Concilium 5/2002 articoli · tà” poteva divenire una risposta adeguata ai bisogni nuovi? ......

22
1/ Un tempo di speranza Il clima nel quale si sono conclusi i lavori conciliari, ri- spetto tanto al Tridentino quanto al Vaticano I, è stato in- comparabilmente più sereno sia tra i vescovi, che avevano trovato la quasi completa unanimità, sia tra i fedeli, chiamati a uscire dalla passività per svolgere un ruolo attivo e crea- Transizione epocale? A quarant’anni dall’inizio del Concilio (1962-2002) GIUSEPPE ALBERIGO Bologna (Italia) * GIUSEPPE ALBERIGO È nato nel 1926 a Cuasso al Monte (Varese). Dal 1967 è professore or- dinario di storia della chiesa presso la facoltà di scienze politiche dell’uni- versità di Bologna, e segretario dell’Istituto per le Scienze Religiose di Bo- logna. Dirige la rivista Cristianesimo nella storia. Membro del comitato d’o- nore della Revue des Sciences religieuses, è corrispondente di The Catholic Hi- storical Review. Ha ricevuto lauree honoris causa in teologia e in teologia ecu- menica da parte delle università di Monaco, Münster e Würzburg (Germa- nia), e di Strasburgo (Francia). Tra le sue pubblicazioni: Lo sviluppo della dottrina sui poteri nella chiesa universale. Momenti essenziali tra il XVI e il XIX secolo, Herder, Roma 1964; Chiesa conciliare. Identità e significato del conciliarismo, Paideia, Brescia 1981; La chiesa nella storia, Paideia, Brescia 1988; Il cristianesimo in Italia, Laterza, Ba- ri 1989; Papa Giovanni (1881-1963), Dehoniane, Bologna 2000; Dalla laguna al Tevere. Angelo Giuseppe Roncalli da San Marco a San Pietro, Il Mulino, Bologna 2000. Ha curato l’edizione della Storia dei concili ecumenici, Queriniana, Bre- scia 1990, 1993 2 e ha collaborato ai volumi Verso la chiesa del terzo millennio, Queriniana, Brescia 1979 e Cammino e visione. Universalità e regionalità della teologia nel XX secolo. Scritti in onore di Rosino Gibellini, a cura di D. Mieth,

Transcript of Concilium 5/2002 articoli · tà” poteva divenire una risposta adeguata ai bisogni nuovi? ......

Page 1: Concilium 5/2002 articoli · tà” poteva divenire una risposta adeguata ai bisogni nuovi? ... chiesa e della stessa ecclesiologia sulla base di una visione

1/ Un tempo di speranza

Il clima nel quale si sono conclusi i lavori conciliari, ri-spetto tanto al Tridentino quanto al Vaticano I, è stato in-comparabilmente più sereno sia tra i vescovi, che avevanotrovato la quasi completa unanimità, sia tra i fedeli, chiamatia uscire dalla passività per svolgere un ruolo attivo e crea-

Transizione epocale?A quarant’anni dall’inizio del Concilio(1962-2002)

GIUSEPPE ALBERIGOBologna (Italia)

* GIUSEPPE ALBERIGOÈ nato nel 1926 a Cuasso al Monte (Varese). Dal 1967 è professore or-

dinario di storia della chiesa presso la facoltà di scienze politiche dell’uni-versità di Bologna, e segretario dell’Istituto per le Scienze Religiose di Bo-logna. Dirige la rivista Cristianesimo nella storia. Membro del comitato d’o-nore della Revue des Sciences religieuses, è corrispondente di The Catholic Hi-storical Review. Ha ricevuto lauree honoris causa in teologia e in teologia ecu-menica da parte delle università di Monaco, Münster e Würzburg (Germa-nia), e di Strasburgo (Francia).

Tra le sue pubblicazioni: Lo sviluppo della dottrina sui poteri nella chiesauniversale. Momenti essenziali tra il XVI e il XIX secolo, Herder, Roma 1964;Chiesa conciliare. Identità e significato del conciliarismo, Paideia, Brescia 1981; Lachiesa nella storia, Paideia, Brescia 1988; Il cristianesimo in Italia, Laterza, Ba-ri 1989; Papa Giovanni (1881-1963), Dehoniane, Bologna 2000; Dalla laguna alTevere. Angelo Giuseppe Roncalli da San Marco a San Pietro, Il Mulino, Bologna2000. Ha curato l’edizione della Storia dei concili ecumenici, Queriniana, Bre-scia 1990, 19932 e ha collaborato ai volumi Verso la chiesa del terzo millennio,Queriniana, Brescia 1979 e Cammino e visione. Universalità e regionalità dellateologia nel XX secolo. Scritti in onore di Rosino Gibellini, a cura di D. Mieth,

Page 2: Concilium 5/2002 articoli · tà” poteva divenire una risposta adeguata ai bisogni nuovi? ... chiesa e della stessa ecclesiologia sulla base di una visione

tivo nell’assimilazione delle decisioni conciliari e, tanto più,si era rasserenato tra le diverse chiese cristiane “separate”. IlVaticano II però sollecitava il cattolicesimo a rinnovarsi in unconfronto sincero con l’evangelo, un confronto condotto allaluce della fede e sotto l’impulso dei segni dei tempi. Con ilpost-concilio si è aperta la lunga stagione della ricezione daparte delle chiese.

La ricorrenza del XL anniversario dell’apertura dei lavo-ri conciliari, avvenuta l’11 ottobre 1962, consente una rifles-sione critica1.

L’intuizione di papa Giovanni XXIII si è collocata in unmomento propizio non solo della vita del cattolicesimo e del-l’intero cristianesimo, ma anche del mondo che, dopo la con-clusione del secondo conflitto mondiale, nel passaggio allaseconda metà del XX secolo esprimeva in vari ambiti unorientamento e un bisogno di rinnovamento. La presidenzaKennedy negli USA, l’inizio dell’uscita dell’URSS dalla buiastagione stalinista, i tentativi di presenza umana nello spaziocosmico, l’avvio della de-colonizzazione erano altrettanti im-pulsi in quella direzione.

Tutte le preoccupazioni e gli allarmismi che avevano ac-compagnato l’annuncio del nuovo concilio (K. Adenauer, can-

Transizione epocale? [873] 173

1 È stata recentemente conclusa la Storia del concilio Vaticano II (1959-1965)realizzata da un’équipe interconfessionale e interdisciplinare di studiosi, co-ordinata da G. Alberigo. L’opera in 5 volumi è edita in lingua italiana (Bo-logna 1995-2001), tedesca, inglese, francese, spagnola, portoghese e russa. So-no in corso di pubblicazione anche parecchi Diari redatti da protagonisti delconcilio. Oltre a quelli di E. Bartoletti, M. Bergonzini, A.M. Charue, N. Edelby,A. Liénart, G.B. Parodi, G. Siri, S. Wyszynski, J. Zimmermann, C. Zohra-bian, sono stati editi recentemente: Y. CONGAR, Mon Journal du Concile, Pa-ris 2002 e H. KÜNG, Erkämpfte Freiheit. Erinnerungen, München 2002. Per lanascita di questa Rivista nel contesto conciliare si veda H. SNIJDEWIND, Ge-nèse et organisation de la revue internationale de théologie «Concilium», inCristianesimo nella Storia 21 (2000) 645-674.

