Con il sostegno di - ristretti.it · Penso che il nostro intervento non sia stato affatto dettato...

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Con il sostegno di

Comune di Chieti

Signor Presidente, signor Presi-dente del Consiglio, colleghi, hoa disposizione pochissimi minu-ti e, quindi, affronterò un soloproblema, che mi pare Lei abbiatoccato, signor Presidente del

Consiglio, solo marginalmente e che, invece,da Radicali, riteniamo essenziale e, anzi, laquestione più grave e non ulteriormente rin-viabile dal punto di vista istituzionale e so-ciale.Mi riferisco alla crisi della giustizia e all'in-tollerabile situazione delle carceri. Non sononuove queste nostre sottolineature. Quelloche è nuovo è che è forse vero che, da quan-to lei ha detto, ne consegue certamente unisolamento politico, ma certo non sociale, seè vero che perlomeno 13.000 cittadini italia-ni in questi due mesi hanno partecipatoalle lotte non violente che, in particolare,Marco Pannella porta avanti da due mesi. Eio conosco i sorrisi, e conosco le derisioni. Co-nosco anche un grande protagonista dellanon violenza, che ha detto: «Prima ci igno-rano, poi ci deridono, poi ci combattono, poivinciamo». Forse, speriamo, perché se vin-ciamo, forse tornerà a rivivere in questo Paesela speranza della sacralità della legge, sacraperché erga omnes, e forse perché tornerà arivivere il senso dello Stato di diritto, il sensodelle istituzioni, il senso dello Stato.Certo, occorre un atto di coraggio e di re-sponsabilità che interrompa una flagranteviolenza di Stato. Ho misurato bene le paro-le, quelle che sto pronunciando. Chi è fuorilegge in questo Paese sono lo Stato e le sueistituzioni. E questo non è tollerabile in unregime democratico, perché ne mina alle fon-damenta la credibilità verso i cittadini.Allora ritorno su questo punto, perché nel2005 circa il 30 per cento della popolazione,quindi quasi 10 milioni di famiglie, era in at-tesa di una decisione giudiziaria, civile o pe-nale. Se non è un problema sociale questo,allora qual è?

Da allora la situazione è solo peggiorata. I tri-bunali penali e civili sono oggi soffocati da11 milioni di processi pendenti, hanno giàprodotto in 10 anni 2 milioni di reati prescrittie continuano a produrre, come una catenadi montaggio impazzita, sempre meno sen-tenze e, al ritmo di quasi 200.000 all'anno,sempre più prescrizioni. Lo chiamiamo Statodi diritto, signor Ministro?Quanto alle carceri, il termine sovraffolla-mento non rende minimamente la propor-zione della catastrofe umanitaria che è in attonegli istituti di pena che molti colleghi di tuttigli schieramenti politici hanno visitato connoi e continuano a visitare, con i detenuti ri-stretti, davvero, 20 ore al giorno, ammuc-chiati l'uno accanto all'altro, in celle sporchee degradate, che diventano frigoriferi d'in-verno e forni d'estate, nella promiscuità piùscriteriata: ci sono detenuti condannati ed inattesa di giudizio, colpevoli in via definitivaed innocenti fino a prova contraria, prossimial fine pena o quelli con il fine pena mai. C'èchi è malato e non si può curare, c'è chi è stra-niero e non viene considerato, chi non ce lafa più e si toglie la vita.Signor Presidente del Consiglio, signor Mini-stro, negli ultimi dieci anni nelle carceri ita-liane si sono suicidati 650 detenuti. A morirein più non sono solo i detenuti: nello stessoperiodo si sono tolti la vita anche 87 agentidi polizia penitenziaria. Veda, tutto questoè possibile solo perché avviene nel silenzio enell'indifferenza del sistema dell'informa-zione e di quello della politica, con l'ecce-zione ancora di Radio Radicale, in attesa disapere se questo Governo deciderà che anchequella voce deve finire di emettere, perchésta a voi decidere, non ad altri.Questo le volevo dire, questo le volevo sot-tolineare, perché creda: tutte le riforme chelei ha anticipato, se non si basano su un re-cupero di credibilità, di Stato di diritto, di le-galità e di istituzioni, non vivranno neppurelo spazio di un mattino.

Intervento di Emma Bonino (Radicali italiani) al Senato della Repubblica - 21 giugno 2011

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successo di nuovo, è suc-cesso anche a Pescara, enon per la prima volta.Nonvogliamo e nonpos-siamo tacere. Del restosono fermamente con-vinto che tutto questo

non lo meritiamo: non appartiene all’umana in-telligenza. Mario era un ragazzo “zingaro” diuna famiglia di giostrai. Veniva da Lanciano, dovela sua famiglia vive, aveva trentacinque anni eun muso da vero indiano, che lo faceva assomi-gliare a un giovane capo apache. In stanza lo ve-devi spesso sulla branda, fisso verso la televisio-ne, amava le serie di tutti i telefilm e i cartoons.Conosceva bene i nomi di tutti i personaggi, inomi degli attori dei grandi film, ma anche quel-li dei più brutti.L’ho trovato in quella stanza, la n°11 del terzopiano della sezione giudiziaria, che era stato dapoco trasferito da Lanciano; convivevamo in quat-tro in un cubicolo appena sufficiente per due per-sone: Farid il marocchino, Frank l’olandese, io diPescara e lui, Mario, lo strano zingaro di Lancia-no. Era stato arrestato nella sua piccola cittadi-na di provincia con l'accusa di spaccio: era un tos-sico. Era riuscito ad avere gli arresti domiciliari,ma ben presto era tornato dentro perché si eraallontanato da casa per andare a comprare le si-garette, per come la raccontava lui.Raccontò che prima di essere trasferito si trova-va bene, poi era stato preso a schiaffi da un bri-gadiere, dopo un diverbio per futili motivi.A San Donato dal primo giorno è stato subito si-stemato in sezione, stava finendo di scalare il me-tadone sotto l’osservazione del Sert. Faceva fa-tica a reagire, e noi abbiamo cercato di aiutarloa superare il primo periodo. Al mattino si alzavae si faceva la doccia, lentamente iniziava a scen-dere al passeggio per fare la classica ora d’aria.Ascoltava musica quasi sempre, con i suoi cd e lesue cuffiette: Laura Pausini, Nino D’angelo, VascoRossi. A volte scendeva dalla branda, si tirava suil pigiama fino alle ascelle e ballava, rideva conun sorriso da pigro, ma un’aria da vero indiano;ci faceva divertire. Nelle apatiche giornate di ga-lera si vive di piccole grandi emozioni, e spesso siride anche per non piangere, si litiga per non ab-bracciarsi forte. Le relazioni rimangono l’unicavera àncora di salvezza, per non morire. Lui leaveva. Passò circa un mese dall’ultimo giorno incui gli diedero il metadone; aveva ripreso colo-re, lo chiamavamo il giostraio, Pocahontas, op-pure il cinese, perché quando rideva gli si strin-

gevano gli occhi. E ultimamente rideva spesso.La sera Ferdi, il marocchino, nel suo pessimo ita-liano chiedeva gridando: "Oh Mario ce la fa?" Iodicevo "Non ce la fa". "Ce la fa, sì ce la fa", ri-spondeva lui. E Mario sorrideva e facendo il versoa Farid rispondeva "Ce la fa, ce la fa".Un mattino l’ispettore di servizio gli comunicòche da Lanciano era arrivato un provvedimentodi isolamento di dieci giorni, ma noi non abbia-mo mai visto le carte. Ci siamo opposti, la rispo-sta che ci è stata data è stata letteralmente que-sta: se lo volete tenere in cella, allora tutta lacella farà l’isolamento. Ma perché? Su quale co-dice è scritto un provvedimento di questo tipo?Che tipo di soluzione è un isolamento in cinque(sì, in cinque perché nel frattempo si era aggiuntoun altro carcerato) in un cubicolo per due? Lui ciha pensato e si è sentito scomodo, ha deciso diuscire dalla cella. E’ stato dieci giorni da solo inun cubicolo della sezione di transito. Nel frat-tempo io avevo cambiato stanza, una cella perquattro dove viviamo in sette, e un po’ si respi-rava.Quando Mario è tornato in sezione aveva il visogonfio e anche le mani lo erano, forse per i far-maci. Aveva tagliato i capelli, lui che ci tenevacosì tanto. Andava al passeggio ma mi sembra-va come impaurito. L’ultima volta che gli ho par-lato era stato gentilissimo; come sempre mi avevasorriso, ma per un attimo il suo sguardo era comerimasto bloccato. Il giorno dopo, un sabato, ap-pena dopo le dieci del mattino, abbiamo saputoche Mario si era impiccato alla grata della fine-stra della sua cella, a due metri di distanza da noie dagli altri.Il silenzio, in una sezione dove vivono settantapersone, è un atteggiamento di profondo ri-spetto, dove il dolore, la rabbia e la vergogna,vengono soffocati dal pudore. Il pudore della sof-ferenza di essere stati ancora una volta testimo-ni, complici e vittime dello stesso delitto. Nellasperanza che tutto questo non sia successo inva-no, mi auguro che sia stato tutto messo agli attie consegnato nelle mani del magistrato di sor-veglianza.Ciao Mario, ti ho voluto bene.

Carlo di Camillo (Pescara)

Dall'inizio del 2011 sono 26 le persone che si sonouccise in carcere; 76 i decessi per altre cause (ag-giornamento al 7 giugno 2011).Dal 2010 i suicidi sono stati 652.

è

Abbiamo lettoMattatoio N°5,romanzodiKurt

Vonnegut dove si parla di Dre-sda distrutta e rasa al suoloalla fine della seconda guer-ra mondiale, degli alieni diTralfamador, di mucchi di ca-daveri e di pastrani. In rete ab-biamo poi trovato una inter-vista rilasciata da KurtVonnegut il 31 gennaio 2003,qualche tempo prima delloscoppio della guerra control’Iraq. A Joel Bleifuss edito-rialista di In These Times chegli chiedeva che cosa fossecambiato in tutte le guerre dicui era stato testimone Von-negut rispose: "[…] Ciò che èradicalmente nuovo in que-sto 2003 è che mia figlia ha

ereditato delle tecnologie icui effetti collaterali, in guer-ra e in pace, stanno rapida-mente distruggendo il piane-ta inteso come ecosistema diaria e acqua necessario alla so-pravvivenza della vita in tuttele sue forme. E la colpa è degliuomini di ieri e di quelli dioggi".E ancora, quando gli vennechiesto se c’era qualcosa chenon era stato detto sulla stam-pa tradizionale circa la politi-ca di Bush e la guerra in Iraq,l'autore di Mattatoio N° 5 disseche "[...] entrambe non hannosenso".

Da allora sono passati 8 anni.E ci sono nuovi fronti e nuoveguerre e tutte anche per noinon hanno alcun senso.

F.L.P.

Le guerre, vere ofantomatiche, sisono sempre di-

mostrate degli affari sporchi,forse si salva solo il mito di CainoeAbele.DunqueeccooggiLibia,Gheddafi, Abissinia... Abissiniasì e Etiopia, quella delle "favo-lose colonie italiane degli annitrenta". Bella propaganda. Ri-cordiamoci dell’antica Roma, enon scordiamoci dell’Italia na-zione colonialista, e del petro-lio, e di Mussolini, e dei metic-ci che sono il tesoro di anticheguerre assurde.E Gheddafi, con un’iniezionedi adrenalina, viene a Roma epianta una tenda a Villa DoriaPamphili. Lui, insieme a Mus-solini, Berlusconi e Little Tony,è stato già dislocato da mada-

me Tussauds nel museo dellecere a Parigi.Pensate, Gheddafi aveva posi-zionato l’accampamento duemesi prima della guerra civileche è scoppiata in Libia. Si po-teva benissimo evitare. Con larivoluzione in Libia cosa è suc-cesso?L’Italia paese amico, anzi inti-mo amico, si è subito schieratodalla parte degli insorti chie-dendo a gran voce che Ghed-dafi venisse destituito anchecon un intervento militare.E così è stato, i nostri aerei bom-bardano la popolazione libica,per assicurarsi la concessionedell’estrazione petrolifera.È morto il re. Viva il nuovo re.

Ciro Improta (Chieti)

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Rivolte eguerrecivili inAfrica, poi l’in-tervento occidentale in Libia al qualeha partecipato anche l’Italia.Bombe,distruzione. edall’Africaèripresalagrande fugaconmorti inmare, clan-destinita’, arresti, espulsioni e sfrutta-mentonelle città e nelle campagne.

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Solo un anno e mezzo fa, era il 1° settembre 2009 , i velivoliitaliani, francesi, portoghesi e serbi sfrecciavano su Tripoliper rendere omaggio a Gheddafi, condividendo i festeg-

giamenti per il quarantesimo anno della rivoluzione libica, che l’avevavista liberarsi dal colonialismo, ufficializzando così un vincolo specialecon un regime con cui abbiamo immaginato di instaurare un matri-monio indissolubile, simboleggiato e rafforzato da fiumi di petrolio,gas e commesse commerciali e accordi bilaterali che avrebbero dovu-to unirci per l’eternità. Niente di più falso!!Oggi i nostri aerei sono di nuovo sui cieli libici, ma per bombardare, perdistruggere le installazioni militari che noi abbiamo costruito e ven-duto, per far fuori il tiranno cattivo che, fino all’altro ieri veniva osan-nato e accolto col baciamano al cui cospetto ci si prostrava pur di ga-rantirsi la sua amicizia. E se prima a bombardare il popolo libico c’eraGheddafi con i suoi MIG, adesso ci siamo noi con i nostri F16, F17, F18 echi più ne ha più ne metta.Secondo me questa non è una guerra per liberare un popolo afflitto emassacrato senza ragione. Qui si è scelto di armare e appoggiare una

fazione anti Gheddafi che con kalashnikov e lanciarazzi in spalla vuolemettere le mani sulle ricchezze del paese e andare al potere per poivendersi al migliore offerente. Tra i pretendenti di sicuro ci sarà in primafila la Francia che ha appoggiato ed armato gli insorti fin dall’inizio ap-profittando dell’ondata di insurrezioni popolari in tutto il sud Africa.Quale momento più propizio per dare seguito ad un piano architetta-to ed organizzato già da anni? Ed ecco che il piccolo Sarkozy prende inmano le redini del carro armato Europa, ed indice il vertice di Parigi peril sostegno del popolo libico, che di fatto non è altro che la fase finaledi un complotto ordito dal presidente francesenel tentativo di riguadagnare popolarità nel suopaese, che lo sta ripetutamente bocciando neisondaggi politici. Per mettere le mani sul petro-lio ed il gas naturale di cui ha tanto bisogno, enon come si è cercato di farci credere per “di-fendere gli interessi petroliferi dell’Europa tutta”.Penso che il nostro intervento non sia stato affatto dettato dalla vo-lontà di aiutare il popolo libico a conquistare la libertà e la democra-zia, bensì dalle ragioni interne di ciascun paese, in specie Inghilterra eStati uniti e Francia, che perseguono ognuno un interesse diverso e tal-volta contrastante.Chi trarrà vantaggio da tutto questo? Certamente non noi cittadinispettatori, facenti parte dei paesi coinvolti in questa sporca guerra, tan-tomeno il già martoriato popolo libico che sarà catapultato da una dit-tatura a un'altra. C’è un aspetto positivo che può scaturire da questointervento? Io continuo a chiedermelo e a non trovare risposta perchéuna guerra, di positivo, porta ben poco.

Diego Ferri (Chieti)

L’Italia ripudia la guerra(art 11 della Costituzione Italiana)

A 30 anni dalla morte

Will Smith in “Io sono leggenda”: Bob Mar-

ley pensava che si potessero curare il razzi-

smo e l’odio tramite delle iniezioni di musi-

ca e amore nella vita delle persone

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ono trascorsi ormai più di cinquant’an-ni dalla liberazione dei colonizzatori deipaesi nordafricani, e nonostante ciòsino ad oggi questi Paesi sono rima-

sti in gran parte sottosviluppati. Se si è riu-sciti ad andare avanti lo dobbiamo solo ai paesi oc-

cidentali, che ci hanno supportato e aiutato riconoscendoil nostro stato di indipendenza. L’aiuto, però, è anda-to anche alle famiglie governative, pagandole profu-matamente, arricchendole a dismisura, facendo inmodo che guardassero agli interessi delle multinazio-nali. Così facendo hanno tralasciato lo sviluppo del ter-ritorio e il naturale sviluppo di una nazione. A poco apoco i cittadini hanno iniziato a emigrare, e nei villag-gi sono rimaste solo donne e vecchi, ancorati alle lorotradizioni e alla loro ignoranza. L’emigrazione è avve-nuta soprattutto nei paesi europei. Gli emigranti hannocosì conosciuto altre religioni e hanno avuto modo diallargare i loro orizzonti, capendo che con un lavorodignitoso potevano vivere, divertirsi e relazionarsi congli altri. Sono tante le famiglie che hanno abbracciatoqueste nuove culture, pur continuando a sognare il pro-prio paese in condizioni migliori.Considerando tutto ciò, si è arrivati alla classica gocciache fa traboccare il vaso e che ha fatto scoppiare la ri-bellione che ha dato il via a tutte le rivolte per rovescia-re i governi dittatoriali. Probabilmente è vero che la som-mossa popolare non è il modo migliore per risolvere iproblemi, ma è estremamente difficile dissuadere unpopolo dopo mezzo secolo di vessazioni e dittature. Neipaesi nordafricani i giovani ricevono una buona istru-zione, ma questo non porta a nessuno sbocco lavora-tivo, perché le leggi esistenti non permettono di farequello a cui i giovani ambiscono.C’è molta rabbia tra i giovani, perché non vedono nelgoverno esistente uno Stato che riesca a garantire i lorodiritti. È per questo motivo che sono costretti a scen-

dere in piazza, per manifestare ilmalcontento che molte volte sfo-cia negli scontri con il regime. Lerivolte degli ultimi mesi sono statefatte per chiedere l’allontana-

mento dei presidenti e per avere le riforme necessarieaffinché si possa costruire un futuro più consono alleesigenze del Paese. Proprio gli studenti sono stati i pro-motori di queste manifestazioni di piazza. Ultimamen-te abbiamo assistito alla delegittimazione del governotunisino, egiziano, libico, e di molti altri paesi dove i gio-vani si stanno muovendo per la democrazia. Il mio au-gurio è che questa situazione si possa risolvere il primapossibile senza altro spargimento di sangue, e che i po-poli abbiano tutti gli stessi diritti.

Dridi Said (Chieti)

PRIMAVERE

ARABE

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La scintilla scocca a Tunisi il 18dicembre

2010quandounvenditore ambulante sidà

fuoco per protestare contro la corru-

zionedella polizia; in un attimo la prote-

sta si propaga in tutto il paese e il presi-

dente a vita BenAlì scappadal paese. Poco

dopo è la volta dell’Algeria, poi del Ma-

rocco, dell’Egitto, del Bahrein, dello

Yemen, della Giordania. Poi tocca a Siria

e Libia.

Caro dolce papà, sono cinqueanni che tu non ci sei più, e che

hai lasciato dentro di me un vuotoincolmabile. Ti scrivo queste poche

righe, tu che sei vicino a Gesù, perparlarti di quello che accade nel

mondo, dello scontro continuo traIstraele e Palestina, e delle nuove guer-

re, dell'atroce delitto di Vittorio Arrigo-ni, delle rivolte nel nord Africa. E devi sa-

pere che ora l'Italia è addirittura entrata inguerra contro la Libia. E ogni giorno ascol-

to il telegiornale, e vedo donne e bambinisoffrire. Vedo i loro occhi colmi di terrore, e

tutto ciò mi tormenta perché la guerra è di-struzione, e non porta niente di buono. Ci sono

tante persone innocenti, civili che lottano giornodopo giorno per sopravvivere. Ormai i morti sonomigliaia, e a volte mi chiedo: perché tanta soffe-renza? Dio mio, Tu che sei Onnipotente, perchénon metti fine a tutto ciò? E intanto dall'altra partedel mondo, in Giappone, uno tsunami tremendoha fatto esplodere una centrale nucleare a Fuku-shima causando ancora morti e distruggendo l'am-biente per centinaia di chilometri. Ti prego papà,tu che sei lassù, ascolta le mie preghiere, fa finiretutto questo.

Salvatore Russo (Vasto)

Preg

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uello che staa c c a d e n d onegli ultimitempi nel-l’Africadelnordè qualcosa distraordinario.

