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Condizioni di vita e vulnerabilità degli anziani. Uno studio sui centri urbani calabresi
di
Sabina Licursi
Paper for the Espanet Conference “Risposte alla crisi. Esperienze, proposte e politiche di welfare in Italia e in Europa”
Roma, 20 - 22 Settembre 2012
Sabina Licursi è ricercatrice di Sociologia presso il Dipartimento di Sociologia e Scienze Politiche dell’Università della Calabria [email protected], tel. (+39) 0984492510
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Vecchiaia e vulnerabilità in città Nella dimensione urbana tutto è osservabile con meno filtri che altrove, forse anche le trasformazioni che
interessano la vita degli anziani. Tema, quest’ultimo, che è destinato probabilmente a ricevere maggiore
attenzione in futuro anche in sociologia, se non altro per l’eccezionale invecchiamento delle società
contemporanee, quelle sviluppate e quelle in via di rapido sviluppo: “viviamo attualmente in un'epoca che
ci rende molto diversi da tutti i nostri predecessori. E tuttavia la visione tradizionale e profondamente
radicata della vecchiaia non è stata ancora abbandonata, né riconosciuta per quella che è” (Laslett, 1998). Il
2012 è stato proclamato “Anno europeo dell'invecchiamento attivo e della solidarietà tra le generazioni”
anche allo scopo di promuovere attività che possano sostenere la solidarietà fra giovani e meno giovani.
L’Italia registra un indice di vecchiaia, pari a 144, superiore di diversi punti alla media dei Paesi UE (pari a
112). Il Sud, in particolare, rischia uno tsunami demografico per il 2050 con un incremento previsto di 10
punti percentuali della popolazione over 75 (Svimez, 2011).
La vulnerabilità, intesa come quella condizione in cui rischi e minacce di vario genere si percepiscono come
più probabili e prossime a seguito di un precario inserimento dell’individuo nei circuiti relazionali e di
distribuzione delle risorse (Ranci, 2002a e b), è diventata la condizione simbolo dei nostri tempi e segna
pesantemente tutte le generazioni. Ad essa si aggiungono stati come l’incertezza e la solitudine (Bauman,
1999 e 2000). È vero, però, che le persone anziane sono solitamente rappresentate come più fragili o,
meglio, come portatori di uno status – quello della terza e quarta età – che più di frequente si lega a
condizioni di malattia, di debolezza, di stati di deprivazione e di isolamento relazionale. Questa percezione
accentuata della fragilità degli anziani è anche dovuta alla scarsa capacità della società odierna di
accoglienza dei loro bisogni. Ecco quindi che la precarietà si lega alla “rottura dell’equilibrio nella relazione
tra l’anziano e il suo spazio di vita, che può essere dovuta a una quantità di fattori e di eventi: una grave
malattia, una disabilità, un impoverimento improvviso o cronico, uno sradicamento dal proprio ambiente
(per ricoveri o altro) cui non corrispondono adeguate risposte, ad esempio in termini di eliminazione di
barriere di vario tipo, di appropriata accoglienza e sostegno, di compensazioni nelle ridotte relazioni sociali”
(Neve, 2011: 67).
Non è tanto l’età, quindi, ma le condizioni della società in cui gli anziani vivono a determinare,
eventualmente, un loro generalizzato stato di bisogno. Tuttavia, l’idea che siano le capacità individuali –
fisiche e mentali – a subire un inevitabile indebolimento è molto diffusa. “L'errore di principio consiste
nell'assumere che la senescenza e la totale dipendenza tipiche di quella che chiameremo 'quarta età' sia la
condizione normale di tutti i gruppi di età entro la grande classe degli anziani e dei vecchi” (Laslett, 1998).
I ritmi, le caratteristiche dei centri abitati, la mercificazione di molti servizi, il costo della vita urbana e le
precarietà che interessano in generale tutti i suoi abitanti possono rendere ancora più brusco il passaggio
dalla condizione di ‘attività’ a quella di ‘dipendenza’ e possono favorire la percezione nell’anziano di un
distanziamento dell’ambiente esterno. Gli effetti possono essere diversi. Tra di essi la chiusura in casa e
l’isolamento o la costruzione di mondi paralleli in cui la routine è fatta di soap-opera o trasmissioni
radiofoniche di preghiera. La casa può diventare rifugio da un ambiente esterno che non ha rispetto per i
ritmi e le necessità degli anziani, ma è sempre più nido vuoto, in cui i figli e i nipoti non trascorrono molto
tempo. Quando accade, poi, che difficoltà di vario genere rendano impossibile continuare questa ridefinita
quotidianità, la risposta è, quasi sempre, l’istituzionalizzazione e, quindi, l’allontanamento dell’anziano dalla
sua abitazione abituale. Scelta che, quando risponde ai bisogni più organici e vitali dell’anziano, incide
pesantemente sul suo equilibrio interiore. Queste sono le condizioni in cui probabilmente si sperimenta la
vecchiaia nella sua accezione negativa.
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Relazioni comunitarie e servizi di welfare nei contesti urbani calabresi
In Italia negli ultimi due decenni le politiche di welfare hanno conosciuto importanti trasformazioni e alcune
novità nel quadro normativo nazionale hanno determinato il trasferimento di poteri dal centro alle Regioni
e ai Comuni. Le ricerche condotte negli ultimi anni hanno verificato quanto i sistemi di welfare regionali
presentino differenze significative, anche nell’ambito degli interventi in favore degli anziani (Kazepov, 2009;
Pavolini, 2004). Nel nostro Paese il sistema di protezione sociale nei loro confronti presenta non poche
lacune e manca di “strumenti esplicitamente destinati al contrasto alla povertà su base universalistica”
(Monacelli, 2007: 290) e ha anche risentito dei tagli alla spesa sociale fatti negli ultimi anni. Le insufficienze
del welfare sono solo parzialmente colmate dalle famiglie. Del resto, la “vecchia immagine della famiglia
che accoglie nel proprio seno gli anziani costituendone l'unico sostegno difficilmente potrà ripresentarsi.
