Comportamenti e dinamiche relazionali · ciò che caratterizza la particolare realtà in cui si...

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Comportamenti e dinamiche relazionali Presentazione In una situazione così diversa da quella della didattica convenzionale, il docente domiciliare ha la necessità di capire come comportarsi e relazionarsi con tutto ciò che caratterizza la particolare realtà in cui si trova a operare. Può quindi essere utile una riflessione sulla possibile condizione psicologica sia degli allievi in cura domiciliare sia delle rispettive famiglie, cercando di comprendere gli effetti cognitivi ed emotivi provocabili dalla malattia e dalla lungodegenza. Allo stesso tempo è importante capire quali sono i comportamenti più idonei da adottare nell’interagire con lo studente malato e il contesto specifico rappresentato dai familiari e dalla scuola. In questo senso è necessario abituarsi a modulare lo stile comunicativo, comprese le componenti non verbali della comunicazione, e a sviluppare capacità assertive e di ascolto attivo. Contestualmente vanno poi acquisite quelle competenze relazionali che consentano all’insegnante di muoversi efficacemente all’interno di complesse dinamiche dove è importante saper osservare, riconoscere, gestire.

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Comportamenti e dinamiche relazionali

Presentazione

In una situazione così diversa da quella della didattica convenzionale, il docente domiciliare ha la necessità di capire come comportarsi e relazionarsi con tutto ciò che caratterizza la particolare realtà in cui si trova a operare.Può quindi essere utile una riflessione sulla possibile condizione psicologicasia degli allievi in cura domiciliare sia delle rispettive famiglie, cercando di comprendere gli effetti cognitivi ed emotivi provocabili dalla malattia e dalla lungodegenza.

Allo stesso tempo è importante capire quali sono i comportamenti più idonei da adottare nell’interagire con lo studente malato e il contesto specifico rappresentato dai familiari e dalla scuola.In questo senso è necessario abituarsi a modulare lo stile comunicativo, comprese le componenti non verbali della comunicazione, e a sviluppare capacità assertive e di ascolto attivo.

Contestualmente vanno poi acquisite quelle competenze relazionali che consentano all’insegnante di muoversi efficacemente all’interno di complesse dinamiche dove è importante saper osservare, riconoscere, gestire.

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Sviluppo cognitivo e malattia

I fattori dipendenti dalla malattia che influenzano lo sviluppo cognitivo sono:

limitazioni fisiche

procedure invasive diagnostiche e terapeutiche

isolamento sociale

EFFETTI:

disarmonia

ritardo globale elementi regressivi

spesso povertà e ripetitività del gioco simbolico

passività

dipendenzaaggressività iperattività

Altri effetti possibili delle malattie sui bambini sono:

• la difficoltà nei processi di differenziazione e di rappresentazione, con possibili ritardi nell’apprendimento;

Sviluppo cognitivo e malattia

• difficoltà di attenzione e di memoria ed uno scarso investimento nell’apprendimento.

Spesso, inoltre, i bambini malati appaiono immaturi rispetto ai loro coetanei, ma la consapevolezza della malattia e la possibile angoscia di morte li può rendere ipermaturi.

Si può assistere, molto spesso, all’adozione di comportamenti adultizzati come segno di adattamento estremo ad una condizione limitante.

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Impatto emotivo della malattia

L’impatto emotivo della malattia: quali sintomi?

instabilità dell’umore

scarsa autostima

scarsa fiducia in se stessi e nei confronti

del mondo

irritabilità

bisogno di protezione

dipendenza

Ansia: la loro componente fisiologica, quella cognitiva e le conseguenze

Il vissuto di malattia nel bambino

aggressione esterna

minaccia per la propria incolumità

colpa/castigo

perdita del senso di identità e integrità

paura

solitudine

isolamento

diversità

Il vissuto di malattia nel bambino: quali effetti?

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Al trauma della malattia, con l’abbandono di uno stato di benessere psicofisico, si aggiunge l’allontanamento dal proprio ambiente e la possibile separazione, anche se

temporanea, da una o più figure di attaccamento

Effetti della malattia sul bambino/ragazzo

Il ricovero o il trasferimento presso un centro di cura lontano da casa rappresenta la rottura rispetto alle certezze della vita quotidiana e al percorso di crescita verso l’autonomia,

con la conseguente perdita di spazi propri e privati

La famiglia e la malattia di un figlio

Ogni persona è inserita in un contesto sociale e relazionale; inparticolare, l’incontro con un bambino non può prescindere dal tenere in considerazione le modalità relazionali e reattive specifiche della sua famiglia, nonché la qualità dei legami affettivi e lo stile di attaccamento che caratterizza quel nucleo familiare.

Attenzione: essere consapevoli dell’importanza di questi aspetti relazionali è utile per osservare con attenzione i diversi atteggiamenti, ma non per sentirsi autorizzati ad intervenire per cercare di modificarli.

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Le reazioni familiari sia verso un bambino malato, sia di fronte ad una diagnosi di malattia grave e potenzialmente mortale si possono genericamente articolare in tre fasi:

La famiglia e le reazioni alla malattia

shock: dura qualche giorno e prevede confusione, disorientamento, disorganizzazione totale

negazione: rappresenta la difesa e lotta estrema contro la malattia che viene ignorata o sottovalutata

accettazione della malattia e riorganizzazione delle relazioni familiari

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È inevitabile l’alternanza costante di emozioni anche ambivalenti, sia positive sia negative, che portano ad assestarsi sulla condizione tollerata di convivere con una situazione di per sé inaccettabile

La famiglia e le reazioni alla malattia

Una diagnosi di malattia del figlio rappresenta per i genitori la perdita

dell’immagine di sé come adulto in grado di tutelare e proteggere la propria creatura, nonché il crollo

delle speranze riposte nel figlio stesso

Sono presenti, nella maggior parte dei casi, sentimenti di eccesso di responsabilità e colpa.

Una breve sintesi riguardo la teoria dell’attaccamento elaborata da Bowlby, che definisce il modo in cui un genitore si prende cura del proprio bambino e sulle differenti modalità di attaccamento da lui sviluppate.