E. Schillebeeckx, H. Snijdewind, Queriniana, Brescia 1996. Ha diretto la Sto-ria del concilio Vaticano II, 5 voll., Il Mulino, Bologna 1995-2001, opera editain sei lingue.

(Indirizzo: via G. Mazzini 82, 40138 Bologna, Italia).

Page 3: Concilium 5/2002 articoli · tà” poteva divenire una risposta adeguata ai bisogni nuovi? ... chiesa e della stessa ecclesiologia sulla base di una visione

celliere della Repubblica federale tedesca, per esempio) si so-no rivelati infondati. Non solo l’episcopato ha aderito di buongrado, è intervenuto plenariamente e ha superato gli inevi-tabili disagi, ma i fedeli e – più ampiamente – l’opinionepubblica hanno affiancato la celebrazione conciliare con in-consueto interesse. La contrapposizione tra i blocchi ideolo-gici, pur limitando la partecipazione di qualche episcopato,non ha impedito né imbarazzato il concilio. Il superamentodella crisi cubana dell’autunno 1962 ha piuttosto lasciato in-travedere l’influsso rasserenante del concilio stesso. Infine, an-che la scomparsa di Giovanni XXIII prima della conclusionedei lavori non solo non ha impedito la loro ripresa, ma neè stata la più insuperabile garanzia.

2/ Concilio per l’aggiornamento

L’identità principale del Vaticano II appare quella dell’“ag-giornamento”. Giovanni XXIII aveva caratterizzato il nuovoconcilio come «concilio di aggiornamento». Il papa concepi-va il concilio non come «un’assemblea speculativa», in qual-che modo estranea alla vicenda storica, ma come «un orga-nismo vivo e vibrante che nella luce e nell’amore di Cristovede e abbraccia tutto il mondo» (giugno 1960). Più tardiquesta prospettiva trovò piena espressione nella bolla di in-dizione del concilio stesso, dove si prendevano le distanzedalle «anime sfiduciate che non vedono altro che tenebre gra-vose sulla faccia della terra», laddove invece occorreva se-guire «la raccomandazione di Gesù di saper distinguere i “se-gni dei tempi”».

Il vecchio pontefice dunque sollecitava la chiesa ad as-sumere un’attitudine di ricerca e a superare l’atteggiamentodi certezza che era divenuto abituale nel cattolicesimo mo-derno e contemporaneo, in reazione ai traumi prodotti dallaRiforma protestante prima e dalla Rivoluzione francese poi,per riprendere l’attitudine itinerante del popolo di Dio. Con “ag-giornamento” il papa voleva indicare disponibilità e attitudi-ne alla ricerca di una rinnovata inculturazione del messag-gio cristiano nelle nuove culture. Così il concilio veniva po-

174 [874] GIUSEPPE ALBERIGO

Page 4: Concilium 5/2002 articoli · tà” poteva divenire una risposta adeguata ai bisogni nuovi? ... chiesa e della stessa ecclesiologia sulla base di una visione

sto nella prospettiva della risposta cristiana alle istanze delrinnovamento dell’umanità. “Aggiornamento” era l’indicazio-ne sintetica della direzione nella quale il concilio avrebbe do-vuto aprire il cammino alla chiesa. Non riforme disciplinariné modificazioni dottrinali, ma una immersione totale nellatradizione, finalizzata a un ringiovanimento della vita cri-stiana e della chiesa. Una formula nella quale fedeltà allaTradizione e rinnovamento profetico erano destinati a coniu-garsi; la lettura dei «segni dei tempi» doveva entrare in si-nergia reciproca con la testimonianza dell’annuncio evangeli-co. “Aggiornamento” richiedeva un nuovo atteggiamento, in-dicato con cristallina chiarezza nell’allocuzione Gaudet materecclesia dell’11 ottobre 1962:

Al giorno d’oggi [...] la Sposa di Cristo preferisce far uso del-la medicina della misericordia piuttosto che della severità: essaritiene di venir incontro ai bisogni di oggi mostrando la vali-dità della sua dottrina piuttosto che con la condanna.

L’assemblea conciliare ha espresso subito un’adesione spon-tanea a questo orientamento, ma ha provato molta fatica adappropriarsene culturalmente. Il Vaticano II ha affrontato espli-citamente la problematica dell’aggiornamento nella formula-zione dei documenti più significativi: le costituzioni Lumengentium e Gaudium et spes e il decreto Unitatis redintegratio.La portata complessiva dell’opera del Vaticano II in ordineal rinnovamento della chiesa contemporanea è tuttavia mol-to più rilevante. Infatti il concilio, anzitutto come evento epoi anche col corpus delle sue decisioni, ha dato un apportoben più significativo alla ricomposizione di una visione uni-taria del messaggio cristiano. La mens del Vaticano II era chel’aggiornamento permeasse l’intera vita ecclesiale. In questaprospettiva, è stata ripresa l’indicazione di Giovanni XXIII anon formulare nuove definizioni. Quindi non si è trattato so-lo di discrezione verso le altre chiese cristiane; infatti il con-cilio, oltre a evitare nuove dogmatizzazioni, ha scelto per leproprie conclusioni una forma indicativa ed esortativa, pre-scindendo da condanne e dalla precettività che aveva carat-terizzato, per esempio, le decisioni del Tridentino.

Complessivamente la prospettiva di un aggiornamento è

Transizione epocale? [875] 175

Page 5: Concilium 5/2002 articoli · tà” poteva divenire una risposta adeguata ai bisogni nuovi? ... chiesa e della stessa ecclesiologia sulla base di una visione

stata vissuta dall’assemblea conciliare con convinzione e conimpegno, anche se con discontinuità. È infatti impossibileignorare l’impulso al ringiovanimento che anima l’imposta-zione e il dettato delle costituzioni conciliari e, non meno, dialcuni tra i decreti e le dichiarazioni. Non ci si può tuttavianascondere che altre decisioni conciliari obbediscono a istan-ze di conservazione dello status quo, come – per fare un esem-pio – il decreto Orientalium ecclesiarum o la dichiarazione sul-l’educazione cristiana. È vero, d’altro canto, che solo pro-gressivamente i padri conciliari hanno messo a fuoco che “ag-giornamento” non poteva essere solo un’aspirazione ma avreb-be dovuto tradursi in proposte puntuali, ancorché embriona-li, che indicassero alle chiese una direzione di movimento piùche un dettagliato programma.