Niente dimostra altresì che i figli adulti forniscano un regolare sostegno finanziario ai genitori anziani”
(Laslett, 1998). Questo non significa che scompare la solidarietà tra generazioni, ma i legami affettivi
significativi che esistono tra familiari e, in particolare, tra genitori e figli si delocalizzano e devono reggere lo
stress che deriva dalla distanza abitativa e dal poco tempo libero dei più giovani. Allo stesso tempo, i legami
con i vicini, che potevano essere caratterizzati negli anni della giovinezza e dell’età matura da reciprocità e
sentimenti di amicizia, tendono a diventare più deboli e più rari quando si diventa anziani, per l’insorgere di
diversi fattori. Soprattutto nelle grandi città, cresce il ruolo delle reti solidaristiche, pin particolare delle
associazioni presenti su tutto il territorio nazionale e con una solida organizzazione (Ires, 2008).
L’idea di una responsabilità comunitaria nei confronti delle componenti più adulte della società non trova
una concreta realizzazione neanche nella città calabresi, in quel Sud che si tende ancora a rappresentare
come un luogo in cui le relazioni di appartenenza sono più forti che altrove. In realtà, le dinamiche tipiche
dei contesti modernizzati si ritrovano anche negli ambienti urbani calabresi e anche qui i soggetti più
prossimi agli anziani (familiari e parenti, ma anche amici e vicini ) possono essere attivi nella promozione
del loro benessere così come possono costituire un problema, sovraccaricando le funzioni di cura e/o di
sostegno materiale e degli stessi anziani (Neve, 2011).
Questa considerazione lascia intendere che le istituzioni competenti e i servizi sociali in particolare
dovrebbero svolgere, non solo un monitoraggio delle reali necessità degli anziani, ma anche un’attività di
prevenzione e di sensibilizzazione sulle responsabilità che le generazioni più giovani hanno nei confronti di
quelle più adulte. Idealmente, entrambe le attività. Il welfare regionale non ha, infatti, caratteristiche tali da
consentire un funzionamento dei servizi di questo tipo. Il recepimento dei principi normativi della legge
328/2000 non è garanzia dell’applicazione dei principi cui essa si ispira. Esistono ostacoli di vario genere, fra
questi l’attuale assetto dei servizi alla persona già esistenti (in molti Enti locali non c'è un servizio sociale
professionale; i pochi servizi esistenti vengono finanziati più o meno direttamente dalla Regione; non c'è
un'equa distribuzione dei servizi sul territorio; è eccedente la presenza di servizi di ricovero rispetto a quelli
di promozione sociale; alcuni settori, come quello della psichiatria, non ricevono risposte concrete, ecc.
(Panizza, 2004). Per gli anziani – tranne alcune esperienze di accoglienza diurna e di assistenza domiciliare –
esistono soprattutto servizi istituzionalizzanti, gestiti in convenzione con la Regione: sono 105 le strutture
residenziali, divise in case di riposo (con una capacità ricettiva media di 20 anziani) e comunità alloggio (con
una capacità ricettiva media di 12 anziani), distribuite a macchia di leopardo sul territorio regionale.
La ricerca L’indagine è stata realizzata su committenza dello Spi – Sindacato Pensionati Italiani – Cgil Calabria.
L’interesse del sindacato era quello di cogliere gli elementi caratterizzanti le condizioni di vita della
popolazione anziana residente sul territorio regionale: conoscerne meglio i bisogni e le principali cause di
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sofferenza, ma anche le aspettative, gli impegni e le attese per il futuro. Il questionario utilizzato per la
survey esplora questi e altri temi ed è stato somministrato a circa 2.000 anziani1. Per la stesura del paper ci
soffermiamo solo sulle informazioni riguardanti gli anziani che risiedono in centri superiori ai 30.000
abitanti. In tutta la regione sono solo nove i comuni che hanno queste dimensioni: i cinque capoluoghi di
provincia, tre comuni della provincia di Cosenza e uno di quella di Catanzaro (si veda la figura 1).
Fig. 1 – I comuni calabresi con popolazione superiore a 30.000 abitanti
Le elaborazioni e i commenti contenuti nel paper sono il frutto di una prima analisi dei dati della survey. Lo
scopo è quello, soprattutto attraverso analisi mono e bivariate, di individuare gli elementi essenziali della
condizione anziana e l’eventuale esistenza di gruppi omogenei. L’interesse è quello di verificare quali sono
le dimensioni principali della vulnerabilità e come esse si disegnano nella popolazione urbana anziana.
Le persone contattate nei comuni con una popolazione superiore ai 30.000 abitanti sono 535. Oltre la metà
risiede nelle periferie urbane, il 43% nel centro e una piccola quota (4% circa) in case isolate o inserite in
piccoli nuclei in prossimità delle città.
1 Per la definizione del campione abbiamo individuato delle quote che tengono conto della distribuzione provinciale
della popolazione anziana, della sua composizione per genere e della residenza in comuni con dimensioni
demografiche diverse. Più in dettaglio, definita la numerosità campionaria (2.000 unità), siamo partiti dall’indice di
invecchiamento della popolazione per determinare la quota di campione da estrarre in ciascuna provincia e, sempre in
maniera proporzionale rispetto alla popolazione anziana, abbiamo stabilito le quote per genere. Abbiamo poi distinto i
comuni per classe di ampiezza (fino a 3.000 abitanti, tra 3.001 e 10.000 abitanti, tra 10.001 e 30.000, oltre 30.000) e
abbiamo individuato quelli in cui realizzare la somministrazione in ragione delle risorse disponibili e delle maggiori
opportunità di stabilire contatti sul territorio. Per l’individuazione delle unità campionarie abbiamo optato per la
modalità del campionamento a valanga: le prime persone intervistate, contattate mediante il sindacato, hanno fornito
nominativi compatibili con le caratteristiche richieste dall’indagine.
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Il 43% del campione è costituito da uomini e il restante 57% da donne. Oltre 70 su 100 vivono dalla nascita
nella città in cui attualmente risiedono.
Poco più di 57 anziani su 100 risultano coniugati, circa 30 su 100 sono vedovi. Separati e divorziati
costituiscono poco più del 5% del campione. I restanti sono nubili o celibi. Sono relativamente di più le
donne non sposate e quelle vedove.
La tabella 1 propone una descrizione del campione per genere e classi d’età. Si può notare che gli anziani
over 75 – soglia oltre la quale statisticamente si registra un aumento delle condizioni di bisogno o malattia
– costituisce poco meno del 43% del totale.
