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La formazione continua e gli interventi finanziati da Fondimpresa I° Rapporto Nazionale di valutazione PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI Componenti Team di Ricerca: Giovanni Gison (Statistico) Paolo Sospiro (Economista)

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La formazione continua e gli interventi finanziati da Fondimpresa I° Rapporto Nazionale di valutazione

PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

Componenti Team di Ricerca:

Giovanni Gison (Statistico)

Paolo Sospiro (Economista)

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Il Rapporto Marche

INDICE

1. ANALISI DEL CONTESTO PRODUTTIVO 1.1 Premessa teorica: l’importanza della formazione in ingresso e continua 1.2 Contesto generale nazionale 1.3 Il contesto regionale di breve periodo Abstract

2 LA FORMAZIONE CONTINUA FINANZIATA 2.1 Introduzione 2.2 Il Programma Operativo Nazionale - Fondo Sociale Europeo 2007 – 2013 2.3 La formazione finanziata nazionale 2.4 Il Programma Operativo Regionale Marche - Fondo Sociale Europeo 2.5 Conclusioni Abstract

3 ANALISI DEGLI SPAZI OPERATIVI DI FONDIMPRESA 3.1 Nota introduttiva sulla metodologia di analisi 3.2 Imprese 3.3 Lavoratori beneficiari 3.4 Formazione erogata 3.5 Penetrazione di Fondimpresa nel tessuto produttivo regionale 3.6 Conclusioni 3.7 Abstract

4 RICOGNIZIONE DEI FABBISOGNI FORMATIVI ESPRESSI INTERCETTATI DA FONDIMPRESA 4.1 Premessa 4.2 Contributo progetto FARO LAB alla ricognizione dei fabbisogni espressi 4.3 Ricostruzione dei fabbisogni formativi espressi intercettati da Fondimpresa 4.4 Prime conclusioni

5 ANALISI SUI FABBISOGNI FORMATIVI “INESPRESSI” E SULLA RILEVANZA DEGLI STESSI NEI PROCESSI DI RIPOSIZIONAMENTO COMPETITIVO DELLE IMPRESE 5.1 Introduzione 5.2 I fondi interprofessionali 5.3 I contributi del progetto FARO LAB 5.4 Conclusioni Abstract

6 SINTESI E CONCLUSIONI 6.1 Analisi del grado di copertura operativo di Fondimpresa rispetto ai comparti produttivi raggiunti 6.2 Suggerimenti propositivi miranti a favorire una maggiore penetrazione di Fondimpresa nei comparti più

significativi della Regione e per un coinvolgimento più uniforme del tessuto imprenditoriale 6.3 Descrizione dettagliata dell’analisi del fabbisogno espresso 6.4 Analisi dei fabbisogni formativi inespressi: indicazioni utili a favorire ad estendere lo spazio formativo erogato da

Fondimpresa

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1. ANALISI DEL CONTESTO PRODUTTIVO

1.1 Premessa teorica: l’importanza della formazione in ingresso e continua La constatazione più ovvia di questi tempi, è che siamo di fronte ad un cambiamento epocale per

una serie di fattori: nuove rivoluzioni tecnologiche, integrazione UE, l’avvento della moneta unica, invecchiamento della popolazione nei paesi ad economia matura, il fenomeno della migrazione, la globalizzazione e delocalizzazione. Insomma, si è di fronte ad una serie di sfide ed opportunità epocali che tuttavia ogni classe dirigente dovrà cercare di assecondare o se si vuole accompagnare piuttosto che osteggiare. Tale condizione era considerata sine qua non secondo Polanyi nel libro della Grande Trasformazione per non farsi sopraffare dalle innovazioni ma poterle utilizzare per generare ricchezza. Questa premessa cercherà di delineare le sfide di carattere generale a cui si devono dare risposte, tra l’altro sempre più rapidamente. La formazione continua è una delle soluzioni.

1.1.1. Alcuni aspetti teorici La formazione continua rientra in quella che viene definita l’economia dell’istruzione (Economics of

education o Education Economics) e nasce all’inizio degli anni sessanta quando l’economista T. Schultz tenne il suo discorso presso l’America Economic Association. E’ G.S. Baker, traslando il concetto di capitale fisico della teoria della crescita, a introdurre il concetto di capitale umano. Il concetto di investimento in capitale umano deve tenere che esso può essere individuale o collettivo così come gli effetti.

Per quanto l’investimento individuale in capitale umano sia importante, in quanto permette di poter migliorare la propria condizione economica (in termini, prima, di reddito e, poi, di patrimonio, e sociale, scalando posizioni sociali per loro e per i propri figli), tenendo conto dei costi diretti ed indiretti dell’investimento (spese per istruzione e costi opportunità in termini di tempo e denaro). Fermo restando ciò che ha sempre sostenuto Amartya Sen circa l’importanza dell’istruzione in quanto rende le persone cittadini migliori. In questo senso, Sen tiene a sottolineare gli effetti intrinseci e funzionali dell’istruzione appena sopra citati1.

Tuttavia questa sezione è dedicata all’importanza della formazione nel sistema produttivo e quindi nel sistema economico. In questo senso è importante sottolineare il progresso nel campo delle discipline economiche svolto sull’importanza della formazione/dell’istruzione per l’aumento della produttività rispetto alla produzione. In questo senso, la teoria della crescita endogena tende ad enfatizzare il ruolo dell’investimento in capitale umano come fattore di aumento della produttività al termine di un percorso di aumento della produzione basato sull’aumento quantitativo dei fattori produttivi come terra, lavoro e capitale. Infatti, in una prima fase dell’economia dove lo sviluppo è basato sull’aumento del capitale fisico, sul numero di lavoratori impiegati e sullo sfruttamento delle risorse fisiche. Tale processo enfatizzato nel modello Harrod-Domar dove appunto tutto il sistema della crescita era basato sulla capacità di un’economia di generare quel necessario risparmio che si trasforma in investimento in capitale fisso il quale a sua volta genera un aumento della produzione e quindi della crescita. Senza dimenticare che tale crescita doveva tenere conto della crescita della popolazione.

(1)

1 Vale a dire, gli effetti funzionali dell’istruzione possono essere il poter trovare lavoro e magari un lavoro migliore o che ci aggrada di

più, un reddito più alto oppure una posizione sociale migliore. Mentre gli aspetti intrinseci dell’istruzione sono proprio dati dal fatto che un cittadino che ha studiato o si è formato tende ad essere un cittadino migliore e/o consapevole.

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L’esperienza empirica del primo dopo guerra però iniziava a mettere in dubbio che fosse sufficiente solo l’investimento in capitale fisico per crescere e quindi il risparmio come motore della crescita. In quegli anni anche gli aiuti allo sviluppo erano progettati in questo senso ma il tempo ha dato torto teoricamente ed empiricamente a quel percorso. Di conseguenza il modello Solow enfatizzava che tale modello era importante e funzionante in una fase di decollo dell’economia mentre in una condizione di stato stazionario era l’innovazione che permetteva di generare la crescita. Tale concetto era basato sui concetti di utilità ed utilità marginale e quindi di produttività. Infatti, l’inserimento di sempre più macchinari e forza lavoro comportava un aumento della produzione e della produttività tuttavia l’aumento della produttività era decrescente fino a rendere tale aumento dei fattori produttivi quasi nullo, sulla base della funzione della produzione Cobb-Douglas.

(2)

Anzi un eccessivo aumento dei fattori produttivi (K e P) poteva solo generare un surriscaldamento della stessa economia. Quindi l’unica opzione per continuare a generare la crescita in condizioni di stato stazionario era basato sull’innovazione (A). Questo significava dover esplicitare o meglio mettere a fuoco quali erano i meccanismi che potevano generare l’innovazione. Secondo la teoria della crescita endogena, l’innovazione è figlia dell’investimento in capitale umano, vale a dire del numero di addetti allocati nei processi di innovazione che è sintetizzato nelle seguenti due formule

(3)

(4)

Dove nella prima viene presentata la funzione di produzione nei settori di produzione di beni e servizi dove partecipa una quota parte della forza lavoro (uH) mentre E(t) vale a dire l’innovazione è la tecnologia utilizzata per la produzione di beni e servizi utilizzando capitale fisico (k) e lavoro (uH).

La formula (4) è la funzione di produzione del settore della Ricerca e Sviluppo (R&D) che oltre al capitale fisico, utilizza la quota residua di capitale umano, (1-u)H, cioè il numero di addetti che sono impiegati nei settori ad alto contenuto tecnologico o della ricerca. Questo non spiega in toto come si genera l’innovazione, in quanto essa richiede anche fortuna e tempo ma quanto meno indica l’importanza delle competenze degli addetti per poter crescere in condizioni di stato stazionario.

Constatato che il nostro continente, il nostro paese e la nostra Regione, non vive esperienze di guerra da oltre 70 anni, questo fa sì che in tutti questi anni, si sono sviluppate tutte le infrastrutture, si è rigenerato il capitale umano e quindi se si intende crescere non si può sperare in un secondo “miracolo italiano” basato sulla ricostruzione di capitale fisico ed umano come accadde nel secondo dopoguerra.

Inoltre, è ormai evidente che lo sviluppo è fortemente correlato all’innovazione non tanto individuale ma di sistema. Di conseguenza, non è pensabile una cultura nazionale basata sulla visione di uno sviluppo statico dove si raggiunge lo sviluppo, come è accaduto durante la fine del secolo scorso, e quindi non sono più necessari ulteriori investimenti. Se in quegli anni erano necessari gli investimenti in infrastrutture come le strade per le automobili, in questa nuova era lo sviluppo è caratterizzato in investimenti in autostrade digitali. Ma ancora di più, dal punto di vista teorico, nelle ultime decadi si è sempre più accentuata l’attenzione verso l’istruzione e la formazione in entrata e continua così come la transizione istruzione/formazione/lavoro proprio perché in condizioni di stato stazionario, come nel caso dei paesi europei, questi aspetti sono determinanti per la produttività, la crescita e la competitività.

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1.1.2. Il lungo periodo Il lungo periodo che di solito viene denominato in ambito economico come ciclo di Kondratiev è

caratterizzato da innovazione o se si vuole da salti tecnologici che comportano una trasformazione dei processi di produzione e di prodotto che si trasferiscono nell’economia e di conseguenza sulla società in termini di stili di vita, lavoro e consumi. E’ importante evidenziare che quello che è stata sempre definita come rivoluzione industriale, nel tempo si sta sempre più delineando come rivoluzione tecnologica. Nel tempo si è parlato di prima, seconda e terza rivoluzioni industriale certi che l’uomo avrebbe sempre vissuto nell’era industriale. Questa stava a rappresentare un totale cambiamento nella società o in alcuni suoi aspetti. E se la prima rivoluzione industriale ha permesso di elevare l’uomo dall’agricoltura all’industria pesante mediante leggera sostituzione della macchina all’uomo, il passaggio alla seconda rivoluzione ha permesso la sostituzione massiccia della macchina nel settore agricolo ed industriale. Questo ha comportato il passaggio della manodopera dai settori dell’agricoltura e dell’industria al settore terziario. La terza e la quarta rivoluzioni industriali stanno sempre più trasferendo la manodopera nei servizi alla persona e avanzati con la sostituzione nei settori dei servizi standardizzati. In particolare la rivoluzione delle telecomunicazioni e dell’informazione sta sempre più cambiando la produzione, i consumi e gli stili di vita. Tuttavia, non si può più parlare di rivoluzione industriale ma di rivoluzioni tecnologiche che prendono il sopravvento e comportano il radicale ripensamento della produzione, dei servizi e della nostra vita passando dall’innovazione all’economia ed infine all’organizzazione della società. Il caso europeo è ancora più emblematico. L’Europa si è sempre caratterizzata nella cosiddetta “distruzione creativa” di Shumpeteriana memoria. Infatti, oggi siamo consapevoli che ogni salto tecnologico rimette in discussione le posizioni acquisite con la vecchia tecnologica in termini individuali e nazionali e tale svolgimento ha sempre comportato forte instabilità nei paesi europei. Tanto da generare frizioni e conflitti che spesso sono sfociati in guerre che di volta in volta sono state denominate in diverse forme ma le più importanti sono quelle mondiali, da una parte ed all’esterno, e, dall’altra parte ed all’interno, di movimenti o processi di accentramento del potere. Questo sta a significare l’avvento di governi non democratici come fascismo, nazismo o comunismo.

Insomma, i paesi europei si caratterizzano, quanto meno quelli continentali, da sempre, per l’incapacità di riconoscere i momenti salienti della storia caratterizzati dai salti tecnologici. Quindi le guerre sono un fenomeno che ritorna regolarmente così come le guerre l’economia riparte con il consueto cosiddetto boom economico che non è altro che la ricostruzione. Tuttavia, il boom economico non è altro che il ritorno nel trend che caratterizzava i momenti precedenti alla guerra ed in effetti l’acquisizione e l’adattarsi alla nuova rivoluzione tecnologica. La crisi che stiamo vivendo in Italia ed in Europa non è altro che l’evidenza del passaggio da una società industriale, con la manifattura che rappresentava circa il 70% verso i servizi che sono giunti appunto a circa il 70% dell’economia ed infine lo sviluppo e la trasformazione del settore dei servizi in servizi alla persona, standardizzati ed avanzati. Certo, nessuno vuole pagare questo conto e come sostiene Stiglitz, in ogni fase economica vi sono vincitori e vinti, l’economia e la politica dovrebbero sottrarre parte delle risorse acquisite dai vincitori per re-distribuirli (es: immaginiamo ad inizio del secolo scorso quando nel settore dell’automobile i fatturati e i profitti crescevano mentre nel settore delle carrozze e dei cavalli succedeva il contrario) a coloro che hanno perso nella trasformazione.

Le Marche, L’Italia e l’Europa, in questo lungo processo di integrazione europea stanno appunto cercando di evitare, giorno dopo giorno, il conflitto, cercando di superare, per la prima volta nella storia a partire dalla rivoluzione industriale, una fase di “distruzione creativa” con la mediazione nelle stanze di Bruxelles, per evitare la guerra e sfruttare al meglio le nuove tecnologie dell’informazione. Dunque sarà importante comprendere quali sono le esigenze dei nostri cittadini e delle nostre imprese che possono essere risolte attraverso il miglior utilizzo delle nuove tecnologie e far sì che esse siano utilizzate al meglio. E’ un processo circolare basato sull’investimento in nuove infrastrutture cosiddette

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soft quindi non si tratta di costruire ponti ed autostrade ma di banda larga e formazione. Tenendo conto che quella in cui si è entrati è più una società dell’accesso piuttosto che dell’acquisto e del possesso come ha spesso sottolineato l’economista Rifkin. Senza dimenticare un aspetto importante, che se le rivoluzioni una volta avvenivano in circa 70-120 anni, appunto secondo il ciclo di Kondratiev, oggi esse (grazie alla comunicazione e la collaborazione tra i ricercatori, la proliferazione dei centri di ricerca, l’elevata competenza degli scienziati e dei tecnici e il supporto di una tecnologia sempre più avanzata) avvengono ogni 25-40 anni. Certo il tempo dell’innovazione, dello sfruttamento, della standardizzazione e della massificazione dell’innovazione richiede tempo ma, in misura minore oggi rispetto a ieri e sempre meno nel futuro. Di conseguenza, tornando alla formazione è importante sottolineare che se una volta, un lavoratore entrava ed usciva dal mondo del lavoro in un unico processo tecnologico, oggi vi è una forte probabilità che un lavoratore dovrà affrontare quanto meno un salto tecnologico nel suo percorso di vita lavorativa.

1.1.3. Il medio periodo Il ciclo medio economico basato sulla teoria di Juglar è basato sul ciclo del credito e delle riserve

bancarie e per quanto di minore importanza, ai fini di questo rapporto, tuttavia diviene importante se si vive un percorso come quello che i paesi europei stanno vivendo dell’integrazione economica basato sulla moneta (euro) e sullo sviluppo del mercato interno europeo. Due processi importanti che stanno dando sicuramente risultati positivi ma anche controindicazioni nei processi produttivi e distributivi. L’avvento dell’euro ha dato vita ad una moneta unica ma senza un governo politico dell’economia europea o quanto meno dell’eurozona. Per quanto in questi ultimi 4 anni, dal 2011, l’eurozona si stia dando delle istituzioni di gestione della moneta tuttavia ciò non è sufficiente. Lo sviluppo del mercato interno europeo delle persone, delle merci e dei servizi è un percorso che sta cambiando il modo di vivere, produrre e consumare degli europei (es: la mobilità temporanea e permanente, il roaming dei telefoni cellulari, il controllo delle principali banche nazionali o i trasporti aerei). Senza dimenticare l’integrazione dei servizi di interesse generale quali trasporti, rifiuti, acqua ed energia. E presto arriverà anche il tempo della sanità. In questi termini, ancora una volta, la formazione all’utilizzo ed allo sfruttamento delle nuove tecnologie delle comunicazioni diviene fondamentale proprio per poter sfruttare al meglio le opportunità economiche anche dello sviluppo del mercato interno europeo.

1.1.4. Il breve periodo Il ciclo breve o di contingenza, il cosiddetto ciclo di Kitchin basato sulle scorte e di durata dai 2 ai 4

anni. La crisi economica che sta vivendo l’Europa è la somma delle crisi di breve, medio e lungo periodo. Infatti, si è in una crisi che è frutto di un paese che ha rifiutato di riconoscere le problematiche che soggiacevano ai diversi problemi contingenti che si presentavano di giorno in giorno: dalla crisi del debito pubblico a quello del mercato del lavoro, dalla difficoltà di inserimento dei giovani alla difficoltà della riforma della previdenza (i tre pilastri ed il passaggio dal sistema pro-rata o meglio conosciuto retributivo a quello contributivo), dalla carenza di investimenti privati dovuto ad imprese micro, piccole e medie, al fallimento della teoria e della pratica dei distretti industriali spesso obsoleti e la mancanza di investimenti pubblici dovuti al forte indebitamento del settore pubblico. Infine, le privatizzazioni che spesso hanno generato arricchimento di pochi a discapito di molti.

1.1.5. Conclusioni Alla luce di quanto sopra espresso è necessario tenere conto di un fattore determinate anche nelle

principali teorie di marketing del prodotto (Product Life Cycle, Hollesen) lo sviluppo e fine dei prodotti (introductory stage, growth stage, maturity stage e decline stage), International Product Life Cycle e PLC‘s across country, mette al primo posto di ogni strategia che la necessità è la madre dell’innovazione (Necessity is the mother of invention). Ciò sta a significare che l’innovazione o l’invenzione è conseguenza naturale delle necessità dei consumatori locali o meglio del proprio territorio e solo in un secondo momento

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consumatori, con le stesse necessità e potere di acquisto, richiedono lo stesso prodotto in territori diversi dagli originali. Microsoft, Google o andando indietro nel tempo Ford o Boeing non sono state fondate e sviluppate per le esigenze dei mercati europei bensì americano. Se questo impianto ha ragione d’essere allora è necessario rimettere in discussione anche l’esigenza di essere competitivi a tutti costi perché altrimenti si viene estromessi dai mercati internazionali. Oggi è particolarmente citata la Germania della cosiddetta Green Economy tuttavia la Germania ha iniziato a tutelare l’ambiente già a fine anni sessanta, producendo ad un costo maggiore perché aveva già “internalizzato” i costi ambientali nel prezzo del prodotto (Coase). Tuttavia, nessuno si preoccupava che la Germania producesse a costi più alti ma quando il mondo è andato nella direzione di una maggiore sensibilità alla tutela ambientale allora è così che la Germania è divenuta competitiva e di conseguenza il mondo si è accorto della Germania2. Tutto questo per dire che è necessario partire dalle nostre necessità e poi si diventerà competitivi. Ovviamente questo non deve essere un assioma fine a se stesso bensì un paese e quindi un sistema economico basato sull’economia sociale di mercato3 dovrebbe avere come fine ultimo il miglioramento delle condizioni di vita dei proprio cittadini atteso i vincoli economici, ambientali e della sicurezza e tutela del lavoro. Sulla base di tale introduzione, per quanto molto ampia, ci si deve domandare dove si intende andare e come cercando di conoscere e riconoscere le problematiche, le esigenze e le potenzialità del territorio. Allora vengono immediatamente alla luce le esigenze e le problematiche che si trovano ad affrontare i cittadini e le imprese della nostra regione:

a) invecchiamento della popolazione;

b) servizi che dovranno essere ripensati sulla base della popolazione;

c) prodotti che debbono essere ripensati sulla base dell’invecchiamento della popolazione;

d) rispetto alla situazione contingente, la fuoriuscita dalla crisi delle imprese e delle famiglie per far

ripartire l’economia;

e) lo scarso tasso di scolarizzazione dei giovani, soprattutto nell’ambito scientifico;

f) l’alto tasso di analfabetismo di ritorno;

g) alto tasso di analfabetismo digitale della popolazione;

h) infrastrutture digitali scarse;

i) mancanza assoluta di un percorso istruzione, formazione in entrata, lavoro e formazione continua;

j) sostituzione dei vecchi sistemi produttivi con quelli di nuova generazione con particolare attenzione

alla cura della filiera e quindi dello sviluppo del mercato interno per attivare un circolo virtuoso;

k) scarsa consapevolezza del ruolo e dell’importanza della digitalizzazione da parte dei cittadini, della

pubblica amministrazione, delle imprese ed in particolare della classe dirigente, dei quadri e degli

operativi.

Insomma, un quadro che non deve scoraggiare bensì incoraggiare a prendere tutte le decisioni e le misure per sfruttare tutte le potenzialità offerte dalle nuove tecnologie per migliorare le condizioni di vita dei nostri cittadini dove al centro di tutto vi deve essere il concetto che “le informazioni devono venire a noi piuttosto che dobbiamo essere noi a cercarle”. Allora diventa importante il ruolo della rete, dei pc ma soprattutto dei cellulari dove sarà importante garantire efficienza, velocità e sicurezza. Ecco la formazione continua così come quella in entrata dovrebbero proprio portare ad un cambiamento culturale che permetta di instaurare nuovi processi produttivi ma soprattutto nuovi servizi alle imprese

2 In realtà si dovrebbe parlare del nord Europa piuttosto che di Germania. 3 Economia sociale di mercato è quel modello che viene considerato alla base dell’economia tedesca e spesso citato nei documenti della Commissione Europea. In particolare il documento redatto da Mario Monti circa Una nuova strategia per il mercato unico: al servizio dell’economia e della società europea. Rapporto al Presidente della Commissione Europea Josè Manuel Barroso.

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e ai consumatori. In questa ottica sarà importante ripensare la formazione dei quadri, dei funzionari e degli operatori.

Per concludere, è necessario evidenziare che per quanto riguarda il presente rapporto, è importante tenere conto che i dati 2014-2015 tendono ad essere dinamici dopo 7 anni di crisi. Di conseguenza se si fa riferimento ad indagini o dati del 2014, essi non saranno in grado di rappresentare la reale situazione del contesto di riferimento. Di conseguenza si cercherà, ove possibile di utilizzare indagini e soprattutto dati mensili o trimestrali che possano rappresentare il contesto odierno piuttosto che quello dell’anno passato.

1.2 Contesto generale nazionale In questa sezione si presenteranno i principali dati macroeconomici per illustrare al meglio quello

che le famiglie stanno affrontando in questo lungo periodo di crisi. In effetti, l’Italia, così come tutti i paesi europei ha un percorso che è caratterizzato da una riunificazione e una prima crisi dovuta alla prima era della globalizzazione e successivamente ha trascorso durante il XX secolo due guerre e l’esperienza del fascismo.

1.2.1 Il contesto macroeconomico La crescita e l’inflazione sono due fattori importanti per qualsiasi paese. L’Italia, per gran parte del

periodo successivo alla seconda guerra mondiale, ha fortemente risentito del problema dell’inflazione mentre la crescita sembrerebbe essere il problema delle ultime due decadi. Con l’uscita dalla seconda guerra mondiale, cambia completamente il panorama europeo, grazie anche alla forte volontà di alcuni paesi europei di istituire un coordinamento che poi nel tempo porterà alla nascita dell’UE così come la conosciamo oggi. In particolare, la costituzione del Parlamento Europeo a suffragio universale dal 1979, la moneta unica dal 1999/2002 e la libera circolazione di beni e persone con il trattato di Shengen del 1995. Ma cosa si può dire dei quasi 70 anni dal termine della seconda guerra mondiale. Si può dire con certezza che è stato un periodo molto importante per portare l’Italia e l’Europa in generale alla condizione precedente alle due guerre mondali ed oltre. Infatti, il reddito pro–capite degli italiani e dei principali paesi europei è passato dai 10.000–15.000 euro agli attuali 20.000–30.000. Quindi sicuramente è un’area del mondo che gode di benessere seppure negli ultimi anni sia aumentata la distanza tra la locomotiva tedesca e gli altri. Tuttavia si può confermare che negli anni si può parlare più di convergenza piuttosto che di divergenza tra i principali paesi europei, come evidenzia il figura 1.1. Così come il tasso di inflazione sembrerebbe aver dato tregua ai paesi europei che la subirono soprattutto durante gli anni settanta ed i primi anni Ottanta (figura 1.2). Tuttavia, in media il tasso di inflazione decennale in Italia manifesta una discesa continua dal 1960 ad oggi e questo è certamente un grande risultato in termini di stabilità del sistema e quindi di tutela delle famiglie. Sicuramente il percorso intrapreso subito dopo la seconda guerra mondiale verso la realizzazione di un continente di pace, progresso e prosperità ha garantito stabilità e certezze che si manifestano sia nei dati del reddito pro–capite sia sul tasso di inflazione. Certo le sempre più frequenti innovazioni tecnologiche, la globalizzazione, l’avvento di nuove potenze economiche e politiche, la creazione del mercato interno europeo, la moneta unica e l’allargamento verso i paesi del Patto di Varsavia costringono il nostro Paese a trovare nuovi equilibri e affrontare nuove sfide che porteranno l’Italia ed, in generale, l’Europa ad un nuovo paradigma basato sul fatto che lo sviluppo non può essere considerato come un salto unico e poi tutto torna al proprio posto. Un dato è certo, l’Italia si devo abituare a tassi di inflazione e di interesse molto bassi e a un tasso di cambio apprezzato rispetto al secolo scorso.

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1.2.1.1 Il tasso di interesse ed il tasso di cambio

I tassi di interesse e di cambio sono importanti in quanto il primo influisce sul prestito ai soggetti pubblici e privati mentre il secondo condiziona le importazioni così come le esportazioni. Il tasso di interesse fissato dalla banca centrale diviene poi il tasso di riferimento per il prestito di breve, medio e lungo periodo (prestiti al consumo, agli investimenti e quindi i mutui per gli investimenti e per l’acquisto della propria abitazione). Tuttavia è importante sottolineare che il tasso di interesse fino all’avvento dell’euro era fissato dalla Banca d’Italia in quanto banca centrale del nostro Paese mentre successivamente è fissato dalla Banca Centrale Europea (BCE). In effetti, per la prima parte, si pensi che fino al 1970 il tasso di interesse raramente ha superato il 5% ma successivamente non è mai sceso sotto il 5% e con punte che sfioravano anche il 20% durante gli anni settanta, complice anche un tasso di inflazione molto elevato e l’inizio della spirale del debito pubblico, all’epoca si coniò il termine stag–flazione. D’altra parte i tassi di interesse praticati dalla Banca Centrale Europea (BCE) sono e saranno, nel tempo, certamente più bassi. Ciò faciliterà gli investimenti privati e familiari oltre che quelli pubblici attraverso l’indebitamento.

Tuttavia anche il tasso di cambio è molto importante, un apprezzamento della moneta fa sì che vi sia una riduzione delle esportazioni ma, allo stesso tempo, un aumento delle importazioni proprio a causa del fatto che i nostri prodotti costano di più all’estero mentre i prodotti stranieri costano di meno nel nostro Paese. L’Italia, nella sua storia successiva alla seconda guerra mondiale ha spesso praticato politiche di svalutazione competitiva, vale a dire svalutare la propria moneta per far sì che i propri prodotti costassero di meno all’estero e quindi aumentassero le esportazioni. Tale politica era, spesso, fortemente correlata alla difficoltà di mantenersi competitivi a livello internazionali.

D’altronde, se si prende in considerazione il tasso di cambio lira e dollaro e successivamente euro e dollaro, si evidenzia che inizialmente la lira era fortemente apprezzata nei confronti del dollaro. Inizialmente il tasso di cambio era stato fissato a 5 dollari per ogni 1000 lire ma presto il rapporto fu messo in discussione. Infatti, il tasso di cambio lira/dollaro scese già nel 1948 a poco meno di 2 dollari per 1000 lire, in sostanza 600 lire per dollaro. Tuttavia ad iniziare dagli anni Ottanta il rapporto tende a deprezzarsi fino a 1000 lire per un dollaro e successivamente quasi 2000 lire per ogni dollaro. Dall’altra parte, con l’avvento dell’euro4, il rapporto euro dollaro era stato fissato quasi alla parità. Infatti, inizialmente il tasso di cambio era stato fissato a 1,16, vale a dire con un euro si potevano acquistare 1,16 dollari. In altre parole un apprezzamento rispetto al dollaro di circa il 16%. Questo significa che se tenessimo conto del cambio lira/dollaro allora il cambio sarebbe stato di 1.618,98 lire per dollaro contro i quasi 1.815 lire/dollaro degli ultimi mesi del 1998. Con la fine del 1999 e l’inizio del 2000 il tasso di cambio euro/dollaro raggiungeva la parità per poi scendere sotto la parità fino a quasi tutto il 2002, portando di fatto il cambio lira/dollaro fino a oltre 2.200 lire per ogni dollaro, quindi favorendo le esportazioni europee ed in particolare quelle italiane. Fermo restando il problema delle importazioni di materie prime e beni intermedi che ovviamente, nel frattempo, aumentavano di prezzo e che per paesi come l’Italia, fortemente dipendenti, non era certamente un aspetto da sottovalutare. Tuttavia, dal 2003 in avanti, l’euro tende ad apprezzarsi nei confronti del dollaro fino a raggiungere la quota di 1,5557, questo sta a significare un apprezzamento del 57% rispetto alla parità. Solo per fare un esempio, questo significa che se si volesse acquistare un auto di importazione come la Ford allora ci si troverebbe ad acquistarla con uno “sconto” del 57%. Quindi se l’auto negli Stati Uniti costava 20.000 dollari, in Europa la pagava 8.600 euro. Dall’altra parte però se tornassimo a ragionare in termini di cambio lira/dollaro allora il tasso di cambio sarebbe stato di 856 lire per ogni dollaro. Quindi un forte apprezzamento della nostra moneta. In altre parole, basta verificare ciò che si è appena sostenuto nella figura 1.3 dove sono riportati i tassi di cambio lira/dollaro e euro/dollaro reali e fittizi nel periodo che

4 che si ricorda è fissato a 1927.36 lire per euro.

