Conoscersi meglio. Consapevolezza e assertività

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L’ assertività altro non è che l’affermazione consapevole delle proprie idee, del proprio modo di essere e di agire nel mondo; essere assertivo vuol dire essere consapevole di sé e degli altri, rispettoso di se stesso e allo stesso tempo delle altre persone, positivo, con una buona capacità comunicativa e una forte serenità di fondo.

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Punti di Vista

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Federica Curzi

Conoscersi meglioConsapevolezza e assertività

(E mo’ fa un po’come te pare)

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Prima Edizione: 2015

ISBN 9788898037766© 2015 Edizioni Psiconline - Francavilla al MarePsiconline® Srl66023 Francavilla al Mare (CH) - Via Nazionale Adriatica 7/ATel. 085 817699 - Fax 085 9432764Sito web: www.edizioni-psiconline.ite-mail: [email protected]

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Finito di stampare nel mese di Maggio 2015 in Italia da Universal Book srl - Rende (CS) per conto di Edizioni Psiconline® (Settore Editoriale di Psiconli-ne® Srl)

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A chi non molla mai

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INDICE

Perché scrivere su questo argomento

Che cosa è l’assertività

Conoscere se stessi, le proprie motivazioni e bisogni

Il corpo

Funzioni cognitive: la mente

Sviluppo del pensiero positivo

Credere in se stessi

Semplifi carsi la vita

Intelligenza emotiva

Comunicazione

Come sviluppare l’assertività

Ringraziamenti

Bibliografi a

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PERCHÉ SCRIVERE SU QUEST’ARGOMENTO

Ho impedito agli uomini di prevedere la loro sorte mortaleCORO: Che tipo di farmaco hai scovato per questa malattia

PROMETEO: Ho posto in loro cieche speranze…(Eschilo, Prometeo incatenato, w. 248-250)

È da qualche anno che insegno. Ho avuto la fortuna di incon-trare molte persone di ogni età e lavori differenti: estetiste, par-rucchieri, calzaturieri, ragionieri, magazzinieri, muratori, opera-tori socio sanitari. Per non parlare della mia vita, sono una chiac-chierona, quindi mi fermo a parlare con chiunque. Un esempio: se esco a prendere al supermercato dietro l’angolo un pezzo di pane, mi sento dire dal mio compagno: “Ok, ci vediamo tra un paio di ore”.

La ‘voce’ comune (compresa la mia), il fi lo conduttore, il di-sagio collettivo che percepisco quando mi guardo intorno è: c’è troppa aggressività o troppa passività fra la gente. I risultati di questi atteggiamenti sono che le persone o urlano tra di loro o non parlano affatto e nessuno ascolta, né se stessi, né tanto meno gli altri. C’è un non capirsi, una insicurezza soffocante, un non volersi bene e un non voler bene all’altro, un generale “non ti ascolto”.

In questi anni, all’interno dei corsi, che ho svolto come inse-gnate, ho parlato spesso di quanto sia oramai diffi cile comunica-re in modo sereno tra le persone; così, più per noia che per altro, ho incominciato a parlare di Assertività: affermazione di sé. Mi

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sono subito accorta che le persone rimangono immediatamente affascinate dall’argomento e mi sono anche accorta che più ne parlavo e più instauravo dei buoni rapporti con gli studenti.

Certamente un merito sicuro dell’assertività sta nel fatto che quando parlo con le persone io sto bene, anche con quelle che fanno di tutto per risultare antipatiche. In ogni caso molto dipen-de, anche, da quanto sono serena con me stessa, ma di questo ne parleremo poi.

Il mio sogno nel cassetto è sempre stato quello di scrivere, allora ho pensato, perché non portare nero su bianco le cose dette a lezione, le cose scoperte insieme ai miei studenti, le cose che ho imparato in sostanza dalle persone che ho incontrato durante il mio cammino?

Quindi eccomi qui, un po’ spinta da me, un po’ spinta dal mio compagno, giusto per mostrargli che non ho il blocco dello scrit-tore prima di diventare uno scrittore! E spinta anche da alcuni studenti (non è il famoso libro su come gli uomini vivono me-glio: donne imitiamoli, forse sarà il prossimo!)

Signore e Signori ecco il millesimo (ma che dico il milione-simo) libro che vi aiuterà a stare meglio con voi stessi e con gli altri.

Speriamo di cavarcela (chissà forse diventerà il titolo? Qual-cuno lo comprerebbe?)

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CHE COSA È L’ASSERTIVITÀ

…la caratteristica che soprattutto affascinava i suoi amici era la straordinaria autodisciplina, come se

fosse stata abituata sin dalla fanciullezza a non consentire alle circostanze di infl uenzare la sua serenità…

(Colleen McCullough, Uccelli di rovo)

La parola assertività deriva dal latino “asserere” che signifi ca “asserire” o asserzione, in altre parole affermazione consapevole delle proprie idee, del proprio modo di essere e di agire nel mon-do. A me piace ricordare che vuol dire anche gestire una situazio-ne con vigore positivo. L’assertivo è in fi n dei conti un positivo per eccellenza.

Esistono varie defi nizioni che riporto in questa pagina per avere un’idea chiara e generalizzata di cosa s’intende con questo termine:

• …essere chiari con se stessi circa le proprie necessità, i propri desideri, i propri punti di vista, anche se questo a volte costa fatica, essendo chiari con i propri interlocutori tanto quanto lo si è con se stessi.

• …la disponibilità a “rischiare” nella relazione, a mettersi in gioco manifestando le proprie esigenze e i punti di vi-sta, essendo chiari con i propri interlocutori tanto quanto lo si è con se stessi.

• …avere fi ducia in se stessi e nella propria capacità di dare un contributo alla relazione, ma anche fi ducia negli altri e

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nella loro capacità di avere un ruolo positivo e costruttivo.• …riconoscere agli altri il diritto di essere se stessi nella

relazione.• …la capacità delle persone di aver chiaro al proprio in-

terno gli obiettivi che vogliono raggiungere e inoltre, la capacità a perseguire tali obiettivi; sostanzialmente la ca-pacità di realizzazione di progetti per loro importanti.

• …la disponibilità a gestire in modo costruttivo e positivo eventuali divergenze a livello di obiettivi, desideri, valori, passioni, e timori …ovvero la disponibilità a trasformare le diversità in risorse piuttosto che vincoli. Trovare sem-pre una via percorribile per migliorare la situazione.

• Il termine assertività indica la capacità di un individuo di conoscere le proprie esigenze e di esprimerle nel proprio ambiente.

• Il comportamento assertivo ha la proprietà di saper mante-nere i rapporti all’interno dei confi ni di effi cacia, evitando sia i momenti di passività, che i comportamenti di aggres-sività gratuita e immotivata.

• L’assertività può essere defi nita lo stile comunicativo che caratterizza un individuo socievole, sicuro di sé e aperto al confronto. La condotta assertiva rimuove gli ostacoli che impediscono il contatto con gli altri e minimizza i rischi di incomprensioni. La persona assertiva sa contemporane-amente comprendere e rispettare gli altri e salvaguardare i propri diritti.

• Un comportamento assertivo promuove l’uguaglianza nei rapporti umani, mettendoci in grado di agire nel nostro migliore interesse, di difenderci senza ansia, di esprimere con facilità e onestà le nostre sensazioni, di esercitare i nostri diritti, senza negare quelli degli altri.

• L’assertività è la capacità del soggetto di utilizzare in ogni contesto relazionale, modalità di comunicazione che ren-dono altamente probabili relazioni positive dell’ambiente e annullino o riducano la possibilità di relazioni negative.

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Riassumendo:essere chiari con se stessi; ‘rischiare’ nella relazione; avere

fi ducia in noi stessi e nella propria capacità; riconoscere agli altri il diritto di essere se stessi nei rapporti; la disponibilità a gestire in modo costruttivo e positivo eventuali divergenze; conoscere le proprie esigenze ed esprimerle nel proprio ambiente in modo adeguato; possedere uno stile comunicativo che caratterizza un individuo socievole sicuro di sé e aperto al confronto; promuo-vere l’uguaglianza nei rapporti umani; manifestare modalità di comunicazione che renda altamente probabili relazioni positive dell’ambiente; essere utili socialmente…

Potrebbe sembrare un super eroe e forse lo è, ma diventare as-sertivi è un percorso diffi cile, non impossibile. Come dico sem-pre alle splendide creature che mi sopportano (e supportano) a scuola:

“Guardate un bambino mentre impara a camminare, men-tre impara a parlare. Osservate chi impara un’altra lingua o chi impara a guidare, ecc. Non trovate che tutto sia molto diffi cile? Eppure mio fi glio cammina e parla e disegna e… Io guido la macchina! (evento che ha del miracoloso per alcune persone che mi conoscono)”.

