero sull’autonomia finanziaria delle Regioni garantita dalla Costituzione anche in relazione al reperimento delle risorse per la realizzazio-ne delle infrastrutture di competenza regionale.

La censura va respinta per considerazioni analoghe a quelle già svolte nel punto 4.1. della presente pronuncia: in assenza dell’intesa con la Regione interessata i programmi sono inefficaci. Ne consegue che anche questa dispo-sizione deve essere interpretata nel senso che i finanziamenti concernenti le infrastrutture e gli insediamenti produttivi individuati nel programma appro-vato dal CIPE potranno essere utilizzati per la realizzazione di quelle sole ope-re che siano state individuate mediante intesa tra Stato e Regioni o Province autonome interessate.

Quanto all’evocato parametro dell’art. 119 Cost., è sufficiente osservare che si tratta di finanziamenti statali individuati e stanziati in vista della realizzazione di un programma di opere che lo Stato assume, nei termini già chiariti, in base ai principî di sussidiarietà ed adeguatezza anche in considerazione degli oneri finanziari che esso comporta e non è pensabile che lo Stato possa esimersi dal reperire le risorse. Non è pertanto apprezzabile alcuna lesione dell’autonomia finanziaria delle Regioni.

13. Si tratta ora di esaminare i ricorsi proposti dalle Regioni Toscana e Mar-che e dalle Province autonome di Bolzano e di Trento, in riferimento agli artt. 76, 117, 118 e 120 della Costituzione, nonché agli artt. 8, primo comma, nu-meri 5, 6, 9, 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22 e 24; 9, primo comma, numeri 8, 9, e 10; 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, e relative norme di attuazione, avverso numerosi articoli del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, attuativo della delega contenuta nell’art. 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443.

Specificamente la Toscana impugna gli artt. 1-11; 13; 15 e 16, commi 1, 2, 3, 6 e 7; 17-20; la Provincia autonoma di Bolzano gli artt. 1, commi 1 e 7; 2, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 7; 3, commi 4, 5, 6 e 9; 13, comma 5; 15; la Regione Marche gli artt. 1-11; 13 e 15-20; la Provincia autonoma di Trento gli artt. 1, 2, 3, 4, 13 e 15.

14. Il ricorso della Provincia autonoma di Trento è stato depositato presso la cancelleria della Corte costituzionale oltre il termine previsto dall’art. 32, terzo

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comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87. La Provincia, con apposita istan-za, pur non disconoscendo il carattere perentorio del termine per il deposito, ritiene che possa trovare applicazione alla fattispecie la disciplina dell’errore scusabile, che, per il processo costituzionale, non è espressamente previsto. Si chiede pertanto di considerare scusabile, e dunque tempestivo, il deposi-to effettuato dalla Provincia autonoma il 5 novembre 2002. In subordine, la Provincia sollecita questa Corte a sollevare dinanzi a se stessa la questione di legittimità costituzionale degli artt. 31, terzo comma, e 32, terzo comma, della legge n. 87 del 1953, nella parte in cui precludono l’applicazione di tale istituto, per violazione dell’art. 24, primo comma, Cost. e del principio di ra-gionevolezza.

Entrambe le richieste non possono essere accolte. Nei giudizi in via di azione va senz’altro esclusa l’applicabilità della disciplina dell’errore scusabile, così come è da escludersi che la Corte possa ritenere non manifestamente infon-data una questione di legittimità proprio su quelle norme legislative che, rego-lando il processo costituzionale, sono intese a conferire ad esso il massimo di certezza e ad assicurare alle parti il corretto svolgimento del giudizio.

Il ricorso della Provincia autonoma di Trento deve essere pertanto dichiarato inammissibile.

15. L’art. 1, comma 1, che regola la progettazione, l’approvazione e realizza-zione delle infrastrutture strategiche e degli insediamenti produttivi di premi-nente interesse nazionale, individuati dall’apposito programma, è impugnato dalla Provincia autonoma di Bolzano. Preliminarmente la ricorrente lamenta che la disposizione sarebbe rivolta a salvaguardare unicamente le competenze riconosciutele dallo statuto speciale e dalle norme di attuazione, senza alcun riferimento alle nuove e maggiori competenze derivanti dagli artt. 117 e 118, applicabili alle Regioni ad autonomia differenziata in virtù della clausola di estensione contenuta nell’art. 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e comunque che violerebbe l’art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992. Tale disposizione definisce le condizioni dell’adeguamento (sei mesi) della legi-slazione provinciale ai principî della legislazione statale, tenendo ferma «l’im-mediata applicabilità nel territorio regionale (…) degli atti legislativi dello Stato nelle materie nelle quali alla Regione o alla Provincia autonoma è attribuita delega di funzioni statali».

La pretesa avanzata dalla Provincia di Bolzano è quella di rimanere indenne dall’obbligo di applicazione immediata nel proprio territorio della disciplina contenuta nella disposizione impugnata. Un’applicazione immediata, tuttavia, è esclusa dallo stesso art. 1, il quale, per un verso, fa salve le competenze delle Province autonome e delle Regioni a statuto speciale; per altro verso subordi-na l’applicazione della disciplina a una previa intesa, alla quale la stessa Pro-vincia autonoma, proprio perché titolare di competenze statutarie che le sono fatte salve, può sottrarsi. In questi termini la censura è infondata.

Anche competenze ulteriori rispetto a quelle statutariamente previste, che possano derivare alla Provincia di Bolzano dalla clausola contenuta nell’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001, soggiacciono ai medesimi limiti propri delle funzioni corrispondenti delle Regioni ordinarie; e se per queste è l’intesa, quale limite immanente all’operare del principio di sussidiarietà, ad assicurare la salvaguardia delle relative attribuzioni, un identico modulo col-laborativo deve agire anche nei confronti della Provincia di Bolzano.

Per le stesse ragioni va respinta la censura svolta dalla Provincia di Bolzano, sempre in riferimento al parametro dell’art. 2 del decreto legislativo n. 266 del 1992, nei confronti dell’art. 13, comma 5, il quale stabilisce che l’approvazione del CIPE, adottata a maggioranza dei componenti con l’intesa dei presidenti delle Regioni, sostituisce, anche a fini urbanistici ed edilizi, ogni altra autoriz-zazione, approvazione, parere e nulla osta comunque denominato, costituisce dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità e urgenza delle opere e consen-te la realizzazione e l’esercizio delle infrastrutture strategiche per l’approvvi-gionamento energetico e di tutte le attività previste nel progetto approvato.

16. Le Regioni Marche e Toscana impugnano l’art. 1, comma 5, secondo il quale le Regioni, le province, i comuni, le città metropolitane applicano, per le proprie attività contrattuali ed organizzative relative alla realizzazione delle infrastrutture e diverse dall’approvazione dei progetti (comma 2) e dalla aggiu-dicazione delle infrastrutture (comma 3), le norme del presente decreto legisla-tivo «fino alla entrata in vigore di una diversa norma regionale, (…) per tutte le materie di legislazione concorrente». Si denuncia la lesione dell’art. 117 della Costituzione poiché in materie di competenza concorrente sarebbe posta una normativa cedevole di dettaglio.

