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comune di firenze PIANO STRUTTURALE 2010 adozione Relazione sulle indagini geologico-tecniche di supporto al piano strutturale dpgr 27 aprile 2007 n. 26/r dicembre 2010

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comune di firenze PIANO STRUTTURALE 2010 adozione

Relazione sulle indagini geologico-tecniche di supporto al piano strutturale dpgr 27 aprile 2007 n. 26/r dicembre 2010

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RELAZIONE SULLE INDAGINI GEOLOGICO-TECNICHE DI

SUPPORTO AL PIANO STRUTTURALE REDATTA AI SENSI

DEL DPGR 26/R DEL 27/4/2007, ALLEGATO A, PUNTO 2.2

PREMESSA

Al momento della sua adozione il Piano Strutturale, nella versione 2007, conteneva a

suo supporto un quadro conoscitivo di dati geologici ed idraulici che avevano

permesso di mettere a punto il quadro delle pericolosità redatto ai sensi della DCR

12/2000 e della DGR 94/85.

Gli studi geologici di supporto relativi erano stati depositati presso gli uffici URTAT

della Regione Toscana nel Marzo 2007 ma successivamente a tale deposito la

Regione Toscana ha emanato, in attuazione dell’articolo 62 della nuova legge

urbanistica 1/2005, il regolamento attuativo DPGR 26/R in materia di indagini

geologiche di supporto alla pianificazione urbanistica.

Questo regolamento ha notevolmente innovato il pacchetto preesistente delle

elaborazioni necessarie ed ha migliorato notevolmente la possibilità di proteggersi

dai rischi geologici ed idraulici.

Nell’ambito degli incontri tecnici avviati per il perfezionamento dell’intesa di

pianificazione firmata con la Regione Toscana in sede di adozione del piano

Strutturale, su sollecitazione in primis della stessa Regione Toscana, è stato deciso

di adeguare ed integrare quanto già fatto alle nuove norme funzionali.

Tale adeguamento appariva opportuno in quanto sarebbe andato a supportare uno

strumento urbanistico redatto secondo la nuova normativa, e quindi risultava

auspicabile che anche il quadro geologico lo fosse; inoltre, considerato il fatto che

consentiva una miglior tutela della pubblica incolumità ed una maggiore protezione

dal danno derivante da rischi geologici, appariva in linea con gli obiettivi di fondo del

Piano stesso.

La novità di approccio definita dal DPGR 26/R alle problematiche connesse a tali

rischi rappresentava anche stimolo alla messa a punto di metodologie di analisi

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sperimentali, conseguentemente il Servizio Geologico dell’Amministrazione

Comunale ha avviato due accordi collaborativi di ricerca con l’Università di Pisa

(coordinatore Prof. S.Pagliara) e con l’Università di Firenze (coordinatori Proff. M.Coli

e M.Ripepe) che si sono dimostrate subito disponibili ad analizzare rispettivamente

la pericolosità idraulica e la pericolosità sismica. Per quello che riguarda

l’adeguamento della pericolosità geomorfologia è stato invece deciso di aggiornare

gli studi precedenti affidandone l’incarico allo studio associato Geotecno che li aveva

redatti considerato che il DPGR 26/R non introduceva elementi di analisi diversi ma

un approfondimento delle considerazioni. Per quello che riguarda le problematiche

idrogeologiche è stato aggiornato il quadro conoscitivo sulla base dei risultati di un

ulteriore accordo di ricerca con l’Università di Firenze già portato a compimento

nell’anno 2007 (coordinatore Prof. G.Pranzini) e che attraverso una ulteriore

ricostruzione della superficie piezometrica aveva consentito una serie di

considerazioni sulla falda fiorentina. Sono state aggiunte anche considerazioni sulla

vulnerabilità dell’acquifero completando il quadro conoscitivo con la carta relativa.

Successivamente, a seguito della decisione della nuova Amministrazione del

Comune di Firenze di rivedere il progetto di Piano Strutturale, si è avviato un

processo di attualizzazione che pur confermando quanto già elaborato in termini di

pericolosità, ha permesso di integrare i rapporti tra la documentazione di supporto al

piano stesso e gli strumenti pianificatori di ordine superiore. In particolare, forti della

bontà delle analisi effettuate anche in collaborazione con gli Enti medesimi, si sono

avviate le procedure per l’adeguamento del Quadro Conoscitivo del PAI

relativamente alla problematica geomorfologica. Questo in sequenza con quanto già

effettuato relativamente alla problematica idraulica.

Conseguentemente si è giunti alla redazione della presente relazione che è elaborata

ai sensi del punto 2.2. dell’allegato A del DPGR 27 Aprile 2007 n. 26/R e descrive gli

elementi che sono stati usati, le metodologie impiegate ed il percorso elaborativo

utilizzato per giungere alla definizione delle pericolosità e della normativa ad esse

collegata relative alla geomorfologia, sismica, idraulica nonché delle considerazioni di

indirizzo per la geologia e l’idrogeologia tutte necessarie per l’elaborazione del

Regolamento Urbanistico.

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CONTENUTI GENERALI

Il quadro complessivo degli elaborati costituenti il corpus degli studi geologici di

supporto al presente strumento urbanistico che è scaturito dal percorso descritto in

premessa è il seguente:

1. Progetto:

- Norme Tecniche di Attuazione del Piano Strutturale (artt. 13, 14, 15, 16)

- Carte della pericolosità in scala 1:15.000:

. Pericolosità Geomorfologica

. Pericolosità Idraulica

. Pericolosità Sismica

2. Quadro Conoscitivo

- Relazione sulle indagini geologico-tecniche (Allegato A punto 2.2 DPGR 26/R)

- Relazioni specialistiche:

. Geomorfologica ed idrogeologica (“Aggiornamento delle indagini geologico-

tecniche …...omissis”, Geotecno-Studio Associato)

. Sismica (“Assetto geostrutturale e geolotilogico connessi con la sismicità

storica…..omissis”, UNIFI Dipartimento Scienze della Terra)

. Idraulica (“Rischio idraulico sul territorio comunale di Firenze”, UNIPI

Dipartimento Ingegneria Civile)

- Cartografie (n.b. per semplicità di lettura non tutte le cartografie citate nei testi

delle relazioni specialistiche sono state allegate ma solo quelle da cui sono

derivati elementi normativi od elaborativi connessi al Progetto):

. Carta Geologica (scala 1:10.000 due fogli)

. Carta Litotecnica (scala 1:10.000 due fogli)

. Carta Geomorfologica (scala 1:10.000 due fogli)

. Carta del Fattore di amplificazione sismico calcolato (scala 1:15.000)

. Carta dei Possibili effetti sismici locali (scala 1:10.000 due fogli)

. Carta della Vulnerabilità (scala 1:15.000)

. Carta Piezometrica livello di morbida febbraio 2002 (scala 1:15.000)

. Carta Piezometrica livello di magra settembre 2007 (scala 1:15.000)

. Rischio idraulico Tr=20 anni (scala 1:20.000)

. Rischio idraulico Tr=30 anni (scala 1:20.000)

. Rischio idraulico Tr=100 anni (scala 1:20.000)

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. Rischio idraulico Tr=200 anni (scala 1:20.000)

. Rischio idraulico Tr=500 anni (scala 1:20.000)

- CD contenente i livelli idraulici di esondazione (in formato raster)

Considerando quanto previsto dal punto 2.2 del DPGR in termini di contenuti previsti

per la presente relazione si procede ad un inquadramento territoriale generale

rispetto alle tematiche geologiche partendo dall’excursus della geologia generale di

zona e quindi illustrando gli elementi connessi agli aspetti geologico-strutturali,

litologici, geomorfologici, idraulici, idrogeologici e sismici.

Tale geologia di zona è mutuata dagli studi specificatamente redatti per il PS, da dati

di letteratura, dagli studi che il Servizio Geologico ha portato avanti quale supporto

alla progettazione delle opere pubbliche comunali, ma soprattutto dalla banca dati

messa a punto insieme con UNIFI (con il coordinamento dei Proff. N.Casagli e

S.Moretti) ed attualmente accessibile e consultabile anche su internet nel sito

dell’Amministrazione comunale contenente circa 1800 sondaggi in parte corredati

anche di prove geotecniche in situ ed in laboratorio.

Gli aspetti specialistici sono stati mutuati ed elaborati a partire dai contributi derivanti

dalle consulenze e dagli accordi di ricerca di cui al quadro conoscitivo.

Conseguentemente la presente relazione è ovviamente coerente e rappresenta la

sintesi di quanto riportato nelle relazioni specialistiche del Quadro conoscitivo.

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INQUADRAMENTO DEL TERRITORIO E ILLUSTRAZIONE DEGLI

ELEMENTI CONNESSI AI VARI ASPETTI SPECIALISTICI (DP GR 26/R

all.A punto 2.2 lett. a, b)

In linea con quello che è il quadro tettonico generale dei bacini neogenico-quaternari

dell'Appennino Settentrionale (MARTINI & SAGRI, 1993; 1994) anche il bacino di

Firenze-Prato-Pistoia presenta una geometria a semi-Graben fortemente

asimmetrica, con un margine nord-orientale molto acclive in corrispondenza della

faglia principale (nel caso specifico la faglia di Fiesole) e da una rampa di raccordo

poco inclinata a luoghi interessata da faglie minori sul versante sud-occidentale.

I depositi di riempimento del bacino si sono sviluppati con ampi delta e fan-delta

clastici sviluppati alla base del sistema di faglie maggiori, mentre minori quantità di

sedimenti si sono disposti lateralmente e longitudinalmente al bacino a seguito

dell'erosione dei terreni affioranti a tetto a quote più elevate del bacino. Questa

architettura deposizionale è tipica dei bacini intermontani dell'Appennino

Settentrionale. In questo tipo di bacini il sollevamento tettonico dei margini, ed il

corrispondente allargamento del drenaggio fluviale, portano alla formazione di potenti

sequenze sedimentarie clastiche grossolane in corrispondenza delle aree centrali del

bacino.

Dal punto di vista sedimentologico i depositi dell'area interessata dal presente studio

sono ascrivibili ai seguenti ambienti:

� Supersintema del Lago di Firenze-Prato-Pistoia: lacustri, lacustri-palustri e di fan-

delta;

� Supersintema di Firenze: lacustri e di fan-delta;

� Supersintema dell'Arno: fluvio-alluvionale e limno-palustre.

I depositi del Supersintema del lago Firenze-Prato-Pistoia sono caratterizzati da

deposizione in condizioni climatiche prevalentemente fredde (glaciali Biber e Donau,

AUCTT.) di monotone argille grigio bluastre derivanti dallo smantellamento di terreni

di appartenenza ligure, con intercalati ed interdigitati i corpi clastici da limoso-

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sabbiosi a ciottoloso-ghiaiosi dei delta e fan-delta di paleo-Affrico, paleo-Mugnone,

paleo-Terzolle e paleo-Ema/Greve messi in posto tramite processi di trasporto di

massa riferibili a flussi turbolenti ad alta densità, con ricorrenza ciclica dovuta sia a

cicli di uplift-denudation connessi a pulsazioni tettoniche che alle variazioni climatiche

connesse ai glaciali Biber e Donau (AUCTT).