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Gli atteggiamenti di una famiglia di un bambino/ragazzo malato possono essere molto differenti:

Reazioni della famiglia alla malattia

Inoltre ogni membro della famiglia reagisce non solo alla malattia del bambino, ma anche agli atteggiamenti degli altri familiari: tutto ciò contribuisce all’aumento della complessità.

eccessiva e rigida aderenza alle regole e ai ritmi imposti

dalla malattia e dalle terapie

indulgenzaiperprotezione

indifferenza e rifiuto

Alcuni atteggiamenti reattivi

tono dimesso, rallentamento, evitamento delle relazioni interpersonali, isolamento

frequenti lamentazioni, atteggiamenti rivendicativi, assunzione del ruolo di vittima

aggressività

posizione attiva nei confronti della situazione di malattia, perriuscire a mantenere alcune abitudini e conquistarsi uno spazio

autonomo nella nuova condizione

incitamento nei confronti del figlio malato, talvolta eccessivo con rischio di iper-responsabilizzare rispetto alle cause ed

all’esito prognostico della malattia

Alcuni degli atteggiamenti più frequenti sono:

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La malattia impone uno sconvolgimento dei normali orari, luoghi, abitudini della vita di tutti i giorni; inoltre almeno un adulto, solitamente la madre, rimane costantemente accanto al bambino.

Vita quotidiana dei familiari

In caso di trasferimento per le cure, l’assenza di uno o di entrambi i genitori dal

nucleo familiare incide sicuramente su eventuali altri figli, a cui vengono modificate le

normali abitudini di vita.In un momento che vivono anch’essi con ansia e

angoscia, devono spesso trascorrere molto tempo o da soli o con altre persone diverse dai genitori.

È importante tenere in considerazione la presenza di altri membri della famiglia, come nonni o zii, che si sostituiscono o si sovrappongono ai genitori con conseguente aumento di livelli di confusione e conflitto o del senso di inadeguatezza dei genitori.

Altre figure “parentali”

È molto importante, quando ci si rapporta con la famiglia di un alunno presso il suo domicilio, capire chi sono e che ruolo hanno gli adultiche si incontrano in assistenza, senza dare nulla per scontato, per non rischiare di colludere anche involontariamente con persone prevaricanti i ruoli altrui, ma trovando il canale per instaurare indispensabili alleanze.

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Ogni persona e ogni famiglia ha il proprio stile relazionale e comunicativo e la propria modalità di gestione delle situazioni nuove e problematiche.

Adattamento della famiglia

L’adattamento è un percorso che passa attraverso l’acquisizione di informazioni ed implica il coinvolgimento attivo del bambino di qualsiasi età per trovare insieme come stare nella situazione e percorrere l’esperienza di malattia in modo integrato.

Non esiste, quindi, un elenco di comportamenti adeguati “preconfezionati” da adottare, ma un misurarsi soggettivo con la situazione, per quanto drammatica, al fine di trovare il modo per un adattamento il più funzionale possibile.

Gli operatori sanitari, sociali e gli insegnanti sono osservatori privilegiati, ma

esterni: non bisogna cadere nella trappola dell’identificazione e attribuire consigli, soluzioni pregiudiziali, che non appartengono alla storia personale,

familiare e culturale di quell’individuo, bambino o genitore

Il rispetto della famiglia

Di fronte alla grande varietà di atteggiamenti, reazioni emotive e comportamenti osservati, è fondamentale mantenere sempre un

atteggiamento di profondo rispetto.

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Rispettare il mondo privato dell’alunno e della sua famiglia: a domicilio è particolarmente

elevato il rischio di violare spazi intimi, anche involontariamente

Rispettare i ritmi ed abitudini familiari ed individuali

Programmare gli incontri per le lezioni con una certa regolarità, ma concordati con l’alunno, anche in base alle

esigenze sanitarie

Diventa quindi importante

Non è utile né costruttivo attribuire alla condizione di malattia del bambino ogni

difficoltà o caratteristica che si discosta dalla norma: esistono comportamenti e pensieri

disfunzionali precedenti, che vengono riattivati o semplicemente riproposti.

Esiste un prima!

È altrettanto fondamentale rapportarsi con il bambino nella sua interezza e, quindi,

lavorare in ascolto e in alleanza con tutto ciò che è sano… che è molto!

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Fasi evolutive e malattia

Secondo Bibace & Walsh ai tre principali stadi piagettiani corrispondono differenti livelli di comprensione del fenomeno della malattia.

Viene individuata in fattori sia interni che esterni

Comprendono le interazioni tra gli aspetti fisiologici del dolore e quello di malattia

Operazioni formali: capacità di pensiero astratto e d’introspezione

Stadio logico formale11-14 anni

Viene individuata in una persona, in un oggetto o in un evento esterno

“l’aspirazione del midollo èuna prova per vedere se la chemioterapia sta vincendo il cancro”, comprendono la connessione tra dolore e malattia

Operazioni concrete, il bambino è in grado di distinguere se stesso dall’ambiente

Stadio logico concreto7-10 anni

Viene individuata nell’ambito di un fenomeno naturale, ricorrono al fenomeno del contagio,

“il dolore è dove fa male”, difficoltà a cogliere la connessione tra dolore e malattia

Pensiero prelogico caratterizzato da ragionamento concreto, egocentrismo

Stadio prelogico2-7 anni

Causa della malattiaConcezione prevalente del dolore

Sviluppo cognitivoCategoria piagetiana

Quando si parla di bambini/ragazzi ospedalizzati e/o in terapia domiciliare un aspetto importante da tenere in considerazione è la loro età. A seconda delle

età i bambini/ragazzi fanno ipotesi sul perché della loro malattia.

Fasi evolutive e malattia

L’infanzia

Il vissuto di malattia ha espressioni molto differenti non solo in relazione alla soggettività dell’individuo e del suo contesto, ma ha caratteristiche peculiari in base alle differenti fasce d’età della persona che si ammala.

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Fasi evolutive e malattia

L’infanzia

Per i bambini in età scolare l’impatto maggiore è rappresentato dal doversi separare – anche se temporaneamente – dagli altri bambini, siano essi fratelli, cugini, vicini di casa, amici o compagni di scuola.

Il bambino deve fare i conti con un corpo che “crea problemi” e cerca di capire cosa accade e perché.