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va dal 1946 fino ad oggi per comprendere come l’avvento dell’euro abbia completamente cambiato il contesto di riferimento nel quale il nostro Paese è abituato a misurarsi. È evidente che il nostro Paese non è più abituato a rapportarsi con un cambio così elevato nei confronti del dollaro, sin dalla metà degli anni settanta. In altri termini, con l’avvento dell’euro, il Paese è stato costretto ad entrare in una nuova fase delle sua storia.

1.2.1.2 Il tasso di cambio, le importazioni ed i costi energetici

Se come detto nella sezione precedente il tasso di cambio influenza sia le importazioni che le esportazioni e se appunto con l’avvento dell’euro il nostro Paese dovrà abituarsi ad un cambio fortemente apprezzato rispetto all’epoca della lira e se, ancora, un apprezzamento della moneta nuoce alle esportazioni ma ha un effetto positivo sulle importazioni e quindi, in particolare, sull’acquisto delle materie prime ed intermedie allora questo significa che con l’euro si dovrebbe esportare in misura minore, a parità di condizioni, ma, allo stesso tempo, si dovrebbe beneficiare di un prezzo più basso delle materie prime. La materia prima per eccellenza è sicuramente il petrolio ed in effetti con l’apprezzamento dell’euro, inizialmente vi è stata una riduzione del prezzo del petrolio, in euro. Questo è ciò che è accaduto fino al 2003, si veda figura 1.4, ma quando i paesi esportatori di petrolio si sono resi conto che l’apprezzamento dell’euro non era congiunturale e soprattutto era consistente, vale a dire quando il tasso di cambio euro/dollaro si stabilizzò sopra quota 1,20, vedi figura 1.5 allora essi iniziarono a razionalizzare la produzione e la vendita di petrolio perché il prezzo salisse, in dollari5.

Così come quando il tasso di cambio si è deprezzato così è iniziata la discesa del prezzo del petrolio che è passato dai 100 dollari di fine 2013 ai 60 dollari di fine 2014 ed inizio 2015. Attualmente il prezzo è sotto i 30 dollari al barile6. Quindi all’epoca, si stava verificando il paradosso che si esportava meno e si pagava il petrolio ad un prezzo più alto rispetto a quello che avrebbe dovuto essere. Tuttavia, sembrerebbe che il mondo stia lentamente prendendo le misure ad un contesto nuovo con l’avvento dell’euro. D’altronde i paesi membri dell’eurozona e gli altri paesi europei che sono “ancorati” all’euro come moneta e quindi fanno parte dell’area valutaria dell’euro consumano circa tra il 15% ed il 18% dell’ammontare mondiale, vedi tabella 1.1, di petrolio. E soprattutto l’Europa importa circa il 33% del petrolio importato al mondo. Questo è il dato che influisce sul prezzo del petrolio a livello globale in quanto la nostra è l’area del mondo di maggiore importazione di petrolio, vedi tabella 1.2.

1.2.1.3 I conti pubblici

In questo scenario globale che, in parte, è promettente ma allo stesso tempo sfavorevole per l’Europa, per il nostro Paese e di conseguenza per le famiglie, l’aspetto che desta preoccupazione a livello globale è sicuramente la forte incertezza sul Paese, a causa del debito pubblico che resta troppo alto e genera ingenti costi in termini di servizio del debito, interessi, per circa 80 miliardi l’anno. Questo nonostante un tasso di interesse molto più basso rispetto a quello praticato nel secolo scorso. Per

5 Il prezzo del petrolio è influenzato da tanti fattori così come il tasso di cambio euro/dollaro tuttavia tale andamento è stato successivamente confermato anche dai dati degli ultimi mesi quando il deprezzamento dell’euro ha iniziato ad essere più che congiunturale e sostanzioso. 6 Tale relazione sembrerebbe confermata anche da un indice di correlazione positivo di 0.81, questo implica che quanto meno l’andamento è lo stesso così come l’intensità. L’indice di correlazione è utilizzato per verificare se vi sia una relazione tra i valori di due variabili dal punto di vista statistico. L’indice va da -1 ad 1 dove -1 è la massima relazione inversa ed 1 la massima relazione diretta mentre 0 significa che non vi è alcuna relazione. Ovviamente un risultato vicino ad 1 o -1 significa che vi è una forte relazione inversa o diretta tra i valori delle due variabili, dal punto di vista statistico, ma questo non significa che tale relazione non possa essere frutto di una relazione causa/effetto di altre variabili latenti che possono essere in relazione alle due variabili. Un passo successivo potrebbe essere quello di misurare la significatività attraverso l’utilizzo del t–test ed ulteriormente una regressione multipla che tenga conto di tutte ipotetiche variabili che possono influenzare l’andamento del tasso di cambio euro/dollaro e del prezzo del petrolio. Allo stato attuale, data la mancanza di tempo, ci si limita a verificarne la correlazione.

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quanto c’è da sottolineare che per quanto sia basso, il tasso, tuttavia è più alto rispetto ad alcuni dei nostri partner europei, in termini di spread, figura 1.6. Per quanto riguarda il debito, l’Italia era in una situazione leggermente migliore del Belgio nel 1995, solo che il Belgio nel 2007 era sceso all’80% mentre il nostro Paese partendo da un debito del 120% circa scende intorno al 100% nel 2004 dopo anni di sacrifici ma anche di manovre particolarmente brillanti come quella del governo Prodi-Ciampi del 1998. Infatti, l’accumulazione di avanzo primario da destinare, in parte, al riacquisto del debito ha permesso di sfruttare al meglio anche la riduzione dei tassi di interesse, il cosiddetto “dividendo” dell’euro, figura 1.7.

Se si intende entrare in un percorso di circolo virtuoso, evitando sofferenze ad una popolazione già provata, è necessario prevedere un piano di rientro programmato e moderato, come nel caso dell’ultima decade del secolo scorso. Questo significa che è necessario cercare di mantenere il deficit pubblico ad un livello accettabile che potrebbe essere anche il 3% ma questo non garantirà la riduzione del debito. Infatti, la riduzione del debito sarà garantita se e solo se si è in grado di controllare la spesa pubblica o in alternativa crescere ad un tasso equivalente alla crescita del debito stesso. Questo permetterebbe, non tanto la stabilizzazione del debito, ma almeno la tenuta sotto controllo del debito stesso. Questo sta a significare che il bilancio pubblico deve essere pari a zero (entrate meno uscite) o meglio ancora in attivo al netto degli interessi sul debito. Ancora meglio, il bilancio dovrebbe essere in pareggio al lordo degli interessi. Quindi è necessario mantenere un avanzo primario sufficiente a coprire il costo degli interessi (figura 1.8). Se è vero che gli interessi sul debito sono circa il 4% del PIL allora vuol dire che l’avanzo primario dovrà essere almeno il 4% per garantire che non vi sia un aumento del debito pubblico.

1.2.2 Il contesto microeconomico Quanto sopra descritto potrebbe risolvere parte dei problemi ma non tutti, infatti, tra i processi

accennati poco sopra, due, il processo di integrazione europea e il processo di innovazione e trasformazione, stanno generando un effetto importante, vale a dire la convergenza della diseguaglianza nei paesi europei. In Europa l’indice della diseguaglianza, l’indice di Gini, si sta attestando tra 30 e 34 (figura 1.9) 7. Questo sta a significare che i paesi con un basso livello di diseguaglianza ora si trovano a far fronte ad un aumento della stessa mentre altri si confrontano con una riduzione della diseguaglianza. Il problema vero, è di quanto aumenta la diseguaglianza ed in quanto tempo. Ovviamente più è alto l’aumento della diseguaglianza e tanto è percepito dalla cittadinanza ma probabilmente è ancora peggiore un aumento della diseguaglianza in un arco di tempo molto limitato perché questo fenomeno è maggiormente percepito dalla popolazione. In conclusione, la crisi che ha colpito l’Europa è diversa da quelle precedenti in quanto è persistente e soprattutto perché sta costringendo noi tutti a modificare i nostri comportamenti ed abitudini, ma dalla crisi si dovrà uscire con un nuovo sistema di produzione della ricchezza ed una nuova organizzazione produttiva così come sociale. Tale cambiamento sta già avvenendo giorno dopo giorno. Questo lo dimostra anche l’analisi dei dati della banca dati della Banca d’Italia8.

7 In un range che va da 0 ad 1 dove rispettivamente viene rappresentato eguaglianza e massima diseguaglianza 8 Per l’analisi che si intende svolgere si sono considerati gli anni dal 1987, in alcuni casi, dal 1989, in altri, ed infine, dal 1991 o 1993, per altri. Ciò in quanto non era necessario andare troppo indietro nel tempo ed molti casi, andare indietro nel tempo non era materialmente possibile in quanto alcune variabili sono state inserite con l’andare del tempo stesso. Complessivamente le famiglie rilevate sono circa 8.000 all’anno dal 1991 al 2012 e complessivamente rappresentano circa 23.000.000 di famiglie residenti in Italia. L’analisi inizia con i consumi, per comprendere cosa è cambiato dal 1987 ad oggi. L’analisi tiene in considerazione i dati presenti nella banca dati che sono suddivisi in consumi non durevoli per alimenti, altri consumi non durevoli ed infine trasporti ed altri consumi durevoli.https://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/indagine-famiglie/.

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

1.2.2.1 I consumi

Analizzando i dati dell’indagine sulla ricchezza delle famiglie italiane della Banca d’Italia, prendendo in considerazione i consumi non durevoli, si evidenzia come durante gli anni novanta vi sia stato un aumento del 20%, al lordo dell’inflazione, dei consumi per alimenti mentre non si registrano sostanziali incrementi per gli altri consumi. In generale, i consumi alimentari crescono del 60% dal 1987 ad oggi mentre sono i consumi degli altri beni non durevoli che fanno registrare un aumento considerevole dal 1998 al 2007, segue un aumento misurato ed infine un ulteriore incremento di oltre 20 punti. In conclusione, gli altri beni non durevoli aumentano di oltre 80 punti nell’arco di 10 anni. L’aumento è certamente dovuto all’aumento dei costi energetici ma sicuramente anche al cambiamento dei consumi delle famiglie italiane che prevede per esempio il cellulare, l’adsl ed altri servizi e prodotti che erano presenti in misura minore o inesistenti durante l’ultima decade del secolo scorso. I consumi durevoli invece sembrerebbero avere un effetto o un trend contrario. Infatti, il consumo di beni durevoli aumenta durante gli anni novanta mentre si riduce nella prima fase del nuovo secolo. Tuttavia si evidenzia ancora un aumento dei consumi di beni durevoli proprio con l’avvento della moneta unica. È da sottolineare che con l’inizio della crisi vi è un forte abbattimento della spesa per i consumi durevoli. A conti fatti, si registra che i beni non durevoli tendono ad avere un trend molto simile a quello dei consumi totali mentre il consumo di beni durevoli tende a mantenere una propria traiettoria.

In conclusione i beni non durevoli ed in particolare quelli non alimentari sono gli autori del forte incremento dei consumi durante gli anni duemila, e soprattutto, sembrerebbe che l’incremento sia proprio successivo all’avvento dell’euro. È come se ci fosse stata una sorta di euroforia (euforia) irrazionale che ha fatto dimenticare agli italiani che il reddito, specie per coloro a reddito fisso, era solo stato convertito e non incrementato con il cambio della moneta. Di conseguenza, è probabile che, presto gli italiani si siano resi conto che il reddito non sarebbe stato in grado di garantire un consumo superiore al reddito stesso.

Se si osserva la figura 1.10 si può constatare che l’aumento maggiore si evidenzia soprattutto nei consumi non durevoli al netto degli alimentari. Infatti, i beni non durevoli al netto degli alimentari, in particolare gli energetici, si presume, aumentano in modo sostanzioso dal 2002 al 2006, in misura maggiore rispetto agli anni novanta, con un lieve rallentamento nel 2006 per poi accelerare negli anni successivi9.

A conti fatti, consumi superiori al reddito disponibile hanno fatto sì che i consumi, prima o poi, dovessero tornare alla condizione del reddito. E questo è il caso per esempio dei consumi per beni non durevoli mentre i consumi per beni durevoli continuano a essere ancora oltre il doppio di quelli del 1987. Dal 2007 addirittura si è evidenziato un contenimento anche dei consumi alimentari.

1.2.2.2 Il reddito

Per quanto riguarda il reddito, la banca dati della Banca d’Italia fornisce, in particolare, cinque tipologie di redditi: redditi da contratto, redditi da pensioni, redditi da capitale per imprese al di sotto dei 20 dipendenti, redditi da lavoro (stipendio) e capitale per imprenditori con imprese con più di 20 addetti ed infine redditi da imprese familiari.

Come è possibile verificare dalla figura 1.11, il reddito da lavoro dipendente è poco più che raddoppiato dal 1987 al 2012. Vi sono due aumenti importanti del reddito da lavoro che vanno dal 1989 al 1993 con una crescita di circa 38 punti e dal 2002 al 2006 con una crescita di altri 39 punti in

9 anche se le variazioni vengono considerate per decennio, vale a dire, tenendo in considerazione l’aumento dei consumi negli anni Novanta e quelli del primo decennio del nuovo secolo.

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percentuale. Questo ha fatto sì che il reddito da lavoro sia raddoppiato dal 1987 al 2012. Si tratta di circa 18 milioni di individui nel 2012. Dall’altra parte è da evidenziare che grazie ad un tasso di inflazione più basso (vedi figura 1.12) nella prima decade del nuovo secolo, l’aumento del reddito da lavoro diviene più consistente. Tuttavia è da sottolineare che la crescita del reddito da lavoro tende a diminuire dal 2008 in poi fino a diventare negativa nel 2012 con un -3,5%.

I redditi da pensione hanno più o meno lo stesso andamento dei redditi da lavoro sia in termini nominali che reali, al netto dell’inflazione, tuttavia è da sottolineare che i redditi da pensione passano dai 300 euro medi del 1987 a 889 euro del 2012 e non risentono di alcuna flessione in tutto il periodo preso in considerazione. Fermo restando che i redditi da pensione risultano essere molto inferiori, in media. In questo caso, si tratta di circa 16 milioni e mezzo di soggetti che percepiscono una qualsiasi forma di pensione.

Se si procede con la comparazione con i consumi, per quanto riguarda i redditi da lavoro dipendente, si può sintetizzare che i consumi superano di gran lunga, circa il 15%, l’aumento del reddito da lavoro dipendente mentre complessivamente i consumi raddoppiano nello stesso periodo. Per concludere la parte dedicata ai redditi da lavoro, si ricorda che nel 1987 il reddito medio era di 7.488 euro circa, convertito, mentre nel 2010 il reddito medio era di 15.894 e nel 2012 di 15.065. Se si considera invece che i consumi erano, nello stesso periodo, di quasi 8.000 euro, all’inizio del periodo, e di quasi 18.000, al termine del periodo, questa è una prima spiegazione del perché le famiglie con redditi da lavoro si stanno indebitando. Infatti, la differenza nel 2012 tra i consumi medi ed i redditi medi è di circa 3.000 su 18.000, vale a dire circa il 17% mentre in precedenza risultava essere di meno dell’1%.

A differenza dei redditi da lavoro dipendente e pensioni i compensi degli imprenditori con imprese di carattere familiare, professionisti oppure con imprese con meno o più di 20 addetti sembrerebbero beneficiare o subire in misura maggiore la congiuntura economica del paese. Seppure dai dati si evidenzia che vi siano differenze sostanziali tra le diverse forme di reddito da impresa.

Nel caso dei redditi da imprese con meno di 20 addetti, si verifica che sono circa 4 milioni i soggetti coinvolti. In questo caso, i dati confermano una crescita del reddito che si raddoppia, rispetto al 1987, nel 2006 per poi decrescere a circa una volta e mezzo rispetto al 1987. Tuttavia, se si tiene conto del reddito reale, al netto dell’inflazione allora il reddito tocca addirittura un aumento di due volte e mezzo rispetto al 1987. Sono i soggetti che hanno maggiormente beneficiato del differenziale tra reddito nominale e reale10. In definitiva, il reddito complessivo varia dai 10.000 euro del 1987 ad un massimo di 19.878 euro per l’anno 2006 successivamente il reddito medio decresce a 16.362 nel 2012. È evidente come “l’euroforia” abbia influenzato il reddito delle imprese con meno di 20 addetti. Infatti, con la crisi si è ridotto anche tale reddito. Se si considera che il consumo medio degli ultimi anni era di circa 18.000 euro l’anno, di conseguenza è evidente che anche in questo caso, i consumi superino il reddito percepito negli ultimi anni.

Per quanto riguarda invece i redditi da impresa con più di 20 addetti11, la prima osservazione da fare è che il reddito complessivo di questa tipologia di soggetti risulta essere inferiore al reddito complessivo del 1987 per gran parte del periodo. Infatti, solo nel 1989 e nel 2004 i redditi sono superiori al 1987 mentre in alcuni anni addirittura il reddito complessivo, dividendi e compensi, risulta inferiore di 2/3

10 Si deve ricordare che la Banca d’Italia rileva il dato del reddito da capitale tenendo conto anche degli ammortamenti di impresa. Tuttavia, i dati non sono omogenei, vale a dire, durante gli anni Novanta venivano rilevati i redditi al lordo degli ammortamenti mentre nel corso del nuovo secolo i redditi al netto degli ammortamenti. In questo caso, la differenza tra il reddito lordo ed il reddito netto rielaborato non genera differenze consistenti a differenza dei redditi da imprese familiari, come si vedrà più avanti. 11 In questo caso, l’indagine prevedeva la possibilità da parte dell’imprenditore/gestore dell’impresa di percepire sia dividendi che compensi per la gestione e quindi uno stipendio, in altre parole in questo caso l’imprenditore è anche dipendente della propria impresa.

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

rispetto all’anno di riferimento. Tale andamento si rileva sia sui dividendi che sui compensi dell’imprenditore. Si tratta di redditi che vanno da un minimo di 10.544 euro nel 1987 ad un massimo di 19.878 del 2006 per poi scendere a 16.362 nel 2012. Anche in questo caso, la crisi si manifesta in una riduzione del reddito negli ultimi anni.

Alla luce dei dati presentati si può concludere che gran parte dei redditi delle famiglie italiane hanno subito una forte flessione negli ultimi anni e soprattutto sono sotto dimensionati rispetto ai consumi. Inoltre, è interessante anche prendere in considerazione il numero degli individui che percepiscono i redditi per ciascuna categoria. In questo caso, nello stesso periodo, cresce solo il numero di individui che percepiscono i redditi da capitale e da lavoro nelle imprese superiori ai 20 dipendenti. Infatti, in questo caso, si riscontra che dal 1987 al 1995 il numero di individui che percepiscono redditi da capitale o lavoro nelle imprese con più di 20 dipendenti è cresciuto di 1.400 volte, passando da circa 50.000 individui ad oltre 650.000. Tuttavia dal 1998 in poi il numero di individui ha iniziato un lento ma continuo declino fino a raggiungere il minimo di 400.000 individui nel 2010 (vedi figura 1.13). Questo sta a significare che la crisi sta cambiando la struttura portante del paese, almeno per quanto riguarda la parte produttiva o forse solo manifatturiera.

Per quanto riguarda gli altri redditi, il volume degli individui percettori sembrerebbe diminuire continuamente anche durante gli anni novanta. Infatti, il numero di lavoratori, pensionati così come imprenditori di imprese familiari o di imprese con meno di 20 addetti diminuisce in modo continuo (vedi figura 1.14). In particolare, gli individui che percepiscono un reddito da lavoro diminuiscono da quasi 18 milioni a poco sopra i 16 milioni, i pensionati passano da quasi 17 milioni a quasi 12 milioni, una riduzione di circa il 30%, così come gli individui che percepiscono un reddito da impresa sotto 20 addetti che passano da 4.771.000 circa ai poco meno dei 3.400.000 del 2012. Tuttavia la riduzione maggiore si riscontra nel numero di percettori di reddito da imprese familiari dove la riduzione è di quasi la metà, passando da 737.000 circa a poco meno di 400.000. Un processo inesorabile in tutti i settori che inizia negli anni novanta e continua con il nuovo secolo. Ma se si prende in considerazione la variabile reddito da trasferimenti, disponibile nella banca dati e che si riferisce ad eventuali redditi percepiti dagli intervistati a carattere assistenziale (indennità di malattia, cassa integrazione, altri sussidi da enti statali o privati), si riscontra che il numero degli assistiti è cresciuto di una volta e mezzo nella prima metà degli anni novanta, per scendere ai livelli del 1987 nel 2004, per poi risalire fino a quattro volte il numero di assistiti del 1987. Si tratta di circa 3.500.000 di individui che ricevono una qualsiasi forma di assistenza contro i quasi 900.000 del 1987. Per quanto la media beneficiata non sia molto elevata, circa 1.800 euro, tuttavia la crescita del numero degli assistiti è indicativo della situazione in cui versano le famiglie e quindi il paese.

1.2.2.3 La ricchezza

La ricchezza delle famiglie italiane presa in considerazione dalla banca dati della Banca d’Italia tiene conto della ricchezza reale, composta da immobili, compresa l’abitazione di residenza, aziende ed oggetti di valore. Inoltre, la ricchezza finanziaria che è composta da depostiti bancari e postali, Titoli di Stato ed altri titoli. La ricchezza reale composta dalla casa di residenza ed altri beni reali non fa altro che confermare che l’Italia è un paese dove la ricchezza risiede proprio sulla ricchezza reale ed in particolare sulla casa di residenza e quindi su una ricchezza immobile in senso lato. Vale a dire sugli immobili ma allo stesso tempo su un qualcosa che per sua stessa definizione non trasferibili, quanto meno non nell’immediato. Infatti, se le famiglie volessero disinvestire per investire in qualche altra forma, non lo potrebbero fare proprio perché è la ricchezza dove risiedono e vivono. E se all’inizio degli anni novanta la ricchezza reale era poco superiore al valore dell’immobile dove risiedevano abitualmente, con il nuovo secolo ciò non è più così. È vero che la ricchezza reale è aumentata dal 1987 ad oggi, di tre volte,

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tuttavia, come si diceva poc’anzi, è una ricchezza che non è nella disponibilità dei proprietari come investimento.

In questo caso gli aspetti da analizzare sono diversi. Innanzitutto il valore nominale della ricchezza che per l’abitazione passa da 28.355 euro del 1987 ai 143.848 del 2012 mentre la ricchezza reale complessiva passa da 49.612 euro del 1987 a 220.143 euro del 2012. Quindi il valore dell’immobile di residenza è circa il 70% del totale della ricchezza reale, figura 1.15. Infatti, l’immobile di proprietà passa dal 65% del 1987 fino ad un massimo del 71% nel 2004 per poi scendere fino al 65% ancora nel 2012 (figura 1.15 linea verde sull’asse secondario delle ordinate).

È un dato di fatto che la ricchezza reale, residenza e non, sia cresciuta molto in questi anni, fino a raggiungere tre volte la ricchezza del 1987 tuttavia negli stessi anni è cresciuta in misura maggiore, seppure di poco, la ricchezza data dalla residenza piuttosto che quella complessiva reale. Questo probabilmente è frutto della forte crescita dei valori immobiliari rispetto agli altri beni reali.

La ricchezza finanziaria ha un andamento che rispecchia quello che è accaduto negli ultimi venticinque anni, vale a dire le famiglie italiane si sono liberate dei Titoli di Stato, almeno fino al 2012 per investire in altre forme. Infatti, dato 100 il valore dei Titoli di Stato in mano alle famiglie italiane nel 1987, si riscontra che è pari a 77 nel 2012. Il totale della ricchezza finanziaria delle famiglie, in media, risulta essere di 23.000 euro circa dove il peso dei Titoli di Stato risulta essere di 2.700 euro circa. Un rapporto che inizialmente era del 27% (linea verde figura 1.16 valori nell’asse secondario delle ordinate) che raggiunge il 35% nel 1995 ma che poi decresce fino ad attestarsi intorno all’11% nel 2012. Certo questo andamento dei Titoli di Stato può essere principalmente addebitato allo scarso o nullo rendimento degli stessi Titoli di Stato negli ultimi anni. Infatti se si prende in considerazione la ricchezza complessiva e si rapporta la ricchezza reale ad essa, si evidenzia che la ricchezza reale rappresenta tra l’85% ed oltre il 90% della ricchezza complessiva. L’andamento vede un decremento della ricchezza reale durante gli anni novanta con il punto di minimo proprio ad inizio secolo e poi una forte crescita della ricchezza reale in rapporto a quella complessiva fino ad oltre il 90% (figura 1.17 linea rossa con valori sull’asse secondario). L’aumento della ricchezza reale influenza ovviamente la crescita della ricchezza totale che passa da 100 del 1987, anno di riferimento, a 450, punto di massimo, nel 2010.

1.2.2.4 La casa: con mutuo, in affitto o ad uso gratuito

Se è vero che la ricchezza reale e quindi il valore della casa di residenza è aumentato in misura considerevole tuttavia è necessario tenere in considerazione la condizione di coloro che vivono in una casa di proprietà ma con mutuo o a canone agevolato o di mercato. Complessivamente si sta parlando di circa il 35% delle famiglie italiane. Le famiglie indebitate per acquisto o ristrutturazione di un immobile sono in media quasi 2.500.000, circa il 10%, per una ammontare medio di 41.500 euro. Dal grafico 1.22 si riscontra che il numero che ha contratto un prestito per acquisto o ristrutturazione di un immobile tende ad essere relativamente stabile. Infatti, nell’arco di venti anni il numero di coloro che si sono indebitati per qualsiasi operazione immobiliare passano dai circa 2.000.000 ai circa 3.000.000. Tuttavia vi è un incremento del 30% circa dal 1991 al 1995, segue una flessione sotto la soglia dell’anno di riferimento. Successivamente si riscontra una forte crescita, si veda linea viola con asse di riferimento secondario delle ordinate, figura 1.18, dal 2002 al 2008. Infine, una variazione negativa di circa il 15% nel 2010 e una crescita di circa il 10% nel 2012. In conclusione se si considerano le variazioni avvenute subito dopo l’avvento dell’euro e quindi dell’abbassamento dei tassi di interesse si riscontra un aumento netto del 50% in termini di nuovi prestiti nonostante la flessione di circa il 10% nel 2010.

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

A questo punto è necessario fare una lieve digressione per verificare l’andamento del tasso di interesse Euribor in questi anni per comprendere appieno quello che è accaduto e che tuttora sta accadendo12. Come è possibile verificare dalla figura 1.19, il tasso Euribor, dall’avvento dell’euro ad oggi si è sostanzialmente azzerato nonostante esso già fosse molto più basso rispetto alla media dei prestiti praticati durante gli anni ottanta e novanta del secolo scorso in Italia.

In particolare, esso era sceso molto già subito dopo l’avvento dell’euro ma poi è tornato a risalire durante la crisi dei debiti sovrani. Quindi la prima flessione ha generato una vera e propria espansione dei prestiti e quindi degli acquisti e delle ristrutturazioni che ha portato ad un aumento del numero dei prestiti. Tuttavia alla diminuzione dei tassi ha, come spesso accade per la regola della domanda e dell’offerta, fatto seguito l’aumento dei prezzi degli immobili. Come è possibile osservare dal grafico 1.22, l’indebitamento delle famiglie è passato da 100 del 1991 a 400 nel 2004 e successivamente fino a quasi 500 nel 2010, anno di ultima crescita del mercato immobiliare. Quindi dal 2002 il livello di indebitamento delle famiglie per acquisto e ristrutturazioni è aumentato di circa 3 volte rispetto al 1991 dopo che era già raddoppiato prima dell’avvento dell’euro.

Per avere un’idea, il prestito medio nel 1991 era di circa 14.000 euro mentre nel 2000 era di circa 22.000, quindi poco meno del doppio. Nel 2002 era già di circa 30.000 e nel 2010, anno di maggiore espansione del debito, era di 77.000 circa, figura 1.2013. Come si può osservare, l’aumento dell’indebitamento per la casa durante gli anni novanta è intorno a 200, dato 100 l’anno di riferimento del 1991, mentre per il nuovo decennio l’aumento raggiunge oltre i 300 punti. Questo sta a significare che nell’ultimo decennio del secolo scorso, l’indebitamento non è neanche raddoppiato, nonostante un tasso di inflazione più elevato e la crescita continua dei prezzi delle case. Mentre, nel nuovo secolo l’indebitamento ha superato tre volte quello dell’anno di riferimento. Tale aspetto spiega, insieme all’aumento degli affitti a prezzo di mercato, gran parte della condizione di disagio delle famiglie italiane ad iniziare dal 2008.

Infatti, la situazione delle famiglie in affitto non è molto diversa da coloro che si sono impegnati nell’acquisto o ristrutturazione di un immobile. La banca dati della Banca d’Italia prevede individui in affitto o in uso gratuito. In questo caso, si evince che circa il 60% degli italiani che non vivono in un abitazione di proprietà sono in affitto. L’andamento di coloro che vivono in affitto tende ad attestarsi intorno al 60% negli ultimi anni anche se nel 1991 erano circa il 70% e nel 1995 erano quasi il 74%. Si tratta di oltre 7 milioni e mezzo di individui che sono in questa condizione, di cui il 70% circa, oltre 5 milioni di individui, in affitto. Tra coloro che vivono in affitto, oltre il 70% ha un contratto a canone di mercato con soggetti privati o società. Si tratta di circa 4 milioni di famiglie, mentre circa il 20% risiede in una casa cosiddetta popolare (IACP, Comune, Provincia e Regione), circa un milione di famiglie. Altri invece vivono in case di proprietà di Enti pubblici14. Se si prendono in considerazione i valori medi ed il loro andamento per quanto riguarda gli affitti con privati, famiglie, e case popolari, si può notare che gli andamenti sono molto simili. In generale si riscontra che il costo degli affitti sia cresciuto costantemente sin dagli anni Novanta ma con periodi dove la crescita è stata più accentuata (figura 1.21, linea blu asse principale dell’ordinata a sinistra). In termini nominali il costo complessivo degli affitti passa dai quasi 1.300 euro del 1987 ai quasi 4.400 euro del 2012, anno di massima espansione degli affitti. Se si prendono in considerazione le variazioni annuali allora si riscontra che tra il 1993 e il

12 L’Euribor è il tasso di interesse praticato dalle principali banche europee per il prestito interbancario e che dall’avvento dell’euro ha

sostituito il Libor che era denominato in Sterline perché calcolato sulla piazza londinese. Esso è il tasso di riferimento per i prestiti poi praticati alla clientela sulla base di uno spread che dipende dalla tipologia di prestito, di clientela e di banca. 13 In questo caso, si è pensato di considerare come anno base il 1991, per gli anni novanta, ed il 2000, per gli anni del primo decennio del nuovo secolo. 14 Durante la fine degli anni Ottanta, i residenti in casa di proprietà degli enti pubblici come gli enti previdenziali era intorno al 4% ma con il nuovo secolo la percentuale è scesa sotto l’1%.

