Conoscere Al Di La Degli Stereotipi - MC. SALA

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1 Corso di formazione "Percorsi di libertà". Come contrastare la violenza sulle donne Conoscere al di Ià degli stereotipi - 10 ottobre 2013 Docente Maria Concetta Sala BIBLIOGRAFIA Autrici varie, All’inizio d tutto, la lingua materna, Rosenberg & Sellier, 1998 Hannah Arendt, Tra passato e futuro (1954), Garzanti, 1999 Arcuri-Cadinu, Gli stereotipi, Il Mulino, 2011 Carnaghi-Arcuri, Parole e categorie, Cortina, 2007 J. L. Austin, Come fare cose con le parole, Marietti, 1987 W. Benjamin, Figure dell'infanzia, Cortina, 2012 Irene Biemmi, Educazione sessista. Stereotipi di genere nei libri delle elementari, Rosenberg & Sellier, 2010 Cambi, Di Bari, Sarsini, Il mondo dell'infanzia, Apogeo, 2012 D. Demetrio, Educare è narrare, Mimesis, 2013 Diotima, La sapienza di partire da sé, Liguori, 1996 Marisa Forcina, “Mettere al mondo il mondo” e poi occupoarsene. La cittadinanza nelle scienze, in "Segni e comprensione", rivista telematica quadrimestrale, XXV nuova serie, n.75, settembre-dicembre 2011 R. Iacona, Se questi sono gli uomini, Chiarelettere, 2012 Luce Irigaray, Io tu noi. Per una cultura della differenza, Bollati Boringhieri, 1992 Luce Irigaray, All'inizio, lei era, Bollati Boringhieri, 2013 G. C. Liepschy, La linguistica del Novecento, Il Mulino, 2000 Loredana Lipperini e Michela Murgia, "L'ho uccisa perché l'amavo". Falso!, Laterza, 2013 Bruno M. Mazzara, Stereotipi e pregiudizi, Il Mulino, 1997 Maria Milagros Rivera Garretas, Donne in relazione, Liguori, 2007 Elsa Morante, Pro o contro la bomba atomica, Adelphi, 1987

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autore: Annalisa Accetta

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Corso di formazione "Percorsi di libertà". Come contrastare la violenza sulle donne

Conoscere al di Ià degli stereotipi - 10 ottobre 2013 Docente Maria Concetta Sala BIBLIOGRAFIA

Autrici varie, All’inizio d tutto, la lingua materna, Rosenberg & Sellier, 1998

Hannah Arendt, Tra passato e futuro (1954), Garzanti, 1999

Arcuri-Cadinu, Gli stereotipi, Il Mulino, 2011

Carnaghi-Arcuri, Parole e categorie, Cortina, 2007

J. L. Austin, Come fare cose con le parole, Marietti, 1987

W. Benjamin, Figure dell'infanzia, Cortina, 2012

Irene Biemmi, Educazione sessista. Stereotipi di genere nei libri delle elementari, Rosenberg & Sellier, 2010

Cambi, Di Bari, Sarsini, Il mondo dell'infanzia, Apogeo, 2012

D. Demetrio, Educare è narrare, Mimesis, 2013

Diotima, La sapienza di partire da sé, Liguori, 1996

Marisa Forcina, “Mettere al mondo il mondo” e poi occupoarsene. La cittadinanza nelle scienze, in "Segni e comprensione", rivista telematica quadrimestrale, XXV nuova

serie, n.75, settembre-dicembre 2011

R. Iacona, Se questi sono gli uomini, Chiarelettere, 2012

Luce Irigaray, Io tu noi. Per una cultura della differenza, Bollati Boringhieri, 1992 Luce Irigaray, All'inizio, lei era, Bollati Boringhieri, 2013

G. C. Liepschy, La linguistica del Novecento, Il Mulino, 2000

Loredana Lipperini e Michela Murgia, "L'ho uccisa perché l'amavo". Falso!, Laterza, 2013

Bruno M. Mazzara, Stereotipi e pregiudizi, Il Mulino, 1997

Maria Milagros Rivera Garretas, Donne in relazione, Liguori, 2007

Elsa Morante, Pro o contro la bomba atomica, Adelphi, 1987

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E. Morin, La testa ben fatta. Riforma dell’insegnamento e riforma del pensiero,

Cortina, 2000

Luisa Muraro, Tre lezioni sulla differenza sessuale, Orthotes, 2011 Luisa Muraro, Autorità, Rosenberg & Sellier, 2013

Martha C. Nussbaum, Non per profitto. Perché le democrazie hanno bisogno della cultura umanistica (2010), il Mulino, 2011

Anna Maria Ortese, Corpo celeste, Adelphi, 1997

Anna Maria Piussi, Educare nella differenza, Rosenberg & Sellier, 1989 Anna Maria Pissi (a cura di), Paesaggi e figure nella formazione della creazione

sociale, Carocci, 2006 Ina Praetorius, Penelope a Davos, supplemento a "Via Dogana", settembre 2011

