Condominio Casi e Soluzioni
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Condominio: casi e soluzioni
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SOMMARIO
Condominio: casi e soluzioni
NOTA INTRODUTTIVA 4
AMMINISTRATORE DI CONDOMINIO 5
Nomina dell’amministratore 5
Revoca giudiziaria 6
Obbligo di iscrizione al Curit 8
ASSEMBLEA DI CONDOMINIO 9
Delibera per abbattimento e ricostruzione dell’edificio 9
Delibera per installazione di pannelli fotovoltaici 11
Soppressione servizio pulizie 13
Termini convocazione 14
CONTROVERSIE CONDOMINIALI 16
Danni da infiltrazione d’acqua 16
Notifica decreto ingiuntivo 17
ASPETTI FISCALI 19
Registro - Divisione delle parti comuni condominiali 19
Detrazione 36% 19
Ritenuta del 10% sul 36% e 55% 20
Detrazione del 36%: spese per interventi su parti condominiali 20
Ritenute d’acconto applicate da un condominio 21
Recupero edilizio 36% 21
IMPIANTI 22
Dichiarazione di conformità 22
Certificato di prevenzione incendi 24
Distacco impianto di riscaldamento 25
Installazione di antenna centralizzata 26
Impianto a gas 28
Impianto ascensore 30
Riparazione condutture del gas 31
INNOVAZIONI 34
Pavimentazione balconi 34
Installazione di stenditoio sulla terrazza condominiale 35
Sostituzione telaio finestra 38
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Installazione insegna 40
SPESE CONDOMINIALI 43
Riparazione colonna di scarico 43
Sostituzione piastrelle della terrazza 44
Servizio erogazione gas 46
Ripartizione spese pregresse in base alle tabelle millesimali 48
Facciata 50
Frontalini balconi 51
Sottotetto 52
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Immobili 24
Dossier Condominio: casi e soluzioni a cura della Redazione di
Immobili 24
Nota Introduttiva Il dossier “Il Condominio: casi e soluzioni” è una raccolta di pareri sui casi più significativi e ricorrenti sottoposti dagli abbonati. I pareri suddivisi per argomento, affrontano diversi aspetti della materia condominiale (amministrazione, spese comuni, maggioranze assembleari, innovazioni, aspetti fiscali). I pareri sono a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai. La Redazione [email protected]
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Amministratore di condominio
NOMINA DELL’AMMINISTRATORE
Quesito:
Nell’assemblea condominiale, convocata per la nomina dell’amministratore, pur essendo indicata all'ordine
del giorno la nomina dell’amministratore per dimissioni del precedente, si omette di riportare nel verbale la
nomina del nuovo amministratore. Un condomino dinnanzi alla richiesta di pagamento con decreto ingiuntivo
si oppone, adducendo il difetto di legittimazione attiva del neo amministratore. Come procedere?
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Risposta:
1. Inquadramento normativo
Art. 1136 cod. civ.: L’assemblea è regolarmente costituita con l'intervento di tanti condomini che
rappresentino i due terzi del valore dell'intero edificio e i due terzi dei partecipanti al condominio. Sono valide
le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti e almeno la
metà del valore dell'edificio. Se l'assemblea non può deliberare per mancanza di numero, l'assemblea di
seconda convocazione delibera in un giorno successivo a quello della prima e, in ogni caso, non oltre dieci
giorni dalla medesima; la deliberazione è valida se riporta un numero di voti che rappresenti il terzo dei
partecipanti al condominio e almeno un terzo del valore dell'edificio. Le deliberazioni che concernono la
nomina e la revoca dell'amministratore o le liti attive e passive relative a materie che esorbitano dalle
attribuzioni dell'amministratore medesimo, nonché le deliberazioni che concernono la ricostruzione
dell'edificio o riparazioni straordinarie di notevole entità devono essere sempre prese con la maggioranza
stabilita dal secondo comma.
Art. 63 Disp. att. cod. civ.: Per la riscossione dei contributi in base allo stato di ripartizione approvato
dall'assemblea, l'amministratore può ottenere decreto di ingiunzione immediatamente esecutivo, nonostante
opposizione.
Art. 1137 cod. civ.: 1. Le deliberazioni prese dall'assemblea a norma degli articoli precedenti sono
obbligatorie per tutti i condomini. 2. Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di
condominio ogni condomino dissenziente può fare ricorso all'autorità giudiziaria, ma il ricorso non sospende
l'esecuzione del provvedimento, salvo che la sospensione sia ordinata dall'autorità stessa. 3. Il ricorso deve
essere proposto, sotto pena di decadenza [2964 ss. ], entro trenta giorni, che decorrono dalla data della
deliberazione per i dissenzienti e dalla data di comunicazione per gli assenti.
2. Conclusioni
Innanzitutto occorre precisare che le due questioni, quella della validità della nomina del nuovo
amministratore e del diniego opposto da un condomino al pagamento di spese condominiali dovute sulla base
dell’asserita carenza di legittimazione attiva del nuovo amministratore vanno tenute distinte.
Sulla prima, osserviamo che da quanto ci viene riferito non comprendiamo se a verbale sia stato omesso i) il
nominativo del nuovo amministratore, la quale non risulti nemmeno dall’ordine del giorno, o se l’omissione
riguardi solo ii) la dichiarazione del condomino moroso. Nell’ipotesi i) dovrà provvedersi alla convocazione di
una assemblea straordinaria e quindi ad una nuova votazione, curando questa volta di inserire a verbale le
generalità dell’amministratore nominato. Nell’ipotesi ii) se la delibera di nomina è stata approvata da almeno
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la metà, oppure da un terzo, dei condomini secondo il valore millesimale dell’edificio, a seconda che
l’assemblea abbia deliberato in prima, o come avviene di solito nella prassi, in seconda convocazione, la
nomina è pienamente valida e l’amministratore così nominato - e qui veniamo alla seconda questione - potrà
presentare ricorso per ingiunzione di pagamento ex artt. 633 c.p.c. e 63 disp. att. cod. civ., per ottenere un
decreto ingiuntivo nei confronti del condomino moroso. L’eventuale eccezione, di natura processuale, di
carenza di legittimazione attiva del nuovo amministratore, di cui non comprendiamo comunque il fondamento
giuridico, riguarderà poi l’eventuale fase di cognizione piena a seguito di opposizione al decreto ingiuntivo. Il
condomino moroso potrà comunque impugnare la delibera nei modi e termini di cui all’art. 1137 cod. civ. se
ritiene che la stessa abbia violato norme di legge o del regolamento di condominio, violazioni che non
individuiamo nella omissione della sua dichiarazione a verbale che può essere imputata a mero errore
materiale e che comunque non impedisce la proponibilità del ricorso per decreto ingiuntivo da parte
dell’amministratore validamente nominato dall’assemblea di condominio.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
REVOCA GIUDIZIARIA
Quesito:
Se l'amministratore in regime di prorogatio da ormai sei mesi è stato invitato da un condomino a riconvocare
l'assemblea per la nomina dell'amministratore e non vi ha provveduto può essere revocato in sede giudiziaria
dal condomino?
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Risposta:
1. Giurisprudenza - La casistica in tema di gravi irregolarità dell’amministratore di condominio:
In tema di ricorso per la revoca dell'amministratore, promosso da alcuni condomini adducendo “fondati
sospetti di gravi irregolarità” individuati nel non avere l'amministratore medesimo convocato l’assemblea per
“la discussione sulla realizzazione di box-auto nel sottosuolo condominiale”, stante il carattere non
contenzioso del procedimento di volontaria giurisdizione, deve ritenersi inammissibile ogni statuizione
inerente alla proprietà del sottosuolo oggetto dell'intervento realizzativo delle autorimesse, presupponendo
essa l'utilizzo - piuttosto - della via contenziosa, giacché destinata ad incidere sulla estensione dei diritti
individuali dei partecipanti al condominio (Trib. Salerno Sez. I, 30-10-2007).
Il fondato sospetto di gravi irregolarità di cui all'art. 1129 c.c. ricorre in presenza di comportamenti
gravemente significativi del venir meno del necessario rapporto di fiducia tra amministratore e condomini, e
tale situazione è esclusa nel caso di lamentele attinenti a una gestione avallata dalla maggioranza
assembleare con delibere non impugnate dai condomini ricorrenti (Trib. Modena, 17-05-2007) Seppure le
gravi irregolarità di gestione che giustificano la revoca dell'amministratore, ai sensi dell'art. 1129 c.c.,
possano consistere in una gestione semplicemente anomala e non necessariamente dissennata o infedele,
una gestione cioè contraria ai principi di una sana e retta amministrazione, all'adozione di un provvedimento
così particolarmente severo nei confronti dell'amministratore condominiale si può pervenire solo all’esito di
un giudizio, in cui non solo il “fumus” delle gravi irregolarità si renda verificabile attraverso la
rappresentazione di elementi precisi e concordanti, ma quando a ciò si possa far seguire la prognosi che la
protratta permanenza nella carica dell’amministratore revocando risulti pregiudizievole per l'interesse del
condominio (Trib. Bologna Sez. III, 25-05-2006).
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2. Conclusioni
L’art. 1129, comma 3, cod. civ. indica tre ipotesi in cui un singolo condomino è legittimato a presentare
ricorso all’Autorità giudiziaria per chiedere la revoca dell’amministratore: i) se omette di dare
immediatamente notizia all’assemblea dei condomini di un atto giudiziario notificato al condominio il cui
contenuto esorbiti dalle sue attribuzioni; ii) se per due anni non ha reso il conto della sua gestione; iii) se vi
sono fondati sospetti di gravi irregolarità.
Esclusa la ricorrenza nel caso di specie delle prime due ipotesi descritte, è necessario analizzare l’estensione
della terza, al fine di poter comprendere se la mancata ottemperanza alla richiesta di convocazione
dell’assemblea su invito di un condomino possa configurarsi come una grave irregolarità.
Abbiamo visto che per “grave irregolarità” si deve intendere l’esecuzione da parte dell’amministratore di
comportamenti tale da far venir meno il rapporto fiduciario con i condomini e comunque contrari ai principi di
una retta e fedele amministrazione.
Quindi, in estrema sintesi, nel caso che ci occupa l’amministratore aveva l’obbligo di convocare l’assemblea ?
Osserviamo sul punto che l’art. 66 delle Disposizioni di attuazione del codice civile così recita: “L’assemblea,
oltre che annualmente in via ordinaria per le deliberazioni indicate dall'art. 1135 del codice, può essere
convocata in via straordinaria dall'amministratore quando questi lo ritiene necessario o quando ne è fatta
richiesta da almeno due condomini che rappresentino un sesto del valore dell'edificio. Decorsi inutilmente
dieci giorni dalla richiesta, i detti condomini possono provvedere direttamente alla convocazione. In
mancanza dell'amministratore, l’assemblea tanto ordinaria quanto straordinaria può essere convocata a
iniziativa di ciascun condomino. L' avviso di convocazione deve essere comunicato ai condomini almeno
cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza”.
Applicando detti principi di diritto alla fattispecie sottoposta deduciamo quindi che quando vi è
l’amministratore di condominio, seppure in regime di prorogatio, la richiesta di un solo condomino non è
sufficiente per convocare l’assemblea, essendo necessario che l’istanza provenga da almeno due condomini
che rappresentino almeno 1/6 del valore millesimale dell’edificio. Pertanto, riteniamo che l’amministratore,
salvo che il contratto di mandato che lo lega al condominio stabilisca diversamente, si sia comportato
diligentemente in perfetta conformità con il dettato normativo. Infatti, costituisce approdo interpretativo
consolidato dei giudici di legittimità il principio secondo cui durante il periodo della c.d. prorogatio
l’amministratore di condominio conserva tutti i poteri che aveva in costanza di mandato. Ciò fin quando non
viene nominato un sostituto: “La disposizione dell’art. 1129 c.c., secondo la quale l’amministratore nel
condominio degli edifici dura in carica un anno, non sancisce una decadenza ope legis e non esclude,
pertanto, né la tacita riconferma di anno in anno, per effetto della mancata nomina di altro amministratore,
né la proroga dei poteri di rappresentanza dell'amministratore fino alla sua sostituzione con altro
amministratore da parte dell'assemblea dei condomini o del giudice (Cass. civ. Sez. II, 24-01-1994, n. 705).
“L’amministratore di un condominio, anche dopo la cessazione della carica per scadenza del termine di cui
all’art. 1129 cod. civ., conserva ad interim i poteri conferitigli dalla legge, dall’assemblea o dal regolamento
di condominio e può continuare ad esercitarli fino a che non sia sostituito con un altro amministratore” (Cass.
n. 7256/86); “Il principio secondo cui l’amministratore di condominio, anche dopo la cessazione della carica
(art. 1129 c.c.) o per dimissioni, conserva ad interim i suoi poteri e può continuare ad esercitarli fino a che
non sia sostituito, non può trovare applicazione, quando risulti che i condomini, con espressa delibera
assembleare, siano contrari alla conservazione dei poteri di gestione da parte dell’amministratore cessato
dall’incarico” (Cass. n. 1445/93).
In conclusione, quindi, per le esposte ragioni, riteniamo che l’interrogativo posto dal richiedente meriti
risposta negativa, in quanto, in estrema sintesi: l’amministratore ha agito nel pieno rispetto della legge e del
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mandato conferitogli e non ha quindi commesso alcuna irregolarità, né lieve né grave. Non vi sono pertanto
gli estremi per fondare un ricorso all’Autorità giudiziaria per ottenere la revoca dell’amministratore de quo.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
OBBLIGO DI ISCRIZIONE AL CURIT
Quesito:
E' vero che un amministratore deve essere iscritto al CURIT (Catasto Unico Regionale Impianti Termici) se
amministra un condominio con riscaldamento centralizzato?
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Risposta:
L’interrogativo sottoposto merita risposta affermativa.
Nella delibera n.8355 del 5.11.2008 la Giunta Regionale della Lombardia ha stabilito che “L’amministratore di
condominio, in caso di impianto centralizzato è, a tutti gli effetti, a meno di nomina di un soggetto terzo, da
considerarsi responsabile dell’impianto per l’esercizio e la manutenzione. Pertanto è tenuto i) a trasmettere
all’Ente locale competente la propria nomina di amministratore di condominio sottoscritta nell’arco di un
mese solare entro e non oltre la fine del mese successivo al mese in cui è avvenuta la sottoscrizione; ii) allo
stesso Ente con la tempistica di cui sopra le eventuali revoche o dimissioni dall’incarico, nonché eventuali
variazioni sia di consistenza che di titolari dell’impianto. Le comunicazioni di cui sopra devono avvenire
mediante l’utilizzo dello schema “L” allegato alla dgr 5117/2007 e successive modifiche. Le suddette
comunicazioni, oltre che nel formato cartaceo, devono essere trasmesse all’Ente locale competente,
direttamente o attraverso le strutture dei CAIT presenti sul territorio, anche in via telematica tramite il
Catasto Unico Regionale degli Impianti Termici”.
Quindi successivamente il Legislatore regionale con la legge n.10/2009, all’art.1 d), ha sancito che
“L’amministratore di condominio servito da impianto di riscaldamento centralizzato che, entro i termini e
secondo le modalità stabilite dalla Giunta regionale ai fini dell’istituzione e gestione del catasto degli impianti
termici, omette di comunicare la propria nomina al comune o alla provincia, sulla base della competenze
previste rispettivamente dagli articoli 27, comma 1 lettera d e 28 comma 1 lettera c , della l.r. 26/2003,
incorre nella sanzione amministrativa da € 100,00 a € 600,00”.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
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Assemblea di condominio
DELIBERA PER ABBATTIMENTO E RICOSTRUZIONE DELL’EDIFICIO
Quesito:
Un condominio che amministro, a seguito di una verifica statica, è stato dichiarato dal comune di
Manfredonia (Fg) inagibile. Con ordinanza sindacale si è disposto lo sgombero dello stesso. Oggi, grazie al
piano casa, il comune ha approvato il progetto di demolizione e ricostruzione dell’edificio concedendo
l’incremento di volumetria (35%) e di altezza. I quesiti che vi pongo sono i seguenti:
- Con quale maggioranza il condominio può deliberare l’abbattimento e la ricostruzione dell’edificio? Certo
l’art. 1136 cc prevede che la ricostruzione di un edificio possa essere deliberata con la maggioranza degli
intervenuti all’assemblea e la metà del valore dell’edificio, ma nel caso si debba deliberare la demolizione
dell’edificio si potrà procedere con la stessa maggioranza e, se si, in base a quale principio? (si consideri che
l’edificio, allo stato attuale, si presenta integro in tutte le sue parti);
- in considerazione del fatto che il condominio ha deliberato l’abbattimento e, contestualmente, la sua
ricostruzione e l’assegnazione agli attuali condòmini delle rispettive nuove unità il condominio continuerà ad
esistere nonostante l’edificio sia stato demolito e, se così fosse in base a quale principio?
- il fatto che l’art. 1136 al quarto comma preveda la possibilità di deliberare la ricostruzione dell’edificio,
implicitamente statuisce che, se quand’anche non dovesse essere materialmente esistente l’edificio in quanto
crollato per fatti indipendenti dalla volontà dei condòmini, o, come nel caso in esame, demolito a seguito di
una decisione assembleare resasi necessaria per provate carenze statiche, il condominio continui ad esistere
e, conseguentemente, potranno e dovranno essere applicate tutte le norme del Cc contenute nel Capo
secondo del Titolo settimo?
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Risposta:
1. Inquadramento normativo
Art. 1108, comma 3, cod. civ.: E' necessario il consenso di tutti i partecipanti per gli atti di alienazione o di
costituzione di diritti reali sul fondo comune e per le locazioni di durata superiore a nove anni.
Art. 1111 cod. civ.: Ciascuno dei partecipanti può sempre domandare lo scioglimento della comunione;
l'autorità giudiziaria può stabilire una congrua dilazione, in ogni caso non superiore a cinque anni, se
l'immediato scioglimento può pregiudicare gli interessi degli altri.
Il patto di rimanere in comunione per un tempo non maggiore di dieci anni è valido e ha effetto anche per gli
aventi causa dai partecipanti. Se è stato stipulato per un termine maggiore, questo si riduce a dieci anni.
Se gravi circostanze lo richiedono, l'autorità giudiziaria può ordinare lo scioglimento della comunione prima
del tempo convenuto.
Art. 1128 cod. civ.: Se l'edificio perisce interamente o per una parte che rappresenti i tre quarti del suo
valore, ciascuno dei condomini può richiedere la vendita all'asta del suolo e dei materiali, salvo che sia stato
diversamente convenuto.
Nel caso di perimento di una parte minore, l'assemblea dei condomini delibera circa la ricostruzione delle
parti comuni dell'edificio, e ciascuno è tenuto a concorrervi in proporzione dei suoi diritti sulle parti stesse.
L'indennità corrisposta per l'assicurazione relativa alle parti comuni è destinata alla ricostruzione di queste.
Il condomino che non intende partecipare alla ricostruzione dell'edificio è tenuto a cedere agli altri condomini
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i suoi diritti, anche sulle parti di sua esclusiva proprietà, secondo la stima che ne sarà fatta, salvo che non
preferisca cedere i diritti stessi ad alcuni soltanto dei condomini.
Art. 1136, comma 4, cod. civ.: Le deliberazioni che concernono la nomina e la revoca dell'amministratore o le
liti attive e passive relative a materie che esorbitano dalle attribuzioni dell'amministratore medesimo, nonché
le deliberazioni che concernono la ricostruzione dell'edificio o riparazioni straordinarie di notevole entità
devono essere sempre prese con la maggioranza stabilita dal secondo comma.
2. Giurisprudenza
§ Sull’estinzione del condominio in ipotesi di perimento totale dell’edificio:
Il perimento, totale o per una parte che rappresenti i tre quarti dell'edificio condominiale, determina
l'estinzione del condominio per mancanza dell'oggetto, in quanto viene meno il rapporto di servizio tra le
parti comuni mentre permane tra gli ex condomini soltanto una comunione "pro indiviso" dell'area di risulta,
potendo la condominialità essere ripristinata solo in caso di ricostruzione dell'edificio in modo del tutto
conforme al precedente. Ne consegue che, in caso di ricostruzione difforme, la nuova costruzione sarà
soggetta esclusivamente alla disciplina dell'accessione e la sua proprietà apparterrà ai comproprietari
dell'area di risulta in proporzione delle rispettive quote. (Nella fattispecie, riguardante un palazzo andato
distrutto a causa dei bombardamenti nell'ultimo conflitto bellico, la Corte ha confermato la pronuncia di
secondo grado che aveva escluso il diritto alla sopraelevazione in capo ad uno dei comproprietari, perché la
nuova costruzione era stata edificata con un piano in meno rispetto alla precedente, e non poteva applicarsi il
regime giuridico del condominio) (Cass. civ. Sez. II Sent., 20-05-2008, n. 12775).