Tab. 1 – Il campione per genere ed età (val %)
65-69 anni 70-74 anni 75-79 anni 80-84 anni
Uomini 36,0 22,5 24,2 17,3 100,0
Donne 28,2 27,9 26,6 17,3 100,0
Totale 31,5 25,6 25,6 17,3 100,0
* N= 535
Fra gli anziani intervistati sono diversi quelli che non hanno completato alcun ciclo scolastico o si sono
fermati alla licenza elementare: si tratta di 242 persone su 535 (pari al 45,2%). Quasi il 75% di loro
appartiene alle ultime due classi di età, ha quindi superato i 75 anni. Fra gli anziani con un’età compresa tra
i 65 e i 74 anni è, invece, maggiormente diffuso il diploma. I laureati, complessivamente, sono poco più di 8
su 100. Il 47% delle donne intervistate è privo di titolo di studio o solo la licenza elementare. Sono sempre
le donne, però, ad avere conseguito in misura maggiore rispetto agli uomini un diploma. La differenza
rispetto alla laurea è di poco meno di un punto percentuale a favore degli uomini.
Rispetto al lavoro, una prima considerazione riguarda la condizione di quanti non hanno mai lavorato: si
tratta di circa 24 persone su 100, quasi tutte donne. Fra quanti, invece, sono entrati nel mondo del lavoro, il
60% ha svolto compiti alle dipendenze e/o in posizione subordinata, solo il 16% si classifica come lavoratore
in proprio. I lavori svolti sono diversi: sono in prevalenza gli operai (soprattutto agricoli e edili) che
superano il 30% del campione, seguono gli impiegati (soprattutto di enti pubblici) pari al 30%, sono 23 su
100 gli insegnanti, mentre gli autonomi (artigiani, commercianti e agricoltori) sono il 16%.
Solitudine e difficoltà quotidiane: gli elementi della vulnerabilità soggettiva
La fragilità delle persone anziane si manifesta soprattutto quando il loro abituale ambiente di vita viene
sconvolto da eventi esterni. Spesso, un lutto, una grave malattia, una disabilità. In molti casi all’origine di
una nuova condizione di vita.
Un intervistato su tre vive da solo. Condizione dettata raramente da una libera scelta (42 su 175) e più
frequentemente da un evento tragico o da un lutto (113 su 175); è una necessità per 12 intervistati e una
condizione inevitabile per 8 anziani rimasti soli. Non è detto che a questa condizione si leghino sentimenti
di solitudine o di abbandono: “la cosiddetta 'intimità a distanza' non è una novità ai nostri giorni” (Laslett,
1998).
Mantenere una vasta rete di relazioni calde e intense può, tuttavia, essere più difficile in certe circostanze.
Fra gli anziani intervistati 69, non hanno figli. Si tratta del 13% circa, cui si avvicina la condizione di un altro
10% che non ha fratelli. Sono 138 quelli che non hanno nipoti. A dichiarare di non avere alcun amico sono
solo 30 anziani, ma quelli che hanno contatti quotidiani con gli amici sono solo il 36%. Le debolezze
relazionali emergono anche dalla constatazione della contrazione del tempo dedicato alla socializzazione
con i vicini. Un tempo, soprattutto al Sud, quasi parenti, oggi oltre il 40% degli intervistati dichiara di
incontrarli raramente. Ancora di più sono coloro che non frequentano alcun gruppo o associazione.
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Non sono pochi gli anziani intervistati che soffrono la solitudine: il 16% si sente solo sempre e il 47% avverte
la solitudine sporadicamente. Fra i primi, 4 su 10 passano davanti alla tv più di 5 ore al giorno. In generale,
inoltre, nel tempo libero ben l’86,4% degli anziani ‘guarda la tv e/o ascolta la radio’: attività che si svolgono
perlopiù da soli. Solitudine, isolamento, assenza di relazioni significative: una situazione complessa che
trova ulteriore conferma nell’indicazione che hanno dato gli intervistati rispetto agli interventi che
potrebbero migliorare la loro vita. Fra gli item proposti due facevano riferimento alle relazioni e le risposte
sono indicative di un bisogno forte di compagnia e di momenti di ascolto, confronto con altri (si veda il
grafico 1).
Graf. 1 - Il bisogno di compagnia e di confronto (val. % - gli ultimi 3 gradini della scala 0-5)
0
10
20
30
40
50
60
3 4 5
Avere qualcuno che mi tenga compagnia
Avere occasioni per relazionarmi e confrontarmi con altri
La condizione di solitudine è meno cogente quando si può contare sui familiari. Constatazione che trova
una conferma anche nell’indicazione che hanno fornito gli intervistati rispetto alle situazioni di emergenza.
È vero che un intervistato su quattro dichiara che quando si sente male non chiama nessuno, ‘aspetta che
passi’, ma come si può notare dal grafico 2, nel caso in cui avvertano un malore, gli anziani si rivolgono
soprattutto al proprio coniuge o partner e, con minore frequenza, ai figli.
Graf. 2 – Il riferimento nell’urgenza (val. % - somma di ‘sempre’ e ‘quasi sempre’)
0,010,020,030,040,050,060,070,080,090,0
100,0
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Il riferimento, anche nelle situazioni di emergenza, è alla famiglia nucleare: come si può notare il ruolo di
fratelli, parenti, vicini e amici è marginale. Invece, un riferimento importante è il medico di famiglia, che,
evidentemente, viene individuato come l’esperto cui rivolersi in caso di bisogno.
Molto importanti, rispetto alle generali condizioni di vita degli anziani, sono la percezione che si ha del
proprio stato di salute e le paure che si hanno nella quotidianità.
Nel campione non sono rappresentati gli anziani che vivono in case di cura o che sono ospedalizzati. Tutti,
inoltre, sono stati in grado di rispondere ad un intervistatore e di completare un questionario di oltre 60
domande. Riteniamo, quindi, di non aver contattato anziani con gravi problemi di salute. Tuttavia, poco
meno del 30% degli intervistati giudica il proprio stato di salute pessimo o precario (si veda il grafico 3). A
dare un giudizio negativo (somma di ‘precario’ e ‘pessimo’) sono il 43% degli intervistati analfabeti o con la
licenza elementare, il 28% di quelli con la licenza media, il 16,5% di quelli diplomati e il 6,5% dei laureati.
Fra le possibili spiegazioni: i più istruiti potrebbero avere una capacità di autovalutazione maggiore delle
proprie condizioni, possiedono le risorse materiali e non per intervenire più efficacemente su eventuali
problemi di salute, hanno un passato lavorativo meno usurante. Come si legge sempre nel graf. 3, la
valutazione negativa delle proprie condizioni di salute sale per le donne, che – lo ricordiamo – sono anche
quelle meno istruite, e per la componente più anziana, ossia gli intervistati con più di 80 anni.