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1995 si registra un forte incremento nell’ordine del 25% circa ma soprattutto sono gli anni tra il 2002 ed il 2006 che fanno registrare un incremento del 45% circa, quasi la metà del costo complessivo dell’anno di riferimento, il 1987. In conclusione, i dati appena presentati confermano ciò che si è detto nella sezione dedicata ai consumi, vale a dire subito dopo l’avvento dell’euro si è creata una situazione paradossale dove i prezzi sono aumentati senza alcuna ragione. In realtà la lettura sul cambio delle valute conferma che nel periodo successivo del cambio di una valuta, accade spesso che vi sia un aumento dei prezzi. Tuttavia, tale aumento fisiologico tende a scemare nell’arco di 18–36 mesi. In questo caso, il ritorno alla condizione iniziale sta avvenendo dopo quasi dieci anni, ad iniziare dal 2008. Sembrerebbe che coloro che erano in affitto, a libero mercato, abbiano pagato maggiormente questo processo di aggiustamento dei prezzi. Infatti, l’insostenibilità dei prezzi praticati subito dopo l’avvento dell’euro hanno poi comportato una riduzione degli affitti del 30% nel 2012.

1.2.2.5 L’indebitamento

Dai dati appena presentati sembrerebbe che la condizione di difficoltà delle famiglie italiane sia iniziata durante gli anni 2003 – 2008 ma si è manifestata proprio dopo il 2008. In particolare, sembrerebbe che sia stato l’aumento dei consumi non durevoli, al netto della quota per i prodotti alimentari, tenendo in considerazione la casa ad aver influito a tale condizione.

Un aspetto è da sottolineare, se si prende in considerazione la popolazione complessiva e si rapporta ad essa il numero delle famiglie indebitate complessive, verso le banche e per il credito al consumo, si nota come la percentuale delle famiglie indebitate è di circa il 25%.

Vi sono due momenti in cui la percentuale è aumentata, avvicinandosi al 30%. I due periodi sono tra il 1991 ed il 1993 ed il 2008–2010 mentre il livello minimo si riscontra proprio negli anni dell’avvento dell’euro cioè tra il 2000 e il 2002. In termini di intensità dell’indebitamento, vale a dire ammontare medio di indebitamento complessivo, verso gli istituti bancari ed il credito al consumo, si può constatare come dato cento l’anno di riferimento, 1991, l’indebitamento complessivo è aumentato del 20% nel 1993 e poi si è attestato in quella soglia fino al 2002. Mentre è proprio dal 2002 in poi che l’indebitamento complessivo tende a salire fino al 50% rispetto all’anno base. Ed è subito dopo il 2008 che la quota di indebitamento tende ad abbassarsi nella direzione del 20% sopra l’anno base. I dati confermano che l’indebitamento è aumentato proprio per spese immobiliari (figura 1.22). In conclusione, l’indebitamento delle famiglie italiane, in questi anni, è aumentato in termini di numero e di intensità, principalmente, a causa dei mutui, almeno fino al 2008.

1.2.2.6 Ricchezza complessiva e netta

Dai dati della banca dati della Banca d’Italia emerge che la ricchezza complessiva e netta hanno lo stesso andamento nel corso del tempo, figura 1.23, linee blu chiaro e scuro con asse primario, sinistro, delle ordinate. I dati sostengono che la ricchezza sia quadruplicata nell’arco degli ultimi 30 anni. Tuttavia se si prova ad analizzare il peso della ricchezza imputabile alla casa in cui si risiede, essa tende a contare per circa il 60% della ricchezza complessiva, figura 1.23, linea verde asse secondario dell’ordinata. Questo è un dato che conferma che gli italiani sono ricchi ma che gran parte della loro ricchezza è fondata sull’abitazione dove abitano. Purtroppo non c’è investimento più immobile dell’abitazione in cui si vive. Inoltre, molte abitazioni sono gravate da mutui visti i dati sull’indebitamento. Infine, si deve considerare che la ricchezza reale rappresenta il 90% della ricchezza complessiva.

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

1.2.2.7 Risparmio

La banca dati prevede due tipologie di risparmio contabilizzate a residuo, i risparmi al netto dalla componente finanziaria (S1) ed i risparmi totali (S2). I dati confermano che gli italiani sono dei risparmiatori, tanto che essi sono tra l’80% ed il 90% del totale. Questo significa che 8 italiani su 10 sono in grado di risparmiare. Tuttavia il numero delle famiglie in grado di poter risparmiare è scesa di circa il 10%-20%, cioè dal 90% al 70%, con l’avvento del nuovo secolo ed in particolare con l’inizio della crisi. In definitiva si tratta di poco più di 15 milioni, nel 1987, e di poco meno di 16 milioni di famiglie, nel 2012. Nelle ultime due rilevazioni, vi è stata una riduzione di oltre 10 punti. Di fatto parte delle famiglie italiane non solo si sono indebitate ma soprattutto hanno finito i loro risparmi. Tale ipotesi è confermata anche dall’intensità del risparmio. Infatti se si prende in considerazione l’ammontare dei risparmi, con anno di riferimento il 1987, si evince che i risparmi quasi si raddoppiano soprattutto nei primi anni novanta rispetto al 1987. Poi si registra una brusca frenata proprio nel 1995 che porta i risparmi ad una somma che è il 50% circa superiore all’anno di riferimento. Tra il 1998 ed il 2000 tornano a crescere diventando quasi due volte e mezzo quelli del 1987. Fino al 2004 si stabilizzano nuovamente mentre aumentano in misura sostanziosa dal 2004 al 2008, portandosi a tre volte i risparmi dell’anno di riferimento. Infine, si registra un brusco calo dal 2008 in poi fino al 2012 che riporta il risparmio ai valori del 1998 cioè due volte i risparmi del 1987.

1.2.2.8 Conclusioni

Alla luce di quanto presentato, si può affermare che la crisi odierna è sicuramente da imputare, per la maggior parte, all’avvento dell’euro: il forte apprezzamento dell’euro ha generato un forte apprezzamento dei prezzi energetici nei mercati internazionali; una riduzione delle esportazioni ed un aumento delle importazioni; inoltre, l’avvento dell’euro ha comportato anche una cambiamento delle esportazioni ed importazioni delle merci all’interno dell’area euro dove i paesi o sistemi produttivi più efficienti hanno prevalso, vedi Germania nei confronti degli altri paesi dell’area euro; a ciò si deve aggiungere che l’avvento dell’euro ha portato ad un aumento generalizzato dei prezzi, in misura lieve, in generale, ma in misura consistente in alcuni ambiti. In particolare, nel settore dell’abitazione in termini di prezzi di acquisto e di locazione degli immobili.

Alla luce di tale analisi è possibile concludere sostenendo che la crisi odierna non è altro che conseguenza di un aumento sconsiderato dei prezzi durante i primi anni dell’avvento dell’euro, tra il 2002 ed il 2007, ed il conseguente aggiustamento, seppure in ritardo, nella direzione dei redditi reali delle famiglie che, principalmente, hanno contratto un mutuo o affittato un immobile durante quegli anni.

Oggi, sostanzialmente non sta accadendo niente altro che il ridimensionato dei prezzi. Infine, l’avvento dell’euro ha radicalmente cambiato la condizione di tutti i paesi europei nell’ambito del mercato interno europeo e verso i paesi terzi e questo cambiamento è di carattere strutturale. Tuttavia, coloro che hanno contratto un mutuo o un affitto a prezzi di mercato tra il 2002–2007 stanno soffrendo tale condizione e ciò potrà essere superato solo attraverso le surroghe e la rinegoziazione dei mutui e dei contratti di affitto.

1.3 Il contesto regionale di breve periodo

1.3.1 Il credito, carenza di investimenti e la sottocapitalizzazione di capitale umano e fisico Il contesto socio-economico in cui la regione si sta muovendo non è certamente il migliore dal dopo

guerra ad oggi tuttavia alcuni segnali positivi, come si vedrà più avanti, ci sono e probabilmente in

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aumento nel tempo. Le Marche potrebbe essere considerata come una regione europea ed italiana perfettamente in linea con la media europea e nazionale, tenendo conto delle specificità che caratterizzano ciascun territorio come la popolazione e la densità. Infatti, le Marche rappresentano circa il 2,6% della popolazione nazionale ed il 2,4% del PIL nazionale ed ha un Pil pro capite PPA perfettamente in linea con la media europea (Quadro economico Marche).

Le Marche si caratterizzavano come la regione in seno al processo di industrializzazione del nord est e centro (NIC) degli anni 70 e della metà degli anni ottanta. Definita da Fuà come l’industrializzazione senza fratture (Fuà). Industrializzazione basata sul mobile e la meccanica nel pesarese, l’elettrodomestico nella provincia di Ancona, soprattutto il calzaturiero nel maceratese, una volta, e Fermano/Maceratese, oggi. Senza dimenticare le grandi imprese dell’ascolano grazie alla Cassa del Mezzogiorno che nell’Adriatico partiva proprio dalla Provincia di Ascoli Piceno. Gli studiosi dell’epoca l’hanno definita l’industrializzazione diffusa a distretti industriali, capace di passare dai laboratori nei garage alle piccole medie imprese, dalla prima alla terza generazione di imprenditori e la conquista dei mercati internazionali. Lo sviluppo dell’area costiera e il semi abbandono delle aree rurali e dei borghi. Gli anni novanta e il primo decennio del nuovo secolo si caratterizzano per il consolidamento politico, definizione della regione come area rossa insieme a regioni come Emilia Romagna, Umbria e Toscana, economico, sociale e soprattutto di regione traino del paese. A ciò si aggiungerà anche come una delle regioni con una forte presenza migratoria caratterizzata da un insediamento diffuso (Rapporto Caritas migrantes). Tuttavia, l’aumento della popolazione, seppure minimo, è misura importante dell’effetto migratorio mentre il tasso di natalità tende a diminuire per effetto concomitante dell’uscita dalla età della fecondità delle donne nate tra la metà degli anni sessanta e la metà degli anni settanta e all’invecchiamento delle donne straniere che ha contributo alla natalità durante gli anni novanta e primi del nuovo secolo (dimensione salute, ISTAT).

Segue la crisi, nazionale e delle principali regioni e soprattutto la necessità di innovare, rinnovare, ristrutturare e ripartire dato il contesto dell’integrazione dei mercati, dell’Europa e dell’Euro. Senza dimenticare che durante la guerra fredda le Marche erano come un binario morto di fronte alla cortina di ferro e la dittatura greca. Quindi un porto che era di poca utilità ed un mare che era una frontiera. La caduta del muro di Berlino e dei regimi comunisti, le guerre della Bosnia e del Kosovo sono state uno shock per la regione e per la sua popolazione. Tuttavia l’integrazione europea, l’ingresso della Grecia, della Slovenia, della Croazia ed il processo di avvicinamento all’integrazione in Europa della Serbia, della Bosnia, del Montenegro e dell’Albania portano in dote alle Marche il corridoio Adriatico Ionico (Adrion) e la trasformazione del Mare Adriatico in uno lago15. Da qui la prospettiva di sviluppare le cosiddette autostrade del mare che rientrano nel piano TEN-T (Trans-European Network - Transport)16.

Insomma, il periodo del miracolo economico è finito con la fine degli anni ottanta con forte trascinamento negli anni novanta ma ora la regione è attesa da grandi sfide interne, nazionali, europee e globali. La sfida lanciata dal Presidente della Toscana Enrico Rossi circa “l’Italia di mezzo” può essere la giusta direzione e forse la soluzione di quei tanti problemi che affliggono la regione così come tutte le regioni del nostro paese. Si tratta di capire come mettere da parte oppure coniugare tradizione, cultura, identità con modernità, servizi, ricchezza e costi accessibili per i servizi. Questa soluzione potrà

15 Tanto da far proporre un ponte tra Ancona e Zara da parte degli Ingegneri della Università Politecnica delle Marche di Ancona, qualche anno fa, http://ilpontesulladriatico.com/htm/02libro.htm. 16 http://ec.europa.eu/transport/infrastructure/tentec/tentec-portal/site/en/maps.html.

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

permettere di rivitalizzare soprattutto i servizi delle municipalizzate attraverso una razionalizzazione e efficientamento dei servizi17.

Quella che era la regione caratterizzata dalla più longeva mezzadria del paese (Maffeo), è passata dall’agricoltura all’industria ed ai servizi in poco più di 40 anni, tanto che oggi i servizi contano per il 70%, l’industria per il 28% e l’agricoltura per il 2%. Anche in questo caso però è un’agricoltura basata sul biologico e sul cosiddetto “kilometro zero”. A ciò si aggiunga che le Marche sono la regione più longeva del paese con una speranza di vita alla nascita di 80,8 e 85,5 anni rispettivamente per gli uomini e per le donne. In un paese che risulta essere già uno dei più longevi in assoluto nel mondo (Dimensioni salute, Istat).

Senza dimenticare che nonostante il sottodimensionamento della manifattura, le Marche restano la regione più manifatturiera del paese e una tra le più industrializzate d’Europa e con il più alto numero di imprese per abitante. Se si considera l’apporto di valore aggiunto per i principali settori produttivi come agricoltura, industria e servizi si osserva come la Regione Marche ha una condizione molto simile all’Emilia Romagna ed il Veneto dove l’agricoltura pesa circa per il 2%, l’industria per il 30% mentre i servizi per il 70% circa. Ovviamente la crisi ha pesato in misura maggiore nel settore dell’industria che ha visto diminuire di qualche decimale di punto il proprio valore aggiunto rispetto agli altri settori. Anche in questo caso, la variazione maggiore avviene prima in Veneto e poi nella regione Marche (Tabella 1.3).

Alla luce di tale premessa storica utile per comprendere gli accadimenti degli ultimi otto anni di crisi economica che hanno portato la regione a dover ridisegnare il proprio contesto socio-economico. Il PIL marchigiano cresce in misura maggiore, 1,6%, rispetto a quello nazionale, 1,2% ed anche rispetto alle altre regioni NEC. Insomma una performance ragguardevole nonostante l’avvento dell’euro ed il tasso di cambio con il dollaro, il prezzo del petrolio e l’attentato alle torri gemelle. In definitiva i primi anni del nuovo secolo possono essere considerati come l’ingresso delle Marche tra le migliori economie del paese ed il suo consolidamento.

I problemi emergono e sono maggiori sia dei dati nazionali che delle altre regioni NEC. Infatti, negli anni 2007-2009 la riduzione del PIL risulta essere del 3,6%, maggiore del dato nazionale che si attesta a -3,3%. Le Marche però sono in buona compagnia, infatti, il Friuli Venezia Giulia è a -4,9%, l’Umbria a -4,4%, il Veneto a -3,9% e l’Emilia Romagna a -3,8%. Tuttavia la condizione di difficoltà della regione emerge e si mantiene per tutta la durata della crisi. Tra il 2009-2011 le principali regioni crescono mentre le Marche subiscono un -0,2%. A fronte di regioni come l’Emilia Romagna che cresce del 2% e Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia all’1,7% mentre Veneto al 1,5%. Ma soprattutto i dati medi dei NEC sono tutti positivi, rispettivamente 0,6%, 1,5%, 1,7%. Gli anni 2012, 2013 e 2014 fanno registrare per le Marche un ulteriore peggioramento, così come per il paese e per i NEC ma la condizione della nostra regione è certamente la peggiore. Nel 2012 la riduzione del PIL è del 3,9%, nel 2013 del 3,5% ed infine nel 2014 del 0,4%. Per il 2015 la crescita prevista è poco meno del 1% a fronte del Veneto dove è prevista intorno al 1,1% (Prometeia). In effetti, non vi sono sostanziali differenze tra un 0,9% ed un 1,1% tuttavia quanto espresso conferma che i territori in difficoltà dal punto di vista strutturale sono entrati in crisi prima e ne sono usciti più tardi e con minore slancio. Sempre tenendo conto che il Veneto così come tutto il paese sta vivendo una crisi strutturale che è accompagnata da una crisi sistemica come presentato nelle sezioni precedenti (Tabella 1.4).

Se si approfondisce nel dettaglio la condizione produttiva emerge (dati Unioncamere Marche) che nel 2014 la domanda rivolta all’industria marchigiana è ulteriormente scesa sebbene in modo più

17 http://www0.regione.umbria.it/mediacenter/FE/articoli/umbriamarche-insieme-per-rilanciare-litalia-di-mez.html.

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contenuto rispetto agli anni precedenti. Gli ordini sono diminuiti soprattutto nelle imprese più piccole mentre per le imprese più grandi, con almeno 50 addetti, sono tornati a crescere. Tale andamento è confermato anche dai dati della Banca d’Italia che evidenziano una crescita tra le imprese con almeno 20 addetti. Tale andamento è dato soprattutto dalle esportazioni. Questo fa sì che continua ad aumentare il divario tra le vendite interne e quelle estere. I dati Cerved Group relativi a circa 2.600 società di capitali marchigiane confermano tale condizione. Infatti, negli anni della crisi tra il 2008–2009 la riduzione delle esportazioni ha colpito le imprese allo stesso modo mentre nel biennio 2010–2011 il recupero del fatturato è stato più marcato per le aziende medie, le quali hanno registrato un calo meno marcato nel biennio della seconda crisi 2012-2013.

I settori che hanno risentito meno della crisi sono sicuramente l’alimentare ed il chimico-farmaceutico. La Banca d’Italia sottolinea come le grandi aziende del tessile, abbigliamento e calzature, il comparto moda, hanno conseguito risultati migliori mentre nella meccanica è stato il caso delle aziende medie. Inoltre, fa notare che solo il 7,5% delle imprese marchigiane con fatturato superiore al milione di euro ha continuano ad accrescere il proprio fatturato. Infine, nel 2013 solo un’impresa su tre aveva recuperato il livello dei ricavi pre-crisi contro il 39% della media nazionale. La produzione è rimasta sostanzialmente stabile nel 2014 rispetto al 2013.

Nel 2014 le esportazioni della regione sono aumentate del 7,5% rispetto al 2013 che tuttavia è stato un anno particolarmente duro per le imprese del territorio. Inoltre, c’è da considerare che i tre quarti dell’incremento è da accreditare soprattutto al comparto farmaceutico e quindi al netto del settore indicato la crescita sarebbe stata molto più bassa ed in linea con i dati nazionali. Tuttavia, altri settori specifici del territorio hanno fatto registrare un buon andamento come il tessile ed il trasporto grazie alla nautica da diporto mentre sono calate in modo consistente le esportazioni per gli elettrodomestici, i mobili e le calzature.

Le esportazioni sono aumentare in modo considerevole soprattutto nell’area euro, 14,1%, ed in misura minore nei mercati asiatici, 5%, mentre sono diminuiti in Europa Orientale, -15%, a causa delle sanzioni alla Russia che hanno fortemente penalizzato il comparto della calzatura ed infine negli Stati Uniti, -3,2% a causa del settore della meccanica. Per quanto riguarda l’area euro c’è da evidenziare che gran parte delle esportazioni sono da imputare al settore farmaceutico, in particolare in Belgio e Germania. Se si considerano le esportazioni in Germania, al netto del farmaceutico l’aumento delle esportazioni sarebbero stato del 7,8% anziché del 24% (tabella 1.5). Dai dati della pubblicazione della Banca d’Italia circa le economie regionali, emerge che le Marche hanno risentito in maniera più consistente il calo delle esportazioni nel settore alimentare rispetto alle regioni NEC mentre hanno avuto una performance eccellente nei settori della farmaceutica e del petrolio (tabella 1.6).

Le importazioni sono aumentate del 3,5% ma in gran parte a causa delle riattivazione degli impianti di raffinazione della raffineria di Falconara Marittima. Per quanto riguarda il settore delle costruzioni, è proseguita la fase negativa del comparto. Tale andamento è confermato anche dall’andamento del mercato immobiliare, settore, quello immobiliare, che è sempre stato il punto di riferimento circa la salute di un’economia. Se si osservano i dati e si compara la condizione della nostra regione con i dati nazionali e delle principali regioni si nota come, anche in questo caso, si conferma la forte difficoltà in cui versa la nostra regione. Infatti se la variazione del numero di transazioni immobiliari tra il 2010 ed il 2011, -2,9%, è relativamente contenuta rispetto ad alcune tra le altre principali regioni NEC (Emilia Romagna e Toscana rispettivamente -3,5% e -4,1), il peggioramento nella nostra regione risulta nella variazione tra gli anni 2010 e i successivi fino al 2014 dove il numero di transazioni cade rispettivamente del 32%, 41,3% e 40,7% mentre la flessione delle transazioni immobiliari nelle altre regioni si attesta sempre a 2-3 punti in percentuali meno della nostra regione (tabella 1.7).

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

Per quanto riguarda il settore del credito, anche in questo caso la condizione della nostra regione rispetto alle altre regioni del NEC sicuramente non brilla. Innanzitutto, è proprio notizia di qualche settimana fa che il governo ha deciso il salvataggio della banca più grande del territorio, Banca delle Marche, insieme ad altre banche territoriali di altre regioni. L’essere banca del territorio ha influito sullo stato di saluto di BdM, in questi anni di crisi di tutto il territorio. Infatti, nonostante essa sia presente in ben 6 regioni con circa 300 filiali (Emilia Romagna, Marche, Umbria, Lazio, Abruzzo e Molise) tuttavia gran parte di esse sono nel territorio regionale. Nella crisi vi è stata una crisi più accentuata, infatti l’aspetto che poi ha caratterizzato il periodo è stato proprio la difficoltà delle banche che si sono trovate tanti crediti inesigibili o in arretrato che hanno fatto sì, anche per i nuovi criteri di Basilea, che essi siano state costrette a restringere il credito alle famiglie così come alle imprese. Tale condizione è stata abbastanza generalizzata tuttavia sembrerebbe che la nostra regione ne abbia risentito in misura maggiore rispetto alle altre regioni. Infatti, per quanto riguarda i nuovi prestiti si rileva che secondo Banca d’Italia nel 2013 le Marche fanno meglio solo della regione Emilia Romagna con un saldo negativo dell’1,5% mentre nel 2014 si attesta a -0,3% verso banche e società finanziarie. Ma quello che conta di più sono il numero di mutui per abitazioni che risulta essere il peggiore ancora una volta insieme all’Emilia Romagna (Tabella 1.8). In particolare per quanto riguarda i nuovi mutui si evidenzia come la distribuzione per età, nella regione Marche sia abbastanza distribuita, e per il 94% verso gli autoctoni e quindi una percentuale inferiore rispetto alla composizione della popolazione se si pensa che i migranti sono circa il 3,3% della popolazione complessiva. Oltre l’85% sono mutui a tasso variabile e l’importo complessivo è per circa 1/3 dei mutui superiore ai 150 mila euro (tabella 1.9).

L’indebitamento delle famiglie tra il 2007, il 2010 e il 2013 è passato dal 26% al 30% in linea con le principali regioni di confronto, la percentuale di famiglie con mutuo passa dal 13% a quasi il 17% mentre le famiglie con crediti al consumo accessi passano dal 16,7% al 18,9% del 2010 per poi scendere al 17,5% del 2013 ed infine le famiglie che hanno accesso sia mutuo sia credito al consumo sono circa il 4,4% nel 2013 (tabella 1.10).

Il grado di vulnerabilità delle famiglie passa dal 20,2% del 2007 al 21,5% per poi ridursi al 19 per cento dal 2007 al 2010 e poi al 2013. Tassi che risultano essere relativamente in linea con le altre regioni del confronto ma in periodi diversi ad eccezione del Veneto. Infatti, le Marche hanno una tendenza e valori che sono molto simili a quelli dell’Emilia Romagna e della Toscana quantomeno per quello che riguarda la quota della rata sul reddito. Per quanto la percentuale di famiglie vulnerabili della regione raggiunge i valori più alti tra le regioni prese in considerazione e soprattutto in costante aumento così come il numero di famiglie con rate arretrate che raggiunge la quota dell’8% tra il 2010 e 2013. Dunque è comprensibile quanto sia accaduto alla più grande banca del territorio (tabella 1.11). Tali dati sono confermati anche dall’indice di deterioramento netto delle famiglie che passa dal -1,8% del 2006 al -3,6% del 2010 con l’apice della prima fase della crisi e poi al 3,5% del 2013 con l’apice della seconda fase della crisi. Anche in questo caso le Marche risultano avere la performance peggiore tra le regioni che si sono prese a confronto (tabella 1.12).

La percentuale dei crediti deteriorati alle imprese così come alle famiglie è molto consistente se si considera che la percentuale di crediti deteriorati verso le imprese risulta essere nel 2014 quasi del 43%, molto più alto rispetto alle altre regioni considerate, così come sono più alti i crediti deteriorati in carico alle banche nel settore manifatturiero, circa il 39%, ma il livello più elevato si registra nel settore delle costruzioni dove raggiunge quasi il 69% ed è il più alto di tutte le regioni considerate. Il livello dei crediti deteriorati verso le piccole imprese è di circa 1/3 così come nei servizi, anche in questo caso le Marche non brillano nel panorama delle regioni prese in considerazione. In definitiva, la percentuale di crediti deteriorati complessiva è del 28,6% che fa della regione Marche la terza tra quelle prese in considerazione (tabella 1.13).

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Il tasso di interesse medio praticato dalla banche nei diversi territori fa emergere che i tassi differiscono per territori e per settore produttivo oltre che per tipologia di prestiti in termini di breve e lungo periodo. In generale i tassi praticati in regione sono i più alti ad eccezione di quelli praticati in Umbria e in Toscana, circa il 6,43%. Le piccole imprese subiscono un tasso ancora più alto per quanto riguarda i prestiti di breve periodo, l’8,41% che risulta essere il più basso del centro Italia ma più alto rispetto al nord-est. La manifattura è sicuramente il settore che gode di tassi più agevolati nel breve termine ma sempre molto distante rispetto alle imprese dell’nord-est. Per quanto riguarda i prestiti di lungo periodo, i tassi si attestano poco sopra il 3% per famiglie ed imprese e anche in questo caso, essi sono più alti rispetto a Veneto ed Emilia Romagna, in questo caso anche della Toscana ma più bassi di quelli praticati in Umbria (tabella 1.14). Tale condizione potrebbe essere influenzata dal numero di imprese bancarie che agiscono sui diversi territori. In effetti, il numero di imprese bancarie presenti in Veneto, Emilia Romagna e Toscana è poco meno del doppio rispetto a quelle presenti nelle Marche senza considerare la condizione dell’Umbria. In particolare la differenza consiste nel numero di imprese bancarie popolari e di credito cooperativo, presenti in misura minore nella regione Marche (tabella 1.15).

Infine, il Margine Operativo Lordo (MOL) che misura il margine di redditività delle imprese rapportato all’attivo, risulta decrescere dal 2007 al 2013 dal 6,5 al 4,7 percento. Seppure la riduzione del rapporto sia abbastanza generalizzato nella prima fase della crisi tuttavia tale recupero così come l’entità della riduzione della regione Marche è quella peggiore tra le regioni NEC ad eccezione dell’Umbria ( Tabella 1.16). Tale dato è confermato anche dal grado di indebitamento delle imprese sulla base del leverage e degli oneri finanziari rispetto al MOL che risultano essere peggiori sia nel tempo sia nei confronti delle regioni NEC. Infatti, il grado di indebitamento basato sul leverage tende a ridursi dal 2007 al 2013 ma risulta molto più alto rispetto alla media delle altre regioni. Mentre gli oneri finanziari passano dal 31% al 36% tra il 2007 e il 2012, anno di maggiore crisi del rapporto tra imprese e banche. Infatti, il costo dell’indebitamento poi si riduce nel 2013 tornando alla condizione pre-crisi. Tale andamento è comune a tutte le regioni NEC anche se il livello del costo dell’indebitamento è sicuramente più basso. In Veneto di quasi dieci punti, in Emilia Romagna di oltre 5 punti ed in questo caso risulta essere anche più alto di quello dell’Umbria ed in misura minore rispetto alla Toscana (Tabella 1.17).

Per quanto riguarda la ricchezza delle famiglie e delle imprese si evidenzia come la regione Marche sia molto distante dalle altre regioni NEC ad eccezione dell’Umbria. Infatti, la ricchezza complessiva delle famiglie marchigiane è circa la metà di quella delle famiglie toscane e un terzo delle famiglie venete ed emiliano romagnole, in termini di depositi. Per quanto riguarda i titoli a custodia la condizione risulta anche peggiore. Per quanto riguarda le imprese, sia nel caso dei depositi che dei titoli a custodia la distanza è addirittura maggiore rispetto alle regioni del NEC ad eccezione ancora una volta dell’Umbria. La differenza, in termini di depositi è di circa tre volte con la Toscana e 5 volte con il Veneto e l’Emilia Romagna. Per quanto riguarda i titoli a custodia è di circa 4 e 5 rispettivamente con la Toscana, il Veneto e l’Emilia Romagna (tabella 1.18).

In conclusione, la condizione socio-economica della nostra regione è di forte sofferenza ed in misura maggiore rispetto alle altre regioni di riferimento. E tale sofferenza è data non solo dalla crisi ma soprattutto dal fatto che la crisi sia giunta inaspettata e prima rispetto alle altre regioni, abbia colpito in misura maggiore e la nostra regione ne stia uscendo più tardi e più lentamente. Segno che la crisi non era congiunturale o da addebitare solo al contesto globale o all’avvento dell’euro ma era strutturale.