Non può negarsi che l’inversione della tecnica di riparto delle potestà legisla-tive e l’enumerazione tassativa delle competenze dello Stato dovrebbe portare ad escludere la possibilità di dettare norme suppletive statali in materie di le-gislazione concorrente, e tuttavia una simile lettura dell’art. 117 svaluterebbe la portata precettiva dell’art. 118, comma primo, che consente l’attrazione allo Stato, per sussidiarietà e adeguatezza, delle funzioni amministrative e delle correlative funzioni legislative, come si è già avuto modo di precisare. La di-sciplina statale di dettaglio a carattere suppletivo determina una temporanea compressione della competenza legislativa regionale che deve ritenersi non irragionevole, finalizzata com’è ad assicurare l’immediato svolgersi di funzioni amministrative che lo Stato ha attratto per soddisfare esigenze unitarie e che non possono essere esposte al rischio della ineffettività.

Del resto il principio di cedevolezza affermato dall’impugnato art. 1, comma 5, opera a condizione che tra lo Stato, le Regioni e le Province autonome in-teressate sia stata raggiunta l’intesa di cui al comma 1, nella quale si siano concordemente qualificate le opere in cui l’interesse regionale concorre con il preminente interesse nazionale e si sia stabilito in che termini e secondo quali modalità le Regioni e le Province autonome partecipano alle attività di proget-

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tazione, affidamento dei lavori e monitoraggio. Si aggiunga che, a ulteriore raf-forzamento delle garanzie poste a favore delle Regioni, l’intesa non può essere in contrasto con le normative vigenti, anche regionali, o con le eventuali leggi regionali emanate allo scopo.

17. L’art. 1, comma 7, lettera e), definisce opere per le quali l’interesse regio-nale concorre con il preminente interesse nazionale «le infrastrutture (…) non aventi carattere interregionale o internazionale per le quali sia prevista, nelle intese generali quadro di cui al comma 1, una particolare partecipazione delle Regioni o Province autonome alle procedure attuative» e opere di carattere in-terregionale o internazionale «le opere da realizzare sul territorio di più Regioni o Stati, ovvero collegate funzionalmente ad una rete interregionale o interna-zionale». La Regione Toscana lamenta la violazione dell’art. 76 Cost., giacché la legge n. 443 del 2001 non autorizzerebbe il Governo a porre un regime de-rogatorio anche per le opere di interesse regionale.

In realtà l’art. 1 del decreto legislativo n. 190 fa riferimento a infrastrutture pubbliche e private e insediamenti produttivi strategici e «di preminente in-teresse nazionale» e non parla mai di opere di interesse regionale, ma solo di opere nelle quali con il “preminente interesse nazionale”, che permane in posizione di prevalenza, concorre l’interesse della Regione. Opere di interesse esclusivamente regionale, in altri termini, non sono oggetto della disciplina impugnata.

Non è pertanto ravvisabile nella disposizione denunciata alcun eccesso di de-lega.

17.1. La stessa Regione Toscana, la Regione Marche e la Provincia di Bolzano assumono poi che l’art. 1 comma 7, lettera e), violerebbe gli artt. 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118 Cost., poiché la disposizione escluderebbe la con-correnza dell’interesse regionale con il preminente interesse nazionale in rela-zione ad opere aventi carattere interregionale o internazionale, mentre il solo fatto della localizzazione di una parte dell’opera sul territorio di una Regione implicherebbe il coinvolgimento di un interesse regionale e la conseguente le-gittimazione della Regione interessata all’esercizio nel proprio territorio delle competenze legislative, regolamentari e amministrative ad essa riconosciute dalla Costituzione.

Anche questa censura deve essere respinta.

Le ricorrenti muovono dalla erronea premessa che per le opere di interesse in-terregionale sia esclusa ogni forma di coinvolgimento delle Regioni interessate. Al contrario deve essere chiarito che l’intesa generale di cui al primo comma dell’art. 1 del decreto legislativo ha ad oggetto, fra l’altro, la qualificazione del-le opere e dunque la stessa classificazione della infrastruttura come opera di interesse interregionale deve ottenere l’assenso regionale.

Chiarito che il decreto legislativo n. 190 non autorizza una qualificazione uni-laterale del livello di interesse dell’opera e ribadito che anche la classificazione della stessa deve formare oggetto di un’intesa, non può dirsi scalfita la pecu-liare garanzia riconosciuta alla Provincia di Bolzano dalle norme di attuazione dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige recate dal d.P.R. n. 381 del 1974, le quali richiedono appunto un’intesa fra Ministro dei lavori pubblici e Presidenti delle Province autonome di Trento e Bolzano per «i piani pluriennali di viabilità e i piani triennali per la gestione e l’incremento della rete stradale» (art. 19); e stabiliscono che «gli interventi di spettanza dello Stato in materia di viabilità, linee ferroviarie e aerodromi, anche se realizzati a mezzo di aziende autonome, sono effettuati previa intesa con la Provincia interessata» (art. 20).

18. L’art. 2, comma 1, stabilisce che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti «promuove le attività tecniche ed amministrative occorrenti ai fini della sollecita progettazione ed approvazione delle infrastrutture e degli in-sediamenti produttivi ed effettua, con la collaborazione delle Regioni e delle Province autonome interessate con oneri a proprio carico, le attività di sup-porto necessarie per la vigilanza, da parte del CIPE, sulla realizzazione delle infrastrutture».

Secondo la prospettazione della Provincia autonoma di Bolzano questa dispo-sizione violerebbe l’art. 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige, il quale pone il principio del parallelismo tra funzioni legislative e amministrati-ve, nonché l’art. 4, comma 1, del decreto legislativo n. 266 del 1992, il quale dispone che «nelle materie di competenza propria della Regione o delle Provin-ce autonome la legge non può attribuire agli organi statali funzioni ammini-strative (…) diverse da quelle spettanti allo Stato secondo lo statuto speciale e le norme di attuazione, salvi gli interventi richiesti ai sensi dell’art. 22 dello statuto».

La ricorrente presuppone che alcune delle materie su cui insistono i compiti tecnici e amministrativi conferiti al Ministero sarebbero di competenza legisla-tiva (e quindi amministrativa) provinciale, ma omette di considerare che tra gli oggetti riconducibili alla propria competenza rientrano solo opere o lavori pub-blici di interesse provinciale, ai quali il decreto legislativo n. 190 non è appli-cabile. Quando invece l’opera trascende l’ambito di interesse della Provincia, allora si è al di fuori delle garanzie statutarie e le eventuali ulteriori competen-ze normative che essa intendesse trarre dall’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 in relazione alle infrastrutture di cui al decreto legislativo impu-gnato non potrebbero sottrarsi ai limiti che si fanno valere nei confronti delle Regioni ordinarie, ossia, nella specie, alla possibilità, per lo Stato, di far agire il principio di sussidiarietà attraendo e regolando funzioni amministrative. Il parallelismo invocato dalla ricorrente opera, pertanto, unicamente nell’ambi-to provinciale e con riferimento alle competenze statutarie, essendo superato dall’applicabilità del principio di sussidiarietà per le competenze ulteriori.

