¡CONGA NO VA! - valmont.unimi.it · E poi, come la mettiamo con tutte le comunità andine che da...

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NEWS PERUVIANE N°2 ¡CONGA NO VA! MA SIAMO SICURI? ECCOCI Questa volta partiamo con un argomento che si allontana un po’ dal mio progetto, dai bimbi, dal manthoc e dalla scuola (arrivano dopo). Ma che si avvicina al sentire comune, alle questioni scottanti, alle coscienze di tutti. E che crea un pochino un parallelismo con i NoTav piemontesi e i NoCava Lecchesi. Ci siamo, a breve dovrebbe uscire il risultato della perizia che dirà se il progetto della miniera d’oro di Conga va oppure no. Un breve riassunto, breve per necessità, anche se si dovrebbero riempire pagine e pagine: Nella regione di Cajamarca (da cui l’omonima città dove vivo) ci sono miniere d’oro. Ora, prendiamo l’immagine dei 7 nani che trotterellano contenti cantando “heyo, heyo, andiamo a lavorar” e fischiettano con un piccone in mano pronti per andare dalla loro Biancaneve. Lavorano nella loro bella minierina, piccina picciò. Adesso, pensate al paesaggio alpino più bello che conoscete, con laghi con acque cristalline, vacche al pascolo, graminacee mosse dal vento e un silenzio interrotto solo dal cinguettio di uccellini. Mettete insieme le due cose. Solo che i 7 nani innanzitutto non sono nani, ma uomini in giacca e cravatta, metà statunitensi e metà peruviani e che governano, magari fischiettando anche loro, un esercito di più di 8000 minatori. E la

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NEWS PERUVIANE N°2

¡CONGA NO VA! MA SIAMO SICURI?

ECCOCI

Questa volta partiamo con un argomento che si allontana un po’ dal mio progetto, dai bimbi, dal manthoc e dalla scuola (arrivano dopo). Ma che si avvicina al sentire comune, alle questioni scottanti, alle coscienze di tutti. E che crea un pochino un parallelismo con i NoTav piemontesi e i NoCava Lecchesi. Ci siamo, a breve dovrebbe uscire il risultato della perizia che dirà se il progetto della miniera d’oro di Conga va oppure no. Un breve riassunto, breve per necessità, anche se si dovrebbero riempire pagine e pagine:

Nella regione di Cajamarca (da cui l’omonima città dove vivo) ci sono miniere d’oro. Ora, prendiamo l’immagine dei 7 nani che trotterellano contenti cantando “heyo, heyo, andiamo a lavorar” e fischiettano con un piccone in mano pronti per andare dalla loro Biancaneve. Lavorano nella loro bella minierina, piccina picciò. Adesso, pensate al paesaggio alpino più bello che conoscete, con laghi con acque cristalline, vacche al pascolo, graminacee mosse dal vento e un silenzio interrotto solo dal cinguettio di uccellini.

Mettete insieme le due cose. Solo che i 7 nani innanzitutto non sono nani, ma uomini in giacca e cravatta, metà statunitensi e metà peruviani e che governano, magari fischiettando anche loro, un esercito di più di 8000 minatori. E la

minierina piccina picciò, è in realtà un complesso di 6 miniere a cielo aperto, 4 piattaforme di lisciviazione e 3 impianti di recupero dell’oro, per un’estensione totale di più di 250 km quadrati. Infine, la valle alpina bucolica e intatta, è solo un ricordo di un meraviglioso altopiano andino, le cui acque hanno dato per millenni sostentamento ai suoi abitanti, grazie all’agricoltura e allevamento. E le cui lagune sono state prosciugate, escavate, l’ acqua contaminata con cianuro e mercurio. Diventando da cosi (1992):

A cosi:

Ma va da se che il problema é tutt’altro che estetico. Innanzitutto c’è il problema dell’acqua.

Prosciugare una laguna naturale, che si conserva da millenni grazie a falde sotterranee. Con la miniera che propone di “rimpiazzarla con una artificiale in un altro posto, che si riempirà con la pioggia”. Eh, si vede che hanno studiato eh? Sono dei dottoroni, eh? E l’ecosistema laguna, imbecilli? I microrganismi, lo scambio col terreno, con l’aria, le piante e gli animali, il ricambio d’acqua da falda a pioggia? Ma vaffa va! E poi, come la mettiamo con tutte le comunità andine che da sempre vivono, si nutrono, coltivano e lavorano grazie alle acque della laguna e ai terreni circostanti?