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

1.3.2 Il contesto imprenditoriale della regione Il sistema produttivo marchigiano è caratterizzato da una forte incidenza imprenditoriale. Infatti, le

Marche sono tra le regioni con la maggiore presenza di imprese a livello nazionale per abitante e con la più alta percentuale di manifattura in Italia. Complessivamente nel 2009 erano registrate oltre 423.000 di cui oltre 142 mila in Provincia di Ancona, oltre 100.000 in Provincia di Pesaro Urbino, oltre 95 mila in Provincia di Ascoli Piceno ed infine oltre 82 mila in Provincia di Macerata. Questo fa si che circa 1/3 delle imprese siano in Provincia di Ancona, il 24% in Provincia di Pesaro Urbino, il 22% in Provincia di Ascoli Piceno ed infine circa il 19% in Provincia di Macerata (tabella 1.19). Questo significa che vi un’impresa ogni quasi 4 abitanti e soprattutto in provincia di Ascoli Piceno vi è un’impresa ogni 2 abitanti mentre per le altre province si riscontra un’impresa ogni circa 3 abitanti ad eccezione della Provincia di Macerata dove vi è un’impresa ogni 6 abitanti. Tenendo conto della popolazione delle Province di Fermo e Macerata. Tuttavia tra il 2009 ed il 2013 il numero di imprese è passato da 423 mila a 395 mila con una riduzione di quasi il 10%. In particolare la riduzione del numero di imprese si è verificato soprattutto in Provincia di Ancona anche se la riduzione è stata generalizzata. Tra il 2009 ed il 2013 la quota di imprese in Provincia di Ancona è passata dal 33,73 al 33,14 percento mentre in Provincia di Ascoli Piceno la percentuale è aumentata dal 22,55 al 23,28 percento. La Provincia di Ascoli Piceno è in contro tendenza (tabella 1.20). Complessivamente dal 2009 al 2013 la regione ha perso quasi il 7% delle imprese dove tale riduzione è stata più marcata in Provincia di Ancona con oltre l’8 percento, a seguire le Province di Macerata e di Pesaro Urbino con quasi il 7 percento mentre la Provincia di Ascoli Piceno ha avuto una riduzione di oltre la metà rispetto alle altre province con circa 3,5 percento (tabella 1.21).

I settori più rappresentativi in termini di numero di imprese sono quello manifatturiero con un massimo di oltre 178 mila imprese nel 2009 ma che poi decresce fino a 158 mila nel 2013, quello del commercio che, anche in questo caso, raggiunge il massimo nel 2009 con quasi 30 mila imprese mentre nel 2013 decresce fino a 55 mila unità, a seguire i settori delle attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca e servizi alle imprese che raggiunge il massimo nel 2011 con oltre 42 mila unità e decresce a 40 mila unità nel 2013 ed infine quello delle strutture ricettive come alberghi e ristoranti che raggiunge nel 2012 il suo massimo con oltre 39 mila unità ma poi si attesta nel 2013 a 35 mila unità. Il settore delle costruzioni rappresenta il quinto settore con quasi 31 mila imprese nel 2009 che tuttavia diventano poco più di 23 mila nel 2013 (tabella 1.22). Considerata la forte variazione evidenziata in valori nominali dei dati del numero di imprese per settore allora è importante verificare le variazioni annuali per settore merceologico. Per quanto riguarda il settore della manifattura si osserva che complessivamente perde oltre 12 punti in percentuale in 5 anni, con gli anni 2010, 2012 e 2013 nei quali il settore perde rispettivamente oltre il 3%, oltre il 2,5% ed infine oltre il 4%. Quindi sicuramente il 2013 è stato un anno molto duro per la manifattura. Tuttavia la variazione maggiore in termini negativi è sicuramente da addebitare al settore delle costruzioni che nell’arco di 5 anni perde oltre un quarto delle imprese registrate. A seguire appunto il settore manifatturiero con oltre il 10%, il settore dei trasporti con quasi il 10%, il settore dell’istruzione con quasi il 9%. In conclusione, la crisi ha impattato in misura maggiore nel settore di maggiore ricchezza come quello manifatturiero e in seconda battuta sul settore che viene considerato in economia quello che segnala lo stato di salute di un’economia stessa, vale a dire le costruzioni (tabella 1.23). Se si prende in considerazione la condizione delle imprese della regione e la si confronta con le altre regioni del NEC, si osserva che la variazione di 4 punti in percentuale nell’anno 2013 e di oltre 2,5 punti in percentuale nel 2014 nella regione nel settore manifatturiero sono due variazioni che rappresentano, nel 2013, la condizione di molte altre regione. Anzi l’Emilia Romagna subisce una variazione ancora peggiore che raggiunge il 6,60%. Mentre la variazione negativa del 2014, resta minore rispetto all’Emilia Romagna ma è in linea solo con l’Umbria. Quindi anche questo dato fa emerge la condizione di maggiore difficoltà in cui versa la nostra regione rispetto alle altre prese in

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considerazione. Complessivamente negli anni 2012/2013 e 2013/2014 la regione ha subito una variazione negativa di oltre 6 punti in percentuale che è inferiore solo a quella dell’Emilia Romagna (tabella 1.24).

Se si prende in considerazione l’imprenditorialità e la vivacità del territorio intesa in capacità di innovazione e di avviare nuove imprese e possibilmente innovative o nei settori innovativi è interessante riportare in questa sezione alcuni dati e considerazioni dell’annuale rapporto redatto dalla fondazione Merloni circa l’imprenditorialità nelle Marche: vivacità del territorio e politiche di sostegno. A questo proposito, il rapporto conferma la vivacità del territorio ma sottolinea come le Marche soffrano come tutto il territorio nazionale di una normativa troppo complessa ed obblighi che sono superiori a molti degli altri paesi europei. Tuttavia tali obblighi facilitano l’analisi ed è proprio utilizzando i dati di Movimprese che il rapporto giunge a tali conclusioni. Il dato 2014 sembrerebbe più negativo rispetto al 2013 sia a livello nazionale che a livello regionale, con la riduzione nel nostro territorio che è maggiore rispetto alla media nazionale, 6,9 contro il 3,5 per cento. Malgrado la regione sia tra le più manifatturiere del paese e d’Europa tuttavia la nascita di nuove imprese manifatturiere è stata minore rispetto al dato nazionale, dato 100 il 2011 al 2014 il numero di nuove imprese manifatturiere si attesta a poco oltre 80 contro 87 a livello nazionale. L’aspetto positivo sembrerebbe essere che vi sia stato uno spostamento da società semplici a società a responsabilità limitata e forte vivacità nei settori ad alta tecnologia. Tale dato nelle Marche è superiore alla media e in linea con le grandi aree metropolitane. Tuttavia gran parte di tale natalità è prevalentemente in provincia di Ancona ed in misura minore in provincia di Pesaro Urbino. I principali settori di nuove imprese sono sicuramente quello dei servizi avanzati e professionali. In questo caso, sembrerebbe che la presenza dell’Università Politecnica delle Marche fa della Provincia di Ancona un luogo di attrazione/sviluppo di nuove imprese. Infatti, molte delle start up sono frutto di spin off universitari. In particolare, per quanto riguarda le start up, esse sono a livello regionale circa il 5% del valore nazionale quindi molto maggiore rispetto ai dati della popolazione regionale così come del PIL. Inoltre si rileva che circa il 30% di esse si occupano di produzione di software, consulenza informatica e per il 15% di ricerca scientifica e sviluppo. Tale condizione è rappresentata anche a livello regionale se si pensa che appunto nelle Marche per la prima categoria si evidenzia una presenza pari al 24% e per la seconda categoria il 18%. Quindi oltre il 70% sono nel settore dei servizi. I comuni con la maggiore presenza di tali imprese sono Ancona, Jesi e Fabriano. Le start up marchigiane sono molto giovani, circa due anni di vita ma con un volume di affari relativamente limitato, i due terzi si collocano nella classe inferiore ai 100.000 euro. Tuttavia evidenziano un alto valore di risorse umane. L’identikit dei fondatori è prevalentemente maschio, un’età media di 38 anni e almeno una laurea magistrale. Tale dato è in linea con i dati nazionali. I settori di maggiore presenza di start up sono i servizi di consulenza, il 30%, energia ed ambiente, 14%, elettronica e microelettronica, con il 12% ed internet con il 10%. La metà delle start up dichiara di aver sviluppato prodotti o servizi ed in alcuni casi di essere in possesso di brevetti registrati a livello nazionale, europeo o addirittura a livello internazionale. Spesso l’avvio dell’impresa non ha richiesto finanziamenti, il 73%, nel 20% si è ricorso a finanziamenti bancari e solo in un caso al crowdfunding. Solo in 3 casi si è fatto uso dei fondi di garanzia, regionale o nazionale.

In conclusione, il contesto imprenditoriale marchigiano è sicuramente molto vivace ma allo stesso tempo è vivace in settori relativamente obsoleti e particolarmente soggetti alla competizione internazionale dei paesi emergenti. Un numero di imprese molto alto ma anche micro o piccole molto diffidenti e difficilmente in grado cooperare in tutte le diverse modalità nelle quali appunto si dovrebbe cooperare tra imprese. In questo ambito, sta lavorando la Regione Marche per accrescere il numero di nuove imprese con contenuto tecnologico e con presenza di risorse umane di alta scolarizzazione tuttavia i risultati sembrerebbero ancora molto limitati. Per concludere, è interessante prendere in considerazione alcuni indici che sono stati sviluppati dal consorzio che ha sviluppato il progetto FARO

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

LAB circa lo stato di invecchiamento, di occupabilità, vocazione turistica ed apertura verso l’estero oltre agli indici circa la vocazione dei diversi Sistemi Locali del Lavoro (SSL) per i diversi settori produttivi (tabelle 1.25 per la metodologia e 1.26 per i risultati).

1.3.3 Il mercato del lavoro e gli ammortizzatori sociali Per quanto riguarda il mercato del lavoro e quindi gli ammortizzatori sociali è necessario, anche in

questo caso presentare i dati circa il contesto del NEC e quindi quello regionale suddiviso per province. Per quanto riguarda le forze lavoro, le Marche hanno complessivamente oltre 516 mila individui che compongono la forza lavoro di cui il 70% è composto da maschi ed il 60% da femmine. Complessivamente la forza lavoro della regione Marche risulta essere circa l’1,3% della forza lavoro complessiva del paese (tabella 1.27). La forza lavoro disponibile nella regione si distribuisce nelle tre province in maniera relativamente disomogenea. Infatti, in provincia di Ancona è residente circa ¼ della forza lavoro complessiva a seguire in provincia di Pesaro Urbino, Macerata, Ascoli Piceno ed infine Fermo (tabella 1.28). Il tasso di occupazione della regione si attesta al 63% della forza lavoro dove tuttavia i maschi tendono a partecipare in misura maggiore al mondo del lavoro con una percentuale che va oltre il 70% mentre le donne raggiungono quasi il 56%. Tale condizione è frutto di un percorso che ha portato la regione ad accrescere il numero degli occupati fino a quasi il 75% nel 2006 per i maschi e a quasi il 56% per le donne nel 2007. Complessivamente nella regione si è raggiunta la quota di 64,71% nel 2007. Tali dati pongono la regione a livello delle regioni Friuli Venezia Giulia e Toscana ma molto indietro rispetto alle regioni del Veneto e dell’Emilia Romagna (tabella 1.29).

A livello regionale e quindi provinciale il tasso di occupazione tende ad essere distribuito in maniera omogenea. Infatti tutte le province tendono ad essere tra il 63 ed il 65 percento di partecipazione lavorativa. Per quanto il tasso di occupazione è sceso in modo considerevole in provincia di Pesaro Urbino negli ultimi due anni mentre è cresciuto in tutte le altre province dopo una forte caduta durante la prima fase della crisi (tabella 1.30).

Il tasso di disoccupazione nella regione tende ad essere sempre relativamente basso, quasi a livello di quello fisiologico, vale a dire tra il 4 ed il 5% tuttavia ad iniziare dal 2009 la crisi ha iniziato a far sentire i suoi effetti. Tanto che nel 2009 il tasso di disoccupazione è balzato dal 4,7% fisiologico al 6,7%, per poi salire fino al 10,9% del 2013. Probabilmente l’anno peggiore. Come si può notare anche dalla tabella 1.31 è il tasso di disoccupazione più alto tra le regioni del NEC ad eccezione dell’Umbria. Questo conferma che la regione, per la struttura industriale ed economica generale è stata sicuramente più colpita dalla crisi rispetto alle regioni che fanno parte del sistema NEC. C’è anche da sottolineare che nella regione il tasso di disoccupazione era tra i più bassi e quindi il differenziale è ancora maggiore rispetto alle altre regioni. La disoccupazione regionale si distribuisce in modo relativamente eterogeneo tra le province specie nel periodo pre-crisi. Infatti, la tabella 1.32 evidenzia come in condizioni “normali”, il tasso di disoccupazione tende ad essere poco sopra al 5% nelle province di Pesaro Urbino ed Ancona mentre poco sopra il 5,5% nelle altre due province di Macerata ed Ascoli Piceno. Mentre durante la crisi alcune province raggiungono una disoccupazione in doppia cifra, con punte del 12% in provincia di Ascoli Piceno. La provincia di Fermo sembrerebbe risentire meno delle altre della crisi, infatti, la disoccupazione raggiunge solo nel 2014 la soglia psicologica del 10% ma senza raggiungerla. Per le altre province si raggiungono punte del quasi 13% di Macerata all’11% della provincia di Ancona e del 10% della Provincia di Pesaro Urbino. Insomma, il contesto occupazionale conferma quanto finora detto, una regione a forte capacità imprenditoriale con un forte impatto occupazionale da parte della manifattura ma che ha risentito in misura maggiore della crisi proprio per gli stessi motivi. Vale a dire una struttura economica basata ancora sull’industria, su settori particolarmente esposti alla concorrenza internazionale e soprattutto alla concorrenza dei paesi emergenti e quindi alla concorrenza

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dei prezzi. Questo fa sì che le imprese tendano a ridurre il proprio impegno in regione e magari a delocalizzare.

La condizione del mercato del lavoro e quindi della disoccupazione si sono riflesse ovviamente anche sugli ammortizzatori sociali. Il numero di ore di cassa integrazione ordinaria, a livello nazionale passano da 142 milioni di ore a 356 milioni di ore nel 2013. Se si computano il numero di ore per regione rispetto a quelle complessive del paese, allora si rileva che la cassa integrazione ordinaria nella regione è stata “normale” fino al 2012, vale a dire tra il 2 ed il 3 percento ma è proprio negli anni tra il 2012 ed il 2014 che la cassa integrazione sale fino al 4,9% quindi raddoppiando il “tiraggio” consueto nella nostra regione. Tale condizione si registra solo in Emilia Romagna che passa da un minimo del 4,2 ad un massimo del 7,7 percento che comunque rimane al di sotto del differenziale constatato nella nostra regione (tabella 1.33).

La cassa integrazione guadagni ordinaria tende ad essere distribuita in misura diversa di provincia in provincia. Infatti, la cassa integrazione pesa per il 19% in provincia di Pesaro Urbino, il 23% in provincia di Macerata, il 25% in provincia di Ancona e soprattutto il 31% in provincia di Ascoli Piceno. Mentre se si osserva il trend della cassa integrazione ordinaria nelle province marchigiane si osserva che dato 100 la condizione del 2005, la casa integrazione ordinaria sale fino a 5,5 volte a quella del 2005 nel 2009 in provincia di Pesaro Urbino e a seguire il numero di ore di cassa integrazione non scende mai sotto il 38% in più rispetto all’anno base. In Provincia di Ancona il culmine della crisi giunge nel 2013 quando la CIG raggiunge le otto volte il dato del 2005, per quanto il dato che continua a preoccupare è che essa continua a diminuire in misura minore rispetto alle altre province. Per le altre due province, Macerata e Fermo, il livello di numero di ore di CIG risulta essere più attenuato (tabella 1.34).

Il numero di ore di CIG varia di provincia in provincia ma anche di settore in settore per provincia. Si è cercato di tenere conto anche di questo aspetto, disaggregando il dato del numero di ore di cassa integrazione per settori. Se si prende in considerazione il numero di ore di CIG per la provincia di Pesaro Urbino si nota come siano soprattutto i settori manifatturiero e delle costruzioni che pesano per quasi la totalità del numero di ore di cassa integrazione. In particolare l’industria passa dalle 200 mila ore di cassa integrazione agli oltre quattro milioni del 2009 per poi scendere fino a sotto il milione nel 2011 e poi risalire fino a raggiungere la quota di due milioni nel 2013. Attualmente, nel 2015 si è sotto la soglia del milione di ore di cassa integrazione (tabella 1.35). In provincia di Ancona la CIG è generalmente ad appannaggio dell’industria, in misura ancora maggiore rispetto alla provincia di Pesaro Urbino. Essa conta per circa l’80% delle ore, a seguire, come in provincia di Pesaro Urbino il settore delle costruzioni con il 14%. Nell’ambito del settore dell’industria, la cassa integrazione tocca il massimo degli 8 milioni di ore di “tiraggio” nel 2013 ma non scende mai al di sotto del milione dal 2009, quando raggiunge le 4 milioni di ore di “tiraggio”. Per il settore delle costruzioni si passa da un “tiraggio” di poco più di 200 mila ore durante l’anno 2006 fino ad un massimo di 985 mila ore di cassa integrazione nel 2014, anno in cui il settore delle costruzioni risente in misura maggiore della crisi, seppure non è certamente l’anno peggiore. Infatti, l’anno peggiore risulta essere il 2013 quando il “tiraggio”, da parte delle imprese, raggiunge oltre il milione e mezzo di ore. Tuttavia la crisi nel settore delle costruzioni inizia proprio dopo la manovra economica del 2011, che ha fortemente penalizzato il settore degli immobili. La manovra nella quale viene maggiorata l’IMU e fa sì che vi sia una forte diminuzione di compravendita di immobili, come si è evidenziato poco sopra nella presentazione del contesto socio-economico della regione. Infatti, nel 2012 si raggiunge la quota di 778 mila ore contro le 494 mila ore del 2011 per poi passare a quasi un milione e mezzo di ore di cassa integrazione nel 2013 e scendere a poco sotto il milione nel 2014. Il 2015, per il momento registra circa mezzo milione di ore di tiraggio (tabella 1.36). In provincia di Macerata la cassa integrazione guadagni risulta essere destinata al settore manifatturiero e a seguire al settore delle costruzioni con rispettivamente il 77% e il 17%.

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

Tuttavia il numero di ore di “tiraggio” non raggiunge la soglia psicologica del milione. La condizione del settore delle costruzioni non è così deteriorata come nelle altre due province appena presentate (tabella 1.37). In provincia di Ascoli Piceno la cassa integrazione ordinaria risulta essere, anche in questo caso, destinata ai settori dell’industria e delle costruzioni rispettivamente quasi l’80% e per il 16%. Quindi in linea, il settore dell’industria, con i dati della provincia di Ancona dove la crisi ha colpito in misura maggiore l’industria rispetto alle altre province. Nel settore industriale il “tiraggio” raggiunge quasi i tre milioni di ore nel 2013 anche se attualmente è intorno alle 700 mila ore di cassa integrazione mentre nel settore delle costruzioni l’anno peggiore è ancora il 2013 quando il numero di ore raggiunge quasi le 600 mila unità (tabella 1.38).

Per quanto riguarda la Cassa Integrazione Guadagni Straordinaria si rileva che se si prende come anno base il 2005 essa raggiunge l’apice con il 2014 quando essa è quattro volte maggiore rispetto all’anno base. Tuttavia tale condizione inizia nel 2009 quando è oltre due volte e mezzo, per poi passare a 5 volte tanto il 2005 nel 2010 e sei volte tanto appunto nel 2014. Attualmente, a livello nazionale la CIGS è 4 volte superiore all’anno base. Per quanto riguarda la nostra regione nel contesto di riferimento del sistema NEC si evidenzia come le Marche abbiano avuto negli anni pre-crisi un “tiraggio” di CIGS di circa 1,5% rispetto al numero di ore complessivo nazionale. Tale condizione però tende ad aumentare già nel 2008 fino a raggiungere il 4% che è il massimo raggiunto nella nostra regione per poi attestarsi tra il 2% ed il 3,5% negli anni della crisi. In questo caso, sembrerebbe che la condizione della nostra regione sia in linea con le regioni che hanno risentito in misura maggiore della crisi come il Veneto e l’Emilia Romagna dove il numero di CIGS va oltre il 200% rispetto al 2005, nel primo caso, nel 2014, mentre, nel secondo caso, dal 2010 fino al 2012 e poi ancora nel 2015. Tuttavia anche la regione presenta dati molto simili a quelli delle altre regioni del NEC. Quindi solo il Friuli Venezia Giulia e l’Umbria risultano essere in una condizione migliore delle altre regioni, per quanto riguarda la CIGS (tabella 1.39).

A livello regionale e quindi provinciale, le province che fanno maggiore uso della CIGS sono sicuramente quelle di Macerata, con quasi il 36%, e di Ascoli Piceno con quasi il 34%. Tuttavia, l’aumento maggiore rispetto all’anno base del 2005 risulta essere nelle province di Pesaro Urbino ed Ancona dove il “tiraggio” risulta essere rispettivamente di oltre 20 e 30 volte maggiore rispetto all’anno base del 2005. Anche nel 2015 la situazione, per quanto migliorata, tuttavia risulta essere 13 e 18 volte maggiore rispetto al 2005 nelle province di Pesaro Urbino ed Ancona (tabella 1.40).

La Cassa Integrazione in Deroga tende ad avere un andamento peggiore rispetto alle altre. Infatti, a livello nazionale essa aumenta fino a raggiungere un massimo di 8 volte l’anno base del 2005, certo senza mai andare oltre la soglia psicologica delle 10 volte ma sempre maggiore rispetto alle altre tipologie di ammortizzatore sociale. In questo caso, la nostra regione raggiunge un “tiraggio” massimo di oltre quattro l’anno base negli anni tra il 2010 ed il 2012 ma gli anni peggiori sono sicuramente il 2014 ed il 2015 quando si raggiunge le sei e le sette volte rispettivamente. Tale condizione sembrerebbe accomunare anche le regioni Veneto, Emilia Romagna e Toscana, seppur in misura anche maggiore rispetto alla regione Marche (tabella 1.41).

A livello regionale e provinciale si evidenzia che la CIiD è stata quasi completamente destinata alle province di Macerata ed Ascoli Piceno. Infatti, insieme esse rappresentano oltre l’87% del “tiraggio” nell’anno peggiore, in termini di numero di ore rapportate alla totalità. Tuttavia tutte le province hanno fatto grande uso della CIiD. Tanto che le province di Pesaro Urbino ed Ancona hanno superato il numero di ore dell’anno base fino a 140 volte negli anni 2013 e 2014 per la seconda e solo nel 2012 per la prima. Ma anche la provincia di Macerata ha raggiunto le 20 volte negli anni che vanno dal 2012 al 2015 mentre la provincia di Ascoli Piceno risulta essere circa 16 volte (tabella 1.42).

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In conclusione, la cassa integrazione è stato uno degli strumenti se non il principale con il quale le imprese e le istituzioni hanno cercato di dare sollievo ai lavoratori durante la crisi. Complessivamente la cassa integrazione ha raggiunto il massimo di quattro volte la condizione pre-crisi se si considera il 2005 come anno base. La regione ha fatto grande uso, come le altre regioni, dello strumento della cassa integrazione sia ordinaria che straordinaria e in deroga. Questo ha fatto sì che il “tiraggio” sia passato, complessivamente dal 2,7% del 2005 al 3,6% del 2012 per raggiungere poi il 4,5%, il 4,7% ed infine il 4,9% negli anni 2013-2015. Quindi poco meno del doppio rispetto all’anno base. Tale condizione si verifica anche in Veneto ma negli anni 2011-2013, fino a raggiungere il 10% rispetto al 5% del 2005, mentre negli anni 2014-2015 la situazione sembrerebbe attenuarsi con circa l’8,5%. Anche il Friuli Venezia Giulia complessivamente raggiunge quasi il doppio del “tiraggio” rispetto all’anno base soprattutto negli anni 2014-2015. L’Emilia Romagna raggiunge il massimo “tiraggio” nell’anno 2010 quando l’utilizzo complessivo della cassa integrazione risulta essere oltre il doppio rispetto all’anno base, rispettivamente 9,9 e 4 percento. Mentre nel complesso la condizione della Toscana e dell’Umbria sembrerebbe migliore rispetto alle altre regioni (tabella 1.43). Il contesto economico sembrerebbe andare verso una condizione quanto meno di ritorno alla condizione pre-crisi ma ancora il tessuto produttivo non è in grado di recuperare i posti di lavoro persi durante la crisi, a giudicare dal continuo utilizzo della cassa integrazione da parte delle diverse regioni.

1.3.4 Le qualifiche professionali più richieste nella regione Per quanto riguarda le qualifiche professionali più richieste dalle imprese nella regione, dai dati della

banca dati Excelsior si evince che, suddividendo per principali settori e per qualifiche e per province. Complessivamente le imprese marchigiane ritengono di assumere oltre 17.000 lavoratori nel corso del 2015 di cui 2.130 dirigenti, 7.800 impiegati, 5.000 operai specializzati ed infine 2.250 professioni non qualificate.

Nei servizi invece saranno 11.210 gli assunti di cui 1.290, 7.410 impiegati, 960 operai specializzati e 1.550 non qualificati.

Dei 17.180 lavoratori che si intendono assumere, si ricercano 30 dirigenti, 130 ingegneri energetici e meccanici, 90 analisi e progettisti di software mentre 240 assunzioni non sono specificati. Tra le professioni tecniche invece prevalgono i contabili con 290 unità, seguono i tecnici della vendita e della distribuzione con 260 assunzioni e disegnatori industriali e professioni assimilate con 130 richieste. Ad essi vanno aggiunti anche 400 richieste di altre professioni.

Inoltre si prevede l’assunzione di 7.800 impiegati nei servizi di cui 1.400 professioni esecutive tra i cui 220 addetti agli affari generali, 200 addetti alla gestione dei magazzini e professioni assimilate, 190 addetti a funzioni di segreteria, 140 addetti all’accoglienza nei servizi di alloggio e ristorazione ed infine 400 nelle altre professioni.

Nelle attività commerciali si prevedono 6.400 assunzioni di cui 2.470 camerieri, 1.480 commessi delle vendite al minuto, 790 cuochi, 420 baristi, 300 addetti all’assistenza personale, 200 bagnini, 160 nei servizi sanitari e sociali ed infine 580 assunzioni in altre professioni.

Tra gli operai specializzati si prevede di assumere 5.000 lavoratori di cui 2.740 artigiani, operai specializzati e agricoltori e 2.260 tra conduttori di impianti e operai di macchinari fissi e mobili.

Tra le professioni dove non è richiesta alcuna qualifica si rileva che sono necessari 2.250 lavoratori di cui 820 ai servizi di pulizia di uffici ed esercizi commerciali, 310 nella ristorazione, 270 nelle attività industriali, 230 personale non qualificato all’imballaggio e al magazzino, 210 facchini, 110 manovali, 110 operatori ecologi ed infine 190 altre professioni.

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

I titoli di studio richiesti sono 1.360 di livello universitario di cui 670 specialistica e 440 non specificata. 6.410 di diploma di cui 1.110 con specializzazione post-diploma e 3.540 qualifica di formazione professionale. Per oltre 5.860 assunzioni previste invece non si richiede alcuna formazione.

Nel settore industriale si richiedono 520 laureati, 1.630 diplomati e 2.220 non qualificati. Nel settore dei servizi si richiedono 840 laureati, 4.780 diplomati e 3.250 non qualificati.

Tra i laureati si richiedono 500 lavoratori ad indirizzo economico, 170 ad indirizzo di ingegneria industriale, 110 elettronici 100 ad indirizzo chimico-farmaceutico. Per i diplomati invece si richiedono 1.180 lavoratori con indirizzo amministrativo-commerciale, 1.040 turistico alberghiero, 740 meccanici. Tra i qualificati ma con diploma si richiedono 1.420 con specializzazione turistico-alberghiero, 470 meccanici, 260 operatori socio-sanitari e 220 nell’ambito del tessile, abbigliamento e moda.

Nel settore industriale saranno 5.970 di cui 830 dirigenti, 400 impiegati e 4.040 operai specializzati infine 700 non qualificati. Nel settore cosiddetto strettamente industriale si prevede di assumere 4.720 lavoratori di cui 750 dirigenti, 320 impiegati, 3.180 operai specializzati e 470 non qualificati (tabella 1.44).

Si deve tenere conto che per quanto riguarda le richieste dei laureati, per il 44% viene richiesta anche conoscenza dell’informatica, per i diplomati invece solo il 21% delle richieste richiede competenze informatiche. Per le richieste di diplomati con qualifica solo il 0,7% richiede competenze informatiche mentre per le assunzioni senza formazione le imprese che richiedono competenze informatiche sono l’1,2% (tabella 1.44).

A livello provinciale, sono previsti 4.460 assunzioni in provincia di Pesaro Urbino, 5.510 in provincia di Ancona, 3.110 in provincia di Macerata, 1.610 in provincia di Fermo e 2.490 in provincia di Ascoli Piceno. Il saldo tra entrate ed uscite risulta essere negativo per tutte le province rispettivamente 1,2%, 1%, 1,4%, 0,9% e 2,1%. Di conseguenza la riduzione è minore in provincia di Ancona e maggiore in provincia di Ascoli Piceno. La condizione peggiore risulta essere nelle imprese da 1-9 dipendenti, a seguire quelle da 10-49 dipendenti e infine oltre i 50 dipendenti. Le variazioni negative maggiori si registrano, ancora una volta nel settore delle costruzioni, dove si evidenzia un -5,6% in provincia di Pesaro Urbino, -3,1 in provincia di Ancona, -5,1 in provincia di Macerata, -5,2% in provincia di Fermo e -5,6% in provincia di Ascoli Piceno. Mentre nel settore dell’industria risulta essere molto limitato, intorno al 1% ad eccezione della provincia di Fermo dove risulta essere del -1,6% (tabelle 1.46, 1.47 e 1.48).

In conclusione, anche l’analisi della banca dati Excelsior conferma quanto detto poco sopra, i settori più importanti sono sicuramente i distretti industriali delle diverse province, il turismo e l’informatica e l’internazionalizzazione come settori trasversali. Il numero delle assunzioni è ancora lontano da quelle che dovrebbe essere in tempi pre-crisi. Tuttavia, tali dati sono migliori rispetto agli anni scorsi. In effetti, la quota di assunzioni previste passa dal 12,7 del 2012 al 13,5 del 2013 e 2014 al 16 per cento nel 2015. Si rileva, infine, che sono ancora tante le assunzioni previste senza qualifica per essere in una società post-moderna e post-industriale.