I genitori diventano spesso oggetto di reazioni aggressive conseguenti alle frustrazioni imposte dalla situazione.

lo spazio della potenzialità e della possibilità di adattamento,

per quanto condizionato dalle modalità di interazione con l’ambiente (famiglia, amici, medici) e di realizzazione delle sue

aspirazioni, più o meno realistiche.

Fasi evolutive e malattia

L’adolescenza è associata spesso aproblematicità, devianza, incomprensione,

ma rappresenta soprattutto

L’adolescenza

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L’adolescente malato sente minacciata, più di chiunque altro, la propria

immagine corporea

Adolescente e malattia

egli è, infatti, in un momento evolutivo che lo vede concentrato sul proprio

corpo, in ascolto dei tanti segnali di cambiamento, che lo colgono anche di

sorpresa e che non sempre sa accettare, spiegare e prontamente gestire

Il tema del controllo è centrale per l’adolescente che si sta sperimentando come soggetto abile e in grado di prendere

decisioni, nel suo processo di autonomizzazione

La malattia contribuisce a farlo sentire in balia:

degli eventi, degli adulti, da cui sta cercando con fatica di emanciparsidel proprio corpo, su cui cerca di esercitare estremi tentativi di controllo

Adolescente e controllo

ridotta assunzione di cibo, scarsa aderenza ai trattamenti

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Coinvolgimento dell’adolescente

L’adolescente ha diritto:a un’informazione completa sulla malattia e sul trattamento

a conoscere passo a passo e possibilmente in anticipo cosa succede aiuta l’adolescente a sentirsi coinvolto

una pianificazione accurata della terapia si rileva particolarmente utile nei periodi più critici

in più, ogni aspetto della terapia – così come della scuola –andrebbe discusso e talvolta negoziato con l’adolescente stesso

Adolescente malato e scuola

Essere insegnante di un alunno adolescente malato che non può frequentare la scuola - avvicinandolo in una condizione di forzata

solitudine, anche se talvolta apparentemente voluta, senza poterlo osservare interagire con i compagni – necessita saper

dosare con attenzione flessibilità, fermezza, empatia

Si tratta di prendere in carico l’intera persona in fase di emancipazione, costretta ad una brusca frenata, verso la sua

indipendenza e sostenerla nell’esplorare strade alternative

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Dosare le domande, diluirle nel tempo: possono essere vissute come un modo violento di entrare in relazione

Dichiarare la propria eventuale ignoranza rispetto alla sua malattia e conseguenti terapie e permettere che sia lui/lei a spiegare

Dichiarare la propria eventuale inesperienzanell’insegnamento a domicilio, per lasciare lo spazio di strutturare insieme tempi e modalità più funzionali

Relazionarsi con l’alunno adolescente

Significato emotivo nelle differenti fasi della malattia

• la diagnosi, che segna il passaggio da una condizione di salute – quanto meno presunta – a una dichiarata di malattia;

• l’assunzione di farmaci, a cui si associano aspettative e timori, per risultati ed effetti collaterali;

• intervento chirurgico o trapianto d’organo o di midollo osseo;

• la dimissione o la remissione dei sintomi che prelude al nuovo atteso e temuto confronto con la “normalità”.

In ogni percorso di malattia si possono individuare differenti fasi e momenti critici:

L’attesa è associata a uno stato d’animo pesante e delicato che prelude a ogni fase.

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L’attesa suscita emozioni e atteggiamenti differenti, quali ansia, aspettative realistiche o miracolistiche, paura dell’ignoto, del dolore.

Aspetti psicologici dell’attesa

L’intervento chirurgico, ad esempio, può essere vissuto come risolutivo o, al contrario, può coincidere con il rischio di

una menomazione.

Un altro esempio è il trapianto di midollo osseo che viene spesso affrontato con la speranza “dell’ultima possibilità”, ma anche con il terrore delle frequenti complicanze e della lunga degenza in isolamento.

Impatto della recidiva

bambini e genitori sanno cosa significa riprendere le terapie e cosa dovranno affrontare in termini di sofferenza e di alterazione dei ritmi quotidiani familiari

le aspettative e le speranze di guarigione si riducono drasticamente

prendono spazio sentimenti di sfiducia e di rabbia nei confronti di un destino avverso

per alcune persone è la profezia che si autoavvera

si osserva un impegno maggiore nel non separare la famiglia

Per diverse patologie, come quelle oncologiche, l’aspetto più devastante dal punto di vista psicologico ed affettivo è convivere con il rischio della ripresa di malattia:

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La fase di progressione della malattia è la fase che costringe a confrontarsi con il fallimento e con il cambiamento di obiettivo:

Progressione di malattia e vissuto

da un’ottica di guarigione quasi ad ogni costo

all’arrendersi ad una malattia che ha il sopravvento sulle possibilità di sopravvivenza e crescita ed impone un’attenzione massima alla qualità di vita e alla qualità della morte del

paziente, anche se è un bambino.

si passa

Progressione di malattia e vissuto

Gli insegnanti svolgono in questo senso un ruolo prioritario anche per il messaggio di progettualità insito nel significato della

proposta scolastica.

Uno degli aspetti più delicati è il fragilissimo equilibrio e confine tra vita e morte:

un genitore, per difesa e per stanchezza estreme, può rinunciare a considerare il proprio figlio vivo a tutti gli effetti, ma la presenza di operatori professionali che si rapportano fino all’ultimo con il

bambino/ragazzo aiuta il genitore a riconoscerlo come tale.

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La dimissione

Uno dei momenti paradossalmente più ansiogeni e vissuti con elevati livelli di angoscia soprattutto dai genitori è quello che

precede la dimissione:

il primo rientro a casa dopo aver ricevuto una diagnosi importante può essere vissuto con difficoltà perché il confrontarsi con l’ambiente esterno può rendere più

marcata e più reale la percezione di diversità e di danno;

lasciare l’ambiente ospedaliero e sospendere la terapia, inoltre, mette ansia perché significa abbandonare

un luogo protetto, dove c’è chi si prende cura del bambino/ragazzo e su cui si ripongono aspettative.

È proprio questo il momento in cui spesso il docente domiciliare entra in contatto con l’alunno e la sua famiglia.

L’insegnante si pone con delicatezza e nel rispetto dei tempi di adattamento necessari all’alunno.