Graf. 3 – La percezione del proprio stato di salute (val. % totale, donne e 80-84 enni)
26,9
22,8
12,9
40,7
42,6
47,3
25,4
26,7
31,2
4,5
6,9
8,6
Totale
Donne
80-84 enni
ottimo buono abbastanza buono precario pessimo
Ancora, la salute ritorna come principale elemento di preoccupazione (si veda la tabella 2). È la malattia,
infatti, a far paura a poco più di 60 intervistati su 100. Fra questi ci sono soprattutto quanti hanno
dichiarato di avere uno stato di salute non positivo. ‘Mantenersi in forma e in salute’ è tanto importante da
diventare il traguardo più significativo per il futuro per oltre 75 anziani su 100. Altra importante fonte di
angoscia è la solitudine: rispondono così circa 35 intervistati su 100. Nel 50,3% dei casi sono anziani che
vivono soli. È il timore di soffrire quello che caratterizza di più la condizione degli anziani, non tanto quello
di morire. La morte è indicata come fonte di paura solo dal 13,5% del campione: il passaggio
evidentemente, per quanto sia percepito come più prossimo, viene anche considerato naturale e/o
inevitabile. Che non sia la paura per la propria incolumità fisica o per il patrimonio personale quella più
diffusa sembra indicarlo anche il dato relativo a ladri e truffatori, di cui hanno maggiormente paura meno di
20 intervistati su 100.
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Tab. 2 – Di cosa si ha paura (val %)
Totale Uomini Donne
La malattia 62,0 64,1 60,7
La solitudine 34,2 31,2 36,3
La morte 13,5 15,1 11,9
I ladri e i truffatori 17,4 13,8 20,1
Non poter più essere di aiuto ai miei familiari 20,7 19,5 21,8
Il futuro dei miei figli o dei miei familiari 29,7 33,0 27,4
* Gli intervistati potevano indicare al massimo due risposte
Sembra, invece, che un’altra importante fonte di preoccupazione per gli anziani derivi dalle condizioni di
vita degli altri: la percezione di una crisi che minaccia il futuro dei propri figli o dei familiari e sapere di non
poter essere loro di aiuto sono item scelti complessivamente dal 50,4% degli intervistati. Queste indicazioni
assumono un significato ancora più chiaro se consideriamo che diversi sono gli anziani che non hanno figli e
che vivono in una condizione di isolamento. Questo sguardo timoroso verso il futuro delle generazioni più
giovani è quasi un’indicazione chiara delle loro potenzialità partecipative, costituendo una motivazione
all’azione molto forte.
Alcune differenze fra le i timori degli intervistati emergono se si considera il loro genere (si veda la sempre
la tabella 2). Le donne rispetto agli uomini hanno meno paura della malattia e più della solitudine, meno
della morte e in misura più elevata di ladri e truffatori, temono di più di non poter continuare a sostenere i
propri familiari e sembrano meno angosciate per il futuro dei loro figli.
Le difficoltà che gli intervistati devono affrontare nella loro quotidianità possono davvero essere molteplici.
Abbiamo provato ad indagare quelle che danno un’idea delle capacità dell’anziano di muoversi
agevolmente nel proprio ambiente casalingo e comunitario. Gli anziani intervistati sono in larga misura
autonomi e non interessati da grandi difficoltà. Tuttavia, fra le condizioni di bisogno registrate più di
frequente vi sono quelle connesse alla mobilità (13,1% del totale), alla cura di sé (7,7% per l’igiene
personale e 6% per la preparazione dei pasti) e alla gestione della casa (13,3%) (si veda tabella 3).
Tab. 3 – Le difficoltà della vita quotidiana (val %)
Incidenza sul totale
Incidenza nella classe d’età
80-84
Uscire di casa autonomamente 13,1 32,3
Muoversi autonomamente all’interno della propria abitazione 4,1 11,8
Svolgere autonomamente le pulizie di igiene quotidiana 7,7 17,2
Svolgere autonomamente i lavori domestici 13,3 33,3
Preparare autonomamente i pasti e mangiare 6,0 18,3
Come si può facilmente immaginare, tutte queste difficoltà si manifestano in maniera amplificata fra i più
anziani, disegnando una condizione più acuta di bisogno di accompagnamento e assistenza (si veda sempre
la tabella 3). Tuttavia, in generale, pur riconoscendo di avere difficoltà quotidiane, molti (il 24%) dichiarano
di non rivolgersi a nessuno per superarle. Sembrerebbe emergere un atteggiamento di rassegnazione
rispetto alla propria condizione, che traspare anche – per il 28% circa del campione – dall’assenza di
progetti per il futuro.
Alla rilevazione di queste difficoltà abbiamo affiancato quella inerente gli aspetti più funzionali della vita
odierna. Il titolo di studio ci dà già importanti indicazioni circa le competenze alfabetiche degli anziani e, più
in generale, le loro capacità di stare in città modernizzate. Abbiamo già evidenziato che gli analfabeti o in
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possesso della sola licenza elementare sono il 45% del campione. Le difficoltà che incontrano nella vita
quotidiana, spesso legate anche alla scarsa dimestichezza con alcuni sistemi informatici, lasciano intendere
che una parte consistente del campione non ha padronanza di alcune attività molto frequenti: la
compilazione di un modello, piuttosto che la lettura di una bolletta o il pagamento del ticket (si veda la
tabella 4). Emerge, inoltre, una difficoltà nei rapporti con le banche e i loro servizi. Innanzitutto, è elevata
(poco meno del 10%) la quota di intervistati che non risponde alla domanda perché non dispone di un
conto corrente bancario o postale. Sono, poi, molto elevate le indicazioni di quanti spesso o qualche volta
hanno disguidi nella gestione del conto corrente o nel semplice prelievo di contanti ad uno sportello
automatizzato. Tutti questi ostacoli assumono un rilievo maggiore fra quanti non hanno un’istruzione
superiore e fra i più anziani.