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18.1. Per i motivi appena illustrati devono essere respinte anche tutte le cen-sure che la Provincia di Bolzano prospetta, sempre sul parametro dell’art. 4, comma 1, del decreto legislativo n. 266 del 1992, con argomentazioni analo-ghe e che hanno ad oggetto gli artt. 1, commi 1 e 7; 2, commi 1, 2, 3, 4, 5, e 7; 3, commi 4, 5, 6, 9; 13, comma 5; e 15, i quali prevedono procedimenti di approvazione che comportano l’automatica variazione degli strumenti urbani-stici, determinano l’accertamento della compatibilità ambientale e sostituisco-no ogni altra autorizzazione, approvazione e parere.

19. La Provincia autonoma di Bolzano impugna l’art. 2, commi 2, 3, 4 e 5, i quali, nel riservare al Ministero delle infrastrutture e trasporti la promozione dell’attività di progettazione, direzione ed esecuzione delle infrastrutture e il potere di assegnare le risorse integrative necessarie alle attività progettuali, violerebbero l’art. 16 dello statuto speciale per il Trentino-Alto Adige e l’art. 4 del decreto legislativo n. 266 del 1992. Quest’ultimo, nel terzo comma, preve-de che «fermo restando quanto disposto dallo statuto speciale e dalle relative norme di attuazione, nelle materie di competenza propria della Provincia, le amministrazioni statali, comprese quelle autonome, e gli enti dipendenti dallo Stato non possono disporre spese né concedere, direttamente o indirettamen-te, finanziamenti o contributi per attività nell’ambito del territorio regionale o provinciale”. Tale disposizione, secondo la ricorrente imporrebbe la diretta assegnazione dei fondi alle Province autonome di Trento e Bolzano e non ai soggetti aggiudicatori.

Il motivo di ricorso va respinto per ragioni analoghe a quelle poc’anzi esposte, giacché alle Province autonome non spetta in materia alcuna competenza sta-tutaria, se non con riguardo alle opere di interesse provinciale. Non si applica-no dunque i parametri che la ricorrente invoca.

20. Le Regioni Toscana e Marche impugnano l’art. 2, comma 5, il quale pre-vede che per la nomina di commissari straordinari incaricati di seguire l’an-damento delle opere aventi carattere interregionale o internazionale debbano essere sentiti i Presidenti delle Regioni interessate. Le ricorrenti lamentano la violazione degli artt. 117 e 118 Cost. e del principio di leale collaborazione, che, a loro giudizio, imporrebbe il coinvolgimento della Regione nella forma dell’intesa.

La questione non è fondata.

La disposizione impugnata, infatti, prevede una forma di vigilanza sull’eser-cizio di funzioni che, in quanto assunte per sussidiarietà, sono qualificabili come statali, e non vi è alcuna prescrizione costituzionale dalla quale possa desumersi che il livello di collaborazione regionale debba consistere in una vera e propria intesa, anziché, come è previsto per le opere interregionali e internazionali, nella audizione dei Presidenti delle Regioni e delle Province au-tonome in sede di nomina del commissario straordinario.

21. Le Regioni Toscana e Marche impugnano l’art. 2, comma 7, nella parte in cui consente al Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro delle infrastrutture e trasporti, sentiti, per le infrastrutture di competenza dei soggetti aggiudicatori regionali, i Presidenti delle Regioni e delle Province auto-nome, di abilitare i Commissari straordinari ad adottare, con poteri derogatori della normativa vigente e con le modalità e i poteri di cui all’art. 13 del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni nella legge 23 mag-gio 1997, n. 135, i provvedimenti e gli atti di qualsiasi natura necessari alla sollecita progettazione, istruttoria, affidamento e realizzazione delle infrastrut-ture e degli insediamenti produttivi, in sostituzione dei soggetti competenti. Se ne denuncia il contrasto con gli artt. 117, 118 e 120 della Costituzione.

Va innanzitutto premesso che le infrastrutture di competenza dei soggetti ag-giudicatori regionali sono quelle in relazione alle quali, nelle intese previste dal comma 1 dell’art.1 del decreto legislativo n. 190, si è riconosciuto che l’interesse regionale concorre con un interesse statale preminente ed è proprio questo riconoscimento a giustificare l’esercizio della funzione amministrativa da parte dello Stato. Ad evitare che le esigenze unitarie sottostanti alla realiz-zazione di tali opere possano restare insoddisfatte a causa dell’inerzia del sog-getto aggiudicatore regionale, allo Stato sono conferiti poteri sollecitatori che peraltro devono essere esercitati seguendo un percorso procedimentale che non priva Regioni e Province autonome delle garanzie connesse alla titolarità di un interesse concorrente con quello statale. E’ infatti previsto che i com-missari straordinari agiscano con le modalità e i poteri di cui al citato art. 13 del decreto-legge n. 67 del 1997, e il comma 4 di tale articolo, che deve essere ritenuto applicabile alla fattispecie, attribuisce al Presidente della Regione (e, in questo caso, per opere ricadenti nell’ambito della Provincia autonoma, al Presidente della Provincia) il potere di sospendere i provvedimenti adottati dal commissario straordinario e anche di provvedere diversamente, entro 15 gior-ni dalla loro comunicazione.

In questi termini, la censura è da respingere.

Non può essere condivisa neppure la prospettazione della Regione Toscana, secondo la quale alle ipotesi di inerzia regionale dovrebbe ovviarsi ai sensi dell’art. 120 Cost., per la cui applicazione mancherebbero, nella specie, i pre-supposti. Occorre qui tenere ben distinte le funzioni amministrative che lo Stato, per ragioni di sussidiarietà e adeguatezza, può assumere e al tempo stesso organizzare e regolare con legge, dalle funzioni che spettano alle Regio-ni e per le quali lo Stato, non ricorrendo i presupposti per la loro assunzione in sussidiarietà, eserciti poteri in via sostitutiva. Nel primo caso, quando si appli-chi il principio di sussidiarietà di cui all’art. 118 Cost., quelle stesse esigenze unitarie che giustificano l’attrazione della funzione amministrativa per sus-sidiarietà consentono di conservare in capo allo Stato poteri acceleratori da esercitare nei confronti degli organi della Regione che restino inerti. In breve, la già avvenuta assunzione di una funzione amministrativa in via sussidiaria legittima l’intervento sollecitatorio diretto a vincere l’inerzia regionale. Nella

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fattispecie di cui all’art. 120 Cost., invece, l’inerzia della Regione è il presup-posto che legittima la sostituzione statale nell’esercizio di una competenza che è e resta propria dell’ente sostituito.