Non si era mai vista una rivolu-zione popolare di questa por-tata. Ciò che rende unica que-sta rivolta è che l’hanno fatta igiovani, usando internet perdiffondere nel mondo quelloche è ormai sotto gli occhi ditutti: la cosiddetta democraziaproclamata dagli stati non èvera democrazia. I politici fannocompravendita di voti e perso-ne per vincere, fino al punto diuccidere chi li ostacola.L’Africa soffre di una diffusa si-tuazione di arretratezza socioeconomica, di corruzione, diconflitti etnici, conflitti religiosi,c’è il problema delle caste, il ne-potismo, l’iniqua distribuzionedelle ricchezze nazionali. Tuttecose che sono causa di instabi-lità politica e di povertà. Tuttifattori negativi che affondanole radici nel passato dello sfrut-tamento coloniale.I governi europei aiutano tuttii presidenti con regimi corrot-ti a nascondere in banche senzascrupolo i soldi rubati al po-polo.E intanto la gente muore difame, e i più disperati sono co-stretti, a rischio della propriavita, a emigrare in Europa o inaltri continenti, alla ricerca diuna vita migliore anche comerifugiati, chiedendo asilo poli-tico. I rifugiatiafricaninonfannocomodo agli europei, ma i soldidella corruzione fanno como-do alle banche.Le malefatte dei ditta-tori vengono ignoratesecondo la regoladelnonsentire e del non vedere.E quando un presidentecorrotto cade in disgra-zia o muore, i soldi nascosti nellebanche in Europa vengono con-fiscati e mai dati indietro allanazione di provenienza. Dopoquattrosecolidi schiavitùumanainiziata dal medioevo, l’Africasi ritrova nella schiavitù eco-

nomica. Il danno e la beffa. Ilcaso recente di Gheddafi e laLibiaèunbuonesempiodi comeun amicone può diventare im-provvisamente un nemico dacacciare o da eliminare; e que-sto dopo avergli confiscato tuttii beni nascosti che fanno co-modo agli stessi cacciatori.L’Africa è sinonimo di povertàe c’è gente ignorante che as-socia il termine terzo mondosolamente all’Africa. Eppure cisono dei bianchi senza scrupo-li che sfruttano la miseria degliafricani per arricchirsi con falseopere di beneficenza, facendoqualche foto e video accom-pagnati da una propagandamirata, accumulando dei con-tributi che forse solo in una per-centuale del 10% arrivano aldestinatario. Come africano miindigna il fatto che ci stiamo of-frendo come schiavi volontariper poter vivere in maniera di-gnitosa al di fuori dell’Africa.L’inferno attende molti di que-sti miei fratelli e sorelle che par-tono con la speranza, per poitrovarsi ad essere sfruttati conil lavoro in nero, e molte voltesi è costretti a delinquere persopravvivere. Ci sono paesi eu-ropei dove gli africani non ven-gono nemmeno accettati, e neparlano come se fossero mo-sche da scacciare dal contestosociale. La mia speranza è cheil mondo diventi più giusto. Eda parte sua l'Occidente do-vrebbeassumere il ruolodibuonmaestro, giudice e arbitro cheguida il cammino di altri esse-ri umani verso uno sviluppo so-stenibile.L’Occidente deve investire sul-

l’Africa, in modotale che il popolonon emigri perterre lontane allaricerca di pace,lontano da guer-re innescate per

motivi economici dallo stessoOccidente. Africa, forse c’è an-cora speranza.

Celestine Odogne (Vasto)

Q LA PAURA

DELLO

STRANIERO

Oggi in Italia siamo oltresessanta milioni di abi-tanti,di cui tremilioni sonostranieri. Io mi chiamo Sal-vatore e sono nato e vis-suto a Torre Annunziata,piccola cittadina alle faldedel Vesuvio. Dalle mieparti, quando si vede unostraniero, si tende semprea discriminarlo, anche per-ché noi al sud abbiamouna mentalità più chiusae gretta e ci facciamo in-fluenzare dai media.Eppure gli stranieri hannoun ruolo importante nellanostra società; innanzi-tutto perché vengono im-piegati in quelle attivitàche gli italiani non vo-gliono più fare come il la-voro nei campi o l’assi-stenza a persone anziane,collaboratori domestici emolti altri ancora.Posti di lavoro considera-ti dagli italiani non ade-guati al loro status-socia-le,perchénell’Italiadioggisi dà più importanza al-l’immagine e si dà menoattenzione a valori comedignità e onestà.Il messaggio che vorrei in-viare, in modo particola-re agli abitanti del sud, èil seguente: non bisognadiscriminare queste per-sone, perché non dob-biamo dimenticare cheanche i nostri nonni dagliinizi del novecento sonoemigrati in tutto ilmondo,trovandosi anche loro indifficoltà perché aveva-no cultura ed usanze com-pletamente diverse, ag-gravate dall’ignoranza edall’analfabetismo.

Salvatore AnielloPalumbo (Chieti)

AFRICA, C’È SPERANZA

Dal 1994, nel Canale diSicilia sono morte alme-no 5.903 persone, lungole rotte che vanno dallaLibia, dalla Tunisia e dal-l'Egitto verso le isole diLampedusa, Pantelleria,Maltae la costa sudorien-taledella Sicilia,maanchedall'Egitto e dalla Turchiaalla Calabria. Più dellametà (4.572) sono di-sperse. Altri 189 giova-ni sono annegati navi-gando dalla città diAnnaba, in Algeria, allaSardegna. E il 2011è l'an-no più brutto. Dall'iniziodell'anno, tra morti e di-spersi, sono scomparsenel Canale di Sicilia al-meno 1.615 persone

(dati al 2 giugno- Fortress Europe)

Ci sono tanti tipi di guer-re: politiche, religiose,terroristiche… ma tuttehanno un solo interesse,quello economico. Tuttele guerre hanno un inte-resse economico, si cer-cano alleati per essere si-curi di vincere e per potersipoi spartire la “torta”.Questo vale per i poten-ti. Per il popolo, invece,restano solo le sofferen-ze, i morti che si conta-no, ancora sofferenze,violenze, disastri, e tantosangue. Nel frattempo, ipotenti fanno i loro inte-ressi. Mi chiedo: ma que-sta gente si è mai do-mandata se il popolo lavuole la guerra? Ogniguerra, comunque va-dano le cose, è sempreuna sconfitta.

Diego Ferri (Chieti)

C’è un libro di parole e foto. E' unlibro lacerante che consiglio achi oggi svende ridicole certez-

ze sulla sicurezza. Il libro è opera di ungiovane che ha raccontato Chernobylvent’anni dopo: l’ha fatto con scatti inbianco e nero, con parole e citazioni.Un libro che invita a dire no, e dove siincrociano la vita e la morte, aule sco-lastiche lasciate intatte, un orsacchiottoa fianco a una maschera antigas, unamadre accanto alla figlia malata, unpiccolo bimbo con pistola giocattolo,i ragazzini del carcere minorile, car-casse di auto. Si chiama “Viaggio altermine della notte”, è edito da Vie dimezzo, e l’autore è Carlo Spera, di Lan-

ciano, che alcuni anni fa ha viaggiatonelle zone contaminate, da Cherno-byl al sud della Bielorussia, guardan-

do, fotografando, parlando con me-dici e infermieri, con genitori di bambinimalati, con i militari.Paesaggi, persone, cose, il luogo delmondo, dove “la donna moriva, lagente moriva di continuo”. Carlo Speraha avuto il coraggio di raccontare. Nes-suna immagine cruenta, nulla a chevedere con le foto di Igor Kostin a ri-dosso della sciagura: nessun puledroa otto zampe, o bimbi con dita palmateattaccate alle spalle. Nessun conigliosenza orecchie come quello nato pochigiorni fa nelle campagne vicine a Fu-

kushima. In “Viaggio al termine dellanotte” incontri l’indifferenza… E seinella città fantasma di Pripjat’, tra il

popolo degli uomini sciacallo, nellanecropoli del futuro, oltre la zona diesclusione, con Alexandr, Vera e il mi-litare che l'accompagna tra i resti dellacentrale. “Il viaggio di Carlo Spera –dice Remo Rapino, altro scrittore lan-cianese – è molto di più di un solo mo-mento. È metafora col rischio del nau-fragio o al contrario con la speranzadella salvezza. E la fine del viaggio èanche il suo inizio”.

Francesco Lo Piccolo

Viaggio al termine del la notte

P erché l’antica civiltà dei Maya ha scritto il suo ca-lendario soltanto fino al 2012? Perché non èandata oltre? Avranno avuto delle visio-ni, o è stato semplicemente un caso?

Che cosa succederà tra meno di due anni?Saremo colpiti da un grande terre-moto? Da un altro diluvio univer-sale? Dalla terza guerra mon-diale? Oppure la terraentrerà in rotta di col-

lisione con un gi-gantesco asteroide?

Ipotesi o paure a parte,quello che accade giorno dopo

giorno già ci fa capire dove stiamoandando; basta la cronaca: madri che

uccidono i figli, figli che uccidono i geni-tori, insospettabili che di colpo decidono di di-

ventare Dio e di avere diritto di vita e di morte suglialtri, etnie e popoli che si odiano a vicenda. In ogni parte

del mondo intere popolazioni vivono sotto continua mi-naccia di guerra, e basta una piccola scintilla per farne scop-

piare una nuova. Nell'intero pianeta il 20% dellapopolazione possiede il 78% della ricchezzaprodotta a livello mondiale, mentre l’ 80%

dell’umanità viene sfruttata, vivendo a malape-na, con molto meno di quello che la Germania paga

a un allevatore come sussidio giornaliero per una mucca.Come se non bastasse, ci si mette anche la natura a darciuna mano nel nostro processo di autodistruzione. Allu-vioni, inondazioni, incendi, terremoti, ghiacciai che si sciol-gono, aria e acqua sempre più inquinate. Tutto questo nonè che il risultato delle azioni dannose che l’umanità inflig-ge al pianeta che ci ha dato la vita. Cosa rimarrà del nostromondo se non decidiamo di riflettere sulle nostre azioni,se non cambiamo il nostro modo di vivere? Anche se i Mayasi sono sbagliati, e l’umanità oltrepasserà il 2012, io mi chie-do: per quanto tempo ancora il pianeta potrà sopravvive-re? Non saranno le cause esterne o straordinarie a di-struggerci, ma le conseguenze dei nostri vizi; se i nostri figlie nipoti non avranno a disposizione un mondo in cui vive-re e crescere serenamente potranno incolpare soltanto noi,i loro genitori!

Stan Sorin

PIANETA

ALLA DERIVA

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Fotografia di Carlo Spera

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ucleare si, nucleare no, l’Italia dei Guel-fi e dei Ghibellini è scesa di nuovo incampo. Messe da parte la re-torica sull’Unitàd’Italia,le pole-michesulle ri-

forme costituzionali equant’altro ci ha fin qui pro-pinato il quotidiano talk show inva-so da tuttologi buoni per tutte le oc-casioni, si è messa a parlare di politicaenergetica e di nucleare.Gli incidenti di Cernobyl e Tree MilesIsland sono gli argomenti principaliche gli avversari del nucleare hannoportato e porteranno a sostegno delleproprie tesi, rafforzate dalle imma-gini shock di Fukushima, che con ladiffusione dei dati delle radiazioni,senza però precisi parametri di riferi-mento, hanno alimentato ancora dipiù le ancestrali paure che ogni esse-re libero prova davanti alla prospet-tiva di un nuovo che potrebbe entra-re a fare parte del quotidiano,sconvolgendone la vita.Ogni epoca ha le proprie Colonna d’Er-cole, ma non si può non consideraregli interessi economici che smuovonoa volte i vari comitati no tav, no nu-cleare, no elettrodotti, no piattafor-me per l’estrazione del petrolio. E cosìla serie di no fa perdere di vista alcu-ni dati incontrovertibili, quali l’in-quinamento causato dall’uso del car-bone e dei prodotti petroliferi, condisastri ambientali dovuti all’estra-zione e al relativo trasporto, e che cau-sano la perdita di molte vite umane.Il costo sempre più alto del petrolio e l’importanza del-l’approvvigionamento, le aree geografiche politicamenteinstabili che contribuiscono ad aumentare la specula-zione finanziaria, cosa che ogni famiglia può constatareandando al distributore di benzina o leggendo la bol-letta.Gli argomenti dei pro nucleare sono invece: gli erroriumani che hanno causato il disastro di Cernobyil, l’inci-dente di Tree Miles Island, imprevedibile perché causa-to da calamità naturali come il terremoto e lo tsunami di

Fukushima, la presenza dicentrali nucleari a pochi chilometri dai

nostri confini, la quantità di energia elettrica che importiamo con un costo maggiorato del 30% e che gravasulle famiglie e sulle imprese italiane che ogni giorno de-vono affrontare concorrenti che del rispetto dell’am-

biente se ne fregano altamente, senzadimenticare che il battito d’ali di unafarfalla può generare un uragano amigliaia di chilometri di distanza. Mala storia dovrebbe insegnarci qual-cosa.Sull’onda dell’emozione del disastrodi Cernobyl, attraverso un referen-dum, l’Italia optò per l’uscita dal nu-cleare con il totale blocco del setto-re, determinando di fatto la fine diaziende che per capacità di ricercaerano all’avanguardia, con conse-guente perdita di occupazione e mi-liardi di lire per la costruzione getta-ti al vento. A questo punto sarebbeopportuno fermarsi a riflettere e dareprecise informazioni a chi l’energiala usa, basta sapere quale è quella chefa meno male, e che è in grado di sod-disfare l’attuale fabbisogno. Sarà quin-di utile avere risposte concrete, per-ché se il fabbisogno di energiacontinuerà a crescere in maniera espo-nenziale, da qualche parte bisogne-rà andare a parare.Il nucleare potrebbe contribuire alfabbisogno di energia? O può il fo-tovoltaico? O saranno ristrutturati gliimpianti idroelettrici? Queste po-trebbero essere le strade percorribi-

li, ma non bisogna farsi troppe illusioni, perché la mag-giore fonte rimarrà sempre il petrolio, anche a causa deigrossi interessi che ruotano intorno alle concessioni. Undiscorso a parte merita l’eolico. Dopo aver deturpato ilpaesaggio e portato pochissimi risultati, è consideratoancora come una possibile fonte di energia. Chi paghe-rà i costi per la rimozione e la rottamazione di questetorri giganti? Il nostro territorio è unico, il nostro petro-lio si chiama cultura, storia, opere d’arte, e paesaggi in-cantevoli. Purtroppo questa ricchezza non è quotata inborsa.

Domenico Silvagni (Vasto)

IL DISASTRO IN GIAPPONE

Il Giappone è naturalmente predisposto afenomeni sismici devastanti. Non a caso imaggiori esperti in materia controllanocontinuamente quel territorio. Purtroppoperò, la prevenzione non ha permesso dievitare la catastrofe che si è verificata e cheha provocato la morte di migliaia di per-sone vittime di uno tsunami di proporzio-ni grandissime che ha spazzato via interecittà. Il Giappone è la nazione che usa l’ener-gia nucleare, e che per questo motivo è co-stellata di numerose centrali. Con il sismaavvenuto si è avuta la lesione di sei di que-ste centrali, con relativa fuoriuscita di ma-teriale radioattivo che si è versato in mare,causando l’evacuazione immediata nel rag-gio di venti chilometri.Gli effetti disastrosi si ve-dranno sicuramente tratre o quattro mesi. IlPrimo Ministro ha dettoche i danni provocati daquesto sisma sono maggiori di quelli subi-ti dal suo paese durante i bombardamen-ti della seconda guerra mondiale.

Ciro Improta (Chieti)

CONTROCORRENTE

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o scorso mese si sono svolte le ele-zioni amministrative per il rin-novo delle giunte comunali, perla proclamazione di nuovi sin-daci in diverse città d’Italia, trale quali spiccano per importan-

za politica Milano, Torino, Bologna e Napoli.Al di là dei risultati questo fatto fa ben capire comeè cambiata la concezione stessa del voto e del le-game ormai sempre più sottile tra una gran fettadella cittadinanza e la politica. O meglio tra il cit-tadino e chi dovrebbe rappresentarlo, quindi ilpolitico. Penso sia sotto gli occhi di tutti la diffe-

renza di motivazioni che spin-gevano i nostri genitori ad an-dare a votare, spesso confervore, rispetto alla noncu-ranza con cui oggi ci si reca alleurne. È ben evidente l'attualedisinteresse generale. E questocredo che sia dovuto princi-palmente alla lenta decaden-za degli ideali che per annihannoanimato lemasse in tuttoil paese, e al qualunquismo stri-sciante che, uniformando ilpen-siero a livelli sempre più bassi,ha generato una sterilità di ideesociali allontanando proprio legrandi masse dal mondo dellapolitica. In tal senso è stata in-teressante una recente discus-sione di redazione in cui si è af-fermato che fino a qualchedecennio fa si era maggior-mente convinti che il propriovoto potesse davvero fare ladifferenza. Questo perché lapolitica allora era ancora ani-mata da idee e ideali, per cuicon la propria preferenza adunpartitopiuttostocheunaltrosi credeva ancora di poter cam-biare la società. Certo eranotempi in cui il mondo era divi-so in blocchi, e lo scontro ideo-logico si era tramutato in scon-tro fisico nelle nostre piazze,fino a sfociare nella pagina nerae ancora piena di dubbi irrisoltidegli anni di piombo. Al di làdelle idee politiche di ognuno,non credo che oggi si voglia tor-nare indietro, ma c’è comun-que da dire che proprio questadivisione netta tra chi era al diqua o al di là del “muro”, por-tava ad una partecipazione ea un coinvolgimento senza dub-bio più entusiastico rispetto adora che c’è il piattume degli

ideali.Ci si avvicina ad ogni appuntamento elettoralesempre più svogliati e sfiduciati nei confronti diun diritto-dovere che dovrebbe essere alla basedi ogni società civile. Diritto-dovere che alla finenon è nient’ altro che la possibilità di poter sce-gliere quale può essere il modo migliore per tuttidi portare avanti la società. Ad oggi però, che quel-la divisione netta del passato, almeno a livello po-litico e parlamentare, non genera più i conflitti diuna volta, si ha l’impressione che ovunque vada ilproprio voto, non porti ad un reale cambiamen-to, ma incrementi soltanto le pance già satolle diquesto o quel politico di turno, staccato del tuttodalla realtà del cittadino comune e intento a per-seguire chissà quali interessi, accapigliandosi so-lamente per un posto al sole in sfregio di ogni idea-le.Dalla nascita della nostra repubblica i nostri nonniche andavano a votare erano davvero fieri di farlo,chi dalla parte delle democrazie occidentali chidalla parte dei regimi comunisti. E poi c'era l’ideo-logia di destra, che nonostante la caduta del fa-scismo, ancora continuava, seppur in qualche modosommersa, ad animare anch’essa tanti giovani enon. Insomma, c’erano ovunque degli ideali. Nelcorso degli anni, con le rivolte giovanili e con l’ac-centuarsi di queste contrapposizioni, tutto que-sto è sfociato in quegli anni di piombo già citati,ma erano anni in cui si credeva ancora ad una ideo-logia. Poi, chiusa quella pagina della nostra sto-ria, siamo arrivati agli anni ottanta e alla cadutadel blocco comunista, e anche la politica del no-stro paese ha preso connotati diversi, fino a tra-sformare i contorni dei vari partiti. E proprio il tra-sformismohaportatoadunaccentramentogeneraledelle più rilevanti forze politiche, sfiduciando quin-di il cittadino che non nota più le differenze tra levarie fazioni. Ormai si va avanti con la logica delmeno peggio.Il mio non vuole essere un elogio delle suddetteideologie e non mira certo ad auspicare un ritor-no al conflitto, ma è proprio la mancanza di iden-tità dei moderni partiti ad aver generato tutto ildisinteresse attuale, che sfocia nella logica delvoto alla meno peggio. Credo che l’unico modoper riprendere confidenza con il mondo politicoin generale sia quello di ricominciare dal basso in-formandosi e seguendo in prima persona, perquanto possibile, quelli che sono i programmi ele intenzioni dei vari possibili rappresentanti. Soloin seguito potremo ricominciare a guardare confiducia ai grandi partiti e ai grandi politici. Solodopo esserci riavvicinati all’attività politica sare-mo in grado di ridare una parvenza di legame tan-gibile tra il comune cittadino e il suo rappresen-tante. Idee, ideali, impegno e informazione, eccoquello di cui abbiamo bisogno per ridare valore aquel diritto-dovere che è il voto.

Aureliano Scialabba (Vasto)VO

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ei vari temi affrontati in re-dazione, quello che mag-giormente mi ha colpitoè stato quello relativo al-l’astensionismo eletto-rale spesso inteso come

critica della democrazia rappresentativae segno di disaffezione nei confronti delsistema politico o sfiducia nelle possibili-tà del voto.Tra gli ultimi decenni dell'Ottocento e iprimi del Novecento l'astensionismo di-venne parte integrante dei progetti po-litici di due movimenti rivoluzionari, l'anar-chismoe il sindacalismo, cheseneservironosia come strumento di analisi critica neiconfronti degli sviluppi del concetto dirappresentanza e della democrazia dimassa, sia come strumento per stimolarel'azione diretta del proletariato. Già Wil-liam Godwin, il primo esponente del-l'anarchismo filosofico, aveva rilevato idifetti congeniti della democrazia rap-presentativa, fondata su un meccanismoistituzionale che da un lato snaturava lafunzione della delega e dall'altro porta-va inesorabilmente al predominio dellemaggioranze sulle minoranze, conclu-dendo che il voto era un mezzo ingan-nevole e illusorio per ottenere la libertà.Michail Bakunin, leader degli anarchicidopo la loro espulsione dalla Prima In-ternazionale, contrappose quindi allalotta per il suffragio universale un pro-getto di insurrezione generale dei lavo-ratori dell'industria e dei contadini. In se-guito i teorici del sindacalismorivoluzionario – tra cui Georges Sorel –sostennero la necessità di concentraretutte le forze del proletariato industria-le sullo sciopero generale. Oggi l'asten-sione è in crescita in quasi tutti i paesi oc-cidentali, soprattutto nella forma didisaffezione o sfiducia verso il sistema po-litico. Talvolta (ad esempio in occasionedi alcuni referendum) è stata incoraggiatada esponenti politici che intendevano in-validare la consultazione elettorale stes-sa, facendo mancare il quorum necessa-rio. Ciò nonostante la rappresentanzapolitica è concetto fondamentale dellastoria della politica moderna.La rappresentanza è quindi un principiodi organizzazione del potere in virtù delquale i cittadini scelgono mediante ele-zioni una serie di rappresentanti a cuiviene concessa la facoltà di deliberare sullequestioni d'interesse comune in nome

della volontà politica dei cittadini stessi.Su questa teoria si sono fondati tutti i re-gimi democratici moderni, che nel corsodel loro sviluppo hanno progressivamenteaumentato la sfera dei poteri apparte-nenti (per delega) ai rappresentanti a sca-

pito di quelli detenuti dal potere esecu-tivo. Dueragionihanno guidato lo sviluppodei moderni sistemi politici in questa di-rezione: da un lato l'ampliamento dellecomunità politiche sino alle dimensionidegli attuali stati – composti da decine dimilioni di cittadini – ha implicato la ne-cessità del ricorso a rappresentanti, ren-dendo pressoché impossibile ogni siste-ma di democrazia diretta; dall'altro laforte specializzazione delle attività poli-tiche ha determinato la costituzione diuna classe di persone adibite a svolgereunicamente questo compito. Quasi uni-versalmente il principio della rappresen-tanza politica si è concretamente realiz-zato attraverso la creazione di un organoistituzionale elettivo– il Parlamento – al-l'interno del quale irappresentanti ven-gono chiamati a svol-gere la propria fun-zione, che, di volta involta, può essere legislativa, di rappre-sentanza, d'indirizzo politico e infine dicontrollo. Storicamente si sono instaura-ti tre differenti tipi di relazione fra i cit-tadini (rappresentati) e i politici (rappre-sentanti), che corrispondono ad altrettantiesempi di rappresentanza politica. Nelprimo caso, il rappresentante possiede unmandato imperativo e non può legitti-mamente scostarsi dalla delega ricevuta.Nel secondo caso, i rappresentanti deb-bono rispecchiare fedelmente gli elementicaratterizzanti la realtà sociale dei rap-presentati che possono essere economi-ci, religiosi, ideologici o professionali. In-fine, nel terzo caso esiste un rapportofiduciario fra rappresentati e rappresen-tanti, dove questi ultimi possono pren-dere decisioni autonome, non vincolatealla volontà dei rappresentati. Molti degliattuali regimi presidenziali e parlamen-tari si fondano su quest'ultimo tipo di rap-presentanza politica, che prevede ap-punto l'affidamento di un mandatofiduciario ai rappresentanti eletti nel corsodi elezioni parlamentari.