In ipotesi di perimento totale di edificio condominiale, viene a determinarsi l'estinzione del condominio, come
dei diritti reali esclusivi sulle singole porzioni immobiliari, residuando un regime di comunione "pro indiviso"
tra gli ex condomini sull'area di risulta in ragione dell'entità della quota a ciascuno di essi appartenente
sull'edificio distrutto. Ove sia poi operata la ricostruzione dell'edificio, in modo notevolmente difforme dal
precedente, per il principio dell'accessione deve ritenersi, salvo contrario accordo scritto preventivo, che
ciascuno dei comunisti venga ad acquistare la proprietà di una quota ideale di esso corrispondente a quella
spettantegli sul suolo (Trib. Nocera Inferiore Sez. II, 06-03-2005).
Nella ipotesi di perimento di un edificio in condominio, quest'ultimo viene meno, e permane soltanto la
comunione sul suolo, con la conseguenza che, ove il fabbricato venga ricostruito in maniera conforme a
quello preesistente, il condominio stesso si ripristina, mentre, qualora esso venga ricostruito in maniera
difforme, il condominio non rinasce, e quanto edificato costituisce, invece, un'opera realizzata su suolo
comune, come tale soggetta alla disciplina dell'accessione, e, quindi, da attribuire secondo le quote originarie
ai comproprietari del suolo. La deroga a tali principi richiede "ad substantiam" la forma scritta ai sensi
dell'art. 1350 c.c. (Cass. civ. Sez. I, 23-02-1999, n. 1543).
La distruzione di un edifico fa venir meno il diritto esclusivo dei diversi proprietari sui singoli appartamenti; e
dunque sopravvive solo la comunione di proprietà dell'area. Ove - poi - si proceda alla ricostruzione sull'area,
non si forma un condominio, ma una comunione sull'edificio realizzato. Il condominio nasce solo quando i
comunisti individuano gli appartamenti di proprietà esclusiva di ciascuno di essi, con un'operazione negoziale
che assume la portata di una vera e propria divisione, la quale andrà - pertanto - soggetta ad imposta
proporzionale di registro e ad Invim (Cass. civ. Sez. I, 16-12-1996, n. 11201).
Nel caso di perimento di una parte dell'edificio che rappresenti meno dei tre quarti del suo valore,
l'assemblea condominiale, mentre sarebbe tenuta a deliberare la ricostruzione, rimane pur sempre libera di
decidere, nella pienezza dei suoi poteri discrezionali, <circa> la medesima (come testualmente si esprime il
2° comma dell'art. 1128 c.c.), e cioè sulle concrete modalità (tecniche, statiche ed estetiche), sui tempi e
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sulle spese della ricostruzione, tanto che l'art. 1136 c.c. richiede all'uopo espressamente una maggioranza
qualificata, senza che il giudice possa egli stesso ordinare la ricostruzione delle parti comuni perite,
sindacando il merito, l'opportunità e l'equità della deliberazione (Trib. Milano, 14-09-1992).
3. Conclusioni
L’abbattimento e la ricostruzione totale dell’edificio deve a nostro avviso essere deliberata all’unanimità e non
con la maggioranza di cui all’art. 1136 comma 4 cod. civ., applicabile solo per perimento parziale inferiore ai
tre quarti dell’edificio. Ciò in quanto la demolizione dà luogo a perimento totale dell’edificio e quindi ad
estinzione del condominio per mancanza dell’oggetto. E’ necessario pertanto che tale decisione abbia il
consenso di tutti i condomini, come accade per l’alienazione di beni comuni. Questa appare la soluzione più
aderente con la ratio legis dell’impianto normativo delineato al paragrafo 1, come interpretato alla luce degli
approdi giurisprudenziali riprodotti al paragrafo 2. Tuttavia, anche l’approvazione dell’intervento demolitorio-
ricostruttivo a maggioranza ex art. 1136, comma 4, potrebbe essere ritenuta comunque legittima in quanto
avente un suo puntello giuridico, costituito dall’utilizzo da parte del Legislatore del termine “ricostruzione
dell’edificio”.
Sulle conseguenze della demolizione abbiamo già detto: il condominio si estingue e la comunione si
trasferisce sull’area e poi sull’edificio risultante dalla ricostruzione. Per quanto riguarda la rinascita del
condominio, anche in questo caso la delibera che dispone l’assegnazione delle unità immobiliari risultanti
dalla ricostruzione ai singoli comunisti (ex condomini) deve essere adottata all’unanimità, trattandosi di
divisione della comunione dell’erigendo edificio. Inoltre tale accordo deve essere formalizzato in un atto
negoziale sottoscritto da tutti i condomini. Ricordiamo, infatti, che l’art. 1350 n. 11) cod. civ. stabilisce che
devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata gli atti di divisione di beni immobili e di altri diritti reali
immobiliari. L’atto dovrà poi essere trascritto presso la competente Conservatoria dei Registri Immobiliari ai
sensi dell’art. 2646 cod. civ.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
DELIBERA PER INSTALLAZIONE DI PANNELLI FOTOVOLTAICI
Quesito:
Per l’installazione di pannelli fotovoltaici su lastrico condominio per la durata di 20 anni, quale maggioranza
assembleare è richiesta?
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Risposta:
1. Inquadramento normativo
Art. 1120, comma 1, cod. civ.: “I condomini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell'articolo
1136, possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior
rendimento delle cose comuni”.
Art. 1123, comma 1, cod. civ.: “Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti
comuni dell'edificio per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla
maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno,
salvo diversa convenzione”.
Art. 1137, comma 1, cod. civ.: “Le deliberazioni prese dall’assemblea a norma degli articoli precedenti sono
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obbligatorie per tutti i condomini”.
2. Giurisprudenza
§ Sulla nozione giuridica di innovazione:
“L'art. 1136 c.c., al comma V, statuisce che le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni previste dal
primo comma dell'art. 1120 c.c. devono essere sempre approvate con un numero di voti che rappresenti la
maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell'edificio. Presupposto per l’applicazione
di tale disposto normativo è che la delibera condominiale abbia ad oggetto una innovazione, sicché
preliminare è la decodificazione di tale nozione. E’ noto che per innovazione in senso tecnico-giuridico debba
intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solo quella modificazione
materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, onde le modificazioni che
mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lascino immutate la
consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono
definirsi innovazioni nel senso suddetto. Sempre nell'ottica dei diritti/doveri dei condomini quali
comproprietari delle parti comuni dell'edificio, ciascun condomino ha il diritto - dovere di vigilare e
provvedere al relativo mantenimento delle cose comuni. Sicché, se le opere necessarie al mantenimento o
alla ricostruzione della cosa comune non sono deliberate o vi è stata una delibera negativa, ciascuno dei
condomini ha il diritto di agire in giudizio per la condanna del Condominio all'adempimento dell'obbligo
comune di fare. Tale obbligo, in caso di accoglimento della domanda deve essere assolto dall’amministratore
con la cooperazione di tutti i condomini” (Trib. Salerno Sez. I, 27-10-2009).
“In tema di condominio negli edifici, la differenza tra modifica ed innovazione consiste nella diversa entità e
qualità dell'incidenza della nuova opera sulla consistenza e sulla destinazione della cosa comune. Pertanto,
per innovazione in senso tecnico-giuridico deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della
cosa comune, ma solamente la modificazione materiale che ne muti l'entità sostanziale o la destinazione
originaria, mentre le modificazioni che mirano a perfezionare o a rendere più comodo il godimento della cosa
comune, lasciandone immutate la consistenza e la destinazione, non possono definirsi innovazioni nel senso
suddetto” (Trib. Chieti, 14-07-2008).
“In tema di condominio negli edifici, per innovazione in senso tecnico-giuridico, vietata ai sensi dell'art. 1120
c.c., deve intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solamente quella
modificazione materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, mentre le
modificazioni che mirino a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lascino
immutate la consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non
possono definirsi innovazioni nel senso suddetto” (Cass. civ. Sez. II, 19-01-2005, n. 1076).
3. Conclusioni
L’installazione di pannelli fotovoltaici sul lastrico solare costituisce una innovazione in senso giuridico e deve
essere approvata dall’assemblea a maggioranza dei due terzi del valore millesimale dell’edificio. Ne consegue
in tal caso l’obbligo di tutti i condomini di contribuire alla spesa secondo le rispettive quote millesimali, salvo
diversa convenzione, ovvero accordo, fra costoro.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
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SOPPRESSIONE SERVIZIO PULIZIE
Quesito
Quale maggioranza assembleare è richiesta per la soppressione del servizio di pulizia e il licenziamento del
pulitore?
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Risposta:
1. Inquadramento normativo
Art. 1123, comma 1, cod. civ.: Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti
comuni dell'edificio per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla
maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno,
salvo diversa convenzione.
Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione
dell'uso che ciascuno può farne.
Qualora un edificio abbia più scale, cortili, lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte
dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condòmini che ne
trae utilità.
Art. 1136 cod. civ.: L'assemblea è regolarmente costituita con l'intervento di tanti condomini che
rappresentino i due terzi del valore dell'intero edificio e i due terzi dei partecipanti al condominio.
Sono valide le deliberazioni approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza degli intervenuti
e almeno la metà del valore dell'edificio.
Se l'assemblea non può deliberare per mancanza di numero, l'assemblea di seconda convocazione delibera in
un giorno successivo a quello della prima e, in ogni caso, non oltre dieci giorni dalla medesima; la
deliberazione è valida se riporta un numero di voti che rappresenti il terzo dei partecipanti al condominio e
almeno un terzo del valore dell'edificio.
Le deliberazioni che concernono la nomina e la revoca dell'amministratore o le liti attive e passive relative a
materie che esorbitano dalle attribuzioni dell'amministratore medesimo, nonché le deliberazioni che
concernono la ricostruzione dell'edificio o riparazioni straordinarie di notevole entità devono essere sempre
prese con la maggioranza stabilita dal secondo comma.
Le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni previste dal primo comma dell'articolo 1120 devono
essere sempre approvate con un numero di voti che rappresenti la maggioranza dei partecipanti al
condominio e i due terzi del valore dell'edificio.
L'assemblea non può deliberare, se non consta che tutti i condomini sono stati invitati alla riunione.
Delle deliberazioni dell'assemblea si redige processo verbale da trascriversi in un registro tenuto
dall'amministratore.
Art. 1138, comma 3, cod. civ.: Il regolamento deve essere approvato dall'assemblea con la maggioranza
stabilita dal secondo comma dell'articolo 1136 e trascritto nel registro indicato dall'ultimo comma dell'art.
1129. Esso può essere impugnato a norma dell'articolo 1107.
2. Giurisprudenza
Qualora un servizio condominiale (nella specie: portierato) sia previsto nel regolamento di condominio, la sua
soppressione comporta una modificazione del regolamento che deve essere approvata dall'assemblea con la
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maggioranza stabilita dall'art. 1136, comma 2, c.c. (maggioranza degli intervenuti che rappresentino almeno
la metà del valore dell'edificio) (Cass. civ. Sez. II, 29-03-1995, n. 3708).
3. Conclusioni
Dal combinato disposto delle disposizioni riprodotte al paragrafo 1 si deduce che la soppressione del servizio
di pulizia ed il licenziamento del pulitore devono essere approvati dall’assemblea con le maggioranze indicate
dai commi 2 e 3 dell’art. 1136 cod. civ., a seconda che l’assemblea deliberi in prima o in seconda
convocazione, se tale servizio non è previsto dal regolamento di condominio. Diversamente, se il servizio è
previsto come obbligatorio, sarà necessaria la maggioranza indicata dal comma 2 del medesimo articolo,
analogamente a quanto affermato dalla giurisprudenza per il servizio di portierato.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
TERMINI CONVOCAZIONE
Quesito:
L'assemblea condominiale convocata entro 10 giorni dalla richiesta del condomino, ai sensi dell'art. 66 disp.
att. c.c.., può essere fissata ad una data superiore al mese dalla convocazione? Se sì gradirei conoscere
eventuali limiti di tempo se esistenti.
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Risposta:
1. Inquadramento normativo
Art. 66 Disp. att. cod. civ.: “L'assemblea, oltre che annualmente in via ordinaria per le deliberazioni indicate
dall'art. 1135 del codice, può essere convocata in via straordinaria dall'amministratore quando questi lo
ritiene necessario o quando ne è fatta richiesta da almeno due condomini che rappresentino un sesto del
valore dell'edificio. Decorsi inutilmente dieci giorni dalla richiesta, i detti condomini possono provvedere
direttamente alla convocazione. In mancanza dell'amministratore, l'assemblea tanto ordinaria quanto
straordinaria può essere convocata a iniziativa di ciascun condomino. L'avviso di convocazione deve essere
comunicato ai condomini almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza”.
2. Giurisprudenza
In tema di convocazione dell’assemblea condominiale, il termine di cui all'art. 66 disp. att. c.c. decorre non
dal giorno in cui è stato inviato l'avviso di convocazione dell'assemblea condominiale ma dalla data in cui,
detta comunicazione, è stata effettivamente ricevuta da tutti i condomini (Trib. Roma Sez. V Sent., 09-06-
2009).
In tema di convocazione dell’assemblea condominiale, posto che nel computo dei termini a giorni di cui
all’art. 66, comma terzo, disp. att. c.c., si deve escludere il giorno iniziale, mentre si calcola quello finale, il
termine di cinque giorni prima dell’adunanza stabilito per la comunicazione dell’avviso di convocazione deve
essere calcolato a ritroso, partendo dal giorno immediatamente precedente a quello della riunione, e si
riferisce a giorni non liberi. In ogni caso, la convocazione dei condomini per l’assemblea condominiale può
avvenire con qualunque mezzo a ciò idoneo senza che l’avviso di convocazione sia stato materialmente
consegnato a ciascun condomino, sebbene ricada poi sul Condominio l’onere di dimostrare il rispetto dei
termini previsti dalla legge in ordine alla tempestività dell’avviso di convocazione. Nel caso di specie, sebbene
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il testimone confermi che l’avviso di convocazione avveniva personalmente da parte dell’amministratore,
tramite chiamata citofonica e conseguente immissione degli avvisi di convocazione nelle cassette delle lettere
dei rispettivi condomini, non risulta agli atti dimostrata la tempestività di detta convocazione. Ciò posto, alla
luce delle emergenze istruttorie e in accoglimento della domanda svolta da parte attrice, la delibera
condominiale in tal modo assunta in data viene integralmente annullata (Trib. Monza Sez. I Sent., 09-09-
2008)
In tema di condominio degli edifici, non é previsto alcun obbligo di forma per l'avviso di convocazione
dell'assemblea, sicché la comunicazione può essere fatta anche oralmente, in base al principio della libertà
delle forme, salvo che il regolamento non prescriva particolari modalità di notifica del detto avviso; deve,
quindi, ritenersi legittima la prassi, precedentemente non contestata, in base alla quale l'avviso di
convocazione dell'assemblea condominiale, destinato ad un condomino non abitante nell'edificio
condominiale, venga consegnato ad altro condomino, congiunto del primo. (Nella specie, la S.C., in
applicazione del riportato principio, ha ritenuto regolare l'avvenuta consegna dell'avviso di convocazione al
detto congiunto, essendo l'atto, così recapitato, pervenuto nella sfera di normale e abituale conoscibilità del
destinatario e, pertanto, oggettivamente da quest'ultimo conoscibile con l'uso della normale diligenza, sua e
del consegnatario designato, conformemente alla clausola generale di buona fede) (Cassa e decide nel
merito, App. Bari, 30 Giugno 2003) (Cass. civ. Sez. II Sent., 01-04-2008, n. 8449).
3. Conclusioni
Il Legislatore non fissa un termine massimo tra la comunicazione dell’avviso di convocazione e la riunione
dell’assemblea, limitandosi a stabilire solo il termine minimo di cinque giorni, quindi in linea teorica essa
potrebbe svolgersi anche un mese dopo la convocazione. Tuttavia il tenore letterale dell’art. 66 Disp. att.
cod. civ. appare disvelare a chiare note la volontà del Legislatore di voler garantire una delibera assembleare
nel più breve tempo possibile per salvaguardare gli interessi dei condomini che hanno richiesto la
convocazione in via straordinaria. Sotteso al dato testuale della norma è infatti il requisito dell’urgenza che
deve essere necessariamente perseguito, altrimenti non avrebbe senso la stessa norma, che è stata
introdotta per consentire a ciascun condomino la possibilità di ottenere una riunione in tempi brevi.
Tenere l’adunanza oltre un mese dopo la convocazione rischia di ledere i diritti e gli interessi a tutela dei quali
i richiedenti hanno richiesto la convocazione in via straordinaria, ovvero urgente, dell’assemblea, esponendo
il condominio al rischio di eventuali azioni risarcitorie.
Queste sono tuttavia considerazioni astratte e di mero principio, le uniche possibili dal momento che non
conosciamo l’oggetto della riunione straordinaria. Si consiglia pertanto di applicare i richiamati principi
generali alla fattispecie concreta e quindi valutare i possibili rischi derivanti dall’effettuazione dell’adunanza in
tempi certamente non brevi rispetto alla convocazione ed alla richiesta.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
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Controversie condominiali
DANNI DA INFILTRAZIONI D’ACQUA
Quesito:
Ho citato in giudizio il Condominio perché il mio appartamento, situato all'ultimo piano del fabbricato, è stato
danneggiato dalle infiltrazione di acqua piovana provenienti dalla copertura. L'atto di citazione è successivo al
ricorso di natura cautelare, da me promosso, che si è concluso con la condanna del condominio al rifacimento
totale del tetto. Successivamente alla conclusione del giudizio cautelare, un appartamento è stato venduto,
chi tra i due proprietari deve essere convocato nell'assemblea che deciderà se resistere o no in giudizio? A chi
dovranno essere imputate tutte le spese?
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Risposta:
1. Inquadramento normativo
Art. 63, comma 2, Disp. att. cod. civ.: Chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato, solidalmente con
questo, al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente.
Art. 66, comma 3, Disp. att. cod. civ.: L’avviso di convocazione deve essere comunicato ai condomini almeno
cinque giorni prima della data fissata per l’adunanza.
2. Giurisprudenza
§ Sulla necessità di inviare l’avviso di convocazione ai soli condomini:
In tema di condominio degli edifici, conformemente all'art. 1136 c.c., secondo cui l'assemblea non può
deliberare se non risulta che tutti i condomini siano stati invitati alla riunione, ogni condominio ha il diritto di
intervenire all'assemblea e, conseguentemente, deve essere messo in condizione di poterlo fare. Di talché, è
necessario che l'avviso di convocazione previsto dall'art. 66, comma 3, disp. att. c.c. sia non solo inviato ma
anche ricevuto nel termine ivi previsto, ovvero almeno cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza.
Ne deriva che il predetto avviso deve essere comunicato cinque giorni prima della data fissata per l'adunanza
e non, semplicemente, inviato in tale termine (Trib. Genova Sez. III, 05-05-2010).
In tema di condominio, una volta perfezionatosi il trasferimento della proprietà di un'unità immobiliare,
l'alienante perde la qualità di condomino e non è più legittimato a partecipare alle assemblee, potendo far
valere le proprie ragioni sul pagamento dei contributi dell'anno in corso o del precedente, solo attraverso
l'acquirente che gli è subentrato. Ne consegue che non può essere chiesto ed emesso nei suoi confronti
decreto ingiuntivo ai sensi dell'articolo 63 disp. att. cod. proc. civ. per la riscossione dei contributi
condominiali, atteso che la predetta norma di legge può trovare applicazione soltanto nei confronti di coloro
che siano condomini al momento della proposizione del ricorso monitorio (Cass. civ. Sez. II Sent., 09-09-
2008, n. 23345).
§ Sulla ripartizione delle spese fra vecchio e nuovo proprietario:
Ai sensi dell'art. 63, comma 2°, disp. att. c.c., l'acquirente dell'unità immobiliare in proprietà esclusiva è
solidalmente obbligato con l'alienante “per il pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e a quello
precedente”. Siffatta solidanza è espressione del c.d. principio dell'“ambulatorietà passiva” che al fine di
apportare all'ente di gestione condominiale una specifica garanzia per il conseguimento dei propri crediti
gestori, lascia intatto, nei rapporti tra dante causa ed avente causa della pertinente unità immobiliare, il
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principio della personalità che radica, in capo a ciascuno, il debito sorto in costanza della relativa titolarità
dominicale si da consentire a colui che, in ragione di tale solidanza, abbia soddisfatto verso il condominio un
debito sorto antecedentemente al suo acquisto, il diritto a rivalersi nei confronti del vero obbligato personale
(Tribunale Civile di Roma, Sezione V, Sentenza 29 gennaio 2010).
3. Conclusioni
Per quanto riguarda il primo interrogativo riteniamo non possano esservi dubbi che l’avviso di convocazione
vada spedito all’attuale proprietario, in quanto solo costui riveste la qualità di condomino. Infatti, è tale
pacificamente colui che vanta la titolarità di un diritto di proprietà su una o più unità immobiliari poste
all’interno dell’edificio ed è per l’effetto automaticamente comproprietario delle parti comuni.
