Congressi Sindrome di Burnout: anticamera dell’errore in ...a sindrome di burnout èuna patologia...

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Congressi Notiziario luglio 2010 31 L a sindrome di burnout è una patologia spesso sotto- valutata e poco conosciuta, ma estremamente impor- tante nel panorama del ma- lessere delle professioni di aiuto, ed in particolare di quelle sanita- rie, nonché fonte spesso di errori medi- ci. Questa sindrome trova la sua giusta collocazione nelle giornate di studio sul rischio clinico e la prevenzion e del con- tenzioso legale; infatti è punto d’incon- tro tra una base etica, che trova nel moral distress, che indica una manca- ta realizzazione dei valori etico-morali alla base dello spirito di una professio- ne sanitaria, ed una corretta gestione del rischio clinico che comprende anche la salute dell’operatore, con le inevita- bili conseguenze che un sua compro- missione comporta sulla sicurezza del paziente. Il termine “burnout” non nasce in ambi- to sanitario, né per le professioni d’aiu- to: in una traduzione letterale significa “bruciato”, “esaurito”, “scoppiato”. Lo si sente nominare le prime volte negli anni ’30 del secolo scorso nel mondo dello sport, per indicare quegli atleti che non rispondevano più agli elevati stan- dard per i quali erano stati allenati. Negli anni ’60 lo stesso termine viene utilizzato per indicare i tossicodipen- denti che erano ormai esauriti, bruciati dall’elevato consumo di sostante stupe- facenti. Solo nel 1974 la parola burnout appare in un lavoro in ambito sanitario, dove il termine viene mutuato dal mondo dello sport per descrivere situazioni di dis- agio, di esaurimento per un elevato numero di prestazioni ed eccessivo dis- pendio di energie nelle equipe sanitarie. Ma il vero impulso negli studi sul bur- nout in ambito sanitario e delle profes- sioni d’aiuto lo si deve alla psicosociolo- ga americana Maslach che agli inizi degli anni ’80 definisce il burnout una vera e propria sindrome, patologia che i lavoratori che prestano la loro opera come atto d’aiuto possono maturare per esaurimento, per stanchezza o per insoddisfazione o dopo aver maturato l’idea di non essere più all’altezza del loro compito. Ne conseguono effetti di irrequietezza, rabbia, insoddisfazione, distacco, che condizioneranno fortemente tutto il loro operato, spesso con ricadute negative su tutto il sistema sanitario che li circonda. Un rapporto choc sullo stato di salute dei medici è apparso alcuni mesi fa sul giornale La Stampa e riportava che il 12% degli stessi ha “problemi di alcool e droga, ma non sa a chi chiedere aiuto”. Ma non c’è solo l’uso di tali surrogati come rifugio e conseguenza di uno sta- to di stress cronico, ma anche il pensio- namento anticipato, il cambio del lavo- ro a volte con l’abbandono completo del mondo della sanità, l’assenteismo ed altre manifestazioni ancora sono il segnale di un grave malessere che col- pisce la professione medica. I pochi rapporti esistenti sono allarmanti e sono solo la punta di un iceberg, in cui l’Italia è fanalino di coda per raccolta ed attendibilità di dati sul problema, man- cando una reale attenzione allo stesso ed una seria ricerca. Altri paesi europei come la Spagna, il Regno Unito con il National Institute for Health and Clinical Excellence (NICE), l’Olanda, la Finlandia ed altri hanno prestato negli ultimi anni maggiore attenzione al pro- blema, ma anche oltre oceano il proble- ma è stato posto al centro di molti studi come negli Stati Uniti, in Australia, non- ché in Giappone. Cerchiamo allora di dare corpo alla sin- drome di burnout e seguirne l’evoluzio- ne degli studi: la sindrome di burnout è una forma cro- nica di stress, dove il lavoratore è sot- toposto a un logorio continuo e prolun- gato, che lo allontana sempre più dagli obiettivi iniziali che lo avevano animato, precipitandolo in stati di frustrazione e demoralizzazione o viceversa di distac- co dal contesto lavorativo fino a forme di cinismo. Anche gli effetti sulla salute sono quelli dei disturbi da stress. Il burnout è però una vera sindrome che può sovrapporsi allo stress per quanto riguarda specifici sintomi clinici, ma se ne distanzia per la sua comples- sità legata al confluire di fattori sogget- tivi ed oggettivi; infatti non è sufficien- te come nel primo riposo e momenta- neo distacco dalla realtà che lo ha pro- dotto. Nella nostra sindrome abbiamo uno stato cronico di stress caratterizzato da una conflittualità con l’ambiente che defluisce o in atteggiamenti difensivi come il cinismo o in una sconfitta psi- chica del lavoratore con stati profondi di frustrazione. Sono stati proposti vari modelli che po- tessero seguire l’evoluzione strutturale della sindrome, due tra questi sono Sindrome di Burnout: anticamera dell’errore in sanità Nicola Buonvino*