Nicola Bruzzone (Vasto)

Un po’ di storia

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ULTIMORA

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uperato il 17 marzo,unica festività isti-tuitaunatantumchenon diventerà defi-nitiva e archiviate lepolemiche lavoro sì– lavoro no, digeritii vari cerimoniali con

l’immancabile retorica falsa e fal-sificatrice su ciò che è stato il Ri-sorgimento, sarebbe ora di dareuna diversa chiave di lettura suipersonaggi, i protagonisti e glieventi che fra mistificazioni, ve-rità nascoste, miseria, conflitti diinteressi e interessi conflittuali,hanno determinato l’Unità d’Ita-lia.A cavallo della prima Guerra d’In-dipendenza in ogni parte d’Ita-lia, ma soprattutto al Centro-Nord, ci furonomotie insurrezionipiù o meno spontanee e sicura-mente velleitarie in gran parteispirate da Mazzini che, se aves-se continuato a strimpellare lachitarra, avrebbe evitato di or-ganizzare spedizioni che im-mancabilmente finivano con i li-beratori trucidati da coloro cheavrebbero dovuto essere libera-ti. Il tutto mentre i teatri risuo-navano delle note del Nabuccoe dei Lombardi della prima Cro-ciata che scaldavano i cuori e ac-cendevano gli animi dei patrio-ti che inneggiavano a Verdi nonsolo per la sua musica ma so-prattutto per il suo cognome che“suonava” come: Vittorio Ema-nuele Re D’Italia, che nel frat-tempo preparava il Piemonte allavendetta contro l’Austria per labatosta del 1848. Deus ex ma-china fu Cavour, il grande tessi-tore che con l’aiuto di Costanti-no Nigra, astutissimo e finissimodiplomatico, riuscì a irretire Na-poleone III e farne il prezioso edindispensabile alleato per scac-ciare l’Austria dalle regioni dellaPadania. In tempi di bunga bunganon bisogna dimenticare il “sa-crificio” della poco più che ven-tenne Virginia Oldoini, contessadi Castiglione, che con le sue gra-zie ma soprattutto il suo fondo-schiena – il più bello del Risorgi-mento – fece impazzireNapoleone III, già oltre i cin-quant’anni, che subito capitolò.Ma non doveva essere poi cosìdisonorevole arrendersi davan-ti a tanto sex/appeal se il ContePoniatowski scrisse della con-turbante Virginia: “… vorrei ba-

ciarti dalla testa ai piedi con unalunga, lunghissima sosta al cen-tro …”Comunque, fra bagni ter-mali e altre piacevolezze propriedi Plombieres l’accordo fu fatto:la Savoia e Nizza alla Francia men-tre l’Italia, scacciati gli austriaci,sarebbestatadivisa in tre: ilRegnodell’Alta Italia (la Padania), dipertinenza di casa Savoia, men-tre il Papa avrebbe conservatoRoma ed i suoi immediati din-torni per dargli la possibilità dipassare parte dell’estate nellafrescura di Castel Gandolfo o, pervariare le vacanze, qualche sog-giorno a Castel Porziano per re-spirare aria di mare. Il resto delloSato Pontificio, la Toscana, i variGran Ducati e Ducati avrebberoformato il Regno d’Italia Cen-trale ed il Regno di Napoli nonsarebbe stato toccato. I quattroRegni, ispirandosi al modello ger-manico, avrebbero formato unaconfederazione la cui presiden-za sarebbe andata al Papa qualerisarcimento per i territori scip-pati: una sorta di concordato antelitteram in un contesto federali-stico che, gestito dai Savoia (quel-li di allora …), su modello teuto-nico, sarebbe stato una cosa seria.Il resto è storia ufficiale: la se-conda Guerra d’Indipendenzainiziò sotto i migliori auspici mai 30.000 morti di Solferino e SanMartino sconvolsero i due impe-ratori che erano alla testa dei ri-spettivi eserciti e firmarono l’ar-mistizio che segnò la fine dellaguerra con la Lombardia inglo-bata nel Regno dei Savoia.Il sogno si era infranto? Sembravadi sì, ma … nel 1860 tutto ebbeinizio in una tiepida serata di pri-mavera a Taormina dove Peppi-no Garibaldi, reduce dalle scor-ribande “garibaldine” effettuatel’anno precedente fra Como, Va-rese, Bergamo e Brescia per crea-re qualche problema all’eserci-to austriaco, per rinfrancarsi dalfreddo delle Alpi si era spostatoin Sicilia per fare i bagni. “ … Era-vamo 68, massimo 69 - ha rac-contato l’ultimo dei reduci - ePeppino una sera propose di an-dare tutti, l’indomani, a man-giare i cannoli freschi a Marsa-la …”.Fra gli storici non ufficiali masicuramente meglio informa-ti è ancora in essere una dia-triba e si chiedono se quelladei cannoli freschi di Marsa-

la non abbia rappresentato unascusa in quanto tutti, o quasi,erano informati sui beneficiderivanti dallo zabaione conil marsala soprattutto perchi, sciupa femmine comeGaribaldi, di ricostituen-ti e “sferzate di energia”,ne aveva bisogno.Arrivati a Marsala chit’incontrano? NinoBixio, Ippolito Nievo equalche altro centina-io di reduci del ’59: gliimmancabili intellet-tuali, sfaccendati, figlidi buona famiglia che,delusi dall’esito dellaGuerra dell’anno prece-dente, dalle parti di Ge-nova avevano rubato al-l’armatore Rubattino duenavi e, partiti alla ricercadi qualche terra da libera-re da qualcuno fecero scaloa Marsala anche loro attrattidalla fama dello zabaio-ne…E qui subentra di nuovola storia ufficiale: Calatafi-mi, Palermo, Milazzo rap-presentarono una cavalcatatravolgente inframmezzatadalla sempre presente reto-rica tipo: “Qui si fa l’Italia osi muore …”, tal Principe cheripeteva ad ogni occasione:“Cambiare tutto perchénulla cambi …”, frati chefuggivano dai conventi esiabbandonavanoadognisorta di intemperanzacontro la Chiesa ed ilPapa, rivolte contadi-ne represse dura-mente da NinoBixio, IppolitoNievo, nomina-to tesoriere ec o n t a b i l edell’Arma-ta, impe-gnatoa di-

fendere lacassa e il tutto

sotto il coman-do di Garibaldipiù impegnato adifendersi dallepremurose atten-zioni di principes-se e baronesse piùche a prepararepiani di battagliadei quali non se nesentiva la necessitàvisto che l’esercitoBorbonico si era dis-solto manco fosseFuturo e Libertà.Poi l’arrivo in conti-nente e una serie dimoti che infiam-marono Calabria,Basilicata e Pugliafurono il preludiodell’incontro aTeano fra Peppi-no e VittorioEmanuele II conil successivo ar-rivo a Napoli, il7 novembre1861. E fu unagiornata pio-vosa “O’ paesdo sole” ac-colse il primoRe d’Italia el’Eroe dei DueMondi tra dueali di folla fe-

stante tenuta abada dai capi ca-

morristi che il Pre-fetto aveva prov-

veduto a nominareCommissari di Poli-

zia.E fu l’Italia. Massimo

D’Azelio sentenziò: “Fatta l’Italia, ora bisogna

fare gli italiani”; ma Vitto-rio Emanuele II, con la sua

propensione alle giovani po-polane stava provvedendo giàda tempo a far futuri italiani dis-seminando l’intero Piemonte difigli illegittimi. Garibaldi si riti-rò nella sua Caprera a prepara-re nuove imprese ricevendo con-tinue visite da signore provenientida ogni angolo d’Europa e nonsolo e fu l’inizio del turismo ses-suale. Per il resto fu, continuò adessere ed è bunga bungaDomenico Silvagni (Vasto)

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iviamo in un’epoca in cui è completamente scomparsa dal no-stro linguaggio sia profano che religioso la parola “empio”.

Non so qual è il motivo di questa scomparsa. Sarebbe interessan-te fare una ricerca storica su questo fatto. Eppure, se vogliamo ca-pire fino in fondo quanto sta succedendo nell’epoca moderna da

un punto di vista religioso, dobbiamo riappropriarci del messaggiodella Bibbia circa l’empietà del mondo. Per definire la civiltà moderna

industrializzata, consumistica, capitalistica, comunista, laica, il pensieroreligioso moderno ricorre a queste parole: “civiltà atea”, “materialista”,

”secolarizzata”. La Bibbia userebbe una sola parola, molto più ricca e po-tente, ben più tragica e drammatica: la chiamerebbe civiltà ”empia!” Voglio

soltanto far notare come l’ empio è colui che sostituisce al riconoscimento, al-l’adorazione e all’obbedienza al vero Dio, Creatore di tutto e di tutti, un idolo,

cioè una realtà ben piccola e meschina a confronto di Dio, ma che viene creduta,amata e servita come l’assoluto. Empietà e idolatria s’identificano. L’empio è un ido-latra, un cultore di idoli. La civiltà moderna è abbondantemente volta al culto degli

idoli. Da qui i conflitti e le tensioni tra Chiesa e mondo contemporaneo. Mai come inquesti ultimi secoli il mondo si è trasformato in una fabbrica gigantesca di idoli, che,

pur facendosi molte volte guerra tra di loro, come nel caso del capitalismo consumisti-co e del comunismo marxista, concorrono tutti a trascinare gli uomini in una vita paga-

na senza Dio e prossima alla distruzione. Ben vengano, or dunque, anche le celebra-zioni per il 150° dell’unità d’Italia. Potranno, servire a farla un po’ più unita.

Radu Roman (Vasto)

giovani sono il futuro. Lodicono spesso un po' tutti.E recentemente anche ilpresidente Napolitano. Maguardando ipoliticidioggi,sono convinto che siano iprimi a non credere a quel-

lo che dicono. E mi domando: ma aquali giovani si riferiscono? Ai figlidi giudici che saranno a loro voltagiudici? E a loro dico: ma i figli deidetenuti che faranno? Quando ungiovane detenuto ascolta questi di-scorsi cosa deve pensare? Che è e re-sterà escluso o che ne farà parteanche lui. Anche chi non ha studia-to come me? Intanto oggi vengo aconoscenza di nuove cose al riguar-do dei 150 anni dell’unità d’Italia, edei simboli che ci rappresentano. Isimboli della repubblica italiana sonotre: la bandiera tricolore, l’inno na-zionale, e l'emblema. La bandieratricolore venne adottata per la primavolta dalla repubblica cispadana, du-rante il periodo napoleonico (1805)e poi divenne simbolo dei patriotiitaliani durante il risorgimento. L’in-no nazionale fu scritto nel 1847 daun patriota, Goffredo Mameli.L'emblema infine fu realizzatoda Paolo Paschetto e fu appro-vato dall’assemblea costituen-te il 1948: si compone di unastella (simbolo guida dellanazione), della ruota den-tata che simboleggia illavoro, ed i serti latera-li che sono formati daun ramo di ulivo chesimboleggia lapace,e da un ramo diquercia che sim-boleggia la forza.

Pasquale Paga-no (Chieti)

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iamo arrivati al 150° anniversario dell’unità d’Italia, e la sto-ria ci racconta tante cose, le guerre, il risorgimento e tutto

ciò che nel passato ha fatto la storia positiva e negativa del-l’Italia, tante persone con ideali, tanti morti ecc. Non voglio

ora parlarvi del passato, ma dell'oggi, della realtà di questanostra penisola, che ancora è afflitta da tante ingiustizie, lamafia, bimbi che per un semplice raffreddore muoiono in ospe-dali. Non parliamo poi della politica che fa scandalo, gli immi-grati che per la maggior parte sono clandestini e commettonoreati per vivere. Tutto questo dà un'immagine dell’Italia nelmondo come un paese incapace di governare e di far rispetta-re le leggi. La nostra penisola invidiata da tutto il mondo per isuoi paesaggi per il suo mare, per i suoi monumenti e opered’arte, oggi viene ricordata solo per la munnezza, per le incu-rie dei siti archeologici, e per la corruzione. Comunque anchese sono molto preoccupato per l’andamento intrapreso dallanostra politica, sono sempre orgoglioso di essere italiano, e rin-grazierò sempre i nostri antenati che hanno combattuto per-dendo la vita per costruire una nazione bella come l’Italia.

Francesco Tanzi

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enendo da un ex paese comunista dove ai tempi delregime non avevi la libertà di scegliere, ho imparatoche poter votare è molto importante. La democrazia

ha alla sua base il voto che è segreto e personale. Cisono tante cose che non dipendono dalla nostra vo-

lontà per poterle cambiare, ma quando abbiamol’opportunità di scegliere, è una cosa molto bella. Bisogna

anche soffermarsi sul voto come dovere da compiere daparte di tutti i cittadini. L’espressione del voto in democra-

zia è essenziale alla vita del paese. Ci sono molte personeche non votano perché non trovano un politico che rappre-

senti le loro idee, o molto semplicemente pensano che illoro voto non possa cambiare niente, invece si sbagliano,

perché anche un solo voto può cambiare tutto.Daniel Raducan (Vasto)

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Tuttoèbello,ancheilmale,anchel’uomo,ancheinmequellochemiaddolora(UmbertoSaba)

Nel carcere di Avezzano, una scrivania duesedie, io e te seduti uno di fronte all’altra, tuguarita dal cancro e io pure; tu maestra di in-glese io detenuto. Siamo qui a raccontarci lanostra brutta esperienza con la malattia, tusorridi dicendo che siamo fortunati ad esse-re guariti, io accenno un sorriso dicendo checi è stato fatto un dispetto lasciandoci in que-sto mondo; tu cerchi di spiegarmi la tua espe-rienza cercando di farmi capire che ci è statadata una seconda possibilità, io ascolto manon condivido, per me era preferibile anda-re via. Tu hai lottato per rimanere viva, io sonomorto restando in vita. E cerco adesso conqueste poche righe di analizzare la cosa, ten-tando di capire dove abita questo tuo Dio chedecide se farti rimanere o no. Ho provatomolte volte durante la malattia a parlarci,anche se i miei motivi erano diversi dai tuoi.Tu pregavi, io imprecavo, il tuo desiderio eradi vita e amore, il mio di odio e morte. Ho lettoda qualche parte che Eros e Thanatos sonofratello e sorella, e che camminano insieme,non ricordo bene, fatto sta che ora scrivendoc’è una domanda che mi distrugge il cervel-lo: chi di noi due ha ragione, chi di noi due hacapito, chi di noi due ha trovato la soluzio-ne? A questo rebus non ho risposta, ma nelcuore spero che sia tu dalla parte del giusto.Intanto continuo a stare qua, e a farmi do-mande che non trovano una risposta, che ac-cendono altre mille domande. Chissà, forseè proprio di questo che non dovremmo pre-occuparci, non ci è consentito sapere, forseun giorno qualcuno ci spiegherà, o forse no.

Giuseppe Festinese

ECCOCI QUA

In tanti vorrebbero uscire dal carcere,ma non tutti hanno questa possibilità.Solo quelli un po’ piu fortunati. Sì, per-che grazie alla legge dell' ultimo annosono tornato a casa, vicino ai miei cari.È vero che non sarà facile stare chiusoin casa per tutto il prossimo anno, manon sono ipocrita da dire che è tantoduro come il carcere. Avrò mia moglievicina, potrò sentire mia madre tutte levoltecheneavròvoglia,potròfaretantecose che in carcere non ho avuto la pos-sibilitá di fare o di avere. Spero di non

deludere chimi ha dato tanta fiducia e ha creduto inme e nella mia voglia di cambiare. Nonso cosa mi riserverà il futuro, so soltan-to che non ho piu voglia di tornare incarcere.Làdentroholasciatodei ragazzichemeriterebberopure loro lamiastes-sa opportunitá, e spero con tutto il miocuore che possano averla . Tutti abbia-mo diritto ad una seconda possibilitá, echi ha voglia di cambiare, cambia , chino continuerà ad entrare e uscire per ilresto della vita . Dobbiamo essere re-sponsabili e assumerci le nostre colpe:

è ora di crescere e di essere adulti, nonpensare soloanoi,maancheallenostrefamiglie e a quanto manchiamo loroquando siamo dentro. Lo so, diciamoche i reati li abbiamo commessi ancheper far stare bene loro, ed è cosi in prin-cipio finchè veniamo beccati. E poi?Quando veniamo rinchiusi? Chi li aiutaad andare avanti? Lo so che la vita è ba-starda, ma non deve essere rosea perforzaperesseregoduta,abbiamoleno-stre famiglie, i nostri figli e loro hannobisogno di noi. Cambiamo per loro.

Stan Sorin

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IO CE L’HO FATTA!

La vita è dura, vivere in carcere è tosto.Per qualcuno è per poco tempo, per altriil periodo è abbastanza lungo. Ci la-mentiamo sempre di tutto quello chenon va bene in galera, dicendo “oh,non ho questo, non ho quello, non hodiritti, ci sono un sacco di limitazioni…”.Anche se qualcosa si potrebbe ottene-re, con un giusto atteggiamento, le la-mentele spesso possono condurci a sca-tenare la nostra ira verso gli altricompagni detenuti o verso gli assistentiche stanno facendo semplicemente illoro lavoro. Fatemi dire la mia verità. Èmeglio non confondere la galera conun albergo a cinque stelle, dove gli as-

sistenti sono a tua disposizione comecamerieri. Stiamo dentro per essere pu-niti.Questa è la prigione. Ricordatevi chesiamo considerati tutti criminali che nonmeritano alcuna pietà. Del resto tra noidetenuti c’è anche chi ha ammazzato,chi rubato, rapinato, rapito. E qualcu-no ha spacciato, qualcuno ha spezzatodei cuori, qualcuno ha ripulito degli ap-partamenti. Non si può certo preten-dere la simpatia delle vittime, né la manoleggera del sistema giudiziario. Per lagravità di certi crimini ci meritiamo dimarcire in galera. C’è chi mi ha raccon-tato la sua storia: sono rimasto talmente

sbalordito e toccato da chiedermi se glisarà mai possibile il recupero. Ma io soche è possibile, e prego la misericordiadivina per loro. Il dolore è troppo duroda sopportare, ma la colpa rimane pursempre la nostra. Dobbiamo pagare peri crimini e gli sbagli che abbiamo com-messo. Quando guardo su, verso il cieloazzurro, e vedo la luce del sole, perce-pisco qualcosa dentro di me che mi ras-sicura, qualcosa che mi dice che verràun giorno e sarà il giorno della libertà.Quel giorno saprò, alla fine, di aver su-perato questa vita da carcerato.

Celestine Odogne (Vasto)Sipuo’cambiare

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Illustrazione: Carlo Di Camillo

In condizioni normali di li-bertà diamo per scontaticerti valori, certe azioni,certi pensieri, che una voltaproiettati nell’ambientecarcerario assumono un si-gnificato diverso. In con-dizione di privazioni so-prattutto affettive sembraquasi di non arrivare maial rimpianto. Il bacio dasempre rappresenta la di-mostrazione di affetto fi-sico più importante, deli-cata e intima, che lepersone possono scam-biarsi. Vi assicuro, in certimomenti la privazione piùviolenta è per me la man-canza di un bacio delicatoe puro dei miei bambini;sapeste quanto mi mancaquesta sensazione. Il baciodi una moglie innamora-ta, di una madre, di unpadre. E il senso di colpami rimette per l’ennesimavolta in discussione, que-sta è stata ed è la mia vitache viaggia a corrente al-ternata, tra libertà e de-tenzione. I contatti amicaliche vengono coltivati incarcere talvolta risentonodella spontaneità. Pur-troppo fin da giovane sonostato costretto a scegliere,per necessità, a delinque-re, e in tutti i casi rimangola figura del carcerato rudee maleducato, che per chinon conosce questo am-biente e valuta le cose ne-gativamenteapriorièqual-cosa di ormai superato.Vorreiperòricordareatutti,anzi gridarlo addiritturaalmondo intero, che l’amo-re di un pregiudicato è cosìintenso e commovente cheil cuore scoppia di amorevero. La lontananza daimie affetti rafforza incre-dibilmente la mia anima,violentata sì ma carica diamore puro.