Inoltre, tra l’altro, sapete come funziona una miniera d’oro? Spiegato con parole semplici e senza troppi tecnicismi (anche se mi manca usare termini come “lisciviazione”,”smaltimento”, “sedimentazione”… mi sa che a Lione mi rimetto a studiare un po’): Dicevo, per poter estrarre l’oro, vengono utilizzati MERCURIO E CIANURO. Che da tempo sappiamo essere altamente tossici. E che dopo essere stati utilizzati per estrarre il luccicante minerale, vengono smaltititi pessimamente, finendo nei corsi d’acqua e nel terreno.

Morale, la gente beve e mangia mercurio e cianuro. Morale, tutta le verdura che cresce nell’area della miniera è contaminatissima. Morale, il tasso di tumori allo stomaco è altissimo, ma non si sa quanto perché gli studi sull’incidenza dei metalli su queste infermità vengono proibiti. Morale, la gente non può bere l’acqua del rubinetto. O meglio, la beve dopo averla fatta bollire con frutta e

kilate di zucchero. Vada quindi per la carica batterica, ma ai metalli i 100 °C non fanno tanto… Riporto dal sito del cdca (centro documentazione conflitti ambientali): L’attività estrattiva della miniera Yanacocha ha causato gravi impatti ambientali, economici e sociali:

inquinamento delle falde acquifere e dei corsi d’acqua superficiali a causa delle sostanze chimiche utilizzate nella lavorazione;

preoccupanti livelli di contaminazione da mercurio (nel 2000, un versamento di mercurio crea gravi problemi alla popolazione della città di Choropampa e inquina irrimediabilmente il terreno della zona);

perdita di parte della biodiversità presente: gli effetti prodotti dallo scarico di tossine, cianuro ed arsenico nei fiumi, hanno causato la scomparsa di parte della fauna ittica e degli animali che vivevano nell’area circostante la miniera;

inaridimento dei campi e perdita delle coltivazioni di sussistenza da parte della popolazione residente;- peggioramento delle condizioni di vita della popolazione nella regione, sia dal punto di vista economico che igienico-sanitario (il 77.4% della popolazione vive sotto la soglia di povertà e il 50.8% di questa in una situazione di povertà estrema);

in termini di possibilità di lavoro l’impresa non ha dato seguito alle aspettative di impiego che aveva creato tra la popolazione rurale e urbana;

la lotta portata avanti dalla popolazione contro le attività della Newton ha già causato numerosi morti e feriti nelle comunità.

problematiche relative alla terra: espropri o acquisti usando transazioni extragiudiziali poco trasparenti, pressioni, minacce Insomma, concludendo, non basta yanacocha. Adesso c’è il progetto Conga, una nuova mina. Tutto pronto. Pero stavolta la popolazione insorge, la laguna non si tocca, AGUA SI, ORO NO. Viviamo di acqua, non di

oro. Il presidente della repubblica Humala vince le elezioni con un discorso basato sulla tutela dell’acqua, “prima l’acqua, poi l’oro”. Dopo la vittoria, magicamente cambia idea, maddai adesso la mina da sviluppo e porta soldi alla popolazione. E l’acqua? Ma chissene? Il progetto Conga è stato sottoposto a una perizia internazionale di valutazione di impatto ambientale. Dovrebbero uscire a breve i risultati. Le voci dicono che Conga va. E chi aveva dubbi? Nel frattempo la mina

si compra gli analfabeti e parte di popolo, offrendo soldoni per sistemare scuole, campi sportivi… e con campagne vergognose tipo questa:

Chiaramente questo è un punto di vista, un racconto di parte, della parte NO CONGA. L’altra parte non ve la racconto, mi dilungherei ulteriormente e mi arrabbierei soltanto. Ma se volete approfondire, ci sono tante informazioni in rete. La foto iniziale risale alla grande manifestazione contro Conga di mercoledì 11 aprile, dove ha partecipato anche il presidente regionale. CHIUDO CAPITOLO CONGA

MI TRABAJO:

La vita a Cajamarca procede benissimo; la routine è stancante,la sveglia alle 6 tutte le mattine fa si che arrivi il venerdì un po’ cadavere. Però mi piace quello che faccio, la mia ora di educazione fisica tutte le mattina con dei bambini che fanno fatica perfino a stare in fila indiana (un ora per insegnargli a giocare a “un due tre stella”) mi da una bella sveglia! Poi c’è il comedor, con 7 kg di riso alla volta nella cucina a legna, e le mamme che parlano un castigliano tutto loro e mi chiamano “gringuita”, “señorita”, “Giovanita”.

Poi eccoli, ve li avevo promessi, un po’ di mattoncini. Sono dovuti; questa esperienza è forte e intensa, bella e entusiasmante, e mi piace raccontarvela in tutto e per tutto, quindi non tralascerò le parti pesanti,

quelle che mi creano certi groppi alla gola, che non si sciolgono se non dopo un po’ di pianto.

Pronti?