Alma Sabatini e Marcella Mariani, Il sessismo nella lingua italiana, Istituto poligrafico e

zecca dello Stato; Presidenza del consiglio dei ministri. Dipartimento per l'informazione e l'editoria, 1999

J. R. Searle, Atti linguistici. Saggi di filosofia del linguaggio, Bollati Boringhieri, 2009

P. Sloterdijk, Devi cambiare la tua vita. Sull'antropotecnica (2009), Cortina, 2010

Wanda Tommasi, I filosofi e le donne, Tre Lune, 2001 Simone Weil, Piccola cara. Lettere alle allieve, Marietti, 1998

Simone Weil, La persona e il sacro, Adelphi, 2012 Simone Weil, Riflessione sugli studi scolastici..., in Attesa di Dio, Adelphi, 2008

D. W. Winnicott, Gioco e realtà, Armando Editore, 2005

Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé, Feltrinelli, 2013

M.L. Wandruszka (a cura di), Scrivere il mondo, Rosenberg & Sellier, 1996 Chiara Zamboni, Parole non consumate. Donne e uomini nel linguaggio, Liguori, 2001

Chiara Zamboni, Il cuore sacro della lingua, Il Poligrafo, 2006

"AUT AUT", La scuola impossibile, n.358, 2013, a cura di Beatrice Bonato

"Donna Chiesa Mondo" supplemento "L'Osservatore Romano"

gennaio 2013 sulla differenza; settembre 2013 sulla violenza

"Una città" , n.205, 2013, COME SI INSEGNA AI BAMBINI COSIDDETTI “NATIVI

DIGITALI”? http://www.unacitta.it/newsite/sommari.asp?anno=2013&numero=205

http://www.unacitta.it/newsite/intervista.asp?id=2325

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I. Biemmi, Educazione sessista. Stereotipi di genere nei libri delle elementari “I libri di testo hanno un’influenza decisiva nella formazione dell’identità dei soggetti: immagini e contenuti possono fissarsi come modelli inconfutabili. Ci si aspetta che un

testo scolastico fornisca un’immagine realistica della società e suggerisca alle bambine e ai bambini una grande varietà di modelli, di situazioni da cui attingere per costruire

un’immagine di sé e del mondo esterno.” B. M. Mazzara, Stereotipi e pregiudizi

“La questione femminile I pregiudizi e gli stereotipi legati al genere, che tendono a penalizzare e discriminare le donne rispetto agli uomini, sono tuttora molto attivi,

nonostante le ormai secolari battaglie per l'uguaglianza e per una reale parità di sessi. Una società ancora maschilista. La società occidentale moderna, che pure è una delle più avanzate al riguardo dato che, almeno dal punto di vista formale, la

discriminazione delle donne non solo non è ammessa ma è anche ufficialmente combattuta, può tuttavia ancora considerarsi come una società a predominanza

maschile, nella quale le regole della convivenza sono costruite a vantaggio e a misura dell'uomo. Per rendersene conto, basta osservare la struttura dell'occupazione: la percentuale di donne occupate è più bassa di quella degli uomini; esse sono distribuite

di preferenza in un numero più ridotto di professioni, e il loro numero è inversamente proporzionale al livello gerarchico … In compenso su di esse grava ancora la maggior

parte del peso dell'allevamento dei figli, dell'assistenza agli anziani … secondo la più classica delle divisioni di ruoli: all'uomo la produzione e la competizione, alla donna la cura del focolare e la riproduzione della vita...”

[Stereotipi di genere] “... le donne sono percepite come più emotive, gentili, sensibili, dipendenti, poco interessate alla tecnica, curate nell'aspetto, 'naturalmente disposte

alla cura; gli uomini al contrario sono percepiti come aggressivi, indipendenti, orientati al mondo e alla tecnica, competitivi, fiduciosi in se stessi, poco emotivi. Si tratta …

delle caratteristiche appropriate per sostenere il ruolo sociale che ai due sessi viene riservato: il maschio dominante e orientato all'esterno; la femmina dominata e ripiegata su se stessa e sulla casa...”

[Strategie Tre forme di rapporto con il diverso: assimilazione, fusione, pluralismo culturale.] “Una soluzione migliore invece, certo non semplice da realizzare, è quella

di perseguire insieme sia l'obiettivo della pariteticità che quello del rispetto della differenza. Occorre in pratica trovare il modo di garantire a ciascuno il mantenimento e la visibilità delle proprie appartenenze, e anche una possibilità di valorizzazione della

differenza nel confronto con gli altri, il tutto però senza che il confronto stesso degeneri in ostilità e in scontro...”