Ciro Improta (Chieti)

L’IMPORTANZA DI UN BACIO

Carlo Di Camillo: ”Mattatoio n° 5”

Il mio sogno sin da quando eroadolescente, è sempre stato disposarmi e di avere dei figli. IlSignore mi è stato accanto e miha fatto realizzare il mio sogno.Sono la persona più felice diquesta terra e ringrazio Dio.Poi io e mia moglie ci siamo se-parati. Per me è stata una tra-gedia: l’amavo a tal punto cheun giorno pensai di togliermila vita, ma non lo feci pensan-do a mia figlia che aveva solosei mesi. Quando nel fine set-timana la mia ex moglie mi por-tava nostra figlia e la prende-vo in braccio sentivo dentro dime un gran calore e dentro dime ringraziavo il Signore diavermi dato la gioia di esserediventato padre.Ma questo accadeva tantotempo fa. Oggi mia figlia si èallontanata da me. Ricordo: alsuo sedicesimo compleanno leorganizzai una festa, lei mi fececonoscere il suo fidanzato, vidinei suoiocchiuna lucediamore,era bellissima. Ma da quel gior-no non l’ho più vista. E io pian-go tutte le notti senza farmivedere dai compagni di cella.Darei la vita per mia figlia, malei questo non lo sa. Desiderotanto rivederla, Signore dammiquesta possibilità

UN PIANTO SILENZIOSO

Questi ferri ai polsi li porto da cinque ore,è il mio biglietto da visitaal cospetto del mostro,che tra poco mi inghiottirà,chissà per quanto tempo ancora,guardo il cielo ormai scuro della notte,respiro le ultime boccate di libertàmai esistita,dentro riscopro chiari oscuro familiari,percorro un corridoionel cuore della notte,ruminando un passato,infinitamente recente,tu ci sei.Dentro!Con incoscienza sorrido,guardandomi attorno,svogliatamente sistemo la branda,sparisco sotto le coperte,ti cerco, ricordando la tua voce,il tuo sorriso,questa notte non sarò con te,questa notte non tornerò,quante notti…raggomitolato,solo il calore del mio corpo,ripercorro questa infamia,ti penso fino ad assopirmi,domani il rumore delle chiavimi sveglierà,da domani inizierò a ricordare,domani, domani,il tempo, tu, l’amore e…tutto quello che domani mi rimarrà.

Emidio Paolucci (Pescara)

IL RITORNO

C’era una voltaunapoveradonna

che aveva due bam-bini. Il bambino minore doveva andare

tutti i giorni nel bosco a fare la legna, per ri-scaldarsi, cucinare e poi mangiare tutti insie-me. Una volta che il bambino era andato a cer-carla molto lontano gli si avvicinò un piccino,ma proprio bello, lo aiutò premurosamentea raccogliere la legna e gliela portò anche finoa casa, ma poi in un batter d’occhio sparì. Ilbimbo lo raccontò alla madre, che non vollecredergli. Un giorno le portò una rosa, e rac-contò che gliel’aveva data il bambino, e chegli aveva detto che sarebbe tornato quandola rosa fosse sbocciata. La madre la mise nel-l’acqua. Una mattina il bimbo non si alzò, lamadre si accostò al letto e lo trovò morto, eproprio quel mattino era sbocciata la rosa. Avolte non si possono prevedere le cose, ma sipossono percepire. Penso che a volte bisognacredere di più nelle cose e nelle persone, e pre-venire è sempre la cosa migliore.

Francesco Tanzi

LA ROSA

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Chesignificaesseremagistrato giudi-cante?“La funzione di magistrato, una funzioneche voi tutti potete comprendere impor-tantissima, esige delle qualità che non sem-pre tutti possono avere. Impone infatti laconsapevolezza del fatto che esercitando laprofessione di magistrato, anzitutto si eser-cita un potere dello Stato. Un potere cheviene delegato dal popolo, dai consociati:da qui il fatto che il magistrato è responsa-bile non soltanto rispetto alla propria co-scienza, ma anche rispetto a tutti i conso-ciati perché con la propria attività va ainterferire nella vita delle persone. Il magi-strato dunque deve avere ben presente ilsenso di questa responsabilità e cioè di agireper conto dello Stato. E questo nella consa-pevolezza che purtroppo tutti siamo inido-nei a svolgerla nella maniera migliore. Nes-suno di noi può dire "io sono un magistratoineccepibile", perché il magistrato giudica,e nel giudicare ci sono due grosse proble-matiche: la prima è che siamo uomini, e l’uo-mo è imperfetto, può aspirare alla perfe-zione ma non la raggiunge mai; la secondaè che il magistrato giudicante decide sullabase dei fatti che ha accertato nel corso delprocesso. Ma questi fatti sono la verità delprocesso, non è la verità vera: non semprela verità processuale corrisponde alla veritàsostanziale. Allora voi direte: il diritto è sem-pre ingiusto. Vi rispondo: il diritto è un’esi-genza dalla quale nessuno può prescindereed è governato da leggi e regole. C’è chi èdeputato a farle rispettare e c’è chi deve va-lutare se sono state violate”.

Non tutte le con-danne sono giuste.“Spesso si dice che la condanna è ingiusta.Rispondo che la condanna non è tanto in-giusta in rapporto alla verità effettiva, per-ché quello a cui noi possiamo aspirare è quel-lo di garantire una decisione giusta. Quellaè la verità. Dunque è chiaro che la valuta-zione che si fa è una valutazione di ragio-nevolezza. L'uomo è una macchina straor-dinaria, trovate voi una macchina che duraottanta o più anni. In questo momento noistiamo respirando milioni di microbi che po-trebbero potenzialmente ucciderci. Ma lamacchina uomo ha i suoi anticorpi. E comela macchina uomo anche la macchina della

giustizia ha degli anticorpi. Quali sono glianticorpi? Nel penale ad esempio l'accusaspetta al pubblico ministero: il pubblico mi-nistero raccoglie le prove e valuta. Natural-mente il pubblico ministero in quanto fun-zionario dello Stato è tenuto non soltantoa raccogliere le prove, e non soltanto quel-le che fanno comodo all’accusa, anche per-ché lui non viene pagato di più se ottiene

più condanne o più archiviazioni. Quindi ilprimo anticorpo è questo: non è il pubblicoministero il titolare dell’accusa che decidese mettere dentro qualcuno. Questa deci-sione la deve prendere un soggetto diversoche è un giudice”.

Checosapensadellaseparazione dellecarriere?“Non ho mai fatto il pubblico ministero, sonosposato però con una donna che ha fatto ilpubblico ministero e che prima era pretore.Conosco tante persone che prima di fare ilpubblico ministero hanno fatto il giudice etante che hanno iniziato come pubblico mi-nistero. Personalmente ritengo che fare ilgiudice e poi il Pm sia un accrescimento. Ri-tengo che ciò permetta loro di acquisire, di-gerire e sedimentare, la logica della giuri-sdizione: se tu fai solo il pubblico ministerofinisce che perdi qualcosa.

Dunque separare le carriere avrebbe comerisultato l’impoverimento della funzione delpubblico ministero, che rischierebbe di di-ventare il passacarte della polizia. Mi chie-do: il pubblico ministero se è separato dallagiurisdizione sotto chi lo mettiamo? All’esteroin alcuni posti esiste questa separazione, mail nostro sistema è troppo diverso. Perchémai dobbiamo imitare gli altri?”.

Pernoiparlareoot-tenerequalcosadallaSorveglianza spes-so è un'impresa.“Da qualsiasi parte si guardi il problema,da parte degli avvocati o dei magistrati,quello che emerge è che in carcere voisiete troppi, e la situazione della giustiziain Italia è allarmante perché ci sono sem-pre più cause civili, penali ed anche di sor-veglianza con quantità di risorse sempreminori. Quindi io dovrei essere giustamen-te rimproverato per tantissime cose e nonavrei di che rispondervi... per esempio l’uf-ficio di sorveglianza dell’Aquila: prescin-diamo dal fatto che è rimasto con il mede-simo organico dalla sua costituzione adoggi, e dalla sua costituzione ad oggi èstato investito di una quantità di nuovefunzioni, e non sto parlando dei nuovi

INCONTRO con il magistrato di soLo Stato, la magistratura, il ruolo del Pm, ilprocesso giusto, l'avvocatura senza poterenei confronti dei Pm, la responsabilità pe-nale del giudice. La redazione di Voci di den-tro di Pescara incontra il dottor Alfonso Gri-maldi, Magistrato di Sorveglianza.

Al centro il dottor Grimaldi durante l’incontro con la redazione di Pescara

processi. Diciamo che i magistrati lavoranotroppo, devono lavorare di più e possonofare quello che possono. La verità è che ioposso lavorare notte e giorno ma se nonho la cancelleria che funziona non vadoavanti: i cancellieri sono il motore dellagiustizia, il magistrato deve essere il pilo-ta, ma il pilota senza il motore non va danessuna parte. Perché quando voi fate un’

istanza per presentareun permesso, il permes-so parte dalla matricolaarriva per posta, c’è unapersona che lo riceve, loguarda e lo porta dalmagistrato e che iscriveil fascicolo. Poi c’è un’al-tra persona che devecercare il vostro fascico-lo, e poi bisogna istruirela pratica, poi bisognariportarla di nuovo almagistrato per la deci-sione. Prendiamo adesempio Pescara: quan-do sono arrivato nel giu-gno del 2008 c'erano 13cancellieri, oggi sono 7tre dei quali andrannoin pensione a breve. Voiditemi: quattro cancel-lieri per Pescara, Chieti,Teramo, Lanciano eVasto”.

Da magi-strato giu-dicante amagistrato

di sorveglianza,chedifferenza c'è? Cispiega la suaattivi-tà?“C'è una differenza sostanziale tra la giuri-sdizione di cognizione e quella dell’esecu-zione, in particolare la sorveglianza. La dif-ferenza fondamentale che io ho notato èquesta e che crea anche il problema più gros-so. Il giudice di sorveglianza ha meno pro-blemi perché, sotto un certo profilo, non sideve occupare della colpevolezza o menodella persona che valuta. Per me voi sietetutti innocenti, ma allo stesso tempo sietetutti colpevoli, perché di fatto c’è una sen-tenza definitiva che così ha stabilito. La giu-risdizione di sorveglianza più che sull’anali-si del fatto si incentra sull’analisi della persona:cioè deve tracciare - attraverso tutta unaserie di conoscenze - un quadro della per-

sonalità del soggetto. Questo quadro dellapersonalità del soggetto è un quadro che vavisto in prospettiva, e in che senso lo capitefacilmente se vi enumero le fonti principalidi conoscenza. Considerando che noi ab-biamo sempre meno tempo per venire in car-cere e fare i colloqui (la conoscenza direttasarebbe importantissima se potesse esserefatta in maniera continuativa), le fonti prin-cipali di conoscenza che noi abbiamo sonoil certificato penale, perché è un po’ il curri-culum del soggetto, e che permette di avereun quadro storico, importante ma non de-terminante al cento per cento perché quan-do diamo una misura dobbiamo valutare seil soggetto non è più così pericoloso social-mente e che attraverso la misura potrà rein-serirsi socialmente. Ma io non posso tenerconto solo del fatto storico, per quanto graveesso sia. San Paolo ad esempio, partecipò almartirio di Santo Stefano, lui era un perse-cutore, poi è cambiato.Dunque, per tornare a noi, non posso basa-re la mia decisione solo sulla storia passata,ma non posso neanche prescindere da que-sta. E poi bisogna anche valutare la capaci-tà criminale che uno ha. Un conto è il rapi-natore di una vecchietta davanti alle poste,un altro conto è il rapinatore di banche aRoma, Padova, Milano. Questo è il primodato che si tiene in considerazione. Il secondodato è il tempo, cioè per quanto tempo ilsoggetto in questione ha continuato a de-linquere. Inoltre devo anche considerare ilfatto che spesso ci sono tante persone che,proprio per la quantità di processi in corso,finiscono per espiare la pena dopo molti annirispetto al delitto commesso. La persona puòessere cambiata.E qui la legge non c’entra perché in materiapenitenziaria certe volte si tengono presentile istanze sulla sicurezza, cioè l’opinione pub-blica è stanca della microcriminalità, biso-gna metterli in galera e buttare la chiave.Altre volte, invece, si hanno altre esigenze,diciamo quelle di reinserimento, quelle al-ternative. Poi si guarda a un'altra cosa, e cioèal costo sociale di un recuperato. E non è fi-nita, abbiamo anche da considerare il casel-lario, i carichi pendenti, perché mi servonoper capire fino a che epoca il soggetto hacontinuato a tenere comportamenti “inap-propriati”. E naturalmente guardo anchealle prospettive: che garanzie mi dà questosoggetto. Senza dimenticare le informazio-ni di polizia o carabinieri perché mi servonoper capire alcune cose che riguardano l’am-biente socio familiare. Poi altra cosa fonda-mentale è naturalmente la valutazione dellasituazione attuale, cioè come il soggetto harisposto al trattamento, se ovviamente que-sto trattamento c'è stato. Noi davanti ab-biamo la persona: è una cosa piuttosto com-plicata, forse per certi versi è anche più difficiledi quello che fa il giudice della cognizione.Comunque anche il giudice della cognizio-ne dovrebbe fare, nel dosare la pena, un'at-tività similare almeno a livello di fotografiastorica, perché l’articolo 133 del codice pe-nale stabilisce quali sono i criteri di governo

della discrezionalità del giudice. Nello sta-bilire tre anni piuttosto che tre anni e seimesi infatti, l’articolo 133 detta una serie dicriteri che sono molto simili a queste coseche ho detto adesso. In definitiva io credoche il magistrato di sorveglianza conoscameglio il reo di quanto non lo possa cono-scere il giudice della cognizione. Il giudicedella cognizione non sa quanti figli ha il sog-getto, o se lo sa, lo sa in relazione alla tipo-logia del reato, non sa se è stato abbando-nato da piccolo e se è stato istituzionalizzato,a meno che l’avvocato non abbia usato que-sto tipo di argomento, che poi vale quantovale, per sostenere che il delitto era statocommesso in relazione a questo tipo di agen-te criminogeno. Non sa tante cose che inve-ce noi sappiamo, o quanto meno dovrem-mo sapere, dovremmo conoscere”.

Giudice per caso oper scelta?“Molti scelgono di fare il magistrato animatiforse dal sacro furore, come investiti da unamissione. Io non la vedo così: ritengo che ilmagistrato debba comportarsi avendo laconsapevolezza della gravità di ciò che èchiamato a fare. Io non ho fatto il magistratoperché volevo fare qualche cosa di impor-tante. È un servizio. Serve a mettere un mat-toncino nella società. Un servizio che si fa alpaese. Avrei voluto fare anche il pubblicoministero. Io ho fatto il magistrato a L’Aqui-la e per lo più mi occupavo di diritto civile.Poi sono passato al penale, poi ho fatto ilGip, il Riesame, poi volevo vedere ancheun'altra funzione, volevo scoprire questoaltro lato della medaglia. Nel caso della sor-veglianza si avverte di più la frustrazione.Noi siamo abituati a considerare il magistratodi sorveglianza come il figlio di un Dio mi-nore, perché è più semplice da un punto divista dogmatico, non ci sono molte proble-matiche, anche se la funzione è molto deli-cata, ed è anche grave come responsabilità.Il fatto è che noi tutti, non solo i magistrati,spesso siamo "drogati" dalla rappresenta-zione della giustizia come bilancia, senzapensare che assieme alla bilancia in veritàc'è anche la spada. Questo per dire che senon c’è la spada la bilancia non serve a nien-te, la bilancia è funzionale alla spada. Laspada è il momento dell’esecuzione, cioè ilmomento in cui tutto il gioco che abbiamofatto trova un senso, trova un significato,perché se io condanno Tizio a pagare tren-ta euro e Tizio non paga, se poi non c’è l’ese-cuzione forzata a che è servita la giustizia?Io non ho riequilibrato quello che abbiamoguastato. Ma c'è un problema ed è lo spre-co delle risorse che alle volte non hannomolto senso; mi riferisco ad esempio a tuttequelle situazioni in cui diamo 20 giorni di ar-resto per cose come la guida in stato di eb-brezza. E qui apro il capitolo depenalizza-zione per dire che le depenalizzazioni serienon sono mai state previste dal nostro legi-

orveglianza ALFONSO GRIMALDI

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slatore, e quindi noi abbiamo una quan-tità di processi che si riducono in nien-te. Ne ha parlato anche l'ex magistratoDavigo che in una recente intervista haricordato che hanno depenalizzato lasfida a duello. Pensate, sono almeno 70anni che in Italia non si fanno duelli. Chesenso ha dunque aver legiferato e de-penalizzato un reato che di fatto nonesiste? Al contrario hanno introdottoad esempio il reato per aver usato sulbus un biglietto riciclato. Davigo ricor-dava che in Corte d'Appello ci sono cen-tinaia di queste pendenze. Mi verrebbeda dire: avvocato glielo do io l’euro delbiglietto purché si chiuda questo fatto.Insomma in casi come questo in Italianon abbiamo i giusti anticorpi preven-tivi, tutto viene portato davanti al giu-dice. Se i controlli amministrativi fun-zionassero, non ci si arriverebbe. Per noila risposta è sempre il giudizio, il pro-cesso generale. Se nell’amministrazio-ne funzionassero i controlli preventivi,non ci sarebbe bisogno di arrivare dalgiudice, e vi assicuro che la maggior partedei processi, quelli dei colletti bianchi ecosì via, derivano da questa insufficien-te risposta degli anticorpi.”

C’èchisostienechelamagistraturahatroppo potere.“Il potere più grande della magistratu-ra è l’indipendenza. Certo è anche unpericolo, ma è meglio il rischio che lacura. Su questo non ho nessun dubbio.Infine quanto alla responsabilità del giu-dice, dico sì ma fino a un certo punto.Un magistrato non può difendersi datutti coloro che ritengono di avere su-bito un torto e lo chiamano in giudizio.Non farebbe più nulla”.

Un messaggio fi-nale?“Purtroppo la coperta è sempre troppocorta”.

Trascrizione Vincenzo Ficarelli

Due frutti dello stesso ramo, uno può es-sere dolce l’altro amaro.Ma di due figli della stessa madre, unopuò nascere intelligente l’altro stupido.Quando al mattino il gallo canta il miostomaco si preoccupa, perché se cantaanche a mezzogiorno il mio stomaco èvuoto.La compagnia di un amico vale mille volte,se hai un nemico è come avere un bicchieredi vino e mille parole non bastano.È molto più facile che un ricco trovi pa-renti anche tra gli sconosciuti, un poveropensa solo ai figli, ma non ha i soldi per iparenti.Se sei destinato ad avere buona fortuna,questa arriverà. Se non lo sei non servelottare per averla.Se il cuore è buono e la fortuna favore-vole, le ricchezze e l’amore staranno conte per tutta la vita. Se il tuo non è un cuorebuono la tua vita si spezzerà.

Til Miroslav (Chieti)

PENSIERI SPARSI

Papa’ ricominciamo

Caro Erminio, voglio iniziare questa let-tera chiedendoti scusa per non essermifatto sentire durante tutto questo tempopassato. Era il lontano 1993, e da alloraè stato solo un lungo silenzio. Come bensaprai, ti sto scrivendo mentre mi trovoristretto nel carcere di Chieti. Qui le gior-nate passano con estrema lentezza, alcontrario questi ultimi diciotto anni sem-brano andati via come polvere nel vento.Ero solo un ragazzino pieno di sogni edi speranze. Non avevo le idee ben chia-re su cosa avrei voluto fare da grande,ma era comprensibile data la mia gio-vane età. In quei tempi, detti poca im-portanza agli studi, di conseguenzaavevobisognodi impegnare ilmio tempocon qualche lavoro. Tu ne avevi uno benavviato, e spesso mi chiedevi di darti unamano. Io lo facevo spesso, pur essendoevidente che non ero gran che entusia-sta, tuttavia, sapevo che quella che po-teva sembrare una semplice alternati-va al non fare nulla, sarebbe potutodiventare in futuro, uno dei tanti me-stieri per vivere onestamente. Ma nonfu così, perché il destino decise diversa-mente. Da quando te ne sei andato nonho potuto fare altro che vacillare, allaricerca di una identità mai trovata. “Miraccomando a te….” Queste furono leparole con le quali ti congedasti, e con-siderando quella che è stata la mia vitafino ad oggi, preferisco tenerle seppel-lite negli abissi più profondi della miaanima, facendo finta che le mie orec-chie non hanno mai sentito pronuncia-re quella frase. Solo oggi ho trovato ilcoraggio di aprire le porte del mio cuore,rendendoti partecipe dei miei fallimenti.Ultimamente ho conosciuto una nuovaamica, si chiama “speranza” e come unabrezza sta spazzando via la rassegna-zione, anch’essa fedele compagna diviaggio di tutti questi anni. Prima o poiarriverà il giorno in cui verrò a trovartiin quel famoso giardino dell’eden, eguardandoti dritto negli occhi, con il co-raggio che mi è sempre mancato, final-mente potrò dirti: papà adesso rico-minciamo.Ti voglio bene.