Provengo da una specializzazione cognitivo comportamentale e sono stata abituata a pensare che ogni cambiamento, per essere un vero cambiamento, debba coinvolgere sia la sfera cognitiva, in sostanza il modo di pensare, sia, sopra ogni altra cosa, il modo di fare: cioè le abitudini comportamentali. C’è sempre un cam-biamento quando c’è un cambiamento nelle cose che si fanno.

Il motto è importante che diventi: Non c’è un vero cambia-mento se non c’è un cambiamento nelle azioni!

Alle mie studentesse e non solo, faccio sempre l’esempio del fi danzato che le lascia e anche della ‘teoria neuronale’…

Sul fi danzato che le lascia faccio semplicemente questa do-manda:

“Cosa fate se vi lascia un fi danzato che amate come delle paz-ze?” (Voi cosa fareste?).

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Quasi tutte rispondono (in generale sono donne che rispondo-no così):

“Ci disperiamo. Guardiamo insistentemente la sua foto. Pen-siamo ai momenti belli passati insieme, soffrendo molto. Parlia-mo con le nostre amiche, ore ed ore, di lui e di noi e spesso gli telefoniamo”.

E io, ormai potrei mettere una registrazione al posto della mia voce, dico:

“E qui casca l’asino! Sono tutti atteggiamenti che peggiorano la sofferenza, anzi la acutizzano! La domanda di dovere adesso è questa: siete felici nella vostra sofferenza? Tutto quello che mi avete raccontato fi no ad ora, continuatelo pure a fare e sarete a un buon punto per la disperazione! (Questo si chiama masochi-smo: sto bene quando soffro). Continuate pure, basta che ve ne rendiate conto per non spaccare più i ‘cabasisi’, per dirla come Camilleri, quanto meno a me e perché no anche agli altri!”.

E continuo dicendo: “Ma se le vostre considerazioni vi porta-no a dire che non trovate nulla di piacevole in tutto questo com-miserarvi, è ora di cambiare musica. Basta con le foto, guardate invece un po’ di ‘tronisti’ per rifarvi gli occhi. Basta con le ore al telefono, o di persona, neanche con la migliore amica, a parlare di lui, di voi e di quanto eravate felici. Parlate di quello che vi rende serene nel presente. Perché è importante imparare a non vi-vere nel passato o nel futuro. Incominciate a rendervi conto che è nel presente che si vive. Rendiamoci conto che è nel presente che si cambiano le cose! Per quanto riguarda telefonare al vostro ex, ferme lì. Telefonate invece a un amico, o amica, divertente. Par-late con lei, o con lui e fatevi quattro risate. Vedrete che a lungo andare, fare oggi così, fare così anche domani, le vostre abitudini cambieranno. Ma è importante fare cose diverse”.

J. J. Rousseau diceva: “Prendi la direzione opposta all’abitu-dine e quasi sempre farai bene.”

Tutto questo ha anche un riscontro scientifi co, quella che io chiamo la ‘teoria neuronale’.

Il nostro cervello è composto da neuroni, i quali sono collegati

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fra di loro da sinapsi. Quando facciamo qualcosa, dal pensare al muoverci, andiamo a interessare dei neuroni piuttosto di al-tri e ogni volta che fate una cosa, sempre quella, si accendono sempre gli stessi! (Scienziati uffi ciali, fatemi passare questo ger-go, grazie!). Così si formano le abitudini, cioè, il vostro corpo, a quello stimolo, ha imparato che accendete sempre quei neuroni con la conseguenza di dare sempre la stessa risposta. Quindi, è importante soffermarsi e dare volontariamente una risposta di-versa coinvolgendo altri neuroni e così piano, piano, cambiamo le abitudini.

Mi spiego meglio: immaginate di aver cambiato casa, dopo una giornata faticosissima di lavoro prendete la macchina e dite a voi stessi: “Oh, fi nalmente vado a casa”. Può capitare che, a questo comando, vi dirigete, come automi, verso la vecchia casa (questa cosa succede più spesso di quello che immaginate alle persone). Questo perché si è azionato il vecchio percorso neuro-nale.

Diventa importante cambiare quindi le abitudini. Questo si chiama anche apprendimento: modifi co il mio modo di fare, per-ché l’esperienza passata mi ha fatto capire che devo fare cose diverse per riuscire.

L’apprendimento importante da ottimizzare è il fatto che vo-gliate, da adesso in poi, apprendere a essere felici, a essere indi-vidui che cercano un accordo con le altre persone. In sostanza a essere assertivi. Ripetendo sempre gli atteggiamenti assertivi, ecco che… voilà, autonomamente si attivano i neuroni giusti!

Da sempre sostengo che, per diventare assertivo un individuo debba:

• Conoscersi bene. Questo implica avere un’idea suffi cien-temente chiara di chi si è veramente, delle proprie motiva-zione e dei propri bisogni.

• Conoscere come funziona il proprio corpo e le sue esigen-ze (prendete un bel manuale di anatomia umana e via a leggere cinque paginine prima di andare a letto la sera. E

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via a leggere cinque paginine nel momento stesso che in-cominciate a rompere i “cabasisi” a voi con “el soito mar-teo che schiaccia il sarveo”. E via altre cinque paginine prima di cominciare a rompere i “cabasisi” al mondo con il vostro chiodo fi sso del momento. Almeno, sicuramente, ci guadagnerete in cultura e conoscenza, che niente non è, diceva mio nonno).

• Conoscere come funziona la mente (essenziale per capire come ci comportiamo).

• Sviluppare un pensiero positivo.• Sviluppare una buona autostima.• Sviluppare una buona intelligenza emotiva.• Sviluppare il problem solving.• Sviluppare buone capacità comunicative.

Nei prossimi capitoli andrò ad approfondire ogni punto sug-gerito sopra.

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CONOSCERE SE STESSI, LE PROPRIE MOTIVAZIONI E BISOGNI

“Dimmi il tuo nome, subito adesso” (…)“Il mio nome è nessuno.

Nessuno mi chiamano madre e padre e tutti quanti i miei compagni”

(Omero, Odissea, Libro IX)

Da dove tutto nasce...Spesso lo dimentichiamo

(Anonimo)

Per essere se stessi e per sapere quello che si vuole veramente dalla vita, è importante soffermarsi e chiedersi chi siamo vera-mente e che cosa ci spinge a muoverci.

Alla domanda chi siamo, penso sia superfl uo chiederlo agli altri, al nostro psicologo, ai test, è invece importante chiederlo a noi stessi.

Tanti anni fa, quando ancora frequentavo la scuola di specia-lizzazione, il mio mentore in classe ci chiese di scrivere nero su bianco 14 caratteristiche che ci appartenevano, vi assicuro che mi sono state utili per iniziare a pensare veramente chi ero.

Adesso lo chiedo a voi.Su un foglio bianco scrivete: la data del giorno in cui vi soffer-

merete a rifl ettere sulle suddette caratteristiche, come vi chiama-te quando parlate a voi stessi e logicamente le caratteristiche che

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vi sentite vostre nella maggior parte del tempo. Faccio un esempio, forse, rimane più chiaro:“11 maggio 2012” “Ki”14 caratteristiche: estroversa, testarda, lunatica, arrabbiata,

chiacchierona, dolce, gentile, onesta, intelligente, creativa, otti-mista, intuitiva, ironica, aperta.

Scrivere la data è importante, eventualmente, per chi vuol ca-pire i propri cambiamenti nel tempo. Basta ripetere l’operazione ogni tanto, io, per esempio, ad inizio di ogni corso colgo l’occa-sione per riscrivere le caratteristiche che mi appartengono, così ho la possibilità di rifl ettere sui miei cambiamenti (o meno).

Darsi un nomignolo, invece, è utile per aiutarvi a cominciare a parlare a voi stessi; per chi già lo fa, bene così.

Conversare con voi stessi, vi ricorda che la vera solitudine, non è unicamente essere soli nella vita, ma anche non essere in contatto con se stessi (questo porta all’inevitabile incapacità di stare insieme agli altri).