3/ Concilio pastorale

Lo stesso Giovanni XXIII ha attribuito al concilio la ca-ratteristica della “pastoralità”, che è stata colta molto prestocome un sintomo inequivoco di un concilio “nuovo”. La gran-de maggioranza dei vescovi intervenuti al Vaticano II si im-pegnò ad appropriarsi sin dalle prime battute dei lavori diquesta impostazione “pastorale”. Quasi inavvertitamente, l’i-stanza per un «concilio pastorale» ha acquistato in seno all’as-semblea un significato discriminante tra gli orientamenti inno-vatori e quelli tradizionalisti. Era dunque in gioco un atteg-giamento nuovo della chiesa romana e la possibilità di rea-lizzare col Vaticano II un tipo inedito di concilio, caratteriz-zati l’una e l’altro da una visione globale, unitaria e fedeledell’annuncio e della testimonianza della fede. La “pastorali-tà” poteva divenire una risposta adeguata ai bisogni nuovi?oppure era condannata a restare una formulazione generica,niente di più di una manifestazione di buona volontà?

Come per l’“aggiornamento”, anche le indicazioni “pa-storali” di Giovanni XXIII sono state accolte con entusiasmo,ma il concilio ha incontrato gravi difficoltà per tradurle inprospettive concrete, scoprendosi impreparato a un impegnotanto inatteso. Infatti il superamento – ancorché imperfetto e

176 [876] GIUSEPPE ALBERIGO

Page 6: Concilium 5/2002 articoli · tà” poteva divenire una risposta adeguata ai bisogni nuovi? ... chiesa e della stessa ecclesiologia sulla base di una visione

contrastato durante i lavori conciliari – della concezione delcristianesimo come somma di “dottrina” e di “disciplina” co-stituisce un significativo sviluppo, che introduce una sostan-ziale riconsiderazione della problematica della riforma dellachiesa e della stessa ecclesiologia sulla base di una visioneglobalmente unitaria del cristianesimo stesso, comandata dal-la comunione tra l’unico Pastore, il Cristo, e i fedeli.

L’assemblea ha oscillato tra la formulazione di una sum-ma di dottrina sociale e quella di un riepilogo di norme ca-noniche, rischiando di arenarsi. Ma, sollecitata da attese in-calzanti, essa è riuscita in larga misura a sfuggire a questorischio. E soprattutto è stata in grado di indicare prospetti-ve dinamiche di aggiornamento della vita ecclesiale nelle areedi antica e di recente evangelizzazione (decreti Christus Do-minus e Ad gentes). A sua volta la costituzione pastorale sul-la chiesa nel mondo ha realizzato, almeno embrionalmente,l’impegno assunto dal concilio nel messaggio agli uomini del-l’ottobre 1962 di «ricercare le vie più efficaci per rinnovarenoi stessi, per divenire testimoni sempre più fedeli del van-gelo di Cristo» e di «proporre agli uomini del nostro tempointegra e pura la verità di Dio».

Mediante l’applicazione ecclesiale dell’idea neotestamenta-ria di “servizio”, è stata posta la premessa della subordina-zione di tutte le funzioni istituzionali rispetto alla vita di fe-de e alla dinamica della comunione. Questo è il senso pro-prio e pieno di proposizioni come quella secondo la qualel’«ufficio che il Signore ha affidato ai pastori del suo popo-lo è un vero servizio, che le Sacre Scritture chiamano signi-ficativamente diakonía» e quella, che quasi conclude Gaudiumet spes, per cui i cristiani sono chiamati a impegnarsi tutti «inuna conformità al vangelo ogni giorno maggiore, a coopera-re fraternamente al servizio della famiglia umana». La risco-perta del rilievo della diakonía non solo per la vita persona-le dei cristiani, ma anche per l’assetto stesso della comunitàè carica di implicazioni.

L’intuizione di Giovanni XXIII, fatta propria dalla gran-de maggioranza del concilio e confortata dal consenso di Pao-lo VI, costituisce – a oltre trentacinque anni dalla sua con-clusione – uno degli apporti più significativi del Vaticano II;

Transizione epocale? [877] 177

Page 7: Concilium 5/2002 articoli · tà” poteva divenire una risposta adeguata ai bisogni nuovi? ... chiesa e della stessa ecclesiologia sulla base di una visione

un’indicazione meritevole di approfondimenti e suscettibile difecondi sviluppi.

4/ Concilio d’unione?

Accanto allo scopo «eminentemente pastorale», il papaaveva sottolineato con particolare impegno che il concilio vo-leva essere un «rinnovato invito ai fedeli delle chiese sepa-rate a partecipare con noi a questo convito di grazia e difraternità». La dimensione ecumenica aveva suscitato, più diogni altra, attenzione, sorpresa, interesse nell’opinione pub-blica, ma anche allarmi molto vivaci.

Che fosse il papa a prendere l’iniziativa dell’unità tra lechiese cristiane e a prospettare questo processo in termini di“cooperazione” verso un «unico gregge» era tanto inatteso, equasi inverosimile, da suscitare reazioni disparate e da ri-chiedere un ripensamento dell’intera strategia ecumenica. Gio-vanni XXIII decise che alle commissioni pre-conciliari e con-ciliari fosse affiancato un Segretariato per l’unità dei cristiani eche per suo tramite al concilio fossero invitati osservatori de-legati dalle altre chiese cristiane. L’invito ottenne larga e cre-scente accoglienza. L’ipotesi iniziale, secondo la quale gli “os-servatori” avrebbero dovuto svolgere esclusivamente una fun-zione di informazione verso le loro chiese e di testimonian-za verso il concilio, si è sviluppata al di là delle previsioni.Nella misura in cui ha fondamento ritenere che tra gli os-servatori a-cattolici e i membri del Vaticano II si sia realiz-zata una abituale comunione, come negare che essi siano sta-ti in qualche modo membri veri e propri del concilio?

È innegabile che tra gli apporti maggiori del Vaticano IIvi sia il potente rilancio dell’istanza ecumenica, culminata nel-l’incontro tra Paolo VI e Atenagoras a Gerusalemme e nellaremissione delle scomuniche tra Roma e Costantinopoli. Aquesto proposito il confronto con la situazione pre-conciliareè clamoroso. Non solo Unitatis redintegratio ha immesso laproblematica dell’unione nel cattolicesimo, spazzando via quel-la del “ritorno” di “eretici” e di “scismatici” alla chiesa diRoma, ma ha tematizzato un vero e proprio “ecumenismo

178 [878] GIUSEPPE ALBERIGO

Page 8: Concilium 5/2002 articoli · tà” poteva divenire una risposta adeguata ai bisogni nuovi? ... chiesa e della stessa ecclesiologia sulla base di una visione

cattolico”. È un autentico rovesciamento, che ha lasciato inizial-mente increduli e sbigottiti non pochi padri conciliari, forseanche più numerosi di quanti l’accolsero con sollievo e gioia.

5/ Il Vaticano II e la Tradizione

Il confronto tra i testi degli schemi preparatori e quellidelle decisioni finali consente di misurare la sostanziale con-tinuità con la Tradizione cristiana nella sua accezione catto-lica, ma anche la discontinuità rispetto al cattolicesimo deisecoli della cristianità medievale e del periodo post-tridenti-no. Non emergono novità sostanziali, ma uno sforzo – siapure non sempre soddisfacente – per riproporre l’antica fe-de in termini comprensibili all’uomo contemporaneo e liberadalle incrostazioni, più o meno parassitarie, che si erano con-solidate nei secoli.