Cristian Di Marzio (Chieti)

Ciao Claudio, ci mancheraiIl 1° giugno al termine del suoturno di lavoro nella Casa cir-condariale di Chieti, in un inci-dente stradale, ha perso la vitail sovrintendenteClaudioDi Nisio.Lo ricordiamo con affetto.La redazione di Voci di Dentro

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Che in molti istituti non funziona un cavoloEssere costretto a convivere con degli estraneiChe non c’è un garante dei detenutiLa mancanza di uno scrivano che ti aiuti con le istanzeI vestiti che puzzano di fumoDoversi difendere dai detenuti solo con la violenzaIl bagno in comuneChe tutti sparlano di tuttiIl rumore del blindato chiuso e riapertoColloqui famigliari ridottiGli istituti che non rispettano gli orari dei passeggiLe telefonate ridotteLa domenica eliminataL’amico di cella che fa rumore la mattina per andare al lavoroLa mancanza di rispetto verso gli altriFare la doccia quattro volte la settimanaIl malfunzionamento del servizio educatoriSeconda grata alla finestraLa troppa differenza tra i detenuti (cultura diversa)La non comprensione tra i detenutiI pochi programmi televisiviGli educatori che non ti seguonoSentirsi abbandonato e preso per il culo da tuttiMancanza degli affettiLa perquisizione ai famigliari che vengono al colloquioLa mancanza di un asciuga capelliAssistenti sociali latitantiChe lavorano sempre gli stessiLa gente che grida sempre e non puoi riposareNon sapere come ammazzare il tempoRischiare una sanzione disciplinare per nienteLe sbarre alla portaDover lavare le pentole dentro un lavatoio piccolissimoRicevere ordini da qualcuno che non è tuo padreMischiarsi con gli extra comunitariDividere la cella con persone che si lamentano sempreLa maleducazioneEssere abbandonati a noi stessiAvere malori e non essere curati a dovereLe persone che ti infamano solo per invidiaControlli notturni con una stupida torciaTelevisore mal funzionanteMancanza di acqua calda in cellaAssistenti non preparatiBagno piccolo e senza finestra

Mancanza di colloqui particolari con la propria compagnaPromesse di un area sportiva che non c’èDover fare la spesa già decisa da altriPrezzi troppo alti dei prodotti extraVitto bianco che fa schifoMaterassi sfondatiL’indifferenza del mondo esternoDialogare con persone che vogliono avere sempre ragioneConvivere con persone che non si lavanoDoccia sempre sporca e scarsa manutenzione dell’istitutoIl fatto che in alcuni istituti si regalano diplomiSezione reclusione che reclusione non èRiscaldamenti a orePoche attività sportiveSala colloqui troppo piccola ed unicaArea verde mal funzionanteMancanza di posto per lavare i vestitiLa malasanitàLa scarsa organizzazione internaMancanza di igiene generalePoco personale trattamentaleChiesa mal funzionanteComportamento sbagliato verso gli stranieriAvvisi in bacheca troppo rapidiIl casino, il rumoreLo sbattere dei cancelliPensare a cosa mi dà fastidioLa stupidità e l’ignoranzaIl rumore delle chiaviIl non riuscire a dormire bene per colpa del materasso troppobassoI miei pensieriLo squillo dei telefoni interniI 1042 buchi della branda soprastanteVedere ogni giorno guardie e sbarre dappertuttoLa privacy violataNon poter lavorare in gruppo nei corsiIl reticolato dietro le sbarre delle finestreL’inciviltà da parte del detenuto e del personale di polizia pe-nitenziariaLa mancanza di rispetto nei confronti degli insegnanti o dei co-ordinatori dei vari corsiIl sovraffollamento delle carceriIl sovraffollamento nelle proprie stanzeLe discussioni per futili motivi.

questionario:

cosa dà più fastidio del carcere

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amentiamoinaccettabilicondizioni divita carceraria.Lamentiamo

un livello di assoluta im-possibilità ad andare avan-ti a causa del sovraffolla-mento, con la conseguenteriduzione degli spazi affet-tivi che ci vengono conces-si, le visite dei nostri cari peresempio. Lamentiamo con-dizioni di ristrettezza fisicae mentale, che con la ca-renza del personale prepo-sto alla vigilanza diventanosempre più critiche. Chie-diamo un automatismo perla concessione della libera-zione anticipata, come av-viene già in tutti i paesi d’Eu-ropa. Chiediamo un’applicazione sistematicadelle misure alternative perchi ne può usufruire. Chie-diamo che vengano ado-perate le pene alternativecomeprevede la legge.Chie-diamo un trattamento mi-gliore, non finalizzato allasola privazione della liber-tà e alla violazione dei dirit-ti delle persone detenute.Chiediamo tempi ridotti perl’esecuzione della pena. La-mentiamo inesistenti per-corsi di reinserimento e re-cupero del soggetto.Chiediamo che agli educa-tori venga dato più spazionello svolgimento delle pro-prie funzioni, al fine di gra-tificare il loro operato neinostri confronti. Chiedia-mo che venga dato il pienopotere alle amministrazio-ni penitenziarie riguardo ilservizio medico sanitario.Chiediamo che ci venganorestituiti i soldi che eranostati destinati al reinseri-mento e recupero dei de-tenuti, e che adesso sonodestinati alla costruzione dinuove carceri. In Italia ab-biamo già nuove carceri fi-nite e mai utilizzate. Sotto-lineiamo il clima di serenacollaborazione da parte ditutti gli operatori presentinell’istituto di Pescara.

Antonio Caccavallo(Pescara)

LI problemi irrisoltil carcere è una realtà a

parte, totalmente iso-lata dalla società. In car-cere ci si può finire pertanti motivi, le autori-tà ci mandano in que-sti istituti per correg-gerci e non farci

commettere più atti illegali. Ilcarcere per chi non lo conosce,viene definito come un luogodove si impara a non commet-tere più reati, ma da molti vieneconsiderato come punizione. Di-

ciamo che noi detenuti appar-teniamo a varie categorie delin-quenziali, c’è chi ha commessoreati per bisogno economico, per-ché magari viene da una realtàsociale che non è riuscita ad of-frirgli un lavoro, quindi commettereati per sfamare la famiglia. Poic’è chi viene da una famiglia chenon ha saputo insegnargli altroche delinquere, per cui fa quel-lo che hanno fatto i genitori. Poic’è chi come me purtroppo nellavita cade, per una ragione o un'al-tra, nel tunnel della droga e si ri-trova poi a fare i reati per pro-curarsela. Poi c’è la categoria delfanatico, cioè che non gli mancanulla e fa i reati perché affasci-nato da un certo tipo di vita. Co-munque sia, alla fine le illegali-tà commesse ci accomunano tutti.Il carcere dovrebbe aiutare ognidetenuto a cercare di trovareun'altra strada, diversa da quel-la seguita prima e soprattuttodovrebbe poi favorire il reinse-rimentonella societàenelmondodell’onestà. Altrimenti che sensoavrebbe essere rinchiusi in que-sti luoghi?

Ma le cose non stanno così: il car-cere è un luogo dove si imparasolo ad essere o a diventare piùdelinquenti di quello che si eraprima. Il carcere è una scuola dimalavita, non ti offre niente altroche stare senza fare nulla tuttoil giorno; sono pochi gli istitutiche riescono ad offrirti qualcosain più. Il carcere è come un par-cheggio giudiziario di macchinesequestrate dalla legge, che ven-gono messe in un luogo copertoe che aspettano il giorno in cuipossano essere dissequestrate,una macchina che resta fermaper mesi oppure per anni. E dopo,quando si riprova a rimetterla in

moto, è ovvio che non parte per-ché ha bisogno di essere revisio-nata e rimessa a punto. Bene carilettori, noi siamo come questemacchine: quando usciremo avre-mo bisogno di essere seguiti o diessere indirizzati in qualche modoper poter cambiare vita. Invecedopo anni isolati dalla società, ea volte anche dalle famiglie per-ché veniamo trasferiti più volteanche lontano da casa e spessole nostre famiglie non hanno lapossibilità economiche per po-

terci venire a trovare, veniamoabbandonati a noi stessi, e quan-do ci ritroviamo fuori la societàspesso tende a giudicarci per ilnostro passato, e così non tro-viamo lavoro. Per un po' resi-stiamo, ma presto finiamo a ri-percorrere le strade del passato.Così dopo poco tempo ci si ritro-va di nuovo in carcere, ed eccoche la storia si ripete. Ci ritrovia-mo a guardare lo stesso film vistoe rivisto svariate volte. Il carcereè un luogo dove si viene privatidella libertà ma spesso anchedella dignità, dove veniamo am-massati spesso in stanze di ottoo dieci persone, senza servizi igie-nici ed assistenza medica ade-guata; molto spesso per il so-vraffollamento veniamo trasferitida un istituto all'altro senza maiavere una meta finale. Io credoche nella vita tutti possiamo com-mettere degli errori, e tutti do-vremo avere diritto ad un'altrapossibilità a prescindere da quel-lo che si è potuto commetterenella vita. Purtroppo siamo inpochi a pensarla così e spesso solochi ha sofferto veramente nellavita riesce a stenderti una mano.Lavitaèunviaggiochetutti siamotenuti a fare, se per qualsiasi ra-gione si è usciti fuori strada nonè detto che strada facendo nonsi possa realmente imparare aguidare, ci vuole solamente vo-lontà e costanza, e come in tuttele cose anche un pizzico di for-tuna. Di volontà e costanza neho acquisita tanta in tutti questianni e spero che con un po’ difortuna possa anche io riuscireun giorno a trovare la strada giu-sta. Vale la pena provarci.

Davide Pecoraro (Pescara)

iQUESTO CARCERE Penso che nel

nostro Paese, cisiaunagravedi-scriminazionenei confronti di

noi detenuti ed ex. Ve-niamo visti come dei verie propri mostri, anche sesi trascorre un breve pe-riodo in carcere. Si dice"sbagliare è umano" ...e che bisogna dare un'al-tra possibilità, ma mi ac-corgochequestononvaleper noi, visto che venia-mo visti con occhi diver-si dalla gran parte dellamassa. E quindi mi chie-do: una volta uscito, chimi darà lavoro? Chi miaiuterà? Sono entrato perla prima volta in carcerea 30 anni, e uscirò a 37,che farò una volta fuori?Tutte queste domandedovrebbero farsele quel-li che tutti chiamanoStato,mi rendocontoche la veracondanna è una volta fi-nita lapena il sentirsi esclu-si, discriminati, emargi-nati e questo ti fa sentirepiù solo di quando ma-gari stavi chiuso in quat-tro mura. Sarà difficilecrearmi di nuovo un fu-turo, ma ci proverò contutto me stesso. La gentedovrebbe capire chesiamo esseri umani, congli stessi diritti, e che unerrore non può rendercidiversi da tutti, perchénonostante l'eventualegravità dell'errore com-messo abbiamo un cuoree un'anima, forse piùgrandi di chi ci giudica.

Fabio Raia (Vasto)

Umani

P

25

artedi, 24 maggio, Tg 5 delle8.oo: una giornalista, con lavoce rotta dall’emozione,racconta di 40 cani tenuti,alle porte di Roma, in condi-zioni “da cani” in un appar-tamento di appena 70 mq.Mi guardo intorno e invidioquei cani a ognuno dei qualisarebbe riservato uno spaziodi 1,75 metri quadrati che po-trebbero sembrare pochi inconfronto dei 6 o forse 7metri quadrati disponibili perdue persone detenute in unacella destinata ad un soloospite.E ancora di più invidio que-gli animali – i cani – che, gra-zie a un servizio di 3 minuti– 3 minuti, 180 secondi ! –hanno smosso le coscienzedei tanti sempre ben dispo-sti a versare qualche lacrimae pronti all’indignazione,purchè si tratti di animali,mostrando invece fastidio o

addirittura guardando daun’altra parte quando la TVparla di zingari e clandesti-ni o Rom e migranti se si pre-ferisce essere politicamentecorretti.Siamo una nazione, o forseun coacervo di dialetti e cam-panili, facile alla commozio-ne, per cui basta una lacri-ma, un “…poverini!” dettoad alta voce – che si tratti dicani o bambini poco impor-ta – e un sms per donare 2euro non si nega a nessunoe la coscienza è a posto finoalla prossima notizia com-movente.Solo i carcerati, a parte il bu-rocratico “Detenuti e popo-lazione detenuta”, conti-nuano ad essere definiti econsiderati “carcerati”. Negliultimi mesi si è parlato moltodi Costituzione e spesso asproposito. Ogni parte poli-tica ha tirato la giacchettadella Carta Costituzionaledalla sua parte, citando gliarticoli che di volta in voltahanno ritenuto utili per “sa-cralizzare” le rispettive opi-nioni, ma l’ art. 27, che san-cisceche lapenadebbaesseresoprattutto rieducativa èstato il meno citato, anzi il

più ignorato. In una delle sueperformances televisive perl’illustrazione della Riformadella Giustizia, il Ministro Al-fano ha più volte dichiaratoche i detenuti hanno dirittoal rispetto della dignitàumana e soprattutto hannoil diritto-dovere di lavoraree pagarsi cosi il vitto e l’al-loggio, e che nessuno do-vrebbe mai pensare di fareperiodi più o meno lunghi disoggiornoacaricodelloStato.Vero. Talmente vero, pecca-to che la possibilità di lavo-ro all’interno delle carceri siastata praticamente azzera-ta: l’80% dei detenuti, difatto, ha il proprio conto cor-rente interno a “zero”, e aldi là di corsi più o meno utilie sui quali sarebbe il caso diporre qualche domanda, sivive praticamente per 20 oreal giorno chiusi in cella conla sola compagnia della TV e

dei vari“Carabi-nier i” ,

“Distretti” , “RIS” , “Mafie1,2,3, ecc.”, senza dimenti-care anatomo - patologi chechiacchierano con i loro ca-daveri e l’aggiunta di qual-che cane che recita come unconsumato attore e attori,invece, che recitano comecani. Il tutto finalizzato adaddormentare il cervello digiorno e di notte consentireun sonno ristoratore e pre-paratorio ad affrontare un’al-tra dura giornata di carcere,con l’ausilio di Valium e cal-manti varii.Gran parte dei detenuti cheescono per fine pena sonodestinati a rientrare in car-cere a breve, e si registranoepisodi che sembrerebberoispirati dagli sceneggiatoride “I soliti ignoti”. Nel 2006,detenuti liberati grazie al-l’indulto, si sono ritrovati dinuovo in carcere nel giro dipoche ore in quanto, sprov-visti del minimo necessarioanche per affrontare un gior-no di libertà, hanno com-messo reati per procurarsipochi euro.Il tutto, allo Stato, al Citta-dino e al contribuente, costaannualmente oltre 3 miliar-di di euro: una mini finan-

ziaria che non genera bene-fici ma semmai contribuiscead appesantire una condi-zione alla quale prima o poibisognerà mettere le mani.Come e quando sarà compi-to del legislatore, nella spe-ranza che, abbassati i toni emessi da parte i politicanti equei magistrati più impegnatiin TV che nelle aule di giu-stizia, tornino protagonistiin tutti gli schieramenti quel-le personalità che hanno ilsenso dello Stato e della Giu-stizia. E che siano soprattuttomuniti del coraggio di scel-te impopolari che però pos-sono rappresentare la baseper un nuovo ordinamentoin cui il muro di cinta e la per-dita della libertà rappresen-tino “La pena”, consenten-do quindi di vivere all’internodel carcere una normalità daconsiderare non solo comel’espiazione ma anche comeun percorso.Questo ci si aspetta da unostato di diritti. Ma non ci fac-ciamo illusioni: in nome dellaGiustizia sono stati proces-sati e condannati a morte:Socrate, Gesù, Andrea Che-nier, Sacco e Vanzetti. Arri-vati ai giorni nostri, sarebbed’obbligo stendere un velopietoso sulla Giustizia in Ita-lia dove non sempre, anziquasi mai, l’applicazione diuna legge genera Giustizia,specialmente quando le sen-tenze arrivano dopo anni equando sia il colpevole chela vittima hanno perso ancheil ricordo dei reati e dei dannisofferti.Ci si aspetta anche che undetenuto, non più un car-cerato, possa sperare e vedercrescere la certezza di unavita normale e operare perfar sì che la piaga dei suici-di in carcere si azzeri: 68 sui-cidi nel 2010 e 24 nel perio-do 1 Gennaio - 15 maggio2011: un suicidio ogni 5 gior-ni, la stessa media degli ul-timi 10 anni. Praticamenteuna pena di morte latentema che è ben presente: forseun mezzo per alleggerirel’affollamento? Non sonocifre da paese civile.Domenico Silvagni (Vasto)

M

Nonsonocifredapaesecivile

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Meno tre, meno due, menouno….. domani c’è il colloquio.Incomincio coi preparativi, unregalino per chi viene, gli abitiche voglio indossare, la bian-cheria sporca da portare fuori.Mi sto preparando per la miafesta. Questo per me è il gior-no più bello della settimana.Aspetto sette lunghi giorni pervedere i miei amori, che midanno tanta gioia, ma so-prattutto la forza di andareavanti. E io a miavolta la do a loro,facendomi vederein forma, dicendoche fra poco finiràquesto brutto mo-mento. Promettoche è l’ultima voltae ci credo, perchévoglio vedere cre-scere mio figliofuori, non attra-verso il muretto diun parlatorio. Du-rante la settimanapenso tanto a miofiglio a al suo futu-ro, perché vogliodargli un futuro mi-gliore e più serenodel mio. E’ lunedìmattina, l’ansia èalle stelle, mi facciouna doccia, accen-do la radio nell’at-tesa che l’appunta-to mi chiami per ilcolloquio. Quandosento il mio nomemi affretto a scen-dere per incontra-re i miei cari, anchese per una sola ora.Dopo i primi salutiscambiati con unemozione che nonsi può descrivere, siparla del più e delmeno e…… l’ap-puntato dice collo-quio finito, cometutte le cose belle èfinito troppo pre-sto. Saluto con tri-stezza e tanto amore, baci, ab-bracci, carezze, ci diciamo alunedì. Mi avvicino all’uscitacontinuando a parlare e salu-tare, poi torno in cella e rico-mincio il conto alla rovescia.

Fausto Gallo (Pescara)

Uno: ai condannati chehanno tenuto regolarecondotta ai sensi del suc-cessivo comma 8 e che nonrisultano so-cialmente pe-

ricolosi, il magistrato di sor-veglianza, sentito il Direttoredell’Istituto, può concederepermessi premio di duratanon superiore ogni volta aquindici giorni per consen-tire di coltivare interessi affettivi,culturali o di lavoro. La durata dei per-messi non può superare complessiva-mente 45 giorni in ciascun anno di espia-zione.Due: il trattamento penitenziario deveessere conforme ad umanità e deve as-sicurare il rispetto della dignità della per-sona.Tre: ogni istituto penitenziario è dota-to di servizio medico e di servizio far-maceutico rispondenti alle esigenze pro-filattiche e di cura della salute deidetenuti e degli internati.Sono questi i principi fondamentali chepossono migliorare il carcere ed evitareche diventi un inferno nel mondo deivivi. Ma spesso così non avviene e que-ste norme restano inapplicate. Badatebene: non sono dell’idea che chi ha com-messo un reato non debba pagare perciò che ha fatto, ma penso che vi sianotempi e modi per scontare il proprio de-bito. L’Italia, infatti, ha in termini di en-tità di pene erogate il tasso più alto nel-l’Unione Europea. Non vi è una nettadistinzione tra reati e pene inflitte e cosìè possibile che l’entità della pena non siarapportabile al reato commesso. Ormaitra i detenuti si è insinuata l’idea che talipene siano così sproporzionate per ef-fetto della legge Gozzini. Capisco le re-more dei magistrati nel concedere i be-nefici previsti da tale legge, ma noncondivido l’ampia discrezionalità di cuigodono. Le carenze esistenti all’internodella Magistratura non sono che una pic-cola parte di ciò che non va, infatti sia learee pedagogiche che gli uffici di ese-cuzione penale esterna sono sotto or-ganico e così una singola persona si trovaa seguire centinaia di casi, e questo perforza di cose si ripercuote nella manca-ta applicazione dei benefici previsti.

Chi non vive il carcere non conosce i mec-canismi rieducativi, e così in sintesi liespongo, per dare modo di conoscerepiù specificamente il problema. Il dete-

nuto deve venire monitorato nella suavitaquotidianaattraversocolloqui con psicologi,educatori e assistenti so-ciali; il magistrato deveessere informato con det-tagliate relazioni sui per-corsi intrapresi da ognisingolo detenuto: in base

a ciò vengono concessi i benefici. I tempiperò sono molto lunghi, con la conse-guenza di un’errata gestione della leggeche si era prefissata di essere invece ga-rante dei detenuti e delle loro condizio-ni. La colpa non è certo delle persone chelavorano quotidianamente in carcere,sia nell’area pedagogica, nella magi-stratura di sorveglianza e all’interno dellapolizia penitenziaria, ma dei numeri sem-pre crescenti di detenuti. Bisogna en-trare nell’ottica che la popolazione car-cerarianonèpiù solo italianamaeuropea,vi sono ormai detenuti di ogni paese ecredo religioso, mentre i numeri deglioperatori del settore sono rimasti im-mutati.Un altro tema chein questi anni si di-batte ampiamenteè il sovraffolla-mento delle carce-ri. Pensate che gli istituti di pena sonoancora quelli degli anni ’60; sono staticostruiti al massimo una decina di isti-tuti nuovi e altrettanti sono stati chiusiper svariati motivi. Fino a quando nonverrà presa coscienza a livello politico diqueste problematiche, i dibattiti saran-no ancora molti, ma i risultati pochi. Unaltro dato di fatto è che una grossa per-centuale di detenuti uscenti, troppo spes-so rientra, e non voglio fare una gratui-ta dietrologia, ma credo che questo siaimputabile ad una società assente sia nelmomento dello sconto della pena chedopo. Spesso la carcerazione si scontain maniera diseducativa, si viene but-tati dentro una cella e le uniche coseche si fanno è camminare nelle ore d’ariae guardare la televisione.

Nicola Paradiso (Chieti)

SULLAPENA

ASPETTANDOILCOLLOQUIO

"Forse qualche lettore trovera’che dico delle cose banali. Ma chi

e’ scandalizzato e’sempre banale. E io, purtroppo, sono scandaliz-

zato”.