Come dico sempre a scuola:“Parlare con se stessi va bene e va bene anche rispondersi. Il

guaio sta quando sentiamo solo noi qualcuno risponderci e par-larci (ebbene si, intendo le allucinazioni uditive)… ed anche qui, dipende da cosa ci suggeriscono le voci (certo è, che se le alluci-nazioni uditive ci suggeriscono che siamo in gamba e che è bello essere gentili, non vedo dove possa essere il problema!)”.

Anni fa una studentessa, in aula, si mise a piangere mentre stavo parlando… sinceramente non ricordo di preciso di cosa, so solo che le chiesi:

“Che succede?”, e lei (questo lo ricordo come se fosse successo 5 minuti fa)

mi rispose: “Io mi sento sola!”.C’era così tanta disperazione in quella frase che mi fece una

estrema tenerezza e d’istinto le dissi:

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“Tesoro come fai a sentirti sola se tutte le mattine ti risvegli con la splendida creatura che tu sei? Pensa, ti ci addormenti la sera ed hai la fortuna di condividerci i sogni”.

Lei mi guardò con due occhioni grandissimi e poco dopo nac-que un sorriso e mi rispose:

“Non avevo mai pensato sta cosa! Prof. davvero pensa che sono una persona splendida?”.

Ed io:“Non solo penso che tu sia splendida, ma anche unica e quindi

speciale. Ne vale proprio la pena che tu cominci a conoscerti me-glio e che ti faccia compagnia di più; …e perché no, anche farti conoscere meglio dagli altri e fare un po’ di compagnia a loro”.

Quando parlo di essere speciale, lo penso di tutti.Ho imparato, con il tempo, che tutti, a modo loro, sono unici

e speciali e che quindi, non ci sono persone migliori di altre, ma solo persone differenti.

Dopo aver scritto le 14 caratteristiche diventa importante ca-

pire se anche gli altri le condividano o no, così potreste compren-dere quale è il vostro nucleo interno (cioè quelle caratteristiche che vi appartengono e che non fate vedere a nessuno, o quasi) e quelle che usate in società.

Cosa voglio dire: la costruzione del nostro Sé è il risultato del Sé come prodotto sociale (sostanzialmente quello che gli altri ci dicono che siamo) e del Sé come costrutto cognitivo (quello che decidiamo noi di essere).

Spesso, se ci chiedono di dare una descrizione di noi stessi tendiamo a rispondere come gli altri ci descrivono. Questo per-ché impariamo a conoscerci osservando le persone che ci circon-dano e come loro reagiscono e parlano di noi o a noi.

Molte volte dico, me ne sono resa conto proprio ieri quando il mio migliore amico mi ha detto “Fede ti ricordi quello che mi dicevi sempre?”, il discorso era rivolto a me.

“Se una persona ti dà una nocciolina non è importante, ma se due, cento persone ti danno una nocciolina allora è ora che co-

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minci seriamente a pensare di essere un elefante”.Questa frase l’ho letta su un libro di Watzlawick e mi è piaciu-

ta tanto che ne ho fatto una specie di motto personale. È da un po’ che vorrei farvi questa domanda (quanto vorrei

avervi qua davanti per sapere cosa ne pensate del mio modo di vedere le cose! Sono convinta che ci guadagnerei tantissimo se vi potessi parlare realmente): “Non vi capita di sentirvi diversi a seconda delle persone frequentate?”.

A me capita e questo lo trovo fantastico, posso reinventarmi quando voglio!

A questo punto mi viene in mente una storiella:Una ragazza va dal dietologo e gli dice di sentirsi grassa. Il dietologo la guarda e le domanda:“Le tue amiche in media quanto pesano?”.Lei stupita risponde:“Circa 45 kg”.A questo punto il dietologo risponde:“Beh, cambia il gruppo di amiche e vedrai che ti sentirai in

perfetta forma e mi raccomando suggerisci loro di andare da un terapeuta”.

Datevi la possibilità di cambiare giro di persone e quindi di reinventarvi.

È anche vero, che noi operiamo una scelta delle persone da imitare, da cui apprendere un modo di essere e quindi di fare, modifi cando in modo personale quello che vediamo adattandolo ai nostri bisogni.

Ecco che il risultato sta in quelle 14 caratteristiche e nella capacità di capire quali siano quelle che consideriamo nostre, perché ci vengono suggerite dagli altri e quali invece ci appar-tengono senza nessun tipo di suggerimento; sono semplicemente nostre e quindi uniche.

Come fare? Chiedete a qualcuno che vi conosce quali fra quel-le che avete scelto riconoscono come vostre e quali no, facendovi spiegare la loro risposta con alcuni esempi.

Fatto il suddetto lavoro, avrete di fronte a voi, come per ma-

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gia, cosa appartiene a voi stessi e cosa appartiene all’infl uenza-mento sociale.

A questo punto mi viene sempre in mente la canzone di Patti Pravo:

“…La cambio io la vita che non ce la fa a cambiare me…”. Altro motto della mia vita!

Un’altra cosa utile da fare è riguardare le vostre caratteristiche e individuare quelle che sono agli opposti tipo: aggressiva e dol-ce, o estroversa e introversa, allegra e triste.

Vi vorrei solo far notare che è diffi cile vivere in equilibrio con delle caratteristiche della personalità così opposte.

Ora, non cominciate a dirvi che essere in un modo o in un al-tro dipende dall’umore o dalle persone che avete di fronte, o che siate così splendidamente complicati (come se questo fosse un vanto invece che una fatica).

Il fatto concreto è che è importante, a questo punto, che sce-gliate che tipo di persona vogliate essere. Soffermatevi veramen-te a pensare alle vostre caratteristiche e a quelle che vi piacerebbe avere per essere e sentirvi molto più sereni ed in equilibrio. Una volta deciso, usate le caratteristiche che più vi piacciano. Come? Mettendo in comportamenti le vostre scelte.

Al riguardo vi voglio raccontare una parte della mia vita.Quando frequentavo la scuola di specializzazione, ad una le-

zione, affrontammo proprio questo discorso sulle 14 caratteristi-che, come vi accennavo prima.

Il mio prof. entrò in aula e ci diede il compito di scrivere le 14 caratteristiche.

Le scrivo, le leggo ad alta voce e mi sento dire:“Fede devi deciderti, così non sei per niente in equilibrio.

Come fai a sostenere di essere estroversa ed introversa, dolce e scontrosa, pessimista ed ottimista… ecc. e sentirti serena?”.

Non potete immaginare che braccio di ferro abbia iniziato con lui, sostenendo che la mia personalità era complessa, piena di sfaccettature, camaleontica e non ricordo quante altre ‘cacchia-

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te’ abbia sostenuto. Lui nel suo splendido modo di essere (non a caso parla di assertività, scrive sull’assertività ed è un uomo assertivo), mi ha fatto parlare, mi ha ascoltato e mi ha spiegato che essere in equilibrio con se stessi e essere sereni nella propria personalità era fondamentale sia per diventare un individuo mi-gliore, sia per diventare un buon terapeuta!

Al tempo, ho passato tutta la notte pensando a quanto detto e dopo tanto rifl ettere ho, per mia fortuna, convenuto con lui e mi sono reinventata… onestamente sto ancora reinventandomi.

Caro ‘Mentore’ penso proprio di aver imparato la lezione!Qualche giorno fa, ho avuto il gran piacere di incontrarlo

nuovamente, dopo otto anni che non lo vedevo, alto, elegante, un modo di camminare sereno, sicuro di sé, affascinante. Basta guardarlo per comprendere che è la personalizzazione dell’as-sertivo. Il tempo non ha agito su di lui, sa ascoltare, osservare, sa essere spiritoso e scherzoso. Ho realizzato che il fascino ha sicuramente le basi nell’assertività. Penso che sia proprio una persona da imitare e mi sono inoltre resa conto che sono ancora lontana dal suo modo di essere così mediatore, rispettoso del-le idee altrui, anche se non condivise. Cosa devo fare adesso? Imitare il suo modo di fare, far diventare mia abitudine quegli atteggiamenti che ho riscontrato in lui: serenità, eleganza, ascol-to, mediazione, simpatia. Consiglio anche a voi di far diventare queste caratteristiche delle vostre abitudini, poi mi saprete dire!

Ora vorrei soffermarmi per un attimo a ragionare con voi su come dovrebbe essere, per me, un individuo:

un individuo dovrebbe essere semplicemente una splendida creatura che funziona come un tutt’uno, cioè ogni parte del suo essere è in sintonia con le altre, questa è un’idea che amo pro-fondamente.