Il recupero, quando non la formazione, di questo genere di competenze richiede probabilmente un vero
percorso formativo; anche a questo dovrebbero rispondere le politiche di lifelong learning. Non si può,
infatti, dare come spiegazione solo quella del declino delle capacità cognitive e intellettive; declino che
“varia da individuo a individuo al pari del declino fisico, e incide più fortemente su quella che viene definita
'intelligenza fluida' - agilità, originalità, audacia - che non sull'intelligenza 'cristallizzata' - saggezza e capacità
di discernimento” (Laslett, 1998). È opportuno, invece, sottolineare che gli item in corrispondenza dei quali
più della metà degli intervistati risponde di incontrare difficoltà ‘spesso’ o ‘qualche volta’ sono quelli più
direttamente connessi alla comprensione di un testo e all’uso della scrittura (si veda sempre la tab. 4)
È da segnalare che, nonostante l’incidenza delle difficoltà richiamate, il 33% degli intervistati ha dichiarato
di dedicarsi alla lettura nel tempo libero.
Tab. 4 – Le difficoltà degli anziani (val. %)
Spesso Qualche volta
Raramente Mai Non Risponde o
non pertinente
Leggere un avviso o una notizia su un giornale e non capirne bene il significato
21,3 35,3 20,9 21,9 0,6
Non riuscire velocemente a fare i conti della spesa (es. il resto dovuto)
12,5 29,9 26,2 30,3 1,1
Incontrare difficoltà a leggere le bollette
25,6 21,9 15,0 37,0 0,6
Avere difficoltà nella gestione di un conto corrente
34,8 13,6 10,8 32,5 8,2
Incontrare difficoltà nella compilazione di un’autocertificazione o di un modulo postale
37,9 19,6 14,4 27,1 0,9
Non riuscire a fare un prelievo di contanti allo sportello bancomat o bancoposta
33,8 7,7 10,7 38,7 9,2
Incontrare difficoltà a pagare il ticket per una prestazione sanitaria
25,6 22,8 15,1 35,7 0,7
Risorse materiali e strategie di fronteggiamento
Una delle condizioni della precarietà di cui più si discute con riferimento alle giovani generazioni (Gallino,
2006) è quella derivante dalle condizioni materiali di vita: patrimonio, reddito e, quindi, lavoro.
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Quest’ultimo in Calabria costituisce un vero miraggio: il tasso di disoccupazione dei giovani tra 15 e 24 anni
è del 39% (Svimez, 2011). Come stanno le cose per gli anziani calabresi?
Fra quelli che abbiamo contattato vive in una casa di proprietà il 60% circa. Gli uomini che hanno la
proprietà dell’abitazione sono il 64,5%. Meno del 30% del totale vive in affitto e circa il 7% in alloggio
popolare (le donne che vivono in una casa popolare sono l’8,3%). Solo 11 anziani su 100 lamentano
un’inadeguatezza degli spazi domestici, gli altri considerano adeguata la loro casa o addirittura troppo
grande. Sono soprattutto gli intervistati più giovani (tra i 60 e i 65 anni) ad essere proprietari della casa in
cui abitano: 70 su 100; mentre a vivere in un alloggio popolare è il 12,5% degli anziani con un’età compresa
tra 75 e 79 anni. Sempre tra questi ultimi, ben il 35,3% vive in affitto.
Di cosa vivono? Le entrate che hanno a disposizione derivano in larga misura dalle pensioni da lavoro (si
veda il grafico 4). Quindici su cento percepiscono la pensione sociale; hanno, quindi, compiuto 65 anni e
fruiscono di una prestazione di assistenza sociale perché vivono una condizione di difficoltà reddituale. Il
valore minimo di questo assegno nel 2012 è pari a 429 euro (per i nuclei familiari composti da una sola
persona) e a fruirne sono soprattutto donne (oltre l’80%), persone con più di 70 anni (85% circa), privi di
titolo di studio o in possesso della sola licenza elementare (72%). Nella voce ‘altra pensione’ sono indicate
prevalentemente le pensioni di reversibilità e in misura molto limitata le indennità di accompagnamento,
che interessano gli anziani non più in grado di deambulare o che necessitano di un’assistenza continua.
Graf. 4 – Le pensioni (val %)
0
10
20
30
40
50
60
70
80
pensione da lavoro
pensione sociale
pensione di invalido civile
pensione di invalidità da
lavoro
altra pensione
Le entrate mensili individuali (comprensive di pensioni, eventuali altri redditi, affitti, ecc.) dichiarate
durante l’intervista sono in media di 1.030 euro al mese. Si va da valori pari a zero ad entrate pari a 5.000
euro. La mediana ci dice che la metà degli intervistati dichiara entrate inferiori a 999 euro. La divisione in
quartili, poi, ci consente di individuare un primo quarto del campione che dichiara entrate inferiori a 700
euro, un altro quarto che ha entrate comprese tra 700 e 999, ancora un altro quarto fra 999 e 1200 e solo
un ultimo quarto dichiara entrate superiori a 1200 euro mensili. Possiamo aggiungere che meno del 30% si
colloca nella fascia compresa tra 1000 e 1499 euro, solo il 12,5% arriva fino a 2000 euro e, infine, poco più
di 2 intervistati su 100 superano questa soglia.
Come consente di notare il grafico 5, il valore medio delle entrate mensili dichiarate varia in maniera
considerevole a seconda di alcune caratteristiche degli intervistati. Il genere: in media tra quello di cui può
disporre una donna e quello di cui può disporre un uomo ci sono circa 200 euro di differenza. Il titolo di
studio: ad una istruzione formale superiore sembra corrispondere un livello reddituale più elevato, tanto
10
che in media tra le entrate di una persona anziana senza titolo di studio o con la sola licenza elementare e
un suo pari laureato c’è una differenza di oltre 800 euro. L’età, infine, che non aiuta neanche da questo
punto di vista: le classi più elevate hanno entrate medie più basse e, soprattutto, gli anziani con un’età
compresa tra i 75 e i 79 anni paiono quelli più in difficoltà.
Graf. 5 – Entrate medie mensili per genere, titolo di studio e classe d’età
1143,59
945,87
780,66
1021,10
1279,35
1610,00
1203,11
1007,86
869,95
971,64
uomo
donna
nessuno o lic. elem.
lic. media
diploma, qualif./avv.
laurea e post laurea
65.69
70-74
75-79
80-84
gen
ere
tito
lo d
i stu
dio
clas
se d
'età
Con le entrate dichiarate non si riesce a fare molto. Gli anziani devono, generalmente, condurre una vita
molto parsimoniosa e non è detto che questo basti. Come è possibile notare dai dati riportati in tabella 5,
infatti, sono molti quelli che non riescono ad affrontare tutte le spese, a prestare un aiuto economico ad un
figlio o un parente, a risparmiare qualcosa. Per la solidarietà materiale verso altri non sembra poi esserci
alcuno spazio.