Il docente rappresenta una risorsa importante per incoraggiare una nuova progettualità del bambino malato.

La dimissione

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...una sgradevole esperienza sensoriale ed emozionale associata a reale o potenziale danno

tessutale o descritta in termini di tale danno.IASP

Il dolore è …

Un fenomeno imprescindibile dal concetto di malattia e ricco di significato psicologico ad ogni età è sicuramente il dolore.

Il dolore può essere definito come…

Una rassegna sulle tecniche cognitive-comportamentali per la gestione e la riduzione del dolore nei bambini sottoposti a indagini diagnostiche e cure mediche invasive (228 KB).

Analisi sulle caratteristiche del dolore: dagli aspetti anatomo-fisiologici ai fattori psicosociali che caratterizzano la risposta comportamentale ed emotiva.

Aspetti terapeutici e psicologici delle cure palliative e il ruolo del genitori.

La percezione del dolore è condizionata anche da fattori psicologici. La variabilità dell’esperienza di dolore nel bambino può dipendere da:

precedenti esperienze dolorose

La percezione del dolore

caratteristiche individuali di personalità

credenze religiose

contesto socio-culturale

valenza del dolore a livello familiare

rapporti con i genitori

età

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sentimenti di ansia, depressione, rabbia, impotenza, senso di colpa, regressione

modificazione del pianto

immobilità, atonia psicomotoria, diminuzione della soglia del dolore

modificazione dei rapporti con i genitorie con i coetanei

Conseguenze del dolore sullo sviluppo psicologico

Le conseguenze del dolore sullo sviluppo psicologico sono:

Come le tecniche non farmacologiche possono supportare psicologicamente un bambino con dolore?

Le tecniche non farmacologiche

il rinforzo positivo

il meccanismo adattivo di difesa dal dolore

Attraverso:

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Alcune tecniche non farmacologiche

USO DI TECNICHE IMMAGINATIVE (IMAGERY)

RILASSAMENTO

RESPIRAZIONE (es: tecnica del palloncino rosso)

IPNOANALGESIA

• tecnica del guanto magico

• immagini rilassanti e distraenti

• l’interruttore del dolore

• le bolle di sapone

La comunicazione: definizione

Le azioni fondamentali del comunicare sono: ascoltare, parlare, leggere, scrivere.

Va sempre identificato il contesto situazionale e interpersonale in cui si comunica.

L’atto del comunicare presuppone sempre un messaggio, un emittente e un destinatario; è necessario l’uso di un codice condiviso o riconoscibile (codifica e decodifica).

Le alterazioni della comunicazione possono, quindi, avvenire a vari livelli.

Comunicare è “mettere in comune” informazioni, emozioni, opinioni, esperienze. Implica concetti quali: partecipazione, scambio, trasmissione, diffusione, intenzionalità, motivazione.

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Gli assiomi della comunicazione

Non si può non comunicare (anche il silenzio è un messaggio);

In ogni messaggio si può distinguere un livello di contenuto e uno di relazione (metacomunicazione);

L’interpretazione del rapporto di causa-effetto degli scambi comunicativi è soggettivo;

Gli esseri umani comunicano sia con la parola (modulo digitale/numerico) sia con immagini e gesti, cioè le componenti non verbali (modulo analogico);

Gli scambi comunicativi possono essere simmetrici o complementari, cioè basati rispettivamente su uguaglianze o differenze. Una relazione è equilibrata quando simmetria e complementarietà si alternano.

Dall’analisi della comunicazione interpersonale, un gruppo di studiosi americani (Watzlavick e colleghi, “gruppo di Palo Alto”, California,

La Pragmatica della comunicazione umana, 1971) hanno formulato una teoria, enunciando alcuni assiomi relativi alla comunicazione:

Comunicazione non verbale

Nei rapporti interpersonali, ogni atto comunicativo presuppone il riconoscimento e l’interpretazione dei segnali inviati dall’ambiente

esterno e dall’interlocutore. La comunicazione non verbale è sempre utilizzata simultaneamente a quella verbale.

L’individuo, perciò, integra i contenuti linguistici verbali con segni e strumenti non verbali. Per una comunicazione corretta ed efficace le

componenti verbali e non verbali dovrebbero concordare.

Il linguaggio non verbale è più diretto, meno soggetto al controllo volontario e più in contatto con le emozioni.

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l’individuo integra i contenuti linguistici verbali con segni e strumenti non verbalicon cui i contenuti stessi dovrebbero concordare.

In ogni atto comunicativo interpersonale, oltre a riconoscimento ed interpretazione di segnali inviati dall’ambiente esterno,

Comunicazione non verbale

I bambini sono molto attenti e sensibili alle componenti non verbali della

comunicazione e la mancanza di coerenzatra segnali verbali e non può essere fonte di

grande disagio.

Comunicazione non verbale

In particolare, un bambino malato, al quale spesso –purtroppo – viene detto troppo poco o troppo lontano

dalla verità, è estremamente ricettivo a qualunque segnale gli dia un indizio di non aderenza alla realtà

verbalizzata.

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modo di vestire e di presentarsi.

SINCRONIZZAZIONE

sensibilità percettiva non verbale: valutazione ed analisi della realtà, per la riproduzione e verbalizzazione degli

stimoli e la selezione degli interventi.

sposta l’attenzione da sé come oggetto della percezione altrui e favorisce l’applicazione di altre abilità non verbali e la

valutazione oggettiva del mondo esterno.

ASPETTO FISICO

Abilità non verbali

OSSERVAZIONE

guardare il proprio interlocutore è segno di interesse, attenzione e disponibilità.

SPAZIO SOCIALE

permette di comunicare e cogliere le diverse condizioni emotive.

postura; spazialità e modalità di movimento, in termini dinamici di distanza, orientamento, contatto; visibilità sociale, cioè le tecniche e l’intensità con cui è

possibile richiamare l’attenzione su di sé.

CONTATTO OCULARE

MIMICA FACCIALE

Abilità non verbali

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TONO DELLA VOCE

se variato, provoca uno spostamento semantico e consente l’ampliamento del repertorio espressivo; per ottenere uno stile efficace si cerca la ricchezza di modulazione e cadenze, la continuità dell’emissione alternata ed una equilibrata gestione del silenzio. Le frequenze elevate andrebbero evitate perché rischiano di aumentare lo stato ansioso.