22. Le Regioni ricorrenti censurano nella sua interezza l’art. 3, che disciplina la procedura di approvazione del progetto preliminare delle infrastrutture, le procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) e localizzazione, denun-ciandone il contrasto con l’art. 117 Cost., giacché detterebbe una disciplina di minuto dettaglio in relazione ad oggetti ricadenti nella competenza regionale in materia di governo del territorio.

La censura è inammissibile, in quanto formulata in termini generici, senza specificare quali parti della disposizione censurata eccederebbero la potestà regolativa che pure non si disconosce allo Stato in materia.

23. L’art. 3, comma 5, il quale affida al CIPE l’approvazione del progetto pre-liminare delle infrastrutture coinvolgendo le Regioni interessate ai fini dell’in-tesa sulla localizzazione dell’opera, ma prevedendo che il medesimo progetto non sia sottoposto a conferenza di servizi, secondo la Regione Toscana sarebbe in contrasto con l’art. 76 Cost., poiché non sarebbe conforme all’art. 1, comma 2, lettera d), della legge n. 443 del 2001, il quale autorizzava solo a modificare la disciplina della conferenza dei servizi e non a sopprimerla.

La censura non è fondata.

Il Governo, ai sensi dell’art. 1, comma 2, lettera d), era delegato a riformare le procedure per la valutazione di impatto ambientale e l’autorizzazione integrata ambientale, nell’osservanza di un principio-criterio direttivo molto circostan-ziato e così formulato: modificazione della disciplina in materia di conferenza di servizi con la previsione della facoltà, da parte di tutte le amministrazioni competenti a rilasciare permessi e autorizzazioni comunque denominati, di proporre, in detta conferenza, nel termine perentorio di novanta giorni, pre-scrizioni e varianti migliorative che non modificano la localizzazione e le carat-teristiche essenziali delle opere. Tale criterio, diversamente da quanto assume la ricorrente, era dettato con riferimento all’approvazione del progetto definiti-vo, non già di quello preliminare. Attuativo della lettera d), dunque, non è l’art. 3, comma 5, bensì l’art. 4, comma 3, del decreto legislativo n. 190, relativo all’approvazione del progetto definitivo, che in effetti prevede la conferenza di servizi e risulta pertanto, sotto il profilo denunciato, conforme alla delega.

24. Le Regioni ricorrenti denunciano i commi 6 e 9 dell’art. 3, i quali, nel pre-vedere che lo Stato possa procedere comunque all’approvazione del progetto preliminare relativo alle infrastrutture di carattere interregionale e internazio-nale superando il motivato dissenso delle Regioni, violerebbero gli artt. 114, commi primo e secondo; 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118, commi pri-mo e secondo, Cost. Le Regioni, si osserva nei ricorsi, sarebbero relegate in posizione di destinatarie passive di provvedimenti assunti a livello statale in materie che sono riconducibili alla potestà legislativa concorrente.

La questione non merita accoglimento.

Le procedure di superamento del dissenso regionale sono diversificate.

In una prima ipotesi [art. 3, comma 6, lettera a)] il dissenso può essere manife-stato sul progetto preliminare di un’opera che, in virtù di un’intesa fra lo Stato e la Regione o Provincia autonoma, è stata qualificata di carattere interregio-nale o internazionale. In questo caso il progetto preliminare è sottoposto al consiglio superiore dei lavori pubblici, alla cui attività istruttoria partecipano i rappresentanti delle Regioni. A tale fine il consiglio valuta i motivi del dissenso e la eventuale proposta alternativa che, nel rispetto della funzionalità dell’ope-ra, la Regione o Provincia autonoma dissenziente avessero formulato all’atto del dissenso. Il parere del consiglio superiore dei lavori pubblici è rimesso al CIPE che, in forza dell’art. 1, comma 2, del decreto legislativo n. 190, applica-bile nella specie, è integrato dai Presidenti delle Regioni e Province autonome interessate. Se il dissenso regionale perdura anche in sede CIPE, il progetto è approvato con decreto del Presidente della Repubblica, previa deliberazione del Consiglio dei ministri, sentita la Commissione parlamentare per le questio-ni regionali. Va in primo luogo rilevato che non si tratta qui di approvazione del progetto definitivo, ma solo di quello preliminare, e che le opere coinvolte non sono qualificate di carattere regionale. Risponde quindi allo statuto del principio di sussidiarietà e all’istanza unitaria che lo sorregge, che possano essere definite procedure di superamento del dissenso regionale, le quali do-vranno comunque – come avviene nella specie – informarsi al principio di leale collaborazione, onde offrire alle Regioni la possibilità di rappresentare il loro punto di vista e di motivare la loro valutazione negativa sul progetto. Nessu-na censura, in definitiva, può essere rivolta alla disciplina legislativa, salva la possibilità per la Regione dissenziente di impugnare la determinazione finale resa con decreto del Presidente della Repubblica ove essa leda il principio di leale collaborazione, sul quale deve essere modellato l’intero procedimento.

Nella seconda ipotesi [art. 3, comma 6, lettera b)] il dissenso si manifesta sul progetto preliminare relativo a infrastrutture strategiche classificate nell’inte-sa fra Stato e Regione come di preminente interesse nazionale o ad opere nelle quali il preminente interesse statale concorre con quello regionale. Il procedi-mento di superamento del dissenso delle Regioni è diversamente articolato: si provvede in questi casi a mezzo di un collegio tecnico costituito d’intesa fra il Ministero e la Regione interessata a una nuova valutazione del progetto pre-liminare. Ove permanga il dissenso, il Ministro delle infrastrutture e trasporti propone al CIPE, sempre d’intesa con la Regione, la sospensione dell’infra-struttura, in attesa di una nuova valutazione in sede di aggiornamento del programma oppure «l’avvio della procedura prevista in caso di dissenso sulle infrastrutture o insediamenti produttivi di carattere interregionale o interna-zionale». Il tenore letterale della disposizione porta a concludere che la neces-sità dell’intesa con la Regione si riferisca non solo alla proposta di sospensione del procedimento, ma anche alla proposta di avvio della procedura di cui alla lettera a) dell’articolo in esame. Si consentirebbe insomma alla Regione, nel

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caso di opere di interesse regionale concorrente con quello statale, di “blocca-re” l’approvazione del progetto ad esse relativo, in attesa di una nuova valuta-zione in sede di aggiornamento del programma.

In questi termini, il motivo di ricorso in esame deve essere rigettato.

24.1. Per le ragioni appena esposte anche le censure relative agli artt. 4, com-ma 5, e 13, comma 5, che alla procedura dell’art. 3, comma 6, fanno espresso rinvio, devono essere respinte, così come deve essere rigettata la censura ri-volta dalle Regioni Toscana e Marche nei confronti dell’art. 13, che disciplina le procedure per la localizzazione, l’approvazione dei progetti, la VIA degli in-sediamenti produttivi e delle infrastrutture private strategiche per l’approvvi-gionamento energetico, richiamando le procedure previste negli artt. 3 e 4 del decreto.