Il mio ruolo nella scuola è anche quello di supporto pedagogico. Che vuol dire un sacco di cose, ma che riassunto significa che accompagno i professori nella gestione di casi di bambini che stanno male, fisicamente e non solo. Racconterò di un caso che sto seguendo. Potrebbe risultare pesante, ma è cosi che stanno le cose.

I.C. è un bambino di 9 anni, ha 3 fratelli e frequenta la 2 elementare. E magari qualcuno qui rimane di stucco, ma no questo è normale, ci sono ragazzi di 17 anni in 5 elementare e 12 anni in seconda. Tutto rego.

I.C. è un niño trabajador, vende caramelle al semaforo, lavora come cobrador sul combi (cioè ritira i soldi delle corse sui minibus tipici del Peru) e canta per i turisti ai bagni dell’inca, le terme di Cajamarca. Sua madre, poco mamma in realtà, è una donna malandata e con grossi problemi si autostima. Non lavora. Fa lavorare i figli. Il padre è un uomo all’apparenza composto, che dice di lavorare alla municipalità invece fa il panettiere, e che pare abbia un’altra famiglia di nascosto.

I.C, presenta da qualche tempo un problema fisiologico, cioè non controlla gli sfinteri e si fa la cacca addosso. La madre chiede aiuto alla scuola, perché dice che il niño è cosi da quando è stato investito da una

macchina, ma che i dottori dicono che non ha nulla. Boh, come agiamo? “llevalo a la clinica, Giovanita”. Lo accompagno prima a casa sua, per poi andare alla clinica insieme a sua madre e suo padre.

Primo mattone: la “casa”. Senza pavimento, sembra una cantina. Non c’è intonaco, non ci sono finestre. Si entra da una porta di metallo in un corridoio buio, poi a sinistra c’è una stanza, piccolissima e buia, senza finestra, separata dal corridoio da un telo di plastica appeso al soffitto. Dentro la stanzetta ci sono due letti pieni di coperte sporchissime, un fornello da campeggio con due fuochi, e l’unico mobile è uno scaffaletto di plastica rotto,con qualche pentola vecchia e qualche tazza e piatto. Non c’è tavolo e non ci sono siede,

non c’è lavandino. Niente. I vestiti sono in tre sacconi di plastica a fianco di un letto. Quella è la stanza principale, li dormono i due genitori e 2 sorelline di I.C. e mangiano tutti. La scena che mi si presenta è quella della madre che pela le patate per terra di fianco al fornello e la figlia di 1 anno che prende le bucce di patata da terra e se le mette in bocca.

Secondo mattone: portiamo I.C alla clinica, lui non vuole venire. Il padre se lo compra dandogli 2 soles, con i quali I.C. si compra un gelato nella via per la clinica. Arriviamo davanti alla clinica e il bambino si blocca, senza capricci o urla, solo smette di camminare, abbassa agli occhi e chiude la bocca. Bloccato, di una paura

che lo immobilizza. E che non lo fa reagire a nulla, nemmeno ai richiami dei genitori. E che è davvero inusuale, potente. Ci rimango un po’, nel mio immaginario c’era un capriccio normale “no quiero irme al médico” (non voglio andare dal dottore), ma quel blocco palesava una paura troppo grande. Alla fine, dopo svariati tentativi, il padre lo trascina, e in un modo o nell’altro la pediatra visita I.C. , che non dice mai una

parola. Quando usciamo, lo riaccompagno a scuola. Non mi si avvicina, cammina davanti a me ma distante, la strada la conosce. Non mi parla, non mi guarda in faccia, solo cammina dritto verso al scuola. Tiene sempre 20, 30 metri di distanza, ma ogni tanto si gira, solo per accertarsi che io ci sia.

Terzo mattone: la pediatra ci consiglia una visita psicologica e una da un gastroenterologo. Dalla psicologa ci vado insieme alla madre. Prima parla con tutti e 3, anche se la situazione del niño gliela spiego io alla dottoressa perché la madre non vuole parlare. Poi parla con I.C. solo e poi parla con me separatamente, chiedendomi la situazione famigliare, i precendenti del bambino etc etc., dicendomi che da quel poco che

ha visto e ascoltato da me, questo è un caso tosto e il problema di I.C. potrebbe essere di natura psicologica. Alla riunione di equipo con i professori, riporto il tutto. La coordinatrice ci mette al corrente che la zia di I.C. è venuta a scuola per chiederci se stavamo aiutando il bambino, che in realtà non è mai stato investito, ma violato da un uomo che lo ha prelevato da casa e riportato all’una di notte. E che il suo farsi la cacca addosso potrebbe essere una reazione del suo corpo al male ricevuto. Parliamo a lungo durante la riunione. I genitori quindi lo sanno ma non dicono? E l’incidente? Decidiamo di parlarne con la

psicologa.