Sul secondo interrogativo, osserviamo che dando ingresso in questa sede all’approdo ermeneutico (riprodotto
al paragrafo precedente) della più recente giurisprudenza di merito pronunciatasi sull’interpretazione del
citato art. 63, comma 2 , se ne deduce che le spese legali per la costituzione nel giudizio di merito, che
ancora deve essere deliberato dall’assemblea e che quindi ancora devono sorgere, dovranno gravare
interamente sul nuovo proprietario, mentre quelle relative al procedimento cautelare dovranno essere
sopportate integralmente dal vecchio proprietario, in quanto l’obbligazione di pagamento è legata alla
titolarità del diritto dominicale sull’unità immobiliare compravenduta nel momento in cui sorge l’obbligazione
medesima, fermo restando che il condominio è legittimato a domandare il pagamento di entrambe le voci al
nuovo proprietario in virtù del principio di solidarietà ed ambulatorietà passiva dell’obbligazione derivante dal
pagamento di contributi condominiali di cui al citato art. 63, comma 2.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
NOTIFICA DECRETO INGIUNTIVO
Quesito:
Un creditore ha notificato al Condominio un decreto ingiuntivo per il recupero delle somme dovute.
L'amministratore può non comunicare la notifica del decreto ingiuntivo ai condomini che hanno pagato la loro
quota?
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Risposta:
1. Giurisprudenza
L’amministratore convenuto in giudizio da un terzo o da un condomino è tenuto a darne senza indugio notizia
all’assemblea dei condomini solo quando la citazione abbia un contenuto che esorbita dalle sue attribuzioni
così come delineate dall’art. 1130 c.c. (Cass. civ. Sez. II, 02-03-1998, n. 2259).
Ai sensi dell'art. 1131 c.c. l'amministratore di un condominio è tenuto a dare notizia ai singoli condomini della
citazione nei soli casi in cui il giudizio di cui si tratta esuli dalle sue attribuzioni, il che è escluso, quando si
tratti di danni da infiltrazioni provenienti dalle parti comuni di un edificio (Trib. Salerno, 22-07-2009).
2. Conclusioni
L’art. 1131 cod. civ. stabilisce che l’amministratore di condominio “ … può essere covenuto in giudizio per
qualunque azione concernente le parti comuni dell’edificio; a lui sono notificati i provvedimenti dell’autorità
amministrativa che si riferiscono allo stesso oggetto. Qualora la citazione o il provvedimento abbiano un
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contenuto che esorbita dalle attribuzioni dell’amministratore, questi è tenuto a darne senza indugio notizia
all’assemblea dei condomini. L’amministratore che non adempie a quest’obbligo può essere revocato ed è
tenuto al risarcimento dei danni”.
Ciò precisato, consigliamo innanzitutto di verificare se l’oggetto del credito azionato rientri tra le materie di
competenza dell’amministratore secondo il regolamento di condominio ed in ipotesi negativa di comunicare a
tutti i condomini a mezzo raccomandata a/r (o anche fax), o anche nella prossima assemblea di condominio
se l’adunanza è fissata entro qualche giorno, del decreto ingiuntivo notificato al condominio al fine di
scongiurare qualsiasi rischio. Precisiamo inoltre che la decisione di instaurare o meno il giudizio di
opposizione a decreto ingiuntivo non rientra tra gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni di cui
all’art. 1130 n.4) cod. civ.
In conclusione, in estrema sintesi, riteniamo che, salvo che il regolamento di condominio disponga
diversamente e ricomprenda tra le attribuzioni dell’amministratore l’oggetto del credito fatto valere dal terzo,
l’amministratore sia tenuto a comunicare a tutti i condomini, nessuno escluso, che è stato notificato al
condominio un decreto ingiuntivo.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
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Aspetti fiscali
REGISTRO - DIVISIONE DELLE PARTI COMUNI CONDOMINIALI
Quesito:
Qual è il trattamento ai fini dell'imposta di registro della divisione delle parti comuni condominiali ai singoli
condomini?
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Risposta:
La R.M. 16.11.2007, n. 334/E ha fornito precisazioni in merito all'imposta di registro applicabile nel caso in
cui i condomini di un fabbricato, come nel caso in questione, vogliano attribuire in proprietà esclusiva a
ciascuno di essi, senza alcun conguaglio in denaro, alcuni beni che costituiscono parti comuni del condominio.
Quando al condomino sono assegnati beni per un valore complessivo non eccedente quello a lui spettante
sulla massa comune, la divisione ha natura meramente dichiarativa e sul valore dei beni assegnati
corrispondente alla sua quota di diritti si applica l'imposta di registro proporzionale con aliquota dell'1%.
L'eventuale parte eccedente è considerata vendita e nel caso in cui l'assegnazione divisionale dei beni superi
di una percentuale maggiore del 5% il valore della quota di diritto, tale eccedenza è soggetta all'imposta con
l'aliquota stabilita per i trasferimenti.
(Quesito tratto dalla rivista “La Settimana Fiscale - Quesiti”, Il Sole 24 Ore, 1 ottobre 2010)
DETRAZIONE 36%
Quesito:
Può il condominio far intestare le fatture ad ogni condomino non essendoci un amministratore ed essendo
solo quattro condomini, visto che un condomino ha effettuato l'invio del modello per usufruire del 36% in
qualità di condomino ma ha inserito il codice fiscale del condominio nell'apposito spazio?
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Risposta:
Al proposito si legga la circolare 204/E del 6/11/2000 che così dispone per i condomini senza amministratore:
le ritenute previste dagli artt. 23 e 25 del D.P.R. 600 del 29 settembre 1973, dovranno essere effettuate da
uno qualunque dei condomini che, utilizzando il codice fiscale del condominio medesimo, provvederà ad
applicare le ritenute alla fonte, a effettuarne i relativi versamenti e a presentare la dichiarazione dei sostituti
d'imposta per le ritenute, i contributi e i premi assicurativi. E' ovvio che tutte le fatture passive dovranno
essere intestate al condominio (con il suo codice fiscale).
(Quesito tratto dalla rivista “BDC Risponde”, Il Sole 24 Ore, 14 settembre 2010)
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RITENUTA DEL 10% SUL 36% E 55%
Quesito:
In una fattura emessa da un'impresa edile nei confronti di un condominio per lavori di ristrutturazione con
agevolazione del 36% nel mese di maggio 2010, è stata applicata la ritenuta del 4% a titolo di ritenuta
d'acconto. Il pagamento è avvenuto in data odierna. Ora alla luce dell'art. 25 del D.L. 31/05/2010 n. 78 e dei
chiarimenti successivi, la banca trattiene il 10%, ma resta anche la trattenuta del 4%?
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Risposta:
In considerazione del carattere speciale della disciplina di cui all'art. 25 del DL n. 78 del 2010, al fine di
evitare che le imprese e i professionisti che effettuano prestazioni di servizi o cessioni di beni per interventi di
ristrutturazione edilizia o di riqualificazione energetica subiscano sullo stesso corrispettivo più volte il prelievo
alla fonte, dovrà essere applicata la sola ritenuta del 10% prevista dal predetto decreto legge n. 78 del 2010.
Così si esprime la Circolare n. 40/E del 28/07/2010 in merito alla ritenuta oggetto del presente quesito.
L'obbligo di applicazione della suddetta ritenuta da parte delle banche e di poste italiane decorre dal 1° luglio
2010 e deve essere applicata all'atto dell'accredito dei pagamenti ai beneficiari. A parere di chi scrive, ed in
considerazione di quanto esplicitato nella suddetta circolare, va applicata la sola ritenuta del 10%.
(Quesito tratto dalla rivista “BDC Risponde”, Il Sole 24 Ore, 29 luglio 2010)
DETRAZIONE DEL 36%: SPESE PER INTERVENTI SU PARTI CONDOMINIALI
Quesito:
Un lettore segnala di aver versato al condominio, nel gennaio 2010, la propria quota di spesa per interventi
effettuati nel 2009 su parti comuni di un edificio residenziale. L'amministratore del condominio aveva
provveduto, nel dicembre 2009, al pagamento integrale tramite bonifico bancario delle relative spese. Tanto
premesso, chiede di sapere se possa usufruire della propria quota di detrazione del 36% nella prossima
dichiarazione dei redditi.
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Risposta:
La risposta al quesito è affermativa. Infatti, ai fini della detrazione del 36% relativa alle spese sulle parti
condominiali rileva in primo luogo la data del bonifico effettuato dall'amministratore del condominio.
Quindi la detrazione spetta con riferimento all'anno di effettuazione del bonifico bancario o postale da parte
dell'amministratore e nel limite delle rispettive quote dallo stesso imputate ai singoli condomini e da questi
ultimi effettivamente versate al condominio, anche in via anticipata o posticipata, rispetto alla data di
effettuazione del bonifico.
(Quesito tratto dalla rivista “La Settimana Fiscale - Quesiti”, Il Sole 24 Ore, 2 luglio 2010)
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RITENUTE D'ACCONTO APPLICATE DA UN CONDOMINIO
Quesito:
Sono un amministratore di condominio ed ho incaricato un geometra per la predisposizione di una pratica
edilizia del condominio. Ho rilevato che, al momento del pagamento della prestazione, il professionista non
indica nella fattura la ritenuta d'acconto Irpef in quanto soggetto a "nuova iniziativa produttiva". E' corretto
non applicare la ritenuta d'acconto da parte del condominio?
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Risposta:
L'art. 25-ter, D.P.R. 600/1973 prevede che i condomini devono operare una ritenuta a titolo di acconto pari
al 4% all'atto del pagamento dei corrispettivi sulle prestazioni relative ad appalti di opere o servizi rese
nell'esercizio di un'impresa. Sono espressamente escluse dalla normativa le cessioni di beni nei confronti del
condominio, e le cessioni di beni con posa in opera, per le quali la componente del servizio è soltanto
accessoria rispetto alla fornitura.
Di conseguenza, essendo previsto che i soggetti rientranti nel regime delle nuove iniziative non sono soggetti
a ritenuta d'acconto Irpef del 20% prevista per i lavoratori autonomi, il condominio non sarà tenuto ad
applicare la ritenuta d'acconto del 4%.
(Quesito tratto dalla rivista “La Settimana Fiscale - Quesiti”, Il Sole 24 Ore, 28 maggio 2010)
RECUPERO EDILIZIO 36%
Quesito:
Contribuente acquista da inquilino dello stesso condominio un box sul quale il venditore usufruiva delle rate
del 36%. L'acquirente può utilizzare le rimanenti rate?
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Risposta:
In base all'art. 1 comma 7 della L. 449/97 in caso di vendita dell'unità immobiliare sulla quale sono stati
realizzati gli interventi di recupero, le detrazioni non utilizzate dal venditore spettano, per i periodi di imposta
rimanenti al l'acquirente persona fisica.
(Quesito tratto dalla rivista “BDC Risponde”, Il Sole 24 Ore, 23 aprile 2010)
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Impianti
DICHIARAZIONE DI CONFORMITÀ
Quesito:
L’amministratore del condomino ha l’obbligo, qualora l’impianto di riscaldamento sia costituito da caldaie a
gas autonome, di richiedere le singole conformità?
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Risposta:
1. Inquadramento normativo - D.M. n. 37/2008:
Art. 6: 1. Al termine dei lavori, previa effettuazione delle verifiche previste dalla normativa vigente,
comprese quelle di funzionalità dell'impianto, l'impresa installatrice rilascia al committente la dichiarazione di
conformità degli impianti realizzati nel rispetto delle norme di cui all'articolo 6. Di tale dichiarazione, resa
sulla base del modello di cui all'allegato I, fanno parte integrante la relazione contenente la tipologia dei
materiali impiegati, nonché il progetto di cui all'articolo 5. 2. Nei casi in cui il progetto è redatto dal
responsabile tecnico dell'impresa installatrice l'elaborato tecnico è costituito almeno dallo schema
dell'impianto da realizzare, inteso come descrizione funzionale ed effettiva dell'opera da eseguire
eventualmente integrato con la necessaria documentazione tecnica attestante le varianti introdotte in corso
d'opera. 3. In caso di rifacimento parziale di impianti, il progetto, la dichiarazione di conformità, e
l'attestazione di collaudo ove previsto, si riferiscono alla sola parte degli impianti oggetto dell'opera di
rifacimento, ma tengono conto della sicurezza e funzionalità dell'intero impianto. Nella dichiarazione di cui al
comma 1 e nel progetto di cui all'articolo 5, è espressamente indicata la compatibilità tecnica con le
condizioni preesistenti dell'impianto. 4. La dichiarazione di conformità è rilasciata anche dai responsabili degli
uffici tecnici interni delle imprese non installatrici di cui all'articolo 3, comma 3, secondo il modello di cui
all'allegato II del presente decreto. 5. Il contenuto dei modelli di cui agli allegati I e II può essere modificato
o integrato con decreto ministeriale per esigenze di aggiornamento di natura tecnica. 6. Nel caso in cui la
dichiarazione di conformità prevista dal presente articolo, salvo quanto previsto all'articolo 15, non sia stata
prodotta o non sia più reperibile, tale atto è sostituito - per gli impianti eseguiti prima dell'entrata in vigore
del presente decreto - da una dichiarazione di rispondenza, resa da un professionista iscritto all'albo
professionale per le specifiche competenze tecniche richieste, che ha esercitato la professione, per almeno
cinque anni, nel settore impiantistico a cui si riferisce la dichiarazione, sotto personale responsabilità, in esito
a sopralluogo ed accertamenti, ovvero, per gli impianti non ricadenti nel campo di applicazione dell'articolo 5,
comma 2, da un soggetto che ricopre, da almeno 5 anni, il ruolo di responsabile tecnico di un'impresa
abilitata di cui all'articolo 3, operante nel settore impiantistico a cui si riferisce la dichiarazione.
Art. 8: 1. Il committente è tenuto ad affidare i lavori di installazione, di trasformazione, di ampliamento e di
manutenzione straordinaria degli impianti indicati all’articolo 1, comma 2, ad imprese abilitate ai sensi
dell’articolo 3. 2. Il proprietario dell'impianto adotta le misure necessarie per conservarne le caratteristiche di
sicurezza previste dalla normativa vigente in materia, tenendo conto delle istruzioni per l'uso e la
manutenzione predisposte dall'impresa installatrice dell'impianto e dai fabbricanti delle apparecchiature
installate. Resta ferma la responsabilità delle aziende fornitrici o distributrici, per le parti dell'impianto e delle
relative componenti tecniche da loro installate o gestite. 3. Il committente entro 30 giorni dall'allacciamento
di una nuova fornitura di gas, energia elettrica, acqua, negli edifici di qualsiasi destinazione d'uso, consegna
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al distributore o al venditore copia della dichiarazione di conformità dell'impianto, resa secondo l'allegato I,
esclusi i relativi allegati obbligatori, o copia della dichiarazione di rispondenza prevista dall’articolo 7, comma
6. La medesima documentazione è consegnata nel caso di richiesta di aumento di potenza impegnata a
seguito di interventi sull'impianto, o di un aumento di potenza che senza interventi sull'impianto determina il
raggiungimento dei livelli di potenza impegnata di cui all’articolo 5, comma 2 o comunque, per gli impianti
elettrici, la potenza di 6 kw. 4. Le prescrizioni di cui al comma 3 si applicano in tutti i casi di richiesta di
nuova fornitura e di variazione della portata termica di gas. 5. Fatti salvi i provvedimenti da parte delle
autorità competenti, decorso il termine di cui al comma 3 senza che sia prodotta la dichiarazione di
conformità di cui all’articolo 7, comma 1, il fornitore o il distributore di gas, energia elettrica o acqua, previo
congruo avviso, sospende la fornitura.
Art. 1130 cod. civ.: L'amministratore deve: 1) eseguire le deliberazioni dell’assemblea dei condomini e curare
l’osservanza del regolamento di condominio; 2) disciplinare l'uso delle cose comuni e la prestazione dei
servizi nell'interesse comune, in modo che ne sia assicurato il miglior godimento a tutti i condomini; 3)
riscuotere i contributi ed erogare le spese occorrenti per la manutenzione ordinaria delle parti comuni
dell'edificio e per l’esercizio dei servizi comuni; 4) compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti
comuni dell’edificio. Egli, alla fine di ciascun anno, deve rendere il conto della sua gestione.
2. Giurisprudenza
§ Interpretazione estensiva della locuzione “atti conservativi dei diritti inerenti le parti comuni
dell’edificio”:
La prescrizione di cui all’art. 1130 n. 4) cod. civ. non va interpretata nel senso restrittivo dei soli atti di
natura cautelare, bensì come relativa a tutti gli atti diretti a conservare l’esistenza delle parti comuni (Cass.
civ. 18 giugno 1996, n. 5613).
3. Conclusioni
Dal testo del quesito non comprendiamo se il dubbio sia sulla legittimità di una richiesta presentata alla ditta
installatrice oppure ai singoli condomini per attestare la conformità dei loro impianti alla normativa vigente al
fine di escludere che dagli stessi possa derivare un pericolo per cose e persone che si trovano nel
condominio. In ogni caso, precisiamo che per espressa previsione legislativa la dichiarazione di conformità
deve essere sempre rilasciata dalla ditta installatrice, anche in ipotesi di modifiche del singolo impianto
autonomo, al committente, ovvero, deve ritenersi, generalmente al proprietario della singola unità
immobiliare.
Per quanto riguarda il diritto dell’amministratore di prendere visione del certificato, l’unico puntello giuridico
per poter fondare tale richiesta appare essere costituito dal suo inquadramento tra gli atti conservativi dei
diritti inerenti le parti comuni di cui all’art. 1130 n. 4) cod. civ., ovvero giustificare lo stesso con la necessità
di dover effettuare verifiche per evitare il pericolo di danni a beni comuni derivanti da impianti non a norma
in virtù dei poteri attribuitigli dalla predetta disposizione del codice civile.
Ciò chiarito, è evidente che, salvo specifica pattuizione del regolamento di condominio oppure che
l’installazione sia stata commissionata dallo stesso amministratore in nome e per conto dei condomini,
l’obbligo per l’amministratore di condominio di richiedere alla ditta appaltatrice o ai singoli condomini il
rilascio del certificato di conformità potrebbe derivare solo inquadrandolo tra gli atti conservativi di cui sopra.
Ciò è certamente plausibile per gli esposti motivi, ma non ravvisandosi precedenti giurisprudenziali che lo
abbiano espressamente affermato e mancando interpretazioni autentiche del Legislatore, l’esistenza di
siffatto obbligo per l’amministratore costituisce questione rimessa all’interprete e come tale suscettibile di
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essere risolta sia in senso positivo che in senso negativo. Per scongiurare qualsiasi rischio, suggeriamo di
richiederne l’esibizione fondando la richiesta sull’interpretazione estensiva della locuzione atti conservativi di
cui all’art. 1130 n.4 cod. civ.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
CERTIFICATO DI PREVENZIONE INCENDI
Quesito:
Amministro un condominio di 7 unità, nel piano seminterrato oltre ai box dei 7 condomini sono presenti altri
9 box, la costruzione è di fine anni 80 e non è mai stata presentata domanda per il rilascio del Cetificato di
Prevenzione Incendi. Dovendo presentare la domanda, per le sette unità da me amministrate, come
regolarizzare le altre 9 unità?
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Risposta:
1. Inquadramento normativo
Art. 1106 cod. civ.: Con la maggioranza calcolata nel modo indicato dall'articolo precedente, può essere
formato un regolamento per l'ordinaria amministrazione e per il miglior godimento della cosa comune.
Nello stesso modo l'amministrazione può essere delegata ad uno o più partecipanti, o anche a un estraneo,
determinandosi i poteri e gli obblighi dell'amministratore.
Art. 1129, comma 1, cod. civ.: Quando i condomini sono più di quattro, l'assemblea nomina un
amministratore. Se l'assemblea non provvede, la nomina è fatta dall'autorità giudiziaria, su ricorso di uno o
più condomini.
Art. 1130 cod. civ.: L'amministratore deve:
2) disciplinare l'uso delle cose comuni e la prestazione dei servizi nell'interesse comune, in modo che ne sia
assicurato il miglior godimento a tutti i condomini;
4) compiere gli atti conservativi dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio.