Abilità non verbali

GESTUALITÀ

movimenti delle mani e delle braccia.

Sono strettamente legati al contesto culturale.

Si dividono in:

Abilità non verbali

gesti di accompagnamento:

di rinforzo all’espressività verbale.

gesti semantici:

dotati di significato autonomo e convenzionale.

Per esempio, dito indice davanti alle labbra, per

invitare al silenzio.

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Le abilità verbali rappresentano l’ampia gamma di strategie e strumenti che permettono di interagire attraverso un codice verbale condiviso.

Imparare a conoscerle e riconoscerle permette di utilizzarle in modo consapevole, al fine di rendere la comunicazione più efficace.

Abilità verbali

valutazione del bisogno

Inserimento in conversazione

Libere informazioni personali

informazioni discrete che ci qualificano rispetto ai nostri atteggiamenti, emozioni, intenzioni.

osservazione

scelta dell’argomento

scelta dell’interlocutore

Autoapertura

Abilità verbali

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favoriscono risposte continue e lunghe; sono coinvolgenti e stimolano l’interlocutore a fornire più informazioni.

“io ho voglia di dormire, e tu?”

“il tuo quaderno di matematica è rosso o bianco?”

“a me piacciono i gatti, e a te?”

“… che ne dici?”

Tipologie di domande

suggeriscono risposte secche, portano alla formulazione di nuovedomande o alla ricerca di nuovi argomenti di conversazione.

DOMANDE CHIUSE

DOMANDE APERTE

“hai un fratello?”

“… anche a mio fratello piace il mare”

i momenti di pausa sono parte integrante del dialogo, con una loro pregnanza e valenza semantica e non vanno vissuti in modo ansioso.

… …

GESTIONE DEL SILENZIO

riconoscere nel finale dell’intervento dell’interlocutore stimoli di aggancio da rilanciare per individuare argomenti di interesse.

DOMANDE E RISPOSTE RIFLESSE:

Tipologie di domande

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Cambio argomento e chiusura comunicazione

il congedo dall’alunno, per esempio, va fatto precedere da affermazioni rassicuranti e gratificanti circa

l’incontro o la lezione avuti.

il cambio di argomento o la chiusura della conversazione sono volontà che vanno espresse con chiarezza e decisione.

CAMBIO DI ARGOMENTO E CHIUSURA DELLA CONVERSAZIONE

L’ascolto

Comunicare è anche ascoltare.

L’ascolto è una delle componenti principali della comunicazione; è un’abilità che può essere migliorata e rappresenta la base per instaurare una buona relazione

con l’altro.

L’ascolto può essere di qualità variabile e si modula anche attraverso atteggiamenti, sguardi e diversi gradi di

attenzione e di interesse.

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Sentire – le nostre orecchie inviano in continuazione segnali uditivi al cervello.

Ascoltare – l’attenzione ai suoni che ci arrivano, selezionando ciò che ci interessa, è fondamentale in una conversazione.

L’ascolto

“ ti ricordi?”

Ascolto passivo o debole

“ti è mai capitato?”

con domande relative all’alunno stesso.

Come risvegliare l’attenzione e stimolare la partecipazione?

Posizione di fissità, senza feedback: anche quando è compatibile con un ruolo in un contesto gerarchico (es: insegnante-alunno), può

essere segnale di difesa o disinteresse.

“cosa ne pensi?”

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Ascolto aggressivo

Ascolto puntualizzante: interrompere spesso l’interlocutore per correggere, integrare, modificare.

Ascolto ipercritico: aggrottare la fronte; alzare un sopracciglio; piegare gli angoli della bocca verso il basso; scuotere la testa.

Imporre i propri ritmi alla persona che ci sta parlando

Approvazione attraverso l’attenzione, espressa anche attraverso il silenzio, potente messaggio non verbale.

Ascolto attivo

L’ascolto attivo vuole anche dire ritrasmettere indietro ciò che si è

capito del messaggio del mittente, astenendosi da qualunque

valutazione.

Il bambino ha difficoltà …

Quindi il bambino ha

difficoltà a …?

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avvalorare, incoraggiare, far vedere che si è interessati e

che si vuole che continui

Strumenti dell’ascolto attivo

rivolgere domande aperte

riformulare, riassumere i punti salienti, dimostrare che si è colta l’importanza di ciò che l’interlocutore sta

dicendo e si è capito cosa prova

Gli strumenti dell’ascolto attivo sono:

consapevolezza del proprio stato d’animo in quel momento

Uso dell’ascolto attivo

dedicare tempo alla raccolta di informazioni: conoscere sentimenti, idee, aspettative, desideri circa i suoi

problemi di salute e il contesto in cui collocarli

semplificare

dare informazioni e prescrizioni

L’utilizzo dell’ascolto attivo è consigliabile in queste situazioni:

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L’ascolto dei bambini malati “promuove la loro consapevolezza di essere curati e permette loro di raccontare, quando e come lo sentono possibile, emozioni, sentimenti e pensieri su vari momenti della loro storia passata presente e futura … in questa trama di comunicazioni si inseriscono in modo più comprensibile ed efficace le indispensabilispiegazioni”.

L’ascolto: prendersi cura

(P. Massaglia, 2001)

Nel rapporto docente-alunno è importante dedicare tempo ad un’iniziale fase conoscitiva, incoraggiando

l’alunno con tecniche di autoapertura e con domande aperte, entrambe facilitanti.

Strategie didattiche basate sulla scoperta

Adottare strategie didattiche basate sulla scoperta risulta utile per facilitare la relazione e gli scambi comunicativi, soprattutto perché consente di avvicinarsi allo stile cognitivo dell’alunno (lasciandogli spazio ed osservandolo).

Cosa ti piace fare?

Tali strategie sono espressione di delicatezza professionale: significa non imporsi per evitare un distacco emotivo, che avrebbe un effetto negativo anche sull’apprendimento.

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Lo stile comunicativo del docente

Nella specificità della realtà professionale relazionale del docente in contesto domiciliare si possono individuare alcune caratteristiche che contraddistinguono uno stile comunicativo adeguato alla peculiarità della situazione.