Arcuri- Cadinu, Gli stereotipi “Così come gli spettatori della commedia dell'arte preferivano un mondo fatto di

caratteri più che di persone, così gli individui spesso preferiscono avere a che fare con rappresentazioni di prototipi più che di individui, organizzano i loro sistemi conoscitivi

più in termini di aspettative che non di esperienze, sono più sensibili al potere uniformante delle etichette linguistiche che definiscono le categorie sociali, che agli aspetti idiosincratici e alla irripetibile unicità delle persone. In altre parole, gli individui

… nell'ambito della percezione sociale preferiscono usare gli stereotipi. Secondo Lippmann (1922) , il giornalista che coniò questo termine per definire le

conoscenze fisse e impermeabili che organizzano le nostre rappresentazioni delle categorie sociali, molte delle decisioni che gli uomini della strada prendono sono basate su questi sistemi di classificazione, che producono due fondamentali

conseguenze. Innanzitutto … semplificano i fatti in quanto si propongono di rappresentare gruppi e non individui, immagini globali e non specifiche

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rappresentazioni di singole persone. In secondo luogo essi portano a interpretazioni

errate degli individui anche quando esiste un contatto diretto con questi, e ciò a causa del carattere distorcente delle aspettative stereotipiche …”

“Gli stereotipi e i ruoli di genere sessuale: cosa beve la gente al bar … Analizzando però i dati che si riferiscono ai consumi realmente effettuati da maschi e femmine, la tipizzazione dei consumi sulla base del genere sessuale tende ad attenuarsi

fortemente. Le donne consumano molto più frequentemente sostanze alcoliche di quanto non siano disposte ad ammettere nelle loro autoattribuzioni e di quanto non

stimino i baristi... Anche i maschi consumano sia bevande 'femminili' che 'maschili'...”. Carnaghi -Arcuri, Parole e categorie

“La prima forma di linguaggio politicamente scorretto che indagheremo consiste in una forma del linguaggio sessista che è rappresentata dal maschile generico. Il

termine maschile generico si riferisce alla tendenza ad utilizzare il maschile … per indicare gruppi o insieme di persone la cui composizione comprende individui di entrambi i generi sessuali … Ci sono inoltre dei casi in cui il termine categoriale è

utilizzato al maschile anche se applicato a una persona di genere sessuale femminile.... L'implicito carattere sessista di tale regola risulta essere lampante se si

prendono in considerazione quelle professioni in cui la presenza di donne è numericamente superiore a quella degli uomini o la rappresentazione del ruolo

professionale è consensualmente associata ad attributi stereotipicamente femminili. In tali casi è infatti presente la formula maschile. Per esempio l'etichetta categoriale maestra d'asilo presenta il corrispondente maschile maestro d'asilo. … In altre parole il

maschile generico trasmette un contenuto generico rispetto al genere o viene interpretato come una qualsiasi altra forma di maschile specifico? … Il fatto che il

maschile generico inibisca una rappresentazione anche femminile dell'oggetto che definisce è stato dimostrato da studi … che hanno indagato l'accessibilità degli esemplari in memoria … Si potrebbe concludere che il maschile generico non solo non

è universale ed equamente applicabile a uomini e donne ma altresì permette la trasmissione di stereotipi a livello interpersonale. Infatti, come dimostrato

dall'esperimento di Stahlberg e colleghi (1994), l'utilizzo del maschile generico contribuisce a mantenere una rappresentazione marcatamente androcentrica della professione designata, perpetuando così immagini di ruoli lavorativi che escludono la

partecipazione femminile”.

Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé "Sarebbe mille volte un peccato se le donne scrivessero come gli uomini, o assumessero l'aspetto di uomini, perché se due sessi sono insufficienti, considerata la

vastità e la varietà del mondo, come faremmo mai con uno solo? Non dovrebbe forse l'istruzione fare emergere e rendere più salde le differenze anziché le somiglianze? ...

C'è sempre un punto, dietro la testa, della grandezza di uno scellino, che non si riesce a vedere da soli. E una delle funzioni positive che un sesso può svolgere a favore dell'altro è descrivere quella chiazza, della grandezza di uno scellino, che sta dietro la

testa".

M. L. Wandruszka (a cura di), Scrivere il mondo "Per una donna le parole dette da una donna assumono un altro significato che le parole dette da un uomo, e qualcosa di simile succede anche a un uomo. ... Stimolano

immagini di relazioni diverse non solo nella vita di tutti i gironi, tra persone concrete, ma anche nello spazio dei testi e della lettura ... La maggioranza dei libri letti a scuola

e all'università sono visioni maschili del mondo. Rendersene conto non ne diminuisce il valore, ma forse ci rende curiosi di quelle visioni che sono state nascoste, o sono state

dimenticate".

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Luisa Muraro, Autorità "Parlare non è mai neutro, ha detto Luce Irigaray, che in filosofia ha aperto la strada

del pensiero della differenza sessuale. Nel nostro parlare la differenza sessuale incide comunque; incide positivamente alla condizione che l'accettiamo come dimensione costitutiva della nostra umanità. L'umanità sono donne e uomini: ecco, in poche

parole, l'atto dell'accettazione. Gli uomini sono miei simili, le donne mi sono simili più simili.