Gli scarsi, e spesso coperti ed antropizzati, affioramenti dell'area fiorentina non

consentono di avere un quadro preciso dell'organizzazione di questi depositi; ma

date le medesime situazioni tettonico-sedimentari ed ambientali riteniamo di poter

fare riferimento a quanto evidenziato da BILLI et alii (1991) per i depositi di delta e

fan-delta del Valdarno Superiore.

Nella zona apicale sono principalmente presenti depositi clastici grossolani mal

organizzati, di tipo debris-flow, connessi a lobi o canali intrecciati durante fasi di

intenso alluvionamento; nella zona di transizione ci sono canali intrecciati passanti a

solchi di canale senza accezione laterale, con corpi ciottoloso-sabbiosi inglobati in

depositi limoso-sabbiosi; nella zona più sommersa sono presenti canali distributori

scavati entro i depositi argillosi lacustri riempiti di sabbie e ciottolami; nella zona

distale questi canali danno luogo a corpi lenticolari di sabbie e ghiaie con gradazioni

e sequenze positive. Nel complesso il non elevato livello delle acque nel lago, le sue

ridotte dimensioni e bassa energia favoriscono la formazione di ampi fan-delta.

Questo assetto sembra nel complesso ben inquadrare quelle che sono le risultanze

delle indagini geognostiche svolte nel bacino di Firenze-Prato-Pistoia.

Anche nel caso dei depositi del materasso alluvionale che caratterizza nel suo

insieme il Supersintema dell'Arno riteniamo che il riferimento ai depositi d'Amo del

Valdarno Superiore studiati da BILLI et alii (1987), sia corretto: si tratta di ciottolami

massivi, a stratificazione incrociata, gradanti verso l'alto a sabbie a laminazione

incrociata sovrastate da depositi di esondazione costituiti da limi ed argille con diffusa

pedogenesi a pseudo-glay, organizzati in cicli sedimentari diversi a seconda della

distanza dall'area di immissione nella pianura alluvionale. La deposizione di questi

corpi clastici è legata più a fenomeni di accrezione lungo corrente che ad accrezione

laterale, il tutto in un ambiente di deposizione tipico di fiumi a bassa sinuosità.

Nella fase iniziale di sviluppo di questi fiumi si ha spostamento laterale dei canali

fluviali, con deposizione dei corpi clastici, legata alla migrazione laterale di barre

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specie in occasione dei principali eventi alluvionali; successive fasi di innalzamento

del livello di base portano allo sviluppo di piane alluvionali con il fiume che tende a

spostarsi sia verticalmente che lateralmente, ulteriori innalzamenti del livello di base

portano a decremento della sinuosità e diminuzione della pianura alluvionale; questo

tipo di fiumi, che tuttora caratterizza l'Appennino Settentrionale, presenta uno

spessore pressoché costante del materasso alluvionale.

L'assetto dei terreni alluvionali dell'area fiorentina, quale risulta dalle indagini

geognostiche effettuate, ben si inquadra in questo schema deposizionale.

Per la descrizione degli ambiti geologici sono mantenute le stesse classificazioni

dove sono stati individuati i sintemi caratterizzanti i terreni fiorentini. Con Sintema si

identifica un corpo roccioso di origine comune definito alla base ed al tetto da

superfici di discontinuità o da superfici topografiche.

GEOLOGIA e LITOTECNICA In dettaglio i terreni individuati nella pianura fiorentina sono:

RIPORTI E COPERTURE (Attuale)

Materiali antropici e riempimenti costituiti da materiali sciolti misti di varia pezzatura

ed origine, più o meno costipati, anche con cocciame di laterizi; nella cartografia

geologica sono stati cartografati solo ove costituiscono un livello continuo e potente

almeno un paio di metri.

TERRENI FLUVIO-LACUSTRI ED ALLUVIONALI (Plio- Quaternario)

SINTEMA DELL’ARNO: ciottolami e ghiaie dell'Arno, da puliti a sporchi, con livelli e

lenti di sabbie, anche gradate, con frequenti episodi di erosione e sostituzione.

Questi depositi d'Arno sono interdigitati con i depositi alluvionali recenti dei vari

torrenti, costituiti da ghiaie e ciottolami con abbondante matrice limoso-sabbiosa

inclusi in corpi limosi. Olocene

− Depositi d'Arno - costituiti principalmente da ciottolami e ghiaie, da puliti a

sporchi, con livelli e lenti di sabbie, anche gradate: i 3-5 m superiori sono formati

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da limi più o meno sabbiosi, in relazione alla loro distanza dall'alveo; le ghiaie

presentano frequenti episodi di erosione e sostituzione

− Depositi torrentizi - si tratta di depositi d'alveo ghialoso-ciottolosi, con abbondante

matrice limoso-sabbiosa imballati in corpi limosi palustri e/o d'esondazione. La

divisione tr5 i vari torrenti è stata fatta in funzione dello zone di pertinenza dei vari

apparati torrentizi: hanno potenze variabili da pochi fino alla ventina di metri.

− Depositi palustri - depositi limno-palustri delle residue zone umide ad ovest della

città e nella pianura tra Campi e Sesto-Castello; ha potenza di un paio di metri

nella zona settentrionale, fino a qualche metro nella zona meridionale della

pianura.

− Depositi di conoide - derivano tutti da erosione dei terreni villafranchiani dei rilievi

pedecollinari settentrionali: ghiaie in matrice limoso-sabbiosa mal classate e mal

assortite con potenza di alcuni metri.

SINTEMA DI FIRENZE: ciottolami e ghiaie d'alveo del paleo-Arno, più o meno

sporchi, frammisti a livelli sabbioso-limosi bruni nella zona settentrionale della cerchia

dei viali di Firenze; sono essenzialmente depositi ciottolosi e ghiaiosi nella zona

Cascine-Osmannoro-Legnaia. Pleistocene Superiore

SINTEMA DEL BACINO (di Firenze-Prato-Pistoia): massicci corpi di argille limose

grigio-bluastre, all'interno di questo corpo principale sono presenti livelli e lenti di

ghiaie e sabbie, in genere sporchi; verso l'alto passano a limi bruni a luoghi varvati,

con torbe, frustoli carboniosi, calici e paleosuoli. Depositi clastici di delta e fan-delta

costituiti da ciottolami e ghiaie in genere sporchi, ghiaie-sabbiose, sabbie limose e

limi sabbiosi, in corpi più o meno massivi e/o canalizzati. Pleistocene Inferiore

(Villafranchiano) -Pliocene Superiore

− Argille Turchine - depositi limoso-argillosi lacuali costituiti de massicci corpi di

argille-limose grigio blusatre; all'interno di questo corpo principale sono presenti

livelli e lenti di ghiaie e sabbie, in genere sporchi: verso l'alto passano a limi

bruni, e luoghi varvati, con torbe, frustoli carboniosi, calici e paleosuoli.

− paleo-Mugnone - ciottolami e ghiaie in matrice limoso-sabbiose e corpi limoso-

argillosi bruni.

− paleo-Terzolle - ciottolami e ghiaie, spesso sabbiosi, e lenti di limi argillosi bruni.

− paleo-Ema/Greve - ciottolami e ghiaie in matrice sabbiosa.

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SUBSTRATO LITOIDE pre-Pliocene

UNITA' LIGURI - UNITÀ Dl MONTE MORELLO

− Argilliti di Pescina: abbondanti argilliti, con intercalazioni di calcari verdastri e

arenarie calcarifere, e di calcari marnosi e marne calcaree chiare, in grossi

banchi con rari livelli basali calcerenitici. Eocene Medio-Inferiore

− Formazione di Monte Morello: calcari marnosi, calcari chiari tipo Alberese e

marne calcaree di colore bianco giallastro in strati da pochi cm 5 qualche metro,

a luoghi alternati a livelli calcarenitici e ad argilliti. Eocene Medio-Paleocene

− Pietraforte: regolare alternanza di turbiditi arenacee quarzoso-calcaree grigio

brune in strati da 25 cm ad 1 m, argilliti siltose di colore grigio scuro in livelli di 15-

20 cm: affiora sui rilievi di Arcetri-Giramonte, e nell'area del Giardino di BoboIi-

Forte Belvedere. Costituisce un corpo all'interno della parte alta della Formazione

di Sillano. Cretaceo Superiore

− Formazione di Sillano: argilliti varicolore con irregolari intarcalazioni di torbiditi

arenacee quarzoso-calcaree e calcarenitiche in strati da 10 cm ad 1 m, marne

grigio scure compatte con laminazioni in livelli metrici, calcari marnosi grigio

chiari ed avana giallastri ("Pietra Paesina") in strati de 15 cm ad 1 m, e brecciole

ofiolitiche, spesso gradate, con clasti centimetrici a spigoli vivi (costituiti da

calcare, serpentine, diabase, diaspro) immersi in una matrice siltoso-sabbiosa a

cemento carbonatico. Eocene Inferiore-Cretaceo Superiore

FALDA TOSCANA

− Marne di San Polo: marne siltose grigio giallastre con rare intercalazioni di

arenarie fini. Miocene Inferiore-Oligocene

− Macigno: torbiditi arenacee quarzoso-feldspatiche gradate, da medie a

grossolane con rapporto sabbia/pelite >1, in banchi anche amalgamati di

spessore massimo di 8 m e raramente inferiore al mezzo metro, con

intercalazioni di torbiditi arenacee fini e torbiditi siltoso-argillose in strati di

spessore inferiore ai 30 cm. Miocene Inferiore-Oligocene

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TETTONICA Dal punto di vista tettonico - geometrico l'area di Firenze è caratterizzata dalla

presenza di una fascia interessata da più faglie disposte a gradinata ed in parte

sepolte al di sotto dei depositi fluvio-lacustri villafranchiani, localizzata nell'area

pedemontana a nord della pianura di Firenze, e dalla presenza delle faglie sepolte

Castello-Scandicci e Maiano-Bagno a Ripoli che interessano il substrato prelacustre,

trasversalmente al bacino; non si hanno invece indizi di faglie bordiere al bacino,

meridionali.

Le faglie controllano la morfologia dell'area fiorentina determinando, rispetto al basso

della pianura di Firenze, l'alto delle colline di Castello-Trespiano-Fiesole nel settore

settentrionale, e delle colline di Bellosguardo-Arcetri-S.Miniato a Monte a sud della

città.

L'area fiorentina risulta quindi delimitata a nord da lineamenti tettonici paralleli a

direzione NNW-SSE, che hanno giocato come faglie a movimento verticale

distensivo determinando lo sviluppo del bacino fluvio-lacustre con il ribassamento del

blocco meridionale. La principale attività delle faglie, periodo in cui si è determinato il

maggiore movimento verticale, è riferita a prima del Pliocene inferiore,

successivamente c'è stata una ripresa di movimenti al tetto del Pliocene inferiore, a

cui è associato il movimento verticale responsabile dell'origine della depressione

lacustre, ed un'ultima pulsazione al termine del Villafranchiano che ha determinato il

sollevamento del blocco di Firenze rispetto al resto del lago ed ha stabilito i rapporti

tettonico-geometrici attuali.