Tab. 5 – Cosa si riesce a fare con il reddito disponibile (val %)
Spesso Abbastanza spesso Raramente Mai Non risponde
Affrontare tutte le spese 15,7 32,1 42,6 9,0 0,6
Aiutare un figlio/a o un parente 8,4 16,3 39,6 32,5 3,2
Risparmiare 3,6 6,9 30,5 56,4 2,6
Aiutare altre persone attraverso una donazione
0,9 2,6 12,5 78,7 5,2
Per capire se le difficoltà testimoniate sono contingenti o assumono una certa stabilità, abbiamo chiesto
agli intervistati di fare un bilancio delle rinunce resesi necessarie negli ultimi 2 anni. La tabella 6 consente di
notare che alcune difficoltà (arrivare a fine mese, risparmiare sull’abbigliamento, sulla spesa alimentare,
sulle spese mediche) sono avvertite pesantemente e rischiano di compromettere la qualità della vita degli
intervistati e, in alcuni casi, quasi di sospendere la loro condizione di cittadini. Al quadro delle entrate che
abbiamo proposto poco sopra e che evidenziava l’esistenza di situazioni diffuse di quasi indigenza, si
accosta la condizione di quanti hanno bisogno di utilizzare i risparmi per riuscire ad arrivare a fine mese
(dichiara di doverlo fare ‘spesso’ e ‘abbastanza spesso’ il 47,6% del campione).
11
Tab. 6 – Le difficoltà (val. % con riferimento agli ultimi 2 anni)
Spesso Abbastanza spesso
Raramente Mai Non risponde
Arrivare a fine mese con difficoltà 34,8 33,5 21,3 9,5 0,9
Dover risparmiare sulle spese per l’abbigliamento 48,2 23,7 16,1 9,3 2,6
Dover risparmiare sul riscaldamento della casa 28,8 31,6 16,8 20,2 0,2
Dover risparmiare sulla spesa alimentare 24,5 21,5 21,7 29,3 3,0
Dover risparmiare sulle spese mediche 20,9 18,7 14,8 42,6 3,0
Non pagare alla scadenza le bollette 6,2 16,1 24,1 51,0 2,6
Dover utilizzare i risparmi per poter arrivare a fine mese
22,4 25,2 23,0 26,7 2,6
Complici tutte queste difficoltà, molte delle persone intervistate hanno fatto ricorso, negli ultimi due anni,
ad un prestito. Il 22,2% degli intervistati si è rivolto ad un familiare, il 16,1% ad una banca e l’11% ad una
finanziaria. È vero che le ragioni che portano a contrarre un debito sono diverse e non abbiamo
informazioni circa l’entità dei prestiti. Certamente, il ricorso alle banche e alle finanziarie è più difficile
quando la posizione reddituale e patrimoniale è debole e quando l’età è avanzata. Anche questo spiega il
consistente riferimento ai familiari.
Le risorse materiali che gli anziani hanno a disposizione non consentono loro di vivere in un clima sereno.
Alcuni, però, vivono una condizione di vulnerabilità più accentuata. Può essere utile individuare alcuni
indicatori delle fragilità espresse rispetto alle risorse materiali e considerare la loro incidenza sul campione
per genere, titolo di studio e classe d’età (si veda la tabella 7). Senza alcuna pretesa esaustiva, questa
esplorazione consente di verificare ulteriormente la maggiore vulnerabilità delle donne rispetto agli uomini,
degli anziani con un titolo di istruzione basso e degli over 75.
Tab. 7 – Incidenza di alcune fragilità per genere, titolo di studio e classe d’età (val %)
arriva a fine mese con difficoltà
deve risparmiare sulla spesa alimentare
entrate mensili dichiarate <1.000 €
gen
ere Uomo 67,1 43,3 53,2
Donna 69,0 47,9 61,4
tito
lo d
i
stu
dio
nessuno o lic. elem. 85,1 67,4 83,1
lic. media 65,4 34,6 56,1
diploma, qualif./avv. 52,5 25,9 26,6
laurea e post laurea 32,6 21,7 26,1
clas
se d
'età
65-69 63,7 37,5 43,5
70-74 66,9 41,9 61,0
75-79 72,8 56,6 72,1
80-84 72,0 52,7 60,2
Vulnerabilità derivata
Per una valutazione complessiva delle condizioni di vita di una persona anziana è necessario tener conto di
chi e ciò che lo circonda: “collocare la persona nel suo contesto di vita (…) e valutare quanto e come
l’impatto ambientale e i fattori personali incidono sul suo funzionamento e sulle sue condizioni di
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salute/benessere, aiuta a spostare l’attenzione da un’ottica statica e prioritariamente medicalizzante ad
aspetti classificatori che mettono a fuoco capacità e livelli di performance individuale, relazionale e sociale
nella realtà della vita quotidiana di ogni persona” (Bresci, 2011: 85). Almeno due sono, quindi, gli ambiti in
cui indagare la presenza di eventuali fattori che incidono negativamente sulle condizioni generali di vita
della popolazione anziana e non hanno un legame diretto con le loro personali abilità/difficoltà o con le
risorse materiali di cui possono disporre. Il primo ci sembra che possa essere individuato con il contesto
familiare e il secondo con quello urbano.
Come già notato, dalla tabella 5 si evince che poco meno di 1/4 degli intervistati sostiene un figlio o un
parente spesso o abbastanza spesso. A questo sostegno spesso si lega la coabitazione: abita con un figlio
sposato il 5% degli intervistati e con un figlio single il 16,8%. In entrambe le circostanze, in nucleo vive per
lo più in una nuova casa in cui ha inizio la convivenza (quasi il 60%), oppure sono gli intervistati ad
accogliere in casa i figli (oltre il 16%).
Ancora, il sostegno diventa più esplicito in alcune circostanze in cui si può parlare di un vero e proprio
lavoro di cura che interessa quasi esclusivamente l’ambito familiare ristretto (si veda la tabella 8). In oltre 8
casi su 100 la persona di cui l’anziano si occupa è non autosufficiente, ha cioè bisogno di un aiuto
assistenziale permanente e continuativo per svolgere le principali attività quotidiane.