Un fattore significativo di fedeltà del concilio alla Tradi-zione è stata l’esperienza liturgica. L’importanza spirituale edottrinale della intronizzazione quotidiana del vangelo e del-le celebrazioni delle liturgie nei diversi riti – fermamente vo-lute dallo stesso Giovanni XXIII – è stata rilevante, come te-stimoniano numerose note nei Diari di padri. D’altronde ilconcilio non si era proprio impegnato anzitutto nel promuo-vere un aggiornamento della vita liturgica? La costituzioneSacrosanctum concilium si ispirava infatti alla grande tradizio-ne liturgica antica, riproposta e mediata dalle decennali espe-rienze del Movimento liturgico. La percezione che talora siè avuta di un orientamento radicalmente innovatore del Va-ticano II è stata generata da una affrettata e superficiale let-tura, che scambiava il ritorno ad antiche prassi liturgiche pernovità eversive.

Il concilio ha inoltre elaborato una costituzione dedicataalla Tradizione nella sua accezione più alta: la trasmissionedella stessa rivelazione cristiana2. È significativo che Dei Ver-

Transizione epocale? [879] 179

2 R. BURIGANA, La Bibbia nel concilio. La redazione della costituzione «Dei Ver-bum» del Vaticano II, Il Mulino, Bologna 1998.

Page 9: Concilium 5/2002 articoli · tà” poteva divenire una risposta adeguata ai bisogni nuovi? ... chiesa e della stessa ecclesiologia sulla base di una visione

bum sia una delle sue decisioni maggiori e più impegnativee l’unica la cui elaborazione si è svolta lungo l’intera dura-ta dell’assemblea, dal 1962 al 1965.

Nell’insieme il Vaticano II ha dato un apporto significa-tivo alla ricomposizione di una visione unitaria del messag-gio cristiano. Era lo sforzo, senza cedere a tentazioni inte-graliste o fondamentaliste, di riguadagnare l’unità e la com-plessità dell’annuncio evangelico. In questo contesto i criteriindicati dal decreto sull’ecumenismo per formulare ed espor-re la fede, e lo stesso riconoscimento di una «gerarchia del-le verità» (UR 11), possono essere letti non solo come l’am-missione di una diversa prossimità al Cristo di singoli aspet-ti della rivelazione, ma soprattutto come orientamento a cer-care espressioni della fede meno condizionate dalla stagionedell’inculturazione nella cultura occidentale e aperte ai nuo-vi modi di sentire e di riflettere dell’umanità contemporanea.

6/ Il parallelogramma delle forze:Episcopato – Papa – Curia – Opinione pubblica

Gradualmente il concilio si è spontaneamente articolato.Un ruolo quasi istituzionale hanno avuto le conferenze na-zionali o continentali, a cominciare da quelle già strutturateda tempo (per esempio quella tedesca o quella latino-ameri-cana), poi anche gruppi più piccoli – analoghi alle lobby par-lamentari – come quello che si riuniva sui problemi della po-vertà o quello promosso da Etchegaray (con la valida colla-borazione di H. Câmara) tra i segretari delle conferenze epi-scopali presso la Domus Mariae. Ha costituito un’esperienzasingolare quella del Coetus internationalis patrum, che coordi-nava – malgrado gli ammonimenti di Paolo VI contro l’or-ganizzazione di gruppi all’interno del concilio – vescovi con-servatori di ogni provenienza. Infine sono emersi spontanea-mente a margine del concilio luoghi di incontro e di scam-bio, che frequentemente hanno giocato un ruolo nella for-mazione dell’opinione. È stato così per il Collegio belga – re-sidenza del card. Suenens e del teologo Philips, ma ancheper DO-C, il centro olandese di informazione, dove si sono

180 [880] GIUSEPPE ALBERIGO

Page 10: Concilium 5/2002 articoli · tà” poteva divenire una risposta adeguata ai bisogni nuovi? ... chiesa e della stessa ecclesiologia sulla base di una visione

tenute decine di affollate conferenze sui maggiori problemiin discussione a S. Pietro.

Accanto alla dinamica interna all’assemblea conciliare eintrecciata con essa, il concilio ha avuto relazioni e contatticomplessi con il papa, con la curia romana e con l’opinionepubblica. La scelta di Giovanni XXIII di non partecipare per-sonalmente alle sedute conciliari è stata proseguita anche daPaolo VI. L’uno e l’altro hanno peraltro avuto ruoli di gran-de e decisivo rilievo nella vita del Vaticano II. Via via lun-go i quattro periodi di attività il papa è stato il riferimentodecisivo dell’assemblea.

I due papi che hanno presieduto il concilio hanno avutonon solo una fisionomia e un carattere molto diversi, ma han-no giocato ruoli ben distinti. Roncalli lo ha “creato”, ne hagradualmente elaborato la fisionomia, l’ha impostato con l’al-locuzione inaugurale e, infine, l’ha guidato nei primi incertimesi e durante la problematica prima intersessione. La suaimpronta è sopravvissuta alla sua scomparsa e il Vaticano IIne risente ancora durante la seconda fase di lavoro. Solo gra-dualmente Paolo VI subentra nel rapporto con l’assembleaconciliare, dopo essersene guadagnata la fiducia con la lealee pronta riconvocazione. La sua prospettiva è oggettivamen-te quanto specularmente opposta – ancorché complementare– a quella di Roncalli. Montini, infatti, ha il compito di por-tare a compimento e di concludere il concilio.

Il fatto stesso di presiedere le fasi avanzate del lavoro con-ciliare ha indotto il papa a porre l’accento sulla necessità delmassimo consenso all’interno dell’assemblea. Come a papa Gio-vanni era toccata la responsabilità di stimolare l’impegno e laresponsabilità dei padri, così papa Montini ha vissuto con in-tensa convinzione lo sforzo di ottenere votazioni unanimi perl’approvazione definitiva dei testi conciliari. In varie circostanzequesto impegno ha richiesto grande pazienza, disponibilità al-l’ascolto – anche di sollecitazioni intemperanti, tenacia.

L’assemblea conciliare, da parte sua, ha condiviso l’ansiadi Paolo VI per il dialogo, facendone menzione in molti deipropri testi. In diverse occasioni resta tuttavia l’impressionedi un uso forse un po’ disinvolto e non approfondito. Se l’at-titudine al dialogo costituiva un netto progresso rispetto al-

Transizione epocale? [881] 181

Page 11: Concilium 5/2002 articoli · tà” poteva divenire una risposta adeguata ai bisogni nuovi? ... chiesa e della stessa ecclesiologia sulla base di una visione

l’atteggiamento arcigno e, comunque, di superiorità del ma-gistero ecclesiastico precedente, talora se ne percepisce un usotroppo “facile” e, alla fine, banalizzante. Anche la ricerca delconsenso ha trovato tra i padri echi molto vasti e positivi,persino quando se ne sono pagati prezzi sul piano della chia-rezza e della coerenza dei testi approvati. L’istanza portataavanti dal papa ha avuto risonanze profonde nello spirito deivescovi, inducendoli anche – quando non era possibile altri-menti – a sacrificare astratte coerenze dottrinali.