25. Devono essere dichiarate inammissibili le censure che le Regioni Toscana e Marche svolgono nei confronti degli artt. 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 e 11, che, in rela-zione alle infrastrutture e agli insediamenti produttivi qualificati come strate-gici, contengono un complesso insieme di innovazioni in materia di appalti e di concessioni di lavori pubblici. Se ne denuncia il contrasto con l’art. 117 Cost.

Ancor prima di esaminare nel merito la censura, che procede peraltro dalla erronea premessa che i lavori pubblici costituiscano una materia di esclusiva competenza regionale, si deve rilevare che essa è formulata in termini così generici da non consentire un corretto scrutinio di legittimità costituzionale sulle singole disposizioni. Nella congerie di norme contenute negli articoli im-pugnati, fatte simultaneamente e indistintamente oggetto di censura, discer-nere o selezionare i profili di competenza statale potenzialmente interferenti con la disciplina regionale non è onere che possa essere addossato alla Corte, ma attiene al dovere di allegazione del ricorrente. Vero in ipotesi che sussista-no profili di disciplina inerenti a competenze residuali, è infatti indubitabile la potenziale interferenza con esse di funzioni e compiti statali riconducibili alla potestà legislativa esclusiva o concorrente, quali la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema, la tutela della concorrenza, il governo del territorio.

26. L’art. 4, comma 5, è impugnato dalla Regione Toscana per la parte in cui prevede che l’approvazione del progetto definitivo, adottata con il voto favore-vole della maggioranza dei componenti il CIPE, «sostituisce ogni altra autoriz-zazione, approvazione e parere comunque denominato e consente la realizza-zione e, per gli insediamenti produttivi strategici, l’esercizio di tutte le opere, prestazioni e attività previste nel progetto approvato». La ricorrente lamenta la violazione dell’art. 76 della Costituzione, per il contrasto con l’art. 1, comma 3-bis, della legge di delega n. 443 del 2001, come modificata dalla legge n. 166 del 2002, il quale porrebbe quale momento indefettibile del procedimento di approvazione del progetto definitivo il parere obbligatorio della Conferenza unificata di cui all’art. 8 del decreto legislativo n. 281 del 1997.

La censura è infondata.

A prescindere dal rilievo che l’art. 1, comma 3-bis, della legge n. 443 del 2001, introdotto dalla legge n. 166 del 2002, non figura espressamente tra i criteri e principi direttivi per l’esercizio della delega, e che è stato dichiarato costitu-zionalmente illegittimo con la presente pronuncia (v. § 8), deve osservarsi che l’art. 4, comma 5, costituisce attuazione del criterio di cui all’art. 1, comma 2, lettera c), della citata legge n. 443 del 2001, come modificato dall’art. 13, comma 6, della legge n. 166 del 2002, del quale si è in precedenza escluso il dedotto profilo di lesione delle competenze regionali (punto 6.2.). Il suindicato criterio prevedeva infatti che venisse affidata al CIPE, integrato dai Presidenti delle Regioni o Province autonome interessate, l’approvazione del progetto pre-liminare e di quello definitivo. E che l’operatività della disposizione impugnata presupponga che l’approvazione del progetto definitivo sia effettuata dal CIPE in composizione allargata si ricava dall’art. 1, comma 2, dello stesso decreto legislativo n. 190, il quale chiarisce che «l’approvazione dei progetti delle infra-strutture» (quindi del progetto preliminare come di quello definitivo) «avviene d’intesa tra lo Stato e le Regioni nell’ambito del CIPE allargato ai presidenti delle regioni e delle province autonome interessate».

27. La Regione Toscana ha impugnato l’art. 8, nella parte in cui prevede che il Ministero delle infrastrutture e trasporti pubblichi sul proprio sito informatico e, una volta istituito, sul sito informatico individuato dal Presidente del Con-siglio dei ministri ai sensi dell’art. 24 della legge 24 novembre 2000, n. 340, nonché nelle Gazzette Ufficiali italiana e comunitaria, la lista delle infrastrut-ture per le quali il soggetto aggiudicatore ritiene di sollecitare la presentazione di proposte da parte di promotori, precisando, per ciascuna infrastruttura, il termine (non inferiore a 4 mesi) entro il quale i promotori possono presentare le proposte e, se la proposta è presentata, stabilisce che il soggetto aggiudica-tore, valutata la stessa come di pubblico interesse, promuova la procedura di VIA e se necessario la procedura di localizzazione urbanistica.

La ricorrente lo censura per eccesso di delega, in quanto esso non chiarirebbe se le infrastrutture inserite nella lista per sollecitare le proposte dei promotori siano da individuare tra quelle già ricomprese nel programma di opere strate-giche formato d’intesa con le Regioni ai sensi dell’art. 1, comma 1, della legge di delega n. 443 del 2001 o se al contrario si debba consentire la presentazione di proposte dei promotori anche per opere non facenti parte del programma, e sulle quali nessuna intesa è stata raggiunta con le Regioni interessate.

L’interpretazione più piana e lineare della disposizione censurata è che debba trattarsi delle opere inserite nel programma di cui al comma 1, e sulle quali si sia raggiunta l’intesa. Non è quindi fondata la censura di violazione dell’art. 76 Cost. e neppure sussiste la violazione dell’art. 117, poiché il principio di sussidiarietà, come si è visto nel paragrafo 2.1, postula che allo Stato, una volta assunta la funzione amministrativa, competa anche di regolarla onde renderne l’esercizio raffrontabile a un parametro legale unitario.

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28. Le Regioni Toscana, Marche e la Provincia autonoma di Bolzano, propon-gono questione di legittimità costituzionale, in riferimento all’art. 117, sesto comma, Cost., anche dell’art. 15 del decreto legislativo n. 190.

La questione è fondata.

Il comma 1 di tale articolo attribuisce al Governo la potestà di integrare tutti i regolamenti emanati in base alla legge n. 109 del 1994, «assumendo come norme regolatrici il presente decreto legislativo, la legge di delega e le normati-ve comunitarie in materia di appalti di lavori» e stabilisce che le norme regola-mentari si applichino alle Regioni solo «limitatamente alle procedure di intesa per l’approvazione dei progetti e di aggiudicazione delle infrastrutture» e, per quanto non pertinente a queste procedure, si applichino a titolo suppletivo, «sino alla entrata in vigore di diversa normativa regionale». Il comma 2 del predetto articolo autorizza i regolamenti emanati nell’esercizio della potestà di cui al comma 1 ad abrogare o derogare, dalla loro entrata in vigore, le norme di diverso contenuto precedentemente vigenti nella materia; il comma 3 pun-tualizza gli oggetti del regolamento autorizzato; il comma 4 stabilisce che, fino alla entrata in vigore dei regolamenti integrativi di cui al comma 1, si applica il d.P.R. n. 554 del 1999 in materia di lavori pubblici adottato dallo Stato ai sensi dell’art. 3 della legge n. 109 del 1994, in quanto compatibile con le nor-me della legge di delega e del decreto legislativo n. 190; e prosegue disponendo che i requisiti di qualificazione sono individuati e regolati dal bando e dagli atti di gara, nel rispetto delle previsioni del decreto legislativo n. 158 del 1995.