La master fault, a cui viene attribuito il principale movimento verticale, è manifestata

da una scarpata tettonica che ha determinato Io sviluppo dei ripidi versanti

meridionali delle colline di Castello-Monte Rinaldi-Fiesole; in realtà si tratta di una

zona interessata da varie faglie disposte a gradinata, di cui solo la più orientale

affiora con la scarpata degradata dei versanti di Fiesole, e le altre attualmente

sepolte sotto i depositi villafranchiani del Cionfo e di San Domenico, od addirittura

sotto l'area delle Cure-Campo di Marte.

Tali faglie sono dislocate da lineamenti tettonici trasversali che interessano il

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substrato con generali direzioni NNE-SSW, ed il cui movimento risulta

prevalentemente verticale distensivo.

Le faglie a carattere prevalentemente distensivo, di Castello-Scandicci ad Ovest e di

Maiano-Bagno a Ripoli ad Est, risultano attive a più riprese a partire dal Pliocene

inferiore, giocando successivamente verso la fine del Villafranchiano, un ruolo

determinante per il sollevamento dell'area fiorentina rispetto al restante bacino

lacustre. Questi elementi strutturali hanno sollevato la pianura di Firenze, ribassando

il blocco a NW nel caso della faglia occidentale, ed il blocco a SE per la faglia

orientale con un rigetto globale stimabile in alcune centinaia di metri. Nel

Villafranchiano sono state documentate due fasi tettoniche lungo tali lineamenti,

probabilmente in regime compressivo, in accordo con evidenze regionali

(BOCCALETTI et alii 1995); tali faglie con attività tettonica sin-sedimentaria

costituiscono quindi delle grow-fault.

Nella zona nord-orientale dell'area fiorentina lungo le colline di Fiesole-Monte Rinaldi-

Monte Rivecchi, il motivo strutturale è dato da una piega anticlinalica con asse

orientato Nw-SE, delimitato a SW dalla omonima zona di faglia che mette in contatto

le arenarie torbiditiche del Macigno con i depositi recenti fluvio-lacustri; la struttura è

interessata da faglie minori ad andamento NE-SW e prevalente movimento verticale.

L'assetto tettonico delle Unità Liguri affioranti a NW di Firenze e nell'area meridionale

è dato da una blanda monoclinale immergente in genere verso N-NE di valori medi

(<40°). I depositi lacustri Villafranchiani risulta no dislocati dalle faglie sin-

sedimentarie trasversali al bacino, ma mantengono una giacitura sub-orizzontale su

entrambi i blocchi dislocati; i depositi alluvionali recenti ed attuali sono ancora in

giacitura primaria.

Per nessuna delle faglie presenti nella zona ci sono indizi geologici di attività

tettonica più recente di circa 500.000 anni.

GEOMORFOLOGIA DELL'AREA Il bacino di Firenze-Prato-Pistoia, posto ad una quota media di 45 m slm, si sviluppa

in direzione NW-SE per una lunghezza di 45 km ed una larghezza massima di circa

10 km. Esso è delimitato a nord dai Monti della Calvana e da Monte Morello , con

altitudine di circa 900 m slm ed a sud dal Montalbano con altitudine di oltre 600 m

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slm.

La depressione tettonica di Firenze-Prato-Pistoia si è formata a partire dal Pliocene,

ma il bacino di Firenze-Prato-Pistoia si individua ed evolve dal Pliocene superiore.

La formazione della depressione tettonica , a carattere endoreico, ha richiamato i

corsi d'acqua antecedenti alla struttura (T. Bisenzio, T. Mugnone, T. Greve), che

sono caratterizzati da un notevole trasporto solido, precedentemente deposto nella

pianura costiera pliocenica, nelle attuali zone di San Casciano e Montelupo (CANUTI

ef al, 1966; BARTOLINI & PRANZINI, 1981). Detti corsi d'acqua casi intercettati

scaricano i loro materiali all'interno del bacino lacustre appena formato, dando luogo

anche ad ampie conoidi clastiche.

Dal Pleistocene la ripresa dell'attività delle faglie trasversali all'asse della depressione

(faglie di Maiano-Bagno a Ripoli e Castello-Scandicci), determina il sollevamento

dell'area fiorentina e lo spostamento delle conoidi verso la zona più occidentale,

ossia l'attuale area di Casellina-Cascine-Careggi.

L'evoluzione del bacino, da questa fase in poi, si differenzia tra l'area occidentale, in

cui le condizioni lacustri-palustri permangono fino al "recente” e l'area fiorentina

sollevata, in cui si manifestano attività di erosione e deposizione fluviale ad opera del

fiume Arno e dei suoi affluenti.

In detta area si sviluppa un reticolo fluviale controllato dal livello di base dell'Arno che

sfocia nel lago di Prato-Pistoia con un'ampia conoide (zona di Casellina-Cascine-

Osmannoro), associata nella zona di Casellina a quelle dei torrenti Greve, Ema e del

T. Vingone, e nella zona di Careggi a quella del T. Terzolle

In questo periodo nell'area fiorentina si manifesta una fase erosiva tale da portare il

fiume Arno ed i suoi affluenti ad incidere di ben 100 m i sedimenti lacustri

Villafranchiani. Si verifica successivamente una fase alluvionale con deposizione di

sedimenti grossolani in corrispondenza degli alvei dei fiumi gerarchicamente più

importanti e di sedimenti più fini nelle zone di esondazione, in relazione

all'innalzamento del livello di base nel lago di Prato-Pistoia per sua graduale colmata.

La fase più recente è caratterizzata dalla migrazione del corso dell'Arno che si è

spostato da NE verso SW, meandrando ed erodendo alla base le colline di San

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Miniato e di Bellosguardo. Inoltre, si verifica la sedimentazione di materiali in

corrispondenza degli alvei del fiume Amo e dei suoi affluenti (T. Affrico, Fosso San

Gervasio, T. Mugnone, T. Lastra, T. Terzolle), con ripetuti impaludamenti di vaste

aree.

Il margine nord-orientale dell'area fiorentina è marcato dalla gradinata delle faglie

normali di Fiesole, di cui si è già precedentemente detto, con rigetto totale valutabile

intorno ai 1.000 m. Parte di detta gradinata di faglie è attualmente sepolta sotto i

depositi fluvio-lacustri

Il margine sud-occidentale del bacino non è interessato da faglie importanti. Le faglie

di Castello-Scandicci e di Maiano-Bagno a Ripoli sono attualmente sepolte sotto i

depositi fluvio-lacustri.

MORFOLOGIA ED IDROGRAFIA Gli affluenti in destra d'Amo, a parte il T. Mugnone, sono tutti di origine recente,

impostati in erosione sui depositi fluvio-lacustri villafranchiani ed in stretta dipendenza

con la faglia di Fiesole, sul cui piano si attestano in erosione regressiva. Hanno

carattere torrentizio e nella parte a monte presentano un tragitto breve, molto acclive,

mentre nell'area cittadina sono canalizzati, deviati o coperti.

Degli antichi affluenti di sinistra dell'Arno rimane testimonianza solo del Fosso di San

Rocca che scendeva da San Gaggio lungo una vallecola compresa tra le colline di

Boboli e Bellosguardo, dove ora sono presenti Via de' Serragli e Via Maggio.

Originariamente lo sbocco in Arno doveva trovarsi presso l'attuale Ponte alla Carraia.

Successivamente il fosso alimentò i fossati della seconda cerchia di mura della città,

scomparendo con la costruzione della terza cerchia di mura.

La pianura fiorentina è, come detto in precedenza, di tipo alluvionale ed è stata fino

ad oggi soggetta a fenomeni di esondazione e di erosione laterale dei corsi d'acqua,

talora anche molto accentuati. L'origine di queste forme è dovuta sia all’evoluzione

naturale, che all'attività antropica.

L'Arno scorre attualmente nella porzione meridionale della pianura, caratterizzato da

linearità artificiale e da approfondimento dell'alveo in seguito ad interventi antropici

eseguiti a monte. Nella pianura di Firenze si sono verificati negli ultimi 130 anni

approfondimenti d'aIveo di ordine compreso tra 4 e 6 m.

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Durante gli eventi di piena eccezionale, sia in epoca storica che recente, il fiume ha

divagato nell'intera pianura, incidendo la coltre di alluvioni antiche ed i depositi

lacustri villafranchiani. L'abbassamento dell'alveo dell'Amo avvenuto recentemente

ha innescato sui suoi affluenti un conseguente processo di erosione regressiva e

quindi di incisione dei depositi alluvionali antichi, delineando anche terrazzi fluviali.

La pianura alluvionale era solcata trasversalmente dagli affluenti dell'Amo, che

attualmente risultano canalizzati o coperti per quasi tutto il loro percorso nella zona

urbana.

In epoca storica gli interventi di bonifica e di regimazione delle acque divaganti nella

pianura avevano creato un sistema di arginature artificiali con la funzione di

contenere le piene e di isolare delle aree per creare delle casse di laminazione e di

decantazione. L'intensa urbanizzazione dell'ultimo periodo ha alterato questo quadro,

modificando le caratteristiche morfologiche, la natura e la distribuzione dei depositi

alluvionali.

Per quanto riguarda il reticolo fluviale, questo è praticamente rettilineo e drenante

verso SW secondo la massima pendenza, sul fronte della dorsale di Monte Ceceri-

Monte Rinaldi, mentre diventa lobato, divergente e drenante verso la pianura

fiorentina nella fascia intermedia sui terreni villafranchiani. Prima delle canalizzazioni

e degli interventi antropici di regolarizzazione il reticolo era di tipo "intrecciato-

divagante” e drenante a SW verso l'Amo.

Non rientrano in detto schema i torrenti Terzolle e Mugnone ed il Fosso di Bucine-

Mensola (ossia il paleo-Affrico). lI T. Mugnone, infatti, con la sua linearità è un tipico

caso di antecedenza con persistenza del suo corso durante il sollevamento della

dorsale di Monte Ceceri-Monte Rinaldi, in seguito all'azione della faglia di Fiesole.

Per i torrenti Terzolle e paleo-Affrico molto verosimilmente il loro sviluppo appare

legato alla presenza del nucleo di Macigno della dorsale di Monte Ceceri-Monte

Rinaldi che ostacolando l'erosione è stato aggirato, anche per la presenza dei terreni

argillitici, più erodibili, appartenenti alle Unità Liguri ed affioranti alle due estremità

della dorsale. A parte questi gli affluenti in destra d'Amo sono di origine recente, ad

andamento lineare, poco gerarchizzati, a carattere torrentizio ed impostati in erosione

sui depositi fluvio-lacustri villafranchiani. Inoltre, mostrano tragitti brevi, acclivi nella

parte di monte. Nell'area cittadina sono attualmente deviati, canalizzati e tombati.