2. Conclusioni
Innanzitutto occorre verificare se i proprietari dei nove box possono essere considerati condomini in senso
giuridico. Ricordiamo che, pur in mancanza di una specifica definizione legislativa, è pacifico alla luce della
giurisprudenza che per condomino si debba intendere colui che è titolare di un diritto di proprietà (in
esclusiva o pro quota) su una unità immobiliare situata all’interno del condominio, da cui consegue
automaticamente anche la con titolarità sulle parti comuni ex art. 1117 cod. civ. Orbene, per unità
immobiliare si suole intendere generalmente il singolo appartamento, a prescindere dalla sua destinazione
(abitazione, ufficio, ecc.), mentre il box ne rappresenta di solito una semplice pertinenza. Tuttavia, laddove
un soggetto sia proprietario di un semplice box, quest’ultimo perde il requisito della pertinenza e può
assurgere a quello di cosa principale, ovvero di proprietà principale, e quindi di unità immobiliare atipica, e
pertanto il proprietario potrebbe essere considerato ugualmente un condomino, tenuto al pagamento delle
spese comuni limitatamente ai beni comuni che hanno carattere accessorio rispetto al proprio box (es.
ingresso dell’area box e spazi di manovra). Proseguendo su tale ragionamento pertanto, anche i proprietari
dei nove box dovrebbero essere assoggettati al rispetto del regolamento di condominio, che dovrebbero aver
accettato nei singoli atti di acquisto. Pertanto, l’amministratore potrebbe richiedere il rilascio del certificati di
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prevenzione incendi, così come addebitare le spese di manutenzione delle aree ad essi comuni, anche ai
proprietari dei soli box. In mancanza di accettazione del regolamento negli atti di acquisto, oppure qualora si
volesse rimanere rigidamente fedeli alla definizione di condomino come proprietario di unità immobiliari
tipiche, ne consegue comunque la necessità di un regolamento fra condomini e soli proprietari dei box per
disciplinare modalità di uso e di ripartizione delle spese delle parti comuni dell’area box. In mancanza di un
regolamento, nel frattempo, vista l’estrema urgenza di provvedere all’ottenimento del certificato di
prevenzioni incendi per l’intera area box, la soluzione migliore, soprattutto per scongiurare il rischio di danni
derivanti al fabbricato, riteniamo sarebbe quella di ottenere dai proprietari dei nove box una delega
all’amministratore del condominio alla presentazione anche in loro nome e per loro conto della richiesta di
certificato di prevenzione incendi. In caso di loro diniego, riteniamo sarebbe legittimo, in quanto rientrante
fra gli atti conservativi cui è tenuto ex lege l’amministratore, presentare all’Autorità giudiziaria un ricorso ex
art. 700 c.p.c. per ottenere la condanna in via cautelare dei proprietari dei box negligenti ad ottenere il
rilascio del certificati di prevenzione incendi vista la sua obbligatorietà legale ed il pericolo di incendio e
quindi di danni ai condomini che deriva dall’eventuale mancato adeguamento degli impianti di sicurezza alla
normativa antincendio.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
DISTACCO IMPIANTO DI RISCALDAMENTO
Quesito:
Nel caso in cui un condominio, si dovesse procedere alla sostituzione della vecchia caldaia, i condomini, i
quali in passato si sono staccati dalla stessa, dovranno partecipare alla spese?
Quali sono le spese per le quali devono partecipare color che si sono staccati dalla caldaia condominiale?
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Risposta:
1. Inquadramento normativo
Art. 118, comma 2, cod. civ.: Il condomino non può, rinunziando al diritto sulle cose anzidette, sottrarsi al
contributo nelle spese per la loro conservazione.
2. Giurisprudenza
In caso di distacco dall'impianto centralizzato, non essendo configurabile una rinuncia alla comproprietà dello
stesso il condomino non può sottrarsi al contributo per le spese di conservazione del predetto impianto.
D'altra parte, tra le spese indicate dall'art. 1104 c.c. soltanto quelle per la conservazione della cosa comune
costituiscono obligationes propter rem e per questo il condomino non può sottrarsi all'obbligo del loro
pagamento ai sensi dell'art. 1118, comma 2°, c.c. Tale ultima norma, invece, significativamente nulla
dispone per le spese relative al godimento delle cose comuni. Quando poi non può ritenersi illegittima la
rinuncia di un condomino all'uso dell'impianto centralizzato di riscaldamento, non potranno essere poste a
carico dello stesso, in applicazione del principio contenuto nell'art. 1123, comma 2°, c.c., le spese per l'uso
del servizio centralizzato, vale a dire le spese per l'acquisto del carburante, in assenza di validi e probanti
elementi che dimostrino un aggravio di spesa per gli altri condomini in conseguenza del distacco (App. Roma
Sez. IV, 18-04-2007).
Poiché le spese per la sostituzione della caldaia comune attengono alla "conservazione" dell'impianto (cioè
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alla tutela dell'integrità materiale e, quindi, del valore capitale dello stesso), esse costituiscono oggetto di
vere e proprie "obligationes propter rem" che, nascendo dalla contitolarità del diritto reale sull'impianto
comune, sono dovute dai condomini in proporzione della quota che esprime la misura di appartenenza,
ovvero in base ai millesimi. Conseguentemente, ove nell'edificio condominiale vi siano locali (come cantine e
box) non serviti dall'impianto di riscaldamento centralizzato, i condomini titolari - soltanto - della proprietà di
tali locali, non sono contitolari dell'impianto centralizzato, non essendo questo legato da una relazione di
accessorietà, cioè da un collegamento strumentale, materiale e funzionale all'uso o al servizio di quei beni.
Cosicché, venendo meno il presupposto per l'attribuzione della proprietà comune dell'impianto, viene meno
anche l'obbligazione propter rem di contribuire alle spese per la conservazione dello stesso (Cass. civ. Sez.
II, 27-01-2004, n. 1420).
In tema di impianto comune di riscaldamento, occorre distinguere il riparto delle spese di rifacimento,
manutenzione e sostituzione (da eseguirsi secondo il criterio proporzionale ai valori della proprietà), da quello
relativo alle spese del godimento del servizio (da operarsi in base ai consumi dei singoli). Conseguentemente,
deve essere annullata la delibera impugnata laddove abbia ripartito le spese per la sostituzione della caldaia
dell'impianto di riscaldamento secondo i millesimi riportati nella tabella riscaldamento anziché in base ai
millesimi di proprietà (Cass. civ. Sez. I (Ord.), 23-05-2000, n. 365).
3. Conclusioni
Tali consolidati approdi giurisprudenziali applicati alla fattispecie sottoposta conducono alle seguenti
conclusioni: tutti i condomini, tranne quelli che sono proprietari esclusivamente di locali non serviti
dall’impianto come box e cantine, che si sono in passato staccati dall’impianto di riscaldamento centralizzato
dovranno partecipare in proporzione ai millesimi di proprietà alle spese per la sostituzione della caldaia così
come a tutte quelle relative alla conservazione (manutenzione ordinaria e straordinaria, gestione)
dell’impianto comune, ma non a quelle relative all'uso del servizio centralizzato, vale a dire le spese per
l'acquisto del carburante, in assenza di validi e probanti elementi che dimostrino un aggravio di spesa per gli
altri condomini in conseguenza del distacco.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
INSTALLAZIONE DI ANTENNA CENTRALIZZATA
Quesito:
Il regolamento condominiale contrattuale prevede che il fabbricato sia munito di una sola antenna tv
centralizzata mai installata dal costruttore. Nel corso degli anni i proprietari hanno installato ciascuno la
propria. Oggi un condomino mi chiede di applicare il regolamento e far rimuovere le antenne private esistenti
sulla copertura. Come mi devo comportare?
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Risposta:
1. Inquadramento normativo
D.P.R. 156/1973 recante “Approvazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia postale, di
bancoposta e di telecomunicazioni - Art. 397. Installazione di antenne riceventi del servizio di radiodiffusione.
I proprietari di immobili o di porzioni di immobili non possono opporsi alla installazione sulla loro proprietà di
antenne destinate alla ricezione dei servizi di radiodiffusione appartenenti agli abitanti dell'immobile stesso.
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Le antenne non devono in alcun modo impedire il libero uso della proprietà, secondo la sua destinazione, né
arrecare danno alla proprietà medesima o a terzi”.
Art. 1102 cod. civ.: Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione
e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a
proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa.
Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non
compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso
2. Giurisprudenza
In tema di condominio negli edifici, la norma dell'art. 1102 c.c. è derogabile dalle norme del regolamento
condominiale purché la deroga sia espressamente prevista nel regolamento (Trib. Genova Sez. III, 19-04-
2007).
In tema di condominio, i poteri dell'assemblea condominiale possono invadere la sfera di proprietà dei singoli
condomini, sia in ordine alle cose comuni sia a quelle esclusive, soltanto quando una siffatta invasione sia
stata da loro specificamente accettata o in riferimento ai singoli atti o mediante approvazione del
regolamento che la preveda, in quanto l'autonomia negoziale consente alle parti di stipulare o di accettare
contrattualmente convenzioni e regole pregresse che, nell'interesse comune, pongano limitazioni ai diritti dei
condomini (Cass. civ. Sez. II Sent., 14-12-2007, n. 26468).
3. Conclusioni
Tutto ciò precisato in punto di diritto, se ne deduce che la previsione contenuta nel regolamento di
condominio che prevede che il fabbricato sia munito di una sola antenna televisiva centralizzata, con ciò
escludendo la possibilità di installare antenne serventi le singole unità immobiliari, introduce nella
regolamentazione dell’uso dei beni comuni un limite ulteriore rispetto a quelli del rispetto della sua
destinazione e dell’eguale diritto degli altri condomini voluti dal Legislatore. Ne deriva quindi un’ulteriore
compressione della facoltà di godimento spettante ai condomini e quindi una deroga all’art. 1102 cod. civ.
Orbene, la giurisprudenza ha più volte precisato che tale norma ha natura dispositiva ovvero è derogabile
dalla volontà delle parti.
Ne consegue quindi che la richiamata pattuizione del regolamento di condominio deve ritenersi pienamente
legittima. Tale iter interpretativo ha come logica conclusione che i condomini che hanno installato le proprie
antenne in violazione del regolamento di condominio che loro stessi hanno accettato al momento
dell’acquisto della loro porzione immobiliare, hanno l’obbligo di rimuoverle e di conformarsi ad esso,
allacciando la propria unità immobiliare all’impianto televisivo comune.
Questa è la soluzione cui si giunge inserendo la fattispecie descritta all’interno dell’impianto normativo
generale posto dal codice civile in materia di condominio, come interpretato dalla giurisprudenza.
Invece, ampliando il panorama normativo è possibile individuare anche un’altra soluzione, diametralmente
opposta. Infatti, il Legislatore nel d.P.R. n.156/1973 ha sancito il diritto del proprietario di un immobile di
installare antenne televisive anche su immobili di proprietà altrui a condizione che si rispetti il libero uso
spettante al proprietario e non si arrechino danni al bene altrui. La giurisprudenza ha poi ulteriormente
precisato che l’installazione è legittima solo se, oltre ai limiti indicati, non è stato possibile installare l’antenna
all’interno della porzione immobiliare di chi ha richiesto l’installazione. Orbene, è evidente che il Legislatore
ha voluto introdurre una garanzia particolare per gli utenti del servizio televisivo ritenendo evidentemente
che nel contemperamento fra le esigenze del proprietario a non veder in alcun modo infastidito il suo diritto
di godimento del proprio bene e quelle del cittadino a godere dei benefici del servizio indicato, debbano
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prevalere queste ultime. Per logica deduzione se è vero che tale principio vale con riferimento ad un bene in
proprietà esclusiva di un terzo, a maggior ragione deve valere con riferimento ad un bene su cui anche il
richiedente l’installazione può esercitare un diritto di proprietà. Riproduciamo di seguito un approdo
interpretativo della Suprema Corte di Cassazione che riteniamo decisivo per determinare quale sia fra le due
soluzioni proposte quella giuridicamente più corretta: “Il diritto all’installazione di antenne ed accessori, sia
esso configurabile come diritto soggettivo autonomo che come facoltà compresa nel diritto primario
all’informazione e diretta alla attuazione di questo (art. 21 cost.), è limitato soltanto dal pari diritto di altro
condomino, o di altro coabitante nello stabile, e dal divieto di menomare (in misura apprezzabile) il diritto di
proprietà di colui che deve consentire l’installazione su parte del proprio immobile; pertanto, qualora sul
terrazzo di uno stabile condominiale sia installata (per volontà della maggioranza dei condomini) un’antenna
televisiva centralizzata e un condomino (o un abitante dello stabile) intenda invece installare un’antenna
autonoma, l’assemblea dei condomini può vietare tale seconda installazione solo se la stessa pregiudichi l’uso
del terrazzo da parte degli altri condomini o arrechi comunque un qualsiasi altro pregiudizio apprezzabile e
rilevante ad una delle parti comuni; al di fuori di tali ipotesi, una delibera che vieti l’installazione deve essere
considerata nulla, con la conseguenza che il condomino leso può far accertare il proprio diritto all’installazione
stessa, anche se abbia agito in giudizio oltre i termini previsti dall'art. 1137 c.c. o, essendo stato presente
all’assemblea, senza esprimere voto favorevole alla delibera, non abbia manifestato espressamente la propria
opposizione alla delibera stessa (Cass. civ., 06-11-1985, n. 5399).
Applicando tale principio giurisprudenziale alla fattispecie che ci occupa si ricava quindi che fermi restando i
limiti posti dall’art. 1102 cod. civ. e dal d.P.R. 156/1973 sopra indicati, che, da quel che ci è stato riferito e
che possiamo presumere da massime di esperienza, riteniamo siano stati rispettati, la previsione del
regolamento di condominio, al pari di ogni delibera assembleare, che vieta l’installazione sulla copertura del
fabbricato di antenne televisive non centralizzate deve ritenersi nulla in quanto contraria alle norme poc’anzi
citate.
In conclusione, in estrema sintesi, ad avviso dello Scrivente, benché entrambe le esposte soluzioni abbiano
un loro fondamento giuridico, la seconda deve ritenersi preferibile, in quanto rispettosa non solo delle norme
generali dettate in materia di condominio ma anche dei principi scolpiti da norme speciali dettate per
l’oggetto della fattispecie sottoposta, ed è quindi più aderente ai principi dettati dal nostro ordinamento
giuridico nel suo complesso.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
IMPIANTO A GAS
Quesito:
L'assemblea condominiale ha deliberato a maggioranza il rifacimento dell'impianto del gas metano in quanto
vetusto. Devono essere fatti i lavori per il rifacimento delle tubazioni del gas e le singole unità abitative
dovranno mettere nuovi contatori e nuovi allacci.
Nel condominio vi è un condomino moroso al quale l'amministratore ha già notificato il decreto ingiuntivo per
il recupero delle spese di ordinaria amministrazione, ma il problema è che il condomino non ritira gli atti in
quanto è ricoverato in una comunità.
Può l'amministratore procedere con i lavori deliberati dalla maggioranza anche se ciò comporta che
l'immobile del condomino moroso ed assente venga privato dell'utenza del gas oppure i condomini sono
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tenuti ad anticipare le spese per l'impianto del condomino moroso?
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Risposta:
1. Inquadramento normativo
Art. 1137, comma 1, cod. civ.: Le deliberazioni prese dall'assemblea a norma degli articoli precedenti sono
obbligatorie per tutti i condomini.
Art. 832 cod. civ.: Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i
limiti e con l'osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico.
2. Giurisprudenza
Applicabile per analogia alla fattispecie che ci occupa è il seguente principio affermato dalla giurisprudenza:
“Nel sistema di comunicazione tra ciascun appartamento condominiale e l'esterno (citofono) possono
distinguersi parti comuni (il quadro esterno e comunque tutta la parte dell'impianto che precede la
diramazione dei cavi in direzione delle singole unità abitative) e parti di proprietà esclusiva dei singoli
condomini. Da ciò la necessità di distinguere, anche in sede di riparto delle spese di installazione, la parte
comune da quelle di proprietà individuale: di esse, la prima ricade nel regime previsto dall'art. 1123, comma
2, c.c., mentre le seconde gravano interamente su ciascun condomino in ragione della loro obiettiva entità”
(Trib. Bologna, 22-05-1998).
3. Conclusioni
Innanzitutto occorre spendere alcune precisazioni sul perfezionamento della notifica del decreto ingiuntivo al
condomino moroso. L’art. 140 c.p.c. stabilisce che “ Se non è possibile eseguire la consegna per irreperibilità
o per incapacità o rifiuto delle persone indicate nell’articolo precedente, l’ufficiale giudiziario deposita la copia
nella casa del Comune dove la notificazione deve eseguirsi, affigge avviso del deposito in busta chiusa e
sigillata alla porta dell’abitazione o dell’ufficio o dell’azienda del destinatario, e gliene dà notizia per
raccomandata con avviso di ricevimento. La Corte Costituzionale ha poi precisato che la notifica si perfeziona
comunque, per il destinatario, decorsi dieci giorni dalla spedizione della raccomandata.
Ne consegue quindi che la notifica del decreto ingiuntivo nei confronti del condomino moroso irreperibile si
perfeziona comunque trascorsi dieci giorni dalla spedizione della raccomandata informativa.
Per quanto riguarda poi il diritto di iniziare i lavori, precisiamo che, ai sensi dell’art. 1137, comma 1, cod.
civ., la delibera dell’assemblea che li ha approvati ed autorizzati è obbligatoria anche per il condomino
moroso e quindi può essere eseguita immediatamente. Pur non potendone leggere il contenuto immaginiamo
che - come generalmente avviene - sia stabilito che spetti ai singoli condomini provvedere a dotare il proprio
appartamento dei nuovi allacci e dei nuovi contatori ed a pagare le relative spese. Se ciò non è
espressamente indicato può comunque sostenersi la medesima conclusione sul presupposto che tali
installazioni riguardando il singolo appartamento rientrano nell’esercizio del diritto di proprietà e pertanto il
proprietario è libero di effettuarle o meno.
In conclusione quindi in estrema sintesi: i lavori possono essere iniziati immediatamente ed il condominio
non deve anticipare le spese per allaccio e installazione contatori relativi all’unità immobiliare del condomino
moroso.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
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IMPIANTO ASCENSORE
Quesito:
Le spese di manutenzione straordinaria sostenute per la riparazione dell’ascensore condominiale, non
essendo indicati nel regolamento condominiale redatto nel 1954 i criteri di ripartizione, ma solo la ripartizione
per tabelle millesimali delle spese sostenute per interventi di manutenzione ordinaria, come vanno ripartite?
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Risposta:
1. Inquadramento normativo
Art. 1123, comma 1, cod. civ.: “Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti
comuni dell'edificio per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla
maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno,
salvo diversa convenzione.
Art. 1124 cod. civ.: “Le scale sono mantenute e ricostruite dai proprietari dei diversi piani a cui servono. La
spesa relativa è ripartita tra essi, per metà in ragione del valore dei singoli piani o porzioni di piano, e per
l'altra metà in misura proporzionale all'altezza di ciascun piano dal suolo. Al fine del concorso nella metà della
spesa, che è ripartita in ragione del valore, si considerano come piani le cantine, i palchi morti, le soffitte o
camere a tetto e i lastrici solari, qualora non siano di proprietà comune”
2. Giurisprudenza
In base all'art. 1124 c.c., le spese di manutenzione e ricostruzione delle scale e, quindi, dell'ascensore, sono
assimilate e assoggettate alla stessa disciplina, senza alcuna distinzione tra le une e le altre, sicché la
clausola di regolamento condominiale che esoneri una determinata categoria di condomini dal pagamento
delle spese di manutenzione (ordinaria e straordinaria), ove sia intesa dal giudice nel senso di modificare
anche detta assimilazione legale, distinguendo le varie spese, richiede una motivazione adeguata (Fattispecie
relativa a regolamento condominiale che, in deroga alla disciplina di cui agli artt. 1123-1125 c.c., prevedeva
l'esenzione da tali spese per una categoria di condomini). Cass. civ. Sez. II, 25-03-2004, n. 5975 Gli
interventi di adeguamento dell'ascensore alla normativa CEE essendo diretti al conseguimento di obiettivi di
sicurezza della vita umana e incolumità delle persone, onde proteggere efficacemente gli utenti e i terzi, non
attengono all'ordinaria manutenzione dello stesso o al suo uso e godimento, bensì alla straordinaria
manutenzione, riguardando l'ascensore nella sua unità strutturale. Le relative spese devono quindi essere
sopportate da tutti i condomini, in ragione dei rispettivi millesimi di proprietà, compresi i proprietari degli
appartamenti siti al piano terra. Trib. Parma, 29-09-1994
3. Conclusioni
Sul criterio di ripartizione delle spese relative alla manutenzione straordinaria dell’ascensore si registrano due
orientamenti giurisprudenziali: un primo, più recente, avallando l’assimilazione tra scale ed ascensore,
sostiene l’applicabilità anche a quest’ultimo del criterio di ripartizione dettato dal Legislatore all’art. 1124 cod.
civ., salvo che nel regolamento condominiale non vi sia una deroga a tale ripartizione legale; un secondo
orientamento è favorevole invece alla ripartizione secondo i millesimi di proprietà, ovvero secondo il criterio
generale dettato dall’art. 1123, comma 1, cod. civ.
Nel caso di specie vi è poi una clausola del regolamento di condominio che disciplina la ripartizione delle
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spese di ascensore ma solo per la manutenzione ordinaria.
Orbene, tutto ciò precisato riteniamo sia legittima la scelta di ripartire le spese o secondo il criterio di cui
all’art. 1124 cod. civ. o secondo la regola generale di cui all’art. 1123, comma 1, cod. civ., avendo entrambe
un loro fondamento giuridico.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
RIPARAZIONE CONDUTTURE DEL GAS
Quesito:
Amministro un condominio di 30 villette a schiera. Sei abitazioni hanno i rispettivi contatori gas ubicati nel
muro perimetrale della recinzione di una villetta. Si rende necessario sistemare e adeguare le condutture del
gas di queste abitazioni che passano nel giardino della villetta. Chi deve contribuire alle spese e quali sono i
criteri di ripartizione?