Pensate che bello fi nalmente non litigare con noi stessi… e la logica conseguenza sarebbe di andare poi d’accordo con gli altri.

Siamo ora giunti ad un’altra domanda, secondo me, molto im-

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portante da porsi:“Cosa ci spinge a muoverci, a fare delle cose, in sostanza:

Quali sono i nostri obiettivi?”.Anche qui, solo noi possiamo rispondere. A questo punto, se

vi va, prendete la solita penna e scrivete nero su bianco cosa pensate.

Un uomo, donna o bambino, insomma un essere vivente, sen-za un obiettivo è apatico e tende alla tristezza o semplicemente alla noia.

Non dico che bisogna fare sempre qualcosa (infatti sto cer-cando d’insegnare a mio fi glio che è bello anche stare senza fare niente: semplicemente osservare quello che ci circonda senza pensare), ma avere delle mete da raggiungere, insomma degli obiettivi nella vita, aiuta ad un individuo a dare un senso alla sua esistenza.

È da un po’ di tempo che sostengo che la mia di esistenza sia a volte in balia di un grande frullatore mentale: è il mio modo di chiamare i pensieri nocivi che mi portano a stare male. Ho sempre avuto la percezione, quando mi lascio andare ai pensieri distruttivi, di aver in testa un frullatore gigantesco sempre acceso con due tipi di velocità, lento e veloce, ma sempre acceso! Voi come siete messi? Anche a voi risulta verosimile questa mia me-tafora?

Per chi di voi ha fornito una risposta positiva vi voglio svelare come faccio io per uscirne fuori:

mi concentro solo sul presente che mi circonda (oggetti, pa-esaggio, animali, alberi, fi ori, ecc…) e sulle sensazioni che ne derivano e il risultato: ciao, ciao frullatori mentali.

Perché è vero che non si può non pensare e che i pensieri ci entrano in testa come vogliono e quando vogliono, ma è altret-tanto vero che possiamo imparare a indirizzare il pensiero dove vogliamo, neutralizzando il pensiero che ci fa star male (date una occhiata al capitolo dello sviluppo della positività).

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Riprendendo il fi lo del discorso, scrivere nero su bianco quello che si vuole ottenere è fondamentale, perché aiuta a concentrarci maggiormente sull’obiettivo, cioè a dirigere la nostra attenzione su quello che è veramente importante. (L’attenzione altro non è che il focalizzarsi dell’attività mentale su un particolare percor-so, che può essere rivolto all’interno, quindi consiste nell’esplo-rare esclusivamente contenuti della memoria e della conoscenza, oppure all’esterno, e quindi tenere conto soltanto degli stimoli ambientali).

Penso sia utile, per imparare a conoscerci meglio, soffermarci per un istante ed approfondire il concetto di motivazione legata ai bisogni e ai valori.

Avete mai rifl ettuto su quali siano i vostri bisogni? (ritirate fuori carta, penna e foglio e scriveteli blu su bianco. Questo vi permetterà di analizzarli).

Vivere bene signifi ca sviluppare uno stato di benessere fi sico, psichico e sociale e non solo l’assenza di malattia. (Defi nizione oggi applicata dall’OMS: Organizzazione Mondiale della Salute. Vorrete convenire con me che non è proprio una organizzazione incompetente!).

L’uomo, quindi tutti noi, è un’entità biologica, psichica, so-ciale e spirituale.

Tutto questo ci porta alla naturale conclusione che l’uomo, mi ripeto, quindi anche noi, abbia i seguenti bisogni: fi siologici, psichici, sociali e spirituali.

Qui di seguito riporto la Piramide di Maslow (uno psicologo statunitense che rifl ettendo sui bisogni arrivò a concepire la ge-rarchia dei bisogni o necessità, la suddetta Piramide di Maslow).

Leggendo la piramide, va letta dal basso verso l’alto, il com-pito (sempre chi ha voglia di farlo) è scrivere accanto ad ogni gradino se i bisogni descritti siano in voi realizzati o no. Se non lo sono diventa necessario concentrarsi a realizzarli, perché solo realizzare ogni gradino vi porta ad essere sereni con voi stessi per poter raggiungere il benessere.

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La piramide:

Bisogni di

autorealizzazione

Bisogni di amore e appartenenza

Bisogni di stima

Bisogni di sicurezza

Bisogni fisiologici o di base

Per bisogni fi siologici si intendono: tutti i bisogni necessari alla sopravvivenza. Quindi mangiare,

riposare, dormire, bere, fare sesso, urinare, defecare, muoversi, buona capacità cardiocircolatoria e respiratoria, buon livello di igiene personale, mantenimento di una corretta temperatura cor-porea.

I bisogni di sicurezza sono:tutti quei bisogni che assicurano una protezione fi sica e psico-

logica all’ individuo.

Bisogno di amore e appartenenza sono:i bisogni legati alla necessità di appartenere ad un gruppo, alla

necessita di essere amato e amare.

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Bisogni di stima sono:tutti quei bisogni che sono alla basa dell’esigenza di essere

rispettato, approvato, riconosciuto.

Bisogno di autorealizzazione:sono tutti quei bisogni legati alla necessità di auto realizzare

la propria identità, la propria autonomia, la propria creatività ed ad occupare un posto soddisfacente nel proprio gruppo di appar-tenenza.

In seguito Maslow aggiunseBisogno di Trascendenza: andare oltre se stessi e sentirsi parte

di un insieme più vasto di ordine cosmico, divino.“Un senso di connessione più vasta con la vita intesa all’intero

universo” soleva dire Maslow.

Adesso per maggior chiarezza vi faccio un esempio:Anni fa, per una consulenza, mi trovai costretta a ripassare

il concetto di bisogno ed ecco che per magia mi ricomparve di fronte la piramide di Maslow (già studiata all’università non so quanti anni prima!). Ricordo che pensai: “Va beh, se voglio usar-la sulla persona che sto aiutando, prima è giusto sperimentarla su di me”. E così feci.

Incominciai dal basso, se andate a leggere alla base della pi-ramide ci sono i bisogni fi siologici di base: mangiare, bere, ecc, e pensai:

“Kica cominciamo proprio male! Primo, non ti alimenti bene, salti la colazione, a pranzo un panino, a cena quello che capita. Per non parlare del bere! Semplicemente non bevi!”.

Così ho iniziato a fare colazione, a fermarmi a pranzo man-giando un piatto di pasta e a cena carne e verdure. Ancora oggi proprio la frutta non mi va giù!

Poi sono passata al secondo gradino: bisogni di sicurezza e mi sono detta:

“Come sei messa qui? Beh sono messa bene! Mi sento pro-

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tetta nell’ambiente dove vivo, grazie alle persone di cui mi sono circondata e alle mie capacità!”.

Poi sono passata ai bisogni di appartenenza, e qui sono inco-minciati i guai… ho dovuto lavorare molto su questa piramide per raggiungere la stabilità di oggi e se devo dire la verità ancora oggi ci lavoro.

Consiglio a tutti voi di soffermarvi un attimo e fare quello che ho fatto io, così potrete prendere in visione i vostri punti di forza e i vostri punti deboli e lavorarci sopra.

Prendete sul serio il lavoro da fare con la piramide: nutritevi bene, bevete a suffi cienza, rispettate il vostro cuore (ascoltatelo, lui spesso vi parla, siamo noi che lo ignoriamo! Imparate a capire il suo andamento, il suo tu tu tu. Oggi, a seconda dei miei stati d’animo, ho imparato a capire che lui cambia il ritmo dei tu tu e qualche tempo fa mi ha chiaramente detto che dovevo smetterla di essere sempre in tensione, perché lui non ce la faceva più e sapete come me l’ha comunicato? Con un tu tu tu velocissimo e vicinissimo, gli esperti la chiamano tachicardia, durato più di 20 minuti. Cosa ho fatto? Gocce di Rodiola per rilassarmi e respira-zione e mi sono concentrata a lavorare sulla rabbia che provavo), ricordatevi di respirare bene a pieni polmoni e lentamente, curate la vostra temperatura corporea (a proposito, ho un freddo cane, scusate, vado a prendere un maglione! O, adesso ragiono me-glio), fate pipì e popò regolarmente, fate movimento, imparate a riposare bene e a dormire bene (Come? Per riposare mettete a riposo il cervello e per dormire: fate movimento, mangiate cor-rettamente, pensate a cose belle prima di passare al dolce sonno), fate bene all’amore, curate la vostra igiene (una doccia al giorno leva lo ‘zozzo’ di torno!). Circondatevi di persone che vi amino e che voi amate, non c’è bisogno di averle proprio tutte lì vicine a voi, io, per esempio, a parte mio fi glio e il mio compagno, le persone che mi fanno sentire bene e che amo le ho lontane, ma basta sapere che sono qui nel mio cuore e che posso chiamarle! Le giornate, così, per me, diventano piene di sicurezze. Curate la vostra casa, del resto è il posto dove vi rifugiate, dove pote-