Nella parte centrale della pianura alluvionale di Firenze sono state però rilevate

dall'osservazione di foto aeree le tracce di paleoalvei dell'Arno, con una particolarità

che consiste nella maggiore permanenza del fiume sul fianco sinistro della valle

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comunque come detto in precedenza tutti i caratteri paleomorfologici risultano molto

obliterati dall'intervento antropico.

SISMICITA' DELL'AREA

Dovendo descrivere sinteticamente la situazione sismica dell’area si sono estrapolati

gli elementi che Vannucchi (1991) ritiene fondamentali per il bacino di Firenze.

Nella parte dedicata alle analisi effettuate si completerà il quadro con gli interessanti

risultati derivati dall’analisi effettuata nella sede di elaborazione dell’accordo di

Ricerca con UNIFI su queste problematiche.

Gli elementi fondamentali per descrivere la pericolosità sismica locale del bacino di

Firenze sono i seguenti:

− non sono disponibili registrazioni di terremoti forti all'interno del "near field";

− la sismicità nell'area di Firenze è innescata da varie sorgenti sismiche poste a

distanze diverse, con probabilità circa eguale di generare sismi di analoga

severità in un dato intervallo di tempo;

− le onde sismiche in arrivo, a causa della particolare configurazione del sito,

possono propagarsi sia attraverso le zone con ammassi rocciosi, che

attraverso i depositi sedimentari;

− considerando un periodo di 50 anni ed una probabilità del 10%, l'intensità

sismica attesa al sito è del 7° grado circa della s cala delle intensità Mercalli

Modificata e l'accelerazione massima attesa al sito in condizioni geotecniche

medie è circa 150 gals;

− prendendo in considerazione un periodo di 200 anni ed una probabilità del

10%, l'intensità sismica attesa al sito è circa di grado 8° della scala delle

intensità Mercalli Modificata e l'accelerazione massima attesa al sito in

condizioni geotecniche medie è circa 210 gals.

INQUADRAMENTO IDROGEOLOGICO

La falda idrica più importante della pianura fiorentina è una falda libera, una tavola

d'acqua posta ad una profondità compresa fra 1 e 10 metri di profondità, a seconda

delle aree e del periodo stagionale.

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In alcune zone marginali della pianura si ha una falda semiconfinata, in quanto il

livello piezometrico si colloca in corrispondenza dei limi sabbiosi, talora argillosi. di

copertura ,che hanno le caratteristiche di "acquitardo”.

Se lo strato di terreno superficiale è costituito da limi con argille, ossia in presenza di

permeabilità molto basse, l'acquifero sottostante va considerato confinato e pertanto

si è in presenza di una falda in pressione. Ciò si verifica nella zona di Novoli -

Castello, dove l'acquifero è rappresentato da lenti di ghiaie con matrice limosa

discontinue, a bassa permeabilità, ed il livello idrico nei pozzi corrisponde alla

pressione idrostatica nell'acquifero.

L'acquifero di Firenze, quindi, è costituito dai depositi alluvionali "macroclastici" del

Fiume Arno e dei principali affluenti (T. Mugnone, T. Affrico, T. Terzolle, T. Mensola

ecc.) poggianti su sedimenti lacustri limoso argillosi con intercalazioni di livelli e/o

lenti di ghiaie e sabbie, cui seguono sedimenti lacustri prevalentemente argillosi.

Nelle grandi linee il sistema acquifero in questione può essere ritenuto permeabile

per porosità, con orizzonti acquiferi, come detto in precedenza, di tipo "a superficie

libera" e/o semi-confinati.

Schematicamente, gli autori (Capecchi et alii, 1976) suddividono l'acquifero in 4

orizzonti:

Orizzonte Firenze 1 - essenzialmente limoso sabbioso e/o argilloso, di spessore

variabile da 2 a 7 metri, costituito da depositi di esondazione dell'Arno e riporti

antropici. Dal punto di vista idrogeologico può essere considerato un acquitardo con

permeabilità nell'ordine di 10-7 m/s.

Orizzonte Firenze 2 - costituito da ghiaie e ciottoli, più raramente sabbia, con qualche

lente di limo sabbioso o argilloso, presenta uno spessore variabile, fino a un massimo

di 20 m. Viene normalmente attribuito alla sedimentazione recente dell'Arno e dei

suoi affluenti. Per le sue caratteristiche costituisce il corpo acquifero principale

dell'area, con permeabilità fortemente variabili, nell'ordine dei 10-3 – 10-7 m/s.

Orizzonte Firenze 3 - litologicamente paragonabile all'orizzonte Firenze 2, rispetto al

quale presenta, in genere, un più elevato contenuto di matrice limosa. Caratterizzato

da spessori fortemente variabili, presenta estensione limitata. Non sempre tale

orizzonte è distinguibile dal sovrastante, specie quando tra i due non è presente un

caratteristico livello limoso-argilloso di alcuni metri di spessore. La geometria ditale

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orizzonte, anche per la mancanza di sondaggi profondi, a tutt'oggi non risulta chiara;

la sua deposizione viene attribuita al sistema del paleo-Arno. Presenta permeabilità

generalmente più basse dell'orizzonte 2, quando presente, può comunque ospitare

una significativa circolazione idrica.

Orizzonte Firenze 4, costituito da una successione di limi argillosi ed argille, a

colorazione da turchina a gialla, con pochi strati di ghiaie a matrice limoso-argillosa.

Presenta spessore variabile in funzione dell'andamento del tetto del substrato.

Stratigraficamente si colloca al di sotto dell'orizzonte Firenze 2. Viene attribuito al

Supersintema del Lago Firenze-Prato-Pistoia.

Il Substrato roccioso è composto da calcari marnosi, marne, arenarie e argilliti. Si

tratta di rocce che lo fanno assegnare alla Formazione di Sillano e alla Pietraforte.

Tale schematizzazione, significativa a scala regionale, assume un carattere indicativo

nelle analisi idrogeologiche di dettaglio, quando le forti variazioni stratigrafiche

(orizzontali e verticali) legate alla complessità dell'ambiente deposizionale

condizionano in maniera determinante la circolazione idrica sotterranea.

Al fine di determinare proprio tali elementi di dettaglio soprattutto per la parte di

pianura urbanizzata sono state eseguite due campagne di studio in collaborazione

con UNIFI (coordinate dal Prof.G.Pranzini) finalizzate a descrivere l’andamento

piezometrico della falda nel complesso delle sue articolazioni sia verticali che

orizzontali e di confrontare questi risultati con i dati storici già in possesso

dell’Università. In termini di quadro conoscitivo cartografico sono state allegate le due

carte piezometriche rappresentative dell’andamento recente di magra e morbida e la

carta sulla vulnerabilità dell’acquifero ricavata da altri studi effettuati per conto del

Comune.

I risultati che sono scaturiti hanno permesso, insieme con le considerazioni sulla

vulnerabilità dell’acquifero, di mettere a punto una serie di considerazioni da

sviluppare in sede di formazione del Regolamento Urbanistico che sono riportate nel

capitolo successivo.

Di seguito si riportano comunque le considerazioni descrittive della falda in

considerazione di quanto sopradetto per quanto riguarda l’acquifero derivate dai

suddetti risultati.

La falda idrica principale del sottosuolo fiorentino si colloca in corrispondenza dei

depositi alluvionali recenti dell’Arno e suoi affluenti (Orizzonte Firenze 2 o Sintema

del F. Arno). Questo intervallo acquifero, composto di ghiaie e ciottoli prevalenti, è

presente nella maggior parte della pianura; solo ad Ovest della città di Firenze, lungo

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una linea quasi coincidente con la Via Pistoiese, le macroclastiti passano a Nord a

limi ed argille di natura lacustre o palustre: infatti, a Nord di questa linea l’Arno non è

arrivato a scavare la valle d’erosione nei sedimenti fluviolacustri precedenti, valle

nella quale ha successivamente deposto le ghiaie dell’Orizzonte Firenze 2. Pertanto,

nella zona dell’Osmannoro il primo acquifero è costituito dall’Orizzonte Firenze 3

(parte del Sintema di Firenze), anch’esso formato da ghiaie e ciottolami.

La falda freatica è di tipo libero nella maggior parte della pianura; infatti, la

superficie freatica si situa all’interno del corpo ghiaioso permeabile. Solo ai margini

della pianura, dove lo strato superiore, costituito da limi di esondazione, ha i maggiori

spessori e la superficie freatica si avvicina alla superficie topografica, la falda diviene

semiconfinata.

A Nord della via Pistoiese la prima falda può essere considerata confinata, dato

che le ghiaie dell’Orizzonte Firenze 3 sono coperte da almeno 16 metri di terreno a

bassa permeabilità.

Ugualmente confinate sono le falde presenti nei livelli permeabili della successione

fluvio-lacustre presente al di sotto dell’Orizzonte Firenze 2 (Orizzonte Firenze 4 o

Sintema del Bacino di Firenze-Prato-Pistoia), costituiti da ghiaie e sabbie, spesso con

matrice limosa abbondante.

Le acque sotterranee sono alimentate dai corsi d'acqua, dalle piogge sulla pianura

e dalle acque di ruscellamento superficiale che scendono dalle colline e si infiltrano

nei detriti di versante e nei depositi colluviali pedecollinari.

Le prime due ricostruzioni piezometriche della falda fiorentina, dell’Ottobre 1970 e

del Maggio 1971, furono fatte da Capecchi, Guazzone e Pranzini (1976b) nell’ambito

di una ricerca finanziata dal Ministero della Pubblica Istruzione. Si tratta delle prime

ricostruzione relative all’intera pianura, perché in precedenza erano state fatte solo

ricostruzioni molto limitate1.

Le due campagne di misura furono effettuate con l’obiettivo di fotografare la

situazione della falda nelle due situazioni di magra e di morbida: infatti la fine della

primavera coincide mediamente con la fine della ricarica e quindi con i livelli di falda

1 La più antica conosciuta è quella dell’inizio del 1908 e riguarda la zona del Campo di Marte; fu fatta per verificare l’influenza del pozzo ad uso acquedottistico realizzato nel viale Manfredo Fanti.

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più alti dell’anno; il primo autunno corrisponde invece alla situazione di minimo, a

causa della scarsa alimentazione e del maggiore sfruttamento durante l’estate.

La ricostruzione del gennaio 1997 fu realizzata da G. Pranzini nell’ambito della

progettazione del passante ferroviario AV di Firenze e per la tramvia Firenze-

Scandicci ed è contenuta nella Relazione per il Comune del 2002 (Pranzini 2002).

Quella del febbraio 2002 fu fatta in base a specifica convenzione fra il Comune di

Firenze e il Dipartimento di Scienze della Terra.