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Risposta:
1. Inquadramento normativo
§ Sulle servitù coattive:
Art. 1033 cod. civ.: “Il proprietario è tenuto a dare passaggio per i suoi fondi alle acque di ogni specie che si
vogliono condurre da parte di chi ha, anche solo temporaneamente, il diritto di utilizzarle per i bisogni della
vita o per usi agrari o industriali. Sono esenti da questa servitù le case, i cortili, i giardini e le aie ad esse
attinenti.
Art. 1056 cod. civ.: “Ogni proprietario è tenuto a dare passaggio per i suoi fondi alle condutture elettrice, in
conformità delle leggi in materia”.
§ Sulle servitù volontarie:
Art. 1350 cod. civ.: “Devono farsi per atto pubblico o per scrittura privata, sotto pena di nullità: … 4) i
contratti che costituiscono o modificano le servitù prediali … su beni immobili”.
§ Sulla ripartizione delle spese condominiali:
Art. 1123 cod. civ.: “Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni
dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla
maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno,
salvo diversa convenzione.
Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese sono ripartite in proporzione
dell'uso che ciascuno può farne.
Qualora un edificio abbia più scale , cortili, lastrici solari , opere o impianti destinati a servire una parte
dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne
trae utilità”.
2. Giurisprudenza
§ Sulla servitù di passaggio di tubi per la fornitura di gas:
È inammissibile la costituzione coattiva di una servitù di passaggio di tubi per la fornitura di gas metano,
dovendosi escludere un'applicazione estensiva dell'art. 1033 cod. civ. in tema di servitù di acquedotto
coattivo (Trib. Padova, 11-09-2007).
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Non è manifestamente infondata la q.l.c. dell'art. 1033 c.c. nella parte in cui non prevede anche l'obbligo di
dare passaggio, analogo a quello dovuto alle condotte di acque, a tubi o ad altri condotte per la fornitura del
gas metano, in riferimento agli art. 3 comma 1 e 42 comma 2 cost. (App. Milano, 12-12-1997).
È manifestamente infondata la q.l.c. dell'art. 1033 c.c., nella parte in cui non prevede l'obbligo di dare
passaggio, analogo a quello dovuto alle condotte di acque, a tubi o ad altri condotti per la fornitura di gas
metano, in riferimento agli art. 3 e 42 cost. (Corte cost. (Ord.), 17-07-2002, n. 357) A differenza delle
servitù volontarie che possono avere ad oggetto una qualsiasi utilitas, purché ricavata da un fondo a
vantaggio di un altro fondo appartenente a diverso proprietario, le servitù prediali coattive formano una
numerus clausus, sono cioè tipiche avendo ciascuna il contenuto predeterminato dalla legge, sicché non sono
ammissibili altri tipi al di fuori di quelli espressamente previsti da una specifica norma per il soddisfacimento
di necessità ritenute meritevoli di tutela; pertanto, è inammissibile la costituzione coattiva di una servitù di
passaggio di tubi per la fornitura di gas metano, dovendosi escludere un'applicazione estensiva dell'art. 1033
c.c. in tema di servitù di acquedotto, in conseguenza della non assimilabilità delle due situazioni per i
caratteri peculiari di struttura e funzione di ciascuna di esse, ed in particolare della pericolosità insita
nell'attraversamento sotto terra delle forniture del gas, non ricorrente nella servitù di acquedotto (Cass. civ.
Sez. II, 25-01-1992, n. 820)
§ Sulla ripartizione delle spese di condominio secondo il criterio dell’utilità:
Per espressa previsione dell'art. 1123 c.c. il criterio, ivi fissato, di ripartizione delle spese in relazione al
possibile uso o alla concreta utilità delle cose e dei servizi cui le stesse si riferiscono, è liberamente
derogabile per convenzione. Infatti, è pacifica la legittimità della deroga al criterio di ripartizione operata da
una disposizione del regolamento di condominio contrattuale che, per esempio, escluda i proprietari dei locali
commerciali dalla partecipazione alle spese relative a beni e servizi comuni non goduti. Tuttavia, la deroga
convenzionale, per essere valida ed efficace nel tempo, deve essere prevista in un regolamento contrattuale
o in una convenzione sottoscritta da tutti i condomini originari del fabbricato, e deve essere opponibile a tutti
i successivi aventi causa. In ordine a quest'ultimo aspetto va chiarito che la validità e l'opponibilità ai
successivi acquirenti delle clausole di regolamenti di condominio che impongono limitazioni al normale
contenuto dei diritti dei condomini sulle unità immobiliari o deroghe ai criteri legali di riparto derivano
dall'accettazione delle clausole nei singoli atti di acquisto, in quanto è solo il concreto richiamo nei singoli atti
di acquisto ad un determinato regolamento condominiale già esistente che consente di ritenere quest'ultimo
come facente parte per relationem di ogni singolo atto (Trib. Roma Sez. V Sent., 12-05-2009).
3. Conclusioni
Innanzitutto osserviamo che la fattispecie descritta appare chiaramente individuare una servitù di passaggio
di tubazioni di gas, in cui fondo servente è la villetta nel cui giardino le stesse sono installate e che dalle
stesse viene attraversato e fondi dominanti le sei villette che hanno i contatori nel muro perimetrale della
prima e che beneficiano del passaggio del gas attraverso la medesima.
Occorre pertanto spendere alcune brevi considerazioni sul titolo costitutivo della servitù.
Orbene, l’orientamento giurisprudenziale consolidatosi sempre più nel corso degli anni ci porta ad escludere
la possibilità di applicare per analogia alla tubazioni di gas le norme che disciplinano le servitù di acquedotto
e di elettrodotti e quindi alla conclusione che nel caso di specie non è configurabile una servitù coattiva, bensì
necessariamente una servitù volontaria. Titolo costitutivo della servitù deve pertanto essere nel nostro caso
un contratto, o comunque una scrittura privata sottoscritta dai proprietari dei fondi servente e dominante.
Essendo la forma scritta prevista a pena di nullità, il passaggio delle tubazioni di gas sarebbe illegittimo in
mancanza di un accordo scritto tra le parti ed il proprietario della villetta su cui passano potrebbe richiederne
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ed ottenerne la rimozione. Immaginiamo però - in quanto non ci viene indicato - che il proprietario della
villetta servente non contesti il passaggio delle tubazioni sul suo fondo oppure che il diritto di servitù sia stato
formalizzato per iscritto e quindi comunque non vi siano discussioni sul diritto di passaggio. Nell’accordo
scritto in cui viene formalizzata la servitù generalmente si inserisce anche una clausola sul corrispettivo
dovuto al proprietario del fondo servente per il pregiudizio che l’esercizio della servitù arreca al bene di sua
proprietà. Il principio generale è infatti quello della normale onerosità della servitù proprio per la diminuzione
di valore e la limitazione del diritto di proprietà che provoca. Escludiamo che in mancanza di un’espressa
pattuizione tale indennità, anche laddove prevista nel titolo costitutivo, possa andare a coprire in tutto od in
parte le spese di manutenzione delle tubazioni proprio per la sua diversa finalità.
Se pertanto non esiste un titolo costitutivo scritto della servitù oppure lo stesso non prevede nulla sulle spese
di manutenzione delle tubazioni la ripartizione dovrà essere determinata sulla base delle disposizioni generali
del codice civile in tema di condominio, ovvero in particolare l’art. 1123 cod. civ., il cui terzo comma
stabilisce che in ipotesi di impianti comuni destinati a servire solo alcuni dei beni di proprietà esclusiva le
spese di manutenzione sono ripartite solo tra i primi secondo il criterio dell’utilità, ovvero dell’utilizzo
separato. Pertanto, nel caso di specie le spese - a nostro avviso - andrebbero ripartire solo fra i proprietari
delle sei villette che beneficiano del passaggio con esclusione di quello della villetta servente se esso non
beneficia di quelle tubazioni, ovvero se non servono anche la sua proprietà, diversamente, se le tubazioni
portano gas anche al suo bene allora dovrà partecipare anche costui. La ripartizione tra costoro dovrà poi
essere effettuata secondo i) quanto previsto dal regolamento di condominio, o ii) deliberato all’unanimità
dall’assemblea di condominio o da una convenzione fra tutti i condomini se si vuole derogare alla ripartizione
prevista dal regolamento di condominio, o iii) previsto da una convenzione sottoscritta dai condomini
interessati.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
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Innovazioni
PAVIMENTAZIONE BALCONI
Quesito:
Sto ristrutturando un edificio condominiale. Alcuni condomini hanno chiesto il rifacimento del pavimento dei
balconi. La maggioranza ha scelto un colore della piastrella simile all'esistente, una condomina vuole
utilizzare un colore completamente diverso. Posso obbligare la condomina a rifare il suo pavimento
utilizzando mattoni uguali a quelli utilizzati dagli altri condomini?
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Risposta:
1. Inquadramento normativo
Art. 832 cod. civ.: Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i
limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico.
Art. 1120 cod. civ.: I condomini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell'articolo 1136, possono
disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all’uso più comodo o al maggior rendimento delle cose
comuni. Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del
fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili
all’uso o al godimento anche di un solo condomino.
2. Giurisprudenza
§ Sulle strutture del balcone che devono ritenersi costituenti parte della facciata condominiale:
Le spese di manutenzione riguardanti il frontalino dei balconi, che è un elemento della struttura esterna del
balcone destinato a garantire l'integrità architettonica dell'edificio come componente della facciata, devono
gravare su tutti i condomini (Trib. Milano, 26-09-1988)
§ Sulla nozione di lesione del decoro architettonico:
In relazione al concetto di alterazione della facciata del fabbricato, per decoro architettonico del fabbricato, ai
fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c., deve intendersi l'estetica data dall'insieme delle linee e delle
strutture che connotano il fabbricato stesso e gli imprimono una determinata, armonica, fisionomia.
L'alterazione di tale decoro può ben correlarsi alla realizzazione di opere che immutino l'originario aspetto
anche soltanto di singoli elementi o punti del fabbricato tutte le volte che la immutazione sia suscettibile di
riflettersi sull'insieme dell'aspetto dello stabile come nel caso della realizzazione di una veranda che dia luogo
a discordanze nel prospetto, modificandone l'unità stilistica e conseguentemente devesi ritenere che leda
l'estetica dell'edificio ed il decoro architettonico (Trib. Roma Sez. V, 18-02-2009).
Ai sensi dell’art. 1122 c.c., ciascun condomino, nel piano o nella porzione di piano di sua proprietà, non può
eseguire opere che rechino danno alla parti comuni. Nella specie, trattandosi di elementi apposti in facciata,
occorre, inoltre, far riferimento anche agli artt. 1102 e 1120 c.c., dai quale si desume che ciascun condomino
può utilizzare le parti comuni, purché non ne alteri la destinazione, non impedisca agli altri condomini di
farne parimenti uso, non arrechi pregiudizio alla stabilità e sicurezza del fabbricato e non ne alteri il decoro
architettonico. (Nel fattispecie in esame, in particolare, mentre devono rigettarsi le domande volte alla
rimozione di fioriere ad ornamento del balcone, in quanto non comportano di per sé alcun pregiudizio alle
parti comuni dell’edificio, ovvero delle tende da sole e della lampada da esterno, poiché trattasi di elementi di
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arredo volti al miglior godimento e all’abbellimento della proprietà esclusiva, che non comportano alcun
pregiudizio alla facciata esterna, deve accogliesi la domanda tesa alla rimozione del reticolato verde apposto
a rivestimento di una parte della ringhiera dei balconi, trattandosi, in questo caso, di manufatto non
autorizzato dagli altri condomini ed esteticamente discutibile) (Trib. Monza Sez. I, 09-05-2007).
3. Conclusioni
Tutto ciò precisato in punto di diritto, osserviamo che il pavimento in quanto parte interna del balcone non
può ritenersi parte integrante della facciata e come tale assoggettato ai limiti posti dall’art. 1120 cod. civ. in
materia di innovazioni, ovvero oltre alla preventiva approvazione dell’assemblea il rispetto del decoro
architettonicio, ecc., come invece il frontalino. Pertanto, la sig.ra è legittimata a scegliere il colore che
desidera per il pavimento del suo balcone in quanto ciò è espressione della facoltà di godimento del proprio
bene contenuta nel diritto di proprietà come delineato dal Legislatore.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
INSTALLAZIONE DI STENDITOIO SULLA TERRAZZA CONDOMINIALE
Quesito:
Gestisco un condominio in cui è stata deliberata a maggioranza l'installazione di stenditoio removibile sul
terrazzo, un condomino è contrario e con lettera legale intende far rimuovere lo stenditoio in questione
adducendo questioni tecniche, anche se le spese sono state addebitate ai soli condomini che ne hanno
necessità non escludendo alcun condomino all'utilizzo della cosa comune.
Il condomino dissenziente può limitare il miglior godimento della cosa comune?
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Risposta:
1. Inquadramento normativo
Art. 1102 cod. civ.: Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione
e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a
proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa.
Il partecipante non può estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non
compie atti idonei a mutare il titolo del suo possesso Art.1120 cod. civ.: I condomini, con la maggioranza
indicata dal quinto comma dell'art. 1136, possono disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o
all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose comuni .
Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilita o alla sicurezza del fabbricato, che ne
alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell’edificio inservibili all’uso o al
godimento anche di un solo condomino.
Art. 1121 cod. civ.: Qualora l'innovazione importi una spesa molto gravosa o abbia carattere voluttuario
rispetto alle particolari condizioni e all'importanza dell'edificio, e consista in opere, impianti o manufatti
suscettibili di utilizzazione separata, i condomini che non intendono trarne vantaggio sono esonerati da
qualsiasi contributo nella spesa.
Se l'utilizzazione separata non è possibile, l'innovazione non è consentita, salvo che la maggioranza dei
condomini che l'ha deliberata o accettata intenda sopportarne integralmente la spesa.
Nel caso previsto dal primo comma i condomini e i loro eredi o aventi causa possono tuttavia, in qualunque
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tempo, partecipare ai vantaggi dell'innovazione, contribuendo nelle spese di esecuzione e di manutenzione
dell'opera.
Art. 1137, comma 1, cod. civ.: Le deliberazioni prese dall'assemblea a norma degli articoli precedenti sono
obbligatorie per tutti i condomini
2. Giurisprudenza
§ Sulla nozione di innovazione in senso tecnico-giuridico:
L'art. 1136 c.c., al comma V, statuisce che le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni previste dal
primo comma dell'art. 1120 c.c. devono essere sempre approvate con un numero di voti che rappresenti la
maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell'edificio. Presupposto per l'applicazione
di tale disposto normativo è che la delibera condominiale abbia ad oggetto una innovazione, sicché
preliminare è la decodificazione di tale nozione. E' noto che per innovazione in senso tecnico-giuridico debba
intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solo quella modificazione
materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, onde le modificazioni che
mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lascino immutate la
consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono
definirsi innovazioni nel senso suddetto. Sempre nell'ottica dei diritti/doveri dei condomini quali
comproprietari delle parti comuni dell'edificio, ciascun condomino ha il diritto - dovere di vigilare e
provvedere al relativo mantenimento delle cose comuni. Sicché, se le opere necessarie al mantenimento o
alla ricostruzione della cosa comune non sono deliberate o vi è stata una delibera negativa, ciascuno dei
condomini ha il diritto di agire in giudizio per la condanna del Condominio all'adempimento dell'obbligo
comune di fare. Tale obbligo, in caso di accoglimento della domanda deve essere assolto dall'amministratore
con la cooperazione di tutti i condomini (Trib. Salerno Sez. I, 27-10-2009).
§ Sul limite dell’inservibilità all’uso o godimento degli altri condomini:
In tema di condominio, ai sensi dell'art. 1120, comma 2, c.c., è vietato rendere inservibili all'uso o al
godimento di anche un solo condomino le parti comuni dell'edificio. Nella specie l'ipotesi di cui sopra risulta
integrata dall'arbitraria rimozione della guardiola d'ingresso ad opera dell'amministratore del condominio,
condannato per ciò stesso alla rimessione in pristino dello status quo ante (App. Napoli Sez. II, 04-05-2006).
L'art. 2 della legge 9 gennaio 1989, n. 13, contenente disposizioni per favorire il superamento e
l'eliminazione delle barriere architettoniche negli edifici privati, dopo avere previsto la possibilità per
l'assemblea condominiale di approvare le innovazioni finalizzate allo scopo predetto con le maggioranze
indicate dall'art. 1136, comma 2 e comma 3, c.c. - così derogando alla norma di cui all'art. 1120, comma 1,
c.c., che richiama il comma 5 dell'art. 1136 c.c., e quindi le più ampie maggioranze ivi contemplate -
dispone, al comma 3, che resta fermo quanto previsto dall'art. 1120, comma 2, c.c., il quale vieta le
innovazioni che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso e al godimento anche di un solo
condomino. La norma in questione vuole certamente favorire quelle innovazioni che aumentano la
funzionalità ed il valore dell'edificio, ma pone il limite invalicabile della inservibilità della parte comune anche
nei confronti di un singolo condomino, inservibilità che va interpretata come sensibile menomazione
dell'utilità che il condomino ne ritraeva secondo l'originaria costituzione della comunione. Ne consegue che,
se non possono essere lesi da delibere dell'assemblea condominiale, adottate a maggioranza, i diritti dei
condomini attinenti alle cose comuni, a maggior ragione non possono essere lesi, da delibere non adottate
all'unanimità, i diritti di ciascun condomino sulla porzione di proprietà esclusiva, indipendentemente da
qualsiasi considerazione di eventuali utilità compensative (App. Catania Sez. II, 17-11-2005).
Una delibera assembleare che sopprima totalmente un determinato uso della cosa comune da parte dei
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singoli partecipanti verrebbe ad essere in contrasto con l'art. 1120 c.c. che vieta le innovazioni (tra cui vanno
ricomprese tutte le modificazioni alla destinazione del bene) che rendano talune parti comuni inservibili
all'uso o al godimento anche di un solo condomino. (Fattispecie in cui, nel riformare la sentenza di primo
grado, il tribunale ha condannato il condominio convenuto a mantenere il condomino attore nel compossesso
di una stradella, il cui accesso carrabile era stato impedito dall'amministratore che, in esecuzione di una
delibera assembleare, aveva fatto apporre un paletto di ferro all'imbocco del tratto di stradella) (Trib.
Catania, 28-02-2002).
L'installazione (utile a tutti i condomini tranne uno) di un'autoclave nel cortile condominiale, con minima
occupazione di una parte di detto cortile, non può ritenersi innovazione vietata ai sensi dell'art. 1120, comma
2, c.c. (prevedente il divieto di innovazioni che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili all'uso o al
godimento anche di un solo condomino), atteso che il concetto di "inservibilità" espresso nel citato articolo va
interpretato come sensibile menomazione dell'utilità che il condomino ritraeva secondo l'originaria
costituzione della comunione, con la conseguenza che pertanto devono ritenersi consentite quelle innovazioni
che, recando utilità a tutti i condomini tranne uno, comportino per quest'ultimo un pregiudizio limitato e che
non sia tale da superare i limiti della tollerabilità (Cass. civ. Sez. II, 21-10-1998, n. 10445)
§ Sul diritto di ciascun condomino di installare un’antenna televisiva su beni altrui o comuni se ciò
non è possibile nella propria unità immobiliare:
Con riguardo ad un edificio in condominio ed all’installazione di apparecchi per la ricezione di programmi
radio-televisivi, il diritto di collocare nell’altrui proprietà antenne televisive, riconosciuto dalla legge 6 maggio
1940, n. 554, articoli 1 e 3 e dal decreto del Presidente della Repubblica 29 marzo 1973, n. 156, articolo 231
(ora assorbiti nel decreto legislativo n. 259 del 2003), è subordinato all’impossibilità per l’utente di servizi
radiotelevisivi di utilizzare spazi propri, giacché altrimenti sarebbe ingiustificato il sacrificio imposto ai
proprietari. Tale diritto non comprende la facoltà di scegliere voluttuariamente il sito preferito per l’antenna,
ma, come è insito nei principi generali in materia di condominio, di atti emulativi e di imposizione di servitù
coattive, va coordinato con l’esistenza di un’effettiva esigenza di soddisfare le richieste di utenza degli
inquilini o dei condomini e quindi con il dovere della proprietà servente di soggiacere alla pretesa del vicino
solo qualora costui non possa autonomamente provvedere ai propri bisogni (Corte di Cassazione, sent. 21
aprile 2009, n. 9427).