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La sindrome di burnout èuna patologia spesso sotto-valutata e poco conosciuta,ma estremamente impor-tante nel panorama del ma-lessere delle professioni di

aiuto, ed in particolare di quelle sanita-rie, nonché fonte spesso di errori medi-ci. Questa sindrome trova la sua giustacollocazione nelle giornate di studio sulrischio clinico e la prevenzion e del con-tenzioso legale; infatti è punto d’incon-tro tra una base etica, che trova nelmoral distress, che indica una manca-ta realizzazione dei valori etico-moralialla base dello spirito di una professio-ne sanitaria, ed una corretta gestionedel rischio clinico che comprende anchela salute dell’operatore, con le inevita-bili conseguenze che un sua compro-missione comporta sulla sicurezza delpaziente.Il termine “burnout” non nasce in ambi-to sanitario, né per le professioni d’aiu-to: in una traduzione letterale significa“bruciato”, “esaurito”, “scoppiato”.Lo si sente nominare le prime volte neglianni ’30 del secolo scorso nel mondodello sport, per indicare quegli atleti chenon rispondevano più agli elevati stan-dard per i quali erano stati allenati. Negli anni ’60 lo stesso termine vieneutilizzato per indicare i tossicodipen-denti che erano ormai esauriti, bruciatidall’elevato consumo di sostante stupe-facenti.Solo nel 1974 la parola burnout apparein un lavoro in ambito sanitario, dove iltermine viene mutuato dal mondo dellosport per descrivere situazioni di dis-agio, di esaurimento per un elevatonumero di prestazioni ed eccessivo dis-pendio di energie nelle equipe sanitarie.Ma il vero impulso negli studi sul bur-nout in ambito sanitario e delle profes-

sioni d’aiuto lo si deve alla psicosociolo-ga americana Maslach che agli inizidegli anni ’80 definisce il burnout unavera e propria sindrome, patologia chei lavoratori che prestano la loro operacome atto d’aiuto possono maturareper esaurimento, per stanchezza o perinsoddisfazione o dopo aver maturatol’idea di non essere più all’altezza delloro compito. Ne conseguono effetti di irrequietezza,rabbia, insoddisfazione, distacco, checondizioneranno fortemente tutto il lorooperato, spesso con ricadute negative sututto il sistema sanitario che li circonda.Un rapporto choc sullo stato di salutedei medici è apparso alcuni mesi fa sulgiornale La Stampa e riportava che il12% degli stessi ha “problemi di alcoole droga, ma non sa a chi chiedereaiuto”. Ma non c’è solo l’uso di tali surrogaticome rifugio e conseguenza di uno sta-to di stress cronico, ma anche il pensio-namento anticipato, il cambio del lavo-ro a volte con l’abbandono completo delmondo della sanità, l’assenteismo edaltre manifestazioni ancora sono ilsegnale di un grave malessere che col-pisce la professione medica. I pochirapporti esistenti sono allarmanti esono solo la punta di un iceberg, in cuil’Italia è fanalino di coda per raccolta edattendibilità di dati sul problema, man-cando una reale attenzione allo stessoed una seria ricerca. Altri paesi europeicome la Spagna, il Regno Unito con ilNational Institute for Health andClinical Excellence (NICE), l’Olanda, laFinlandia ed altri hanno prestato negliultimi anni maggiore attenzione al pro-blema, ma anche oltre oceano il proble-ma è stato posto al centro di molti studicome negli Stati Uniti, in Australia, non-ché in Giappone.

Cerchiamo allora di dare corpo alla sin-drome di burnout e seguirne l’evoluzio-ne degli studi:la sindrome di burnout è una forma cro-nica di stress, dove il lavoratore è sot-toposto a un logorio continuo e prolun-gato, che lo allontana sempre più dagliobiettivi iniziali che lo avevano animato,precipitandolo in stati di frustrazione edemoralizzazione o viceversa di distac-co dal contesto lavorativo fino a formedi cinismo. Anche gli effetti sulla salute sono quellidei disturbi da stress. Il burnout è però una vera sindromeche può sovrapporsi allo stress perquanto riguarda specifici sintomi clinici,ma se ne distanzia per la sua comples-sità legata al confluire di fattori sogget-tivi ed oggettivi; infatti non è sufficien-te come nel primo riposo e momenta-neo distacco dalla realtà che lo ha pro-dotto. Nella nostra sindrome abbiamo unostato cronico di stress caratterizzatoda una conflittualità con l’ambiente chedefluisce o in atteggiamenti difensivicome il cinismo o in una sconfitta psi-chica del lavoratore con stati profondi difrustrazione. Sono stati proposti vari modelli che po-tessero seguire l’evoluzione strutturaledella sindrome, due tra questi sono