Le diverse ricostruzioni della superficie freatica mostrano alcuni elementi comuni

ed altri che nel corso degli anni sono sostanzialmente cambiati. In particolare, in

condizioni statiche la superficie freatica si situa fra 1-2 m, nell’area Nord-occidentale,

e 10-12 m inel centro della pianura eo in prossimità dell’Arno. Gli emungimenti

concentrati, soprattutto quelli dei campi pozzi acquedottistici (alle Cascine,

Malignano, Anconella e Osmannoro) creavano depressioni fino a massimi di 20 m e

piuttosto estese. Attualmente solo i pozzi dell’Osmannoro, a servizio dell’acquedotto

di Sesto Fiorentino, e più limitatamente quelli della Marzoppina a Scandicci, sono

ancora in produzione e continuano a formare una depressione piezometrica

allungata secondo l’allineamento dei pozzi.

Le isofreatiche medie indicano un flusso idrico dalle colline verso l’asse centrale

della valle, con componente verso Ovest in accordo con la direzione dell’Arno. Si

conserva anche, più o meno evidente nelle diverse ricostruzioni, l’asse di drenaggio

che va da Campo Marte verso il centro storico, in corrispondenza di un paleoalveo

dell’Arno ad elevata trasmissività, ma conseguente anche alla doppia alimentazione

dell’acquifero: dalle colline a Nord e dall’Arno a Sud (Guazzone & Pranzini, 1979).

L’Arno alimenta la falda nel suo primo tratto in pianura, fino al Ponte San Niccolò:

nel resto del suo tratto “fiorentino” l’Arno aveva negli anni ’70 funzione alimentante, in

relazione alla depressione della falda. Attualmente, con l’abbandono dei pozzi

dell’acquedotto fiorentino e di molti altri privati, il rialzo della falda ha modificato

questa situazione, per cui si alternano tratti drenanti con tratti alimentanti.

I rapporti degli affluenti dell’Arno con la falda sono stati modificati dagli interventi

antropici. Sia il Mugnone che il Terzolle drenano la falda nel loro primo tratto in

pianura, mentre più oltre le isofreatiche a forma di ventaglio indicano la funzione di

alimentazione, più evidente nei periodi di falda alta; ma mentre il Terzolle scorre

ancora in corrispondenza dell’asse di questo ventaglio, il Mugnone è stato

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progressivamente deviato verso Ovest, per tenerlo fuori della città man mano che

questa cresceva, quindi il torrente ha perso il suo rapporto idraulico con la falda.

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DESCRIZIONE DELLE ELABORAZIONI ED ILLUSTRAZIONE DEL LE

SITUAZIONI DI CRITICITA’ RISCONTRATE. (DPGR 26/R al l. A punto

2.2 lett. c)

GEOMORFOLOGIA

Le analisi effettuate dalle studio associato Geotecno con responsabile il Dott. Geol.

L. Lazzeri sono state impostate sulla base delle seguenti caratteristiche:

- Scala di rilievo 1/2.000; scala grafica di stampa 1/5.000

- Il rilievo è stato impostato ex novo sia per il riferimento alla legenda

aggiornata sia per ottenere i dettagli di scala dei vari fenomeni che nei

precedenti analoghi elaborati 1/10.000 non erano rappresentati con sufficiente

precisione.

- Estensione a tutto il territorio collinare del comune anziché alle sole aree

UTOE interessate da previsioni abitative ed infrastrutturali.

- Caratterizzazione finalizzata anche alla elaborazione delle ZMPSL.

- Rispetto degli indirizzi tecnici dettati dalla pianificazione di bacino.

- Anche se, come per ogni classificazione, la distinzione dell’origine all’interno

dei processi geomorfologici può essere considerata artificiale, tuttavia si

possono ricavare utili orientamenti per la ricerca delle cause principali del

dissesto o nella previsione della sua evoluzione. Sono stati differenziati

pertanto i processi derivati prevalentemente da gravità, azione delle acque,

azione dell’uomo.

Il risultato delle analisi ha permesso di distinguere le seguenti forme geomorfologiche

e a definirne la pericolosità in modo da permettere in conclusione la redazione della

cartografia relativa:

FORME DI INSTABILITA’ GRAVITATIVA

- Frana attiva o riattivabile per intrinseca evoluzione evidenziando la corona di

distacco, la zona di scorrimento ipotizzato e la zona di accumulo di base.

- Frana quiescente e/o evoluta ma non esaurita e soggetta a potenziale

riattivazione per fattori esterni, evidenziando la corona di stacco, l’ipotetica

zona di scorrimento e la zona di accumulo al piede quando conservate. A

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questa categoria possono essere assegnati fenomeni ascrivibili a

fenomenologie instabili o al limite della stabilità. Conseguentemente nella

definizione di pericolosità le stesse sono state assegnate o alla classe G3 o

alla classe G4.

- Frana inattiva esaurita o stabilizzata in cui è possibile evidenziare soprattutto

la residuale corona si stacco.

- Accumuli detritici con pendenza >15% spesso collegabili a forme evolute ma

che mantengono una potenziale instabilità.

- Piccole frane inattive.

FORME E DEPOSITI ORIGINATI DALLE ACQUE

- Piane alluvionali e di fondovalle pianeggiante dei maggiori corsi d’acqua

affluenti d’Arno, in buone condizioni di stabilità.

- Deposito eluvio colluviali su pendenze <15% e corpi stabilizzati di paleo frana.

- Paleomeandro scarpate fluviali sospese riconoscibili sulla Greve e in sinistra

d’Arno fra le colline di San Miniato e Bellosguardo.

- Alveo in approfondimento con erosione di fondo e di sponda che provocano

frane lungo il reticolo idrografico minore.

- Erosione di sponda nei corsi d’acqua maggiori privi di difesa (Greve,

Mugnone).

- Versante con forme superficiali di instabilità per soliflussi e/o degrado

idrogeologico a causa di abbandono di attività agricole e relative opere di

regimazione. I dissesti si manifestano su terreni e coperture argillosi, con

possibilità di evoluzione in dissesti profondi se non bonificati.

- Versante con erosione profonda concentrata precalanchiforme su substrato

costituito da rocce argillitiche (Valle del Terzollina).

Per quello che riguarda gli elementi correlati agli alvei in approfondimento, erosione

di sponda e orli di scarpata di erosione attiva, nella definizione della pericolosità

derivata dalla individuazione degli elementi geomorfologici relativi, riportati nella

Carta Geomorfologica del Quadro Conoscitivo, sono stati utilizzati buffer bilaterali di

rispetto, al fine di meglio individuare le aree d’influenza delle fenomenologie. I buffer

riportati sono rispettivamente di m. 30 per gli alvei e di m. 20 per le altre due forme

di erosione.

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Alla stessa stregua, per quello che riguarda gli elementi correlati alle frane attive e

quiescenti, nella definizione di pericolosità relativa, sono stati utilizzati buffer

planimetrici adatti a descrivere le aree di influenza.

Il Regolamento Urbanistico, attraverso la normativa di indirizzo per gli strumenti di

governo del territorio e/o per la progettazione edilizia darà indicazioni adatte

all’esecuzione di studi di dettaglio che meglio individuino le caratteristiche

planimetriche dei fenomeni e delle potenziali evoluzioni correlate.

FORME ARTIFICIALI

- Terrazzamenti agricoli in buone condizioni di efficienza e manutenzione;

realizzati su versanti con notevole pendenza e substrato roccioso, pur

svolgendo un ruolo fondamentale nel presidio del territorio, sono ridotti a

sporadiche presenze periferiche.

- Cave di pietra e relativi piazzali (con il simbolo S nella tavola NE è individuata

una antica cava di sabbia). Attualmente abbandonate rimangono numerose

aree con fronti di scavo a rischio per mancanza di sistemazione; i due

maggiori distretti estrattivi sono la valle del Mugnone (Pietra serena) e la val

d’Ema (Pietraforte); di quest’ultimo materiale esistono numerosi siti minori

d’estrazione disseminati nelle colline a sud dell’Arno. In molte situazioni i

piazzali sono stati successivamente riutilizzati per edificazione ma quasi

sempre con insufficienti interventi di messa insicurezza da rischio di crollo dei

fronti (Monte Rinaldi).

- Risistemazioni ambientali: aree almeno in parte sede di antiche attività

estrattive (Boboli, rampe P.le Michelangelo) e aree parco ottocentesche (viale

dei Colli) oggetto di ripristino e valorizzazione ambientale. Recentemente la

cava di Pietraforte di Monteripaldi è stato aggetto di recupero mediante

colmata.

- Rilevati costituiti da riporti artificiali (sfridi di cava in val d’Ema, piazzali in

Carraia). Particolare rilevanza assume la struttura cimiteriale di Trespiano, a

colmata sull’articolata morfologia collinare sottostante l’impianto ottocentesco.

- Aree a potenziale instabilità. Pur in assenza di specifiche evidenze, sono in

condizioni limite per associazione critica di pendenza del versante, litologia,

assetto della stratificazione e assenza di copertura boschiva o di presidi

colturali.

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- Orlo/Scarpata di erosione attiva con tendenza all’arretramento e dissesto alla

base, normalmente con dimensioni fino a 5 metri; per dimensioni superiori

sono compresi nella categoria della frane. Scarpate di origine tettonica con

altezze anche superiori a metri 10 al culmine di versanti su roccia quasi

sempre boscati.

- Orlo di scarpata litologica non attiva di altezza non superiore a 5 metri.

La mappatura delle forme oltre ad aver permesso la definizione della zonizzazione di

pericolosità geomorfologia allegata e parte integrante del progetto di PS insieme alla

presente relazione, come già detto, è stata anche la base per le analisi funzionali alla

definizione della pericolosità sismica.

Si ritiene che lo studio effettuato abbia permesso la descrizione di tutti i fenomeni

presenti sul territorio comunale e la relativa pericolosità territoriale; non sono state

rilevate zone con fenomenologie di pericolosità fuori dalla norma da sottoporre a

disciplina specifica speciale sia in termini di vincoli e/o salvaguardie che di indirizzi

per il RU. La normativa specifica messa a punto e facente parte integrante del

Progetto di PS insieme alla presente relazione (ed alla cartografia di cui sopra)

risponde alle prescrizioni di cui al DPGR 26/R e rappresenta la base per la

definizione delle fattibilità del RU.

SISMICA

Le analisi effettuate dal Dipartimento Scienze della Terra dell’Università di Firenze

con responsabili i Proff. M.Coli e M.Ripepe hanno permesso in primis la valutazione

degli effetti sismici locali e di sito. Tali analisi sono state condotte su tutto il territorio

comunale indipendentemente dalle UTOE.

In generale il moto sismico generato da un terremoto alla superficie di un sito

dipende da un insieme di fenomeni fisici che schematicamente possono essere

raggruppati in tre categorie fondamentali: meccanismo sorgente, propagazione delle

onde sismiche dalla sorgente al sito e effetti di sito.

I primi due gruppi di fenomeni definiscono il moto sismico di ingresso al sito che

può subire poi importanti modifiche a causa dell’interazione delle onde sismiche con

le particolari condizioni locali del sito in esame. Queste ultime indicano l’insieme delle

caratteristiche morfologiche e stratigrafiche dei depositi di terreno e delle proprietà

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meccaniche che li costituiscono. L’insieme delle modifiche che il moto di ingresso al

sito subisce, in termini di ampiezza, contenuto in frequenza e durata, per effetto delle

condizioni locale è indicato generalmente con il termine di effetti di sito o risposta

sismica locale.