3. Conclusioni
Posto che l’installazione dello stenditoio sulla terrazza condominiale appare rientrare nella nozione di
innovazione in senso tecnico giuridico elaborata dalla giurisprudenza, presumendo che la stessa sia stata
approvata dall’assemblea con la maggioranza qualificata necessaria e considerato che le deliberazioni della
maggioranza vincolano anche la minoranza dissenziente, riteniamo che consentitone l’utilizzo anche al
condomino che ne chiede la rimozione, la sua richiesta non possa considerarsi legittima, salvo che
l’installazione dello stenditorio i) abbia cagionato una sensibile menomazione dell'utilità che il condomino
ritraeva dalla terrazza condominiale secondo l'originaria costituzione della comunione, oppure ii) pregiudichi
un diritto inerente il godimento della sua proprietà esclusiva che nel contemperamento degli interessi
contrapposti deve ritenersi prevalente. Ad esempio se impedisce l’installazione di un’antenna televisiva che
non è possibile collocare nel suo appartamento.
Non conoscendo quali sono queste ragioni tecniche addotte dal condomino non possiamo che limitarci alle
considerazioni di ordine generale appena esposte, senza poterci esprimere nello specifico sulla fondatezza o
meno delle sue pretese.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
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SOSTITUZIONE TELAIO FINESTRA
Quesito:
La sostituzione del telaio del serramento interno (finestra) non cambiando dimensioni e colori ma solo
materiale (da alluminio a pvc) e lasciando inalterato il decoro architettonico è soggetta a delibera
assembleare?
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Risposta:
1. Inquadramento normativo
Art. 832 cod. civ.: Il proprietario ha diritto di godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo, entro i
limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall'ordinamento giuridico.
Art. 1102 cod. civ.: Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione
e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a
proprie spese le modificazioni necessarie per il miglior godimento della cosa. Il partecipante non può
estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare
il titolo del suo possesso.
Art. 1120 cod. civ.: I condomini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell'articolo 1136, possono
disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose
comuni. Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del
fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili
all'uso o al godimento anche di un solo condomino.
Art. 1122 cod. civ.: Ciascun condomino, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, non può eseguire
opere che rechino danno alle parti comuni dell'edificio.
2. Giurisprudenza
§ Sulla nozione di innovazione in senso tecnico-giuridico:
L'art. 1136 c.c., al comma V, statuisce che le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni previste dal
primo comma dell'art. 1120 c.c. devono essere sempre approvate con un numero di voti che rappresenti la
maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell'edificio. Presupposto per l'applicazione
di tale disposto normativo è che la delibera condominiale abbia ad oggetto una innovazione, sicché
preliminare è la decodificazione di tale nozione. E' noto che per innovazione in senso tecnico-giuridico debba
intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solo quella modificazione
materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, onde le modificazioni che
mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lascino immutate la
consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono
definirsi innovazioni nel senso suddetto. Sempre nell'ottica dei diritti/doveri dei condomini quali
comproprietari delle parti comuni dell'edificio, ciascun condomino ha il diritto - dovere di vigilare e
provvedere al relativo mantenimento delle cose comuni. Sicché, se le opere necessarie al mantenimento o
alla ricostruzione della cosa comune non sono deliberate o vi è stata una delibera negativa, ciascuno dei
condomini ha il diritto di agire in giudizio per la condanna del Condominio all'adempimento dell'obbligo
comune di fare. Tale obbligo, in caso di accoglimento della domanda deve essere assolto dall'amministratore
con la cooperazione di tutti i condomini (Trib. Salerno Sez. I, 27-10-2009).
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§ Sulla nozione di lesione del decoro architettonico:
Ai fini della tutela prevista dall'art. 1120, secondo comma, cod. civ. in materia di divieto di innovazioni sulle
parti comuni dell'edificio condominiale, non occorre che il fabbricato, il cui decoro architettonico sia stato
alterato dall'innovazione abbia un particolare pregio artistico, né rileva che tale decoro sia stato già
gravemente ed evidentemente compromesso da precedenti interventi sull'immobile, ma è sufficiente che
vengano alterate, in modo visibile e significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che
conferiscono al fabbricato una propria specifica identità. (Nella fattispecie, la S.C. ha confermato sul punto
l'impugnata sentenza che aveva ritenuto dimostrata la violazione del decoro architettonico in un caso in cui la
trasformazione in veranda dell'unico balcone esistente al piano ammezzato aveva spezzato il ritmo proprio
della facciata ottocentesca del fabbricato, che nei vari piani possedeva un preciso disegno di ripetizione dei
balconi e di alternanza di pieni e vuoti, non potendosi trascurare, a tal fine, anche la rilevanza delle
caratteristiche costruttive della veranda e il suo colore bianco brillante, contrastante con le superfici più
opache dei circostanti edifici) (Cass. civ. Sez. II, 19-06-2009, n. 14455).
In relazione al concetto di alterazione della facciata del fabbricato, per decoro architettonico del fabbricato, ai
fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c., deve intendersi l'estetica data dall'insieme delle linee e delle
strutture che connotano il fabbricato stesso e gli imprimono una determinata, armonica, fisionomia.
L'alterazione di tale decoro può ben correlarsi alla realizzazione di opere che immutino l'originario aspetto
anche soltanto di singoli elementi o punti del fabbricato tutte le volte che la immutazione sia suscettibile di
riflettersi sull'insieme dell'aspetto dello stabile come nel caso della realizzazione di una veranda che dia luogo
a discordanze nel prospetto, modificandone l'unità stilistica e conseguentemente devesi ritenere che leda
l'estetica dell'edificio ed il decoro architettonico (Trib. Roma Sez. V, 18-02-2009).
Ai sensi dell’art. 1122 c.c., ciascun condomino, nel piano o nella porzione di piano di sua proprietà, non può
eseguire opere che rechino danno alla parti comuni. Nella specie, trattandosi di elementi apposti in facciata,
occorre, inoltre, far riferimento anche agli artt. 1102 e 1120 c.c., dai quale si desume che ciascun condomino
può utilizzare le parti comuni, purché non ne alteri la destinazione, non impedisca agli altri condomini di
farne parimenti uso, non arrechi pregiudizio alla stabilità e sicurezza del fabbricato e non ne alteri il decoro
architettonico. (Nel fattispecie in esame, in particolare, mentre devono rigettarsi le domande volte alla
rimozione di fioriere ad ornamento del balcone, in quanto non comportano di per sé alcun pregiudizio alle
parti comuni dell’edificio, ovvero delle tende da sole e della lampada da esterno, poiché trattasi di elementi di
arredo volti al miglior godimento e all’abbellimento della proprietà esclusiva, che non comportano alcun
pregiudizio alla facciata esterna, deve accogliesi la domanda tesa alla rimozione del reticolato verde apposto
a rivestimento di una parte della ringhiera dei balconi, trattandosi, in questo caso, di manufatto non
autorizzato dagli altri condomini ed esteticamente discutibile) (Trib. Monza Sez. I, 09-05-2007).
In tema di condominio, per "decoro architettonico del fabbricato", ai fini della tutela prevista dall'art. 1120
cod. civ., deve intendersi l'estetica dell'edificio, costituita dall'insieme delle linee e delle strutture ornamentali
che ne costituiscono la nota dominante ed imprimono alle varie parti di esso una sua determinata, armonica
fisionomia, senza che occorra che si tratti di edifici di particolare pregio artistico. (Nella specie, è stato
ritenuto che, in conseguenza della costruzione realizzata dal convenuto in aderenza alla facciata del
fabbricato, ne era stato completamente alterato lo stile architettonico, che era caratterizzato dall'esistenza a
piano terra di un porticato con grossi archi, risultato inglobato dal manufatto "de quo") (Cass. civ. Sez. II,
14-12-2005, n. 27551).
3. Conclusioni
Applicando i principi di diritti delineati dalla giurisprudenza alla fattispecie descritta riteniamo che l’intervento
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che si vuole realizzare non rientri nella nozione di innovazione in senso tecnico-giuridico, ma anzi costituisca
più un legittimo esercizio del diritto spettante al proprietario di modificare a sua discrezione il proprio bene
anche incidendo su cose comuni (la facciata condominiale), purché non vengano lesi eguali diritti di altri
condomini. L’intervento può essere realizzato quindi senza che sia necessario alcun consenso preventivo
dell’assemblea di condominio. L’unica opposizione che gli altri condomini potrebbero sollevare riguarda
l’eventuale lesione del decoro architettonico. Come abbiamo visto ciò si verifica quando viene alterata
l’armonia delle linee e quindi l’estetica del fabbricato. Orbene, da quanto ci è stato riferito nel caso di specie,
anche avvalendosi della casistica giurisprudenziale riprodotta al paragrafo precedente, in cui sono ravvisabili
ipotesi con indubbie similitudini con quella che ci occupa, non sembra potersi ravvisare alcuna alterazione
lesiva dell’estetica dell’edificio a causa della sostituzione del telaio del serramento interno.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
INSTALLAZIONE INSEGNA
Quesito:
Qualora il regolamento sia privo di norme in materia, può essere installata sulla facciata dell’edificio
condominiale l'insegna di un'attività commerciale che ha ottenuto i regolari permessi comunali?
Risposta:
1. Inquadramento normativo
Art. 1102 cod. civ.: Ciascun partecipante può servirsi della cosa comune, purché non ne alteri la destinazione
e non impedisca agli altri partecipanti di farne parimenti uso secondo il loro diritto. A tal fine può apportare a
proprie spese le modificazioni necessarie per il migliore godimento della cosa. Il partecipante non può
estendere il suo diritto sulla cosa comune in danno degli altri partecipanti, se non compie atti idonei a mutare
il titolo del suo possesso.
Art. 1120 cod. civ.: I condomini, con la maggioranza indicata dal quinto comma dell'articolo 1136, possono
disporre tutte le innovazioni dirette al miglioramento o all'uso più comodo o al maggior rendimento delle cose
comuni. Sono vietate le innovazioni che possano recare pregiudizio alla stabilità o alla sicurezza del
fabbricato, che ne alterino il decoro architettonico o che rendano talune parti comuni dell'edificio inservibili
all'uso o al godimento anche di un solo condomino.
Art. 1122 cod. civ.: Ciascun condomino, nel piano o porzione di piano di sua proprietà, non può eseguire
opere che rechino danno alle parti comuni dell’edificio.
2. Giurisprudenza
§ Sull’inserimento di una insegna luminosa sul muro comune:
In tema di condominio di edifici è consentita ai singoli condomini o ai conduttori l'apposizione di un insegna
luminosa sul muro perimetrale comune, trattandosi di un'attività che non impedisce agli altri compartecipi di
fare egualmente uso del muro comune secondo la sua destinazione (Cass. civ., Sez. II, 03-02-1998, n.
1046).
Qualora il condomino abbia locato ad altri il bene di sua proprietà esclusiva, il conduttore può servirsi del
muro perimetrale dell'immobile locatogli con uguale contenuto ed uguali modalità del locatore, purché non
rimanga alterata la sua destinazione né pregiudicato il pari uso degli altri condomini (fattispecie in tema di
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apposizione di insegna) (Cass. civ. Sez. III, 24-10-1986, n. 6229).
§ Sulla nozione di innovazione in senso tecnico-giuridico:
L'art. 1136 c.c., al comma V, statuisce che le deliberazioni che hanno per oggetto le innovazioni previste dal
primo comma dell’art. 1120 c.c. devono essere sempre approvate con un numero di voti che rappresenti la
maggioranza dei partecipanti al condominio e i due terzi del valore dell'edificio. Presupposto per l’applicazione
di tale disposto normativo è che la delibera condominiale abbia ad oggetto una innovazione, sicché
preliminare è la decodificazione di tale nozione. È noto che per innovazione in senso tecnico-giuridico debba
intendersi non qualsiasi mutamento o modificazione della cosa comune, ma solo quella modificazione
materiale che ne alteri l'entità sostanziale o ne muti la destinazione originaria, onde le modificazioni che
mirano a potenziare o a rendere più comodo il godimento della cosa comune e ne lascino immutate la
consistenza e la destinazione, in modo da non turbare i concorrenti interessi dei condomini, non possono
definirsi innovazioni nel senso suddetto. Sempre nell'ottica dei diritti/doveri dei condomini quali
comproprietari delle parti comuni dell'edificio, ciascun condomino ha il diritto - dovere di vigilare e
provvedere al relativo mantenimento delle cose comuni. Sicché, se le opere necessarie al mantenimento o
alla ricostruzione della cosa comune non sono deliberate o vi è stata una delibera negativa, ciascuno dei
condomini ha il diritto di agire in giudizio per la condanna del Condominio all'adempimento dell'obbligo
comune di fare. Tale obbligo, in caso di accoglimento della domanda deve essere assolto dall'amministratore
con la cooperazione di tutti i condomini (Trib. Salerno Sez. I, 27-10-2009).
§ Sulla nozione di lesione del decoro architettonico:
Ai fini della tutela prevista dall'art. 1120, secondo comma, cod. civ. in materia di divieto di innovazioni sulle
parti comuni dell'edificio condominiale, non occorre che il fabbricato, il cui decoro architettonico sia stato
alterato dall'innovazione abbia un particolare pregio artistico, né rileva che tale decoro sia stato già
gravemente ed evidentemente compromesso da precedenti interventi sull'immobile, ma è sufficiente che
vengano alterate, in modo visibile e significativo, la particolare struttura e la complessiva armonia che
conferiscono al fabbricato una propria specifica identità. (Nella fattispecie, la S.C. ha confermato sul punto
l'impugnata sentenza che aveva ritenuto dimostrata la violazione del decoro architettonico in un caso in cui la
trasformazione in veranda dell'unico balcone esistente al piano ammezzato aveva spezzato il ritmo proprio
della facciata ottocentesca del fabbricato, che nei vari piani possedeva un preciso disegno di ripetizione dei
balconi e di alternanza di pieni e vuoti, non potendosi trascurare, a tal fine, anche la rilevanza delle
caratteristiche costruttive della veranda e il suo colore bianco brillante, contrastante con le superfici più
opache dei circostanti edifici) (Cass. civ. Sez. II, 19-06-2009, n. 14455).
In relazione al concetto di alterazione della facciata del fabbricato, per decoro architettonico del fabbricato, ai
fini della tutela prevista dall'art. 1120 c.c., deve intendersi l'estetica data dall'insieme delle linee e delle
strutture che connotano il fabbricato stesso e gli imprimono una determinata, armonica, fisionomia.
L'alterazione di tale decoro può ben correlarsi alla realizzazione di opere che immutino l'originario aspetto
anche soltanto di singoli elementi o punti del fabbricato tutte le volte che la immutazione sia suscettibile di
riflettersi sull'insieme dell'aspetto dello stabile come nel caso della realizzazione di una veranda che dia luogo
a discordanze nel prospetto, modificandone l'unità stilistica e conseguentemente devesi ritenere che leda
l'estetica dell'edificio ed il decoro architettonico (Trib. Roma Sez. V, 18-02-2009).
Ai sensi dell’art. 1122 c.c., ciascun condomino, nel piano o nella porzione di piano di sua proprietà, non può
eseguire opere che rechino danno alla parti comuni. Nella specie, trattandosi di elementi apposti in facciata,
occorre, inoltre, far riferimento anche agli artt. 1102 e 1120 c.c., dai quale si desume che ciascun condomino
può utilizzare le parti comuni, purché non ne alteri la destinazione, non impedisca agli altri condomini di
farne parimenti uso, non arrechi pregiudizio alla stabilità e sicurezza del fabbricato e non ne alteri il decoro
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architettonico. (Nel fattispecie in esame, in particolare, mentre devono rigettarsi le domande volte alla
rimozione di fioriere ad ornamento del balcone, in quanto non comportano di per sé alcun pregiudizio alle
parti comuni dell’edificio, ovvero delle tende da sole e della lampada da esterno, poiché trattasi di elementi di
arredo volti al miglior godimento e all’abbellimento della proprietà esclusiva, che non comportano alcun
pregiudizio alla facciata esterna, deve accogliesi la domanda tesa alla rimozione del reticolato verde apposto
a rivestimento di una parte della ringhiera dei balconi, trattandosi, in questo caso, di manufatto non
autorizzato dagli altri condomini ed esteticamente discutibile) (Trib. Monza Sez. I, 09-05-2007).
In tema di condominio, per "decoro architettonico del fabbricato", ai fini della tutela prevista dall'art. 1120
cod. civ., deve intendersi l'estetica dell'edificio, costituita dall'insieme delle linee e delle strutture ornamentali
che ne costituiscono la nota dominante ed imprimono alle varie parti di esso una sua determinata, armonica
fisionomia, senza che occorra che si tratti di edifici di particolare pregio artistico. (Nella specie, è stato
ritenuto che, in conseguenza della costruzione realizzata dal convenuto in aderenza alla facciata del
fabbricato, ne era stato completamente alterato lo stile architettonico, che era caratterizzato dall'esistenza a
piano terra di un porticato con grossi archi, risultato inglobato dal manufatto "de quo") (Cass. civ. Sez. II,
14-12-2005, n. 27551).
3. Conclusioni
In mancanza di specifiche previsioni del regolamento condominiale che vietino l’inserimento di insegne sulla
facciata del fabbricato, deve ritenersi che ciò sia legittimo in adesione all’approdo ermeneutico in tal senso,
da ritenersi consolidato, della giurisprudenza della Suprema Corte di Cassazione. L’apposizione di insegne
infatti non può ritenersi una innovazione in senso tecnico-giuridico bensì una semplice modificazione della
cosa comune rientrante nelle facoltà d’uso attribuite ex lege a ciascun condomino, ai sensi dell’art. 1102 cod.
civ., che pertanto non necessita della preventiva autorizzazione dell’assemblea, purché vengano rispettati i
limiti posti dalla norma appena citata e non venga leso il decoro architettonico dell’edificio.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
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Spese condominiali
RIPARAZIONE COLONNA DI SCARICO
Quesito:
E’ noto che le spese di ripartizione delle colonne di scarico devono essere divise per millesimi di proprietà fra
coloro che di questa colonna si servono. Tuttavia, devo gestire un caso particolare. Un appartamento al
primo piano anziché realizzare un bagno ha realizzato un ripostiglio. Dalla videoispezione emerge che al suo
piano vi è una braga opportunamente chiusa, evidenziando che a tutt'oggi la colonna non è utilizzata ma che
potrebbe realizzare un bagno e collegarsi in futuro.
Pertanto chiedo alla luce di quanto segnalato se alla posa di un sifone Firenze all'inizio della colonna al fine di
evitare esalazioni maleodoranti debba contribuire anche il condomino che non usa ora la colonna.
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Risposta:
1. Inquadramento normativo
Art. 1123 cod. civ.: “Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni
dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla
maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno,
salvo diversa convenzione. 2. Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese
sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne. 3. Qualora un edificio abbia più scale, cortili,
lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro
manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità”.
2. Giurisprudenza
§ Per analogia sono applicabili alla fattispecie descritta i principi di diritto delineati dalle seguenti
massime:
Poiché le spese per la sostituzione della caldaia comune attengono alla "conservazione" dell'impianto (cioè
alla tutela dell'integrità materiale e, quindi, del valore capitale dello stesso), esse costituiscono oggetto di
vere e proprie "obligationes propter rem" che, nascendo dalla contitolarità del diritto reale sull'impianto
comune, sono dovute dai condomini in proporzione della quota che esprime la misura di appartenenza,
ovvero in base ai millesimi. Conseguentemente, ove nell'edificio condominiale vi siano locali (come cantine e
box) non serviti dall'impianto di riscaldamento centralizzato, i condomini titolari - soltanto - della proprietà di
tali locali, non sono contitolari dell'impianto centralizzato, non essendo questo legato da una relazione di
accessorietà, cioè da un collegamento strumentale, materiale e funzionale all'uso o al servizio di quei beni.
Cosicché, venendo meno il presupposto per l'attribuzione della proprietà comune dell'impianto, viene meno
anche l'obbligazione propter rem di contribuire alle spese per la conservazione dello stesso (Cass. civ. Sez.
II, 27-01-2004, n. 1420).
I proprietari delle unità immobiliari (nella specie, mansarde) che, per ragioni di conformazione dell'edificio,
non siano servite dall'impianto di riscaldamento centralizzato non possono legittimamente vantare un diritto
di condominio sull'impianto medesimo, perché questo non è legato alle dette unità immobiliari da una
relazione di accessorietà (che si configura come il fondamento tecnico del diritto di condominio), e cioè da un
collegamento strumentale, materiale e funzionale consistente nella destinazione all'uso o al servizio delle
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medesime. Il presupposto per l'attribuzione della proprietà comune in favore di tutti i compartecipi viene
meno, difatti, se le cose, gli impianti, i servizi di uso comune, per oggettivi caratteri strutturali e funzionali,
siano necessari per l'esistenza o per l'uso (ovvero siano destinati all'uso o al servizio) di alcuni soltanto dei
piani o porzioni di piano dell'edificio (Cass. civ. Sez. II, 07-06-2000, n. 7730).
3. Conclusioni
In mancanza di decisioni della giurisprudenza su casi identici o simili a quello che ci occupa la soluzione al
quesito sottoposto è rimessa all’interprete. Essa dovrà essere fondata sui principi generali in materia di
ripartizione spese comuni quali risultano dal codice civile ed alla luce degli approdi ermeneutici della
giurisprudenza su casi analoghi. Ciò premesso dal punto di vista metodologico, osserviamo quanto segue.