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te chiudere il mondo fuori, rilassarvi e pensare… (amo molto il concetto che gli inglesi hanno della loro casa, la considerano il loro castello e la curano nei piccoli particolari a tal punto che quando entrate a casa loro si respira un aria di accoglienza). Cu-rate le amicizie e la famiglia, sono due posti che vi daranno la sensazione di fare parte di un gruppo e di essere amati e di ama-re. Comportatevi in modo onesto, gentile, aperto, questo modo di fare vi aiuterà ad essere rispettati e sopra ogni cosa vi aiuterà a percepire il sentimento di rispetto per voi stessi, vi sentirete attivi e produttivi proprio perché state lavorando per mantenere il vostro atteggiamento in modo positivo. Infi ne, lavorate sul vo-stro modo di essere e di fare, sulla vostra identità, sviluppando autonomia e ritagliandovi un posto nella società che vi circonda.

A questo punto è importante rendersi conto che soddisfare bi-sogni, signifi ca creare bisogni, i quali poi ci permetteranno di avere una motivazione per alzarci alla mattina e vivere in pieno la vita.

In questo discorso non vanno dimenticati i valori, in realtà c’è un legame molto forte fra bisogni, motivazioni e valori.

I bisogni sono innescati dal nostro interno e dall’esterno...Vi inserisco un grafi co forse sarà più semplice seguire il fi lo

del discorso:

Bisogno Motivazione

Rinuncia o rinvio

Oggetto del desiderio

Alternativa

Valori

Stimoli esterni

Stimoli interni

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Stimoli interni o esterni innescano il bisogno, il quale viene avvertito come un aumento di tensione corporea poi letta come una sensazione o emozione.

Questa tensione corporea ci porta a sentire la motivazione a fare qualcosa per alleviare la tensione stessa.

Ma in tutto questo, il fatto che facciamo una cosa, o un’altra, o il fatto che ci sentiamo male dopo aver fatto qualcosa, piuttosto che un’altra, dipende dai nostri valori.

I valori non sono altro che l’insieme degli elementi e delle qualità morali e intellettuali che sono generalmente considerati il fondamento positivo della vita umana e della società (ideali, principi morali, tradizioni ecc; defi nizione presa alla lettera dal vocabolario della lingua Italiana).

Faccio un esempio:L’inverno scorso è stato particolarmente diffi cile per me. Mi

sono trovata a vivere in un posto abbastanza isolato, siamo solo 26 persone, senza nemmeno un negozio, in mezzo alla monta-gna. Pensate che questa notte sono stata svegliata da uno scoiat-tolo che mi è entrato in camera da letto dal sotto tetto!

Certo è che alla venuta della neve, con relative tre settimane di isolamento, me la sono vista proprio brutta.

Per fortuna che in me c’è un valore fondamentale: cercare di affrontare la vita con un modo di fare positivo, sostanzialmente essere felice ed ecco che ho iniziato a scrivere questo libro.

Passavo le mie giornate, in un primo momento, annoiandomi fi no al punto che la tensione dentro di me è cresciuta così tanto che, non potendo uscire di casa (oggetto del desiderio), mi ha dato la motivazione a fare qualcosa per vivere meglio: scrivere! (alternativa). Certo se avessi rinunciato o rinviato, sarei caduta in una profonda tristezza. Ringrazio il mio valore ad essere sempre positivi e il mio compagno che mi ha suggerito l’idea di scrivere, poiché è sempre stato il mio sogno nel cassetto!

Spero che sia più chiaro il concetto dei valori e quanto sia-no importanti nella realizzazione dei bisogni. Mi auguro che sia chiara anche l’importanza di circondarci di persone positive, che

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ci diano una spintarella verso l’alto quando cominciamo a plana-re nella nebbia!

In realtà sono i valori che alla fi ne ci guidano o che ci fanno sentire bene o male dopo aver fatto qualcosa. La mia esperienza mi ha portato ad analizzarmi per capire bene quali siano i miei ed a eliminare quelli che potrebbero portarmi a star male. Non sono sempre stata una ottimista. Quando mi sono accorta che uno dei miei valori era ‘gongolarmi’ nella tristezza, ci ho lavorato sopra ed ho sostituito il valore ‘gongolo’ sulla tristezza, con VOGLIO ESSERE FELICE. Tutto ora per me è più semplice!

Fatevi un favore per vivere meglio, tenete sempre in conside-razione i valori, cercate di capire quali sono i vostri e sostituite quelli che vi fanno star male con altri più positivi per voi. Il mot-to è sempre quello: non c’è un vero cambiamento, se non c’è un cambiamento nelle azioni!

Altra cosa utile per conoscerci meglio è rifl ettere da cosa una persona (quindi anche noi) è caratterizzata.

Siamo caratterizzati da:

Un proprio sistema percettivo.Con questo intendo la nostra anatomia, il nostro modo di per-

cepire il mondo, le nostre capacità cognitive. Sostanzialmente, quando vi guardate allo specchio come vi

vedete? Il vostro corpo come funziona: siete debole di fegato come

me? O soffrite di tonsillite spesso? O avete dei forti mal di testa? O siete un treno a vapore che non sta mai male?

Cosa pensate del mondo che vi circonda? Che teorie sulla vita avete che vi fanno vedere il mondo in un

modo piuttosto che in un altro?Siete forti in matematica, in italiano, in scienze, nel ‘cazzeg-

gio’ (dicansi “cazzeggio” l’arte del non far niente).Tanto per farvi un esempio:Io, quando mi guardo allo specchio, ho scoperto che: se sono

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di ottimo umore, mi vedo una persona gradevole da guardare. Se invece sono di umor nero, mi vedo una quantità di difetti che non vi dico, dalle ‘zampe’ di gallina che mi ritrovo intorno agli occhi, alle piccole rughette sopra la bocca. Pensate, quest’ultime sono identiche a quelle che aveva mia nonna. È dalla loro scoperta che ho realizzato che quando mi concentro a fare delle cose, come adesso per esempio, tendo a spingere le labbra in avanti come se dovessi dare un bacio e questo lo faceva lei… Ecco la spie-gazione delle rughette sulla bocca. Ma il punto sta, che se sono di ottimo umore, queste piccole impercettibili pieghette, le amo tanto perché mi ricordano la mia nonna, se sono di cattivo umore il pensiero che mi assilla è: “Cacchio sto invecchiando!”.

Il trucco? Non guardarmi allo specchio quando mi girano e farmele girare il meno possibile.

Voi come siete messi? Tirate fuori carta e penna e cominciate a rispondere alle domande sopra suggerite. Già che ci siete rifl et-tete, sempre se vi va, anche su i vostri atteggiamenti e caratteri-stiche fi siche. A chi assomigliate e a chi avete deciso di imitare. E cercate di farvi passare l’umor nero il prima possibile!

Concetto di sé.Il Concetto di sé qui è riferito all’autostima. A come abbiamo

imparato a percepirci, a descriverci, a quanto crediamo in noi stessi.

Personalmente, su questo punto, ho dovuto lavorare molto: la stima che ho da sempre di me è un altalena in balia del vento.

In certi momenti è in alto e in certi momenti è in basso, va su e giù come la ‘peperonata’.

Sono di natura una pasticciona, una distratta, una che non cura molto il suo aspetto esteriore, che non bada a ricordare perfetta-mente tutti i nomi delle cose e delle persone. Potete immaginare che questo mio modo di fare, in questa società di uomini e donne perfette (io la chiamo la società al silicone), come si può dire, non è propriamente adeguato. Ho dovuto lavorare su me stessa tanto, prima di capire, che tutto sommato non devo essere con-

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forme agli altri, ma rispettosa verso me stessa e amare il mio modo di essere e fare, logicamente rispettando anche il prossimo. Non dico che non bisogna migliorare, ma dico che bisogna fare un cammino personale, rispettando chi siamo e chi abbiamo di fronte, migliorando chi siamo, non diventare delle copie di stereotipi dettati dalla società.