Quarto mattone, e poi termino: ne parlo alla psicologa, che mi dice che visto l’atteggiamento di I.C, potrebbe essere vero quello che dice la zia. Dice che bisogna denunciare il caso all’assistenza sociale. Nel frattempo a scuola arriva lo psicologo a tempo pieno, passaggio di consegna. Altra novità, lo psicologo parla con la madre di I.C, adesso la versione è che non sta male per l’incidente con la macchina , ma perché la zia (la stessa menzionata prima) lo picchia duramente e gli da calci nello stomaco.

A chi credere? In cosa credere? In una madre che preferisce far lavorare i suoi figli senza mandarli a scuola

piuttosto che rompersi la schiena lei? A un padre che mente? Alla zia?

Ieri I.C e il fratello R. non erano a scuola. Spesso mancano, dicono che è perché sono malati, invece è perché vanno a lavorare. Io e lo psicologo siamo andati a casa loro a vedere perché non erano a scuola. Dopo aver bussato più volte, ci viene incontro la madre. “I.C y R. no estan en la escuela”, diciamo. La reazione della madre? “mi avevan detto che venivano, non so dove sono” con un tono pacatissimo. E il padre dietro senza dire una parola.

E Daniela, un volontaria del manthoc, ci ha detto che li ha visti sul combi quella mattina.

Discutiamo durante la riunione sul da farsi, se chiamare l’assistenza sociale o no. Si decide di aspettare un attimo, di lavorare ancora un po’ con I.C. e seguire la parte medica. Poi se non migliora, denunceremo il

caso.

Eccolo, questo era il mio report per voi, mancano tutti dei pezzi su come questi bambini non siano seguiti nella loro educazione e siano pertanto senza valori e regole, utilizzino i soldi del loro lavoro per comprarsi caramelle piene di coloranti e conservanti invece che comprarsi materiali per la scuola, cibo sano o dei vestiti nuovi, ma queste cose traspaiono tra le righe del racconto.

Chiudo capitolo mattoni.

Lungo ma doveroso.

Riapro con più leggerezza, meno parole e più foto!

Alla scuola del manthoc c’è stata la campagna antipidocchi, con lavata di testa nel cortile per tutti i bambini! Che si sono divertiti un mondo!

E c’è il mio progetto ponte, il gemellaggio calcistico Cajamarca – associazione sportiva San Zeno!

La butto li a una riunione, allenamenti dalle 14 alle 15, il mercoledì con i bambini e il giovedì con le bambine. Ho portato perfino 2 palloni da calcio dall’Italia!!

Mi aiuta anche super Teresa, la mia collega tedesca.

E allora partiamo, la reazione è fantastica, le bambine sono lanciate, abbiamo una piccola stella, Gladis, un talento! E la squadra dei ragazzi ci da un sacco di soddisfazioni, sono esaltatissimi, non smetterebbero mai! La prossima tappa è quella di far scrivere loro dei racconti della loro realtà di bambini lavoratori, di far fare disegni e

foto e inviare tutto al San Zeno.

Siamo agli inizi, ma la partenza è positiva. Se continuano cosi presto organizzeremo delle partite con altre squadre!

Poi vi racconto i miei week end, con il sabato calcistico in una squadra femminile di una scuola superiore, con un campo pieno di buche e zolle assassine, le porte immense e un paio di pecore pascolanti e galline qui e li, con l’allenatore che arriva con il suo taxi sgangherato, sempre con una media di 40 min di ritardo!

E la domenica? Questa domenica io e Marina ci siamo svegliate presto per andare a camminare, qui ci sono le montagne ovunque! E allora si parte, si sale verso Chamiz, un paesino a 2 ore di cammino. Con Mari che si ferma a recuperare energie (reduce del sabato sera), io che ne approfitto per fermarmi a fare le foto a un maialino, che le signore mi dicono chiamarsi Peppino. Ed io che con la macchina fotografica seguo Peppino,

senza curarmi del resto, solo guardo dentro lo schermo per mettere a fuoco la bestiolina e gli cammino dietro… poi a un certo punto nello schermo compare una massa immensa rosa e nera, giusto dietro a Peppino… sua madre!! Un gigante, che stremizzi!!! Trasalgo, uno zompo indietro e le signore che si sbellicano dal ridere a vedere la scena di sta scema di gringa che segue il loro porcello per fargli un reportage fotografico e si spaventa quando vede un altro porcellino un po’ cresciutello.

Madonnaaaaaaaa!!

Comunque, la mamma di Peppino, si chiama Peppina!!

Non posso che chiuderle qui queste news, con l’allegra famigliola suina che alleggerisce tutto il contenuto politico – sociale di prima!

Di cose da scrivere ne ho ancora tante, sarà per le prossime news.

Vi abbraccio, scrivetemi.