A differenza di altri concili, un confronto è emerso conprepotenza tra il concilio e la curia romana, sintomo evidentedel nuovo rilievo istituzionale assunto da quest’ultima. For-se la memoria storica aveva già di fatto avvertito la curiadei problemi che la celebrazione di un concilio suscitava neiconfronti dell’apparato centrale. La curia – diffidente primaverso Giovanni XXIII, perché aveva convocato il concilio, epoi verso Paolo VI, per l’antica ostilità verso Montini – è sta-to un polo di tutta la vita del Vaticano II. Un polo che ave-va una lunga storia, che esisteva prima del concilio e che sa-rebbe sopravvissuto al concilio. La presenza nella stessa cu-ria di posizioni diverse, leali verso il concilio, non ha modi-ficato il dato strutturale di un autorevole e potente polo ec-clesiastico, che ha perseguito scopi divergenti rispetto a quel-li della maggioranza conciliare. Sin dai primi momenti Gio-vanni XXIII aveva percepito il rischio di un “controllo” cu-riale sul concilio e aveva insistentemente sottolineato la ne-cessità di una chiara e ferma distinzione.

Il concilio, infine, ha avuto una significativa relazione conl’opinione pubblica: la grande stampa e le reti televisive, cheinformavano sui lavori conciliari, e le comunità di fedeli –laici e preti – che seguivano i dibattiti e ne potevano parla-re con i loro vescovi durante le pause tra un periodo e l’al-tro. Nel corso della preparazione e sino alla conclusione del-la prima fase conciliare il “segreto” aveva impedito o, alme-no, frenato, una informazione puntuale su quanto accadevain concilio, ma con il 1963 la pressione dell’opinione pubbli-ca e un atteggiamento meno timido dei vescovi ha sgretola-to la singolare pretesa che l’informazione sui lavori di un’as-semblea alla quale intervenivano oltre tremila persone fosse

182 [882] GIUSEPPE ALBERIGO

Page 12: Concilium 5/2002 articoli · tà” poteva divenire una risposta adeguata ai bisogni nuovi? ... chiesa e della stessa ecclesiologia sulla base di una visione

soddisfatta con laconici e vaghi comunicati, che tacevano per-sino il nome degli intervenuti nel dibattito.

7/ La teologia al concilio

Pochissimi si erano aspettati un nuovo concilio, ma quan-do Giovanni XXIII ne ha dato l’annuncio, dopo la sorpresae un certo disorientamento, vi è stata una gara di disponi-bilità e di contributi. Così il Vaticano II è diventato un gran-de crogiolo delle elaborazioni dei decenni precedenti, spessoemarginate da preoccupazioni gerarchiche o dai sussulti mo-nopolistici dei teologi “romani”. Tuttavia i migliori esponen-ti delle scuole romane sono stati a loro volta coinvolti nellacollaborazione al concilio.

L’occasione conciliare ha portato alla ribalta anche unagenerazione più giovane, che ha dato spesso un contributopiù fresco ai dibattiti.

Vero è che il trauma universale indotto dal secondo con-flitto mondiale, l’incipiente rivoluzione tecnologica e gli scric-chiolii del sistema dei due grandi blocchi ideologici prelu-devano a una nuova e più complessa svolta storica, intuitada papa Giovanni, sullo sfondo della quale si collocavano ilconcilio e il suo compito. Di fronte a una vocazione tantoimmane, la teologia mobilitata dall’occasione conciliare, mal-grado lacune o inadeguatezze, ha dato un apporto costrutti-vo, contribuendo ad avviare il rovesciamento di una situa-zione che negli ultimi anni del pontificato pacelliano avevamanifestato sintomi involutivi molto preoccupanti. Si può tut-tavia aggiungere che la mancanza di una sede apposita nel-la quale i teologi approfondissero i temi via via affrontati –come era avvenuto durante il Tridentino – può avere appe-santito il lavoro della Congregazione generale.

Alla luce di tutto ciò si possono apprezzare portata e li-miti delle acquisizioni conciliari. Anche dal punto di vistadelle elaborazioni dottrinali, il Vaticano II appare soprattuttoun punto di partenza, più che un punto di arrivo. La stes-sa assemblea conciliare ha proposto un modello di erme-neutica dinamica e accrescitiva delle proprie decisioni.

Transizione epocale? [883] 183

Page 13: Concilium 5/2002 articoli · tà” poteva divenire una risposta adeguata ai bisogni nuovi? ... chiesa e della stessa ecclesiologia sulla base di una visione

8/ Una svolta?

Giovanni XXIII non aveva avuto alcuna esitazione nel ca-ratterizzare il concilio in modo assolutamente tradizionale,cioè come un’assemblea di vescovi. Ma questo non contrad-diceva il fatto che egli aveva voluto un concilio di transi-zione epocale, ovvero un concilio che facesse transitare lachiesa dall’epoca post-tridentina e, in una certa misura, dal-la plurisecolare stagione costantiniana a una fase nuova ditestimonianza e di annuncio, mediante un recupero degli ele-menti forti e permanenti della tradizione, giudicati idonei adalimentare e garantire la fedeltà evangelica di una transizio-ne tanto ardua. In questa prospettiva il concilio assumevaun’importanza tutta speciale, ancora prima come “evento” checome sede di elaborazione e di produzione di norme.

Il concilio avrebbe dovuto essere lo «sprazzo di supernaluce» di cui papa Giovanni parlò a più riprese e che, conl’approssimarsi della Pentecoste, prese a indicare come «Pen-tecoste nuova». L’immagine di una nuova Pentecoste vienepoi abitualmente associata al concilio ecumenico, sino a tro-vare sanzione nella preghiera papale per il concilio, nella qua-le si chiede allo Spirito di rinnovare «nella nostra epoca iprodigi come di una novella Pentecoste».

La scommessa di Giovanni XXIII per un concilio che sifacesse da sé e non fosse “guidato” dall’alto (o dall’apparatocuriale) ha dato risultati considerevoli, pur pagando prezzi.

Una considerazione globale dei risultati del Vaticano IInon può prescindere da alcune acquisizioni. Il superamento deltradizionale metodo deduttivo – sia pure in misura incom-pleta – è innegabile. Connessa con il ricorso al metodo in-duttivo è l’accettazione della storia. L’urgenza di una pro-fonda rielaborazione critica dell’atteggiamento del cattolicesi-mo aveva già trovato embrionale espressione nel magisterodi Pio XII come voto che la chiesa sapesse leggere la storia.Col successore di papa Pacelli questo adeguamento preseun’attualità e un ritmo inattesi. Globalmente il Vaticano II, aproposito del rapporto chiesa-storia, ha segnato una macro-scopica inversione di tendenza rispetto all’orientamento pre-valente nel cattolicesimo da almeno quattro secoli. Le indi-

184 [884] GIUSEPPE ALBERIGO

Page 14: Concilium 5/2002 articoli · tà” poteva divenire una risposta adeguata ai bisogni nuovi? ... chiesa e della stessa ecclesiologia sulla base di una visione

cazioni più decisive appaiono quelle contenute nelle costitu-zioni sulla liturgia, sulla chiesa e sulla parola di Dio, in quan-to mostrano in atto la rilevanza della condizione storica delcristianesimo.