C'è una seconda condizione, ed è che la cultura e le forme organizzate della convivenza coltivino il senso libero della differenza sessuale. Questo vuol dire sì contrastare gli stereotipi e togliere gli ostacoli creati a carico della

libertà delle donne (ma non soltanto delle donne), nei secoli del sessismo patriarcale. Vuol dire però anche che prenda forma simbolica la presenza di soggetti umani e

pensanti che per secoli, anzi per millenni, hanno continuato a spendersi per la convivenza e la civiltà senza che la cosa fosse iscritta nelle strutture politiche e tradotta in eredità culturale di tutti...

Da qualche tempo e con andamento crescente, sempre più donne si fanno avanti sulla scena pubblica del lavoro, della conoscenza e della politica. Si trovano così incluse e

promosse in una cultura che però ha perso il senso dell'autorità e non ha idea di un'autorità femminile distinta da quella materna. La semplice presenza fisica

personale non basta a modificare tradizioni e istituzioni che rispecchiano una visione mutilata del mondo ... C'è il pericolo di esiti come quello recente per cui nell'esercito Usa ... l'impiego militare delle donne non ha più restrizioni: anche loro in prima linea a

uccidere e a farsi uccidere. Questo non è il senso libero della differenza, questo è il senso obbligato della parità".

Insieme differenti CONVEGNO EDUCAZIONE AL SENSO LIBERO DELLA DIFFERENZA MASCHILE/FEMMINILE 25 settembre 2013 Anna Maria Piussi, docente ordinaria di

Pedagogia Generale e sociale, Università di Verona e Maria Cristina Mecenero, insegnante di scuola primaria, Milano

"Schivare la trappola della neutralizzazione. Quando, come avviene oggi, i grandi cambiamenti avvenuti nel rapporto tra i sessi vengono letti in modo semplificante ed esteriore, senza tener conto dell’assimetria uomo/donna nei processi di

soggettivazione e di libertà, e sostituendo donne e uomini reali - in carne ed ossa, con il loro corpo-mente sessuato, la loro esperienza vivente e la loro potenzialità

trasformativa -, con concetti come “identità di genere”, prevale uno schema interpretativo incapace di trattare in modo adeguato e generativo di nuova civiltà le differenze, a partire dalla differenza fondamentale uomo/donna. E in nome della

modernità oggi viene proposto un superamento delle differenze, concretizzato nella riscrittura del maschile e femminile in chiave (confusiva) di omologazione androgina e

neutralizzante. Basta pensare alla tendenza a sostituire madre e padre con “genitore”, a cancellare le preferenze di giochi e giocattoli, a indeterminate il sesso nei documenti ufficiali, a nominare con il neutro (maschile) “amici” le bambine e i bambini della

scuola materna come sta avvenendo in Svezia, e altro ancora. Ci chiediamo: chi parla così che cosa porta di sé e della propria esperienza? E quale prezzo di civiltà

comporta, per tutti, la trappola di questa astrazione?" Marco Rossi-Doria, "Creare occasioni", in Anna Maria Piussi (a cura di), Paesaggi e

figure nella formazione della creazione sociale "In primo luogo, va detto chiaramente e ogni volta cosa si sta per fare e perché.

L'onesta dichiarazione di intenti è una pratica iniziale di anno, di settimana, di giornata: serve a preparare all'impresa, dispone gli assetti e fornisce gli arnesi atti ad

affrontare un tempo di lavoro in modo adeguato, ritualizza l'avvio, invita alla fatica

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come parte necessaria del percorso, mostra i rischi e i passaggi difficili e le maniere,

anche diverse, per affrontarli, indica la prospettiva e fornisce i criteri sui quali si viene valutati...

In secondo luogo, va mantenuto un forte criterio di equità tra tutti i bambini/e e, non nel senso che tutti devono fare la stessa cosa, ma nel senso che a ciascun/a bambino/a va data sostanzialmente la stessa quantità e qualità di attenzione e la

stessa importanza. Questo prestare attenzione e dare importanza va interpretato in modo da offrire le opportunità di sviluppare le parti più deboli che ciascuno ha, sulla

base del principio, ogni volta applicato, della 'discriminazione positiva': non dare cose sempre uguali a persone che uguali non sono, bensì dare di più non soltanto a chi ha di meno ma, appunto, alle componenti meno forti ... Così va superata la retorica

nominalistica che riduce l'equità a una faccenda del fare tutti insieme le stesse cose... In ogni caso, la pratica del dichiarare e dare parola e quella, ben più complessa

dell'equità fondata sul riequilibrio e sulla riparazione compensativa, placano le ansie e incoraggiano i bambini nel lavoro".