(Pier Paolo Pasolini)

SSCRITTI

U

27

Questo posto l’abbiamo scelto noi. Commettendo reati,

non osservando le leggi, vuoi per necessità, vuoi per di-

sperazione, vuoi per assoluta incoscienza, comunque

sia è stata una scelta fatta da noi stessi. Dovrei essere vi-

cino alla mia dolce compagna, le festività in famiglia

con le persone che amo, ma la mia mente ottenebrata

mi ha ricondotto qui. Ora lei va a passare le feste con

mia suocera lontano dalla sua terra, in Germania. Ep-

pure la sento di nuovo vicina, non mi ha lasciato in que-

sto posto a soffrire da solo, ha scelto di nuovo per amore

di soffrire con me, ed io che pensavo di essere un duro,

ho scoperto che è lei quella ad avere coraggio, ad esse-

re forte anche per me. Ed io mi sono scoperto essere

l’anello debole, quello che si spezza facilmente nono-

stante l’apparenza. Alla mia, e anche a tutte le altre

donne che sono vicine ai loro mariti, ai loro uomini, ai

loro figli, dico grazie di esistere, grazie per la vostra

forza.Cristian Rapposelli (Chieti)

Il carcere mi ha sempre fatto paura da piccola, ma

ha sempre fatto parte della mia vita, e ora che ho

capito quali sono i valori veri della vita, non vo-

glio più farne parte. La libertà non ha prezzo,

sogno l’odore della libertà, dei suoni della nor-

malità, il mio canto libero è la libertà. In questi ul-

timi anni sono cresciuta ma non sono maturata e

non so quando lo sarò; tante volte sogno la liber-

tà, sogno di essere fuori da queste quattro mura.

A volte mi domando quando toccherà, quando

arriverà il momento, mi domando con chi sarò,

con chi mangerò. Il carcere mi ha fatto imparare

tante cose, alcune le ho capite, alcune non le vo-

glio capire, non mi fido delle persone, sono una

ragazza problematica ma strada facendo cam-

bierò. A tutti i detenuti dico basta al carcere. .

Sharon

La vita è ingiusta, lo sap-

piamo bene; ieri ho soffer-

to e oggi mi porto ad-

dosso le cicatrici; domani

non so se soffrirò o gioi-

rò. Ci sono giorni in cui il

sole nel mio cuore si spe-

gne, ce ne sono altri dove

si riaccende. Ci sono gior-

ni in cui penso solo al mio

passato, a tutto ciò che

ha fatto parte di me, da

quando sono nato, quei

giorni dove il sole non è

mai tramontato, è solo

sorto insieme all’amore

che ho nel corpo e il mio

cuore dava solamente

amore. Quello che ho da

dare non si può misura-

re; l’amore nel mio cuore

è ardore e arde come arde

il sole. Chi non sa amare

non è in grado di cam-

minare e la sua strada sta

per terminare. Non è mai

troppo tardi per amare

perciò chiudete gli occhi,

immaginate il mare e in

questo fresco pensiero ri-

cominciate ad amare, e ve-

drete che il sole vi ricomin-

cerà a scaldare e lo sen-

tirete proprio là, sì, nel

vostro cuore. Perciò

anche se la vita è ingiu-

sta voi continuate ad

amare lo stesso, se avete

sofferto continuate ad

amare, e domani e per

sempre amate e vedre-

te che se anche il sole

quel giorno non sorge-

rà nel vostro cuore ci sarà

lo stesso. Pensate al pas-

sato, e anche se non si

può dimenticare, se non

si può cancellare, voi con-

tinuate ad amare. Per-

ché? Perché se c’è una

cosa che non dovrà mai

terminare, quella è la spe-

ranza nel vostro cuore,

e l’amore che alimenta

questa speranza che sarà

l’ultima a morire.

Francesco Tanzi

L’abbiamo scelto noi

Ho 41 anni, pescarese, prima condanna. Entro i primimesi del 2012 avrò pagato il mio debito con la giusti-zia e potrò fare ritorno a casa. Sono sicura che questaesperienza carceraria sarà l’ultima. Durante questi do-dici mesi ho avuto modo di riflettere sull’errore chemi ha condotta qui, ovvero quello di avere sconfina-to la linea sottile che esiste tra il bene e il male, tra lalegalità e l’illegalità, e ho trovato un perché a tuttele risposte che mi ponevo prima ancora di finire qui.Ho capito il male che ho inflitto a me stessa, e so chesono in grado di potermi rimettere in discussione, ognivolta che ce ne sarà bisogno. Ho riscoperto me e hoannientato tutte le paure che avevo. In questi dodicimesi ho conosciuto altre donne, di cui alcune ora li-bere. Mi scrivono, e dalle loro lettere capisco che sonoriuscita a trasmettere del buono. Non scorderò mai imomenti trascorsi insieme, la forza che ci siamo date,le risate, le lacrime. Dietro il numero di matricola ognu-no di noi ha un'anima, un cuore, un cervello, e se seiuna persona sensibile, riesci a capire chi ti vive al fian-co ventiquattro ore al giorno, e se la cosa è reciprocati senti meno sola. Qui dentro lavoro, partecipo a tuttele attività, e fra queste quella che mi rimarrà impres-sa per sempre nel cuore e nella mente è stata quelladel laboratorio teatrale, perché ci ho messo dentrotutta me stessa e ho capito che esisto ancora, che quel-la parte di me che un tempo aveva perso interesseverso molte cose è riemersa da quell’abisso in cui erasprofondata. È incredibile che in un carcere si possa ri-trovare la propria autostima, ebbene a me è accadu-to. Ho sempre pensato che dal negativo se ne può trar-re anche il positivo, e che se si vuole si può cambiare emigliorare. Una volta fuori di qui, già lo so, avrò a chefare con persone che nutriranno pregiudizi e altro, masono certa che ci sarà anche chi sarà disposto ad ascol-tarmi, a credermi, e solo il tempo potrà aiutarmi a farcapire agli altri che non mi perderò più.

Angela Girinelli (Chieti)

UN DEFINITIVO

Definitiva è la sentenza

E si riapre la dimensione del-

l’assenza.Senza sguardi nè carezze,

i dolci ricordi si mescolano

a lacrime ed ore di amarezze.

Non sento più la tua voce,

non trovo più pace.

Con questa condanna

la mia anima si danna.

La pena da espiare,

non sono cemento e sbarre,

ma il tempo

che dovrò aspettare,

prima di ricominciare,

con te a respirare.

Fabio Costanzo (Chieti)

LA SPERANZA

DONNA IN CARCERE

TTeatro ””ddeennttrroo””

CCORSARI

SSCRITTI

CORSARI

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E siamo qui rinchiusi in questo postocupo, pieno di sofferenza, lontani dallavita e da ciò che più amiamo, tratte-nuti da sbarre che dividono un mondoirreale dalla realtà. Qui il nostro gior-no è fatto di speranze, e senza il loroodore la vita non ha senso. In ogni cellasenti televisori accesi che nessuno vede,c’è chi legge, c’è chi gioca a carte, e c’èchi è sdraiato solo per pensare. Se soc-chiude gli occhi sembra che stia ripo-

sando, ma al minimo fruscio li apre etorna desto. I detenuti li vedi passeggiare avanti edindietro, senza una meta fissa, solo perrespirare un po’ di aria pura, che anchese buona, per noi detenuti serve a pocoo niente, perché sembriamo vivi, masiamo morti dentro.Nel giorno dei colloqui anche se rin-chiusi, l’aria è un po’ più bella, tutti sipreparano per incontrare i propri cari,

respirano i ricordi che sembrano vici-ni. E' un'ora di felicità, di gioia incon-tenibile, ma presto si consuma. Que-sta è la vita oltre le sbarre. E così siritorna sconsolati nella cella, con l’odo-re sulle labbra della propria bella. Sdra-iati sulle brande, si pensa solo a lei e aipropri cari, e pregando i Santi e Dio sichiede che quella giornata finisca pre-sto. Questa è la vita oltre le sbarre, que-sta è la differenza tra carcere e liber-tà. Frank Marcoaurelio (Pescara)

Illustrazione di Carlo Di Camillo

L’ultima volta che ho visto mia madre è stato in una sala col-loqui del carcere di Secondigliano. Eravamo io e mio fratelloanche lui detenuto, a farci visita furono nostra madre e miamoglie. Dopo i saluti nostra madre ci prese per mano a me emio fratello e ci disse che per un po’non poteva venire a trovarci perchési era ammalata di nuovo e dovevafarsi le chemioterapie. Io mi girai verso mio fratello e per laprima volta lo vidi piangere, ma lei lo tranquillizzò dicendoche era più forte del male e che l'avrebbe sconfitto per la se-conda volta come aveva fatto nel 2006. Da quel giorno passarono 7 mesi, poi mi giunse la notizia chenostra madre era venuta a mancare. Mi era crollato il mondo

addosso: volevo urlare e spaccare tutto ma ancora una voltariuscii a mantenere la calma. Dopo un mese mi portarono alcimitero. Era un lunedì di dicembre; arrivati al cimitero unaguardia della scorta mi fece scendere e mi portò vicino alla la-

pide di mia madre. Ricordo che posai un rosa-rio sulla croce e piansi così tanto che gli occhisi gonfiarono. "Mamma - dissi tra me - hai visto

anch’io so piangere, anch’io sono pieno di sentimenti. E nonsono tanto forte come ho fatto credere. Mamma spero cheun giorno potrai perdonarmi per non esserci stato quandoavevi bisogno di me".

Antonio De Lucia (Vasto)

OLTRE LE SBARRE

Mia madre e io

SSCRITTI

CORSARI

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orse non tutti losanno, e vale quin-di la pena di scri-verne. Nemmenoio ne sapevo al-cunché fino ad un

mese fa, quando mi è occasio-nalmente capitato tra le maniil libro dal quale sono rimastoaffascinato. Il libro è “I diavolidi Zonderwater”, di Carlo An-nese, ed è ambientato in Su-dafrica, paese ricco di materieprime, di natura selvaggia, dipotenzialità inespresse e con-traddizioni profonde e pienoanche di straordinarie storie in-dividuali sconosciute. Ne hoscoperte alcune da più libri etutte con un comune denomi-natore: Zonderwater e, toh,guarda caso, prigioni e prigio-nieri. Durante la seconda Guerra mon-diale, in un altopiano a qua-rantatre chilometri da Pretoriasono stati rinchiusi novanta-quattromila soldati catturatisui fronti dell’Africa Orientalee Settentrionale. Tra il 1941 eil 1947 Zonderwater divenneuna citta-prigione tanto di-menticata dai libri di storia quan-to esemplare, nella quale mi-gliaia di prigionieri impararonoa leggere e a scrivere, lavoran-do, recitando, cantando e col-tivando la passione, tipicamenteitaliana, per lo sport. Qualcuno era già un campio-ne, come Giovanni Manca, unpugile che nel ’48 avrebbe con-teso il titolo europeo dei pesimedi a Marcel Cerdan, il gran-de amore di Edith Piaf. O comeGiovanni Vaglietti, cresciutonelle giovanili del Grande To-rino, e Araldo Caprili, che dopola fine della guerra avrebbe gio-cato due anni nella Juventus alfianco di Boniperti e Parola.Altri invece scoprirono in quelcampo di concentramento su-dafricano il proprio incredibi-le talento. È stato il caso di EzioTriccoli, richiamato alle arminel maggio del ’40 mentre la-vorava come amanuense al co-mune di Jesi e catturati a SidiEl Barrani a dicembre di quel-lo stesso anno. Triccoli non aveva

mai toccato una spada sino adallora. Per mantenersi attivoiniziò a tirare di scherma conun sottufficiale inglese in unadelle palestre che il comandantedi Zonderwater, un colonnelloboero illuminato, fece costrui-re insieme a una ventina di tea-tri, una quindicina di scuole,una decina di campi di calcio euna quarantina di chilometridi strade. Poi prese lezioni daun capitano siciliano che erastato professore di anatomiapatologica, uno dei centoses-santa ufficiali medici detenutiin Sudafrica che tennero in fun-zione un ospedale con tremilaposti letto. Con lui studiò i fon-damenti della scherma, ana-lizzò qualsiasi gesto e creò po-sizioni rivoluzionarienell’impugnatura delle armi,grazie alle quali è possibile an-ticipare i movimenti dell’av-versario, guadagnando così unvantaggio enorme. Per essere rimpatriato Triccoliattese l’inizio del ’47, quasi dueanni dopo la fine del conflitto:mancavano le navi e il denaroper far tornare le decine di mi-gliaia di prigionieri che glianglo-americani avevano spar-pagliato tra Africa, America,India, Gran Bretagna e Austra-lia. In una valigia, che lui stes-so aveva costruito con i barat-toli vuoti della marmellatadistribuita col rancio, portò lespade, i fioretti e le maschereprotettive che aveva ricavatodal metallo delle gavette. Tremesi più tardi, non avendo piùtrovato il lavoro lasciato primadella guerra, aprì una palestrache avrebbe fatto di Jesi la ca-pitale della scherma italiana emondiale. In quei locali si sonoformati alcuni dei più grandicampioni olimpionici, come Ste-fano Cerioni, Giovanna Trillinie Valentina Vezzali, divenutipoi simboli assoluti di tutto losport italiano. E lì fino a tre gior-ni prima della morte, avvenu-ta nel maggio 1996, Ezio Tric-coli continuò a tramandare gliinsegnamenti ricevuti a Zon-derwater.

Nicola Bruzzone (Vasto)

CHIEDO SCUSAMi chiamo Pasquale, ho 21 anni, e sono di Na-poli. Fino a qualche tempo fa pensavo che lamia vita non fosse importante, il tempopassava ed io non mi accorgevo chestavo facendo del male alla mia fa-miglia. Poi ho incontrato la per-sona che sarebbe diventata miamoglie, la quale mi ha fattocambiare molto e soprat-tutto vita. Io oggi mi ri-trovo in carcere per unreato che ho commes-so quando avevo di-ciassette anni quan-do non capivo il senso della vita. Ma oggi chesto aspettando un bambino ed amo mia mo-glie, oggi mi rendo conto che non potrei piùfare del male. Da quando sono in carcere hocapito che solo lavorando si riesce a dare di-gnità alla propria famiglia e a se stessi. Vor-rei lavorare onestamente e continuare la miavita senza commettere più errori che possa-no dividermi dalla mia famiglia e farla offri-re per colpa mia. Concludo chiedendo scusaalla mia famiglia e alle persone che hannosofferto per colpa mia.

Pasquale Ventre (Chieti)

IN PERMESSO ALLA FESTA DEI POPOLIDomenica 12 giugno sono uscito in permes-so dal carcere di Chieti per poterpartecipare con l'associazione“Voci di dentro” alla festa dei po-poli alla Villa comunale. Ho vistoe capito che si possono unire lepersone di tutto il mondo senza fare distin-zione di razze, colori o religione. Eravamo lia divertirci, ho provato una sensazione unica,era da tanto che mi mancava il sorriso di qual-cuno. Sono cose che mi mancano. E io quelgiorno mi sono sentito di nuovo un uomo li-bero, tanto è vero che per un attimo ho avutol’impressione di avere anche io la mia fami-glia lì con me.

Giovanni Rega (Chieti)

Spessosei portato a chiuderti in te stesso. Lo fai perpoter affrontare i tuoi problemi, ma non tuttii giorni sono uguali. Dunque bisogna lotta-re per avere un obiettivo che più avanti possadarci un nuovo futuro.

La Storia

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Con il tempo ho capito chesono vittime anche le nostrefamiglie, che subiscono i no-stri sbagli e che vengono spes-so equiparate a quello chesiamo noi, e costrette a fare ilnostro stesso percorso di rie-ducazione.Eppure le famiglie non hannoniente a che fare con tuttoquesto, perché non hannocommesso nulla, le famiglienon devono essere messe sulnostro stesso piano. Poi ci sonole altre vittime, quelle allequali arrechiamo danno coni nostri reati: credo che non sipossa fare a meno di un con-fronto tra le due parti, cioèquella del reo e quella dellavittima, perché se le teniamodivise, ciascuna per se stessa,nessuna delle due potrà ve-ramente capire fino in fondoquello che è successo, e en-trambe rimarranno invischiate

in un senti-mento diodio. L’odiopotrà esseres u p e r a t osolo attra-verso il dia-logo, solo attraverso il con-fronto che porta gli autori deireati ad assumersi la respon-sabilità di quanto hanno fatto,e le vittime a vedere in voltoi detenuti e, ascoltando le lorotestimonianze, a dare un si-gnificato almeno in parte di-verso a quello che hanno su-bito. E forse anche ad averedelle risposte alle tante do-mande che una vittima si pone.Se tutto ciò avvenisse assiste-remmo ad un ridimensiona-mento del sentimento del-l’odio, e quindi del male tral’una e l’altra parte.

Salvatore Russo (Vasto)

Ero una persona molto sola-re, amavo la buona compa-gnia e il divertimento, pur-troppo tutto questo dentrodi me si è spento. Non c’ègiorno che non pensi a miafiglia, la amo più di ogni altracosa al mondo, ma da quan-do sono qui dentro mi pongotante domande, ad esempio:cosa penserà mia figlia sa-pendo che suo padre è in car-cere, mi rivolgerà ancora laparola? Troverò lavoro? Miafiglia è l’unica cosa che mi èrimasta. Da quando sono incarcere non ho avuto nem-meno un colloquio con nes-sun familiare, eppure in pas-

sato, quando michiedevano aiuto,nel mio piccoloquello che potevo

l’ho sempre fatto. In carce-re ho capito come sono lepersone fuori da questemura, le persone ti stannovicino solo quando sanno chepossono contare su di te, al-trimenti non esisti più. Io sonosempre stato uno capace dirialzarsi, anche se cadeva,perché penso che fino a quan-do il Signore ti dà la forza ela salute non devi chiedereniente a nessuno. Purtrop-po qui dentro mi sento e sonoimpotente, mi manca moltoil mio lavoro, mi sento unanullità, mi sento morire.

Silvio Ciaschetti (Chieti)

Disegno Carlo DI Camillo Le nostre famiglie

Mi sento morire

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RINCHIUSO IN CELLA

SSCRITTI CCORSARI

efinizione di carce-re: un luogo dovevengono rinchiusepersone che hannocommesso un reato.

Il carcere dovrebbe servire a rie-ducare, a far capire gli erroricommessi, e quindi a essere rein-seriti nella cosiddetta società ci-vile. Tutto questo privando lepersone della propria libertà,ma spesso è più della libertà checi viene tolta. In alcune carcerisi è privati della libertà di farsiuna doccia, di vestirsi come vo-gliamo, della libertà di parola.La cosa più assurda è che si è pri-vati della libertà di votare, es-sere detenuto è uguale a nonavere più diritti. La società ciconsidera come oggetti in unagrande scatola, e buttati nel di-menticatoio. Dopo tanti anni,riaperta la scatola, siamo og-getti inutilizzabili, troppo vec-

chi e mal funzionanti, in pocheparole scarto.Allora mi chiedo, dove stannola rieducazione ed il reinseri-mento, visto che in tanti ne par-lano, politici in primis? Che pos-sibilità abbiamo se la società ciconsidera persone che nonvanno aiutate, persone chevanno tenute a distanza e chemeriterebbero di peggio oltreal carcere? Essere consideratiinquesto modo aiuta a elimi-nare la delinquenza? Essere con-siderati scarto ed essere emar-ginati dalla società non fa altroche incattivire le persone, nonaiuta a far capire i propri erro-ri. Purtroppo tutti facciamo deglierrori, e non solo chi si trova incarcere, bisognerebbe capireche anche i detenuti sono esse-ri umani come tutti, e quindi avolte capaci di sbagliare.

Fabio Raia (Vasto)

D

RRicordo quando ero un bambino emia madre mi svegliava per andarea scuola, era una lotta, io che non

avevo voglia, e lei che mi costringeva. Ri-cordo che mio padre mi accompagnava eio lo convincevo a lasciarmi un po’ primadell’edificio, a lui dicevo che mi vergogna-vo di farmi accompagnare, non era vero,dovevo fare filone. Facevo di tutto per nonandare a scuola, ma a volte avevo proble-mi perché mia sorella gemella era una sec-chiona e mi diceva che se non fossi entra-to l’avrebbe detto alla mamma. Io a miavolta la ricattavo dicendole che a mammaavrei detto una bugia su di lei, così da farleprendere la sua dose di botte, mia sorella

alla fine mi copriva sempre.Oggi che sono un po’ cresciuto mi pento dinon aver studiato, e ora che ho un figlio nonfaccio altro che dirgli di studiare perché lascuola è una cosa importante. La scuola tiforma culturalmente, caratterialmente, enon ti fa commettere gli stessi errori che hocommesso io. Sei giorni prima che nasces-se mio figlio mi hanno arrestato, ora nonfaccio altro che vederlo crescere colloquiodopo colloquio. Così va la vita, un giornouscirò, e cercherò di rimediare a tutto l’af-fetto che è mancato al mio piccolo campio-ne.

Salvatore Sanges (Pescara)a mio figlio

Un raggio di sole entra a scaldarmi,alzo gli occhi e mi appare al soffittol’ombra di un cancello, proprio ac-canto al mio letto, creando nell’om-bra una scacchiera che mi invita a fareuna partita già persa. Mi addormen-to con in mano alcune fotografie doveci sono i miei familiari, e rileggo unalettera per trovare il calore e la spe-ranza di un presto ritorno in libertà.Io, carcerato, rinchiuso in questa cella,mi sento un adolescente senza i suoicari, mi stringo forte al cuscino e penso

a loro e mi chiedo chissà che stannofacendo. Il cuore venderei per un’oradi libertà, almeno per andare a casa asalutarli. Il carcerato rinchiuso in que-sta cella combatte col tempo ogni mo-mento, per compagnia passa il temponella stanza e prega Dio con una spe-ranza, aiutami a resistere Gesù. Sonovittima di uno sbaglio del destino, eper questo vengo condannato da que-sta società, lontano dalla mia fami-glia. Soffro in silenzio nel mio cuore,e solo vado contando i giorni, mentre

penso al domaniquando torneròa casa, con la gioiae la speranza diriabbracciare imiei cari. Mi chiedo cosa cambiereidella mia vita, se potessi tornare in-dietro: non cambierei mai tutto l’amo-re e l’affetto che provo per la mia fa-miglia, anche se non l’ho maidimostrato.