Tab. 8 – Di chi si prendono cura gli anziani (val. %)
Quotidianamente
Una o più volte alla settimana
In qualche occasione
Mai
Partner/coniuge 76,3 0,7 14,8 8,1
Figli/e 25,5 14,0 44,5 15,9
Nipote/i 32,1 21,3 34,6 12,0
Fratelli/Sorelle 3,3 3,6 32,0 61,2
Parenti 1,6 1,1 9,7 87,6
Amici 0,3 0,8 14,9 84,1
Vicini 0,5 1,4 15,2 82,9
Questo lavoro di cura tende a ricadere in misura maggiore sulle donne, similmente a quanto è
probabilmente accaduto nell’età matura degli intervistati (Saraceno, 2007): sono circa 73 su 100 quelle che
si occupano intensivamente dei mariti o compagni (contro il 65% circa degli uomini); sono poco meno di 40
su 100 quelle che supportano i figli (contro il 26% degli uomini). L’unica eccezione è rappresentata
dall’impegno con i nipoti, che interessa equamente i nonni di entrambi i sessi (si veda il grafico 6).
Oltre alla frequenza delle attività di cura, una indicazione dell’impegno che gli anziani dedicano ai familiari è
data dal sostegno materiale che offrono e che certamente pesa sulle loro condizioni economiche, non
ottime. Nella tabella 9 abbiamo riportato le risposte degli intervistati con riferimento agli ultimi due anni.
Anche in questo caso la solidarietà espressa non va oltre i ristretti confini familiari e riguarda
principalmente il partner/coniuge e i figli.
13
Graf. 6 – Incidenza del lavoro di cura per genere (val. % - somma di ‘quotidianamente’ e ‘una o più volte alla settimana’)
64,6
26,3
43,4
72,7
37,843,7
Partner/coniuge Figli/e Nipote/i
uomini donne
Tab. 9 – Sostegno economico (val. % con riferimento agli ultimi 2 anni)
Spesso Abbastanza spesso
Raramente Mai
Partner/coniuge 35,9 7,8 8,9 47,3
Figli/e 19,2 16,9 34,3 29,6
Nipote/i 3,1 10,2 31,3 55,4
Fratelli/Sorelle 0,5 1,9 12,0 85,6
Altri parenti 0,0 0,2 6,8 93,0
È ragionevole ritenere che il sostegno economico cui pensano i nostri intervistati sia molto variabile e
dipenda dalle loro disponibilità e dalle condizioni economiche dei familiari: un partner/coniuge che non ha
mai lavorato o che ha perso il lavoro, un figlio disoccupato e nipoti le cui necessità non sono
adeguatamente soddisfatte dai genitori richiedono, probabilmente, interventi economici relativamente più
significativi. In ogni caso, questo tipo di sostegno è presente anche fra gli intervistati che hanno dichiarato
un livello di entrate mensili molto basso (si veda il graf. 7). Quello che si può evidenziare è che l’incidenza
degli interventi di sostegno per partner/coniuge e per i figli aumenta all’aumentare delle risorse
economiche disponibili. Per il sostegno dei nipoti, invece, valgono probabilmente spiegazioni differenti: ad
esempio la capacità dei genitori di far fronte alle loro richieste.
Con riferimento all’ambiente urbano possiamo, innanzitutto, precisare che le città in cui vivono gli anziani
calabresi non hanno grandi dimensioni: le aree urbane più significative sono quella di Reggio Calabria, che
ha circa 200.000 abitanti, e quella di Cosenza e Rende (comuni distinti, ma con una continuità abitativa), in
cui risiedono poco più di 100.000 abitanti. Tuttavia, abbiamo notato come siano presenti i caratteri dei
contesti urbani moderni e si siano allentati molti legami comunitari un tempo, forse, maggiormente
presenti. Anche le città di piccole dimensioni, inoltre, presentano una frammentazione interna e sono
visibili tendenze segreganti, sebbene con forme e tempi meno immediatamente percepibili, sono inserite
nelle dinamiche di differenziazione/divisione dei luoghi (Magatti, 2007). È perciò importante ricordare che il
53,1% degli intervistati vive nelle periferie urbane.
14
Graf. 7 – Il sostegno economico ai familiari e le entrate mensili (val. % - somma di ‘spesso’ e ‘abbastanza spesso’)
0
10
20
30
40
50
fino a 449 tra 500 e 999 tra 1000 e 1499
tra 1500 e 2000
oltre 2000
Partner/coniuge Figli/e Nipote/i
Alla richiesta di esprimere quanto alcuni fattori peggiorino la qualità della loro vita, gli intervistati hanno
risposto evidenziando la consapevolezza implicita di vivere in una città frammentata.
Le condizioni di vita sono segnate da alcuni fattori (si veda la tabella 10).
Tab. 10 – Cosa peggiora la qualità della vita (val. % - somma di ‘molto’ e ‘abbastanza’)
Per tutti Per chi vive in periferia
Criminalità 95,1 97,2
Furti nelle case 91,6 94,0
Inquinamento 88,2 90,1
Sporcizia 88,2 91,5
Rumore 73,1 75,4
Traffico 67,1 64,4
Mancanza di verde 61,3 61,3
Presenza di immigrati, di nomadi/zingari 54,8 63,0
Mancanza di mezzi pubblici 49,3 57,7
Parcheggi 47,5 47,9
Mancanza di luoghi di aggregazione e svago 45,2 47,2
Esistenza di barriere architettoniche 41,7 43,7
Mancanza di negozi 36,6 50,0
Gli elementi che segnano negativamente l’ambiente urbano e che non rimangono indifferenti sulla qualità
della vita degli anziani sono diversi: più di 9 intervistati su 10 lamentano la diffusione di criminalità e furti
nelle abitazioni. La percezione di questa forme di illegalità e dei reati connessi cresce in quanti vivono nelle
periferie. A spiegare valori così elevati sono anche le caratteristiche dei contesti urbani calabresi: alcune
delle città in cui risiedono gli intervistati sono difficili da questo punto di vista e la criminalità – anche quella
organizzata e con interessi mondiali – utilizza modalità molto cruente.