Renzo Ricchi, docente di storia e filosofia presso il Liceo M. Minghetti di Torino (Progetto Alice) PROBLEMATICHE E SPUNTI DI RIFLESSIONE

" ... Normalmente qualsiasi docente è un inconsapevole veicolo di pratiche didattiche e relazionali sessuate (intendendo con ciò che è vittima di pregiudizi e di atteggiamenti

stereotipati relativamente al genere degli/lle studenti/esse e delle discipline insegnate). Tipicamente ciò avviene perché il/la docente presume e reputa necessario cancellare il proprio genere, per proporsi come modello di un apprendimento a-

sessuato. Soprattutto se l’insegnante sa proporsi o viene comunque vissuto/a come modello dagli studenti, questa collocazione a-sessuata finirà per bloccare qualsiasi

tentativo di comunicazione sulle difficoltà della propria formazione di genere, rigettando questo ambito fra quelli secondari rispetto al sapere, e comunque appropriati a una sfera privata dell’esistenza, che non deve condizionare la sfera delle

relazioni pubbliche. ... Più produttivo, invece, è un approccio che sappia esplicitare il luogo d’origine del

proprio discorso, dando quindi legittimità e visibilità pubblica alla dimensione del genere. Se è il/la docente stesso/a a mettersi in questione, i problemi dell’identità non potranno che essere percepiti come rilevanti e quindi degni di essere affrontati e di

divenire oggetto di riflessione e di confronto con gli altri e le altre. Un’indicazione concreta di lavoro ... è l’attivazione di una forte predisposizione

all’ascolto quale propedeutica a una pratica quotidiana della differenza e la problematizzazione della natura di genere dell’insieme della disciplina oggetto di lavoro didattico e non di sole parti specifiche. In secondo luogo è auspicabile una

problematizzazione dello statuto di chi di questo sapere o di questi saperi è stato storicamente portatore ... Saper ascoltare, saper dare la parola, saper rispettare la

dignità e sensibilità di ciascuno/a si configura come un’azione didattica che può migliorare e rafforzare la propria auto-rappresentazione e autostima e che può educare all’attenzione e al rispetto delle differenze. ... E’ quindi necessario riflettere

sulla natura complessiva della disciplina studiata ... Perché una ragazza deve sentirsi rappresentata da un sapere filosofico, per esempio, i cui protagonisti sono solo

maschi, e perché la scuola non dovrebbe affrontare in modo centrale una situazione tanto paradossale ma anche tanto comunemente accettata come normale?".

Spazio Teatro No’hma, nell’ambito del ciclo “Il senso della parola”: Sylvie Coyaud si

misura con la figura retorica dell’ elocutio nello spettacolo “L’abito fa la monaca" Scritto da www.z3xmi.it • 27 marzo 2013 "Il linguaggio della scienza serve a tenere in riga gli scienziati, a mantenerli onesti.

Devono dimostrare quello che dicono e che il sapere nuovo che propongono non se lo

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sono inventato. Occorre che tutti i termini siano ben definiti. Non è facile perché la

scienza continua a cambiare e i termini sembrano giusti al momento, ma poi possono risultare sbagliati. Ad esempio, l’ape, nel linguaggio scientifico si chiama Apis mellifera

(da fero che in latino significa portare), ma non è vero che porta il miele, il miele lo fa. Linneo aveva sbagliato la denominazione (e poi lo riconobbe). Ormai i ricercatori sono quasi nove milioni nel mondo, per evitare la Torre di Babele ci sono regole sull’uso del

linguaggio. Il problema che affronto in questo spettacolo è riferito a chi abusa della specificità del linguaggio scientifico che è un linguaggio onesto, nel suo contesto. C’è

gente però che lo estrae dal suo contesto per venderci qualcosa, ad esempio esiste l’omeopatia quantistica, ma la fisica quantistica si applica alla scala minuscola delle particelle, non al nostro corpo. C’è anche chi dice che esiste la fusione fredda, e vende

appositi reattori, anche per uso domestico. Ma la fusione fredda non esiste. Quando due atomi si fondono producono radiazioni, neutroni, reazioni violentissime, quelle che

avvengono nel Sole o in una bomba a neutroni. L’idea dello spettacolo è di richiamare l’attenzione sulla falsa scienza. Un tempo, una pubblicità diceva “Metti un tigre nel motore”, chi andava a fare il pieno di quella benzina non credeva di mettercelo!

Bisognerebbe avere lo stesso atteggiamento verso parole scientifiche, riconoscere se hanno un senso o no, o se sono messe sull’etichetta per creare un’illusione. E

arricchire qualche disonesto. ... Come ogni lingua, quella della scienza è una convenzione, accettata da tutti quelli

che la parlano. Non si può dire che 2+2 fa 5, ci sono regole che vanno rispettate. Chi non le rispetta è estromesso dalla comunità scientifica. ... Non importa se una persona non sa di scienza, come diceva Richard Feynman, un famoso fisico: "Ci sono altre cose

importanti nella vita, l’amore per esempio”. L’importante è non farsi rifilare alcunché da persone che truccano il proprio curriculum, che truccano i dati, che si travestono da monache per rubarci la merenda".