La valutazione degli effetti di amplificazione del comune di Firenze è stata

eseguita tramite il programma di calcolo Shake91. Il programma calcola la risposta

associata alla propagazione verticale di onde S su modelli monodimensionali. Il

modello fisico consiste di N strati piani paralleli di estensione orizzontale infinita, su

un semispazio (bedrock sismico). Ogni strato, considerato omogeneo ed isotropo, è

caratterizzato dallo spessore (h), dalla densità, dalla velocità delle onde S (Vs) e dal

fattore di smorzamento. Il programma di calcolo restituisce come risultato finale la

risposta sismica, sia nel dominio del tempo (sismogramma) che in frequenze

(funzione di trasferimento FT).

Il modello geologico–tecnico del sottosuolo dell’area fiorentina, utilizzato per

l’analisi numerica, è quello derivante dalla sua suddivisione in Sintemi effettuata

nell’ambito delle ricerche sviluppate con il Comune di Firenze per la messa a punto

della carta Litotecnica. Ogni Sintema è caratterizzato da propri dati sismici derivanti

dalle prove down–hole disponibili.

Le elaborazioni sono quindi state fatte in base alle informazioni geofisiche e

geologiche disponibili dell’area, come indicato nel paragrafo B.7 (Elementi per la

valutazione degli effetti locali e di sito per la riduzione del rischio sismico) del

D.P.G.R. Toscana 27.04.2007, n.26/R “Regolamento di attuazione dell’articolo 62

della legge regionale 3 gennaio 2005, n. 1.

La stratigrafia di ogni singolo sondaggio è stata differenziata a seconda della

natura sedimentaria e delle caratteristiche litologiche-granulometriche, secondo la

classificazione in Sintemi in accordo con il criterio delle UBSU.

L’analisi comparata tra i dati geofisici ed i Sintemi, che costituiscono il sottosuolo

fiorentino, ha permesso di assegnare ad ogni singolo Sintema un valore di

riferimento della velocità delle onde S.

Le velocità sono poi state calcolate come la media pesata delle velocità misurate

nei rispettivi down-hole per i diversi Sintemi.

Le risultanze dell’analisi sismostratigrafica condotta su 1.220 sondaggi presenti

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nella banca dati stratigrafici del Comune di Firenze (quelli dei 1.830 totali che non

sono in roccia e dei quali è stata possibile l’interpretazione continua in termini di

USCS e Sintemi) ha portato a valutare numericamente la risposta sismica (tramite il

programma Shake91) del territorio comunale restituendo per ogni singolo sondaggio

il fattore di amplificazione (FA), calcolato come l’integrale della funzione di

trasferimento (FT) nell’intervallo di periodo di interesse ingegneristico tra 0.1 sec. e

0.5 sec.

L’integrazione a livello territoriale di questi dati calcolati a livello puntuale per ogni

sondaggio ha portato alla redazione della Carta del Fattore di Amplificazione

Calcolato (FA) per tutto il territorio dell’area fiorentina allegata al Quadro Conoscitivo.

Il valore di FA calcolato risultante è da considerare come indicativo, in particolare a

livello programmatico territoriale (RU), e non è da considerarsi come valore di sito

assegnato. Pertanto, si ritiene che fino al valore di 1,2 gli effetti dell’amplificazione

sismica locale siano comunque trascurabili, mentre oltre il valore di 1,65 appare

opportuna una considerazione specifica ed infatti è stata creata una zonizzazione

speciale di pericolosità.

Seguendo la legenda contenuta nell’allegato n. 1 alla D.P.G.R. Toscana 27.04.2007,

n.26/R “Regolamento di attuazione dell’articolo 62 della legge regionale 3 gennaio

2005, n. 1 (Norme per il governo del territorio) in materia di indagini geologiche”, dai

vari dati a sostegno, o inseriti a vario titolo nel Piano Strutturale, sono state derivate

le componenti per individuare i possibili effetti sismici locali, atti poi a realizzare la

perimetrazione delle zone a maggior pericolosità sismica locale (ZMPSL); i dati

utilizzati sono stati:

� Carta geomorfologica

� Carta geologica

� Carta litologica

� Dati idrogeologici del sottosuolo di Firenze

� Carta delle pendenze

� Banca dati dei sondaggi

� Carte topografiche: Carta Tecnica Regionale in scala 1:2.000 e 1:10.000

� Modello 3D del piano campagna

Nell’elaborazione di questi dati è stato tenuto conto anche delle indicazioni

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dell’URTAT di Firenze (pubblicato su “Il Geologo” n. 69 del settembre 2007) “Alcune

valutazioni ed indicazioni per la valutazione degli effetti locali e di sito per la riduzione

del rischio sismico (Regolamento 26/R/2007)”; la sintesi risultante è stata condensata

nella Carta dei Possibili Effetti Sismici Locali allegata al Quadro Conoscitivo e redatta

in conformità all’Allegato 1 al D.P.G.R. Toscana 26/R del 27/4/2007.

In particolare nell’ambito dello studio effettuato per l’area fiorentina i dati di base per

definire le ZMPSL sono stati ricavati con le seguenti modalità:

1 Zona caratterizzata da movimenti franosi attivi

Dalla Carta geomorfologica: Frana attiva (F) o riattivabile per intrinseca evoluzione; corona di stacco e accumulo di base Piccole frane (f) localizzate 2A Zona caratterizzata da movimenti franosi quiesce nti

Dalla Carta geomorfologica: Frana quiescente (F1) e/o evoluta ma soggetta a potenziale riattivazione per fattori esterni; corona di stacco e accumulo di base 2B Zone potenzialmente franose

Dalla Carta geomorfologica: i vari elementi che sono stati utilizzati sono stati distinti in modo da potersi distinguere anche in seguito.

• 2B Aree a potenziale instabilità per condizioni critiche di pendenza relativamente alla litologia e giacitura degli strati e senza protezione boschiva o di presidi colturali.

• 2Bs Versanti con forme superficiali di instabilità per soliflussi (sl) e di degrado idrogeologico (i) a causa di abbandono delle opere di regimazione. Il fenomeno si verifica su terreni a substrato o coperture argillose e può evolvere in forme di vero dissesto.

• 2Bd Accumuli detritici (d) con pendenze >15% potenzialmente instabili, spesso collegabili a forme evolute.

• 2Bsc versanti a valle e in parte a monte di: Orlo di scarpata di erosione (S) attiva, con altezza non superiore a 5 metri; casi di altezza maggiore al culmine di versanti su roccia e copertura boschiva sono riferibili a fattori tettonici e secondariamente erosivi (altezze anche superiori a 10 metri).

3 Zona caratterizzata da movimenti franosi inattivi

Dalla Carta geomorfologica: Frana inattiva (Pf) esaurita o stabilizzata

4 Zone con terreni particolarmente scadenti (argille e limi molto soffici, riporti poco addensati)

Dalla Carta geologica: (R) Aree di escavazione di inerti, parzialmente o completamente colmate con riporti

5 Zone con terreni granulari fini poco addensati, sat uri d’acqua con falda superficiale indicativamente nei primi 5m dal p.c.

Dalla carta delle isofreatiche e il Modello 3D del piano campagna sono state ricavate le aree con soggiacenza inferiore a 5m, queste sono state incrociate con le aree della Carta litologica SP (Sabbie ocra pulite, in parte con ghiaie a clasti ben

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arrotondati prevalentemente discoidali). Le aree risultanti sono state verificate con i dati sui sondaggi più prossimi, e lasciate solo quelle in cui i sedimenti risultavano non o poco addensati

6 Zona di ciglio H > 10m costituita da scarpate con p arete sub- verticale, bordi di cava, nicchie di distacco, orli di terrazz o e/o di scarpata di erosione (buffer di 10m a partire dal ciglio)

Dalla Carta geomorfologica integrata con Carta delle pendenze e Carte topografiche: Orlo di scarpata di erosione (S) attiva, con altezza non superiore a 5 metri; casi di altezza maggiore al culmine di versanti su roccia e copertura boschiva sono riferibili a fattori tettonici e secondariamente erosivi (altezze anche superiori a 10 metri) e Cave di pietra (c) e relativi piazzali (r): attualmente abbandonate rimangono numerose aree con fronti di scavo a rischio per mancanza di risistemazione; I due maggiori distretti estrattivi sono la valle del Mugnone (Pietra serena) e la Val d'Ema (Pietraforte); di quest'ultimo materiale esistono numerosi siti minori d'estrazione disseminati nelle colline a sud dell'Arno. Per le scarpate e i cigli di cava utilizzati è stato fatto un buffer di 10m dal ciglio, verso monte 7 Zona di cresta rocciosa sottile (buffer di 20m) e /o cocuzzolo

Non presente nel territorio

8 Zone di bordo della valle e/o aree di raccordo con il versante (buffer di 20m a partire dal contatto verso la valle)

Dalla Carta delle pendenze e Carte topografiche: tracciati i limiti e utilizzato il buffer di 20m a partire dal limite, verso la parte in pianura 9 Zona con presenza di depositi alluvionali granula ri e/o sciolti

Dalla Carta litologica: tutti i terreni granulari GS, GP, SS, SP

10 Zona con presenza di coltri detritiche di alterazio ne del substrato roccioso e/o coperture colluviali

Dalla Carta geomorfologica: Depositi eluvio-colluviali (c) su pendenze < 15%; corpi stabilizzati di paleofrana; composizione principalmente limosa. Sostanzialmente stabili e non mobilitabili per azione sismica 11 Aree costituite da conoidi alluvionali e/o coni detritici

Non presente nel territorio

12 Zona di contatto tra litotipi con caratteristiche f isico- meccaniche significativamente diverse (buffer di 20m)

Dalla Carta litologica: limite fra terreni lacustri e/o alluvionali e substrato roccioso, buffer di 20m dalla parte dei terreni terreni lacustri e/o alluvionali

13 Contatti tettonici, faglie, sovrascorrimenti e sist emi di fratturazione

(buffer di 20m)

Dalla Carta litologica: utilizzate solo le faglie, non utilizzate faglie incerte, sepolte o contatti tettonici, buffer di 20m da entrambi i lati

L’integrazione di questi 13 punti con le risultanze della modellizzazione del Fattore di

amplificazione sismica ha portato alla redazione della Carta della pericolosità sismica

del territorio fiorentino allegata e parte integrante del progetto di PS insieme alla

presente relazione. Rispetto a quanto previsto dal DPGR 26/R sono state rilevate

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zone con fenomenologie di pericolosità fuori dalla norma da sottoporre a disciplina

specifica speciale definendo due sottozone (S3* ed S3**) nell’ambito della zona a

pericolosità S3 su cui sono state individuate norme di salvaguardia particolari ed

aggiuntive rispetto a quelle della zona S3 così come indicato nella normativa

allegata. Esse rappresentano la porzione territoriale interessata da un fattore di

amplificazione sismica superiore ad 1,65 individuato nell’ambito della

modellizzazione di studio.