Lo stile comunicativo opportunamente impiegato dal docente domiciliare dovrebbe trasmettere:

accoglienza all’alunno;

rassicurazione circa il rispetto dei propri tempi e ritmi;

fermezza nel fornire stimoli adeguati all’età e alla preparazione scolastica dell’alunno.

L’autodialogo

Qualunque cosa pensiamo e ogni frase che pronunciamo rivolgendoci ad altri sono contenuti che comunichiamo anche a noi stessi.

L’autodialogo è ciò che diciamo, è il modo in cui ci parliamo.

È intuibile il valore e l’impatto che la qualità dell’autodialogo può avere sulla propria autostima, sullo stato d’animo, e sulla competenza comunicativa e sociale.

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L’autodialogo è uno strumento efficace per monitorare il proprio comportamento reattivo ed

emotivo e per potenziare il controllo e l’efficacia della comunicazione.

Aumentando la consapevolezza, l’autodialogoconsente di meglio

modulare lo stile comunicativorispetto al contesto e all’interlocutore.

……

L’autodialogo

La comunicazione,in riferimento al significato

pedagogico di formazione, ha, come caratteristica di base il

rispetto di pensare altrimenti.

Comunicazione come accettazione

È fondamentale essere aperti all’altro -l’alunno, il genitore, il collega -

e fare in modo che questa apertura sia percepita,

pur senza perdere di vista gli obiettivi didattici e la definizione del proprio ruolo.

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L’assertività

Il concetto di assertività si riferisce alla “competenza relazionale che permette di riconoscere le proprie emozioni ed i propri bisogni e di comunicarli nel rispetto reciproco” (Mauri e Tinti, 2002).

La comunicazione è lo strumento che collega i bisogni dell’uomo, in quanto essere sociale, alla capacità di esprimerli.

richiede di prestare attenzione all’altro, allo scopo di costruire o mantenere una buona relazione.

implica il riconoscimento dei propri bisognie l’espressione efficace di questi nel rispetto di se stessi, consapevoli dei propri ed altrui diritti;

Assertivo è chi riesce a superare il problema senza entrare in conflitto con se stesso e con l’interlocutore

su cosa dire e cosa fare.

L’assertività è la capacità di elaborare risposte socialmente adeguate alle sollecitazioni appartenenti alla sfera relazionale:

L’assertività

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Il comportamento assertivo o affermativo si riferisce all’acquisizione di una

competenza sociale basata sulla comunicazione

interpersonale.

Comportamento assertivo

Si colloca lungo un continuum in posizione

intermedia tra comportamento passivo e

comportamento aggressivo ai due estremi.

comportamento passivo

comportamento aggressivo

comportamento assertivo

Genera frustrazione, insicurezza, senso di colpa, ansia isolamento, inibizione.Rende inoltre difficile l’attuazione degli scopi, dando adito a manipolazioni.

prevede che le scelte comportamentali siano prese in base al principio di compiacere gli altri ed evitare i conflitti.

comportamento passivo

comportamento aggressivo

può derivare dalla confusione fra non assertività e l’essere d’aiuto agli altri e fra fermezza ed aggressività; sottende, inoltre, la mancanza di abilità comunicative a livello sia

qualitativo sia quantitativo.

Comportamento assertivo aggressivo

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È una risposta esplosiva, sproporzionata allo stimolo ed inadeguata, che si realizza nell’invasione dello spazio altrui, con possibili sfumature di umiliazione e disprezzo.

Genera sensi di colpa, atteggiamenti difensivi, isolamento e solitudine.

Ostacola la realizzazione della dignità della persona.

comportamento passivo

comportamento aggressivo

Comportamento assertivo passivo

Il rapportarsi senza prevaricazioni alimenta l’autostima e la fiducia negli altri ed incoraggia scelte autonome.

fornisce all’alunno un modello di comportamento efficace in tutti i

rapporti interpersonali;

facilita l’eliminazione o l’abbassamento dei livelli di

insicurezza, disagio e ansia;

consente all’alunno e al docente di esprimersi reciprocamente a livello sia emotivo sia

cognitivo e di realizzare le mete prefissate.

La risposta assertiva

Comportamento assertivo a scuola

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Le dinamiche relazionali

Gli oggettivi limiti, fisici e psicologici, imposti dalla malattia modificano ad esempio la scelta

dei compagni di gioco.

Le abitudini e i ritmi alterati dalla malattia e dalle terapie, con possibili frequenti ricoveri e

l’allontanamento dall’ambiente di vita abituale, incidono

profondamente sulla qualità delle relazioni di ogni bambino.

Relazione tra pari: come favorirle

È quindi importante incoraggiare qualunque occasione di relazione interpersonale fra bambini, contatti con fratelli,

cugini e coetanei “sani”...

Pensando al futuro della vita sociale dei bambini che passano lunghi periodi isolati, è da sottolineare l’importanza di una positiva

interazione con i coetanei.

... anche per favorire l’integrazione dell’evento malattia nel suo sistema di riferimento e di

rappresentazione mentale.

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Il docente a domicilio

rappresenta una figura che appartiene al mondo “normale” del bambino e viene da lui investito di un ruolo forte e contenitivo nel significato di continuità tra passato –presente - futuro.

L’insegnante

Il bambino malato e la scuola

La scuola attraverso l’impegno, il gioco e il racconto, può offrire al bambino la possibilità di una autentica integrazione e uno spazio mentale elastico tra il regno della fantasia e il regno della malattia, che lo facilita nell’assimilare e nell’integrare la sua realtà.

L’insegnante, incoraggiandolo nell’espressione di sé ed accogliendo le sue narrazioni, deve avere ben presente che in tal modo si pone come un possibile ponte tra la realtà interna

del bambino e la realtà esterna.

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Il bambino e la relazione con il docente

altri, i cui genitori hanno scarsa capacità di accettare la loro malattia e di interagire con loro sinceramente, tendono a disinvestire dall’impegno scolastico, come se apprendere significasse rischiare di “scoprire furtivamente una realtà terribile” (P. Massaglia, M. Bertolotti, 1998).