Dalle argomentazioni che sostengono il motivo di ricorso si evince che esso investe i primi quattro commi dell’art. 15, che riguardano appunto i regola-menti governativi autorizzati; ne è escluso invece il comma 5, che ha un og-getto diverso ed affatto autonomo, poiché concerne l’attività di monitoraggio tesa a prevenire e reprimere tentativi di infiltrazione mafiosa. Così accertata la portata delle censure, esse devono essere accolte, per le ragioni che sono state già esposte nel precedente paragrafo 7, dove si sono illustrati i motivi della pronuncia di accoglimento della questione riguardante l’art. 1, comma 3, della legge n. 443 del 2001, di cui l’impugnato art. 15 è attuativo.

29. Con un’unica, laconica censura la Regione Toscana impugna, con ri-chiamo agli stessi motivi già svolti, l’art. 16, il quale contiene una pluralità di norme transitorie, diverse a seconda dello stadio di realizzazione dell’opera al momento di entrata in vigore del decreto legislativo n. 190. La regolamentazio-ne è infatti differenziata a seconda che sia stato approvato il progetto definitivo o esecutivo (comma 1); abbia avuto luogo la valutazione di impatto ambientale sulla base di norme vigenti statali o regionali (comma 2); non si sia svolta al-cuna attività e si versi in fase di prima applicazione della disciplina (comma 3); o ancora si tratti di procedimenti relativi agli insediamenti produttivi e alle infrastrutture strategiche per l’approvvigionamento energetico in corso (com-ma 7, che regola anche il regime degli atti già compiuti). Ciascuna di queste ipotesi è assoggettata a una disciplina particolare e pertanto non è possibile

indirizzare nei loro confronti una censura unitaria fondata su un solo motivo, per di più argomentato per relationem con riferimento ai “motivi sopra espo-sti”, alcuni dei quali, a loro volta, vengono dichiarati inammissibili per generi-cità con la presente pronuncia.

La censura è pertanto inammissibile per la sua genericità.

30. Le Regioni Marche e Toscana denunciano, in riferimento all’art. 117 Cost., gli artt. 17, 18, 19 e 20 nella parte in cui dettano una disciplina della procedu-ra di valutazione di impatto ambientale di opere e infrastrutture che deroghe-rebbe a quella regionale, cui dovrebbe riconoscersi la competenza a regolare gli strumenti attuativi della tutela dell’ambiente.

La censura non merita accoglimento.

Le ricorrenti muovono dalla premessa che la valutazione di impatto ambienta-le regolata dalle disposizioni censurate trovi applicazione anche nei confronti delle opere di esclusivo interesse regionale, ma così non è, poiché la sfera di applicazione del decreto legislativo n. 190 è limitata alle opere che, con intesa fra lo Stato e la Regione, vengono qualificate come di preminente interesse nazionale, con il quale concorre un interesse regionale.

Per le infrastrutture ed insediamenti produttivi di preminente interesse nazio-nale, invece, non vi è ragione di negare allo Stato l’esercizio della sua compe-tenza, tanto più che la tutela dell’ambiente e dell’ecosistema forma oggetto di una potestà esclusiva, ai sensi dell’art. 117, secondo comma, lettera s), che è bensì interferente con una molteplicità di attribuzioni regionali, come questa Corte ha riconosciuto nelle sentenze n. 536 e n. 407 del 2002, ma che non può essere ristretta al punto di conferire alle Regioni, anziché allo Stato, ogni determinazione al riguardo.

Quando sia riconosciuto in sede di intesa un concorrente interesse regionale, la Regione può esprimere il suo punto di vista e compiere una sua previa valu-tazione di impatto ambientale, ai sensi dell’art. 17, comma 4, ma il provvedi-mento di compatibilità ambientale è adottato dal CIPE, il quale, secondo una retta interpretazione, conforme ai criteri della delega [art. 1, comma 2, lettera c), della legge n. 443 del 2001, come sostituito dalla legge n. 166 del 2002], deve essere integrato dai Presidenti delle Regioni e delle Province autonome in-teressate. L’insieme di queste previsioni appresta garanzie adeguate a tutelare le interferenti competenze regionali.

31. Oggetto di censura è pure l’art. 19, comma 2, il quale demanda la valuta-zione di impatto ambientale a una Commissione speciale istituita con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell’ambien-te. Le Regioni Toscana e Marche lamentano una lesione degli artt. 9, 32, 117 e 118 Cost. per la mancata previsione di una partecipazione regionale in tale Commissione.

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Premesso che la disposizione deve essere interpretata nel senso che la Com-missione speciale opera con riferimento alle sole opere qualificate in sede di in-tesa come di interesse nazionale, interregionale o internazionale, essa è invece illegittima nella parte in cui, per le infrastrutture e gli insediamenti produttivi strategici per i quali sia stato riconosciuto, in sede di intesa, un concorrente interesse regionale, non prevede che la Commissione speciale VIA sia integra-ta da componenti designati dalle Regioni o Province autonome interessate.

32. Le Regioni Campania, Toscana, Marche, Basilicata, Emilia-Romagna, Um-bria e Lombardia hanno proposto questione di legittimità costituzionale in via principale, in riferimento agli artt. 3, 9, 32, 41, 42, 44, 70, 76, 77, 97, 114, 117, 118 e 119 Cost., nonché all’art. 174 del trattato istitutivo della Comunità europea, dell’intero decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198, recante “Di-sposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrutture di telecomu-nicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell’art. 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443”, e in particolare degli artt. 1, 3, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11 e 12.

33. Avverso il medesimo decreto legislativo ha proposto ricorso, «per solle-vare questione di legittimità costituzionale e conflitto di attribuzione», anche il Comune di Vercelli. Il ricorrente ritiene che la propria legittimazione ad impugnare discenda dal fatto che la revisione del Titolo V della Parte II della Costituzione ha attribuito direttamente ai Comuni potestà amministrative e normative che dovrebbero poter essere difese nel giudizio di legittimità costi-tuzionale in via di azione e nel giudizio per conflitto di attribuzione.

A prescindere dalla qualificazione dell’atto e dal problema se con esso il Comu-ne abbia sollevato una questione di legittimità costituzionale o abbia introdot-to un conflitto di attribuzione, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.