Si ritiene che lo studio effettuato abbia permesso la descrizione di tutti i fenomeni

presenti sul territorio comunale e la relativa pericolosità territoriale. La normativa

specifica messa a punto e facente parte integrante del Progetto di PS insieme alla

presente relazione ed alla cartografia di pericolosità risponde alle prescrizioni di cui

al DPGR 26/R e rappresenta la base per la definizione delle fattibilità del RU.

IDRAULICA

Le analisi effettuate dal Dipartimento di Ingegneria Civile dell’Università di Pisa con

responsabile il Prof. S.Pagliara hanno permesso in primis il calcolo idraulico sui tratti

significativi dei corsi d’acqua principali presenti sul territorio comunale.

Per i tratti non significativi, normalmente quelli a monte, di questi corsi d’acqua e per

gli altri corsi d’acqua (definiti in un apposito elenco concordato con URTAT di

Firenze) non ritenuti significativi a livello di PS ma che potrebbero esserlo a livello di

RU o di altri strumento di Governo del territorio si è definita una norma specifica che

indica il percorso elaborativo da mettere a punto per definirne nel dettaglio la

pericolosità idraulica. Tale norma è contenuta nella normativa allegata e parte

integrante al progetto di PS insieme alla presente relazione.

Comunque a livello del presente PS, volendo coprire l’intero territorio comunale

(ovviamente per le parti interessate dalle fenomenologie relative) con la definizione di

pericolosità, per le parti non coperte dalla modellizazione messa a punto si sono

mutuate le pericolosità individuate dal Piano di Assetto Idrogeologico dell’ Autorità di

Bacino Fiume Arno così da mettere in salvaguardia le relative porzioni territoriali

demandando ai successivi passaggi pianificatori l’eventuale studio e modellizazione

di dettaglio.

Come sopra detto il calcolo idraulico e’ stato condotto per i tratti significativi dei

seguenti corsi d’acqua :

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F.Arno

F.Greve

T.Mensola

T.Mugnone e Terzolle

utilizzando tutte le sezioni disponibili.

Calcolo IDRAULICO F.Arno

Per il Fiume Arno e’ stato realizzato il modello con il software MIKE 11 nel rispetto

delle condizioni al contorno riportate dal PAI dell’Autorità di Bacino del fiume Arno.

Tale modello utilizza le sezioni del Fiume Arno rilevate dal Provveditorato alle opere

pubbliche della Toscana in data 2002.

Le esondazioni verificate sono riportate nelle tavole allegate al quadro conoscitivo ed

hanno permesso, a seguito del calcolo della superficie di allagamento, la definizione

areale delle pericolosità relative.

Calcolo IDRAULICO T.MENSOLA

I rilievi sono quelli dello studio Hydea (marzo 2002). In particolare sono state

utilizzate le seguenti sezioni:

- Torrente Mensola (26 sezioni), da monte della briglia di Ponte a Mensola sino allo

sbocco in Arno per un tratto di circa 2.5 km.

Come condizione al contorno di valle risulta cautelativa quella dell’Arno per Tr=200

anni e durata 18 ore che assume un livello max allo sbocco di +53.8 m s.l.m. . La

Tr30 dell’Arno comporta un livello di circa +52 m s.l.m.

Il calcolo idraulico e’ stato effettuato a moto vario.

Dai dettagli del calcolo idraulico relativo allo stato attuale per le portate massime che

si possono verificare si può evincere si hanno diverse esondazioni per tutti i tempi di

ritorno considerati; esse sono riportate nelle tavole allegate al quadro conoscitivo e

hanno permesso a seguito del calcolo della superficie di allagamento la definizione

areale delle pericolosità relative.

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Calcolo IDRAULICO F.Greve

Per la Greve e’ stato utilizzato il rilievo fornito dal Consorzio di Bonifica Colline del

Chianti ed effettuato nel 2008.

Anche per la Greve si hanno vari punti di esondazione che danno luogo alle carte

degli allagamenti riportate nelle tavole allegate al quadro conoscitivo e che hanno

permesso a seguito del calcolo della superficie di allagamento la definizione areale

delle pericolosità relative.

Calcolo IDRAULICO T.Mugnone e Terzolle

Per il sistema Terzolle-Mugnone e’ stato fatto il calcolo a monte del sottopasso di

Santa Maria Novella considerando adeguato il tratto a valle della stessa per la

portata con TR=200 anni in considerazione del fatto che sono in corso i lavori di

adeguamento connessi alla realizzazione del sottoattraversamento AV/AC della città

di Firenze.

Il calcolo e’ stato effettuato con le portate massime indicate nella parte idrologica.

Si hanno alcune insufficienze che comportano le esondazioni riportate nelle tavole

allegate al quadro conoscitivo e che hanno permesso a seguito del calcolo della

superficie di allagamento la definizione areale delle pericolosità relative.

Considerazioni sui modelli di esondazione e situazi oni di pericolosità

A seguito del calcolo idraulico per individuare i punti e le quantità di esondazione si è

passati alla definizione di un modello di propagazione dell’acqua sul territorio.

In prima battuta si è messa a punto un DTM del terreno a partire dalla CTR.

La realizzazione del suddetto DTM dell’area in esame ha avuto come scopo quello di

rappresentare il piano di campagna attraverso un dataset di punti georeferenziati

(x,y,z) distribuiti regolarmente secondo un reticolo di maglia quadrata e di lato 20 m.

E’ stato ottenuto dalla CTR 1:2000 tridimensionale e dai rilievi delle sezioni. Il DTM e’

stato elaborato in maniera tale da essere idoneo ad una elaborazione di ingegneria

idraulica.

Si è quindi proceduto alla modellizazione della propagazione delle esondazioni.

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Il calcolo idraulico è stato effettuato a moto permanente lungo i corsi d’acqua ed a

moto vario bidimensionale per quanto riguarda la propagazione delle esondazioni.

La individuazione delle aree inondabili è stata effettuata mediante studio idraulico di

moto vario, condotto con l’ausilio di modelli unidimensionali “estesi” e di modelli

bidimensionali, delle aree inondabili.

Il calcolo e’ stato effettuato propagando, per ciascuna sezione risultata

idraulicamente insufficiente del tratto preso in considerazione, le acque di

esondazione sulla pianura alluvionale.

Il calcolo è stato effettuato mediante un modello di simulazione in moto vario

bidimensionale (l’unico che permetta, con un ottimo grado di precisione il calcolo

della propagazione delle acque di esondazione). In particolare è stato usato il

modello FIM2D (Pagliara 1997-2008).

Il modello matematico usato simula Il flusso bidimensionale a superficie libera

mediante il sistema alle derivate parziali, iperbolico, non lineare, delle equazioni

complete di De Saint Venant.

Sono presenti nel modello due diversi tipi di condizioni al contorno. La prima e’ quella

che considera una condizione al contorno in cui il flusso M=N=0, mentre la seconda

considera la possibilità di far defluire la portata in arrivo verso l’esterno della mesh

considerata.

Il fronte della corrente e’ trattato in modo tale che quando l’altezza d’acqua è minore

di un prefissato valore (p.e. 0.001m), il flusso nella rispettiva cella è assunto pari a

zero. Particolari equazioni sono usate nel modello, nel caso in cui si abbia un gradino

od un salto di fondo fra due celle adiacenti.

Parte del calcolo e’ stato ripetuto anche mediante l’utilizzo del codice di calcolo

MIKE21 ottenendo risultati analoghi.

I risultati hanno permesso di mettere a punto le carte di esondazione per Tempi di

ritorno:

• 20 anni

• 30 anni

• 100 anni

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• 200 anni

• 500 anni

Queste carte allegate al quadro conoscitivo sono state la base per la definizione delle

carte della pericolosità idraulica.

Si ritiene che lo studio effettuato abbia permesso la descrizione di tutti i fenomeni

presenti sul territorio comunale e la relativa pericolosità territoriale con le distinzioni e

differenziazioni di cui al primo paragrafo del presente capitolo; non sono state rilevate

zone con fenomenologie di pericolosità fuori dalla norma da sottoporre a disciplina

specifica speciale sia in termini di vincoli e/o salvaguardie che di indirizzi per il RU. La

normativa specifica messa a punto e facente parte integrante del Progetto di PS

insieme alla presente relazione ed alla cartografia di pericolosità di cui sopra

risponde alle prescrizioni di cui al DPGR 26/R e rappresenta la base per la

definizione delle fattibilità del RU.

IDROGEOLOGIA

Le analisi che sono state utilizzate per la redazione del presente capitolo si

riferiscono ai risultati di un accordo di ricerca effettuato dal Dipartimento Scienze

della Terra dell’Università di Firenze con responsabile il Prof. G.Pranzini e dagli studi

redatti nell’ambito dell’elaborazione del PS da parte dello Studio Associato Geotecno.

L’accordo di ricerca di cui sopra iniziato nel 2002 e conclusosi nel 2007 ha permesso,

utilizzando anche i dati storici in possesso dell’università, di effettuare una serie di

considerazioni statistiche che sono state base di tutti gli studi successivi e che si

sono concretizzati nella presente relazione e nella documentazione di corredo al PS.

I risultati delle analisi hanno in particolare dato indicazioni sulla situazione e sulla

dinamica quantitativa della falda che insieme con la carta della vulnerabilità hanno

permesso di decidere che non risulta necessario in sede di PS indicare particolari

pericolosità o condizionamenti ma dare indicazioni per approfondimenti da effettuarsi

in sede di RU su zone o situazioni particolari così come specificato alla fine di questo

capitolo.

Tali analisi sono state condotte su tutto il territorio comunale indipendentemente dalle

UTOE.

In prima battuta si ritiene di descrivere brevemente la “carta della vulnerabilità”

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allegata al quadro conoscitivo.

Questa carta è stata mutuata da studi effettuati dall’Università di Firenze Prof G.

Pranzini per conto dell’Amministrazione Comunale, dell’ATAF, dell’ARPAT e di altri

enti locali.

E’ redatta a partire dalla ricostruzione litostratigrafia e tenendo conto delle

permeabilità verticali degli spessori di copertura della falda ricavati da dati di

laboratorio e da prove infiltrometriche messe a punto dall’Università stessa.

I risultati sono espressi in una zonizzazione correlata ai tempi di infiltrazione e

consentono di individuare le zone a maggior vulnerabilità dell’acquifero verticale.

Considerato che gli acquiferi con un minimo di pregio in termini quantitativi e

qualitativi sono quelli più profondi e considerato che il PS non presenta, neppure a

livello di ipotesi, previsioni di funzioni di tipo industriale produttivo di nuova

edificazione, non si è ritenuto dare particolari indicazioni per l’elaborazione del RU

anche se la carta è stata lo stesso inserita nel quadro conoscitivo in modo tale che se

il RU stesso o altri atti di governo del territorio avranno la necessità di confrontarsi

con problematiche di protezione dell’acquifero avranno a disposizione questa carta

gia redatta.

Merita illustrare la metodologia utilizzata per ricavare le piezometrie e confrontarle

con i dati storici al fine di ottenere il modello evolutivo della falda.