Luigi Palummo (Chieti)

a camorra, la mafiae la ndrangheta nonsono cose che ap-partengono solo alsud. Parlare di Na-

poli mettendo in luce solo ilmarcio non fa bene nè ai cit-tadini del sud nè a quelli delnord. È vero che la delin-quenza c’è, ma è anche veroche nessuno fa nulla per mi-gliorare la situazione. E poisi parla sempre di Scampiacome nodo cruciale dellosmercio di droga, ma cosìnon è, la droga si vendeovunque e chi può dareil buon esempio talvol-ta è anche peggio.

Antonio Idioma(Chieti)

L

arlare di car-cere special-mente in que-sto momentoè un argo-mento chefa comodoa tutti, spe-

cialmente alle istituzioni espiego perchè: chi governasi vanta del fatto di sconfig-gere la criminalità riem-piendo le carceri; una partedell’opposizione parla sot-tovoce dei problemi che cisono per non mettersi con-tro l’opinione pubblica, altrifanno demagogia per atti-rare l’attenzione dei votan-ti. Gli unici che parlano inmodo coerente, ma nonhanno nessuna voce in ca-pitolo, sono i radicali. Co-munque nessuno è in gradodi parlarne con cognizionedi causa, perché per parlar-ne bisogna starci dentro, bi-sogna vivere questa realtà.E dunque bisogna veramentefar uscire fuori quello chesuccede nel pianeta carce-re. Non voglio soffermarmisul sovraffollamento e sullecondizioni disumane che esi-stono nella maggior partediegli istituti di pena, ma vo-glio parlare dell’utilità cheil carcere può avere per chicommette un reato.E' un dato di fatto che lamaggior parte dei detenu-ti o per un motivo o per unaltro non ha mai frequen-tato la scuola, e se l’ha fattoè stato solo per qualcheanno, e tutti sappiamo che

per crescere nella vita, per po-tersi confrontare con tutti , lacosa più importante è la cultu-ra. Purtroppo non avendo que-sto si rimane ghettizzati e co-

stretti a vivere in un mondoparallelo potendosi con-frontare solo con personedello stesso livello. E alloraperché non diamo la possi-bilità reale specialmente aigiovani di studiare, ma stu-diare ed apprendere real-mente non come avvieneadesso in quelle poche car-ceri dove si va a scuola soloper perdere tempo, e ma-gari quelli che hanno in re-galo la licenza media, sonoconvinti che hanno impara-to qualcosa, e non sono statiusati come cavie per giusti-ficare l’ennesimo finanzia-mento inutile erogato dalleregioni. Mettiamo la scuola vera nellecarceri con insegnanti diruolo con un programmadecente, dove si può inse-gnare tutto a cominciare dal-l’educazione civica, e, per-ché no, incentivare i detenutifacendo capire che è essen-ziale per loro, e che in baseal rendimento ed al profit-to possono usufruire di be-nefici speciali. Forse mi illu-do, ma io sono convinto chesolo questa cosa darebbe lapossibilità a tanti giovani dinon tornare più in carcere.Allora mi domando: è piùcomoda l’ignoranza? A voila risposta.

Domenico Bassolino

econdo una recente ricerca del-l’Unla (unione nazionale per lalotta contro l’analfabetismo), trail 20 ed il 25% degli studenti checonseguono il diploma di scuolamedia inferiore non sanno leg-

gere o scrivere. L’Unla, impegnata da annia studiare ed aggredire la dura realtà deldiffuso semianalfabetismo nel nostro

paese, ha infatti portato a termine unaricerca il cui risultato è sconvolgente. Insintesi: il 12% della popolazione è anal-fabeta e senza alcun titolo di studio, sitratta circa di sei milioni di cittadini. Il 33%della popolazione è in grado di affronta-re le sfide della società contemporanea,poiché ha la formazione di base neces-saria, invece il 66% dispone di una for-

mazione insufficiente per partecipare allosviluppo della società. Si tratta di trenta-sei milioni di italiani da considerare anal-fabeti totali, semianalfabeti o analfabetidi ritorno, comunque non in grado di af-facciarsi sul mondo del lavoro e difendersidi fronte ai continui cambiamenti che lohanno investito. La situazione è più gravedal centro al sud. Basilicata, Calabria, Mo-lise, Sicilia, Puglia, Abruzzo, Campania,Sardegna ed Umbria sono regioni conuna popolazione analfabeta, senza alcun

titolo di studio, che supera 8%.Le città con maggiore percentua-le di analfabeti sono: Catania, Pa-lermo, Bari e Napoli. Secondo icomponenti del comitato scien-tifico che ha condotto la ricerca,l’investimento sull’istruzione sco-lastica è urgente, ma bisogna averechiaro che i risultati si possonoavere in tempi medio lunghi. In-vestire invece sulla formazionecontinua degli adulti, consente diacquisire i risultati in tempi brevi.Servirebbero enormi risorse da in-vestire su entrambi i segmenti del-l’istituzione. La strada da fare èlunga e servono investimenti atappeto, altro che tagli.

Salvatore Aniello Palumbo(Chieti)

Analfabetismo, i dati

p

S

32

Nel cammino della mia vita ho

intrapreso un percorso tortuo-

so che mi ha portato a cadere

per poi dovermi rialzare con le

mie sole forze. Ma ogni volta

che mi risollevavo dal suolo, in-

travedevo un’altra ferita sul

mio corpo. Ferite che mi com-

portavano atroce sofferenza,

ferite che sembravano volermi

impedire di continuare a per-

correre quel che io credevo la

strada giusta, quella strada che

alla fine mi avrebbe riservato

un futuro migliore. Ora guar-

do ad una vita fatta di respon-

sabilità, comprensione e umil-

tà, elementi che ti fanno

rivedere tutto ciò in cui crede-

vi. Voglio dedicare la mia vita

esclusivamente ai miei figli e

far sì che loro siano la mia forza

per trasformare un'esperienza

negativa in positiva perché per

amore si può cambiare. Come

nostro Signore ha inciso il no-

stro destino sulle pareti del

tempo, io il loro amore l’ho in-

ciso sulle pareti del mio cuore.

Fortunato Parisi (Pescara)

SCRITTI

CORSARI

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lavoro di chi inse-gna negli istituti dipena non è facile,basti considerarel’eterogeneità degliinsegnanti, gli osta-coli da superare a li-vello comporta-mentale e la carenza

di strumenti educativi. È auspicabile, atal proposito, il potenziamento dellascuola all’interno delle carceri, con in-terventi mirati anche al coinvolgimen-to di studenti esterni con studenti de-tenuti, mediante la formazione di gruppiomogenei e la revisione dei program-

mi di studio. Grazie all’istruzione il car-cere diventa crescita. Dico questo considerando che la mag-gioranza della popolazione carcerariaversa in uno stato di pericolosa igno-ranza, a volte a causa di situazioni fa-miliari e sociali difficili e poco incenti-vanti, a volte a causa dello scarso interessedei detenuti a programmare il futuro.Ma una volta, che il detenuto prendecoscienza della propria ignoranza e siadopera per porvi rimedio, dovrebbeessere aiutato dalle istituzioni e stimo-lato ad approfondire le materie ogget-to di studio. Tuttavia, questo non sem-

pre è possibile, e non per la qualità degliaddetti ai lavori, ma per carenze strut-turali. Basti pensare che in alcune scuo-le carcerarie i libri di testo non sono di-sponibili, il che crea problemi siaall’insegnante sia all’allievo.Penso inoltre che se esiste la volontà daparte dei detenuti di migliorarsi perso-nalmente e culturalmente, la scuoladebba essere incoraggiata con tutti glistrumenti a disposizione e non, comespesso accade, scoraggiata. Bisogne-rebbe cercare di sensibilizzare l’opinio-ne pubblica, gli organi preposti al-l’istruzione e l’amministrazione carcerariasu questa tematica, perché l’alto tasso

di ignoranza è una delle cause princi-pali della delinquenza.La mancanza di educazione è un tram-polino di lancio che porta a vivere al difuori del contesto sociale e civile, con laconseguenza che il carcere diventa lameta obbligata. Per rendere il carcereriabilitativo c’è bisogno di potenziarela scuola. Per esperienza personale possoaffermare che seguire il corso al liceoscientifico e poi l’università nella CasaPenale di Porto Azzurro mi è servito acrescere non solo culturalmente, maanche moralmente. Non solo: mi ha datoserenità nei confronti delle istituzioni.

Sono convinto che l’istruzione all’in-terno del carcere, attraverso il poten-ziamento della scuola e i corsi profes-sionali, non può che sortire beneficisoggettivi e collettivi, poiché è nel-l’ignoranza che prosperano certi valo-ri sbagliati come la prevaricazione, i fa-cili guadagni, il materialismo sfrenato.Unareale apertura verso la scuola è capacedi far germogliare i veri valori della ci-viltà, è capace di predisporre i detenu-ti/studenti a cambiamenti radicali nelmodo di vivere. Sono necessarie un’educazione conti-nua e un’istruzione permanente, corsidi formazione professionali per pro-

muovere nel detenuto un senso auten-tico di civiltà e dargli così la possibilitàdi intraprendere un dialogo nuovo, certoe sicuro. Il potenziamento della scuolanel mondo carcerario permetterà a per-sone qualificate di riconoscere le capa-cità, non solo scolastiche, del detenutoe di valutarne un serio reinserimento,rispettando i suoi sforzi. Ecco perchésono certo che la scuola sarà veramen-te utile non solo ai detenuti, ma alla so-cietà che ai detenuti chiede di reinse-rirsi.

Nicola Paradiso (Chieti)

L’ISTRUZIONE È ALLA BASE DELLA RIEDUCAZIONE

il

SSCRITTI

CORSARI

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Sono un ragazzo che haconosciuto troppo pre-sto la vita. A diciassette anni i miei

compagni andavano a divertirsi e agiocare, mentre io non potevo per-ché avevo già una famiglia, una mo-glie da mantenere, ma tutto ciò nongiustifica il mio modo di affrontare lavita. Ho commesso tanti errori, che mihanno fatto toccare il fondo e mi hannofatto conoscere il carcere. Sento den-tro ancora il dolore delle cose ingiu-ste che ho fatto, e la sofferenza mi hafatto capire tantissime cose. Come me,tanti altri ragazzi, che si sono trovatia vivere nei quartieri devastati dal-l’illegalità, dalla mancanza di culturae dalla povertà. Ci sono troppe fami-

glie che non vogliono capire che lostudio è importante, pensano solo acome guadagnare soldi, non impor-ta come. A Napoli c’è un proverbiomolto antico, che dice: Napule è commo presepe e’ natale, ma song e pasturche non so buone. Se una personacome me vuole un lavoro onesto, lacosa diventa difficile a causa dei pre-cedenti penali. La maggior parte deidetenuti si trova in carcere perché hacommesso reati per necessità, dovutialla droga, o alla povertà, senza poicontare gli stranieri.Pensate che i bambini che abitano nelmio quartiere, anziché giocare a pal-lone o fare i giochi dei bambini, gio-

cano a fare gli spac-ciatori. Che personesaranno da grandi?Non diventerannomai degli avvocati odegli infermieri, odegli artigiani. Se sivuole aiutare veramente i detenuti, ecapire davvero i problemi che hannocon la società, bisogna iniziare ad edu-care i bambini, solo in questo modosi può migliorare il sud. La vita è bella e va vissuta, ma è unasola, non va sprecata, non bisognafare i furbi, perché dall’altra parte c’èsempre qualcuno che soffre per il no-stro comportamento.

Pasquale Pagano (Chieti)

Eccomi di nuovo sdraiato, immo-bile sopra al letto che un giudi-ce ti assegna dopo il tuo enne-

simo arresto, ma oggi c’è una novità.Apro il mio lettore CD e ci infilo den-tro un disco che ho trovato nella cellache mi hanno assegnato, credo chequalcuno nella fretta di uscire l’abbiadimenticato. Lo prendo e cerco di ca-pire di cosa si tratta, ma non ci sonoscritte, foto, è senza indicazioni. Concalma lo inserisco nel lettore e aspet-to che inizia girare,mi arrivaquasi su-bito unsuono leg-gero, è unpianofor-te, nessu-no canta,solo musica, una musica triste ma sof-fice. Chiudo gli occhi e immagino di es-sere io seduto a suonarlo, vedo i tastibianchi e neri, ho quasi timore nellosfiorarli ma le mie mani sembrano co-mandarsi da sole, le guardo e sono giàlì sulla tastiera a fare una specie didanza, accarezzando i tasti ma soloquelli bianchi poi d’un tratto torno pa-drone di tutto il mio corpo e sono io afar danzare le mie mani, decido di ac-carezzare anche i tasti neri e come permagia nella mia mente torna il ricor-do di un viso, mi concentro e mi è su-bito chiaro, è mio nonno. Non so qualesia l’attinenza con i tasti neri, forse per-ché mio nonno aveva dei lunghi capellineri, era l’ultimo di una tribù di india-ni d’America, e molto spesso mi rac-contava storie di battaglie di caccia di

guerrieri morti e reincarnati in formaanimale. Storie di donne bellissime e di cavallipezzati, io gli lisciavo i capelli e im-provvisavo una treccia, così come ades-so con il mio pianoforte cerco di in-trecciare le note in mezzo a tasti bianchie tasti neri di fronte al dolore e allagioia, circondato da lune e soli di unpassato lontano, troppo lontano pertornarci. Forse dovrei suonare le notedel presente, anche se tutto mi spa-venta, o forse dovrei suonare il futuronon so, so soltanto che queste mie notemi trafiggono il petto e dal mio corpone esce miele, è un dolore dolce come

dolce è il ricordo di mio nonno, e strug-gente è il fatto di non averlo qui ac-canto a me, e mentre il mio concertosta per terminare sono quasi coscien-te, sono ritornato dal mondo che nonc’è più se non solo nella mia mente.Con calma sorrido ripensando a miononno e capisco che porto con me ilsuo ricordo, mi basta chiudere gli occhiper rivederlo. Faccio per rialzarmi dalletto e mentre sto per togliermi gli au-ricolari una voce sembra arrivare dalprofondo degli abissi, ma è chiarissi-ma, dice: notturno di Chopin

Giuseppe Festinese (Lanciano)

notturno

o’messagg’

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Sia nel benecome nelmale, sem-

brerà assurdo, mavi è una forma dimoralità. I secolipassati hanno unavasta enciclo-pedia sul mo-ralmente giustoo sbagliato, peròc’è sempre il fat-tore X che in-combe sulle no-stre scelte, infondo siamoumani. E’ la mo-ralità del male!Anch’ essa ècombattuta dal so-lito ritornello: che

cosa sto combi-nando? Conside-rando che di par-tenza si stacommettendo unosbaglio, qualunqueesso sia. Dopo que-

sti vaneggia-menti, porsi sem-pre il quesito seuna cosa è mo-ralmente giustao meno, può ri-sultare un eser-cizio sano cheossigena lamente, rinvigo-risce il cuore eper concludere,

riempie l’animo ditranquillità.

Cara mamma, sono entrato nel-l’inferno e ho lottato con animevaganti, e ho capito che questa

lotta non finisce mai. Il sole si vedepoco, la luna la fa da padrona, l’at-mosfera padroneggia sulla mia pelle.Qui dove tutto è oscuro. Dagli occhi li-beri non si vede niente al di fuori. Chedolore, ma l’unica cosa che non smet-terò mai di pensare sei tu mamma chesolo col pensiero riempi tutte le mie

giornate. Tutto questo scompare, misembra di essere in paradiso, non per-ché sono morto ma perché sono vivo

Gennaro Marra (Pescara)

Dormi,La terra ti rivesteCome un manto d’amore,Quell’amore che tu ci daviA piene mani.Dormi.I lumi rischiaranoLa tua notte eterna,O forse soltantoIl nostro cupo dolore.Dormi.Ghirlande di fioriAvvizziscono nel fangoMa i loro petali siano come ca-rezzeSul tuo volto di cera.Dormi.Ma veglia sui nostri sonni inquieti,Sulle nostre notti solitarie,Sulla nostra nostalgiaDei tuoi sorrisi.

Radu Roman (Vasto)

a m

io p

adre

cara mamma

mor

alità

Fiducia e stimasono i pilastrid e l l ’ a m o r e ,senza i qualiesso non puòesistere, perchésenza stimal’amore non haalcun valore, esenza fiducianon ha alcunagioia. L’amoreè un tesoro chenè le tarme nèla ruggine pos-sono distrug-gere quando èsincero. Tuttociò che amoperde metà delsuo piacere setu non sei li a di-viderlo con me.

Marco Beka(Pescara)

Alioscia Pignatelli (Pescara)

arcere, oggi piùche mai, significaper chi, dentro efuori, è coinvoltoda tale esperien-za, una drastica

riduzione dei rapporti, qual-siasi essi siano. Dico “oggi piùche mai”, perché di nuovo ilcarcere sta ritornando luogorimosso e da rimuovere per lasocietà esterna: luogo dove sideve semplicemente punire,anziché costrui-re il percorso perritornare fuori,a vivere insieme agli altri.Voglio comunque dire che ini-ziative come quella che assu-memmo nel 1999 in quel diRebibbia N. C. “G8” con il com-pianto e mai dimenticato com-pagno di sventura e grandis-simo amicone GiancarloTrovato, oggi assumono un’im-portanza ancora maggiore diquelle che potevano avere unpo' di anni fa: riaccendono iriflettori sul carcere, fanno sìche non venga dimenticato.Perché il carcere non è “altro”dalla vita sociale, ma ne faparte. E che la tutela per lepersone detenute di alcuni di-ritti fondamentali deve esse-re riaffermata con forza.Se il problema della comuni-cazione è drammatico per tutti,lo è maggiormente per i de-tenuti, infatti: solo ieri ho sa-puto della prematura perdi-ta (avvenuta il 26/02/2011 alle11,30), di Giancarlo Trovato.Per 11 lunghissimi anni (i primi6 da dentro il carcere, di cuinon gli è stato risparmiato nep-pure un solo giorno rispettola condanna che aveva ripor-tata), e il restante da fuori,anche se già era minato daquell’incurabile male straf-fottutissimo… Egli ha diretto(dopo averlo fondato di sanapianta e a lungo mantenutoassolutamente indipenden-te), “Nonsolochiacchiere”,quattro facciate di giornaleche per un certo periodohanno addirittura mantenu-ta, dopo averla miracolosa-mente raggiunta, una tiratu-ra di oltre ventimila copie.La sua ultima missiva risale al24 gennaio u. s., dignitosissi-ma come sempre, pur nellasua drammaticità, dove mi an-nunciava l’irreversibilità del

suo male; le preoccupazioniper la sua pur coriacea Com-pagna Beatriz Luisa Pastori; iltemere di non poter neppurvedere l’alba del suo 68mocompleanno (che cadeva loscorso marzo). Dopo avergliprontamente risposto e nonricevendo altrettanta prontarisposta per come era solitofare, ho temporeggiato a ri-farmi vivo con lui e, il motivoè stato duplice: da una parte

e almeno inizialmente, nonvolevo turbare la serenità concui il povero Giancarlo stavadimostrando d’affrontare iltutto e mi dicevo che si sareb-be fatto risentire lui… in par-ticolare contavo sulla ricor-renza del suo compleanno…Poi, trascorsa quest’ultima, te-mevo per l’appunto che a ri-spondermi fosse Bea con ladolorosissima notizia, o chepeggio ancora mi tornasse in-dietro la lettera con qualchedicitura straffottutissima…beh, per quanto abbia tem-poreggiato, almeno mi è statarisparmiata quest’ultima ipo-tesi, la quale sarebbe anchestata la più tremenda, perchéoltrettutto non avrei neppursaputo di Bea oltre che di luicon certezza… mi ha infattirisposto Bea, lo ha fatto conquella consistenza che pur leconosco da sempre, dimo-strandomi di reagire con le do-vute forza e coraggio, che sonopoi anche le cose che si auspi-cava il povero Giancarlo.Bea lamenta in particolare latotale assenza di quelli che invita gli si dicevano amici al-l’indimenticato Giancarlo, etemo che si riferisca in modoparticolare a quelli che lo fre-quentavano nei vari ambitidel “Giornale”, che per il po-vero Giancarlo era, per l’ap-punto assieme a Bea, ragionedi vita. E allora, temendo chenon l’abbiano fatto, lo ricor-do io: Ciao! Giancavallo! E nonè un refuso: solevo rivolgermia lui proprio con quest’ap-pellativo, così come egli sole-va chiamarmi Polifemo a causadella carenza del mio occhiodestro… per cui: Ari-Ciao!Giancavallo!

Polifemo

C

CIAO GIANCAVALLO

Fiducia

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“Innanzitutto vi ringrazio, perché es-sere qui oggi per me è una grande op-portunità che mi permette di cono-scere anche questa realtà. Questa visitapuò essere importante per noi, per lacategoria che rappresento, per capirei vostri problemi un domani quandorientrerete nella società e nel mondodel lavoro”. Queste le parole di PaoloPrimavera presidente di AssindustriaChieti all'incontro con la redazione diVoci di dentro del carcere di Chieti.