L’art. 127 Cost. prevede che «La Regione, quando ritenga che una legge o un atto avente valore di legge dello Stato o di un’altra Regione leda la sua sfera di competenza, può promuovere la questione di legittimità costituzionale dinanzi alla Corte costituzionale entro sessanta giorni dalla pubblicazione della legge o dell’atto avente valore di legge». Con formulazione dal tenore inequivoco, la titolarità del potere di impugnazione di leggi statali è dunque affidata in via esclusiva alla Regione, né è sufficiente l’argomento sistematico invocato dal ricorrente per estendere tale potere in via interpretativa ai diversi enti territo-riali.

Analogo discorso deve ripetersi per il potere di proporre ricorso per conflitto di attribuzione. Nessun elemento letterale o sistematico consente infatti di supe-rare la limitazione soggettiva che si ricava dagli art. 134 della Costituzione e 39, terzo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e, comunque, sotto il pro-filo oggettivo, resta ferma, anche dopo la revisione costituzionale del 2001, la diversità fra i giudizi in via di azione sulle leggi e i conflitti di attribuzione fra Stato e Regioni, i quali ultimi non possono riguardare atti legislativi.

34. Gli interventi spiegati dalle società H3G s.p.a., T.I.M. s.p.a. – Telecom Italia Mobile, Vodafone Omnitel N.V. (già Vodafone Omnitel s.p.a.), Wind Te-lecomunicazioni s.p.a. e quelli proposti, peraltro tardivamente, dai Comuni di Pontecurone, Monte Porzio Catone, Roma, Polignano a Mare, Mantova e del Coordinamento delle associazioni consumatori (CODACONS), devono essere dichiarati inammissibili, per le stesse ragioni esposte nel paragrafo 3.2 della presente sentenza.

35. L’intero decreto legislativo n. 198 del 2002 è impugnato in tutti i ricorsi per eccesso di delega, sul rilievo che la legge n. 443 del 2002, nell’art. 1, comma 1, autorizzava l’adozione di una normativa specifica per le sole infrastrutture puntualmente individuate anno per anno, a mezzo di un programma approva-to dal CIPE, mentre nel caso di specie non vi sarebbe stata tale individuazione, ma esclusivamente una «sintesi del piano degli interventi nel comparto delle comunicazioni». Inoltre, si aggiunge nei ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna e Umbria, la delega sarebbe stata conferita per la realizzazione di “grandi ope-re”, mentre tralicci, pali, antenne, impianti radiotrasmittenti, ripetitori, che il decreto legislativo n. 198 disciplina, costituirebbero solo una molteplicità di piccole opere; infine - si lamenta nei ricorsi delle Regioni Emilia-Romagna, Umbria e Lombardia - lungi dall’uniformarsi ai principî e criteri direttivi della delega, il decreto impugnato, nell’art. 1, porrebbe a sé medesimo i principî che informano le disposizioni successive.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte, nel giudizio promosso in via prin-cipale il vizio di eccesso di delega può essere addotto solo quando la viola-zione denunciata sia potenzialmente idonea a determinare una vulnerazione delle attribuzioni costituzionali delle Regioni o Province autonome ricorrenti (sentenze n. 353 del 2001, n. 503 del 2000, n. 408 del 1998, n. 87 del 1996). Nella specie non può negarsi che la disciplina delle infrastrutture di teleco-municazioni strategiche, che si assume in contrasto con la legge di delega n. 443 del 2001, comprima le attribuzioni regionali sotto più profili. Il più evi-dente tra essi emerge dalla lettura dell’art. 3, comma 2, secondo il quale tali infrastrutture sono compatibili con qualsiasi destinazione urbanistica e sono realizzabili in ogni parte del territorio comunale anche in deroga agli strumenti urbanistici e ad ogni altra disposizione di legge o di regolamento. In questi casi la Regione è legittimata a far valere le proprie attribuzioni anche allegando il vizio formale di eccesso di delega del decreto legislativo nel quale tale discipli-na è contenuta.

Nella specie l’eccesso di delega è evidente, a nulla rilevando, in questo giudi-zio, la sopravvenuta entrata in vigore del decreto legislativo 1° agosto 2003, n. 259, recante il Codice delle comunicazioni elettroniche, che riguarda in parte la stessa materia.

L’art. 1, comma 2, della legge n. 443 del 2001, che figura nel titolo del decreto legislativo impugnato ed è richiamata nel preambolo, ha conferito al Governo il potere di individuare infrastrutture pubbliche e private e insediamenti pro-

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duttivi strategici di interesse nazionale a mezzo di un programma formulato su proposta dei Ministri competenti, sentite le Regioni interessate ovvero su proposta delle Regioni sentiti i Ministri competenti. I criteri della delega, con-tenuti nell’art. 2, confermano che i decreti legislativi dovevano essere intesi a definire un quadro normativo finalizzato alla celere realizzazione delle infra-strutture e degli insediamenti individuati a mezzo di un programma.

Di tale programma non vi è alcuna menzione nel decreto impugnato, il quale al contrario prevede che i soggetti interessati alla installazione delle infrastrut-ture sono abilitati ad agire in assenza di un atto che identifichi previamente, con il concorso regionale, le opere da realizzare e sulla scorta di un mero pia-no di investimenti delle diverse società concessionarie. Ogni considerazione sulla rilevanza degli interessi sottesi alla disciplina impugnata non può avere ingresso in questa sede, posto che tale disciplina non corrisponde alla delega conferita al Governo e non può essere considerata di questa attuativa.

L’illegittimità dell’intero atto esime questa Corte dal soffermarsi sulle singole disposizioni oggetto di ulteriori censure, che restano pertanto assorbite.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

1) dichiara la illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 3, ultimo pe-riodo, della legge 21 dicembre 2001, n. 443 (Delega al Governo in materia di infrastrutture ed insediamenti produttivi strategici ed altri interventi per il rilancio delle attività produttive);

2) dichiara la illegittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 3-bis, della me-desima legge, introdotto dall’articolo 13, comma 6, della legge 1° agosto 2002, n. 166 (Disposizioni in materia di infrastrutture e trasporti);

3) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 1, commi 1, 2, 3 e 4, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevate, in rife-rimento all’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e agli articoli 117 e 118 della Costituzione, dalla Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe;

4) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legit-timità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevate, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione dalla Regione Marche e, in riferimento all’articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;

5) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, come sostituito dall’articolo 13, comma 3, della legge 1° agosto 2002, n. 166, sollevata, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricor-so indicato in epigrafe;

6) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 2, lettere a), b), c), d), e), f), g), h), i), l), m), n) e o), della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevate, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Marche e, in riferimento all’articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;

7) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 2, lettera g), della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevata, in riferi-mento all’articolo 117, primo comma, della Costituzione, dalle Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;

8) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’artico-lo 1, comma 2, lettera n), della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevata, in riferimento all’articolo 117, primo comma, della Costituzione, dalle Regioni Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;

9) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 2, lettera c), della legge 21 dicembre 2001, n. 443, come sostituito dall’articolo 13, comma 5, della legge 1° agosto 2002, n. 166, sollevata, in rife-rimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;

10) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 4, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevate, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Marche e, in rife-rimento all’articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;

11) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 5, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sollevata, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Marche, con il ricorso indicato in epigrafe;

12) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 1, commi 6, 7, 8, 9, 10, 11, 12 e 14, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, sol-levate, in riferimento all’articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana, Umbria ed Emilia-Romagna, con i ricorsi indicati in epigrafe;

13) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 1-bis, della legge 21 dicembre 2001, n. 443, introdotto dall’articolo 13, comma 4, della legge 1° agosto 2002, n. 166, sollevata, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricor-so indicato in epigrafe;

14) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legit-timità costituzionale dell’articolo 13, commi 1 e 11, della legge 1° agosto 2002, n. 166, sollevata, in riferimento agli articoli 117, 118 e 119 della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;

15) dichiara la illegittimità costituzionale dell’articolo 15, commi 1, 2, 3 e 4, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190 (Attuazione della legge 21 dicem-

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bre 2001, n. 443, per la realizzazione delle infrastrutture e degli insediamenti produttivi strategici e di interesse nazionale);

16) dichiara la illegittimità costituzionale dell’articolo 19, comma 2, del decre-to legislativo 20 agosto 2002, n. 190, nella parte in cui, per le infrastrutture e gli insediamenti produttivi strategici, per i quali sia stato riconosciuto, in sede di intesa, un concorrente interesse regionale, non prevede che la commissione speciale per la valutazione di impatto ambientale (VIA) sia integrata da com-ponenti designati dalle Regioni o Province autonome interessate;

17) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli arti-coli 1, 2, 3, 4, 13 e 15 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli articoli 76, 117, 118 e 120 della Costituzione e agli articoli 8, primo comma, numeri 5, 6, 9 , 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22, e 24; 9, primo comma, numeri 8, 9 e 10; e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, agli articoli 19, 20 e 21 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381 e all’articolo 4 del decreto legisla-tivo 16 marzo 1992, n. 266, dalla Provincia autonoma di Trento, con il ricorso indicato in epigrafe;

18) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legit-timità costituzionale dell’articolo 1, comma 1, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzio-ne, all’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e all’articolo 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, dalla Provincia autonoma di Bolzano, con il ricorso indicato in epigrafe;

19) dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di le-gittimità costituzionale dell’articolo 13, comma 5, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento agli articoli 8, primo comma, numeri 5, 6, 9 , 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22, e 24; 9, primo comma, numeri 8, 9 e 10; e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e all’articolo 2 del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, dalla Provincia autonoma di Bolzano, con il ricorso indicato in epigrafe;

20) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 5, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferi-mento all’articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni Marche e Toscana, con i ricorsi indicati in epigrafe;

21) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 1, comma 7, lettera e), del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli articoli 76, 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118 della Co-stituzione, dalla Regione Toscana, in riferimento agli articoli 117, commi terzo quarto e sesto, e 118 della Costituzione, dalla Regione Marche, in riferimento agli articoli 8, primo comma, numeri 5, 6, 9, 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22, e 24; 9, primo comma, numeri 8, 9 e 10; e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e agli articoli 19 e 20 del d.P.R. 22 marzo 1974, n. 381, dalla Provincia auto-noma di Bolzano, con i ricorsi indicati in epigrafe;

22) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 2, commi 1, 2, 3, 4, 5 e 7; 3, commi 4, 5, 6, e 9; e 13, commi 5 e 15, del decre-

to legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione, all’articolo 10 della legge costituzionale 18 ottobre 2001, n. 3, e agli articoli 8, primo comma, numeri 5, 6, 9, 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22, e 24; 9, primo comma, numeri 8, 9 e 10; e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e all’articolo 4, comma 1, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, dalla Provincia autonoma di Bolzano, con il ricorso indicato in epigrafe;

23) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 2, commi 2, 3, 4 e 5, sollevate, in riferimento agli articoli 8, primo comma, numeri 5, 6, 9, 11, 14, 16, 17, 18, 19, 21, 22, e 24; 9, primo comma, numeri 8, 9 e 10; e 16 del d.P.R. 31 agosto 1972, n. 670, e all’articolo 4, comma 3, del decreto legislativo 16 marzo 1992, n. 266, dalla Provincia autonoma di Bolza-no, con il ricorso indicato in epigrafe;

24) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 5, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferi-mento agli articoli 117 e 118 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Mar-che, con i ricorsi indicati in epigrafe;

25) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 2, comma 7, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferi-mento agli articoli 117, 118 e 120 della Costituzione, dalla Regione Toscana, e, in riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;

26) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’articolo 3 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli articoli 117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;

27) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 3, comma 5, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in rife-rimento all’articolo 76 della Costituzione, in relazione all’articolo 1, comma 2, lettera d), della legge 21 dicembre 2001, n. 443, dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;

28) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di le-gittimità costituzionale dell’articolo 3, commi 6 e 9, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli articoli 114, commi primo e secondo, 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118, commi primo e secondo, della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;

29) dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legit-timità costituzionale degli articoli 4, comma 5, e 13 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento agli articoli 114, commi primo e secondo, 117, commi terzo, quarto e sesto, e 118, commi primo e secondo, della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;

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30) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale degli arti-coli 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10 e 11 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sol-levate, in riferimento all’articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni Toscana e Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;

31) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 4, comma 5, del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferi-mento all’articolo 76 della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;

32) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 8 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento agli articoli 76 e 117 della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricorso indi-cato in epigrafe;

33) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’arti-colo 16 del decreto legislativo 20 agosto 2002, n. 190, sollevata, in riferimento agli articoli 117 e 118 della Costituzione, dalla Regione Toscana, con il ricorso indicato in epigrafe;

34) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli articoli 17, 18, 19, commi 1 e 3, e 20 del decreto legislativo 19 agosto 2002, n. 190, sollevate, in riferimento all’articolo 117 della Costituzione, dalle Regioni To-scana e Marche, con i ricorsi indicati in epigrafe;

35) dichiara la illegittimità costituzionale del decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198 (Disposizioni volte ad accelerare la realizzazione delle infrastrut-ture di telecomunicazioni strategiche per la modernizzazione e lo sviluppo del Paese, a norma dell’articolo 1, comma 2, della legge 21 dicembre 2001, n. 443);

36) dichiara inammissibile il ricorso proposto dal Comune di Vercelli “per sol-levare questione di legittimità costituzionale e conflitto di attribuzione” avver-so il decreto legislativo 4 settembre 2002, n. 198.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Con-sulta, il 25 settembre 2003.

Riccardo CHIEPPA, Presidente

Carlo MEZZANOTTE, Redattore

Depositata in Cancelleria l’1 ottobre 2003.

(Consiglio delle Autonomie locali dell’Umbria - giugno 2014)