Un apprezzamento sintetico è chiamato piuttosto a sotto-lineare gli elementi di continuità tra le attese delineate “a fred-do” prima del concilio e i suoi risultati. Malgrado una con-siderevole corrispondenza tra molte di quelle attese e le con-clusioni, sembra tuttavia che il Vaticano II – ancorché appe-santito da un certo numero di decreti di ispirazione pre-con-ciliare – abbia complessivamente trasceso le attese, realizzandouna “svolta” più profonda e organica di quanto le istanzedella vigilia avessero avuto la lungimiranza e il coraggio diauspicare. L’assemblea conciliare ha anche trovato il coraggioe la convinzione per trascendere la connotazione eurocentri-ca, che la caratterizzava all’inizio. Gli episcopati del “Terzomondo” hanno conquistato progressivamente spazio, eserci-tando un influsso crescente sui lavori e sulle decisioni. Que-sta de-europeizzazione avrebbe trovato conferma soprattuttonell’impatto che l’evento conciliare ha realizzato proprio neicontinenti della “periferia”.

È agevole avvedersi come la ricezione del Vaticano II –e forse la sua stessa comprensione – siano ancora incerti edembrionali. Da un lato la sovranità della parola di Dio, lacentralità della liturgia e dell’eucaristia, l’impegno per la co-munione – dal livello basilare della comunità parrocchiale aquello tra le comunità diocesane sino a quello tra le diversetradizioni cristiane – appaiono solo saltuariamente e inade-guatamente come il centro della vita ecclesiale. Molto fre-quentemente i fedeli si trovano di fronte a una pervasiva bu-rocratizzazione ecclesiastica (e laica) prodotta da un malinte-so aggiornamento – ma, in realtà, dall’appiattimento sulle isti-tuzioni secolari. Accanto a novità significative per la comu-nione, come l’elezione a successore di Pietro di un vescovoslavo o come i viaggi pastorali del vescovo di Roma, altre,come il sinodo episcopale, sono trasparentemente afflitte daimpotenza; altre ancora, come i consigli pastorali e presbite-rali, sono apparsi – soprattutto in Europa – già esausti solodopo pochi anni di esperienza.

Transizione epocale? [885] 185

Page 15: Concilium 5/2002 articoli · tà” poteva divenire una risposta adeguata ai bisogni nuovi? ... chiesa e della stessa ecclesiologia sulla base di una visione

Le conferenze episcopali, che hanno dato un contributorilevante all’animazione del Vaticano II, appaiono insidiatecontemporaneamente dalla burocratizzazione e dal centrali-smo, che tarpano la loro possibilità di divenire segni effica-ci della comunione tra le Chiese.

Il Vaticano II ha lasciato una chiesa cattolica ben diver-sa da quella in seno alla quale si era aperto. La condizionedi “cristianità” – che era ancora dominante in Europa e, me-diante essa, nel cattolicesimo mondiale – l’8 dicembre 1965appare superata. Ne sopravvivono frammenti, talora anchetenacemente restii a prendere atto della svolta storica, che ap-paiono tuttavia sussulti nostalgici. Nella lunga durata, l’usci-ta dal periodo controriformistico e dalla stagione costanti-niana caratterizza la “svolta” avviata dal concilio, una svol-ta necessariamente complessa e graduale, di cui esso ha po-sto le premesse e segnato l’avvio.

9/ Il concilio “nascosto”

Proprio la natura pastorale del Vaticano II e il suo sco-po di aggiornamento hanno dato alla partecipazione dei ve-scovi, dei teologi, degli osservatori una portata pregnante, co-stituendo un’esperienza profonda di condivisione. Condivi-sione che ha trasceso i limiti, spesso angusti e formali, deirapporti tra ecclesiastici. Centinaia di persone che non ave-vano alcuna reciproca conoscenza, che talora diffidavano gliuni degli altri, che avevano età, esperienze, lingue, culturaprofondamente diverse e lontane, si sono trovati a dar vitaa un’impresa comune, le cui implicazioni andavano ben aldi là del pur essenziale adempimento istituzionale: elabora-zione e approvazione di decisioni.

È innegabile che l’enorme maggioranza dei padri conci-liari era spontaneamente, e quasi visceralmente, allineata conla posizione del vescovo di Roma. Ma è anche indubbio cheessi hanno rapidamente maturato una considerevole consa-pevolezza della propria inalienabile responsabilità, esprimen-dola sin dall’autunno 1962 con votazioni di grande portatae significato.

186 [886] GIUSEPPE ALBERIGO

Page 16: Concilium 5/2002 articoli · tà” poteva divenire una risposta adeguata ai bisogni nuovi? ... chiesa e della stessa ecclesiologia sulla base di una visione

Dopo il 1959 è maturato lentamente e quasi insensibil-mente un clima diffuso che ha predisposto un gran numerodi vescovi, soprattutto dei paesi della fascia atlantica – maanche altrove – a vedere il Vaticano II come una singolareoccasione di rinnovamento della chiesa, nel solco delle istan-ze formulate nei decenni più recenti dai movimenti liturgi-co, biblico, ecumenico, di ressourcement e sotto l’incalzare del-la secolarizzazione delle società.

Così il Vaticano II è andato ben al di là del “completa-mento” delle decisioni ecclesiologiche del Vaticano I e ha di-segnato una fisionomia di vescovo profondamente diversa daquella che si era consolidata – soprattutto nelle aree di an-tica cristianità – nei secoli più recenti. È una fisionomia inlarga parte ricalcata sull’esperienza degli epískopoi dei primisecoli del cristianesimo, tracciata, tuttavia, con l’ansia e il pro-posito di rispondere alle esigenze culturali delle società con-temporanee e delle comunità cristiane che vivono in seno adesse.

Secondo i Diari, l’esperienza della partecipazione al Vati-cano II è stata vissuta con implicazioni e sentimenti forti:gioia, interesse, orgoglio, apprensione. Giorno dopo giorno èandata maturando negli spiriti della grande maggioranza unacoscienza conciliare. La coscienza cioè che il concilio e le spe-ranze da esso accese erano nelle mani dei vescovi, che essi– con il papa – erano realmente responsabili dell’annuncioevangelico nell’oggi della storia, che – in una parola – cia-scuno di loro si trovava a giocare un ruolo di una portatastraordinaria, mai immaginata.