Marisa Forcina, “Mettere al mondo il mondo” e poi occupoarsene. La cittadinanza nelle

scienze "Come la cittadinanza politica non è da considerare soltanto guardando al registro dell’inclusione o dell’esclusione delle donne rispetto a

un contesto istituzionale funzionante con tutele diritti e garanzie giuridiche, ma guardando alla serie di rapporti che le donne hanno stabilito con l’ordine politico sociale in cui sono e sono state inserite e al grado di civiltà che sono state in grado di

costruire, così, per una riconosciuta cittadinanza nella ricerca, non è da considerare soltanto il dato quantitativo della presenza delle donne nel campo scientifico, ma va

riconosciuta la loro capacità di portare contenuti nuovi, di introdurre domande, di svolgere una funzione critica in percorsi che sembravano universalmente consolidati e

non soggetti a variabili di alcun genere. Molte ricercatrici hanno, infatti, sottolineato come uno dei compiti prioritari di chi fa ricerca o utilizza le tecnologie sia quello di tenere sempre presenti la vita e l’orizzonte della riparabilità. Coscienza del limite e

assunzione di responsabilità nella ricerca scientifica sono diventate parole d’ordine in un modo di fare ricerca femminile che si è posto sempre più nettamente come critica

serrata alla volontà di dominio sulla natura per profilarsi, invece, come impegno nuovo e tutto femminile per 'mettere al mondo il mondo'."

La narrazione del femminicidio, i media tra stereotipi e ‘sensibilità’

Il convegno/ LAURA BOLDRINI: CHIAMATEMI «LA» PRESIDENTE di Luisa Betti

... ma è Laura Boldrini che lancia alla platea un perfetto “dritto”, parlando di cambiamento culturale e del linguaggio a partire da sé: «Se una giudice chiede di

essere chiamata la giudice, una ministra la ministra, perché non si fa? Perché forse

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siamo comete che non lasceranno il segno? Se chiamassi il direttore Calabresi,

direttrice, non credo sarebbe contento, eppure io vengo ogni giorno chiamata signor presidente».

Sulla stessa lunghezza d’onda sono gli interventi di altre due donne autorevoli: Fedeli parla dell’articolo 17 della Convenzione di Istanbul che «richiama all’impegno dei media sulla violenza contro le donne», ribadendo che per avere un reale

cambiamento questa Convenzione «bisogna conoscerla, leggerla, saperla»; mentre la presidente Rai si lancia in un discorso ricco di dati, mettendo sul piatto il lavoro, posti

apicali d’azienda, stereotipi, fino a dichiarare quello che potrebbe essere uno slogan: «Via gli stereotipi, anche a scapito dello share». Poi arrivano il direttore della Stampa e il vice di Repubblica... Ma sono ancora le

donne a riportare la palla al centro: ... la vice del Corsera, Barbara Stefanelli, propone 10 punti pratici sulla narrazione della violenza, un bell’input fatto anche

grazie all’immenso lavoro della 27esima ora. Un’occasione che prendo al volo per concludere gli interventi del tavolo con diversi punti: sul fatto che il femminicidio è la violenza che una donna può subire nell’arco di una vita fino alla sua uccisione – e non

l’atto criminoso in sé – e che quindi se l’80% della violenza in Italia è domestica, non ci stiamo inventando niente; che se vogliamo davvero cambiare la cultura, i nodi

sono la scuola e i media, ma soprattutto l’informazione di stampa, tv e web che se si pone come oggettiva e che incide sull’opinione pubblica; e infine che esiste una

vittimizzazione secondaria anche nei media, in quanto una narrazione stereotipata ha un effetto devastante e diretto in quelle aule di tribunale e in quelle caserme in cui le donne non sono ancora oggi pienamente credute.

Il modo per uscirne? Immettere nel tessuto vivo dei giornali, al di là di blog e rubriche, giornalisti e giornaliste formati sulla materia, non come jolly occasionali ma

in posti precisi e anche di responsabilità. Una corretta narrazione del femminicidio, non può passare per una certa “sensibilità” al tema: un direttore metterebbe qualcuno che fa sport a fare economia perché è “sensibile” alla materia? Non credo. E

su questo gli uomini, che sono la maggioranza dei “capi” nelle redazioni italiane, ci dovrebbero ascoltare. (25 settembre 2013 "il Manifesto")

Dieci Regole per l'Informazione (le giornaliste della 27esima Ora)

" 1. Evitiamo di riferirci alle donne come «soggetti deboli», vittime predestinate, e agli uomini come «soggetti violenti», in preda a ineluttabili meccanismi mostruosi. Le

donne vengono rese vulnerabili, in determinate condizioni, dalla violenza che gli uomini agiscono, in determinate condizioni. Insistere su deboli e violenti in una società

che ancora tende a crescere le bambine come dolci e gentili e i bambini come forti e aggressivi conferma uno dei pre-giudizi alla base della non parità e alla radice della violenza. 2. Raptus di gelosia, omicidio passionale, l'ha uccisa, ma l'amava moltissimo.