Voi come siete messi? Quanto vorrei essere lì con voi a chiac-chierare di queste cose!

Storia personale, la storia della nostra famiglia, la storia dell’umanità.

Spesso siamo quello che siamo grazie alle nostre esperienze, alle persone che abbiamo incontrato. Anche la nostra famiglia ha un gran peso sul nostro modo di essere e di fare. Nella mia vita, una persona che mi ha infl uenzato molto e a cui devo la mia sa-nità mentale, è nonno Mario, da lui ho appreso molte cose fra cui anche le mie battutine al vetriolo!

L’essere nata nel 1971, l’aver avuto 15 anni negli anni 80’, l’università negli anni 90’, la maternità agli inizi del 2009, mi hanno donato molte esperienze in un particolare momento sto-rico ed hanno fatto di me quella che sono ora, con il modo di vedere la vita e quindi anche i miei valori.

Bisogni, Motivazioni, valori di riferimento. In sostanza cosa ci fa alzare alla mattina e ci fa fare certe cose

invece di altre. Abbiamo sete, fame. Abbiamo necessità di essere amati, di piacere agli altri…

Cosa è importante per voi? Che pilastri sostengono il vostro modo di essere e di sentire?

Per me conta molto la famiglia, come anche il mio migliore amico e amica, in sostanza coltivare buone relazioni interperso-nali. Andare per il mondo cercando di apprendere il più possibile usi, costumi, esperienze ed emozioni da chi incontro.

Mi alzo alla mattina perché ho voglia di scoprire cosa la gior-nata mi porterà, anche se in realtà penso che molte delle cose

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che fanno parte della mia vita ci sono perché ce le ho messe io li, compresa la casetta in mezzo al bosco.

Legami affettivi.I legami che ci infl uenzano nella vita, secondo il mio modo di

pensare, sono sia legami affettivi che ci fanno star bene, sia quelli che ci fanno star male.

Ho passato molto del mio tempo a cercare di capire per quale motivo ci si ostina a frequentare persone che ci fanno star male. Il mondo è pieno di gente fatta così, compresa me stessa. Non sono giunta ad un pensiero logico al riguardo. Ma di una cosa sono certa: è fondamentale allontanarci dalla gente che ci fa star male e frequentare persone che ci fanno stare bene! Voi come la pensate al riguardo, non è ora di permettervi di frequentare per-sone che vi fanno star bene e sorridere?

Formazione intellettuale e culturale.Non intendo solo la scuola che si frequenta, ma anche i libri

che si leggono, i viaggi che si fanno, le persone che si incontra-no. Ho conosciuto persone speciali di ogni tipo: laureati, viag-giatori, schizofrenici, contadini, muratori, parrucchieri, artigiani estetiste, ragionieri, commercialisti, ingegneri, disabili, dottori, ossessivi, geometri, infermieri, operatori socio sanitari, baristi, ristoratori, genitori, nonni, assistenti, educatori, operatori del so-ciale, disegnatori, professori, barboni, cantanti, studenti, disoc-cupati, adolescenti, bambini e per non parlare di alcuni animali meravigliosi che mi hanno fatto compagnia nelle giornate no ed in quelle sì.

Tutti hanno la grande caratteristica comune di soffermarsi ad ascoltare, ad osservare quello che li circonda. Semplicemente vi-vono la vita pienamente.

Spesso, quando comincio a sentirmi arida, non in equilibrio con me stessa, mi rifugio nella lettura di un libro. Quest’anno mi sono già ‘pappata’, il Gattopardo, il Fu Mattia Pascal, Tutto Sherlock Holmes, Cent’anni di solitudine (letto per la centesima

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volta), tutti i libri di Donato Carrisi, il giovane Montalbano (del grande, almeno per me, Camilleri), Uccelli di Rovo, La valle del-la luna e molti altri, alcuni seri, altri spensierati e sto aspettando dei libri che ho ordinato per concludere questo libro. Mi rifugio nel sapere per non pensare a cose che non hanno alcun senso del tipo le aspettative che ho verso gli altri. Vi assicuro poi ci si sente più in gamba! Provateci prima di bocciare l’idea in assoluto solo perché vi raccontate come dei non lettori, a proposito, ben vengano anche i cruciverba a perdi tempo, le favole e i fi lm che ci emozionano.

Aspettative.Non potete capire quanto le odi e quanto lotti contro di esse.

Secondo me sono una delle piaghe del mondo!Aspettative per quello che gli altri ci diranno, faranno, preten-

deranno.Aspettative sugli altri, su quello che diremo, che faremo, che

pretenderemo.Una lotta armata la mia. Ma prima o poi riuscirò ad annientar-

le e a vivere più serena!Le vostre di aspettative quali sono, verso chi? Che ne dite di

lottare anche voi contro di loro ed il primo che ci riesce comunica a tutti noi come ha fatto?

Obbiettivi.Cosa vogliamo veramente dalla vita, dalle persone che ci sono

accanto, da noi stessi.Essere consapevoli di quello che desideriamo ci rende più si-

curi, ci aiuta a capire come muoverci nel mondo. Fermatevi a pensare a cosa volete in questo momento, che

obbiettivi avete. Scrivetelo nero su bianco. Fatto? Adesso è arri-vata l’ora di trovare materialmente un modo di realizzare i vostri obbiettivi.

Giorni fa ho sentito, per telefono, un mio caro amico che nel discorso ha buttato là questa frase:

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“Fede non puoi sempre fare tutto da sola, impara a farti aiu-tare…”

Adesso questa frase la rivolgo a voi: “Se avete bisogno di aiu-to per raggiungere i vostri obiettivi, chiedetelo. Certo è importan-te imparare a chiederlo alle persone giuste. Un piccolo suggeri-mento al riguardo: non potete sbagliare, sono quelle persone che aiutandovi, a lungo termine, vi renderanno serene.”

Emozioni.Quali sono le emozioni che vi accompagnano tutti i giorni?

Come le gestite? Come le vivete? Come potete imparare a enfa-tizzare le emozioni positive e gestire quelle negative?.

Argomento diffi cile al solo pensarlo. Fare delle cose, al ri-guardo, a me risulta quasi come una fatica d’Ercole.

Vi faccio un esempio:Ho imparato, osservandomi in tutti questi anni, che sono faci-

le ad arrabbiarmi, un po’ per eredità genetica, un po’ per educa-zione. I Curzi e i Sandroni (la famiglia di mia madre) non sono propriamente dei calmi! Pensate che la leggenda narra che un antenato dei Sandroni con un pugno abbia ucciso una persona! Bella non è come eredità.

Ho compreso però che l’aggressività non fa per me ed ho pas-sato molto del mio tempo a cambiare le mie abitudini. Sono par-tita con il dirmi che arrabbiarsi è una sensazione naturale, tutti si arrabbiano, ma non porta a niente di buono, solo ad aumentare le distanze tra un individuo ed un altro e a sentirsi male dopo. Il mio atteggiamento adesso è il seguente: sto zitta, conto fi no a 100, nel frattempo mi calmo e poi chiedo spiegazioni ulteriori. Se l’altro è disponibile dico la mia versione dei fatti altrimenti pazienza, rimando i chiarimenti a quando anche l’altro è disponibile a chia-rirsi. L’importante è non perdere la calma!

Dopo tanto esercitarmi, se devo essere onesta, ora capita vera-mente di rado (mi devono proprio pestare i calli più volte) di in-furiarmi al punto tale che molte delle studentesse pensano di me che io sia una calma, energica sì, ma paziente! Sta cosa, ahimè,

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non mi riesce per niente con mia madre. Ma anche qui una cosa l’ho cambiata, invece di rispondere subito in maniera sgradevole, con conseguente litigata epocale, interrompo nel miglior modo possibile la conversazione, e non le parlo fi nché non sento che mi sono calmata abbastanza per far sì che la comunicazione porti a qualcosa di buono e non al cataclisma del secolo!

Voi con le emozioni come siete messi? Cominciate a osservar-vi durante il giorno e a registrare come reagite alle cose che vi succedono e quali emozioni vi comandano.

Appena compreso le emozioni che dirigono il vostro modo di essere, se sono dannose, è giunto il momento di imparare a gestirle al meglio. Di questo ne parleremo in modo più approfon-dito nel capitolo dell’intelligenza emotiva.

Stili comunicativi. Come ci muoviamo nel mondo? Come ci presentiamo agli al-

tri? Cosa otteniamo con il nostro modo di fare dalle persone che ci circondano?