Nei confronti dell’insegnante e dell’impegno scolastico i bambini malati mostrano atteggiamenti, talora anche opposti:

alcuni, bisognosi di sentirsi “sani”, trovano nell’impegno scolastico una grande occasione per trascorrere il tempo e per sentirsi capaci;

Il rapporto con l’insegnante durante l’esperienza dimalattia si configura proprio come una delle occasioni per strutturare e/o mantenere un sé sano e una sorta

di

La relazione con il docente

“equilibrio relazionale”

messo a dura prova dagli eventi oltre che dai fisiologici cambiamenti dell’età evolutiva.

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I vincoli del ruolo di docente

i genitori hanno dovuto rinunciare a molti aspetti decisionali che lo riguardano, ora sono affidati al personale sanitario;

Il docente, rapportandosi a un bambino/ragazzo il cui concetto di autorità è alterato, deve essere consapevole dei limiti che questo comporta nell’esercizio della propria professione, soprattutto in riferimento all’autorevolezza, all’esecuzione dei compiti e al rispetto delle regole.

Infatti:

le regole della quotidianità e i ritmi della loro vita familiare sono spesso modificati e alterati;

in una sorta di tendenza “riparativa”, i genitori sono con lui più permissivi ed indulgenti;

le abituali gerarchie dei valori e delle priorità sono temporaneamente o definitivamente sovvertite;

il docente deve trovare in sé, non supportato dalla struttura, la capacità di gestire e mettere in atto la propria autorità.

Il docente a domicilio: un equilibrio delicato

Per il docente che insegna a domicilio il pericolo di cader nel pietismo e/o nei condizionamentiimposti dai genitori, è costantemente presente.

impostando un programma anche

minimo, possibilmente concordando

obiettivi intermedicon l’alunno ed i

suoi familiari e verificando di

continuo le sue prestazioni.

VA

CONTROBILANCIATO

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Interiorizzare la consapevolezza, in ogni momento, del proprio ruolo professionale e che - sebbene non si sia tutelati e protetti dalla “struttura fisica” dell’istituzione, né scolastica, né ospedaliera, le istituzioni esistono di fatto

come riferimenti reali e legali ed esistono nell’immaginario dei genitori: possono, quindi, comunque essere di qualche

aiuto ad arginare eccessi di ingerenza o confidenza.

Consapevolezza del ruolo

Ogni bambino o adolescente ha un’idea, più o meno definita, di come si comporta un insegnante con i suoi alunni e si aspetta qualcosa di molto simile dal docente domiciliare!!

Ricorda

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Il docente a domicilio: quali atteggiamenti

Il bambino ha bisogno che il docente gli rinvii costantemente messaggi concreti rispetto alla necessità di continuare a impegnarsi perché il futuro esiste e perché la malattia non continuerà ad essere così ingombrante.

Ha bisogno anche di essere stimolato, valutato, gratificato e riconosciuto “ufficialmente” abile, in un momento in cui

la malattia, le terapie, gli interventi possono mettere in dubbio anche le sue capacità più assodate.

Che cosa può fare il docente?

I genitori e la scuola

Il contesto domiciliare incide massicciamente sulla dinamica della relazione tra docente e genitore

dell’alunno in quanto:

il genitore è spesso presente durante la lezione;

mentre altri, per un bisogno di negazione della malattia, impongono al figlio ritmi di studio non compatibili con lo stato di salute;

altri ancora rivolgono all’insegnante domande che non gli competono (terapie, stato di salute, evoluzione, …).

alcuni tendono a giustificare il figlio a oltranza e a proteggerlo da qualunque potenziale fonte di stress;

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I genitori e la scuola

il genitore ricerca l’attenzione per sé, rischia di sottrarre tempo interferisce con l’attività didattica;

alcuni genitori, soprattutto laddove il figlio è affetto da malattie gravi, croniche o potenzialmente mortali disinvestono dall’importanza della

didattica per una perdita di speranza rispetto al futuro del figlio;

altri, in quelle situazioni che prevedono un recupero totale, tendono a differire al momento della guarigione anche la ripresa dell’impegno

scolastico.

Le differenti modalità educative genitorialie i relativi comportamenti

Il docente come risorsa per i genitori

In questo modo i genitori imparano a fidarsi

e ad intravedere nell’offerta scolastica a domicilio un importante segnale di continuità evolutiva e nell’ora di

lezione uno spazio di respiro e di sollievo.

Il docente deve comprendere che il proporre la propria professionalità diviene una risorsa per il bambino e, indirettamente, per la sua famiglia.

Ciò è tanto più vero quanto più egli riesce a mantenere saldo il proprio ruolo

professionale ed a rimandarlo costantemente ai genitori.

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La scuola come risorsa per i genitori

Osservare che il bambino è in grado di interagire positivamente con un altro adulto, aiuta il genitore a smorzare i toni iperprotettivi e simbiotici, spesso presenti nel rapporto

genitore-figlio malato.

Il genitore che vede il proprio figlio impegnato nelle attività didattiche impara a riconoscerlo, oltre che nella malattia,

anche nelle sue competenze “sane”.

Risulta fondamentale per un intervento efficace, per ridurre il rischio di misconoscimento del proprio ruolo, per ottimizzare le

energie, individuare tempestivamente a chi fare riferimento:

insegnante ospedaliero o docente responsabiledel polo ospedaliero

dirigente scolastico

personale sanitario deputato all’assistenza domiciliare (medici, infermieri, psicologi)

Individuare il referente

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Il GENITORE è spesso, nella realtà, l’unico vero referente con cui si rapporta il docente

domiciliare, da cui si ottengono le informazioni, con cui si concordano tempi ed orari e che,

eventualmente, si pone come intermediarioper prendere contatto con altri possibili

interlocutori.

Sarebbe, tuttavia, auspicabile e proficua un’interazionediretta tra personale docente ed équipe di cura.

Individuare il referente

L’insegnante e gli operatori sanitari

L’interazione con il personale medico e paramedico è utile e necessaria a:

conoscere accortezze necessarie a fini di igiene e profilassi;

conoscere eventuali limiti funzionali imposti dalla patologia e dalle terapie all’alunno;

conoscere la prognosi, soprattutto in termini di tempi, per pianificare un programma didattico;

offrire un punto di vista diverso sul bambino stesso agli operatori sanitari.