Sono frasi fatte e rifatte da una cultura che pesa sulla libertà di donne e uomini. Non lasciamoci tentare dal lato morboso delle storie. Le storie vanno raccontate, ma

proviamo a rinunciare alle parole sbagliate, dai testi ai titoli. 3. Cerchiamo di porre la stessa attenzione nell'iconografia. Spesso proponiamo ai lettori solo le facce, i corpi, i sorrisi delle donne ferite o uccise. ... Ma dove sono gli uomini che commettono quei

reati? Ombre e, in quanto tali, ci limitano nel decifrare il male. 4. Non si può imporre a ogni articolo o titolo intenti educativi, ma la storia non può partire e fermarsi all'ultimo

atto. 5. Non stiamo parlando di un'emergenza, di un'onda improvvisa che si è alzata e che si abbasserà. La violenza degli uomini sulle donne è una realtà che permane nei codici espressi e nell'oscurità dei corpi. Quello che rende strutturale la violenza è la

natura stessa delle relazioni violente... 6. Offriamo le testimonianze di quante sono

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riuscite a «venirne fuori». Proporre modelli positivi ... aiuta la diffusione di una

consapevolezza che oggi in Italia è ancora debole. ... Quando una donna viene uccisa nonostante ripetute denunce non è perché «non c'era nulla da fare», ma perché c'è

stata una falla in quel sistema e su quella falla si deve lavorare. 7. Non basta develinizzare i palinsesti di televisioni-giornali-siti di giornali. Raccontiamo le donne reali... 8. Gli uomini che «condividono la subcultura della superiorità maschile» sono

più inclini a diventare «partner abusanti». E «le donne portate a concepire un ruolo subalterno» nella coppia sono più inclini a subirla. ... Proviamo a cambiare racconto:

raccontiamo che la violenza è fragilità. La scuola può aprire dal basso un laboratorio di idee al quale i media devono partecipare rivoluzionando, insieme, i codici lessicali e le rappresentazioni rosa-azzurre che definiscono le aspettative e determinano i desideri.

9. Evitiamo la contrapposizione maschile-femminile. Non lasciamo che la violenza sulle donne resti una conversazione tra donne. Gli uomini che prendono la parola su

questioni di genere spesso temono di essere poco credibili. Invece la voce di un uomo ... ha effetto amplificato sul pubblico. Allo stesso tempo è fondamentale raccontare gli uomini autori di violenza, dove nascono il rancore e la rabbia e l'incapacità di

sopportare un «no» o un «basta». L'esperienza dei centri di ascolto per i violenti si può rivelare utilissima per smontare il meccanismo che sta sotto l'idea sbagliata di

virilità.10. Perché il fattore culturale che definisce i rapporti tra uomini e donne è così resistente? Scrive Lea Melandri che le donne restano legate al «sogno d'amore», il

richiamo a un focolare che ne faceva le protagoniste della casa e del rapporto con i figli. E che gli uomini restano prigionieri dell'idea di rappresentare l'universale, frutto di un genere che ha avuto privilegi, ma anche mutilazioni della libertà. Come parlarne

senza semplificazioni o denunce spettacolari? Nella nostra formazione dovrebbe entrare una riflessione sulle differenze tra i generi. La libertà di pensiero e giudizio è

uno strumento base del giornalismo. ... Molto sta cambiando, ma siamo noi per primi in una terra di passaggio. Interrogarsi è un acceleratore". (25 settembre 2013 - "Corriere della Sera")

ESEMPI

LETTERATURA il genere letterario della pastorella STORIA l'uomo e la donna nell'antica Grecia

Virginia Woolf, Una stanza tutta per sé "Per secoli le donne hanno avuto la funzione di specchi dal potere magico e delizioso

di riflettere la figura dell’uomo ingrandita fino a due volte le sue dimensioni normali. Senza quel potere la terra forse sarebbe tutta giungle e paludi. Le glorie di tutte le

nostre guerre sarebbero sconosciute. Staremmo ancora a graffiare la sagoma di un cervo sui resti di ossa di montone e a barattare selci con pelli di pecora o con qualsiasi semplice ornamento attraesse il nostro gusto non sofisticato. Non sarebbero mai

esistiti Superuomini né figli del destino. Lo Zar o il Kaiser non avrebbero mai portato corone sul capo né le avrebbero perdute.

Quale che sia l’uso che se ne fa nella società civili, gli specchi sono indispensabili a ogni azione violenta ed eroica. È questa la ragione per cui sia Napoleone che Mussolini insistono con tanta enfasi sulla inferiorità delle donne, perché se queste non fossero

inferiori, verrebbe meno la loro capacità di ingrandire. Ciò serve a spiegare in parte la necessità che tanto spesso gli uomini hanno delle

donne. E serve anche a spiegare perché gli uomini diventano così inquieti quando vengono criticati da una donna; e come sia impossibile per una donna dire loro questo libro è brutto, questo dipinto è debole, o qualunque altra cosa, senza procurargli

molto più dolore e suscitare molta più rabbia di quanta non ne susciterebbe un uomo

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che facesse la stessa critica.