Sindrome di Burnout: anticamera dell’errore in sanità

Nicola Buonvino*

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stati riconosciuti inizialmente come i piùcaratterizzanti il fenomeno.• Il primo è il modello (1982) della giàcitata Maslach che partendo da fattoriiniziali di sovraccarico di lavoro e di ten-sioni ad esso collegate, portava ad unesaurimento emotivo che evolvevaverso una depersonalizzazione comeeffetto difensivo da parte del lavorato-re. Quindi la dicotomia che si creava trale iniziali aspettative e la realtà effet-tuale portava ad una ridotta realizzazio-ne personale fino ad una vera inade-guatezza di ruolo.• L’atro modello proposto da Golem-biewski (1986) partiva da fattori ester-ni che imponevano un distacco deglioperatori di tutte le attività d’aiuto perevitare elevati coinvolgimenti emotivi. Ma questo distacco si estremizzava di-venendo depersonalizzazione, che mi-nava profondamente il rapporto conl’altro da aiutare, quindi produceva unascarsa realizzazione professionale sfo-ciando in un esaurimento emotivo resopiù critico da eventuali sovraccarichi dilavoro.

Importante è rilevare che i vari studi ediscussioni su tutti gli inquadramentidel burnout partivano da un denomi-natore comune quale la predisposi-zione del singolo individuo ad incor-rere in questa sindrome, sia per statipsicologici pregressi o per alterazioniemotive e strutturali dei contesti ester-ni a quelli lavorativi, quali ad esempiola famiglia. Questi substrati incrociandoreali stati di tensione che esistono nellafattispecie del lavoro sanitario, sfocia-vano nel burnout.I presupposti su espressi hanno accom-pagnato per decenni tutti gli studiinfluenzando l’impostazione degli stes-si, ma ancor peggio riducendo la sogliadi attenzione delle istituzioni e delleorganizzazioni verso questo serpeg-giante problema. Segno è che non si èmai concretamente considerata lasindrome di burnout come unapatologia professionale.Ma alla fine degli anni ’90 si cominciò arivalutare l’assetto strutturale che pre-disponeva a tale sindrome; la stessaMaslach con lavori nel 1997 e 2001 co-minciava a spostare l’attenzione mag-giormente sul contesto lavorativo.

Ci si rendeva conto delle profondemodifiche che scuotevano il mondo sa-nitario: una maggiore tecnicizzazionedel lavoro con rincorse da parte degli

operatori a tenersi aggiornati a frontedi una utenza diversa e più preparatache troppo spesso non chiede, ma im-pone risultati nel concetto che la resti-tuzione della salute è un atto dovuto einfallibile. A ciò si pone come controal-tare una preponderante economizzazio-ne dell’organizzazione sanitaria, chepretende di ridurre i costi mantenendostandard di prestazioni elevati, dimenti-cando spesso importanti passaggi in-termedi.

Quindi il contesto lavorativo assumeun ruolo fondamentale nel rapportocon l’individuo e viene proposto unnuovo modello che può essere sintetiz-zato in due processi principali:– un aumento delle richieste lavorativecon un sovraccarico di lavoro che con-duce ad un esaurimento emotivo e– parallelamente una scarsa riserva dirisorse che conduce ad una depersona-lizzazione del lavoro fino al manifestar-si di fenomeni che favoriscono una me-dicina difensiva.Possiamo sintetizzare il lavoro dellaMaslach e di altri autori in alcuni puntiche focalizzano il contesto:• la richiesta di impegno lavorativoeccessivo per le risorse fisiche e pro-fessionali dei singoli operatori legate acarenze croniche di personale o a diffi-coltà organizzative come ad esempioun alterato flusso dei pazienti;• la sensazione di inadeguatezza nelruolo svolto e la mancanza di una mag-giore autonomia professionale e deci-sionale, come avviene per regole impo-ste dalle organizzazioni o la stressataapplicazione di linee guida o protocolli;• la mancanza di un’adeguata ri-compensa come la paga a o mancan-za di riconoscimenti da parte dei supe-riori;• il non riconoscere autorevolezzaprofessionale e culturale alle dirigenze;• il non sentirsi inseriti nel contestolavorativo ed in particolare non appar-tenere ad un gruppo dove ricorrere perun appoggio ed un sostegno;• il non riuscire a soddisfare le ri-chieste dell’altro – il paziente – permancanza di mezzi o di tempo;• la mancanza di condivisione di va-lori che individuano scontri tra il singo-lo ed i propri responsabili o non si rico-noscono nelle mission di alcune orga-nizzazioni.Questi ed altri ancora gli spunti perpoter affermare che il contesto lavo-