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personale sanitario deputato all’assistenza domiciliare:

L’insegnante e gli operatori sanitari

Le figure professionali che l’insegnante a domicilio incontra più frequentemente sono

medici

infermieri

psicologi

fisioterapisti

Il rispetto degli spazi e dei tempi

Il docente domiciliare si muove in uno spazio privato, luogo in cui le priorità non sono

scolastiche.

È, quindi, necessario adattarsi:

ai tempi delle terapie;

agli effetti della patologia e delle terapie stesse, interferenti con la performance scolastica dell’alunno.

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Altri attori

considerarli risorse potenziali

In un contesto di istruzione ed assistenza domiciliare è necessaria un’apertura rispetto ai numerosi operatori che

ruotano intorno al bambino e alla sua famiglia:

sapere che esistono (educatori, volontari)

individuarli, riconoscerli, rispettarli

Sinergie fra i diversi attori

Per poter perseguire detto obiettivo è necessario trovare o creare momenti e occasioni di comunicazione e scambio, sia informali sia

strutturati.

L’obiettivo dell’interazione tra docente genitori, volontari, educatori e personale sanitario

è quello di operare in modo sinergico ed integrato,individuando finalità condivise, con chiarezza e rispetto di ruoli e

competenze.

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La multidisciplinarietà

In relazione al bambino malato, dove ogni intento ed atto professionale delle più diverse competenze è mirato alla cura, alla

crescita, al benessere del bambino,

si impone ogni tentativo di sentire, ragionare ed agire in un’ottica multidisciplinare, intesa come lo strumento principe

per il raggiungimento dell’obiettivo comune:

aiutare il bambino malato e la sua famiglia a passare attraverso l’esperienza di malattia, facendo ricorso a tutte le

risorse disponibili.

Ragionare e sentire in un’ottica multidisciplinare per:

La multidisciplinarietà

non disperdere energie

procedere sinergicamente verso l’obiettivo comune di miglioramento della qualità di vita del bambino malato

Ridurre il rischio di isolamento dell’alunno e del docente

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La relazione tra il docente e la scuola di appartenenza

le modalità relazionali e reattive osservate nel gruppo classe

È poi importante, per il docente domiciliare, prendere contatto direttamente con la scuola di appartenenza dell’alunno - qualora questi sia

residente in un altro luogo o se l’insegnante non è della stessa scuola frequentata dal bambino, pur

nella stessa città - per conoscere:

il livello di preparazione

lo stile di apprendimento

Per lavorare in un’ottica di reinserimento

La relazione tra il docente e la scuola di appartenenza

Attenzione: spesso il genitore si pone come intermediario anche rispetto alla scuola d’origine

Per potenziare il significato di continuità didattica ed evolutiva

Per modulare il proprio stile comunicativo

Per rispettare ed adattarsi ai tempi e modi dell’alunno

Perché i contatti con la scuola di appartenenza?

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Possibili frustrazioni per il docente

Impegnarsi in un lavoro di preparazione al reinserimento nella classe d’origine, accettando che i risultati si esprimano in un

momento successivo

Lavorare in correlazione con la scuola di appartenenza dell’alunno, anche in una

possibile ottica di accompagnamento per un reinserimento, può implicare di:

Accettare priorità didattiche diverse dal proprio stile per privilegiare la continuità pedagogica di quello specifico

alunno

Individualità e diversità

L’insegnante domiciliare si rapporta quotidianamente con tanti tipi di diversità e, quindi, di soggettività.

Esistono molti tipi di diversità:

etnica culturale

geneticasomatica

sociale

Perché sia possibile instaurare una relazione sufficientemente buona da consentire l’apprendimento è necessario il riconoscimento delle

diversità e la loro accoglienza.

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Individualità e diversità

Devianza dalla norma

Ogni individuo, nell’espressione della sua soggettività, viene connotato in base a giudizi di valore, condizionati da stereotipi, modelli di riferimento, contesto, livello educativo-sociale-economico.

è la stigmatizzazione della diversità di chi

possiede meno potere o di chi non si può uniformare

a ciò che viene idealmente considerato “normale” o “naturale”.

Il rischio

L’immigrazione

L’immigrazione è un fenomeno rilevante che ha assunto dimensioni problematiche non trascurabili nel contesto scolastico e che assume connotazioni ancora più complesse se il bambino si ammala e

viene assistito presso il suo domicilio:

L’alunno immigrato, spesso extracomunitario, e la suafamiglia sono portatori di tradizioni, lingue, religioni,

atteggiamenti, comportamenti rituali e non, molto distanti da quelli della popolazione autoctona.

Qui infatti si sommano ed amplificano differenze di approccio culturale, sociale e comunicativo rispetto al concetto, all’accettazione

ed alla gestione della malattia e recandosi nella sua abitazione, si entra a tutti gli effetti in contatto con una cultura differente.

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L’accoglienza

Riconoscere i bisogni di accettazione, che passano anche attraverso la disponibilità di lavoro, alloggio,

assistenza sociale e sanitaria, e i più complessi bisogni di integrazione, richiede la valorizzazione della

cultura d’origine della persona che si trova a trasferirsi in questo nuovo contesto: solo attraverso

l’accoglienza si può chiedere e arrivare ad adattamento e comprensione reciproci.

L’obiettivo è il raggiungimento di una societàmultietnica e multiculturale, caratterizzata da convivenza e tolleranza, attraverso strumenti quali: comunicazione, relazione, cooperazione, scambio.

La narrazione

Incoraggiare, guidare, permettere al bambino di esprimersi, di

raccontare la propria storia, la propria famiglia, i propri luoghi, nei modi e nei tempi peculiari

dell’alunno, talvolta anche consentendo l’uso di un dialetto,

risulta un metodo prezioso.

Nell’interazione del docente con il bambino/ragazzo immigrato, la

narrazione rappresenta uno strumento utile per riconoscere e

trasformare una potenziale difficoltà (differenza culturale, di valori, ecc.) in un’occasione di scambio e integrazione. Essa si rivela altresì una via di accesso

privilegiata per la creazione di un terreno di condivisione su cui

costruire l’interazione didattico-educativa.

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Erikson, E. (1950), Infanzia e società, Armando Editore, Roma.

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Mauri e Tinti (2002), Formare alla comunicazione - Percorsi di gruppo per lo sviluppo di relazioni efficaci nelle professioni educative, sociali e sanitarie, Erickson, Trento.

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Bibliografia