Ricordo una ragazza, che qualche anno fa frequentava i corsi di apprendisti, se non sbaglio era una parrucchiera.

Guardando la classe mi accorsi subito che questa creatura ve-niva allontanata da tutti. Sedeva sempre in fondo a destra. La sua espressione del viso era sempre imbronciata e camminava come uno scaricatore di porto. Mi accorsi, anche, che chiunque gli domandasse qualcosa, lei rispondeva a monosillabi e con un grugnito alla fi ne. Pensai: “Peccato, ha degli occhi così soffe-renti e dolci!”. Ma la mia era solo una idea, non una certezza! Per tutto il corso ho cercato di capire come coinvolgerla e come fare per ‘farla venire fuori’, questo perché mi ero accorta della sua massima attenzione su quello che dicevo a proposito degli stili comunicativi e la comunicazione in generale. Per fortuna che pensai che stava cercando un modo per migliorarsi. Così un giorno la presi come cavia e la feci parlare un po’ dei suoi hobby davanti alla classe. Lei amava molto gli animali e così cominciò a raccontare con molta gioia e tenerezza che il suo passatempo

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era quello di giocare con i suoi due gatti. Da quel giorno tutto il gruppo cominciò a percepirla in modo differente, perché lei, mentre parlava dei suoi gatti, mostrava dolcezza e simpatia, im-pressionando positivamente tutti noi.

Il gruppo cominciò a sorriderle e a rivolgersi a lei con one-stà, cioè, quando lei tirava fuori il suo modo di fare scortese, c’era sempre qualcuno che le rispondeva: “Dai non essere così scorbutica con noi, tanto ti abbiamo scoperto che sei una tene-rona in realtà”. Lei sorrideva e a poco a poco, almeno con noi, cambiò modo di fare. Oggi, ogni tanto la sento, esce ancora con il vecchio gruppo ed è felicemente fi danzata (lei dice sorridendo accoppiata) con uno della classe stessa.

Pensate, è bastato solo cambiare stile nella comunicazione che il resto è venuto da sé.

Ricordate, se modifi cate il vostro stile comunicativo in modo da risultare più dolci, simpatici e aperti al dialogo, gli altri ri-sponderanno positivamente e il gioco è fatto!

Abilità sociali.Ci sappiamo fare con le persone? Risultiamo simpatici, piace-

voli o semplicemente mostri! Quando si parla di abilità sociali (in realtà certo non è un ar-

gomento da bar!), cosa vi viene in mente? Personalmente la prima parola che mi viene nella ‘cabeza’ è

mediazione, la seconda (sono due le parole) gestione emotività, la terza comunicazione, la quarta gentilezza, la quinta calma, la sesta ascolto, la settima diritti umani.

So per esperienza che se quando parlo con le persone ho pre-senti tutte le parole sopra citate ho una maggiore possibilità di ar-rivare ai miei obiettivi rispettando chi mi sta di fronte e, se anche non li raggiungo, mi sento serena perché ho fatto tutto il possibile per raggiungerli, senza calpestare i diritti degli altri.

Suggerisco ora a voi di rifl ettere sulle suddette parole.Come ci mostriamo esteriormente. Come ci ‘aggiustiamo?’ o

meglio come ci vestiamo, ci trucchiamo, parliamo, ci muovia-

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mo… Ecc… Ho scoperto, negli anni, che per poter comunicare con le per-

sone, bisogna non solo cercare di utilizzare il loro linguaggio, ma anche essere vestiti, truccati, diciamo ‘agghindati’ come le persone con cui abbiamo a che fare.

Esempio di quello che dico, è una lezione importantissima, datami da un grande psichiatra, che ho avuto la fortuna di incon-trare nel mio percorso formativo in psichiatria del territorio.

Ricordo il grande timore reverenziale che io avevo per lui. Un uomo minuto, ordinato, vestito in modo molto semplice, non appariscente. Tanto per intenderci nessuna giacca e cravatta all’ultima moda. Un uomo molto pacato, gentile, ma allo stesso tempo alquanto autoritario (nel senso positivo della parola). Il mio primo giorno di tirocinio questo uomo semplice e in gamba mi disse:

“Federica, in questo lavoro, la prima lezione da imparare è il modo di vestirsi.

Vedo con piacere che tu non sei lontana da quello che io pen-so sia adeguato. Metti sempre vestiti semplici, non appariscenti, ovviamente puliti, non usare profumi particolari, trucco vistoso, scollature, gonne corte, gioielli e cose simili. Ricordati che en-triamo nelle case delle persone che stanno male e hanno bisogno di aiuto, quindi si aspettano questo aiuto, non una sfi lata di bel-lezza”.

Avreste dovuto vederlo con quanta umiltà e gentilezza entrava nelle vite delle persone che gli chiedevano aiuto.

Provate anche voi a modifi care il vostro modo di ‘apparire’ a seconda le persone che avete di fronte, sono sicura che ne avrete un grande vantaggio. Certo questo non vuol dire non essere se stessi, come forse qualcuno potrebbe pensare. Sto semplicemen-te sostenendo che non bisogna modifi care il fatto di essere gen-tili, calmi, mediatori, buoni comunicatori, ascoltatori e così via, ma semplicemente che è importante adattarsi per poter riuscire a comunicare in modo adeguato alle persone che ci troviamo di fronte e che alla base di tutto sia fondamentale il rispetto.

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Tipo di memoria.Siamo persone che utilizzano il passato per frantumarci e

frantumare agli altri i ‘cabasisi’, oppure siamo persone che usano il passato per poi vivere meglio nel presente?

Sviluppate il secondo modo di essere per vivere meglio. Cam-biate l’abitudine di essere legati al passato solo per fare recrimi-nazioni a voi e agli altri.

Come si fa? Rendetevi conto come siete fatti e cambiate il vostro modo di fare e pensare. Gridate dentro di voi un forte Stop (se avete la possibilità scrivetelo anche blu su bianco: Stop) ogni volta che tornate a pensare come in passato e cambiate imme-diatamente il pensiero con uno nuovo del tipo: COSA POSSO FARE OGGI PER VIVERE MEGLIO?

Stili di pensiero. Che tipo di pensatore siamo? Siamo un ottimista, un rompi

‘cabasisi’, un fesso, un ottimista… Ecc…Ho trovato molto utile rendermi conto di come il mio modo di

pensare infl uenzasse la mia qualità di vita.Quando mi sono resa conto quanto amavo gongolarmi nella

malinconia e contemporaneamente sentivo quanto questa cosa mi fosse stretta, ho fatto il ‘salto’ e piano, piano mi sono trasfor-mata in una persona con alla base un pensiero positivo. Come ho fatto? Ho seguito i consigli che ho dato nel capitolo essere felici.

Suggerisco anche a voi di rifl ettere su che tipi di pensatori siate e a modifi care la cosa che non vi fa star bene. Sui pensatori potete dare un occhiata al capitolo: funzioni cognitive: la mente.

Il corpo e le sue esigenze.Che bisogni corporei abbiamo? Mangiare, bere, fare bene

all’amore, fare sport, ecc.Da quando ho preso in considerazione maggiormente le esi-

genze del mio corpo, da quando ho imparato ad ascoltarlo, a leg-gere i suoi suggerimenti, mi sento molto meglio.

Come fare? Basta fermarsi e domandarsi cosa percepisco dal

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pianeta corpo. (Questo aspetto del resto l’ho affrontato in varie parti del libro).

Ecco che abbiamo bisogno un’altra volta di carta e penna e giù a compilare su un foglio bianco l’elenco sopra indicato.

Altra cosa utile per conoscersi meglio è anche rifl ettere su che tipo di comportamento avete quando vi muovete nel mondo.

Riprendete in mano la famosa penna e scrivete accanto ai vari punti, elencati sotto, un sì o un no: ‘sì’ questo è un atteggiamento che ho, ‘no’ questo è un atteggiamento che non ho.

Tre sono i tipi di comportamenti sociali:Comportamento passivoComportamento aggressivoComportamento assertivo

Principali caratteristiche del comportamento passivo:- Subisce gli altri.- Ha diffi coltà nel fare o rifi utare richieste.- Ha diffi coltà nel fare o accettare i complimenti.- Ha diffi coltà nel comunicare i sentimenti.- Ha bisogno dell’approvazione altrui.- Dipende dal giudizio altrui.- Ha spesso paura di sbagliare.- Ritiene che gli altri siano migliori di lui.- Prova disagio alla presenza di persone che non conosce

bene.- Ha diffi coltà nel prendere decisioni.- Dopo aver aggredito una persona, si sente in colpa.