rativo assume nella sindrome diburnout un ruolo preponderante,riconoscendo che pregressi psicologi-ci e clinici dei singoli possano soloinfluire su una maggiore o minoregravità del problema o condizionar-ne i tempi di comparsa, ricordandoper di più che esiste un vero e pro-prio contagio nei gruppi per il bur-nout.Il comprendere a questo punto la forteassociazione tra burnout ed erroremedico è cosa semplice, se si conside-rano tutte le motivazioni o meglio ledemotivazioni che sono alla base dellosviluppo di questa sindrome; ne derivache una maggiore e più attenta analisidel problema e quindi una sua preven-zione può sicuramente rientrare in unapiù corretta gestione del rischio clinico.Il benessere e la sicurezza del pa-ziente sono fondamentali, ma perottenere questo è inscindibile il be-nessere e la sicurezza di chi deverestituire la salute, gli operatori sa-nitari, ma come bilancino del sistemadeve esserci una corretta organizza-zione. È sufficiente uno sbilanciamentotra questi due ultimi elementi per noncentrare l’obiettivo della mission princi-pale di qualsiasi sistema sanitario: ilpaziente.

Si è parlato di prevenzione del burnout,ciò è possibile principalmente nell’otticadi un cambiamento culturale di tutte leparti interessate. Uno degli strumentinecessari, e a più basso costo è la co-municazione.Comunicazione tra pari, tra la base e ledirigenze, con i pazienti; momenti diaudit tra i membri dei vari gruppi di lavo-ro, in modo da permettere costante ana-lisi e revisione dei vari problemi, sia pro-fessionali che, con riferimento al bur-nout, personali. Ma il dialogo deve mi-gliorare anche con le dirigenze per per-mettere lo scambio di informazioni che avolte solo la base può comunicare.Altro meccanismo che aiuta nella pre-venzione del burnout è puntare semprepiù sulla formazione, non solo per unamaggiore professionalità degli operato-ri, ma anche per eliminare quel senso diinadeguatezza che limita l’atto medico,producendo, come avviene nei servizi diemergenza, fenomeni di inappropria-tezza di prestazioni o vere e propriestagnazioni nel flusso dei pazienti.La sindrome di burnout è meritevole dimaggiore attenzione non solo nella re-

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visione dei lavori di studio, ma attri-buendogli una nuova e provocatoria ve-ste, inserendolo tra gli elementi di mi-surazione della QUALITÀ di una or-ganizzazione sanitaria.Quindi il burnout come indicatore di qua-lità non è assolutamente un’idea pere-grina, vista la reale anche se sottostima-ta presenza del fenomeno nei sistemisanitari di tutto il mondo. In un lavoro pubblicato su The Lancetnel novembre del 2009 da parte di ungruppo di ricercatori inglesi, si pone l’ac-cento sul burnout e sulla sua misurazio-ne all’interno di una organizzazioneattribuendogli valenza come indicatoredi qualità. Essi esaminano le varie conseguenzedeterminate dallo stesso anche sui si-stemi sanitari in quanto il malessere delmedico incide fortemente sulle presta-zioni diminuendone la produttività sulposto di lavoro. Le conseguenze sono varie come:altipicchi di assenteismo, alterazione del-l’efficienza e qualità delle cure dei pa-zienti, nonché come già accennato sullasicurezza degli stessi. In un altro lavoro inglese sempre pubbli-cato sul Lancet si indica che alti livelli diburnout implicano una diminuzione dellasegnalazione di eventi avversi del 50%,un aumento del 7% degli errori gravi edel 2,4% di errori con morte di pazienti. Quindi burnout come indicatore di quali-tà, come analisi del contesto lavorativo edi interazione persona – contesto; anali-si che proviene non solo dai pazienti odagli estratti conto, ma dalla base chevive e convive con i problemi di trincea.Richiamando l’importanza del diffonder-si del moral distress tra gli operatorisanitari, che vedono sempre più distantii princìpi etici dall’applicazione della pro-fessione, vorrei concludere con alcuniconcetti di Theodor Adorno mutuandolidal mondo politico nel quale sono statiespressi al contesto sanitario.In una organizzazione sanitariadove principi etici e comportamen-tali fissati come regole di una pro-fessione divengono impossibili daapplicare a causa di inefficienzecontestuali, si verifica una “violen-za etica”.Essa conduce ad una dissonanzacognitiva da parte dell’operatorecon una ritirata degli ideali e unapredisposizione alla sindrome diburnout.

* Specialista Chirurgo e Bioeticista.

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