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Il Rapporto Marche

Abstract Il capitolo introduttivo intende presentare: un quadro teorico, breve, del contesto basato sulle

principali teorie della crescita (Harrod-Domar, Solow e crescita endogena) con le quali sottolineare l’importanza di istruzione e formazione in un’economia moderna; un’introduzione del contesto macroeconomico (globale, europeo e nazionale) basato su analisi di medio-lungo termine utilizzando circa le variabili e i principali accadimenti (es: conseguenze dell’avvento dell’euro); presentazione del contesto microeconomico nazionale per comprendere le cause del disagio in cui versano le famiglie, utilizzando i dati della Banca d’Italia sulla ricchezza delle famiglie; infine, presentazione del contesto socio-economico della nostra regione (condizione delle imprese, del mercato del lavoro, degli ammortizzatori sociali e delle qualifiche più richieste dalle imprese). L’analisi prevede la comparazione con le regioni del nord-est-centro (NEC) e a livello provinciale.

Le Marche può essere considerata come una regione in linea con la media europea e nazionale, in termini pro capite. Infatti, essa rappresenta circa il 2,6% della popolazione e il 2,4% del PIL nazionale e ha un Pil p.c (PPA) in linea con la media europea. In passato le Marche si caratterizzavano come la regione in seno al processo di industrializzazione dei NEC degli anni 70 e degli anni ottanta. Definita da Fuà come l’industrializzazione senza fratture, basata sul mobile e la meccanica nel pesarese, l’elettrodomestico in provincia di Ancona, il calzaturiero nel maceratese, una volta, e Fermano/Maceratese, oggi e le grandi imprese dell’ascolano grazie alla Cassa del Mezzogiorno che in Adriatico comprendeva anche la Provincia di Ascoli Piceno. I ricercatori dell’epoca l’hanno definita l’industrializzazione diffusa a distretti industriali, capace di passare dai laboratori nei garage alle piccole medie imprese, dalla prima alla terza generazione di imprenditori, la conquista dei mercati internazionali e dallo sviluppo dell’area costiera e il semi abbandono delle aree rurali e dei borghi. Gli anni novanta e il primo decennio del nuovo secolo si caratterizzano per il consolidamento politico, con il collocamento della regione nella cosiddetta area rossa con Emilia Romagna, Umbria e Toscana. Una regione con una forte presenza migratoria caratterizzata da un insediamento diffuso (Rapporto Caritas migrantes). L’aumento della popolazione, seppure minimo, è misura importante dell’effetto migratorio mentre il tasso di natalità tende a diminuire per effetto concomitante dell’uscita dell’età della fecondità della cosiddetta generazione baby boomers e all’invecchiamento delle donne straniere che ha contributo alla natalità durante gli ultimi 20 anni. Segue la crisi nazionale e la necessità di innovare, rinnovare, ristrutturare e ripartire dato il contesto dell’integrazione dei mercati, dell’UE e l’Euro. Durante la guerra fredda la regione era come un binario morto di fronte alla cortina di ferro e la dittatura greca. Un porto di poca utilità con un mare che era una frontiera. La caduta del muro di Berlino e dei regimi comunisti (es: Yugoslavia) e le guerre della Bosnia e del Kosovo sono state uno shock per la regione e per la sua popolazione. L’integrazione UE, l’ingresso della Grecia, della Slovenia, della Croazia e il processo di avvicinamento all’UE di Serbia, Bosnia, Montenegro e Albania portano in dote alle Marche il corridoio Adriatico-Ionico (Adrion) e la trasformazione del Mare Adriatico in uno spazio di scambi. Da qui la prospettiva di sviluppare le cosiddette autostrade del mare (TEN-T - Trans-European Network - Transport) o, per alcuni, l’idea di costruire un ponte Ancona-Zara. Certo, i tempi del miracolo economico sono finiti e oggi la regione è attesa da grandi sfide interne, nazionali, europee e globali. La sfida lanciata dal Presidente della Toscana Enrico Rossi circa “l’Italia di mezzo” può essere la giusta direzione e forse una soluzione di quei tanti problemi che affliggono la regione. Si tratta di riuscire a coniugare tradizione, cultura, identità con modernità, servizi, ricchezza e costi accessibili per i servizi.

Quella che era la regione caratterizzata dalla più longeva mezzadria del paese, è passata dall’agricoltura all’industria e ai servizi in poco più di 40 anni, tanto che oggi i servizi contano per il 70%, l’industria per il 28% e l’agricoltura per il 2%. A ciò si aggiunga che le Marche sono la regione più longeva del paese con una speranza di vita alla nascita di 80,8 (maschi) e 85,5 (femmine) anni.

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

Nonostante il sottodimensionamento della manifattura, le Marche restano tra le regioni più manifatturiere in UE e con uno dei più alti indici di imprese per abitante.

Il PIL marchigiano cresce in misura maggiore, 1,6%, rispetto a quello nazionale, 1,2%, e i NEC. Una performance ragguardevole nonostante l’avvento dell’euro, il tasso di cambio euro/dollaro, il prezzo del petrolio e l’attentato alle torri gemelle. I problemi emergono e sono maggiori sia dei dati nazionali che dei NEC. Infatti, negli anni 2007-2009 la riduzione del PIL risulta essere del 3,6% (Italia, -3,3%) e in media con i NEC ma la sua crisi è persistente. Tra il 2009-2011 i NEC (Emilia Romagna, 2%, Friuli Venezia Giulia, 1,7%, e Veneto, 1,5%) crescono mentre le Marche subiscono un -0,2%. Nel 2012 la riduzione del PIL è del 3,9%, nel 2013 del 3,5% ed infine nel 2014 del 0,4%. Per il 2015 la crescita prevista è poco meno del 1%. I dati confermano che i territori in difficoltà dal punto di vista strutturale sono entrati in crisi prima, ne escono più tardi e con minore spinta rispetto agli altri. I dati Cerved Group relativi a circa 2.600 società di capitali marchigiane evidenziano che negli anni della crisi tra il 2008–2009 la riduzione delle esportazioni ha colpito le imprese allo stesso modo mentre nel biennio 2010–2011 il recupero del fatturato è stato più marcato per le aziende medie, le quali hanno registrato un calo meno marcato nel biennio della seconda crisi 2012-2013. I settori che hanno risentito meno della crisi sono stati l’alimentare ed il chimico- farmaceutico. La Banca d’Italia sottolinea come le grandi aziende del tessile, abbigliamento e calzature (comparto moda) hanno conseguito risultati migliori mentre nella meccanica è stato il caso delle aziende medie. Inoltre, solo il 7,5% delle imprese marchigiane con fatturato superiore al milione di euro ha continuano ad accrescere il proprio fatturato. Infine, nel 2013 solo un’impresa su tre aveva recuperato il livello dei ricavi pre-crisi contro il 39% della media nazionale. Nel 2014 le esportazioni della regione sono aumentate del 7,5% rispetto al 2013 che tuttavia è stato un anno particolarmente duro. Tra l’altro, i tre quarti dell’incremento è da accreditare al comparto farmaceutico e quindi al netto del settore indicato la crescita sarebbe stata in linea con i dati nazionali. Altri settori specifici del territorio hanno fatto registrare un buon andamento come il tessile e il trasporto grazie alla nautica da diporto mentre sono calate le esportazioni per gli elettrodomestici, i mobili e le calzature. Le esportazioni sono aumentate soprattutto nell’area euro, 14,1%, in misura minore in Asia, 5%, mentre sono diminuiti in Europa Orientale, -15%, a causa delle sanzioni alla Russia, penalizzando il comparto della calzatura e infine negli Stati Uniti, -3,2% a causa del settore della meccanica. Il settore delle costruzioni rappresenta al meglio le difficoltà in cui versa la regione, se la variazione del numero di transazioni immobiliari tra il 2010 ed il 2011, -2,9%, è relativamente contenuta rispetto ai NEC (Emilia Romagna e Toscana rispettivamente -3,5% e -4,1), il peggioramento nella nostra regione risulta nella variazione tra gli anni 2010 e i successivi fino al 2014 dove il numero di transazioni cade rispettivamente del 32%, 41,3% e 40,7% mentre nei NEC si attesta sempre 2-3 punti in percentuali meno della regione. Per quanto riguarda il settore del credito, è notizia di qualche settimana fa che il governo ha deliberato il salvataggio della banca più grande del territorio, Banca delle Marche. L’essere banca di un territorio in crisi ha influito sullo stato di salute di BdM. Oltre l’85% dei mutui è a tasso variabile e l’importo medio è per circa 1/3 dei mutui superiore ai 150 mila euro. L’indebitamento delle famiglie tra il 2007, il 2010 e 2013 è passato dal 26% al 30%, la percentuale di famiglie con mutuo passa dal 13% a quasi il 17%, le famiglie con crediti al consumo passano dal 16,7% al 18,9% del 2010 per poi scende al 17,5% del 2013. La percentuale di famiglie vulnerabili raggiunge i valori più alti tra i NEC e soprattutto in costante aumento così come il numero di famiglie con rate arretrate che raggiunge la quota dell’8% tra il 2010 e il 2013. L’indice di deterioramento netto delle famiglie passa dal -1,8% del 2006 al -3,6% del 2010 e poi al 3,5% del 2013 rispettivamente all’apice della prima e della seconda fasi della crisi. La percentuale dei crediti deteriorati alle imprese raggiunge il 43%, molto più alto rispetto ai NEC, così come sono più alti i crediti deteriorati nel settore manifatturiero, circa il 39%, dove nel settore delle costruzioni è del 69%. In conclusione, la condizione socio-economica della regione è di forte sofferenza ed in misura maggiore rispetto ai NEC. E tale sofferenza

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è data non solo dalla crisi ma soprattutto dal fatto che la crisi sia giunta inaspettata, prima rispetto alle altre regioni, abbia colpito in misura maggiore e la nostra regione ne stia uscendo più tardi e più lentamente. La crisi non era congiunturale o da addebitare solo al contesto globale o all’avvento dell’euro ma era soprattutto strutturale.

Il sistema produttivo marchigiano è caratterizzato da una forte incidenza imprenditoriale. Nel 2009 erano registrate oltre 423.000 di cui 142 mila in Provincia di Ancona, 100.000 nel pesarese, 95 mila nell’ascolano e 82 mila nel maceratese. Facendo registrare un’impresa ogni quasi 4 abitanti in media e un’impresa ogni 2 abitanti nell’ascolano anche se tra 2009-2013 vi è stata una riduzione di quasi il 10%. I settori più rappresentativi sono il settore manifatturiero con un massimo di 178 mila imprese nel 2009, per attestarsi a 158 mila nel 2013, il commercio che raggiunge nel 2009 quasi 30 mila imprese ma nel 2013 decresce fino a 55 mila unità. Complessivamente negli anni 2012/2013 e 2013/2014 la regione ha subito una variazione negativa di oltre il 6% che è inferiore solo a quella dell’Emilia Romagna. Rimane ancora l’imprenditorialità e la vivacità del territorio intesa in capacità di innovazione, di avviare nuove imprese e innovative o nei settori innovativi. Si evidenzia uno spostamento da società semplici a società a responsabilità limitata, forte vivacità nei settori ad alta tecnologia, dato superiore alla media del paese e in linea con le grandi aree metropolitane. Tale vivacità è prevalentemente in provincia di Ancona e, in parte, nel Pesarese. I principali settori sono i servizi avanzati e professionali. Le start up rappresentano circa il 5% del valore nazionale, un peso maggiore rispetto alla percentuale della e del PIL. Le start up marchigiane sono molto giovani, circa due anni di vita, un volume di affari relativamente limitato, i due terzi si collocano nella classe inferiore ai 100.000 euro. L’identikit dei fondatori è maschio, età media di 38 anni e almeno una laurea magistrale. I settori di maggiore presenza sono i servizi di consulenza, 30%, energia ed ambiente, 14%, elettronica e microelettronica, 12% e internet, 10%. Nelle Marche oltre il 70% degli spin off sono nel settore dei servizi, la produzione di software è pari al 24% e la ricerca scientifica e sviluppo al 18%. I comuni con la maggiore presenza di tali imprese sono Ancona, Jesi e Fabriano. La Regione, sta lavorando per accrescere il numero di nuove imprese con contenuto tecnologico e con presenza di risorse umane di alta scolarizzazione con il FSE.

Per quanto riguarda le forze lavoro, nelle Marche sono 516 mila i lavoratori, 70% tra i maschi, e, 60% tra le femmine. Rappresenta circa l’1,3% della forza lavoro italiana. Il tasso di occupazione della regione si attesta al 63%, con tasso di occupazione dei maschi oltre il 70% e quello femminile quasi al 56%. Nel 2007, nella regione si è raggiunta la quota di 64,71%. Tali dati pongono la regione a livello di Friuli Venezia Giulia e Toscana ma indietro rispetto al Veneto e all’Emilia Romagna. Il tasso di disoccupazione tende ad essere generalmente basso, intorno al 4% ma nel 2009 esso è salito dal 4,7% al 6,7%, per salire fino al 10,9% nel 2013. E’ il tasso di disoccupazione più alto tra i NEC, insieme all’Umbria. Durante la crisi alcune province raggiungono una disoccupazione in doppia cifra, con punte del 12% nell’ascolano. Il numero di ore di CIG ordinaria (CIGO), in Italia passa da 142 milioni a 356 milioni nel 2013. Se si computano il numero di ore per regione, si nota che essa risulta in linea fino al 2012, tra il 2-3 percento, ma tra il 2012-2014 la CIGO sale fino al 4,9%, raddoppiando il “tiraggio” consueto nelle Marche. La CIGO “pesa” per il 19% nel pesarese, il 23% nel maceratese, il 25% in provincia di Ancona e 31% nell’ascolano. In tutte le province il numero di ore di CIGO è destinato ai settori manifatturiero e costruzioni che pesano per oltre l’80%. Per quanto riguarda la CIGS, essa raggiunge l’apice con il 2014 quando è quattro volte maggiore al 2005. Le province che fanno maggiore uso della CIGS sono Macerata, 36%, e Ascoli Piceno, 34%. La CIiD tende ad avere un andamento peggiore, con un “tiraggio” massimo di oltre quattro volte rispetto al 2005 nel 2010-2012 ma nel 2014-2015 si raggiunge le 6-7 volte rispettivamente. La CIiD è stata destinata al maceratese e ascolano, 87%.

Per quanto riguarda le qualifiche professionali più richieste dalle imprese nella regione si evince (Excelsior) che complessivamente le imprese ritengono di assumere oltre 17.000 lavoratori nel corso del

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2015 di cui 2.130 dirigenti, 7.800 impiegati, 5.000 operai specializzati e 2.250 in professioni non qualificate. Nel settore industriale saranno 5.970 di cui 830 dirigenti, 400 impiegati e 4.040 operai specializzati e 700 non qualificati. Nel settore industria in senso stretto si prevede l’assunzione di 4.720 lavoratori di cui 750 dirigenti, 320 impiegati, 3.180 operai specializzati e 470 non qualificati. Nei servizi saranno 11.210 di cui 7.410 impiegati, 960 operai specializzati e 1.550 non qualificati. I titoli di studio richiesti sono 1.360 di livello terziario (670 specialistica e 440 non), 6.410 con diploma di cui 1.110 con post-diploma e 3.540 con formazione professionale. Per 5.860 assunzioni non si richiede alcuna formazione. Tra i laureati si richiedono 500 lavoratori ad indirizzo economico, 170 ingegneri industriali, 110 elettronici e 100 chimici-farmaceutici. Per i diplomati si richiedono 1.180 lavoratori amministrativi-commerciali, 1.040 turistico alberghiero e 740 meccanici. Tra i qualificati ma con diploma si richiedono 1.420 con specializzazione turistico-alberghiero, 470 meccanici, 260 operatori socio-sanitari e 220 comparto moda. Per quanto riguarda le richieste dei laureati, per il 44% vengono richieste anche competenze informatiche, il 21% per i diplomati e solo per l’1,2% per le assunzioni senza formazione.

In conclusione, l’analisi Excelsior conferma che i settori più importanti sono: i distretti industriali delle diverse province, il turismo e l’informatica e l’internazionalizzazione come settori trasversali.

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2 LA FORMAZIONE CONTINUA FINANZIATA

2.1 Introduzione Con la formazione finanziata si è sempre fatto riferimento al Fondo Sociale Europeo (FSE). Il FSE

è un programma strutturale e tra questi è il più longevo. Esso viene istituito nel 1957 con il Trattato di Roma e fa seguito alla costituzione della CECA (Comunità Europea per il Carbone e l’Acciaio) del 1951. Con essa era stato istituito anche un fondo cosiddetto Fondo per la formazione e ricollocazione dei lavoratori dei due settori. Quindi il FSE nasce come ampliamento di tale fondo, per incentivare la mobilità settoriale e geografica. Il FSE teneva conto anche dei risultati raggiunti con il Piano Marshall. Il FSE rappresentava circa l’1% del bilancio della CEE, oggi rappresenta circa il 10% dello stesso. Il FSE prevedeva un comitato di gestione al quale partecipavano i governi degli Stati membri così come rappresentanti sindacali e delle organizzazioni datoriali in egual misura.

Nel tempo il FSE è stato ampliato, maggiormente strutturato e riformato più volte e ad esso sono stati affiancati altri fondi strutturali. La riforma del 1969 portò all’approvazione della prima riforma nel 1972, con l’ampliamento ai settori dell’agricoltura e del tessile e con l’affiancamento del Fondo Europeo per lo Sviluppo Regionale (FESR). Con i due fondi si intendeva raggiungere lo stesso obiettivo sviluppo ed occupazione. Il primo doveva occuparsi dei lavoratori ed il secondo dello sviluppo delle infrastrutture. Negli anni settanta, la rivoluzione tecnologica delle TIC ha portato la disoccupazione da 6 milioni del 1979 ai 12 milioni del 1983 e soprattutto l’aumento della disoccupazione giovanile fino a oltre il 25%, con un ulteriore aggravante della persistenza individuale dello stato di disoccupazione. Un altro aspetto stava minando la coesione europea, l’allargamento dell’Unione verso i paesi del Mediterraneo come Grecia, Spagna e Portogallo dove l’agricoltura era ancora il settore dominante. Fu così che si arrivò alla seconda riforma del FSE del 1988 dove si cercò di ridurre il divario tra il numero di progetti presentati e quelli finanziati ed allo stesso tempo canalizzando sempre più le risorse verso le regioni più bisognose. Questo approccio portò ad una nuova forma di presentazione dei progetti che richiedeva un percorso di medio-lungo termine e quindi programmi di sette anni. Il nuovo programma 1994-1999 quasi raddoppiò le risorse, circa il 70% di esse fu destinato alle regioni più bisognose e l’inserimento lavorativo di donne e giovani.

Con l’ingresso di Austria, Finlandia e Svezia il Fondo dovette tenere conto anche delle aree scarsamente popolate come regioni svantaggiate (8 per Kmq). Inoltre il nuovo programma spostava l’attenzione dalla disoccupazione all’occupazione o occupabilità degli individui. Tuttavia, all’orizzonte il fondo si preparava ad affrontare le sfide del nuovo millennio, l’inserimento dei migranti nel mondo del lavoro, l’invecchiamento della popolazione e l’occupabilità degli over cinquanta. Infatti, la Strategia di Lisbona intendeva fare dell’Europa la più avanzata economia basata sulla conoscenza con oltre il 70% di occupati tra la forza lavoro, il 60% tra le donne ed il 50% tra gli anziani. La Strategia aveva tre pilastri: economico (competitività, adattabilità, tecnologie dell’informazione, ricerca e sviluppo), sociale (lotta all’esclusione, istruzione e formazione, politiche attive per l’occupazione ed economia della conoscenza) ed ambientale (crescita economica disgiunta dall’uso delle risorse naturali). Con la Strategia Europea per l’occupazione (European Employment Strategy) si intendeva rendere i cittadini ed i lavoratori europei più flessibili, altamente efficienti e con più competenze. Questo faceva sì che il concetto di un lavoro per tutta la vita fosse ormai obsoleto e che i nuovi lavoratori dovevano sviluppare un approccio intraprendente (imprenditorialità) in un contesto di economia della conoscenza. Quindi il FSE avrebbe dovuto contribuire all’apprendimento permanente e al miglioramento del settore dell’istruzione e della

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

formazione. Il nuovo programma 2007-2013 cercò di rendere più semplice le procedure burocratiche ed amministrative arrivando a stanziare circa 10 miliardi all’anno18.

La Nuova strategia di Lisbona o cosiddetta Europa2020 ha come principale priorità la crescita coniugata in tre diverse approcci: intelligente (promuovendo la conoscenza, l’innovazione, l’istruzione e la società digitale), sostenibile (economia più efficiente sotto il profilo dell’uso delle risorse, più verde e più competitiva) e infine inclusiva (economia ad alto tasso di occupazione, che favorisca l’acquisizione di competenze e la lotta alla povertà). Essa poi si coniuga con il nuovo bilancio 2014-2020 di cui l’FSE ne è parte integrante come programma o fondo indiretto19 dove gli obiettivi della Strategia sono: il 75% delle persone in età lavorativa deve avere un lavoro, il 3% del PIL UE investito in Ricerca e Sviluppo attualmente siamo a meno del 2%, raggiungimento dei traguardi 20/20/20 in materia di clima/energia secondo gli accordi di Kyoto, anche se l’obiettivo è stato elevato a 30/30/30, tasso di abbandono scolastico inferiore al 10% e 40% delle persone tra i 30 e 34 anni laureato. Infine, 20 milioni di persone in meno a rischio di povertà, oggi sono intorno ad 80 milioni le persone a rischio di povertà (Nironi).

Il FSE interviene nell’ambito degli obiettivi «Convergenza» e «Competitività regionale e Occupazione». Sostiene l’azione degli Stati membri nei seguenti ambiti: adattamento dei lavoratori e delle imprese (sistemi di apprendimento permanente, elaborazione e diffusione di modelli più innovativi di organizzazione del lavoro), accesso al mercato del lavoro per coloro che sono alla ricerca di un impiego, per le persone inoccupate, le donne e i migranti, inclusione sociale dei gruppi svantaggiati e lotta contro la discriminazione sul mercato del lavoro, valorizzazione del capitale umano mediante la riforma dei sistemi di istruzione e il collegamento in rete degli istituti di istruzione.

Il FSE ha le seguenti priorità: Adattabilità: Migliorare la competitività preparando al cambiamento, incentivando le nuove attività e sostenendo le PMI nel mercato globale, Sviluppare sistemi di formazione continua, migliorando al contempo la qualità e l’organizzazione del lavoro ed Incoraggiare la mobilità geografica e professionale. Occupabilità: Combinare la flessibilità e la sicurezza del mercato del lavoro, concentrandosi sullo sviluppo locale e sul sostegno mirato a gruppi quali gli immigrati, Promuovere l’accesso sostenibile delle donne al mercato del lavoro, Migliorare i servizi per l’occupazione e favorire i partenariati nazionali e locali tra attori pubblici e privati e Ridurre il lavoro sommerso tramite specifiche misure. Inclusione sociale: Rimuovere gli ostacoli che impediscono ai gruppi vulnerabili di trovare e mantenere un impiego, fornendo “percorsi personalizzati" al lavoro, Aiutare i più svantaggiati a ottenere un impiego combattendo contro la discriminazione sul posto di lavoro, anche basandosi su progetti precedenti finalizzati alla promozione delle pari opportunità (ad esempio, Equal). Capitale umano: Concentrarsi sulla qualità, sulla gestione e sull’integrazione dei sistemi di istruzione e formazione e del sistema occupazionale, Approntare programmi di certificazione e valutazione per gli enti di formazione in modo da assicurare un'istruzione e una formazione migliori, Migliorare l’istruzione superiore puntando su reti tra università, centri di ricerca e aziende, ovvero rispondendo ai bisogni dell'economia della conoscenza e Ridurre l’abbandono scolastico tramite specifiche misure (nell’ambito dell’obiettivo Convergenza). Transnazionalità e interregionalità: Scambi di buone pratiche nel campo dell’occupazione ed Agevolare progetti congiunti transnazionali e interregionali. Potenziare le amministrazioni locali: assicurare servizi pubblici migliori formando i funzionari e migliorando il coordinamento fra i vari enti (Boetti).

18 Commissione Europea, 50th anniversari book. 19 Infatti, i programmi o meglio il bilancio europeo è suddiviso in due principali branchie quelli diretti (es: Horizon 2020 e Erasmus+)

e quelli indiretti o fondi strutturali come nel caso del FSE, il FESR e Fondo di coesione, quelli concorrenti o decentrati ed infine a gestione congiunta. Inoltre, si possono considerare fondi strutturali anche il Fondo Europeo Agricolo per lo Sviluppo Rurale, il Fondo Europeo per la Pesca, la Cooperazione Territoriale Europea e, nel caso delle Marche, le risorse per la Macroregione Adriatico-Ionica.

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2.2 Il Programma Operativo Nazionale - Fondo Sociale Europeo 2007 – 2013 Come sottolineato sul sito del Ministero del Lavoro

(http://europalavoro.lavoro.gov.it/EuropaLavoro/Varie/Il-FSE-in-Italia), il FSE è utilizzato per il raggiungimento di due obiettivi fissati a livello comunitario: Convergenza, per la promozione dell’occupazione e la creazione di nuovi posti di lavoro nelle regioni in ritardo di sviluppo. Esso riguarda tutte le regioni dell’UE con un PIL p.c. inferiore al 75% della media comunitaria20. L’obiettivo Competitività regionale e occupazione, per favorire la dinamicità del tessuto economico riguarda tutte le regioni dell’UE che non rientrano nell'obiettivo di convergenza21. In Italia il FSE finanzia 16 POR dell’obiettivo 2 - Competitività Regionale e Occupazione e 5 POR dell’obiettivo 1 - Convergenza. Accanto ai POR, ci sono anche 3 Programmi Operativi Nazionali (PON). Il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, Autorità capofila del FSE in Italia, è titolare dei PON (Azioni di Sistema: Convergenza: PON Governance e Competitività regionale e occupazione). Entrambi i PON rispondono alla necessità di creare un intervento unitario nelle politiche della formazione, del lavoro e dell’inclusione, in sinergia con le attività dei POR. I PON si propongono di supportare la capacità istituzionale e di governo, in particolare per raggiungere gli obiettivi europei relativi a lifelong learning e occupazione, di promuovere e rafforzare sul territorio nazionale l’innovazione, la qualità e l’integrazione dei sistemi di istruzione, formazione e lavoro. La strategia di intervento si articola lungo cinque assi prioritari:

Adattabilità: obiettivo globale: contribuire ad accrescere l’adattabilità dei lavoratori, delle imprese e degli imprenditori e a promuovere l’innovazione organizzativa nei contesti lavorativi.

Quattro obiettivi specifici: conoscenza del mercato del lavoro e diffusione politiche di accompagnamento a mobilità e processi di riforma, organizzazione, qualità e sicurezza del lavoro e politiche di anticipazione e gestione dei cambiamenti e promozione del dialogo sociale.

Occupabilità: obiettivo globale: sostenere politiche per migliorare l’accesso all’occupazione, prevenire la disoccupazione, promuovere l’inserimento sostenibile e l’ampliamento della partecipazione al mercato del lavoro.

Obiettivi specifici: migliorare efficienza, qualità, efficacia e inclusività delle istituzioni del mercato del lavoro e potenziare i sistemi di osservazione e valutazione delle politiche nazionali per l’occupabilità.

Capitale umano: obiettivo globale: potenziare il capitale umano sostenendo i processi di riforma, il miglioramento qualitativo e l’interazione dei sistemi di istruzione, formazione e lavoro.

Obiettivo specifico: costruire strumenti condivisi per migliorare la qualità dell’offerta di istruzione-formazione, valorizzare i risultati dell’apprendimento e agevolare il riconoscimento delle competenze acquisite e supportarne l’attuazione a livello regionale.

Transnazionalità: obiettivo globale: sviluppare la dimensione europea dei sistemi di istruzione, formazione e lavoro.

Obiettivi specifici: promuovere il raccordo con le politiche europee per il conseguimento degli obiettivi, attraverso il coordinamento aperto e la cooperazione rafforzata e sostenere le Regioni nello sviluppo della dimensione transnazionale.

20 In Italia rientrano in questo obiettivo le Regioni Basilicata (a titolo transitorio), Calabria, Campania, Puglia e Sicilia.

21 In Italia rientrano in questo obiettivo le Regioni Abruzzo, Emilia-Romagna, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Liguria, Lombardia, Marche, Molise, Piemonte, Toscana, Umbria, Valle d’Aosta, Veneto e Sardegna e le Province autonome di Bolzano e Trento.

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

Assistenza tecnica: obiettivo globale: migliorare l’efficienza e l’efficacia complessiva della programmazione FSE, favorendone l’implementazione operativa, l’integrazione con gli altri Fondi e le ricadute su POR e sistemi complessivi.

Obiettivi specifici: migliorare efficacia ed efficienza del PON attraverso azioni e strumenti di supporto e sostenere funzioni di coordinamento dell’Autorità capofila del FSE22. Gran parte delle attività di ricerca e di realizzazione di banche dati sono state realizzate dall’ISFOL mentre le attività operative sono state realizzate da Formez PA e Italia Lavoro23.

Il MIUR è titolare del PON “Competenze per lo sviluppo” che sostiene l’innovazione del sistema di istruzione e formazione, per ottenere una maggiore partecipazione all’istruzione e alla formazione e migliorarne la qualità e promuovere l’efficienza amministrativa del sistema dell’istruzione.

2.3 La formazione finanziata nazionale In questa sezione si introdurrà la formazione finanziata di carattere nazionale per la quale si intende

tutti i provvedimenti legislativi che prevedono fondi per la formazione continua come il contributo finanziario dello 0,30% dell’INPS sulla base delle L. 845/1978 e L. 388/2000. Inoltre, i contributi della L. 236/93 e della L. 53/0024.

Per quanto concerne il contributo del 0,30%, in questi anni la somma complessiva è stata oscillante a causa della diminuzione dei contributi ma anche a causa dei prelievi effettuati da parte dello Stato per finanziare la CIG. Tuttavia complessivamente dal 2008 al 2014 sono stati 3,5 miliardi le risorse andate ai fondi paritetici mentre il versamento complessivo è oltre 5 miliardi. Complessivamente la somma a beneficio dei fondi oscilla tra il 53% ed il 71% dei contributi versati (si veda capitolo V).