Perché se lei comincia a dire la verità, la figura nello specchio si rimpicciolisce... ".

Chiara Zamboni, da un'intervista rilasciata il 28 giugno 2006, dopo l'uscita della sua opera

Parole non consumate. Donne e uomini nel linguaggio. La lingua materna non consuma le

parole e di queste non si può fare mestiere. Le parole, come scrive Virginia Woolf, si rincorrono

e si amano tra loro, non occupandosi di noi. http://nuke.mammablog.it/_linguamaterna/_Zamboni/tabid/71/Default.aspx

"Le bambine e i bambini entrano in rapporto diverso con la lingua materna perché hanno un rapporto diverso con la madre. Una bambina ha un rapporto d’amore con la

madre e in un secondo momento, quando costruisce una propria identità entrando in modo attivo nel linguaggio, si trova a rielaborare il legame con la madre sulla base di

una identità di genere, che è costruita socialmente e secondo codici, e che è in comune con lei. Un bambino ha un rapporto originario d’amore con la madre, però costruisce la propria identità sulla figura maschile. Per cui ha un legame e uno

slegame con la madre e quindi con la lingua materna. Una bambina invece ha un doppio legame con la madre e un rapporto di continuità con la lingua. In effetti questo

si vede dal maggiore distacco che gli uomini hanno nei confronti della lingua, rispetto invece un coinvolgimento affettivo maggiore delle donne. Salvo gli artisti, che usufruiscono delle potenzialità della lingua materna nella loro pratica. Come si vede da

questa argomentazione, non si tratta per le donne e per gli uomini né di un dato solo biologico, né di un dato solo culturale. Entrambi gli elementi sono coinvolti, in una

differenza sessuale che si viene a creare in rapporto ad un diverso legame con la madre".

"La capacità simbolica della lingua materna genera un rapporto ludico con il mondo. Con la madre si vive un’esperienza che possiede un’evidenza nata dalla condivisione

con lei. Si adoperano le parole per nominare un’esperienza all’interno di una relazione fortemente affettiva. Ciò permette una certa libertà nei confronti della lingua e nel

rapporto tra la lingua e le cose perché non si è da soli nell’adoperare la lingua per nominare l’esperienza, ma si è all’interno di una reale condivisione. Ciò dà la tranquillità di poter giocare con il linguaggio e la realtà. Porto un controesempio. Un

rapporto costretto tra le parole e le cose è quello per il quale non possiamo giocare a pensare, ad esempio, qualcosa di negativo, perché quel qualcosa di negativo temiamo

che si realizzi, come se tutto dipendesse dalle nostre parole che l’hanno nominato. C’è un’adesione coatta delle cose alle parole. Siamo soli e isolati nella lingua in questa nostra paura. In questo senso la capacità simbolica della lingua materna porta ad

un’allegria filosofica, perché permette di pensare in grande l’esperienza, senza rimanere incollate ad una adesione letterale a ciò che avviene. Non si tratta tanto

dunque delle ninne nanne e dei giochi linguistici della madre, ma della condivisione di un’esperienza, che permette di non stare letteralmente alle cose, ma di potersi muovere con libertà".

"Mi rifaccio per spiegarmi a Gioco e realtà di Winnicott.

Winnicott sostiene che il bambino (lui parla solo di bambino, usando la formula neutra) impara a giocare quando è nella fase di separazione tra il me e il non-me.

Questa fase può assumere anche uno spazio autonomo in un momento successivo, quando il me si è costituito. E’ un luogo nel quale si inventano forme simboliche, rispetto alle quali si sospende il giudizio di realtà o illusione. Esse ci aprono mondi, che

ci permettono di vivere sensatamente esperienze nuove. Si vede facilmente come le forme simboliche culturali nel loro essere dinamiche e trasformative dipendano da

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questo luogo di invenzione simbolica. E’ lo stesso luogo dove il bambino inventa i

propri giochi, avendo sullo sfondo la madre non presente necessariamente ma vicina simbolicamente. Il primo luogo di questi giochi infantili, che poi hanno una tale

importanza nella vita simbolica adulta, è la lingua. Il fatto che la lingua materna abbia questa potenzialità non porta ad una meccanicità di risultati. Nella nostra esperienza adulta la lingua materna è già in gran parte confluita nel rapporto creativo che

abbiamo con altri linguaggi e con le tante forme simboliche a cui accediamo. Se la isoliamo, analizzandola nel ricordo per suo conto, pur essendo affascinante, non mostra la sua creatività, che sta sempre nel passaggio ad altro".