Numerosi vescovi erano convinti che la loro partecipa-zione al concilio avesse avuto un’autentica portata spirituale.Quella partecipazione aveva inciso sulla personalità di moltidi loro e aveva fatto maturare un certo numero di “conver-sioni” abbastanza sorprendenti, ancorché il loro censimentosia molto arduo. Ha avuto una eco clamorosa il mutamentodi campo a proposito della collegialità episcopale di P. Pa-rente, uno dei massimi esponenti del Sant’Uffizio. Si posso-no ricordare anche i casi del canadese Léger, degli italianiLercaro e Motolese. Ciascuno di loro, a modo suo, aveva vis-suto l’esperienza conciliare come un evento spirituale tale da

Transizione epocale? [887] 187

Page 17: Concilium 5/2002 articoli · tà” poteva divenire una risposta adeguata ai bisogni nuovi? ... chiesa e della stessa ecclesiologia sulla base di una visione

esigere una modificazione radicale del proprio modo di es-sere vescovo.

10/ Concilio e società

Il cattolicesimo europeo era uscito dal secondo conflittomondiale con un assetto ancora molto simile a quello deisecoli in cui la società cattolica occidentale aveva vissuto co-me un sistema sociale autosufficiente, incardinato nella fedee retto concordemente dalla chiesa e dal suo braccio seco-lare, l’autorità politica. La diffusione dei partiti politici cri-stiani – che aveva avuto il suo apogeo negli anni Cinquan-ta – tendeva a filtrare e a contenere, almeno apparentemente,le conseguenze della secolarizzazione, dilagante nel conti-nente sulle spalle della ricostruzione e del conseguente be-nessere. I decenni tra gli anni Venti e gli anni Quaranta era-no stati – almeno in Europa – straordinariamente ricchi diimpulsi, impulsi che si erano reciprocamente fecondati in-crociandosi e che hanno costituito l’humus per il superamentodella lunga stagione giuridico-istituzionale dell’ecclesiologiacattolica.

A livello planetario il concilio ha offerto a tutti la possi-bilità di guardare al di là dell’abituale orizzonte europeo, discoprire la ricchezza delle “nuove” chiese latino-americane,africane, asiatiche con le quali ci si confrontava su un pianodi parità. Si imponeva così un dinamismo che la «guerrafredda» aveva congelato; si riguadagnava la possibilità di«pensare in grande».

Dirompente per le società contemporanee è stata la ple-naria affermazione della libertà religiosa. Un interesse moltoalto è stato suscitato anche dalla svolta operata dalla costi-tuzione Gaudium et spes quando ha superato la demonizza-zione del benessere economico, tipica della dottrina socialedella chiesa, e ha accettato la desiderabilità del welfare state,due capisaldi della cultura moderna. Il concilio tuttavia –malgrado significative pressioni esercitate sui padri durantetutti i lavori – non ha saputo formulare in modo soddisfa-cente quella attenzione privilegiata e prioritaria ai poveri che

188 [888] GIUSEPPE ALBERIGO

Page 18: Concilium 5/2002 articoli · tà” poteva divenire una risposta adeguata ai bisogni nuovi? ... chiesa e della stessa ecclesiologia sulla base di una visione

alcune affermazioni programmatiche di Giovanni XXIII e ini-ziative conciliari spontanee avevano fatto sperare.

Il cristianesimo si trova in tutti i continenti e in ogni ti-po di società di fronte a una sfida critica: realizzare una re-inculturazione dell’annuncio evangelico, oppure emarginarsi nelpassato. L’inculturazione nell’universo classico, realizzata dal-le prime generazioni cristiane e poi via via modulata attra-verso due millenni, mostra la sua obsolescenza a partire dal-la sua grammatica di base. Il Vaticano II ha intuito l’incom-bere di questa sfida, sia pure confusamente e senza avere iltempo né, forse, l’energia per elaborare una risposta com-piuta. Il nucleo forte della sua eredità consiste nella consa-pevole accettazione di tale sfida, nella fedele e creativa ri-presa di quella intuizione, nella ricerca audace di svilupparei semi gettati.

Sul piano squisitamente sociale l’impulso conciliare haconcorso al superamento della stagione ideologica. Il disgelodel cattolicesimo nei confronti del mondo comunista ha in-dicato una prospettiva, che ha consentito prima l’elezione alpapato (1978) di un prelato slavo e, poi, la caduta del mu-ro di Berlino. Contestualmente si è verificata l’implosione delsistema sovietico e la scomparsa dei partiti politici “cattoli-ci” o “cristiani”.

11/ Il significato storico e le prospettive

Il Vaticano II si è celebrato fra il tramonto della stagio-ne ideologica e l’inizio di quella post-moderna. Il corretto ap-prezzamento di questa collocazione del concilio è decisivoper metterne a fuoco la portata generale. Nella misura in cuiesso è stato un evento di transizione epocale, anche il suosignificato è polivalente e, si potrebbe dire, bifronte. Da unlato esso è punto di arrivo e di conclusione del periodo post-tridentino e controversista, e così pure, forse, dei lunghi se-coli “costantiniani”; da un altro lato è anticipazione e puntodi partenza di un nuovo ciclo storico.

Ci si può dunque interrogare se il Vaticano II non è “in-vecchiato” per il fatto stesso della sua celebrazione. Il Vati-

Transizione epocale? [889] 189

Page 19: Concilium 5/2002 articoli · tà” poteva divenire una risposta adeguata ai bisogni nuovi? ... chiesa e della stessa ecclesiologia sulla base di una visione

cano II non è solo la conclusione dilazionata e riverniciatadel Vaticano I? esso può dire qualcosa al terzo millennio?ancora, non è stata, forse, l’accelerazione storica generata an-che dal concilio che, introducendo il mondo in un clima deltutto diverso da quello degli anni Sessanta, ha “invecchiato”il Vaticano II e il suo messaggio?

Anche a questo proposito ci si può chiedere se non siapiù marcata l’obsolescenza delle decisioni del concilio – o, al-meno, di molte parti di esse – che non quella dell’eventoconciliare e del suo significato.

Sono documentati i ricorrenti compromessi ai quali si èfatto ricorso nell’elaborazione dei testi. Frequentemente erauna conditio sine qua non per ottenere vasti consensi al limi-te dell’unanimità, in qualche caso era invece il risultato diun’insufficiente elaborazione precedente (come per il cap. IIIdi Lumen gentium o per molta parte di Gaudium et spes3). Ilsignificato di questi compromessi, che hanno indebolito il vi-gore concettuale e programmatico di parecchie pagine delVaticano II e che costituiscono nel post-concilio il terreno dicoltura di ricorrenti quanto sterili dibattiti, merita una at-tenta messa a fuoco. È la natura stessa di questo concilio edei suoi testi finali a circoscrivere il significato dei compro-messi.

È il concilio in quanto tale, come grande fatto di comu-nione, di confronto e di scambio, il messaggio fondamentaleche costituisce la cornice e il nucleo della ricezione. In quel-la luce le decisioni conciliari vanno collocate e interpretate;sono tessere di un mosaico complesso e variegato che pos-sono essere lette adeguatamente solo come un insieme. Sonoimpulsi che riallacciano il cristianesimo cattolico alle scaturi-gini più autentiche della propria tradizione. Essi restituisco-no grande respiro alla spiritualità come alla teologia e con-sentono un riscoperta attuale della dimensione escatologica.Inoltre la riscoperta della dimensione di “mistero” ha avutoun peso anche nella direzione di un riavvicinamento con legrandi tradizioni cristiane orientali, così come il riconosci-

190 [890] GIUSEPPE ALBERIGO

3 G. TURBANTI, Un Concilio per il mondo moderno. La redazione della costi-tuzione pastorale «Gaudium et spes» del Vaticano II, Il Mulino, Bologna 2000.