Per quanto riguarda le risorse destinate alla formazione con la legge 236/93 articolo 9 comma 3, anche in questo caso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha deciso di utilizzarli per sostenere il reddito dei lavoratori disoccupati o a rischio di esclusione dal mercato del lavoro. Tuttavia il Ministero ha continuato a sostenere gli interventi di carattere regionale per la formazione collettiva ed individuale. In questo caso, la Regione Marche ha preferito utilizzare le risorse per interventi anticrisi formazione, a differenza di altre regioni che hanno optato per l’utilizzo per la sola formazione. Di conseguenza tali risorse sono state girate dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali alla Regione la quale le ha girate all’INPS per finanziare la CIG e la mobilità in deroga. Complessivamente la Regione ha beneficiato di 5,3 miliardi di euro di cui 4,2 sono stati impegnati per misure anticrisi. L’ISFOL fa notare che le regioni tuttora non prevedono interventi congiunti tra risorse pubbliche e quelle dei fondi interprofessionali.

Infine per quanto riguarda la Legge 53/00 che prevede il finanziamento di iniziative di formazione per lavoratori occupati e non del settore pubblico e privato a carattere regionale secondo due tipologie di intervento: progetti delle imprese che prevedono la riduzione dell’orario di lavoro e progetti presentati dai singoli lavoratori (formazione a domanda individuale). Generalmente le regioni integrano le risorse FSE con queste ultime data la scarsità delle risorse a disposizione per la L. 53/00. Le regioni generalmente utilizzano tali risorse per interventi individuali attraverso i voucher formativi da spendere presso enti formativi. Alcune regioni mettono a disposizione dei lavoratori anche un catalogo online dei corsi formativi. Altre regioni hanno aderito al “catalogo interregionale dei corsi di alta formazione”. In questo ambito la Regione Marche ha beneficiato di 419,5 milioni di euro per l’anno 2014.

22 http://europalavoro.lavoro.gov.it/EuropaLavoro/Partecipo/PON-GAS-Governance-e-Azioni-di-Sistema. 23 Per approfondire si consiglia: RAE PON GAS e RAE PON AS degli anni del programma presso http://europalavoro.lavoro.gov.it/EuropaLavoro/Tematiche-trasversali/Rapporto-annuale-di-esecuzione. 24 Tale sezione è una sintesi del XI Rapporto sulla Formazione Continua annualità 2013 – 2014 redatto dall’ISFOL.

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In conclusione è evidente che in condizioni economiche normali le risorse del 0,30% sono destinate ai fondi interprofessionali mentre le risorse delle L. 236/93 e L. 53/00 sono relativamente limitate rispetto alle risorse destinate ai fondi e alle risorse FSE. Di conseguenza è auspicabile coordinare tra le risorse disponibili per incrementare e migliorare la qualità della formazione continua.

2.4 Il Programma Operativo Regionale Marche - Fondo Sociale Europeo Il POR Marche per gli anni 2007 – 2013 è stato presentato nel 2007 ed approvato in data 8/11/2007

da parte della Commissione (n. C(2007)5496) con riferimento CCI2007IT052PO007. Tuttavia il perdurare della crisi economica regionale, nazionale, europea e globale ha fatto sì che il POR fosse rivisto e ripresentato nel 2010 ed approvato dalla Commissione in data 22/12/2010.

2.4.1 Il POR Marche 2007 – 2013 Questa sezione presenta la valutazione del POR Marche 2000 – 2006 effettuata nell’ambito di

presentazione del POR Marche 2007 – 2013, la presentazione delle principali linee di intervento del POR Marche 2007 – 2013 ed infine la valutazione dei risultati raggiunti durante la realizzazione del POR 2007 – 2013.

2.4.1.1 Valutazione POR Marche 2000 - 2006

Il POR Marche 2007 – 2013 presentava i risultati raggiunti nel POR precedente che prevedeva una spesa complessiva di 288 milioni di euro. Alla fine del 2005 la valutazione intermedia rilevava che le maggiori risorse erano state utilizzate per favorire l’inserimento o il reinserimento lavorativo di soggetti disoccupati o inoccupati, oltre 40 milioni di euro con circa il 40% dei progetti approvati. A seguire 35 milioni alla formazione superiore, alla creazione di impresa 26 milioni, al potenziamento dei servizi pubblici per l’impiego 21 milioni ed infine per la promozione delle pari opportunità circa 20 milioni.

Il POR sottolinea che l'elevato ammontare di impegni assunti per l'attuazione della Misura C3 (formazione superiore) è in gran parte dovuto ad un costo medio dei progetti superiore alla media (nell'ambito della Misura C3, infatti, sono stati assunti impegni per un ammontare pari al 15% del totale, ma è stato finanziato solo il 3% dei progetti complessivamente approvati). Una situazione speculare si rileva, invece, nel caso della Misura D4, per la quale sono stati assunti impegni pari solo al 6,7% del totale ed è stato finanziato più del 10% dei progetti approvati. Da rilevare che il risultato attuativo della Misura D4 costituisce uno dei punti di forza del POR Obiettivo 3 della Regione perché il perseguimento dell'obiettivo specifico per essa programmato (trasferimento tecnologico e potenziamento del legame tra imprese locali e sistema dell'alta formazione) è stato garantito tramite l'attuazione di un intervento sperimentale che ha dato ottimi risultati e potrebbe concorrere in modo determinante al raggiungimento dell'obiettivo di favorire l'adozione di innovazioni da parte delle PMI locali. L'intervento in questione si sostanziava, infatti, nell'erogazione di borse di studio (per importi pari, al massimo, a 750 euro mensili per 12 mensilità) a neo-laureati che si candidavano alla realizzazione di progetti di ricerca all'interno di imprese locali. Questo approccio ha permesso di raggiungere due obiettivi: contrastare il fenomeno della disoccupazione giovanile altamente scolarizzata, incrementando l'occupabilità dei giovani laureati che spesso incontrano difficoltà di inserimento anche a causa della mancanza di esperienze lavorative pregresse (il 70% circa di essi, a un anno di distanza, risultava occupato e, spesso, presso la stessa impresa in cui è stato realizzato il progetto); favorire l'inserimento, nel tessuto produttivo locale, di forza lavoro più scolarizzata anche per stimolare l'introduzione di innovazioni nei processi produttivi o negli assetti organizzativi delle PMI locali.

L'analisi del numero di destinatari raggiunti attraverso le diverse tipologie di intervento ha confermato l’utilizzo delle azioni formative (permanente, continua, per l'inserimento e il reinserimento

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lavorativo; ecc). Nell'attuazione del POR, però, sono stati sperimentati e attuati anche progetti alternativi alla formazione professionale tradizionale (per lo più, azioni individualizzate come work-experiences, tirocini, aiuti alle assunzioni). Anche se tali azioni tendono ad essere più costosi ma spesso garantiscono risultati migliori. Risultati positivi si sono ottenuti, ad esempio: con l'attivazione, nell'ambito della Misura D3 (e Bl, nel caso di proponenti appartenenti a categorie svantaggiate), di una linea di intervento a sostegno della creazione di impresa e del lavoro autonomo (nella Misura D3 sono stati finanziati più di 2.000 progetti che hanno consentito di avviare nuove iniziative imprenditoriali, con la generazione di oltre 6.000 unità di lavoro); l'erogazione di aiuti alle assunzioni, prioritariamente finalizzati a favorire l'inserimento di soggetti appartenenti a categorie svantaggiate (Misura Bl) o comunque a minore occupabilità (donne, nell'ambito della Misura El, e per lo più disoccupati di lunga durata, nel caso della Misura A2). Tali interventi hanno consentito la creazione di 3.557 nuovi posti di lavoro; l'implementazione di percorsi integrati basati su azioni formative e erogazione di servizi (consulenza) o voucher finalizzati a favorire la conciliazione durante la partecipazione alle stesse attività formative. Tale tipologia di intervento è stata attivata al fine di raggiungere le categorie di utenza più difficili (Misura Bl e drop-out - Misura C2; donne inattive o disoccupate al di sopra dei 45 anni di età - Misura El) o per favorire la creazione di impresa (Misura D3).

I risultati confermano che l'erogazione di voucher durante la frequenza di azioni formative consente di raggiungere soggetti appartenenti a categorie di utenza con forti problemi di conciliazione altrimenti inattivi. L'ammontare di risorse stanziato per tali attività (poco più di 4 milioni di euro) è tuttavia complessivamente contenuto e, pertanto, il numero dei destinatari raggiunti (2.799) non è stato considerato sufficiente.

Positiva anche l'attivazione, nell'ambito delle work-experiences, di una linea di intervento che prevede l'erogazione di borse di studio per la realizzazione in azienda di progetti di ricerca da parte di neo-laureati (Misura D4) e di borse lavoro a neodiplomati o neo-laureati per la realizzazione di un'esperienza lavorativa in azienda in grado di incrementarne l'occupabilità (Misure A2, Bl nel caso di soggetti svantaggiati ed El nel caso di donne). Anche in questo caso il costo è più elevato (20 milioni di euro contro 16 milioni). Tuttavia tali azioni sono strumenti imprescindibile per contrastare la disoccupazione giovanile scolarizzata e favorire la qualificazione dei modelli produttivi e gestionali delle imprese locali.

Le donne costituiscono la quota prioritaria dei soggetti raggiunti in quasi tutte le Misure (le uniche eccezioni sono costituite dalla Misura D3 - a causa del persistere di problemi di carattere sociale che riducono la propensione delle donne ad avviare attività di lavoro autonomo o attività imprenditoriali - e dalla Misura DI - a causa di una consolidata propensione delle imprese ad investire soprattutto nella formazione di occupati maschi). Tale risultato è dovuto al fatto che, nell'ambito del QCS Obiettivo 3 e, conseguentemente, nell'ambito del POR della Regione, è stato assunto anche l'obiettivo trasversale del mainstreaming di genere e che ciò ha consentito di tenere conto, anche nella selezione dei progetti da ammettere a finanziamento nell'ambito di Misure diverse dalla El, del numero di donne coinvolte nelle attività programmate. La quota prevalente dei destinatari raggiunti appartiene alle classi centrali di età. Gli over 45, infatti, costituiscono un target di utenza importante solo nell'ambito delle Misure CI (accreditamento delle strutture formative) e D2 (formazione per il pubblico impiego). Tale risultato non è stato considerato soddisfacente e quindi è necessario ridurre il peso finanziario sulla formazione superiore per spostarlo verso azioni tarate sui punti di debolezza del mercato del lavoro locale.

Considerazioni analoghe vanno fatte anche a proposito della distribuzione dei destinatari per condizione professionale. Se si tiene conto dei punti di debolezza del mercato del lavoro locale e del loro peso relativo è infatti probabilmente troppo alta la quota, sul totale, dei destinatari disoccupati e vanno viceversa intensificate le linee di intervento programmate per la qualificazione della forza lavoro

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occupata e per attrarre nel mercato del lavoro gli inattivi. Valutazione ha evidenziato il mismatching esistente a livello locale tra domanda e offerta di lavoro, imputabile al fatto che il sistema produttivo richiede soprattutto forza lavoro caratterizzata da profili medio-bassi mentre l'offerta di lavoro è prevalentemente costituita da giovani altamente scolarizzati. Il valutatore ha inoltre sottolineato il fatto che la strategia di intervento adottata a livello regionale è stata prioritariamente indirizzata verso lo sviluppo di politiche attive del lavoro finalizzate a combattere e prevenire la disoccupazione e a promuovere la qualificazione della forza lavoro, l'innovazione e l'adattabilità dell'organizzazione del lavoro, lo sviluppo di nuova imprenditorialità. I livelli di avanzamento, sia fisico che finanziario, del Programma sono soddisfacenti. I tassi lordi di inserimento occupazionale che si attestano al 60,4% a sei mesi dalla conclusione degli interventi e salgono al 67,9% a 12 mesi.

Tra le raccomandazioni che il valutatore aveva formulato per il nuovo POR si ricordano:

la necessità di investire sull'innovazione aziendale realizzando azioni formative di alto profilo e puntando alla qualificazione della domanda di lavoro; la necessità di continuare a mettere in campo interventi finalizzati a contrastare la disoccupazione giovanile scolarizzata;

la necessità di porre particolare attenzione a specifici target di utenza (giovani scolarizzati, donne, adulti);

promuovere gli investimenti in capitale umano, migliorando i livelli di istruzione della forza lavoro occupata;

incentivare l’integrazione tra i diversi strumenti utilizzabili al fine di promuovere lo sviluppo locale (tabelle 2.1 e 2.2).

2.4.1.2 Presentazione POR Marche 2007 – 2013

In data 8/11/2007 la Commissione Europea adotta il Por Marche 2007 – 2013 e in 20/12/2010 sempre la Commissione adotta la revisione del programma operativo del FSE Regione. Tale revisione è giustificata da cambiamenti socio-economici importanti. Tale condizione è comune ad altre realtà territoriali italiane e non solo. Il POR 2007 – 2013 teneva presenti le criticità del territorio così come le potenzialità ed i risultati raggiunti con il POR 2000 – 20006 e quindi andare oltre con obiettivi che cercassero di migliorare quelle che erano le criticità e le minacce rilevate come da analisi SWOT.

Infatti l’analisi SWOT aveva evidenziato le seguenti criticità: tasso di attività regionale inferiore di 3 punti percentuali al dato medio UE15; tasso di attività degli over 45 al di sotto dei valori medi UE15 e UE25; elevate differenze di genere nei tassi di attività, di occupazione, di disoccupazione e di disoccupazione giovanile; Tassi di occupazione in flessione a partire dal 2004; tasso di occupazione degli over 55 molto al di sotto del benchmark comunitario per il 2010; tassi di occupazione femminili inferiori ai valori medi UE15 e UE25 e più bassi del corrispondente tasso danese di oltre 17 punti percentuali; tassi di disoccupazione giovanili femminili superiori di oltre 5 punti percentuali a quelli medi UE15; quota di laureati in materie tecnico-scientifiche più bassa del corrispondente aggregato nazionale; quota di laureati totale delle persone in cerca di lavoro più alta della media italiana (18% contro media nazionale dell'11,3%); quota di occupati in possesso del solo diploma di scuola media inferiore pari al 40%; quota di adulti coinvolti in percorsi di formazione continua e permanente lontana dal benchmark comunitario (12,5% nel 2010); crescente precarizzazione della forza lavoro; livelli di frequenza infortunistica sul lavoro superiori alla media nazionale; carenza di servizi indispensabili per favorire la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro; domanda di lavoro prevalentemente orientata verso profili medio-bassi.

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

Con le seguenti minacce: quota di occupati nell'industria più alta d'Italia ma con elevata specializzazione in settori esposti alla concorrenza dei Paesi emergenti; livelli di produttività nell'industria in senso stretto inferiori a quelli medi italiani; incidenza sul PIL della spesa pubblica e privata in R&S al di sotto dei valori medi italiani e dei valori medi delle aree Ob3; tassi di mortalità delle PMI elevati, nel prossimo futuro, a causa del ricambio generazionale.

Tali criticità e minacce sono controbilanciate dai seguenti punti di forza: Tassi di attività regionali in crescita e superiori al dato medio nazionale; Tassi di occupazione più elevati di quelli medi italiani e di quelli medi delle aree Ob.3 e allineati ai valori medi europei; Tassi di occupazione dei 55-64enni in crescita a partire dal 2000; Tassi di occupazione maschili superiori a quelli medi Europei; Tassi di disoccupazione contenuti e nettamente inferiori a quelli medi italiani ed europei; Tasso di disoccupazione giovanile allineato ai valori medi UE15; Elevati livelli di scolarizzazione della popolazione Giovanile; Numero di laureati in sensibile aumento (+ 45.000 unità tra il 1999 e il 2005); Quota di forza lavoro in possesso di un titolo di studio superiore al diploma di maturità più alta della media italiana.

E soprattutto opportunità: Elevato potenziale imprenditoriale; Forti potenzialità di crescita di settori alternativi all'industria (turismo, energia, attività collegate alla tutela ambientale, attività terziarie).

Sulla base dell’analisi SWOT e del contesto regionale, la regione ha deciso di investire le risorse del POR 2007 – 2013 nell’obiettivo di incrementare la qualità del lavoro, sviluppando le seguenti azioni: la qualità intrinseca del lavoro (misurata dal grado di soddisfazione dei lavoratori in termini di retribuzione, situazione lavorativa e prospettive di carriera); la qualità e l'efficienza dei sistemi di istruzione e formazione (che va perseguita allo scopo di promuovere la produttività, la competitività e il prolungamento della vita attiva, la partecipazione degli adulti all'istruzione e alla formazione e garantire l'accesso alla formazione per tutti); la parità di genere; la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro; il giusto equilibrio tra flessibilità e sicurezza (per garantire uno sviluppo socialmente sostenibili); l'integrazione sociale (per offrire a tutti i cittadini in età lavorativa disposti e in grado di lavorare la possibilità di entrare e rimanere sul mercato del lavoro); la conciliazione tra vita lavorativa e privata; il dialogo sociale e la partecipazione dei lavoratori ai processi decisionali interni alle imprese; la gestione della diversità e la lotta alla discriminazione basata sul genere, l'età, l'handicap o l'origine etnica; i livelli occupazionali.

Tali azioni prevedevano i seguenti interventi propedeutici: innalzamento dei tassi di attività e di occupazione degli over 45, delle donne, dei giovani ad elevata scolarizzazione, dei soggetti appartenenti a fasce deboli, delle persone espulse dal processo produttivo. In particolare si teneva conto di quei soggetti deboli che tendono ad avere minori opportunità come nel caso delle donne: tenere adeguatamente conto dei livelli di scolarizzazione della popolazione femminile e di puntare, per incrementare i tassi di attività e di occupazione delle donne, soprattutto sull'attuazione di interventi finalizzati ad incrementare l'offerta di servizi di cura e a favorire la conciliazione; promuovere azioni finalizzate a garantire alle donne pari opportunità di inserimento lavorativo e di formazione al lavoro e sul lavoro, ma anche di carriera e quindi azioni che consentano di contrastare fenomeni di segregazione verticale e orizzontale, nonché i divari che ancora si registrano a livello retributivo. Promuovere l’integrazione sociale di immigrati, soggetti diversamente abili, disoccupati di lunga durata, lavoratori anziani espulsi dai processi produttivi, persone a basso reddito, tossicodipendenti, drop-out, ecc.

Nel caso degli immigrati il POR intendeva affrontare le seguenti problematiche: regolarizzazione del soggiorno e dei contratti di lavoro (il 30% degli extracomunitari presenti non ha un regolare permesso di soggiorno e non può quindi accedere a un lavoro "regolare"); alla sicurezza nei luoghi di lavoro (elevata concentrazione di stranieri nei settori (es: edilizia) con alti di frequenza infortunistica; necessità

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di garantire presso i CPI un'offerta adeguata di servizi ai fini dell'inclusione socio-lavorativa (accoglienza, informazione, formazione linguistica, ecc.).

Infine, garantire un'offerta formativa di qualità, più tarata sulle esigenze dell'utenza e del sistema produttivo per sostenere lo sviluppo di un'economia della conoscenza, ridurre il mismatching esistente tra offerta e domanda di lavoro qualificato e promuovere la cultura del LLP. In questo ambito, la strategia Regionale era orientata a:

1. favorire il completamento delle riforme avviate nella programmazione FSE 2000-2006 (portare a regime la certificazione delle competenze degli operatori delle sedi formative; rivedere il tabulato regionale delle qualifiche professionali basandolo su standard formativi minimi da definire con altre realtà territoriali e/o il livello nazionale; impostare e mettere a regime i dispositivi per il riconoscimento dei crediti formativi formali, informali e non formali; definire standard per l'attività di orientamento;

2. orientare l'offerta formativa superiore per colmare il divario di conoscenze tecnologiche data la carenza di laureati in materie scientifiche;

3. promuovere, in coordinamento con il POR FESR, l'incremento della domanda di lavoro qualificato;

4. garantire l’incontro domanda-offerta formativa anche con i Poli Formativi e Tecnologici (es: calzaturiero e moda).

L'istituzione dei PFT è strumentale anche a promuovere/sostenere l’adattabilità dei lavoratori e delle imprese e incrementare la quota di lavoratori e imprenditori, in particolare PMI, in formazione continua al fine di favorire: la sicurezza nei luoghi di lavoro; la permanenza nel mercato del lavoro degli occupati a rischio; l'adozione di innovazioni e di strategie anticipatrici dei cambiamenti da parte delle imprese; la crescita della produttività; la riconversione produttiva in produzioni e/o settori a più elevato valore aggiunto e meno esposti alla concorrenza internazionale; la crescita dei fatturati export e riposizionamento incrementando il numero dei partecipanti.

Tuttavia, al fine di massimizzare i risultati era importante:

a) instaurare un adeguato coordinamento con i Fondi Interprofessionali definendo stringenti modalità di interazione;

b) utilizzo sinergico delle risorse per la formazione continua; c) migliorare la selezione dei progetti perché siano in linea con l'obiettivo di favorire la competitività e l’occupazione; d) accesso più flessibile e rapido alla formazione continua (es: formazione "just in time"); e) standardizzazione dell’erogazione della formazione individuale (tabella 2.3).

L’Asse I – Adattabilità prevedeva i seguenti obiettivi specifici: Sviluppare sistemi di formazione continua e sostenere l'adattabilità dei lavoratori, Favorire l'innovazione e la produttività attraverso una migliore organizzazione e qualità del lavoro e Sviluppare politiche e servizi per l'anticipazione e gestione dei cambiamenti, promuovere la competitività e l'imprenditorialità. Con i seguenti obiettivi operativi: ampliare le opportunità formative degli imprenditori e dei lavoratori; sostenere politiche di ristrutturazione e riorganizzazione aziendale; favorire il mantenimento dei livelli occupazionali anche attraverso il sostegno di spin off, l'erogazione di servizi di conciliazione, l'attuazione di misure a sostegno del ricambio generazionale; migliorare la qualità del lavoro, con particolare attenzione alla salute e alla sicurezza dei lavoratori; combattere la precarizzazione e favorire l'emersione dal lavoro irregolare, attuando sistemi di protezione nell'ambito della flessibilità del mercato del lavoro; sostenere la mobilità

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

geografica e professionale; sostenere i percorsi femminili di carriera; innovare l'organizzazione del lavoro e sostenere e promuovere la competitività del sistema produttivo attraverso lo sviluppo dei servizi, la creazione di reti, l'adozione di misure in grado di favorire l'adozione di innovazioni.

La Regione ha evidenziato i vincoli strutturali allo sviluppo che minacciano il sistema produttivo sia di assorbire manodopera che di mantenere i livelli occupazionali: elevata incidenza di produzioni tradizionali, bassa produttività del lavoro, investimenti insoddisfacenti in R&S. Quindi la scelta di incrementare la quota di occupati in formazione continua per garantire la stabilità del lavoro e promuovere la qualificazione delle produzioni e dei modelli organizzativi delle PMI.

Accrescere l'adattabilità dei lavoratori, delle imprese e degli imprenditori e promuovere l'innovazione organizzativa nei contesti lavorativi era l'obiettivo perseguito con l'Asse Adattabilità per l’incremento della stabilità e della sicurezza del lavoro, di una maggiore qualificazione della forza lavoro, di un rafforzamento dell'approccio di intervento basato sul LLP, incremento delle innovazioni introdotte nei processi produttivi e nei modelli organizzativi delle imprese. Implementando interventi finalizzati a sostenere la qualificazione degli occupati, la stabilizzazione dei lavoratori assunti con contratti atipici, il prolungamento della vita attiva, l'adozione di misure per favorire la sicurezza sul lavoro e del lavoro, l'adattamento del sistema produttivo alle innovazioni richieste dalla competizione globale. La Regione inoltre poneva come strategico la costruzione di un sistema di formazione continua per creare occupazione qualificata; sostenere i processi innovativi del sistema produttivo; coinvolgendo anche i destinatari con profili più deboli; contribuendo alla costruzione di un sistema di governance delle attività che promuova l'efficace integrazione delle fonti di finanziamento e l'attivazione di procedure rispondenti alle esigenze di flessibilità e celerità espresse dalle imprese. L'orientamento assunto alla base della programmazione degli interventi dell'Asse si basa su un'ipotesi di forte integrazione tra FSE, Fondi interprofessionali e leggi nazionali che finanziano la formazione continua. Si prevede una specializzazione dei Fondi interprofessionali e delle risorse stanziate dalla normativa nazionale su azioni di formazione continua ordinaria e un utilizzo del FSE: al sostegno alle innovazioni tecnologiche ed organizzative e alle categorie di lavoratori prioritarie (over 45, donne, lavoratori poco qualificati, ecc. – tabelle 2.4, 2.5 e 2.6). Per quanto riguarda gli altri Assi previsti nel POR FSE si rimanda alla tabella 2.7. Complessivamente il bilancio del POR Marche 2007 – 2013 è stato di 271 milioni di euro di cui 111 milioni di fondi comunitari, circa 170 milioni di fondi nazionali e poco meno di 27 milioni di fondi regionali (tabella 2.8) per l’intera durata del programma. In linea di massima i fondi tendono ad aumentare con l’andare degli anni. Gli assi per i quali sono previsti maggiori risorse sono sicuramente i primi due: Adattabilità e occupabilità dove si prevedono quasi 84 milioni e quasi 100 milioni per l’intera durata del programma (tabella 2.9 per approfondimenti circa le aree tematiche la tabella 2.10).

2.4.1.3 Progetto FARO LAB

Il progetto FARO LAB25 è stato finanziato dal settore formazione professionale della Regione con fondi FSE e nazionali (L. 236/93). Nel 2010, con l'iniziativa F.A.R.O. Lab, sono stati affidati all'ATI composta da IFOA (capofila), Fondazione Censis e Associazione Nuovi Lavori (mandatari) i servizi di gestione di un laboratorio formativo e la costituzione di un Osservatorio regionale, quale strumento per far emergere i fabbisogni formativi, monitorare e valutare i fenomeni e le politiche, individuare e mettere in rete tutti i soggetti che a diverso titolo e su diversi fondi operano come autorità di programmazione e finanziamento di azioni formative, valorizzare e mettere a sistema il patrimonio di conoscenze prodotte dall’intervento. Con questa “Azione di Sistema” la Regione ha inteso assumere un orientamento basato su una forte complementarità tra il FSE, i Fondi Interprofessionali e le leggi

25 (Formazione, Animazione, ricerca, per la costituzione di un osservatorio sulla Formazione Continua).

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nazionali che finanziano la formazione continua, promuovendo una policy volta ad integrare le diverse fonti disponibili e istituendo a questo scopo il Comitato di indirizzo per la Formazione Continua, organo di governance al quale partecipano i rappresentanti di Istituzioni, Parti Sociali e Fondi Interprofessionali.

Il Progetto è articolato in due diverse fasi: sperimentazione e implementazione dell’Osservatorio. La prima fase, realizzata tra aprile 2010 e dicembre 2012, finalizzata a supportare la costituzione dell’Osservatorio attraverso la messa a punto e la sperimentazione di strumenti operativi di indagine, animazione e messa in rete funzionali al monitoraggio nel tempo dei fabbisogni professionali e formativi del sistema locale e all’individuazione di appropriate politiche di gestione. Sono state realizzate due linee di attività: Laboratorio formativo e Osservatorio regionale sulla formazione. Con la prima linea di intervento sono stati organizzati 5 seminari formativi di 40 ore nelle 5 province rivolti a 20 partecipanti. I seminari avevano l’obiettivo di presentare i risultati di una ricerca per la costituzione dell’osservatorio26. Con la seconda linea di intervento sempre all’interno della prima linea di intervento della prima fase destinata a laboratorio formativo consisteva nella diffusione di 5 piani settoriali/territoriali: Pesaro – legno e mobile, Ancona – meccanica, Macerata e Fermo – moda e calzature ed infine Ascoli Piceno – agroalimentare. La terza linea di intervento della prima linea era finalizzata a promuovere e realizzare 30 piani aziendali con altrettanti accordi sindacali. La seconda linea di intervento sempre durante la prima fase sono state avviate tre azioni: analisi stato dell’arte formazione continua nel contesto regionale, indagine sulle caratteristiche della domanda e dell’offerta di formazione continua nella regione ed infine ricognizione dei fabbisogni professionali e formativi relativi sia alle imprese che ai lavoratori.

La seconda fase, settembre 2013 - dicembre 2015, aveva come obiettivo la messa a regime dell’Osservatorio attraverso l’aggiornamento delle indagini conoscitive e delle attività di messa in rete e lo sviluppo delle attività delineate e/o sperimentate nel corso della prima edizione. Le attività previste erano: Animazione e assistenza tecnico-amministrativa all’implementazione e funzionamento dell’Osservatorio Regionale per la Formazione Continua.

Le azioni di animazione hanno permesso la realizzazione di due serie di focus group a livello provinciale nel 2014 e nel 2015, il monitoraggio dei piani formativi dei principali fondi interprofessionali (dati rapporto ISFOL e Regione). Aggiornamento dell’indagine sui fabbisogni professionali e formativi delle imprese della regione negli anni 2014 e 2015 e ARCPROM (Archivio Profili Marche)27.

La Regione con l’Avviso Pubblico per la presentazione di proposte progettuali per la formazione della figura professionale denominata "Agente per il Cambiamento e lo Sviluppo" – DDPF 200 del 26/05/2014 – ha finanziato due corsi di specializzazione per la formazione della figura professionale dell'Agente, riservati a soggetti occupati e soggetti disoccupati/inoccupati e la costituzione dell’albo degli agenti per il cambiamento e lo sviluppo.

Allo stato attuale il progetto FARO LAB si è concluso e la Regione sta approntando il nuovo bando per sviluppare la seconda fase del progetto di sviluppo dell’Osservatorio che dovrebbe partire nel

26 con la quale individuare le fonti di finanziamento per la formazione continua, i piani territoriali, settoriali ed aziendali nelle varie programmazioni, l’analisi dello sviluppo locale, la formazione continua nella contrattazione, la formazione continua e l’organizzazione del lavoro e monitoraggio e valutazione della formazione continua. 27 L’archivio informatizzato dei profili professionali della regione costruito attraverso l’incrocio dei dati rilevati dall’indagine sui fabbisogni professionali e formativi delle imprese con i risultati della mappatura socio-economica della regione. Obiettivo del sistema è quello di evidenziare i fabbisogni professionali espressi dalle imprese in rapporto ai territori di localizzazione delle stesse. Infine, mappatura socio-economia del territorio regionale che permetta di valutare i percorsi di sviluppo raggiunti dalle singole aree del territorio regionale attraverso un’analisi comparata.