Di tutti i pozzi è stato misurato il livello in assenza di pompaggio, tuttavia il

confronto fra i livelli di pozzi vicini ha indicato che in alcuni pozzi il livello era

sostanzialmente più basso di quelli circostanti: ciò significa che il livello non era

ancora stabilizzato oppure, più facilmente, che pozzi vicini in pompaggio

deprimevano la superficie freatica. Per questo fatto è sorto il problema se eliminare i

valori “anomali” oppure considerarli nella elaborazione dei tematismi (isofreatiche e

soggiacenza). Si è scelto di utilizzare tutti i valori.

L’elaborazione informatica dei dati è stata realizzata grazie al software ArcGIS 9. Il

primo passo è stato quello di georeferenziare i punti di misura non ancora inseriti

all’interno della nostra banca dati. Successivamente, grazie all’estensione

Geostatistical Analyst, sono stati esaminati i dati in nostro possesso tramite

l’istogramma di frequenza e il semivariogramma. Solo dopo queste analisi preliminari

dei dati si è passati all’interpolazione dei livelli piezometrici misurati, con i metodi

Inverse Distance Weighting e Kriging. Entrambe le elaborazioni hanno fornito buoni

risultati, ma alla fine è stato scelto il metodo Kriging in quanto è quello che ha

mostrato un minor errore (RMS 2,109) .

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L’interpolazione così ottenuta è stata poi convertita in una GRID formata da celle

di m. 50 di lato, che è stata utilizzata come base per la realizzazione della

piezometrie.

Prima della realizzazione delle curve piezometriche, la griglia è stata controllata

con il DTM, grazie alla funzione Logical presente all’interno dell’estensione Spatial

Analyst, per verificare la presenza di eventuali errori, cioè per controllare che la

tavola d’acqua non si trovi a quote più alte del piano di campagna.

Tramite poi la funzione Contour è stata realizzata una prima bozza delle curve

isopiezometriche, con l’equidistanza di 1 m. Si parla di bozza in quanto molte delle

curve ottenute mostravano un andamento irregolare ed eccessivamente spigoloso.

Per ovviare a questo problema è stato applicato alle curve un filtro in modo da

eliminare la maggior parte delle irregolarità, mantenendo però inalterato l’andamento

principale della curva.

L’elaborazione informatica dei dati dei soli pozzi però fornirebbe una superficie

freatica non reale in corrispondenza dei corsi d’acqua e delle zone di margine della

pianura.

Per quanto riguarda i corsi d’acqua, si deve tenere conto del fatto che l’Arno è in

equilibrio con la falda, quindi le singole isofreatiche devono essere collegate con la

corrispondente quota dell’alveo. Per ottenere questo, al set dei dati piezometrici sono

stati aggiunti numerosi valori della quota normale dell’acqua nell’alveo del fiume.

Questi valori erano stati già utilizzati nella ricostruzione del 2002 e derivano in parte

da misure dai ponti quotati, e per la maggior parte dalle quote dell’alveo lette sulle

carte topografiche in scala 1:10.000 e 1:2000. La stessa procedura è stata adottata

anche per il Fiume Greve.

Anche il Mugnone e il Terzolle sono in rapporto con la falda, almeno nel loro primo

tratto nella pianura fiorentina. Come si è già detto, il Mugnone è stato deviato ad

Ovest ed ha l’alveo in buona parte cementato o comunque impermeabile: infatti le

diverse ricostruzioni effettuate, compresa l’attuale, indicano che le isofreatiche sono

nettamente più basse dell’alveo del torrente a partire dalla curva isofreatica di quota

m. 50 s.l.m. Oltretutto, per un buon tratto il Mugnone risulta pensile rispetto alla

pianura circostante. Il Terzolle conserva un percorso più naturale, ma anch’esso

perde il rapporto idraulico con la falda nel tratto terminale. Data questa situazione, si

è preferito non usare il metodo applicato all’Arno: invece di mettere gli alvei dei due

torrenti come punti di quota della superficie freatica prima dell’elaborazione

informatica dei dati, le curve ottenute con i soli pozzi sono state poi modificate

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manualmente per evitare che incrociassero i torrenti con valori più alti dell’alveo. In

questo caso infatti sono state controllate tutte le quote tramite il DTM.

Per quanto riguarda le zone di margine, il metodo di elaborazione utilizzato

estrapola la tendenza della superficie freatica alle aree marginali prive di pozzi: di

conseguenza, la risalita del livello freatico che si registra di regola, e con incremento

del gradiente, procedendo verso i rilievi collinari, porta a fornire una superficie

freatica eccessivamente alta, spesso superiore alla superficie topografica. Per evitare

questo, in prossimità dei margini della pianura sono stati posti dei pozzi fittizi, ai quali

è stata assegnata una soggiacenza coerente con quella effettivamente riscontrata

nei pozzi di margine pianura, che di regola è di 2-3 m.

Una volta elaborate le piezometrie riferite al febbraio 2002 (morbida) e al

Settembre 2007 (magra) è stato possibile effettuare una serie di controlli e confronti

sia geostatistici che semplicemente morfologici con i dati e con le ricostruzioni

storiche della falda.

Il risultato più importante ed eclatante a livello di area è stato quello di poter

individuare chiaramente un trend di rialzo della falda negli ultimi trenta anni, ora

stabilizzato su valori che possiamo considerare massimi. Nel dettaglio se analizziamo

il livello medio di falda, in particolare con riferimento all’anno idrologico (1 ottobre - 30

settembre), osserviamo delle variazioni pluriennali significative. Fino al 1973 si è

registrato un progressivo abbassamento del livello medio; successivamente il livello

medio è risalito, più decisamente fino al 1977, più lentamente dopo.

Queste variazioni appaiono abbastanza bene correlate con l’entità delle

precipitazioni nei primi anni, mentre negli ultimi 15 anni la tendenza alla risalita non

appare giustificata dal valore delle precipitazioni, che sono andate invece a diminuire.

Si deve concludere che questa risalita è conseguente principalmente al minore

sfruttamento della falda. Quindi si è verificato a Firenze, ma in misura molto più

ridotta, quello che è accaduto a Milano, dove il dislocamento delle industrie dalla

fascia periurbana e l’abbandono della prima falda, perché inquinata, da parte dei

pozzi comunali ha causato una risalita del livello freatico fino ad 8 metri, con gravi

problemi per la metropolitana e le infrastrutture sotterranee.

Anche in alcune parti di Firenze sono denunciati allagamenti dei locali interrati.

Nella fascia pedecollinare (zone di Viale Volta, Via Vittorio Emanuele) questi

allagamenti sono collegati ad episodi di piogge intense, capaci di fare risalire il livello

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freatico già piuttosto alto. Nella zona di Via Mannelli-Viale Mazzini il livello di falda era

già alto per motivi idrogeologici (probabilmente una variazione di permeabilità); infatti

gli edifici costruiti prima del 1960 avevano dei sistemi di captazione e pompaggio, per

lo più abbandonati a seguito della costruzione del pozzo comunale di Via Mannelli; la

dismissione di questo pozzo (per inquinamento da nitriti e nitrati) ha fatto risalire il

livello ai valori precedenti, creando problemi in varie abitazioni. In particolare, in un

condominio di viale Mazzini la falda si trova a soli 1,5 metri sotto il livello della strada:

si può ritenere che qui il livello anomalo sia dovuto all’effetto barriera delle fondazioni

dell’edificio al flusso di falda.

Negli ultimi sette anni il rialzo si è sostanzialmente fermato, almeno dalle

registrazioni del freatimetro di Piazza D’azeglio.

Questa sostanziale stabilizzazione del livello medio di falda (da confermare con il

monitoraggio piezometrico in atto nella pianura fiorentina) può avere due spiegazioni

diverse.

La prima è che si è ormai raggiunto un equilibrio fra la ricarica e lo sfruttamento

della falda; in sostanza si sarebbe colmata la depressione prodotta in passato dagli

emungimenti. Occorre ricordare che la ricarica della falda avviene in buona parte

dall’Arno, che rappresenta una linea di potenziale piezometrico imposto.

La seconda possibilità è che la risalita si sia arrestata per la ripresa dello

sfruttamento (si fa riferimento soprattutto all’incremento dei pozzi per il

condizionamento dell’aria) e per la minore infiltrazione.

Relativamente alle correlazioni di queste variazioni pluriennali del livello di falda

con le precipitazioni, possiamo fare riferimento alla registrazione dei livelli nei

piezometri della Fortezza Da Basso (fino al 2003) e di Piazza D’Azeglio.

Quest’ultimo, in particolare, sembra fornire con buona approssimazione l’andamento

della falda, almeno nella zona centrale della città. I livelli della falda appaiono

abbastanza bene correlati con l’entità delle precipitazioni fino ai primi anni ’90,

mentre in seguito il livello medio è continuato a salire indipendentemente dall’entità

delle precipitazioni, evidentemente seguendo una dinamica correlata ai fattori sopra

ipotizzati in particolare a causa dell’abbandono di molti pozzi, oltre quelli

dell’acquedotto. Negli ultimi 5 anni la risalita si è fermata, almeno se consideriamo il

livello a Piazza D’Azeglio, ed i livelli minimi e massimi sono rimasti sostanzialmente

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gli stessi. Riprendendo le ipotesi di cui sopra dunque o abbiamo raggiunto una

situazione di sostanziale equilibrio fra la ricarica e lo sfruttamento dell'acquifero o un

maggior sfruttamento ha controbilanciato la ricarica. Questo eventuale

sovrasfruttamento non può che essere correlato alla domanda di acqua di falda per

scambio termico connesso al condizionamento estivo (si deve considerare che allo

stato attuale non è possibile reimmettere l'acqua usata in falda).

Questo seconda ipotesi è quella che maggiormente dovrà essere sviscerata

considerato che avrebbe una evoluzione sicuramente peggiorativa visto l'aumento di

domande di attingimento per gli scopi suddetti, rispetto alla prima che evidentemente

avrebbe già raggiunto il suo equilibrio statico.

In termini zonali poi inciderebbe particolarmente nell'ambito compreso entro la

cerchia dei viali ove è assolutamente vietato effettuare lo scambio termico per il

condiziorìamento con gli scambiatori ad aria, si riscontra la presenza di spessori

iitologici che se desaturati possono essere particolarmente compressibili e si registra

la presenza di numerosi edifici anche di alto valore storico architettonico che

potrebbero essere particolarmente sensibili a suddette variazioni vista la vetustà e le

tipolog ie costruttive.

Allo stato attuale le analisi delle piezometrie non individuano zone di particolare

sovrasfruttamento masi ritiene di indicare che il RU nell'ambito della definizione degli

studi correlati alla fattibilità delle previsioni dovrà sviluppare analisi che permettano di

chiarire se le problematiche di cui sopra sono davvero correlabili ad un'

sovrasfruttamento entro la cerchia dei viali ed eventualmente stabilire condizioni

particolari di intervento o indicazioni particolari impiantistiche da travasare negli

strumenti attuafivi o nel Regolamento Edilizio.

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