Affianco a questi elementi se ne collocano altri (inquinamento, sporcizia, traffico, mancanza di verde),
segnalati come ‘molto importanti’ o ‘abbastanza importanti’ da non meno di 6 intervistati su 10, che
richiamano le problematiche più diffuse nelle città odierne. Tuttavia, pensando alle città calabresi,
l’incidenza di molti di questi fattori non è attribuibile all’industrializzazione delle aree circostanti, all’elevata
15
densità demografica o smili, piuttosto allo sviluppo disordinato – in alcuni casi abusivo – di intere aree o
quartieri. Per gli anziani residenti nelle periferie urbane sono più percepite proprio quelle disfunzioni che
derivano da una cattiva gestione del territorio. Per questi ultimi, infine, pesano relativamente di più sulla
qualità della vita, da un lato, la presenza di popolazione immigrata e, dall’altro, l’assenza di attività
commerciali e le insufficienze del trasporto pubblico (tipiche dei cosiddetti quartieri dormitorio), che
rendono assai difficile per un anziano che non si muove più in auto anche fare la spesa. Abbiamo già visto
che la mobilità può diventare un ostacolo, soprattutto per quanti hanno superato gli 80 anni (si veda la
tabella 3). Per il giudizio sulla presenza di popolazione immigrata (oggettivamente poco rilevante), un
valore così elevato, oltre che sottacere una chiusura nei confronti del diverso che meriterebbe un
approfondimento, può forse trovare una spiegazione nella presenza, soprattutto, di lavoratori stagionali,
provenienti prevalentemente dall’Africa, e di comunità rom nei campi presenti in quasi tutte le città
calabresi.
Anziani risorsa attiva(bile)?
È possibile capovolgere la prospettiva dalla quale solitamente si guarda agli anziani? E, soprattutto, fra i
nostri intervistati ci sono anche persone che rappresentano una risorsa per la comunità in cui vivono o per i
loro familiari?
È certo che l’invecchiamento della popolazione richiederà un incremento della spesa sociale destinata a far
fronte alle misure necessarie per un sostegno adeguato alla terza e alla quarta età. Tuttavia, è importante
cambiare il giudizio su questo genere di spese e superare gli stereotipi negativi sugli anziani come
destinatari passivi. Nel lavoro sociale questo cambiamento passa attraverso una valorizzazione della
persona anziana, ripensata non più come utente e/o beneficiario ma come risorsa (Bresci, 2011). Nella
ricerca comporta, probabilmente, una maggiore valorizzazione delle loro capacità, dei sostegni che
garantiscono ai loro familiari e di quelli che potrebbero garantire alla comunità in cui vivono (Ires, 2012).
Le possibilità che le città odierne abbiano anziani attivi si giocano su alcune dimensioni chiave: la loro piena
partecipazione alla vita della società; il loro inserimento attraverso attività solidaristiche e, in alcuni casi,
lavorative; la garanzia che mantengano uno stile di vita dignitoso adeguando la società locale alle loro
esigenze (alloggi, infrastrutture, sistemi informatici e trasporti).
Rispetto alla prima dimensione, la ricerca evidenzia che la partecipazione degli anziani alla vita della città
non è così debole: la partecipazione associativa – esclusi i gruppi di preghiera – interessa circa 20 anziani su
100; gli intervistati che frequentano un centro sociale o una piazza tutti i giorni oppure una o più volte alla
settimana sono il 19%. Non manca negli intervistati il desiderio di tenersi informati su quanto accade nel
mondo. Infatti, oltre l’80% di loro segue tutti i giorni programmi tv di informazione, oltre la metà legge
puntualmente quotidiani o riviste settimanali di informazione. L’interesse partecipativo che viene
dimostrato da queste indicazioni andrebbe sostenuto, ad esempio partendo dalla disponibilità di 33 anziani
su 100 di iniziare a fare volontariato e dalle principali motivazioni da loro espresse: per esprimere
solidarietà verso gli altri (44 su 100), per sentirsi utile (42 su 100).
L’inserimento più efficace degli anziani nella società è, probabilmente, quello che passa attraverso la sfera
privata e si traduce in un apporto concreto alle difficoltà degli altri. È utile ricordare che la relazionalità dà
soddisfazione agli anziani. Nel tempo libero oltre la metà degli intervistati (il 56,4%) ‘incontra familiari,
amici o vicini’. Molti di loro (poco più del 40%) per il futuro hanno in mente soprattutto di continuare a
‘godere della compagnia dei propri cari’. La solidarietà che esprimono è prevalentemente orientata verso i
familiari. Abbiamo già visto che gli anziani mettono a disposizione di partner/coniugi, figli, nipoti il loro
tempo e le loro attenzioni (nel lavoro di cura) e le loro risorse economiche. Soprattutto nei confronti dei
nipoti, gli intervistati svolgono una funzione di accompagnamento alla crescita molto importante.
16
Graf. 7 – Cosa fanno con i nipoti (val %)
0 10 20 30 40 50 60 70
Gioco, gli racconto storie e cose simili
Esco con loro (per fare acquisti, per passeggiare, ecc.)
Li accompagno e/o li vado a prendere a scuola, in palestra, in parrocchia, ecc.
Mi prendo cura di loro (cucino, faccio la spesa, lavo la loro biancheria, ecc.)
Li aiuto nello svolgimento dei compiti di scuola
Come mostra il grafico 7, i nonni seguono i nipoti soprattutto nelle attività di gioco (molto importanti per i
bambini e per la loro socializzazione), sono anche un supporto concreto per gli spostamenti (casa-scuola,
palestra, ecc.) e nello svago – loro che pure hanno tante difficoltà a muoversi nella città! Circa 10 nonni su
100 svolgono, poi, un vero e proprio lavoro di cura nei confronti dei nipoti e in poco più del 5% dei casili
seguono anche nello svolgimento dei compiti di scuola. Partecipano attivamente, quindi, all’educazione e
socializzazione dei nipoti. Non è certo un compito da poco, è probabilmente destinato a crescere di
intensità e si potrebbe sviluppare come sostegno all’intera società: “questo tipo di funzioni, che potrebbero
diventare doveri che ogni membro della nuova terza età deve assolvere, illustrano il ruolo che questa fascia
della popolazione avrà probabilmente in futuro, quando avrà acquistato un grado di solidità che le
consentirà di negoziare i propri compiti sociali da una posizione di indipendenza” (Laslett, 1998).
Altro canale di inserimento nella società è il lavoro. Svolgono un’attività di lavoro retribuita meno di 5
intervistati su 100 e meno di 2 su 100 lavorano tutti i giorni. Del resto, in questi pochi casi il lavoro non è un
impegno gratificante ma risponde all’esigenza di trovare con risorse proprie risposte a bisogni che la società
non copre. In questo senso, il cammino per garantire uno stile di vita dignitoso a tutti gli anziani sembra
ancora lungo. Probabilmente, però, per intraprenderlo occorrerà prioritariamente recuperare le situazioni
più compromesse, immaginando una valorizzazione degli anziani più attivi.
Riferimenti bibliografici
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