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

201628. FARO LAB e l’Osservatorio sembrerebbero l’unica sperimentazione a livello nazionale. Infatti, vi sono diversi Osservatori Regionali sulla Formazione nell’ambito della sanità ma nulla di carattere generale come sta sperimentando le Marche.

Un analogo progetto, denominato F.A.R.O., è in corso di realizzazione in Sicilia. Sul sito www.osservatorioformazionesicilia.it dovrebbero essere illustrate tutte le attività progettuali in corso e gli output sinora prodotti29, il link al momento non è operativo. La realizzazione del progetto è stata conferita all’ATI composta da Logos come capofila, Fondazione Censis, Sfc-Sistemi Formativi Confindustria, Speha-fresia, SDI Soluzioni d’Impresa e Civita30. Il progetto avviato nel 2011 prevede tre anni di intervento31 e sette Attività: A – Quadro conoscitivo dell’offerta, B – domanda e offerta in Sicilia, C - buone pratiche, D – fabbisogni professionali e formativi, E – Seminari per le amministrazioni, F – Studio di fattibilità dell’Osservatorio e G – Comunicazione del progetto. Al termine l’Osservatorio dovrebbe essere operativo32. Il progetto della regione Marche sembrerebbe più avanzato, se non altro tutto il materiale è a disposizione sul sito della Regione.

2.4.1.4 La valutazione del Programma Operativo Fondo Sociale Europeo Marche per il 2007 – 2013

In questa sezione si presenteranno le principali conclusioni dei rapporti annuali e delle valutazioni esterne circa il POR 2007 – 2013 nell’ambito dell’asse Adattabilità. Il rapporto annuale del 2007 rileva che la programmazione è iniziata in ritardo e di conseguenza nessun progetto è stato approvato nell’anno.

Nell’anno 2008 invece sono stati presentati complessivamente 300 progetti che prevedevano il coinvolgimento di 5.000 destinatari ma gran parte dei progetti sono stati avviati e conclusi nell’anno 2009. Complessivamente sono stati impegnati 225.380 euro a fronte e solo 12.483 sono stati i pagamenti.

Nell’anno 2009 le attività iniziano a prendere piede e i progetti avviati sono 737 e costituiscono una quota pari all’89% anche se solo 69 sono stati conclusi. Il numero di destinatari raggiunti sono stati 8.800 di cui il 44,4% sono donne nell’obiettivo specifico A e 25% nell’obiettivo specifico B e 43,3% complessivamente. Sono stati impegnati quasi 13 milioni di euro ed in pagamento poco meno di 2,300 milioni di euro.

Nell’obiettivo specifico Ia: Formazione nell'ambito dell'apprendistato post obbligo formativo (Formazione per la creazione d'impresa, Formazione per occupati e Incentivi alle persone per la formazione) sono stati inseriti prevalentemente soggetti occupati, 7.355, di età compresa tra i 15 – 24 anni, 1.519, tra i gruppi vulnerabili, migranti - 415, e la maggior parte con un grado di istruzione ISCED 3, 4.904, di conseguenza con istruzione post-secondaria non terziaria.

Nell’obiettivo specifico Ib: Formazione per occupati invece il totale dei destinatari raggiunti sono prevalentemente occupati, 748 su 1.195 ma anche autonomi 298 e disoccupati 435. In questo caso, il numero dei beneficiari con un età compresa tra i 55 – 64 anni è di gran lunga maggiore, 1.072 rispetto ai

28 Questa sezione è un’ampia sintesi del sito: http://www.istruzioneformazionelavoro.marche.it/Formazione/FAROLABlaboratoriosullaformazionecontinua.aspx. Ad esso si sono aggiunte informazioni raccolte attraverso una conversazione con la Dott.ssa Simona Pasqualini, responsabile del progetto per la Regione Marche. Responsabile del progetto per l’ATI è stata la Dott.ssa Nironi di IFOA. 29 http://www.speslab.it/osservatorio-sulla-formazione-il-caso-marche. 30 http://www.soluzionidimpresa.it/osservatorio-sui-fabbisogni-formativi-regione-siciliana/. 31 http://www.sfc.it/faro. 32 http://www.formazioneprofessionalesicilia.it/joomla/ultime/al-via-l-osservatorio-regionale-dei-fabbisogni-formativi.

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1.142 complessivi. Il numero di soggetti svantaggiati sono molto limitati e tutti migranti, 25. Il grado di istruzione e prevalentemente ISCED 1, 2 e 3 cioè oltre 800 beneficiari rispetto ai complessivi 1.195.

Nell’obiettivo specifico Ic: Formazione per occupati - Incentivi alle persone per il lavoro autonomo il numero dei beneficiari coinvolti sono 254 di cui 252 occupati, solo 2 tra i 15 – 24 e nessuno tra i 55 – 64 anni e la maggior parte con un grado di istruzione ISCED 3. Per quanto riguarda la valutazione degli effetti di tali interventi, da quello che si è riuscito a trovare si può dire che nel 2009 la Regione ha finanziato corsi nell’ambito dell’artigianato artistico (orafo e lavorazione ceramica) e tecnico sviluppo tecnologico con un tasso di inserimento che varia dal 22 al 33 percento.

Nell’anno 2010 nell’obiettivo I sono stati conclusi 670 progetti ed avviati 2.316 progetti e costituiscono oltre il 97% dei progetti approvati, i destinatari raggiunti sono oltre 15.000. Per quanto riguarda l’obiettivo specifico Ia si rileva che il totale dei destinatari raggiunti è 10.767 di cui circa la metà donne, gli occupati sono 10.362, i giovani sono 3.719 mentre gli over 55 299 e i migranti 595. Il grado di istruzione si distribuisce soprattutto tra ISCED 1, 2 e 3 con oltre 8.000 beneficiari.

Nell’ambito dell’obiettivo specifico Ib il numero dei beneficiari è di 1.914 di cui 1.854 sono gli occupati, i giovani e gli over 55 sono rispettivamente 103 e 109 ed i gradi di istruzione ISCED 1,2 e 3 rappresentano oltre 1.400 destinatari. Nell’ambito Ic il numero di destinatari complessivo è di 2.238 di cui 2.043 sono occupati, i giovani e gli anziani sono 175 e 108 rispettivamente mentre i migranti sono 152. I gradi di istruzione 1, 2 e 3 rappresentano circa 2.150 destinatari. In provincia di Pesaro Urbino si sono conclusi corsi di disegnatore, animatore turistico, comunicazione e immagine turistica, tecnico direzione cantieri, tecnico problematiche socio-educative, operatore contabilità, tecnico di sistemi integrati di certificazione di competenze, tecnico logistica e movimentazione e operatore CAD/CAM con un grado di assunzione che varia dal 50 al 70 per cento. In Provincia di Ancona corsi per addetto riparazione, tecnico logistica, operatore amministrazione del personale, operatore della salute e del benessere, addetto di cucina, tecnico risparmio energetico, operatore marketing, operatore socio sanitario e operatore prodotti tipici con un tasso di inserimento lavorativo lordo che varia dal 60 al 90 percento. In provincia di Macerata operatore macchine utensili, tecnico sistemi CAD/CAM, contabilità fiscale e operatore della salute e del benessere con un tasso di successo che va dal 12 al 78 percento.

Il rapporto di valutazione in itinere sul FES Marche 2007 – 2013 del 2010 redatto dall’ATI composto dalla Fondazione Brodolini e dall’IRS condotto su un campione di 9.000 intervistati attraverso interviste telefoniche sui lavoratori in CIGS e non circa l’occupabilità del servizio placement e Servizi Pubblici per l’impiego (SPI), nel complesso 1.531 lavoratori principalmente del settore manifatturiero. Si tratta di lavoratori di imprese consolidate della provincia di Fermo per il 36% e del 15% della Provincia di Macerata e per il 12% della provincia di Pesaro. I partecipanti all’indagine sono distribuiti in modo relativamente uniforme su tutte le classi di età. L’80% di essi ha un grado di istruzione elementare-medio ed il 19% superiore tuttavia l’80% ha la qualificata di operaia. Quasi la metà di essi è venuto a conoscenza del corso dal datore di lavoro e per il 29% circa dal sindacato e solo il 18% dal CIOF.

Le principali conclusioni sono le seguenti: I lavoratori interessati sono addetti alle piccole e medie imprese manifatturiere di tipo artigianale per oltre l’80%. Le restanti imprese appartengono al settore dei servizi. Le strategie informative adottate da questi lavoratori vedono prevalere le relazioni consolidate (il datore di lavoro e il sindacato), ma quasi 1/5 dei lavoratori si rivolge ai CPI. Dal punto di vista organizzativo, l’accesso ai CPI non pare aver presentato problemi di sorta. I problemi segnalati riguardano piuttosto la conciliazione delle attività con i tempi di vita familiare e con la ripresa dell’attività lavorativa. Il livello di soddisfazione espresso dagli intervistati per i servizi ricevuti appare elevato, soprattutto per la fase di accoglienza e per quella di bilancio delle competenze, con risposte

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

positive che raggiungono il 95% dei rispondenti; anche per quanto riguarda il piano formativo la soddisfazione è più contenuta ma sempre ad un livello elevato (75%). Nel passaggio dai servizi più semplici a quelli più complessi si allarga la forbice tra il livello di soddisfazione e quello di utilità percepita, minore nei servizi più complessi. Una parte maggiore di lavoratori sembra distinguere tra l’impegno mostrato dagli operatori dei Centri e la capacità concreta di dare risposte utili alla condizione professionale individuale. Pare qui incidere, oltre ai problemi di natura organizzativa dovuti al numero elevato di trattati e alla sfasatura temporale tra momento della sospensione e momento della politica attiva, l’eterogeneità delle persone coinvolte, cioè la diversità delle condizioni professionali di persone con età, livello di istruzione ed aspettative diverse. Per la maggior parte dei lavoratori si è trattata della prima esperienza di contatto con i CPI, e questo rafforza sia il valore del giudizio positivo sui servizi ricevuti, sia l’impressione che per una larga maggioranza di questi lavoratori il CPI è ritenuto uno strumento a cui ricorrere in caso di bisogno, vuoi per migliorare la competenza professionale vuoi per cercare alternative di lavoro. La maggioranza dei lavoratori intervistati nutre una ragionevole fiducia che la propria impresa sia in grado di superare le attuali difficoltà tuttavia circa il 20% di essi dichiara di cercare un’alternativa, anche indipendentemente dalle difficoltà della propria impresa.

Nell’anno 2011 i progetti conclusi sono stati 2.053 e quelli avviati 4.007 circa il 95% dei progetti approvati, il numero di destinatari coinvolti sono oltre 22.000 di cui 88% occupati e subordinati, di età compresa tra i 25 ed i 55 anni, 73%, e con un massimo di scuola media superiore, 81%. Nell’obiettivo specifico dell’asse Adattabilità sono stati inseriti 12.749 destinatari di cui circa la metà donne. Complessivamente sono stati impegnati oltre 37 milioni di euro e 24 milioni liquidati.

Nell’ambito dell’obiettivo specifico Ia 11.883 sono stati i destinatari ed in prevalenza occupati di cui 4.162 tra i giovani e 280 tra gli over 55 anni e 681 migranti. I destinatari con un grado di istruzione ISCED 1, 2 e 3 sono oltre 9.000. In questo caso tuttavia vi sono oltre 2.678 destinatari con un grado di istruzione ISCED 5 e 6.

Nell’ambito dell’obiettivo specifico Ib sono stati inseriti 2.527 destinatari con una quota di donne inferiore rispetto alla media, 887 e 2.477 sono gli occupati, 132, 216 e 71 rispettivamente i giovani, gli anziani ed i migranti. Infine la fascia del grado di istruzione più numerosa è la prima con 1.039 partecipanti.

Nell’ambito dell’obiettivo specifico Ic i partecipanti sono stati 6.943 di cui 5.289 occupati e soprattutto 1.654 lavoratori in CIG, 607 i giovani, 426 gli anziani e 614 i migranti. Le due classi inferiori di grado di istruzione complessivamente contano oltre 6.500 partecipanti.

Nell’anno 2012 i progetti conclusi sono 3.721 e quelli avviati oltre 6.500 e sono oltre il 97% dei progetti approvati con un numero di partecipanti che si attesta in 37.000 con una forte percentuale di occupati, 89%, compresa tra i 25 ed i 54 anni, 76%, e con al massimo il diploma di scuola media superiore, 85%. Per un ammontare complessivo di risorse impegnate di 61,5 milioni di euro e liquidate per quasi 40 milioni.

Nell’ambito dell’obiettivo specifico Ia sono stati inseriti 15.520 destinatari di cui 14 mila circa occupati, oltre 2 mila gli autonomi, i giovani sono circa 5 mila mentre gli anziani sono 385 ed i migranti 875. Infine il grado di istruzione delle prime due classi raccoglie oltre 11 mila partecipanti anche se la classe più avanzata comprende 3.120 destinatari.

Nell’ambito dell’obiettivo specifico Ib quasi 5 mila sono stati i partecipanti di cui oltre il 90% sono gli occupati mentre gli autonomi sono stati 1.518, anche in questo caso la percentuale di donne è

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inferiore al 30% i giovani sono stati 338, gli anziani 509 e i migranti 224. Le prime due classi di grado inferiore di istruzione contano quasi 5.000 partecipanti.

Nell’ambito dell’obiettivo specifico Ic 14,5 mila sono i partecipanti di cui 12.451 gli occupati e oltre 2.100 i lavoratori in CIG. I giovani sono stati 1.119 e gli anziani 1.230 mentre i migranti 1.312. Il grado di istruzione risulta essere medio basso, le prime due classi contano oltre13 mila partecipanti.

Nell’anno 2013 sono stati conclusi 6.213 ed avviati 10.122 progetti con il coinvolgimento di 51 mila destinatari per lo più occupati, il 90%, oltre il 77% tra i 25 ed i 54 anni e con una percentuale di beneficiari con un titolo di scuola media superiore di oltre l’86%. Nel complesso sono stati impegnai 71,7 milioni di euro e liquidati oltre 57 milioni di euro.

Nell’ambito dell’obiettivo specifico Ia sono stati inseriti 19.146 destinatari di cui oltre 18 mila occupati circa la metà donne e 5.157 giovani, 731 anziani e 1.140 migranti mentre il grado di istruzione di oltre 70% è di livello medio basso ma sono stati inseriti anche 3.492 partecipanti con un grado di istruzione terziario.

Nell’ambito dell’obiettivo specifico Ib oltre 7 mila partecipanti di cui quasi 7.000 occupati ma solo 1/6 donne, 446 giovani, 677 anziani e 293 migranti. Il titolo di studio prevalente è quello di scuola media inferiore con oltre 3.700 e poi con la scuola superiore con 2.434.

Nell’ambito dell’obiettivo specifico Ic sono stati inseriti oltre 25,5 mila partecipanti di cui il 40% circa donne, di cui oltre 22.000 occupati e oltre 3.000 lavoratori in CIG, 2.027 giovani, 2.383 anziani e 2.516 migranti. Di essi oltre 22.000 con un grado inferiore alle scuole superiori e oltre 1.600 con la laurea. Questo è l’anno in cui probabilmente la crisi ha raggiunto il suo apice e quindi si evidenzia una forte presenza di giovani, anziani e migranti che sono i soggetti più vulnerabili e i più colpiti dalla crisi.

Con l’anno 2014 si chiude il programma anche se in ritardo, i progetti conclusi sono 8.808 ed avviati 11.487 con un numero di partecipanti che arriva fino a 57.000, molti di essi sono occupati e di età compresa tra i 24 ed i 54 anni, 78% e con un massimo di scuola media inferiore, il 45%. Complessivamente sono stati impegnati oltre 81 milioni di euro e liquidati oltre 74 milioni di euro.

Nell’ambito dell’obiettivo specifico Ia sono stati inseriti 21.373 partecipanti di cui 20 mila occupati e poco meno della metà donne, 1.004 lavoratori in CIG, 5.310 giovani tra i 15 -24 anni, 928 anziani e per la prima volta nessun migranti e 468 partecipanti con altre tipologie di svantaggi. Tra i partecipanti 6.700 avevano un grado di istruzione massimo della scuola media inferiore e 8,7 mila la scuola media superiore ed infine 3.800 circa la laurea.

Nell’ambito dell’obiettivo specifico Ib sono stati inseriti 7.7 mila partecipanti di cui 7,5 mila occupati e solo 1/3 donne mentre i lavoratori autonomi risultano essere quasi 2.000. Pochi i giovani così come gli anziani ed i migranti rispettivamente 481, 747 e 345. Il titolo di studio prevalente è la scuola media inferiore con oltre 4 mila partecipanti e a seguire i partecipanti con un titolo di studio superiore, 2.600 circa.

Nell’ambito dell’obiettivo specifico Ic oltre 28 mila partecipanti di cui circa 24,5 mila occupati di cui circa il 40% donne e 3.388 lavoratori in CIG. I giovani sono stati 2.236, gli anziani 2.586 ed i migranti 2.729. tra di essi, 15.522 con un titolo di studio di scuola media inferiore, 9.700 circa con un titolo di studio di scuola media superiore ed infine 1.654 con la laurea.

Alla luce di tale analisi si conclude che nell’arco dell’intero programma sono stati presentati complessivamente 32.312 progetti di cui 23.428 approvati, 22.974 avviati e 17.616 conclusi. Quindi

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

circa 2/3 dei progetti sono stati approvati ed oltre la metà sono stati conclusi entro la fine del 2014. Circa la metà dei progetti presentati, approvati, avviati e conclusi sono da imputare all’asse specifico Ic mentre la minore percentuale di progetti approvati è nell’asse specifico Ib con meno della metà (Tabella 2.11). Complessivamente i progetti prevedevano il coinvolgimento di circa 211 mila partecipanti di cui quasi la metà nell’ambito dell’obiettivo specifico Ic e poco oltre 1/3 dell’obiettivo specifico Ia. I progetti approvati hanno coinvolto circa 131 mila partecipanti mentre i progetti avviati circa 114 mila ed infine i progetti conclusi hanno portato un beneficio ad oltre 89 mila destinatari. Considerando che l’asse I contava su quasi 84 milioni di euro e ne sono stati impegnati oltre 81 milioni, di conseguenza ogni partecipante avviato è costato circa 712 euro e ogni partecipante che ha concluso il percorso è costato circa 911 euro (tabella 2.12).

2.4.2 Il Programma Operativo Regionale Marche - Fondo Sociale Europeo 2014 - 2020 In data 11/2014 è stato adottato il nuovo POR Marche 2014 – 2020 intitolato “Investimenti in

favore della crescita e dell’occupazione” con un obiettivo generale che si prefigge: di innalzare i livelli occupazionali e favorire l’inclusione sociale. Il POR manifesta un nuovo approccio rispetto ai precedenti in quanto mostra una maggiore standardizzazione per quanto riguarda la presentazione così come la trasversalità delle azioni proposte. Inoltre, il POR risente anche del fatto che il programma richiede di concentrare almeno l’80% delle risorse su 5 priorità. Questo ha fatto sì che alcune misure presenti nei precedenti POR, nonostante la valutazione avesse suggerito l’attivazione, non sono state attivate. Il POR presenta le dinamiche e le criticità del territorio, la popolazione residente è pari a 1.545.155 unità (dati 2013). Il trend demografico è in crescita e le previsioni Istat al 2020 indicano, nello scenario centrale, un incremento della popolazione residente, nonché un innalzamento sia dell’indice di vecchiaia che dell’indice di dipendenza strutturale. Per quanto riguarda la popolazione in età attiva, nel periodo interessato, la popolazione in età attiva (981 mila unità nel 2013) crescerà, sia a causa della dinamica demografica prevista che degli effetti delle recenti riforme del sistema pensionistico, di circa 200 mila unità. L’universo dei giovani di età compresa tra i 15 e i 24 anni si manterrà, invece, nell’intervallo compreso tra le 146 e le 150 mila unità. Le donne continueranno a rappresentare una quota pari al 51% della popolazione residente e di quella in età attiva e una quota pari al 48% dei giovani al di sotto dei 24 anni.

Nonostante, rispetto al 2008, l’industria abbia perso circa 33 mila addetti, la quota regionale di occupazione industriale è da anni la più alta d’Italia e si attesta, nel 2013, al 35,9% del totale. Il terziario assorbe il 61,8% degli occupati (69,1% Italia). Tra il 2008 e il 2012 si è registrato un leggero incremento occupazionale. La riduzione dell’occupazione industriale, data dalla terziarizzazione dell’economia e dalla globalizzazione, va in parte considerata fisiologica. In parte però è correlata alla contrazione dei consumi a livello regionale, nazionale e UE (¾ del fatturato export regionale) e ad elementi di criticità strutturale: produttività del lavoro nell’industria in senso stretto e un’incidenza della spesa pubblica e privata in attività in R&S sul PIL inferiori a quelle medie nazionali e delle regioni del centro Italia; una quota insoddisfacente di addetti dedicati ad attività di R&S (nonostante una quota maggiore di laureati in materie scientifiche e tecnologiche rispetto al centro e al dato nazionale); una quota di occupati in possesso di un diploma di laurea (18,3% nel 2012) leggermente più bassa di quella media nazionale e del centro Italia e, specularmente, una quota più alta di lavoratori in possesso, al massimo, di un diploma di licenza media inferiore; elevata specializzazione del sistema produttivo in settori a bassa intensità di capitale; prevalenza della PMI che non consente di sfruttare fattori di scala che mina alcuni aspetti: marketing, logistica, R&S, ecc.). Rispetto ai dati pre-crisi, il tasso di occupazione è diminuito di 3,8 punti percentuali a livello complessivo (- 30 mila posti di lavoro), di oltre 6 punti nel caso della componente maschile della forza lavoro (- 29 mila unità circa) e di oltre 15 punti nel caso dei giovani tra i 15 e i 24 anni (-23 mila unità). Nel caso degli over 55, invece, date le riforme del sistema pensionistico,

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si è registrato un incremento sia dei tassi di attività che di quelli di occupazione (+ 10,7 punti percentuali in totale e + 11,3 punti percentuali nel caso delle donne).

La crisi dell’industria manifatturiera e la contrazione dei livelli occupazionali si sono tradotte in un innalzamento generalizzato dei tassi di disoccupazione e del tasso di disoccupazione di lunga durata. Dato l’allungamento della vita attiva, l’incremento dei tassi di disoccupazione riguarda tutte le classi di età. Raggiunge, però, punte di assoluta criticità nel caso dei giovani. Tra il 2007 e il 2013, infatti, il tasso di disoccupazione over 15 è passato dal 4,2% al 11,3%; quello giovanile, invece, è aumentato di oltre 17 punti percentuali nella classe di età 15-29 e di quasi 27 punti percentuali nella classe 15-24 anni. Il tasso di disoccupazione della forza lavoro altamente scolarizzata (8% nel 2013) è tra i più alti del centro nord Italia e nel caso delle donne (11%) è il più alto di tutta l’area. In termini assoluti, le variazioni descritte hanno incrementato gli individui alla ricerca di un impiego che, nel 2013, è pari a 77 mila persone (+50 mila unità circa rispetto al 2007). Il decremento dei tassi di occupazione giovanili, il contestuale incremento dei loro tassi di disoccupazione, l’allungamento dei tempi medi di ricerca di un lavoro e la presenza di difficoltà di inserimento occupazionale anche nel caso di elevati livelli di scolarizzazione hanno innescato fenomeni di scoraggiamento che si sono tradotti nella riduzione dei tassi di attività specifici (- 6,7 punti percentuali nella classe di età 15-29 e – 9,1 punti percentuali nella classe 15-24) e hanno determinato l’incremento dell’universo regionale dei giovani NEET.

Tra il 2009 e il 2013, nelle Marche, il ricorso alla CIG è stato comparativamente più elevato di quello di tutte le altre regioni d’Italia ad eccezione dell’Umbria e le ore autorizzate nel 2012 corrispondono a circa 21 mila lavoratori full time equivalent. Tassi di occupazione registrati tra il 2012 e il 2013 (-1,6 punti percentuali a fronte di una variazione di – 3,8 punti percentuali tra il 2007 e il 2013).

La riduzione del tasso di occupazione è stata accompagnata da un incremento della flessibilità in entrata che ha abbassato al 10,1%, nel 2013, la quota di avvii regolati da contratti di lavoro a tempo indeterminato. Va sottolineato, inoltre, che più della metà della riduzione di occupati registrata tra il 2008 e il 2012 nella classe 15-64 è dovuta alla fuoriuscita dal mercato del lavoro di lavoratori autonomi; tra il 2007 e il 2011 il numero dei lavoratori parasubordinati si è ridotto di oltre il 21% nelle classi di età inferiori, ma è aumentato (+9%) nel caso degli ultra 60enni; i divari di genere nei tassi di occupazione si mantengono al di sotto di quelli medi del centro nord Italia e si sono ridotti nel tempo, ma, a partire dal 2007, il trend è stato per lo più determinato dal decremento dei tassi di occupazione della componente maschile della forza lavoro; il permanere di elevati divari di genere nei tassi di occupazione non è giustificata da una minore qualificazione della forza lavoro femminile. Da diversi anni, infatti, per le donne si registrano tassi di partecipazione all’istruzione superiore ed universitaria più elevati di quelli degli uomini (nell’a.a. 2013/14, le donne costituiscono più del 57% degli immatricolati totali e, nell’a.a. precedente, quasi il 60% dei laureati totali). Le cause dei gender gap che ancora si rilevano vanno quindi principalmente rintracciate nella presenza di fenomeni di segregazione orizzontale, determinati dal peso occupazionale dell’industria manifatturiera, tradizionalmente ad elevata occupazione maschile, e nella carenza dei servizi di cura in grado di favorire la conciliazione. Si noti, in proposito, che nel 2013 la quota di bambini 0-3 presi in carico dai servizi per la prima infanzia era pari nelle Marche al 16,9%, contro un dato medio delle regioni del centro pari al 18% e un benchmark comunitario fissato per il 2010 al 33% mentre l’indice della presa in carico con servizi di assistenza domiciliare era pari allo 0,7% nel caso degli anziani e al 7,2% nel caso di persone diversamente abili (contro valori medi delle regioni del centro rispettivamente pari allo 0,8% e all’8,9%).

Gli immigrati presenti sul territorio regionale rappresentano, ormai da un quinquennio, una quota sostanzialmente stabile (3,3% circa) sul totale nazionale. Tuttavia, a causa di saldi naturali costantemente negativi, tra il 2001 e il 2013, l’incidenza degli immigrati sul totale dei residenti è passata,

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

dal 3,1% ad oltre il 9% (con una punta dell’11% in provincia di Macerata) e ciò colloca le Marche tra le regioni italiane a maggiore intensità di presenza di cittadini stranieri. Sempre nell’ultimo quinquennio, inoltre, la composizione per genere e classe di età degli immigrati residenti si è leggermente modificata. L’incremento della domanda di servizi di cura ha comportato un aumento dei flussi migratori provenienti dai paesi dell’Est Europa e un incremento dell’incidenza delle donne sul totale degli immigrati presenti (54,3% del totale, nel 2013). Contestualmente, è leggermente aumentata la quota di immigrati in età attiva (77,1%, nel 2013) e si è specularmente ridotta la quota dei residenti con cittadinanza non italiana di età compresa tra 0 e 18 anni. Tra questi ultimi, è più elevata della media nazionale la quota di chi partecipa ad un regolare corso di studi a causa di una maggiore presenza, in regione, di immigrati di seconda generazione. Il processo migratorio si caratterizza “temporaneo” (data dall’alta domanda di servizi di cura) e “stabile”.

Sia all’inizio degli anni 2000 sia nel 2009, le Marche si collocavano all’11° posto del ranking delle regioni italiane costruito sulla base del PIL p.c.. Tra il 2008 e il 2010, l’indice di povertà relativa riferito alla popolazione ha però subito un’impennata e superato i valori medi delle regioni del centro nord. Va rilevato che, nel 2013, quasi 9 persone su 100 vivono in famiglie con un spesa per consumi al di sotto della soglia di povertà. Per tutti gli anni 2000 il tasso di partecipazione all’istruzione secondaria superiore si è mantenuto al di sopra del valore medio nazionale e del centro Italia ed in crescita. Nel 2013, la dispersione scolastica si colloca al 13,7% (Italia: 17%) e la quota di laureata è pari al 13,2% (leggermente più alta di quella media del centro nord). La quota di laureati in discipline scientifiche e tecnologiche è passata, tra il 2000 e il 2010, dal 5,1% al 14,6%. I dati testimoniano, quindi, un progressivo innalzamento dei livelli di scolarità della popolazione più giovane. Tuttavia, la quota di popolazione residente di età compresa tra i 25 e i 64 anni in possesso, al massimo, della licenza media è ancora pari al 40,4% del totale. Per quanto riguarda le criticità il POR sottolinea come: continuino a rimanere elevati i livelli di disoccupazione giovanile, il rischio di un progressivo incremento, causa la contrazione occupazionale dell’industria manifatturiera, dei disoccupati appartenenti a classi di età superiori a quelle più coinvolte dalla mancanza di opportunità di lavoro; continua i divario di genere; esistenza di nuovi fenomeni di povertà ed esclusione sociale causa la disoccupazione.

Alla luce di quanto sopra evidenziato dalla Regione, il POR è stato concentrato nelle seguenti azioni: Obiettivo Tematico (OT) 8 – Occupazione: Promuovere un’occupazione sostenibile e di qualità e sostenere la mobilità dei lavoratori. In particolare in questo ambito si intende rafforzare le politiche e gli interventi nell’ambito dell’occupazione in generale (8.i) e dei giovani in particolare (8.ii), ridurre le disparità di genere (8.iv), l’adattabilità in sinergia con le risorse garantite dalla L. 236/93, dalla L. 53/2000 e dai fondi interprofessionali (8.v) ed infine il miglioramento dei servizi dei CIP quali orientamento, counselling, incrocio domanda-offerta, ecc mentre gli obiettivi di incentivazione alla creazione di impresa (8.iii) e all’invecchiamento attivo (8.vi) non sono stati attivati ma la Regione intende perseguirli attraverso le azioni pluritarget previste. Poco meno della metà delle risorse impiegate sono destinate all’obiettivo occupazione (OT 8.i) ed oltre il 65% sono destinate all’obiettivo generale dell’occupazione (OT 8 – tabella 2.13).