Page 20: Concilium 5/2002 articoli · tà” poteva divenire una risposta adeguata ai bisogni nuovi? ... chiesa e della stessa ecclesiologia sulla base di una visione

mento dell’importanza cruciale della parola di Dio implicauna nuova convergenza con la tradizione della Riforma, aldi là delle rigidità tridentine e, soprattutto, post-tridentine econtroversiste.

In questa prospettiva si situa anche la coraggiosa revi-sione dell’antisemitismo. Il Vaticano II ha consolidato la svol-ta operata da Giovanni XXIII sin dai primi giorni del suopontificato. Forse le resistenze opposte da tenaci minoranze,insieme a sollecitazioni ebraiche non sempre prudenti, han-no impedito di sviluppare sino in fondo il superamento del-l’ostilità secolare della chiesa verso il popolo ebraico. Co-munque anche a questo proposito il concilio ha segnato unpunto di non-ritorno.

Altrettanto decisiva è la portata del riferimento al miste-ro trinitario e, anche, alla funzione dello Spirito. L’evento con-ciliare è stato permeato, dal suo primo annuncio e durantetutto lo svolgimento, da un richiamo determinante allo Spi-rito Santo. È interessante che Giovanni XXIII sottolineasse confrequenza crescente «il bisogno di una continuata effusionedello Spirito Santo, come di una nuova Pentecoste che rin-novelli la faccia della terra». L’immagine di una nuova Pen-tecoste era abitualmente associata al concilio che «sarà vera-mente la novella Pentecoste, che farà fiorire la chiesa nellasua interiore ricchezza».

In terzo luogo appare centrale la concezione della chie-sa. Il riferimento di partenza era un esplicito ecclesiocentri-smo, venato di trionfalismo. Esso si ispirava a un cristomo-nismo che identificava la chiesa con il «corpo mistico» delCristo e tendenzialmente con il Regno, affermava la coesten-sività della chiesa con la chiesa romana e, infine, esaltava ilvescovo di Roma come vertice della piramide ecclesiale. Ilconcilio ha posto la chiesa in una prospettiva di conciliarità.Un rilevante elemento di novità, enunciato nella costituzionesulla liturgia (Sacrosanctum concilium) e poi ripreso in altredecisioni conciliari, riguarda l’introduzione di una prospetti-va che considera la chiesa come una comunione tra comu-nità locali diverse, piuttosto che come una grande organiz-zazione unitaria a dimensione mondiale. A sua volta, l’ap-plicazione alla chiesa della realtà biblica del “popolo”, e di

Transizione epocale? [891] 191

Page 21: Concilium 5/2002 articoli · tà” poteva divenire una risposta adeguata ai bisogni nuovi? ... chiesa e della stessa ecclesiologia sulla base di una visione

un popolo in cammino e in ricerca, trascende la progressivaossificazione della concezione della chiesa.

Il Vaticano II ha aperto uno spazio perché l’universitas fi-delium (LG 12,5) possa vivere con la libertà dei figli di Dioin obbedienza agli impulsi dello Spirito l’esperienza cristia-na. Un’esperienza che il Vaticano II ha caratterizzato con l’at-tiva partecipazione di tutti i fedeli al momento liturgico (Sa-crosanctum concilium), con l’alimentazione alla parola di Dio(Dei Verbum), con l’impegno all’evangelizzazione (Ad gentes)e con l’amicizia con gli uomini (Gaudium et spes).

* * *

La proposta di rinnovamento del Vaticano II può esserecolta nel suo spessore e nella sua portata innovativa se siapprezza la testimonianza di comunione dell’assemblea con-ciliare e si valorizza la connessione e la reciproca interazio-ne che corre tra le sue decisioni maggiori. Sinteticamente ilVaticano II, più di altri concili precedenti, appare come uno«spazio di libertà», non solo nel senso che ciascun parteci-pante si è sentito libero di manifestare senza timori le pro-prie convinzioni, ma anche e soprattutto perché concilio se-dente all’interno della sua aula, ma anche fuori, il cattolice-simo ha vissuto in un clima inusuale di libertà ed è statopossibile porre ogni problema, anche se poi vi sono stati li-miti nella loro trattazione e soluzione. Il clima sereno creatodal pontificato giovanneo e proseguito da Paolo VI ha con-tribuito al superamento dello stile “trionfalistico”, che fre-quentemente aveva inquinato le espressioni ufficiali della chie-sa cattolica. L’insofferenza, condivisa anche da parte dell’e-piscopato, per un atteggiamento che rivendicava alla chiesadi Roma, persino con arroganza, una superiorità nei confrontidi tutti, ha potuto dissolversi senza lasciare rimpianti, anchegrazie alla presenza – sia pure discreta e rispettosa – degliosservatori.

La ricezione non può che avvenire con tempi lunghi econ modalità e significati differenziati. La tenace resistenzadelle forme che il cattolicesimo aveva assunto durante il se-condo millennio non può sorprendere. La portata del Vati-

192 [892] GIUSEPPE ALBERIGO

Page 22: Concilium 5/2002 articoli · tà” poteva divenire una risposta adeguata ai bisogni nuovi? ... chiesa e della stessa ecclesiologia sulla base di una visione

cano II si misurerà appunto nella capacità degli impulsi edegli orientamenti che esso ha espresso di tratteggiare e dialimentare una stagione nuova del cattolicesimo. I propositidi dare seguito al concilio da Roma nelle forme di un’at-tuazione guidata e controllata hanno già manifestato la loroinadeguatezza.

Non si è formato un «partito del concilio», cioè un mo-vimento impegnato a dare seguito alle direttive conciliari. Ciòanche in considerazione delle reiterate dichiarazioni ufficialidi fedeltà conciliare dei vertici cattolici. D’altronde le propo-ste di una “revisione” del Vaticano II sono effimere e privedi eco. Solo il tempo darà la misura dell’adeguatezza delconcilio al suo compito storico.

Eppure la novità più significativa del Vaticano II non ècostituita da queste formulazioni, ma piuttosto dal fatto stes-so di essere stato convocato e celebrato. Da questo punto di vi-sta il concilio costituisce un punto di non-ritorno: la stagio-ne conciliare è stata riaperta e trova nella coscienza ecclesia-le un posto di grande rilievo. Non si potrebbe immaginare“normalizzazione” politicamente più abile e più efficace delconcilio, e dell’impulso che esso ha dato alla chiesa, che ne-garne il significato epocale. Sarebbe uno svuotamento che,evitando il rozzo rifiuto dei tradizionalisti, proporrebbe unasepoltura del Vaticano II nella normalità post-tridentina.

Transizione epocale? [893] 193