Il fondamento giuridico dell’attribuzione delle spese condominiali è costituito dalla relazione di accessorietà,
ovvero da un collegamento strumentale, materiale e funzionale, di un bene comune con un’unità immobiliare
posta all’interno del condominio. In altri termini, come acclarato dalla consolidata giurisprudenza, per il
proprietario di un’unità immobiliare sorge l’obbligazione di contribuire alle spese di conservazione e
godimento di una parte comune, ovvero anche alla posa di un apparecchio per evitare odori fastidiosi
provenienti dalla colonna, se lo stesso è destinato a servire per oggettive caratteristiche strutturali e
funzionali l’unità immobiliare medesima. Orbene, nel caso che ci occupa, la colonna fognaria è destinata a
servire anche l’appartamento al primo piano. La scelta di non utilizzarlo è soggettiva del proprietario e non
dipendente da un oggettivo impedimento strutturale e funzionali (come invece accade sovente per box e
cantine) che ha deciso di installarvi un ripostiglio al posto di un bagno, ma la colonna può servire anche detto
appartamento.
Una valutazione della fattispecie concreta che ci occupa alla luce dei richiamati principi giurisprudenziali e del
pacifico fondamento giuridico dell’obbligazione di contribuire alle spese relative alle parti comuni induce a
ritenere pertanto che la soluzione più corretta sia quella di applicare nel caso di specie la regola generale di
cui al comma 1 dell’art. 1123 cod. civ., in luogo di quella di cui al comma 3 del medesimo articolo, che
potrebbe applicarsi solo laddove si accogliesse una interpretazione meramente empirica della norma de qua
fondata sulla mera utilità del bene comune, ritendo quindi che non avendo attualmente la colonna fognaria
alcuna utilità concreta per l’appartamento al primo piano dovrebbe escludersi che il proprietario debba
contribuire alle spese per l’installazione del sifone de quo. Ciò precisato, fermo restando che nel silenzio di
interpretazioni autentiche del legislatore o giurisprudenziali su casi identici o simili vi è un puntello giuridico
per escludere il proprietario dall’obbligo contributivo, la prima soluzione prospettata appare preferibile per gli
esposti motivi.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
SOSTITUZIONE PIASTRELLE DELLA TERRAZZA
Quesito:
Le spese per ripristinare alcune piastrelle in fase di distacco di una terrazza a livello di proprietà esclusiva che
funziona da copertura a un locale commerciale posto al piano terra, devono essere addebitate al proprietario
della terrazza o bisogna applicare l'art. 1126 del cod. civ.?
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Risposta:
1. Inquadramento normativo
Art. 1126 cod. civ.: “Quando l'uso dei lastrici solari o di una parte di essi non è comune a tutti i condomini,
quelli che ne hanno l'uso esclusivo sono tenuti a contribuire per un terzo nella spesa delle riparazioni o
ricostruzioni del lastrico: gli altri due terzi sono a carico di tutti i condomini dell'edificio o della parte di questo
a cui il lastrico solare serve, in proporzione del valore del piano o della porzione di piano di ciascuno”.
2. Giurisprudenza
Poiché la terrazza a livello, anche se di proprietà o in godimento esclusivo di un singolo condomino, assolve
anche alla stessa funzione di copertura del lastrico solare posto alla sommità dell'edificio nei confronti degli
appartamenti sottostanti, a norma dell'art. 1126 cod. civ., alla sua manutenzione sono tenuti, a norma della
stessa disposizione, tutti i condomini cui essa funge da copertura, in concorso con l'eventuale proprietario
superficiario o titolare del diritto di uso esclusivo. Conseguentemente, dei danni cagionati all'appartamento
sottostante da infiltrazioni di acqua provenienti dalla terrazza deteriorata per difetto di manutenzione devono
rispondere tutti i condomini tenuti alla sua manutenzione, secondo i criteri di ripartizione della spesa stabiliti
dall'art. 1126 cod. civ. e che la domanda di risarcimento dei danni è proponibile nei confronti del condominio
in persona dell'amministratore, quale rappresentante di tutti i condomini tenuti ad effettuare la
manutenzione, ivi compreso il proprietario dell'appartamento posto allo stesso livello della terrazza (Cass.
civ. Sez. III, 12-12-2008, n. 29212).
In tema di condominio di edifici la terrazza a livello, anche se di proprietà esclusiva o di uso esclusivo di un
singolo condomino, assolve alla stessa funzione di copertura del lastrico solare posto alla sommità
dell'edificio nei confronti degli appartamenti sottostanti. Ne consegue che, anche se esso appartiene in
proprietà e se è attribuito in uso esclusivo ad uno dei condomini, all'obbligo di provvedere alla sua
riparazione o alla sua ricostruzione sono tenuti tutti i condomini, in concorso con il proprietario o con il
titolare del diritto di uso esclusivo. Pertanto, dei danni cagionati all'appartamento sottostante per le
infiltrazioni d'acqua provenienti dal lastrico, deteriorato per difetto di manutenzione, rispondono tutti gli
obbligati inadempienti alla funzione di conservazione, secondo le proporzioni stabilite dall'art. 1126 c.c., vale
a dire i condomini ai quali il lastrico serve da copertura, in proporzione ai due terzi, ed il titolare della
proprietà o dell'uso esclusivo, in ragione della altre utilità, nella misura del terzo residuo (Cass. civ. Sez. III,
13-12-2007, n. 26239).
In tema di condominio di edifici, la terrazza a livello, anche se di proprietà esclusiva di un singolo condomino,
assolve alla stessa funzione di copertura del lastrico solare posto alla sommità dell'edificio, nei confronti degli
appartamenti sottostanti; ne consegue che, ai sensi dell'art. 1126 c.c., obbligati alla riparazione del terrazzo
stesso sono i condomini che usufruiscono della copertura del terrazzo in concorso con il proprietario
superficiario. Pertanto, dei danni cagionati all'appartamento per le infiltrazioni provenienti dal terrazzo
deteriorato per difetto di manutenzione, risponde il condominio in proporzione di due terzi e la titolare della
proprietà esclusiva del terrazzo nella misura del residuo terzo (App. Roma Sez. III, 24-07-2007).
Le spese di manutenzione e riparazione del lastrico solare di un edificio, cui va assimilata la terrazza a livello,
devono essere sopportate a norma dell'art. 1126 c.c., in ragione di un terzo dal condomino che ne abbia l'uso
esclusivo, restando gli altri due terzi della spesa stessa a carico dei proprietari dei piani o porzioni di piano
sottostanti ai quali il lastrico o la terrazza serve di copertura (Trib. Genova Sez. III, 28-02-2006).
3. Conclusioni
Tutto ciò precisato in punto di diritto, è evidente che non possono esservi dubbi sul fatto che nel caso
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sottoposto le spese per ripristinare le piastrelle della terrazza a livello debbano essere ripartite secondo la
prescrizione dell’art. 1126 cod. civ., essendo tale approdo ermeneutico acclarato dalla giurisprudenza
consolidata, sia di legittimità che di merito.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
SERVIZIO EROGAZIONE GAS
Quesito:
Ho letto di recente, ma non trovo rispondenza, che anche le aziende erogatrici del gas metano non possono
sospendere la fornitura in caso di mancato pagamento delle bollette ma devono rivolgersi all'autorità
giudiziaria come tutti i fornitori normali di un condominio?
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Risposta:
1. Inquadramento normativo
Linee Guida Autorità per l’Energia Elettrica ed il Gas:
“Sospensione della fornitura
Preavviso e sospensione
Se il cliente non paga entro i termini indicati in bolletta, il venditore deve inviare una raccomandata (non è
necessario l'avviso di ritorno) con l'indicazione:
• del termine ultimo per il pagamento;
• delle modalità con cui comunicare l'avvenuto pagamento (telefono, fax, ecc.);
• del termine previsto per la sospensione della fornitura, se il cliente continua a non pagare;
• del costo delle eventuali operazioni di sospensione e riattivazione della fornitura.
Se il cliente non paga il venditore può dare corso alla sospensione della fornitura.
Garanzie per il cliente
La fornitura non può essere sospesa se il cliente non è stato preavvisato con raccomandata. Inoltre, la
fornitura non può essere sospesa nei seguenti casi:
• quando il pagamento della bolletta è già stato eseguito ma non ancora comunicato al venditore
dall'incaricato alla riscossione per una causa non imputabile al cliente;
• se l'importo non pagato è inferiore o uguale al deposito cauzionale;
• in caso di mancato pagamento di servizi diversi dalla fornitura di gas (ad esempio la fornitura di
energia elettrica) quando tale fornitura è erogata da un'impresa multiservizio;
• nei giorni di venerdì e sabato e nei giorni festivi e prefestivi;
• per cause non previste in modo dettagliato nel contratto di vendita e quindi non note al cliente;
• in caso di mancata sottoscrizione del contratto di fornitura.
Il venditore può sospendere la fornitura anche senza preavviso in soli tre casi:
• per accertata appropriazione fraudolenta di gas (furto di gas);
• per manomissione e rottura dei sigilli del contatore;
• per utilizzo degli impianti in modo non conforme al contratto di vendita.
Oneri per il cliente
Nel caso di sospensione della fornitura per morosità, il venditore può chiedere al cliente il contributo per la
disattivazione e la riattivazione , nel limite del costo sostenuto per queste operazioni.
Riattivazione
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La riattivazione della fornitura deve avvenire entro due giorni da quando il cliente comunica l’avvenuto
pagamento secondo le modalità indicate nella raccomandata di preavviso. Sono esclusi dal conteggio i giorni
festivi”.
Art. 1454 cod. civ.: “Alla parte inadempiente l'altra può intimare per iscritto di adempiere in un congruo
termine, con dichiarazione che, decorso inutilmente detto termine, il contratto s'intenderà senz'altro
risoluto”.
Il termine non può essere inferiore a quindici giorni, salvo diversa pattuizione delle parti o salvo che, per la
natura del contratto o secondo gli usi, risulti congruo un termine minore. Decorso il termine senza che il
contratto sia stato adempiuto, questo è risoluto di diritto.
2. Giurisprudenza
Il mancato pagamento pluriennale della fornitura di gas metano, legittima il relativo fornitore ad avvalersi
della sua facoltà di accedere nella proprietà dell'inadempiente al fine di predisporre materialmente
l'interruzione del servizio mediante l'apposizione dei relativi sigilli, oltre ad agire in giudizio, ai sensi dell'art.
1453 c.c., chiedendo la risoluzione del relativo contratto causa inadempimento (Trib. Lodi, Sent.,
23.01.2009).
In ipotesi di contratto di somministrazione di gas, il somministrante ha diritto di sospendere la fornitura in
caso di inadempimento della parte che ha diritto alla somministrazione; detta sospensione del servizio
richiede la collaborazione attiva dell'utente, il quale deve permettere l'accesso al contatore sito presso la
propria abitazione. Sussiste pertanto il fumus boni iuris per ottenere un provvedimento ex art. 700 c.p.c. che
consenta di accedere alla abitazione dell'utente per provvedere alla chiusura del misuratore dei consumi. Per
quanto riguarda il periculum in mora, va tenuto presente che il somministrante, senza l’emissione del
provvedimento cautelare richiesto, sarebbe costretto a continuare l'erogazione del servizio per il tempo
occorrente a far valere il suo diritto in via ordinaria, subendo così il persistere ed aggravarsi
dell'inadempimento dell’utente. Anche sotto questo aspetto, pertanto, il predetto provvedimento cautelare
può essere concesso (Trib. Carpi, Ord., 26.01.2007).
3. Conclusioni
Tutte le Aziende che forniscono gas metano nel regolare i loro rapporti contrattuali relativi alla sua
somministrazione agli utenti finali devono attenersi fedelmente alle Linee Guida emanate dall’Autorità per
l’energia Elettrica ed il Gas, riprodotte al paragrafo precedente. Nulla è da esse previsto sulla necessità di
ricorrere all’Autorità giudiziaria per ottenere la sospensione dell’erogazione del servizio in ipotesi di morosità
nei pagamenti. Tuttavia, ragionando per principi generali osserviamo che la sospensione può essere disposta
nei casi indicati e previo preavviso comunicato all’utente con lettera raccomandata, che se ha valore di diffida
ad adempiere risolve di diritto il contratto senza necessità di una pronuncia costitutiva dell’Autorità
giudiziaria. Diversamente, in mancanza di tale preventiva comunicazione e dell’inserimento nella stessa della
dichiarazione che decorso inutilmente il termine (minimo) di quindici giorni il contratto s'intenderà senz'altro
risolto, la sospensione immediata della fornitura non potrà tuttavia ritenersi legittima in quanto la risoluzione
per inadempimento in mancanza di diffida ad adempiere, oppure se non è prevista nel contratto una clausola
risolutiva espressa in caso di morosità nei pagamenti, non opera automaticamente ma solo a seguito di
pronuncia del Giudice. In ogni caso, l’Azienda erogatrice ha diritto di entrare nei locali del somministrato al
fine di chiudere il misuratore dei consumi, potendo ottenere, in caso di opposizione del proprietario, un
provvedimento cautelare d’urgenza ex art. 700 c.p.c. che gli consenta di accedere all’abitazione.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
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RIPARTIZIONE SPESE PREGRESSE IN BASE ALLE TABELLE MILLESIMALI
Quesito:
Le tabelle millesimali possono essere applicate con retroattività? In un condominio si sono ripartite le spese
condominiali sempre in parti uguali fra i condomini. Ad un certo punto uno dei condomini ha preteso che si
applicassero le tabelle millesimali per ripartire le spese condominiali, richiedendo altresì la retroattività di
applicazione e quindi, rifacendo i calcoli delle somme spese per gli anni passati applicando le tabelle, ha
chiesto un rimborso per delle somme in più versate. Il rimborso era dovuto?Se effettuato dei lavori e ripartita
la spesa con regolare tabella millesimale ci si accorge a distanza di qualche mese che la tabella conteneva
degli errori, rifatta la tabella con le correzioni, la spesa effettuata deve essere ricalcolata in base alla nuova
tabella o rimane valido il riparto effettuato con la tabella vigente nel momento in cui si sono realizzati e
ultimati i lavori?
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Risposta:
1. Inquadramento normativo
Art. 1123, comma 1, cod. civ.: Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti
comuni dell'edificio per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla
maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno,
salvo diversa convenzione.
Art. 69 Disp. att. cod. civ.: I valori proporzionali dei vari piani o porzioni di piano possono essere riveduti o
modificati, anche nell'interesse di un solo condomino, nei seguenti casi: 1) quando risulta che sono
conseguenza di un errore; 2) quando, per le mutate condizioni di una parte dell'edificio, in conseguenza della
sopraelevazione di nuovi piani, di espropriazione parziale o di innovazioni di vasta portata, è notevolmente
alterato il rapporto originario tra i valori dei singoli piani o porzioni di piano.
Art. 1137 cod. civ.: Le deliberazioni prese dall'assemblea a norma degli articoli precedenti sono obbligatorie
per tutti i condomini. Contro le deliberazioni contrarie alla legge o al regolamento di condominio, ogni
condomino dissenziente può fare ricorso all'autorità giudiziaria, ma il ricorso non sospende l'esecuzione del
provvedimento, salvo che la sospensione sia ordinata dall'autorità stessa. Il ricorso deve essere proposto,
sotto pena di decadenza, entro trenta giorni, che decorrono dalla data della deliberazione per i dissenzienti e
dalla data di comunicazione per gli assenti.
2. Giurisprudenza
§ Sul quorum necessario per adottare criteri di ripartizione delle spese diversi da quello generale
di cui alla comma 1 dell’art. 1123 cod. civ.:
In mancanza di diversa convenzione adottata all'unanimità, quale espressione dell'autonomia contrattuale, la
ripartizione delle spese condominiali, così come degli oneri risarcitori, cui è tenuto a far fronte il condominio
deve necessariamente avvenire secondo i criteri di proporzionalità, fissati dall'art. 1123 c.c., con la
conseguenza che non è consentito all'assemblea condominiale, deliberando a maggioranza, di ripartire tra i
condomini non morosi il debito delle quote condominiali dei condomini morosi. In tal senso è, pertanto,
illegittima per contrasto con il dettato di cui all'art. 1123 c.c. la delibera condominiale nel caso concreto
impugnata, nella parte in cui imputa pro quota a tutti i condomini, anche a quelli non morosi, le spese del
precetto, resosi necessario a seguito dell'inadempimento di alcuni soli condomini (Trib. Genova Sez. III, 12-
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03-2010).
In mancanza di diversa convenzione adottata all'unanimità, espressione dell'autonomia contrattuale, la
ripartizione delle spese condominiali deve avvenire necessariamente secondo i criteri di proporzionalità,
fissati nell'art. 1123 c.c.. Tale norma, infatti, detta le regole da seguire in sede di riparto delle spese
condominiali, pur ammettendo patti in deroga. Allo stesso tempo essa, però, pone dei limiti insuperabili. Ed
infatti, non è consentito all'assemblea condominiale, deliberando a maggioranza, di ripartire tra i condomini
non morosi il debito delle quote condominiali dei condomini morosi. Tanto perché l'obbligazione di cui all'art.
1123 c.c. è una obbligazione parziaria. Infatti è stato fissato nel principio della parziarità (in proporzione alle
rispettive quote facenti capo ai singoli condomini) il criterio per il pagamento delle obbligazioni assunte dal
condominio verso i terzi, superando, così, il tradizionale assunto della responsabilità solidale dei condomini,
accolto e seguito dalla giurisprudenza maggioritaria sia di legittimità che di merito. Ed infatti, affinché possa
invocarsi la solidarietà passiva, è necessario il concorso di tre fattori, ovverosia, la sussistenza della pluralità
dei debitori, l'identica causa dell'obbligazione e, soprattutto, l'indivisibilità della prestazione comune. In
mancanza di quest'ultimo requisito e in difetto di una espressa disposizione di legge l'intrinseca parziarietà
della obbligazione prevale. In particolare, nel caso che ci occupa, l'obbligazione ascritta a tutti i condomini è
naturalisticamente divisibile, trattandosi di somma di danaro, sicché ciascun condomino è tenuto a pagare
quanto gli compete pro quota e nulla in più (Trib. Salerno Sez. I, 19-10-2009).
L'art. 1123 c.c. stabilisce che le spese per la conservazione ed il godimento delle parti comuni dell'edificio
sono ripartite in proporzione al valore della proprietà salva diversa convenzione. In assenza di tabelle
millesimali approvate all'unanimità dai condomini occorre applicare il criterio generale disposto dalla norma
(Trib. Terni, 02-04-2009).
§ Sull’impossibilità di ottenere il rimborso di spese approvate sulla base di tabelle errate:
Per analogia:
La sentenza che accoglie la domanda di revisione o modifica dei valori proporzionali di piano, vale a dire delle
tabelle millesimali, nei casi previsti dall'art. 69 disp. att. c.c., non ha natura dichiarativa, ma costitutiva, in
quanto ha la stessa funzione dell'accordo raggiunto all'unanimità dai condomini. La sentenza di revisione di
tali valori, peraltro, in quanto sentenza costitutiva, non può provvedere sulla ripartizione di spese imputabili a
periodi già decorsi e conseguentemente non può comportare condanna alla restituzione di eventuali maggiori
somme pagate sulla base delle precedenti tabelle millesimali. Ne consegue che l'efficacia di tale sentenza, in
mancanza di specifica disposizione di legge contraria, opera ex nunc e non può avere efficacia retroattiva
(Trib. Monza Sez. I, 17-03-2008).
3. Conclusioni
Non sembra sussistere la possibilità per il condomino di ottenere il rimborso di quanto versato in eccedenza.
Infatti, posto che è legittimo che i condomini all’unanimità decidano di ripartire le spese di conservazione
delle parti comuni utilizzando un criterio diverso da quello generale secondo i rispettivi millesimi di proprietà,
e che non ci è dato sapere se la decisione di procedere con la suddivisione in parti uguali sia stata presa a
maggioranza dall’assemblea oppure con la necessaria unanimità dei condomini, unico quorum che integra
quella diversa convenzione di cui parla il Legislatore all’art. 1123, comma 1, cod. civ., osserviamo in ogni
caso che le delibere assembleari con cui sono state approvate le spese comuni secondo la ripartizione in parti
uguali doveva essere impugnata a pena di decadenza entro 30 giorni. Il tenore letterale dell’art. 1137,
comma 3, cod. civ. è chiaro e non può lasciare spazio a dubbi interpretativi. Pertanto, il condomino, se
ancora in termini, potrà ottenere l’annullamento solo dell’ultima delibera di approvazione impugnandola
dinanzi all’Autorità giudiziaria, a condizione ovviamente che non risulti un atto sottoscritto in precedenza da
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tutti i condomini da cui risulti il consenso alla deroga di cui trattasi, e quindi la ripartizione delle spese
secondo le tabelle millesimali. Detta ripartizione d’ora in avanti dovrà essere applicata in luogo di quella in
parti uguali, mancando evidentemente l’unanimità dei consensi alla deroga, salva sempre l’esistenza di tale
convenzione, nel qual caso sarebbe necessaria una nuova convenzione che ripristinasse l’uso delle tabelle
millesimali.