Le principali caratteristiche del comportamento aggressivo:- Vuole che gli altri si comportino come fa piacere a lui.- Non modifi ca l’opinione su qualcuno o su qualcosa.- Decide per gli altri senza ascoltare il parere dei diretti in-

teressati.

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- Non accetta di poter sbagliare.- Non chiede scusa per un eventuale comportamento.- Non ascolta gli altri mentre parlano.- Interrompe la persona o le persone con cui parla.- Giudica gli altri.- Critica gli altri.- Usa strategie ‘colpevolizzanti o inferiorizzanti’ (vedi il ca-

pitolo dedicato alla comunicazione).- Si considera il migliore.

Prima di passare a elencare le caratteristiche del comporta-mento assertivo, volevo suggerirvi di prendere la buona abitudi-ne di cambiare, in modo defi nitivo, dal vostro vocabolario, sia il verbo accettare che giudicare.

Il perché sta nel fatto che sia il verbo accettare che giudicare hanno una valenza negativa nel nostro modo di pensare e quin-di di atteggiarsi, come direbbe Nanni Moretti: “Chi pensa male parla male”.

Provate a dire accettare, lo avete fatto? Allora che avete no-tato?

Niente? Spero di no!In realtà comincerei con il farvi notare che il verbo accettare

in italiano ha due signifi cati.Il primo di subire qualcosa, il secondo il fare a pezzi qualcosa.In entrambi i casi ‘bella’ non è!Accettare, mette mentalmente una persona in una posizione di

passività, di dovere e qui mi ripeto, di subire qualcosa senza aver alcun controllo.

È importante entrare nell’ottica di cambiare questo verbo con riconoscere, un verbo attivo,

“Siete voi che avete il controllo!”.Se state al gioco e provate a pronunciare queste due parole

vi accorgerete che anche il vostro atteggiamento non verbale è molto diverso.

Con accettare, le spalle saranno tendenzialmente curve e il

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corpo suggerirà: “Bé e io che ci posso fare”.Con riconoscere, le spalle tenderanno ad essere erette e il cor-

po suggerirà: “La situazione è questa, ma io ho il comando, pos-so fare qualcosa”.

Vi sembra una ‘baggianata’? Prima provate e poi ne riparle-remo.

Giudicare va assolutamente sostituita con valutare.Giudicare ha una valenza negativa, vi fa innalzare dagli altri e

tratta le persone in modo pregiudizievole.Valutare ha una valenza positiva e vi fa capire le persone (al

riguardo c’è tutto un settore di studiosi che sostengono quanto detto sopra, sono i neuro linguisti).

Le principali caratteristiche del comportamento assertivo- Riconosce il punto di vista altrui.- Non giudica.- Non inferiorizza (vuol dire trattare gli altri come inferiori

a noi) o colpevolizza gli altri.- Ascolta gli altri, ma decide in modo autonomo.- È pronto a cambiare la propria opinione.- Non permette che gli altri lo manipolino.- Non pretende che gli altri si comportino come faccia pia-

cere a lui.- Ricerca l’altrui collaborazione.- È in grado di comunicare le sue emozioni o stati d’animo

e le sue opinioni.- Valuta in modo adeguato.- È in grado di riconoscere le sue doti, ha una buona autosti-

ma.- È in grado di apprezzare gli altri e fare complimenti.- È in grado di difendersi dalle pressioni degli altri senza

reagire con ansia.- Ha una buona capacita comunicativa verbale e non. - Ha la capacità di sciogliere i confl itti.

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Io, la prima volta che ho preso visione dei tre tipi di comporta-menti, ho affrontato la cosa raccontandomi che i comportamenti passivi non mi appartenevano e assolutamente nemmeno quelli aggressivi, ma che qualcosa degli assertivi mi apparteneva!

In realtà, messa di fronte a me stessa e vi assicuro che bella non è per quanto sono testarda, (sto ancora lavorando per trasfor-mare testarda in tenace!) mi sono resa conto che possedevo un po’ di tutti e tre i comportamenti.

Dal momento dell’illuminazione, ho cominciato e poi conti-nuato a rafforzare i comportamenti assertivi che sentivo miei e a sostituire quelli aggressivi e passivi con quelli assertivi. Come? Mettendoli in pratica e facendo poi diventare abitudini compor-tamentali le caratteristiche della persona assertiva.

Un esempio: Ascoltare non è mai stata una mia grande virtù, così le pri-

me volte mi sono imposta, mentre qualcuno mi parlava, di dirmi mentalmente: “Fede ascolta in silenzio, anche mentale”. Ora mi viene spontaneo prestare ascolto, tranne se sono inc... , ops scu-sate arrabbiata, allora ripeto a me stessa la stessa frase di allora: “Fede ascolta in silenzio, anche mentale!”.

Di una cosa mi sono resa conto all’epoca, che spesso mi com-portavo in un modo, o in un altro, a seconda le persone che avevo di fronte.

Per esempio, se avevo di fronte delle persone x, avevo la dif-fi coltà di fare o rifi utare richieste, se invece avevo di fronte per-sone y, questo non mi accadeva.

Così ho cominciato a capire che il mio modo di pormi era differente a seconda delle persone che frequentavo e mi sono an-che resa conto che le persone con cui avevo un atteggiamento maggiormente passivo o aggressivo, erano quelle a cui ‘tenevo’ di più, insomma le persone che amavo di più in linea di massima erano anche quelle che alla fi ne mi ferivano più delle altre

(ovviamente nei sentimenti o nelle aspettative).Sono dell’idea che spesso facciamo nostri certi atteggiamenti

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PUNTI DI VISTA

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e modi di pensare delle persone che ci circondano, scegliendo tali persone, sia consapevolmente (ad esempio amo molto la pazien-za che il mio compagno ha con mio fi glio e quindi cerco sempre di imitarla), sia inconsapevolmente (ad esempio, mi sono accorta che molto spesso mi ritrovo ad avere alcuni modi di dire di mio padre, come ad esempio parlare sempre al plurale quando faccio un ‘predicozzo’ a mio fi glio, cosa che lui faceva con me e mio fratello; questo prende vita dalle sgridate che mio nonno faceva a sua volta a mio padre, infatti anche se la marachella la combi-nava solo uno dei sui quattro fi gli, mio nonno li sgridava tutti, sostenendo che valesse per tutte le volte che non li prendeva con le mani nel sacco).

Voglio qui ricordare, prima a me stessa e poi anche a voi, che siamo noi ad eleggere queste persone come fi gure importanti da imitare, e spesso accade che in realtà siamo noi che le pensiamo e abbiamo aspettative nei loro confronti che però non corrispon-dono alla loro realtà.

Loro sono solo loro e basta, non quello che noi ci aspettiamo che esse siano.

Quindi suggerisco: basta pretendere che le persone siano come vorremmo e ridoniamo a loro il diritto di essere se stesse.

A questo punto dovreste aver chiaro che tipo di comportamen-to avete quando andate per il mondo. Può capitare di avere un po’ di questo, un po’ di quello e sicuramente qualcosa dell’assertivo.

Da adesso in poi è essenziale che cominciate ad imitare gli atteggiamenti dell’assertivo. Riprenderemo l’arcano nell’ultimo capitolo.

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IL CORPO

…Adotta la fi losofi a del cavallo della sfi lata del 2 giugno:“Cagando, andando ed essendo applaudito”

(Garfi eld, Per una vita felice)

L’argomento corpo, in apparenza, mi sembrava una tematica abbastanza scontata ed invece ho rifl ettuto molto prima di comin-ciare a mettere nero su bianco i miei pensieri.

Il corpo, è banale dirlo, è ciò che possiamo concretamente toccare di noi, composto infatti di carne, ossa, sangue, neuroni, acqua ed elettricità.

Spesso scherzo sulla questione dell’acqua e dell’elettricità, dicendo:

“Siamo proprio un paradosso, non bisogna essere degli esperti di elettronica per sapere che acqua e elettricità fanno scintille… e in effetti molto spesso ci troviamo a dar spettacoli pirotecnici che non sono sempre belli da vedersi o vivere”.

Vorrei, un attimo, ragionare con voi sul fatto che una persona (dal mio punto di vista) è caratterizzata da:

• Proprio sistema percettivo (La propria anatomia: dimen-sione fi sica).

• Concetto di sé.• Storia personale.• Bisogni e legami affettivi.• Formazione intellettuale e culturale.

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