Presidente, qual è la si-tuazione del paese dalpunto di vista degli im-prenditori?“Oggi ci troviamo in una fase particola-re, c'è questo governo che sta perdendotroppo tempo con vicende che bloccanoil corso regolare che è quello di emana-re leggi ed occuparsi di far crescere il pro-dotto interno lordo del paese interve-nendo con agevolazioni e favorendo leinfrastrutture per rilanciare l’economia.Noi abbiamo bisogno di un paese chevenga modernizzato al più presto, per-ché abbiamo un'economia mondiale checammina venti-trenta volte più veloce.Inoltre va ridotta la burocrazia che inci-de sul prodotto finito intorno al trentaper cento. Uno dei problemi è anche quel-lo dei contratti. Da una parte il sistemaè troppo garantista per chi lavora concontratto a tempo indeterminato, dal-l'altra è poco attento al mondo del la-voro precario. In particolare per quantoriguarda i primi, oggi scontiamo il pro-blema delle assenze per malattia: sonotroppe, diciamo che c'è un abuso tantoche le percentuali nel nostro paese sonoaltissime e per nulla paragonabili a quel-le in paesi vicini al nostro come Franciao Germania (8 contro 2), alzando mol-tissimo i costi per le aziende. In Italia tral'altro abbiamo un handicap maggiore,perché in confronto a Germania e Fran-cia, paghiamo l’energia quasi il 40% inpiù. Questo significa che non siamo piùconcorrenziali sul mercato. Senza con-tare l'onere contributivo: se paghiamo200 ben 130 se ne vanno in contributi. Ilnostro paese, inoltre, paga per la man-canza di infrastrutture efficienti. Vi fac-cio un esempio: oggi portare un contai-ner di materiale da Singapore a GioiaTauro costa sui mille dollari, per portaloda Gioia Tauro in val di Sangro ci vogliono1.800 euro. Per questo motivo sono piùdi venti anni che noi ci stiamo battendo

con le istituzioni per costruire un portoad Ortona”.

Chieti in questi ultimitrent'anni ha perso gran-di industrie come la Gi-nori ad esempio e piùrecentemente se ne è an-data anche la Burgo.Come giudica questo?“Chiusure e aperture di aziende ci sonosempre state. Ma il punto è che il terri-torio deve essere appetibile. In Val Pe-scara c’è stato uno sviluppo non pianifi-cato. L'area Chieti-Pescara è considerataarea metropolitana, ma di fatto lo svi-luppo non esiste, perché l’amministra-zione di Pescara guarda i propri interes-si, quella di Chieti i suoi, di fatto c’è questoconfine che spacca in due il territorio.Comunque quello che è importante oggiè che si deve rendere appetibile il terri-torio, facilitando la logistica. In pocheparole per venire nel territorio ci deveessere convenienza, altrimenti i costi diproduzione sono troppo alti e sei fuoridal mercato. Faccio un esempio: se io vo-lessi impiantare un'azienda oggi sul ter-ritorio nazionale, ho bisogno di sessan-ta autorizzazioni da parte dei vari uffici

dell’amministrazione pubblica con tan-tissimi costi, e moltissimo tempo perso.Con Banca Intesa abbiamo fatto un ac-cordo in Abruzzo per sostenere le pic-cole e medie imprese, ci saranno contri-buti che verranno dati in maniera moltoveloce. In questo modo abbiamo cerca-to di sostenere le nostre imprese in que-sta crisi un po’ anomala. Ma il governocosa ha fatto? Ha sostenuto le bancheper una questione di economia nazio-nale e ha fatto affogare le imprese cheavevano contratto debiti con le banche,cioè non c’è stata una vera politica di ri-sanamento e di sostegno da parte delgoverno”.

Parliamo di noi detenu-ti. Quando usciamo daqui, chi ci prende? Siamofuori mercato, dopo annidi carcere non siamo com-petenti in nulla.“Il problema della formazione del lavo-ro non è un problema solo di chi esce dalcarcere, ma è un problema anche dellepersone che in carcere non ci stanno.Oggi la formazione lavoro non formaniente, perché serve solo a pagare i for-matori, in quanto le persone che fre-

INCONTRO con il presidente degli

Paolo Primavera (al centro) con la redazione interna al Carcere di Chieti

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quentano questi corsi non sono in gradodi poter svolgere in una impresa il lavo-ro per cui sono stati formati, di conse-guenza le imprese devono formare il pro-prio personale con costi e tempi lunghianche di due anni. Anche questo un pro-blema da risolvere”.

Cosa pensa della pro-duzione di energia dafonti alternative? InAbruzzo si discute moltoanche sul petrolio.“Per quanto riguarda le fonti di energiaalternativa, c’è stato un provvedimentodel governo, a mio avviso scellerato, cheha tolto l’incentivo a quelli che stavanoinvestendo nelle fonti di energia alter-nativa. Questo cosa ha comportato ilfatto che gli investitori si sono trovati daun giorno all’altro a dover far fronte dasoli a questi investimenti, e di fatto si èbloccato tutto, mettendo a repentagliola solidità delle imprese che avevano in-vestito in queste strutture , in specialmodo nel fotovoltaico. Poi ci sono altrisettori che usufruiscono degli incentivi. Quanto al petrolio, penso che si stia fa-cendo dell'inutile terrorismo psicologi-co. Io non dico che questa regione nondeve puntare sull’ambientale e sul turi-

smo, tanto è vero che stiamo portandoavanti il progetto della costa dei tra-bocchi, però ritengo che non bisognafare scelte radicali, perché il turismoe l’ambiente da sole non portano ric-chezza e occupazione. Vi dico solouna cosa: i sistemi di sicurezza sul set-tore petrolifero sono all’avanguar-dia e diventa quasi impossibile che cisia qualche tipo di inquinamento. Poitra l’altro abbiamo fatto alcune ana-lisi sui terreni e sui fiumi qui in Abruz-zo. Il risultato è che sono apparsi in-quinati non da fabbriche o da petrolioma dagli agenti chimici usati in agri-coltura. Comunque c'è un dato chedeve farci pensare: con le royalty sulleestrazioni petrolifere la Basilicata haincassato nell’ultimo anno cento-quindici milioni di euro e da solo il co-mune di Viggiano ha preso dall’Eniquattordici milioni di euro. Abbiamola sanità che ha il deficit più alto d’Ita-lia, un territorio disastrato, siamo tas-sati fino alla terza generazione, al-lora noi dobbiamo trovare unasoluzione. Il nucleare no, il petroliono, l’eolico no. Qualche cosa la dob-biamo pur fare”.

Un giudizio sui politici?“Penso che la politica si debba rinnova-re completamente, perché abbiamo bi-sogno di persone più attente ai proble-mi della crescita e dell’occupazione. Èinconcepibile che il governo non riescaa fare il proprio dovere (emanare leggi)perché bloccato da problemi che non in-teressano il proprio paese, ma riguar-dano spiacevoli episodi di qualche par-lamentare”.

Un consiglio?“Oggi la giusta idea è quella di consor-ziarsi, di fare rete di impresa, unico modoper poter affrontare dei mercati semprepiù di qualità. Allora l’abilità oggi è riu-scire a creare insieme ad altre persone.Poi occorrono persone specializzate, peraggregarle e metterle insieme nei varisettori. L'Italia ha una imprenditorialitàformata da piccole realtà, e quindi soloconsorziandosi hanno la possibilità di re-stare sul mercato e vendere il proprioprodotto. Infine vi voglio dire una cosa:se andate a lavorare in un’azienda do-vete diventare imprenditori di voi stes-si, e poi ci vuole sempre l’impegno ed ilrispetto delle regole che non sempre c’è”.

Trascrizione di Vincenzo Ficarelli

i industriali PAOLO PRIMAVERA

LUGLIO 2011Periodico di cultura, attualità, cronaca delleCase Circondariali di Chieti, Pescara, Vasto,

Lanciano edito dall’Associazione “Voci di Dentro” [email protected]

Redazione: via Porta Pescara 3 - ChietiDirettore responsabile: Francesco Lo Piccolo

Art Director: Ivano Placido

Impaginazione: Mario D’Amicodatri - CSV Chieti

Redazione: Aldo Berardinelli, Otello Brogna,Gabriele Di Iorio, Matilde Giammarco, Vincenzo Ficarelli

Editing: Mascia Di Marco, Luisa Vaccari

Organizzazione e coordinamento:Silvia Civitarese Matteucci

Collaborazione nei laboratori per i detenuti: Giuliana Agamennone, Cristina Sofia

Contributi e articoli di :Luca Aggiato, Emiliano Amorosi, Giovanni Amura,Paolo Astavita, Alfonso Balido, Domenico Bas-solino, Daniele Baldini, Marco Beka, Marco Bram-billa, Nicola Bruzzone, Ergus Bubeqi, UmbertoCaiano, José Cavallucci, Odogwu Celestine Chi-mezie, Salvatore Ciambriello, Pasqualino Cian-ci, Silvio Ciaschetti, Roberto Costantino, FabioCostanzo, Paolo Crocini, Mario Darone, WalterDel Conte, Carlo Di Camillo, Antonio Di Giaco-mo, Cristian Di Giovanni, Cristian Di Marzio, Da-vide Di Paolo, Alessio Di Renzo, Massimo D’Ono-frio, Said Dridi, Andrea Elian, Samir Elouni, DiegoFerri, Giuseppe Festinese, Alessandro Galdo, An-gela Girinelli, Mariano Grande, Giuseppe Guar-nieri, Antonio Idioma, Ciro Improta, FrancescoIoia, Orges Kulla, Gentian Levendi, AlessandroMancini, Frank Marcaurelio, Gennaro Marra, TilMiloslav, Georigios Mirtilidis, Pasquale Pagano,Pierluigi Pala, Luigi Palummo, Emidio Paolucci,Nicola Paradiso, Fortunato Parisi, Salvatore Pa-scarella, Davide Pecoraro, Pasquale Perfetto, Giu-seppe Pigna, Alioscia Pignatelli, Fabio Raia, Da-niel Raducan, Taofik Ragui, Giovanni Rega,RaffaeleRegina, Salvatore Sanges, Aureliano Scialabba,Ilmi Spahiu, Miroslav Til, Radu Roman, Salvato-re Russo, Domenico Silvagni, Stan Sorin, Pa-squale Ventre, Cornel Liviu Vlad.

Laboratori di scrittura e giornalismo presso:Casa Circondariale di Chieti, via E. Ianni 30Casa Circondariale di Pescara, via San Donato 2Casa Circondariale di Vasto, via Torre Sinello 23Casa Circondariale di Lanciano, Villa Stanazzo

Stampa: TECNOVADUE viale Abruzzo 232, Chieti

Registrazione Tribunale di Chietin. 9 del 12 /10/2009

Allo spettacolo erano presenti gliallievi della classe IV, accompagnatidalla Prof. Roberta Bucci, del-l'Istituto “F. Galiani” di Chieti. Chehanno letto la seguente lettera:Ciò che ci viene spontaneo dirvi ègrazie,grazie a tutti iniziando dal-l’ispettore fino a voi che siete statii protagonisti di quella giornataper noi tutti speciale. Ci sono espe-rienze che ti fanno cambiare, espe-rienze che ti fanno davvero ap-

prezzare tutto ciò che hai,esperienze che non ver-ranno mai dimenticate esiamo certi che questa che

abbiamo vissuto con voi abbia tuttele caratteristiche per non esserecancellata. Appena siamo arriva-ti avevamo le idee confuse su cosaavremmo visto o chi avremmo in-contrato, ognuno con i propriopensieri e pregiudizi e invece ab-biamo incontrato Voi, ragazzi, uo-mini che con la loro solarità e spon-

taneità ci hanno fatto sentire a no-stro agio. Nei vostri volti un sorri-so di cortesia che nascondeva tantodolore e sofferenza: è questo ilprimo impatto che abbiamo avutocon voi. I nostri sguardi che si in-crociavano timidamente pian pianoci hanno permesso di guardareoltre ciò che l’apparenza ci mo-strava,per scoprire persone chehanno voglia di ricominciare nellamaniera giusta e che hanno capi-to davvero il valore della vita. Quelgiorno voi, con le vostre storie, ciavete insegnato forse la più gran-de lezione che mai nessun illustreprofessore avrebbe potuto inse-gnarci: la vita è una sola e bisognaviverla. Con le vostre parole ci siamoresi conto di quanto possa esserefondamentale un SÍ o un NO. Gra-zie a voi tutti ognuno di noi ha ri-flettuto sul valore della vita e forseè riuscito a conoscere tante pic-cole verità prima sconosciute. Voi

ragazzi come noi gioiosi, sim-patici, pieni di speranza uo-mini che hanno capito ciòche rappresenta la libertà,ragazzi che sicuramentequando usciranno di qui sa-ranno persone che insegne-ranno ai propri figli il valo-re della legalità e del rispetto.Sappiamo benissimo che pervoi è stata dura e continuaad esserlo e sappiamo anchedalle vostre parole di quelgiorno che ci saranno moltecose di questo luogo che por-terete per sempre con voi,come ad esempio il rumore

delle serrature, la chiave che gira, le celle che si chiudono , tutti ele-menti che purtroppo ricordano ilmotivo per il quale siete qui,chesimboleggiano una libertà per-duta e che per essere riconquista-ta deve essere meritata.Una delle scene che ognuno di noiporterà per sempre nel propriocuore è sicuramente il nostro sa-luto finale,l’immagine delle vo-stre mani, solo le vostre mani, manisenza volti, mani che escono fuorida quelle sbarre, come a cercaredi afferrare un briciolo di libertà.Quelle stesse mani che si muove-vano freneticamente in un gestodi saluto , quelle mani che appar-tengono a tutti voi che oggi sietequi ad ascoltare queste poche righeche abbiamo scritto con il cuore,Grazie ancora di tutto e vogliamoaugurarvi tutta la felicità e la for-tuna di questo mondo grazie an-cora non vi dimenticheremo!»

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Se si trattano le per-sone per ciò che sonoesse resteranno quel-le che sono, ma se le

tratti per ciò che potrebbero di-ventare allora daranno il megliodi loro stessi». E’ in queste frasipronunciate dalla regista PaolaCapone il vero significato di quel-lo che è avvenuto nel carcere diChieti: quattro mesi di prove, unaventina di detenuti impegnati astudiare il grande Edoardo, infi-ne la messa in scena in tre repli-che della commedia “Napoli mi-lionaria”.Commedia che ha strappato ap-plausi e sincere lodi agli attori.«In carcere – ha detto il provve-ditore regionale dell'Ammini-strazione Penitenziaria Salvato-re Acerra - ho assistito a tanterappresentazioni, ma in 34 annidi attività, 20 anni dei quali comedirettore di Poggioreale, mai miè capitato di provare così tantaemozione come ho provato oggi».E l’emozione, oltre alla grandis-

sima bra-vura ditutti glia t t o r i ,l’hannodata lep a r o l edel pro-tagoni-sta di“Napolimiliona-ria”, donGenna-ro, inter-pretatoda Nico-la Para-diso chealla mo-g l i eA m a l i ache “si arrangia con la borsa nera”e trascura i figli, interpretata daAngela Girinelli, dice così: «Sonotornato dalla guerra e mi crede-vo di trovare la famiglia mia o di-strutta o a posto, ma onesta. Ma

vedendo tutta questa quantità“de carte 'e mille lire” mi pareuno scherzo, una pazzia». Ed èqui l’altro significato di questacommedia messa in scena nel tea-tro del carcere affollato di pa-

renti di detenuti, studenti, au-torità: la pazzia causata dallaguerra ha indurito i cuori e si èportata via famiglia, onestà, so-lidarietà.

Napoli milionaria

L’Albergo del silenzio

Napoli Milionaria di Eduardo De Filippo, regia di Paola Capone - Casa Circondariale di Chieti

L'Albergo del Silenzio di E. Scarpetta, regia Armida Tumini - Carcere di Lanciano

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I BAMBINI DEL COROIn occasione dello scorsoNatale ci è stato portato undono molto speciale: unconcerto dei bambini delcoro della scuola elemen-tare di Cepagatti “ R. D’or-tenzio”. Un evento emo-zionante che ha portatosensazioni ormai dimenti-cate in un luogo dove la so-litudine, l’abbandono, latristezza, regnano giornosu giorno. I sorrisi l’allegriae la dolcezza di quegli occhihanno portato una venta-ta di speranza, che per ungiorno hanno colorato que-sti muri grigi. Dentro di noi,e credo di parlare a nomedi tutti, rimarrà per moltotempo il ricordo di una gior-nata così speciale.Chi più dei bambini può ri-dare speranza e forza a chinel passato ha sbagliato,nel presente sta maturan-do e ha bisogno di credereche può esserci un futuromigliore. E proprio i bam-bini sono il futuro, la spe-ranza e la vita che continuasempre e comunque.

Diego Ferri (Chieti)

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Sono un detenuto e per le persone chenon mi conoscono sono anche un delin-quente. Ma io non mi sento un delin-quente. Ora vi spiego: sono di Napoli, eabito a Scampia, un quartiere perifericodove vi è un disagio sociale elevatissimo,e quando nasci e cresci nell’illegalità, dovevendere droga, fare sparatorie e insegui-menti con le forze dell’ordine sono pane

quotidiano, arrivi a vent’anni che tuttoquesto diventa normale, diventa routine.Mi hanno arrestato un paio di volte, maora che ho ventisette anni mi sento ma-turo. Ricordo ancora quando parlavo congli operatori e mi domandavano per qualereato fossi stato arrestato, e io risponde-vo candidamente: spaccio e detenzione.Vedevo lo sguardo degli educatori molto

perplesso, ma per me allora non era unacosa tanto grave, visto il posto dove erocresciuto. Solo ora capisco cosa stavo fa-cendo. Spero che un giorno possa finirequesto brutto incubo. Mi auguro di tro-vare un lavoro onesto, che mi permettadi vivere nella legalità e di potermi rein-serire nella società.

Pasquale Pagano (Chieti)

SE LA VITA FOSSE SEMPLICE

Scampia non è solamente un quar-tiere di Napoli, molto noto perfatti legati alla criminalità e alladroga, è un vero e proprio ghet-to. Io sono nato qui, dove la vitaha un sapore amaro anche peruna persona positiva come me.Ora che ho avuto del tempo perriflettere senza condizionamen-ti esterni, posso riconoscere chegran parte dei miei guai con lagiustizia non sono addebitabilialla mia natura, ma sono stati pe-santemente influenzati da un am-biente che non lascia scampo alleiniziative personali, alle amiciziepure e semplici. Ti trovi a far partedi un ingranaggio che ti coinvol-ge completamente, e che so-prattutto non offre alternative aquel degrado che tu bambino nonriesci nemmeno a capire, tantoda farti pensare che non può esi-stere un altro tipo di vita, una vitache possa dare spazio alla fanta-sia, alla ricerca di un’alternativa.Tutto questo degrado è dovutoall’assenza totale dello Stato nelmio quartiere, che è scandalosa-mente assente e che è il primo re-sponsabile, poiché connivente ecolluso con il malaffare e con ilmercato della droga che produ-ce reddito da fare invidia a una fi-nanziaria. Fortunatamente sonoriuscito a costruirmi la mia oasifelice, composta da mia mogliee dai miei figli, cerco di proteg-gere in ogni modo possibile la lorocrescita in modo tale che non sianoobbligati a seguire le orme delloro padre, vittima di un destinoche era già scritto in partenza.

LA MIA VITA A SCAMPIA

Anche se non sono napoletano, etantomeno del quartiere di Scam-pia, posso ugualmente dirvi moltecose riguardo a questo posto. Vi chie-derete, come faccio a saperlo? Possorispondervi che andavo a Scampiaalmeno tre o quattro volte alla set-timana per acquistare droga. Sonotossicodipendente, e per questo co-nosco molto bene questa realtà. Ilquartiere era stato progettato per glisfollati del terremoto del 1980, pur-troppo però la gente ha occupatoqueste case senza avere nessun di-ritto. Si è formata così una popola-zione di senza lavoro, e di intere fa-miglie dedite alla delinquenza e alcontrabbando. Dopo la fine del con-trabbando queste persone hannoiniziato a vendere droga, diventan-do la più grossa centrale di spaccioa cielo aperto.A Scampia c’è molto degrado, ci sono

dei palazzoni immensi uno vicino al-l’altro, e la cosa più grave è che lanuova generazione, non avendo lafamiglia che li supporta sia econo-micamente, sia educandoli in ma-niera sana, si lascia facilmente affa-scinare dai clan. In questo modo lastrada di questi ragazzi è già segna-ta, li porterà certamente in carcere.È brutto dirlo, ma con questo siste-ma non si può fare niente per cam-biare la situazione. Che altro dire, leistituzioni, lo stato, il comune e la re-gione dovrebbero creare delle in-frastrutture adatte a questi giovani,creare dei centri di aggregazione,creare lavoro, e cercare di costruiredegli impianti sportivi tali da poterpermettere a questi ragazzi di vive-re la loro vita di adolescenti o bam-bini senza essere dei piccoli bossprima del tempo.

Emiliano Amorosi

UNA STRADA SEGNATA

Saltello e tiro pugni nel vuotosaltello e tiro pugni dritto davanti a me mi concentro su un puntoe tiro pugni nel vuotocontinuo a saltellare e tiro pugni

Non lo faccio per tenermi in forma lo faccio solo per tenere in allenamento il mio odio il mio rancore la mia rabbia

Saltello e tiro pugni nel vuoto poi mi fermo mi sdraio appoggio le nocche al pavimentoe comincio a fare flessioni

Lo faccio con l’intenzione di primacambio esercizio ma l’obiettivo è lo stesso odio rancore rabbia uno due tre e cosi via

Conto respiro la mia faccia quasi a toccare il pavimento odio rancore rabbiaconto sudo ma continuo a fissare un punto e mi concentrole nocche mi fanno male ma è questo quello che voglio

Dolore questo aiuta il mio scopo dolore l’obiettivo prefisso odio rancore rabbia continuo e continuerò fino alla fine

Fino a quando un agente di custodia mi dirà sei libero i tuoi giorni qui sono finiti

Sì è questo che aspettointanto saltello faccio flessioni e tiro pugni nell’aria

Intanto il tempo passa e ho un nuovo nemico me stesso e in questo preciso istante gli dico stronzo smetti di scrivere saltella e tira pugni nel vuoto.

Giuseppe Festinese (Lanciano)