Per quanto riguarda l’altra questione sottoposta, ovvero quella della tabella secondo cui ripartire le spese dei
lavori, osserviamo che, essendo anche decorsi i trenta giorni dalla delibera, deve ritenersi valida la
ripartizione effettuata ed approvata dall’assemblea secondo la tabella errata. Ciò applicando per analogia il
principio di diritto affermato dalla giurisprudenza citata al paragrafo precedente, che non risulta smentito da
altre sentenze.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
FACCIATA
Quesito:
In caso di subentro di un nuovo proprietario a seguito di successione ereditaria, le spese di manutenzione
della facciata, vanno pagate dal nuovo proprietario o dal precedente, tenuto conto che i lavori sono stati
deliberati prima del subentro?
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Risposta:
1. Inquadramento normativo
Art. 63, comma 2, Disp. att. cod. civ.: Chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato, solidalmente con
questo, al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente.
2. Giurisprudenza
§ Sulla ripartizione delle spese fra vecchio e nuovo proprietario in caso di trasferimento
dell’immobile inter vivos:
Ai sensi dell'art. 63, comma 2°, disp. att. c.c., l’acquirente dell'unità immobiliare in proprietà esclusiva è
solidalmente obbligato con l'alienante “per il pagamento dei contributi relativi all'anno in corso e a quello
precedente”. Siffatta solidanza è espressione del c.d. principio dell'“ambulatorietà passiva” che al fine di
apportare all'ente di gestione condominiale una specifica garanzia per il conseguimento dei propri crediti
gestori, lascia intatto, nei rapporti tra dante causa ed avente causa della pertinente unità immobiliare, il
principio della personalità che radica, in capo a ciascuno, il debito sorto in costanza della relativa titolarità
dominicale si da consentire a colui che, in ragione di tale solidanza, abbia soddisfatto verso il condominio un
debito sorto antecedentemente al suo acquisto, il diritto a rivalersi nei confronti del vero obbligato personale
(Tribunale Civile di Roma, Sezione V, Sentenza 29 gennaio 2010).
3. Conclusioni
Tutto ciò esposto osserviamo tuttavia che nel caso di specie ogni questione relativa alla ripartizione delle
spese fra vecchio e nuovo proprietario, che normalmente andrebbe risolta alla luce dei principi legislativi e
giurisprudenziali richiamati nei paragrafi precedenti, appare non sussistere. Infatti se è vero che ci viene
riferito che l’immobile è pervenuto per successione ereditaria, e non per atto inter vivos, il pagamento non
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può che essere richiesto al nuovo proprietario, sol considerando che il vecchio proprietario è deceduto ed il
nuovo, che ne è l’erede, gli è subentrato nella titolarità di tutti i rapporti attivi (diritto di proprietà) e passivi
(oneri condominiali) relativi all’immobile trasferito mortis causa.
Diversamente, in ipotesi normale, ovvero di trasferimento inter vivos, la soluzione è la seguente. Dando
ingresso all’approdo ermeneutico (riprodotto al paragrafo precedente) della più recente giurisprudenza di
merito pronunciatasi sull’interpretazione del citato art. 63, comma 2, se ne deduce che il condominio può
richiedere il pagamento delle spese di manutenzione della facciata sia al nuovo che al vecchio proprietario,
essendo costoro vincolati da un’obbligazione solidale. Poi, se proprietario dell’unità immobiliare nel momento
in cui è sorta l’obbligazione, ovvero al momento della delibera dell’assemblea di approvazione dei lavori, è il
vecchio proprietario, mentre a pagare in quanto richiesto dal condominio è stato il nuovo, quest’ultimo potrà
agire in via di regresso nei confronti del suo avente causa per ottenere il rimborso di quanto pagato.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
FRONTALINI BALCONI
Quesito:
In un condominio debbono essere rifatti i frontalini dei balconi. Come si ripartiscono le spese?
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Risposta:
1. Inquadramento normativo
Art. 1123 cod. civ.: “Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni
dell'edificio per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla
maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno,
salvo diversa convenzione. Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese
sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne. Qualora un edificio abbia più scale, cortili,
lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro
manutenzione sono a carico del gruppo di condòmini che ne trae utilità”.
2. Giurisprudenza
§ Di legittimità:
- Il criterio di ripartizione delle spese di cui all'art. 1123 c. c., con riguardo all'ipotesi di cui al 2° comma,
può trovare applicazione in concrete circostanze, con riguardo a qualunque parte comune dell'edificio e quindi
anche alla facciata, in guisa che i condomini siano obbligati a contribuire alle spese di manutenzione e
riparazione, non in base ai valori millesimali, ma in ragione dell'utilità che la cosa comune sia obiettivamente
destinata ad arrecare a ciascuna delle proprietà esclusive, laddove la spesa potrebbe gravare indistintamente
su tutti i partecipanti alla comunione secondo il criterio generale di cui all'art. 1104 c. c. solo se la cosa
comune in relazione alla sua consistenza ed alla sua funzione fosse destinata a servire ugualmente ed
indiscriminatamente i diversi piani o le singole proprietà (nella specie, la suprema corte ha ritenuto
correttamente applicato il principio surriportato con riguardo alla ripartizione delle spese di riparazione della
pannellatura della facciata di un edificio, sul rilievo che essa assolve ad una duplice funzione, l'una di
protezione verso l'esterno dei balconi di proprietà esclusiva dei singoli condomini e di riparo dagli agenti
atmosferici, l'altra di abbellimento della facciata del fabbricato) (Cass. civ. Sez. II, 23-12-1992, n. 13655).
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§ Di merito:
- Le spese di manutenzione riguardanti il frontalino dei balconi, che è un elemento della struttura
esterna del balcone destinato a garantire l'integrità architettonica dell'edificio come componente della
facciata, devono gravare su tutti i condomini (Trib. Milano Sez. VIII, 26-11-1988).
- Le spese di manutenzione riguardanti il frontalino dei balconi, che è un elemento della struttura
esterna del balcone destinato a garantire l'integrità architettonica dell'edificio come componente della
facciata, devono gravare su tutti i condomini (Trib. Milano, 26-09-1988).
3. Conclusioni
Innanzitutto, occorre precisare che l’approdo ermeneutico della giurisprudenza richiamata al paragrafo
precedente costituisce un principio consolidato. Infatti, non solo non si sono rinvenute sentenze successive di
segno contrario, ma anche la dottrina (Rezzonico-Rezzonico, Manuale del Condominio) si è pronunciata in
senso favorevole al principio giurisprudenziale, ovvero che le spese relative al frontalino dei balconi, che fa
parte integrante della facciata, devono essere sostenute da tutti i condomini. Per quanto riguarda poi il
criterio di ripartizione fra questi ultimi la medesima dottrina, richiamando una decisione sempre del Tribunale
di Milano (n.5934 del 17 giugno 1999), ha avallato l’applicabilità dell’art. 1123, comma 2, cod. civ., ovvero la
regola secondo cui che le spese per il rifacimento del balcone debbano essere suddivise secondo la diversa
utilità della spesa. Ciò in quanto mentre per i condomini i cui appartamenti non sono dotati di balconi l’utilità
dell’intervento è costituita esclusivamente dal ripristino del decoro architettonico della facciata, per gli altri vi
è anche l’utilità derivante dalla possibilità di utilizzo diretto del balcone, quale prolungamento della proprietà
individuale. Non si individuano ragioni per non condividere tale approdo interpretativo.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
SOTTOTETTO
Quesito:
Nel caso di un lastrico solare di proprietà esclusiva situato all'ultimo piano di un edificio, parzialmente in
aggetto, è corretto applicare per la manutenzione dell'intera superficie il criterio di cui all'art 1126
considerando la porzione in aggetto un tutt'uno con la terrazza? E’ necessario distinguere le due porzioni
applicando alla parte di lastrico solare il criterio dell'art 1126 cc ed la parte in aggetto completamente a
carico della proprietà?
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Risposta:
1. Giurisprudenza
§ Sulla ripartizione delle spese di manutenzione di balconi aggettanti:
L’art. 1125 cod. civ. non trova applicazione nel caso di balconi "aggettanti", i quali, sporgendo dalla facciata
dell’edificio, costituiscono solo un prolungamento dell’appartamento dal quale protendono; e, non svolgendo
alcuna funzione di sostegno, né di necessaria copertura dell’edificio (come, viceversa accade per le terrazze a
livello incassate nel corpo dell’edificio), non possono considerarsi al servizio dei piani sovrapposti e, quindi, di
proprietà comune dei proprietari di tali piani, ma rientrano nella proprietà esclusiva dei titolari degli
appartamenti cui accedono. Ne consegue che il proprietario dell’appartamento sito al piano inferiore non può
agganciare le tende alla soletta del balcone aggettante sovrastante, se non con il consenso del proprietario
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dell’appartamento sovrastante (Cass. civ. Sez. II, 17-07-2007, n. 15913).
In tema di condominio, i balconi "aggettanti", i quali sporgono dalla facciata dell'edificio, costituiscono solo un
prolungamento dell'appartamento dal quale protendono e, non svolgendo alcuna funzione di sostegno né di
necessaria copertura dell'edificio - come, viceversa, accade per le terrazze a livello incassate nel corpo
dell'edificio - non possono considerarsi a servizio dei piani sovrapposti e, quindi, di proprietà comune dei
proprietari di tali piani e ad essi non può applicarsi il disposto dell'articolo 1125 cod. civ. I balconi
"aggettanti", pertanto, rientrano nella proprietà esclusiva dei titolari degli appartamenti cui accedono. (Nella
specie la S.C., sulla base dell'enunciato principio, ha escluso che il proprietario dell'appartamento sito al
piano inferiore potesse agganciare le tende alla soletta del balcone "aggettante" sovrastante, se non con il
consenso del proprietario del corrispondente appartamento). (Cassa con rinvio, Trib. Alessandria, 28 Maggio
2002) Cass. civ. Sez. II Sent., 17-07-2007, n. 15913 Le spese di rifacimento o di manutenzione per le
infiltrazioni derivanti dall'inadeguatezza del risvolto della copertura impermeabilizzante sottostante il
calpestio del terrazza, non costituente "lastrico solare" in quanto non è lastra piana di copertura a servizio
dell'intero condominio ma risolventesi in un prolungamento "aggettante" della soletta divisoria tra l'abitazione
sovrastante e quella sottostante, vanno ripartite secondo lo schema di cui all'art. 1126 c.c. (Trib. Genova,
27-04-2005).
§ Sulla ripartizione delle spese di manutenzione del lastrico solare di proprietà esclusiva:
In tema di condominio di edifici, il lastrico solare - anche se attribuito in uso esclusivo, o di proprietà
esclusiva di uno dei condomini - svolge funzione di copertura del fabbricato e, perciò, l'obbligo di provvedere
alla sua riparazione o ricostruzione, sempre che non derivi da fatto imputabile soltanto a detto condomino,
grava su tutti, con ripartizione delle spese secondo i criteri di cui all'art. 1126 c.c. Ne consegue che il
condominio, quale custode ex art. 2051 c.c. - in persona dell'amministratore, rappresentante di tutti i
condomini tenuti ad effettuare la manutenzione, ivi compreso il proprietario del lastrico o colui che ne ha
l'uso esclusivo - risponde dei danni che siano derivati al singolo condomino o a terzi per difetto di
manutenzione del lastrico solare. A tal fine i criteri di ripartizione delle spese necessarie non incidono sulla
legittimazione del condominio nella sua interezza e del suo amministratore, comunque tenuto a provvedere
alla conservazione dei diritti inerenti alle parti comuni dell'edificio ai sensi dell'art. 1130 c.c. (Trib. Benevento
Sent., 14-01-2009).
In tema di ripartizione di spese comuni, l'obbligo di provvedere alla riparazione o ricostruzione del lastrico
solare grava su tutti i condomini, con ripartizione delle spese secondo i criteri di cui all'art. 1126 c.c., anche
nell'ipotesi in cui lo stesso sia attribuito in uso esclusivo o in proprietà esclusiva ad uno dei condomini, attesa
la funzione che svolge di copertura del fabbricato (Trib. Roma Sez. XII, 26-11-2008).
Il lastrico solare, anche se attribuito in uso esclusivo o di proprietà esclusiva di uno dei condòmini, svolge
funzione di copertura del fabbricato e perciò l'obbligo di provvedere alla sua riparazione o ricostruzione,
sempre che non derivi da fatto imputabile soltanto a detto condòmino, grava su tutti i condòmini, con
ripartizione delle relative spese secondo i criteri di cui all'art. 1126 c.c. Di conseguenza, il condominio
risponde, quale custode ex art. 2051 c.c., dei danni che siano derivati al singolo condòmino o a terzi per
difetto di manutenzione del lastrico solare, non rilevando a tal fine che i necessari interventi riparatori o
ricostruttivi non consistano in un mero ripristino delle strutture preesistenti, ma esigano una specifica
modifica od integrazione, in conseguenza di vizi o carenze costruttive originarie, salva in questo caso l'azione
di rivalsa nei confronti del costruttore-venditore (Trib. Genova Sez. III, 07-03-2008).
2. Conclusioni
Effettuata tale ampia indagine ricognitiva degli orientamenti giurisprudenziali che interessano la fattispecie
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descritta dal richiedente, osserviamo che mancando un precedente giurisprudenziale identico a quello
sottoposto che consentirebbe di fugare definitivamente i dubbi avanzati dal richiedente, non possiamo che
concludere che entrambe le soluzioni hanno un loro fondamento giuridico e sono pertanto attuabili per le
ragioni di seguito esposte, ma anche che una delle due ad avviso di chi scrive è preferibile. Analizziamole
entrambe: i) quella di ripartire le spese applicando il criterio di cui all’art. 1126 per tutta la superficie del
lastrico solare trova sostegno nella considerazione che quando la giurisprudenza ha ritenuto esistente un
lastrico solare, pur se di proprietà esclusiva, ha sempre fatto rigida applicazione del criterio di ripartizione di
cui all’art. 1126 cod. civ.; ii) quella di ripartire le spese ponendo la parte aggettante a carico integrale del
proprietario esclusivo del lastrico e la restante parte secondo il criterio di cui all’art. 1126 trova sostegno
nella considerazione che la giurisprudenza allorquando si è trovata di fronte alla necessità di dover decidere a
carico di chi porre le spese di manutenzione di un bene (balcone) aggettante le ha poste a carico esclusivo
del proprietario in quanto esclusa la funzione di copertura del fabbricato ha ritenuto esclusa la funzione di
soddisfare esigenze comuni. Per lo scrivente la soluzione preferibile è tuttavia la prima in quanto il lastrico
solare deve essere considerato nella sua unitarietà, ovvero come bene unico e non come un bene composto.
Inoltre, come detto, la giurisprudenza è rigida nell’applicare fedelmente la ripartizione prevista dal 1126 ogni
qualvolta sia individuabile un lastrico solare. Essendo pacifico che nel caso di specie siamo di fronte ad un
lastrico solare riteniamo di dover aderire a tale orientamento ed applicare per l’intero bene la medesima
disciplina speciale prevista dal 1126 cod. civ.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
Quesito:
Come sono ripartite le spese in caso di rifacimento del solaio sottotetto con travi a vista se il tetto è di
proprietà comune e il sottotetto di proprietà esclusiva?
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Risposta:
1. Inquadramento normativo
Art. 1123 cod. civ.: Le spese necessarie per la conservazione e per il godimento delle parti comuni
dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla
maggioranza sono sostenute dai condomini in misura proporzionale al valore della proprietà di ciascuno,
salvo diversa convenzione. Se si tratta di cose destinate a servire i condomini in misura diversa, le spese
sono ripartite in proporzione dell'uso che ciascuno può farne. Qualora un edificio abbia più scale, cortili,
lastrici solari, opere o impianti destinati a servire una parte dell'intero fabbricato, le spese relative alla loro
manutenzione sono a carico del gruppo di condomini che ne trae utilità.
Art. 1125 cod. civ.: Le spese per la manutenzione e ricostruzione dei soffitti, delle volte e dei solai sono
sostenute in parti eguali dai proprietari dei due piani l'uno all'altro sovrastanti, restando a carico del
proprietario del piano superiore la copertura del pavimento e a carico del proprietario del piano inferiore
l'intonaco, la tinta e la decorazione del soffitto.
2. Giurisprudenza
§ Sulla natura condominiale o meno del sottotetto:
In tema di condominio, in base all'art. 1117 c.c., il lastrico di copertura, se il contrario non risulta dal titolo, si
presume di proprietà comune a tutti i condomini sottostanti. Tuttavia, l'applicazione di tale norma
presuppone che si abbia chiaro il concetto di copertura di un edificio: la copertura, infatti, sia essa in forma di
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lastrico, calpestabile o meno, sia essa in forma di semplice solaio, piano o inclinato, sia essa in forma di tetto,
è essenzialmente quella opera non avente altra funzione che quella di proteggere l'edificio dagli agenti
atmosferici. In tale ottica, il sottotetto, ossia quello spazio vuoto che, per effetto della inclinazione del tetto
viene a crearsi fra lo stesso e il solaio dell'ultimo piano, non costituisce, di per sé, copertura, e di regola non
segue la presunzione di condominialità di cui all'art 1117 c.c. Ciò è maggiormente vero laddove il sottotetto,
per le sue dimensioni o per la sua accessibilità, si presti a fornire ad uno o a più condomini una qualche utilità
particolare (App. Firenze Sez. I Sent., 04-02-2009).
Il criterio imprescindibile, e come tale prodromico e oggetto di primaria delibazione quanto alla natura
giuridica dei vani che nell'immobile condominiale ad uso residenziale costituiscono il sottotetto (o solaio), non
può essere che il "titolo", afferente la proprietà comune oppure l'acquisto da parte delle proprietà esclusive
immediatamente sottostanti, derivandone che solo in caso di inesistenza o mancanza di un valido ed
esaustivo titolo relativo ai predetti beni potranno addursi, nella disciplina del caso concreto, le ragioni ed i
motivi idonei a farne ritenere, mediante lo strumento della "presunzione", la natura (in specie presuntiva) di
pertinenza delle unità abitative poste all'ultimo piano dell'edificio, ovvero, la natura (in specie presuntiva) di
bene propriamente in comunione, risolvendone in tal modo la questione controversa della loro appartenenza
e del loro uso, condominiale od esclusivo (Trib. Bologna Sez. I, 07-02-2006).
L'ambiente ricavato sotto il tetto dell'edificio in condominio, in modo da formare una camera d'aria limitata,
in alto, dalla struttura del tetto ed in basso, dal solaio che copre i vani dell'ultimo piano (cosiddetto
sottotetto) assolve, di regola, ad una funzione isolante e protettiva di questi vani e, quando non risulti una
diversa destinazione o non sia diversamente disposto dal titolo, non è, quindi, oggetto di comunione ma
costituisce pertinenza dell'appartamento dell'ultimo piano (Cass. civ. Sez. II, 15-06-1993, n. 6640).
Il proprietario del solaio o sottotetto può aprire nel tetto abbaini per dare aria e luce ai locali sottostanti
quando l'abbaino sia costruito a regola d'arte e non pregiudichi la funzione di copertura del tetto, né leda
altrimenti il diritto degli altri condomini, in quanto l'esercizio di tale facoltà rientra nelle modificazioni
necessarie per il miglior godimento della cosa, previste dall'art. 1102 c. c., che il partecipante - proprietario
del solaio - può realizzare senza bisogno del consenso della maggioranza dei condomini (Trib. Milano, 28-02-
1991)
3. Conclusioni
Dalla descrizione della situazione fattuale che ci è stata riferita sembra doversi concludere che il solaio-
sottotetto non è più di proprietà privata ma è di proprietà comune. La questione della ripartizione delle spese
per il rifacimento del solaio-sottotetto è strettamente connessa con l’individuazione della potestà dominicale
sullo stesso. Infatti i) se è di proprietà del proprietario dell’ultimo piano, che si presume se non vi è un titolo
contrario, allora le relative spese sono interamente a suo carico, ii) se invece è comune perché lo prevede il
regolamento di condominio o altro titolo (es. contratto di compravendita di ciascuna unità immobiliare fra
costruttore dell’edificio e singoli acquirenti) allora le spese di rifacimento dovranno essere poste a carico dei
condomini secondo i millesimi spettanti a ciascuno in base alla tabella generale di proprietà, in applicazione
del criterio principe nella suddivisione delle spese di conservazione di parti comuni ex art. 1123 comma 1
cod. civ. Riteniamo non sia applicabile nel caso di specie il diverso criterio speciale previsto dall’art. 1125
cod. civ. in quanto il solaio cui si riferisce il Legislatore è inteso in una accezione diversa da quella che invece
ha nel nostro caso e la fattispecie astratta descritta da quest’ultima norma appare diversa da quella concreta
che ci è stata riferita, ed anche per la sostanziale equivalenza fra sottotetto e solaio affermata dalla
giurisprudenza sembra più corretto applicare la regola generale del 1123 comma 1.
(Parere a cura dell’Avv. Raffaele Cusmai)
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Novembre 2010