Obiettivo Tematico (OT) 9 – Inclusione sociale e lotta alla povertà: Promuovere l’inclusione sociale e combattere la povertà e ogni discriminazione. L’obiettivo tematico 9 è esplicitato in due direzioni che tengono conto dell’inclusione attiva e dei servizi sociali per un ammontare rispettivamente dell’8% e del 10,50% delle risorse complessive. In questo ambito diverse sono le priorità non attivate in quanto ritenute non determinanti rispetto all’analisi di contesto (tabella 2.14).

Obiettivo Tematico (OT) 10 – Istruzione e formazione: Investire nell’istruzione, nella formazione e nella formazione professionale per le competenze e l’apprendimento permanente. In questo ambito la

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regione intende investire le risorse nella riduzione della dispersione scolastica, sulla formazione permanente e sull’istruzione formazione. Le risorse impegnate non sono particolarmente impegnative rispettivamente l’1%, 2,50% e 8,50% per un ammontare generale che è di circa il 12% (Tabella 2.15).

Obiettivo Tematico (OT) 11 – Capacità istituzionale e amministrativa: Rafforzare la capacità istituzionale delle autorità pubbliche e delle parti interessate. In questo ambito la regione ritiene di aver fatto già a sufficienza ma che vanno implementate misure specifiche e di carattere prevalentemente informatiche per la corretta programmazione delle politiche. Complessivamente l’implementazione di questa misura prevede 11 milioni euro, circa il 4% delle risorse complessive.

Il budget complessivo previsto è di 278,.4 milioni per le azioni specifiche e di 9,5 milioni per l’assistenza tecnica per un esborso complessivo di 287,9 milioni.

Nell’ambito della priorità 8.5 (Adattabilità) che è strettamente correlata ai fondi interprofessionali si prevede l’adattamento dei lavoratori, delle imprese e degli imprenditori ai cambiamenti. La Regione ha definito la strategia per sostenere il riposizionamento competitivo dell’industria manifatturiera e favorire il progressivo sviluppo di settori di attività, anche non industriali, in grado di garantire un’adeguata ricomposizione merceologica del sistema produttivo puntando sullo sviluppo dell’innovazione, delle energie rinnovabili, della smart economy, dell’economia sociale, del turismo, della cultura, ecc., nonché al sostegno a reti di imprese, in sinergia con le strategie di filiera perseguite nell’ambito del POR FESR. Gli interventi programmati nell’ambito della priorità 8.5, in sinergia con quelli previsti in attuazione della priorità 10.3, saranno finalizzati a sostenere gli obiettivi di sviluppo. Tuttavia, a differenza degli interventi che saranno implementati nella 10.3 (qualificazione del capitale umano a prescindere dalle condizioni occupazionali dei destinatari), gli interventi attuativi della 8.5 saranno principalmente indirizzati alla qualificazione della forza lavoro al fine di contrastare il progressivo ridimensionamento occupazionale dei settori portanti dell’economia e sostenere la permanenza nel mercato del lavoro degli occupati coinvolti da crisi aziendali. E’ pertanto previsto che la priorità concorra anche all’implementazione degli ITI per le aree in crisi programmate nell’ambito del POR FESR.

La programmazione degli interventi risponderà ad una strategia di policy che prevede: l’integrazione con i Fondi Interprofessionali e le leggi nazionali, per finanziare interventi di formazione continua, l’adozione di una logica di mainstreaming sul fronte delle pari opportunità di genere e migliorare la qualità del lavoro e potenziamento della sicurezza nei luoghi di lavoro e dell’invecchiamento attivo. Nell’ambito della priorità 8.5 potranno inoltre essere attivate linee di intervento per garantire l’acquisizione di servizi e consulenze da parte delle imprese e la stabilizzazione dei lavoratori precari. Gli interventi potranno anche assumere carattere di progetti interregionali o transnazionali. In particolare la Regione intende attivarsi per le seguenti azioni: Attività di orientamento, counselling, profiling, ecc.; Formazione continua (in sinergia con Fondi Interprofessionali e fondi derivanti da L. 236/93 e 53/2000); Azioni integrate, tra cui azioni di riqualificazione e di outplacement dei lavoratori coinvolti in situazioni di crisi collegate a piani di riconversione e ristrutturazione aziendale; Interventi per la mobilità di lavoratori a fini formativi; Interventi di workers buyout rivolti ai lavoratori coinvolti in situazioni di crisi; Progetti per la responsabilità sociale di impresa e Servizi di consulenza alle imprese.

Destinatari degli interventi: occupati e lavoratori autonomi (indipendentemente dalla tipologia di contratto, dalla classe di età, dal genere e dalla cittadinanza). Beneficiari: pubblica amministrazione, imprese, servizi per l’impiego, enti di formazione. La regione si prefigge in questo ambito il miglioramento della condizione di lavoro entro i sei mesi successivi alla fine della partecipazione dei beneficiari di circa il 55% degli uomini, di circa il 51% delle donne e complessivamente del 53% entro il 2023 rispetto allo scenario base del 2011 (tabella 2.16).

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2.5 Conclusioni Dai documenti e siti presi in considerazione e quindi dal capitolo appena concluso è difficile poter

giungere a delle conclusioni circa l’efficacia degli interventi della formazione finanziata in quanto è praticamente impossibile riuscire a trovare informazioni circa l’impatto di ciascun programma sui partecipanti così come comprendere quali siano i fabbisogni formativi soddisfatti e quelli da soddisfare. Infatti, poche le informazioni ed i dati disponibili circa la tipologia ed i risultati di corsi avviati e conclusi, in particolare dai RAE.

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Abstract

In questo capitolo si sono presentate le principali fonti di finanziamento per la formazione continua. In particolare l’FSE con i Piani Operativo Regionali (POR) ed i Piani Operativi Nazionali (PON), la L. 236/93 e la L. 53/00 ed infine la L. 845/78 e la L. 388/00 che istituiscono e regolamento i Fondi Paritetici Interprofessionali.

Per quanto concerne il contributo del 0,30%, in questi anni la somma complessiva è stata oscillante a causa della diminuzione dei contributi ma anche a causa dei prelievi effettuati da parte dello Stato per finanziare la CIG. Tuttavia complessivamente dal 2008 al 2014 sono stati 3,5 miliardi le risorse andate ai fondi paritetici mentre il versamento complessivo è oltre 5 miliardi. Complessivamente la somma a beneficio dei fondi oscilla tra il 53% ed il 71% dei contributi versati (si veda capitolo V).

Per quanto riguarda le risorse destinate alla formazione con la legge 236/93 articolo 9 comma 3, anche in questo caso il Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali ha deciso di utilizzarli per sostenere il reddito dei lavoratori disoccupati o a rischio di esclusione dal mercato del lavoro. Tuttavia il Ministero ha continuato a sostenere gli interventi di carattere regionale per la formazione collettiva ed individuale. In questo caso, la Regione ha preferito utilizzare le risorse per interventi anticrisi formazione, a differenza di altre regioni che hanno optato per l’utilizzo per la sola formazione. Di conseguenza tali risorse sono state girate dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali alla Regione la quale le ha girate all’INPS per finanziare la CIG e la mobilità in deroga. Complessivamente la Regione ha beneficiato di 5,3 miliardi di euro di cui 4,2 sono stati impegnati per misure anticrisi. L’ISFOL fa notare che le regioni tuttora non prevedono interventi congiunti tra risorse pubbliche e quelle dei fondi interprofessionali.

Infine per quanto riguarda la Legge 53/00 che prevede il finanziamento di iniziative di formazione per lavoratori occupati e non del settore pubblico e privato a carattere regionale secondo due tipologie di intervento: progetti delle imprese che prevedono la riduzione dell’orario di lavoro e progetti presentati dai singoli lavoratori (formazione a domanda individuale). Generalmente le regioni integrano le risorse FSE con queste ultime data la scarsità delle risorse a disposizione per la L. 53/00. Le regioni generalmente utilizzano tali risorse per interventi individuali attraverso i voucher formativi da spendere presso enti formativi. Alcune regioni mettono a disposizione dei lavoratori anche un catalogo online dei corsi formativi. Altre regioni hanno aderito al “catalogo interregionale dei corsi di alta formazione”. In questo ambito la Regione Marche ha beneficiato di 419,5 milioni di euro per l’anno 2014.

Per quanto riguarda i POR, si sono presi in considerazione i risultati raggiunti nel POR appena concluso 2007-2013 e la nuova programmazione POR 2014-2020.

Sulla base dell’analisi SWOT e del contesto regionale, la regione ha deciso di investire le risorse del POR 2007 – 2013 nell’obiettivo di incrementare la qualità del lavoro, sviluppando le seguenti azioni: la qualità intrinseca del lavoro (misurata dal grado di soddisfazione dei lavoratori in termini di retribuzione, situazione lavorativa e prospettive di carriera); la qualità e l'efficienza dei sistemi di istruzione e formazione (che va perseguita allo scopo di promuovere la produttività, la competitività e il prolungamento della vita attiva, la partecipazione degli adulti all'istruzione e alla formazione e garantire l'accesso alla formazione per tutti); la parità di genere; la tutela della salute e della sicurezza sul lavoro; il giusto equilibrio tra flessibilità e sicurezza (per garantire uno sviluppo socialmente sostenibili); l'integrazione sociale (per offrire a tutti i cittadini in età lavorativa disposti e in grado di lavorare la possibilità di entrare e rimanere sul mercato del lavoro); la conciliazione tra vita lavorativa e privata; il dialogo sociale e la partecipazione dei lavoratori ai processi decisionali interni alle imprese; la gestione

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della diversità e la lotta alla discriminazione basata sul genere, l'età, l'handicap o l'origine etnica; i livelli occupazionali. Promuovere/sostenere l’adattabilità dei lavoratori e delle imprese e incrementare la quota di lavoratori e imprenditori, in particolare PMI, in formazione continua al fine di favorire tra gli altri obiettivi, al fine di massimizzare i risultati, instaurare un adeguato coordinamento con i Fondi Interprofessionali definendo stringenti modalità di interazione; b) utilizzo sinergico delle risorse per la formazione continua; e) migliorare la selezione dei progetti perché siano in linea con l'obiettivo di favorire la competitività e l’occupazione; d) accesso più flessibile e rapido alla formazione continua (es: formazione "just in time"); e) standardizzazione dell’erogazione della formazione individuale (si veda tabella A.2.3). Nell’ambito del POR 2007-2014 è stato avviato il progetto FARO LAB per la costituzione dell’Osservatorio per la formazione continua.

Il rapporto di valutazione in itinere sul POR 2007 – 2013 del 2010 condotto su un campione di 9.000 intervistati sui lavoratori in CIGS e non circa l’occupabilità del servizio placement e Servizi Pubblici per l’impiego (SPI), nel complesso 1.531 lavoratori principalmente del settore manifatturiero. Si rileva che quasi la metà di essi è venuto a conoscenza del corso dal datore di lavoro e per il 29% circa dal sindacato e solo il 18% dal CIOF. Le principali conclusioni sono le seguenti: I lavoratori interessati sono addetti alle piccole e medie imprese manifatturiere di tipo artigianale per oltre l’80%. Le restanti imprese appartengono al settore dei servizi. Le strategie informative adottate da questi lavoratori vedono prevalere le relazioni consolidate (il datore di lavoro e il sindacato), ma quasi 1/5 dei lavoratori si rivolge ai CPI. Dal punto di vista organizzativo, l’accesso ai CPI non pare aver presentato problemi di sorta. I problemi segnalati riguardano piuttosto la conciliazione delle attività con i tempi di vita familiare e con la ripresa dell’attività lavorativa. Il livello di soddisfazione espresso dagli intervistati per i servizi ricevuti appare elevato, soprattutto per la fase di accoglienza e per quella di bilancio delle competenze, con risposte positive che raggiungono il 95% dei rispondenti; anche per quanto riguarda il piano formativo la soddisfazione è più contenuta ma sempre ad un livello elevato (75%). Nel passaggio dai servizi più semplici a quelli più complessi si allarga la forbice tra il livello di soddisfazione e quello di utilità percepita, minore nei servizi più complessi. Una parte maggiore di lavoratori sembra distinguere tra l’impegno mostrato dagli operatori dei Centri e la capacità concreta di dare risposte utili alla condizione professionale individuale. Pare qui incidere, oltre ai problemi di natura organizzativa dovuti al numero elevato di trattati e alla sfasatura temporale tra momento della sospensione e momento della politica attiva, l’eterogeneità delle persone coinvolte, cioè la diversità delle condizioni professionali di persone con età, livello di istruzione ed aspettative diverse. Per la maggior parte dei lavoratori si è trattata della prima esperienza di contatto con i CPI, per una larga maggioranza di questi lavoratori il CPI è ritenuto uno strumento a cui ricorrere in caso di bisogno. La maggioranza dei lavoratori intervistati nutre una ragionevole fiducia che la propria impresa sia in grado di superare le attuali difficoltà tuttavia circa il 20% di essi dichiara di cercare un’alternativa. Alla luce di tale analisi si conclude che nell’arco dell’intero programma sono stati presentati complessivamente 32.312 progetti di cui 23.428 approvati, 22.974 avviati e 17.616 conclusi. Quindi circa 2/3 dei progetti sono stati approvati ed oltre la metà sono stati conclusi entro la fine del 2014. Circa la metà dei progetti presentati, approvati, avviati e conclusioni sono da imputare all’asse specifico Ic mentre la minore percentuale di progetti approvati è nell’asse specifico Ib con meno della metà (Si veda Tabella A.2.11). Complessivamente i progetti prevedevano il coinvolgimento di circa 211 mila partecipanti di cui quasi la metà nell’ambito dell’obiettivo specifico Ic e poco oltre 1/3 dell’obiettivo specifico Ia. I progetti approvati hanno coinvolto circa 131 mila partecipanti mentre i progetti avviati circa 114 mila ed infine i progetti conclusi hanno portato un beneficio ad oltre 89 mila destinatari. Considerando che l’asse I contava su quasi 84 milioni di euro e ne sono stati impegnati oltre 81 milioni, di conseguenza ogni partecipante avviato è costato circa 712 euro e ogni partecipante che ha concluso il percorso è costato circa 911 euro (si veda Tabella A.2.12).

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La programmazione degli interventi 2014-2020 prevede: l’integrazione con i Fondi Interprofessionali e le leggi nazionali, per finanziare interventi di formazione continua, l’adozione di una logica di mainstreaming sul fronte delle pari opportunità di genere e migliorare la qualità del lavoro e potenziamento della sicurezza nei luoghi di lavoro e dell’invecchiamento attivo. Nell’ambito della priorità 8.5 potranno inoltre essere attivate linee di intervento per garantire l’acquisizione di servizi e consulenze da parte delle imprese e la stabilizzazione dei lavoratori precari. In conclusione è evidente che in condizioni economiche normali le risorse del 0,30% sono destinate ai fondi interprofessionali mentre le risorse delle L. 236/93 e L. 53/00 sono relativamente limitate rispetto alle risorse destinate ai fondi e alle risorse FSE. Di conseguenza è auspicabile coordinare tra le risorse disponibili per incrementare e migliorare la qualità della formazione continua.

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3 ANALISI DEGLI SPAZI OPERATIVI DI FONDIMPRESA

3.1 Nota introduttiva sulla metodologia di analisi

Nel terzo capitolo si analizzeranno i dati forniti da Fondimpresa al gruppo di lavoro in maniera da capire ed intercettare quali possano essere gli spazi operativi di formazione da parte di Fondimpresa. Si effettueranno analisi e confronti sia a livello regionale che provinciale, per divisione ATECO, classe di addetti, genere prendendo in considerazione le “dimensioni” imprese, lavoratori33 beneficiari, la formazione erogata.

Dopo questa disamina, si confronteranno i dati Fondimpresa con quelli di altre fonti al fine di verificare, tramite semplici rapporti, al cui numeratore vi saranno sempre i dati forniti da Fondimpresa, il tasso di insediamento regionale.

Verranno presentati e commentati i dati sempre sotto forma di valori percentuali poiché, si ritiene opportuno, si possa avere una lettura “immediata” del fenomeno che si descrive tranne che per il paragrafo inerente la penetrazione nel tessuto produttivo di Fondimpresa in cui si è preferito rappresentare i dati come “rapporti puri” e non come percentuali.

È altresì opportuno precisare, in premessa, che alcune tabelle potrebbero presentare dati “anomali” che derivano dallo sfasamento temporale con cui sono stati rilevati gli stessi. Sia esempio di questa casistica la tabella 14 per la quale il rapporto tra “numero di imprese raggiunte da Fondimpresa per Provincia e almeno sezione/divisione ATECO /numero totale di imprese per provincie e almeno per sezione/divisione ATECO” potrebbe generare valori superiori all’unità. La spiegazione potrebbe essere data dal fatto che, poiché i dati al denominatore sono rilevati dall’ISTAT nel 2011 e i dati Fondimpresa (numeratore) fanno riferimento ad anni successivi, potrebbe esserci stata qualche “nascita” di impresa con conseguente adesione a “Fondimpresa” che, soprattutto su “numeri piccoli” potrebbe generare dati anomali. Appare altresì evidente che anche su numeri grandi o laddove il rapporto non superi l’unità, potrebbero verificarsi casi simili che potrebbero generare anomalie che, purtroppo, non sono verificabili.

Analogo discorso potrebbe portarsi ad esempio per la tabella 15 dove Fondimpresa fornisce dati con un alto numero di casi in cui la dimensione aziendale (classe di addetti) non è disponibile (N/D). È ovvio che tali dati non possono essere redistribuiti con alcun criterio che ne possa poi far validare l’inserimento in una determinata classe per poi generare il valore del rapporto con dati di altre fonti. Anche in questo caso si è deciso di prendere in considerazione solo i casi validi forniti che, come già detto precedentemente, potrebbero dar luogo ad interpretazioni errate del fenomeno.

Tutti i dati che facevano riferimento alla classificazione ATECO 2007, sono stati ricondotti alla classificazione ATECO 2002 che risulta essere la classificazione adottata da Fondimpresa e con cui sono stati forniti i dati al gruppo di lavoro.

Tutte le analisi e le tabelle, laddove possibile, sono distinte per i conti Formazione e Sistema.

33 All’interno di questo lavoro il termine “lavoratore” è utilizzato come termine “neutro” per entrambi i sessi e non come termine

discriminatorio nei confronti delle lavoratrici.

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Al fine di ottenere una migliore interpretazione delle informazioni disponibili sulle aree di intervento della formazione Fondimpresa, si è ritenuto opportuno fare ricorso al metodo di base di analisi dei dati della statistica descrittiva multidimensionale; l’Analisi delle Componenti Principali (ACP).

L’ACP permette di ottenere una descrizione sintetica, in forma grafica, di un insieme di n osservazioni effettuate su p variabili attraverso la ricerca di nuove variabili sintetiche, ottenute come combinazione lineare delle variabili di partenza.

3.2 Imprese

Le imprese che hanno beneficiato delle azioni di Fondimpresa nelle Marche sono state 906 che rappresentano, se rapportate al numero di imprese che hanno aderito al fondo al 16/9/2015 (5.143), il 17,62%. Le imprese che hanno aderito al conto Formazione risultano essere 592 (65,34%) mentre quelle che hanno aderito al conto Sistema sono 314 (34,66%).

Il dato per provincia (Figura 1 con riferimento alla Tabella 8 dell’allegato Fondimpresa) mostra come siano le provincie di Ancona (78,49%) e quella di Fermo (68,49%) ad essere al di sopra del dato regionale per quanto concerne il conto Formazione mentre sono quelle di Ascoli Piceno (45,58%), Macerata (40,68%) e Pesaro Urbino (38,38%) che, per il conto Sistema sono al di sopra del dato regionale.

Figura 1 – Distribuzione percentuale per provincia dei conti Formazione e Impresa

Se si analizza invece il dato per tipologia di conto (Figura 2) si nota come siano le provincie di Ancona (35,14%) e Macerata (23,65%) che da sole “attraggono” più del 55% del conto Formazione mentre è ancora Macerata (30,57%) insieme a Pesaro Urbino (22,61%) che fa da catalizzatore del conto Sistema con poco più del 53% del totale del conto.

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Figura 2 – Distribuzione percentuale dei conti Formazione e Impresa per provincia

Se si passa ad osservare la distribuzione del conto Formazione per Sezione Ateco e per provincia, si può notare (Tabella 1) come alcune imprese siano presente in prevalenza solo in alcune provincie. È il caso ad esempio delle imprese del settore della “Fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio, trattamento dei combustibili nucleari” che, visto il polo petrolifero presente in provincia di Ancona non stupisce, mentre meriterebbe maggiore attenzione la concentrazione totale delle imprese dei settori “Attività finanziarie” (100% in Ancona) e quelle dell’ ”Istruzione” (100% a Macerata) che, pur risultando essere presenti nelle altre provincie della Regione, non risultano essere imprese aderenti.

La provincia di Macerata con il 60% delle imprese del settore “Alberghi e ristoranti” e il 52,38% delle imprese del settore “Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari”, dimostrano come, nel territorio, ci sia un forte legame tra le imprese calzaturiere e le strutture ricettive. Tale evidenza vale anche per la provincia di Fermo che per gli stessi settori presenta percentuali pari al 20% per il primo e 35,71% per il secondo. A ben vedere le due provincie rappresentano l’80% delle imprese del settore “Alberghi e ristoranti” e ben l’88,09% per quello delle “Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari”.

La provincia di Pesaro è caratterizzata invece dalla presenza di imprese nei settori “Altre industrie manifatturiere” (52,5%) e “dal 50% dalle imprese del settore “Industrie del legno e dei prodotti in legno” a conferma della vocazione prettamente “mobiliera” della provincia. Per quest’ultimo settore, infatti, insieme alla provincia di Macerata (40%) rappresentano ben il 90% delle imprese regionali aderenti al conto Formazione di Fondimpresa.

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Tabella 1 – Distribuzione percentuale delle imprese aderenti al conto Formazione per sezione Ateco e Provincia

Per quanto riguarda il conto Sistema invece, si potrà notare (Tabella 2), come il settore “Agricoltura, caccia e silvicoltura”, trovi la totalità delle imprese aderenti al conto nella provincia di Ascoli Piceno, così come quelle del settore “Sanità ed assistenza sociale” mentre, nella provincia di Macerata sono concentrate la totalità delle imprese dei settori “Estrazione di minerali” e “Produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e acqua”.

Le imprese dei settori “Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari” e “Alberghi e ristoranti”, trovano una loro localizzazione nelle provincie di Macerata (59,09% per il primo settore e 33,33% per il secondo) e Fermo (40,91% e 66,67% rispettivamente) a dimostrazione dell’indotto che il settore delle industrie conciarie (prevalentemente calzaturifici) apporta al territorio.

Da notare comunque che la Provincia di Fermo è presente, oltre che nei settori precedentemente descritti, solo nei settori “Fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici”, con appena il 3,45% delle imprese del settore, e “Metallurgia, fabbricazione di prodotti in metallo” con il 2,86%.

Conto Formazione

Sezione e Divisione Ateco AN AP FM MC PU

AGRICOLTURA CACCIA E SILVICOLTURA 66,67% 33,33% 0,00% 0,00% 0,00% 100,00%

ALBERGHI E RISTORANTI 10,00% 0,00% 20,00% 60,00% 10,00% 100,00%

ALTRE INDUSTRIE MANIFATTURIERE 17,50% 7,50% 2,50% 20,00% 52,50% 100,00%

ALTRI SERVIZI PUBBLICI, SOCIALI E PERSONALI 33,33% 25,00% 12,50% 25,00% 4,17% 100,00%

ATTIVITA' FINANZIARIE 100,00% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% 100,00%

ATTIVITA' IMMOBILIARI, NOLEGGIO, INFORMATICA, RICERCA, SERVIZI ALLE IMPRESE 31,15% 18,03% 4,92% 31,15% 14,75% 100,00%

COMMERCIO ALL’INGROSSO E AL DETTAGLIO; RIPARAZIONE DI AUTOVEICOLI, MOTOCICLI E DI BENI PERSONALI E PER

LA CASA 35,85% 20,75% 9,43% 24,53% 9,43% 100,00%

COSTRUZIONI 50,00% 19,44% 2,78% 16,67% 11,11% 100,00%

ESTRAZIONE DI MINERALI 66,67% 0,00% 0,00% 0,00% 33,33% 100,00%

FABBRICAZIONE DELLA PASTA-CARTA, DELLA CARTA E DEL CARTONE, DEI PRODOTTI DI CARTA; STAMPA ED EDITORIA 57,14% 4,76% 23,81% 14,29% 0,00% 100,00%

FABBRICAZIONE DI ARTICOLI IN GOMMA E MATERIE PLASTICHE 35,48% 12,90% 6,45% 19,35% 25,81% 100,00%

FABBRICAZIONE DI COKE, RAFFINERIE DI PETROLIO, TRATTAMENTO DEI COMBUSTIBILI NUCLEARI 100,00% 0,00% 0,00% 0,00% 0,00% 100,00%

FABBRICAZIONE DI MACCHINE ED APPARECCHI MECCANICI 44,62% 10,77% 1,54% 20,00% 23,08% 100,00%

FABBRICAZIONE DI MACCHINE ELETTRICHE E DI APPARECCHIATURE ELETTRICHE, ELETTRONICHE ED OTTICHE 62,50% 12,50% 12,50% 12,50% 0,00% 100,00%

FABBRICAZIONE DI MEZZI DI TRASPORTO 57,14% 0,00% 0,00% 0,00% 42,86% 100,00%

FABBRICAZIONE DI PRODOTTI CHIMICI E DI FIBRE SINTETICHE E ARTIFICIALI 25,00% 16,67% 16,67% 25,00% 16,67% 100,00%

FABBRICAZIONE DI PRODOTTI DELLA LAVORAZIONE DI MINERALI NON METALLIFERI 22,22% 11,11% 0,00% 27,78% 38,89% 100,00%

INDUSTRIA DEL LEGNO E DEI PRODOTTI IN LEGNO 10,00% 0,00% 0,00% 40,00% 50,00% 100,00%

INDUSTRIE ALIMENTARI, DELLE BEVANDE E DEL TABACCO 23,08% 38,46% 0,00% 15,38% 23,08% 100,00%

INDUSTRIE CONCIARIE, FABBRICAZIONE DI PRODOTTI IN CUOIO, PELLE E SIMILAR 7,14% 2,38% 35,71% 52,38% 2,38% 100,00%

INDUSTRIE TESSILI E DELL'ABBIGLIAMENTO 30,00% 20,00% 5,00% 20,00% 25,00% 100,00%

ISTRUZIONE 0,00% 0,00% 0,00% 100,00% 0,00% 100,00%

METALLURGIA, FABBRICAZIONE DI PRODOTTI IN METALLO 33,93% 8,93% 5,36% 16,07% 35,71% 100,00%

PRODUZIONE E DISTRIBUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA, GAS E ACQUA 30,00% 30,00% 20,00% 20,00% 0,00% 100,00%

SANITA' E ASSISTENZA SOCIALE 37,50% 37,50% 12,50% 12,50% 0,00% 100,00%

TRASPORTI, MAGAZZINAGGIO E COMUNICAZIONI 64,00% 4,00% 4,00% 16,00% 12,00% 100,00%

ProvincieTotale

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

Tabella 2 – Distribuzione percentuale delle imprese aderenti al conto Sistema per sezione Ateco e Provincia

Anche per il conto Sistema la provincia di Pesaro e Urbino, con il 61,11% delle imprese, caratterizza il settore “Industria del legno e dei prodotti in legno” e quello delle “Altre industrie manifatturiere” con ben il 64,52% delle imprese beneficiarie delle attività di Fondimpresa per tale conto.

Passando ad analizzare i dati per dimensione aziendale (classe di addetti con riferimento alla Tabella 9 dell’allegato Fondimpresa) e per i due conti distinti, si può notare (Figura 3) come all’aumentare della dimensione della classe degli addetti, la partecipazione al conto Formazione aumenti, raggiungendo il suo massimo nella classe 250-499 (87,50%) laddove, ovviamente, il conto Sistema raggiunge il suo minimo con il 12,50% delle imprese aderenti a Fondimpresa.

Conto Sistema

Sezione e Divisione Ateco AN AP FM MC PU

AGRICOLTURA CACCIA E SILVICOLTURA 0,00% 100,00% 0,00% 0,00% 0,00% 100,00%

ALBERGHI E RISTORANTI 0,00% 0,00% 66,67% 33,33% 0,00% 100,00%

ALTRE INDUSTRIE MANIFATTURIERE 9,68% 3,23% 0,00% 22,58% 64,52% 100,00%

ALTRI SERVIZI PUBBLICI, SOCIALI E PERSONALI 16,67% 50,00% 0,00% 33,33% 0,00% 100,00%

ATTIVITA' IMMOBILIARI, NOLEGGIO, INFORMATICA, RICERCA, SERVIZI ALLE IMPRESE 29,41% 35,29% 0,00% 29,41% 5,88% 100,00%

COMMERCIO ALL’INGROSSO E AL DETTAGLIO; RIPARAZIONE DI AUTOVEICOLI, MOTOCICLI E DI

BENI PERSONALI E PER LA CASA 17,65% 41,18% 0,00% 35,29% 5,88% 100,00%

COSTRUZIONI 30,77% 46,15% 0,00% 19,23% 3,85% 100,00%

ESTRAZIONE DI MINERALI 0,00% 0,00% 0,00% 100,00% 0,00% 100,00%

FABBRICAZIONE DELLA PASTA-CARTA, DELLA CARTA E DEL CARTONE, DEI PRODOTTI DI CARTA;

STAMPA ED EDITORIA 33,33% 50,00% 0,00% 0,00% 16,67% 100,00%

FABBRICAZIONE DI ARTICOLI IN GOMMA E MATERIE PLASTICHE 8,33% 16,67% 0,00% 50,00% 25,00% 100,00%

FABBRICAZIONE DI COKE, RAFFINERIE DI PETROLIO, TRATTAMENTO DEI COMBUSTIBILI

NUCLEARI 50,00% 50,00% 0,00% 0,00% 0,00% 100,00%

FABBRICAZIONE DI MACCHINE ED APPARECCHI MECCANICI 13,79% 20,69% 3,45% 31,03% 31,03% 100,00%

FABBRICAZIONE DI MACCHINE ELETTRICHE E DI APPARECCHIATURE ELETTRICHE, ELETTRONICHE

ED OTTICHE 62,50% 25,00% 0,00% 12,50% 0,00% 100,00%

FABBRICAZIONE DI MEZZI DI TRASPORTO 50,00% 50,00% 0,00% 0,00% 0,00% 100,00%

FABBRICAZIONE DI PRODOTTI CHIMICI E DI FIBRE SINTETICHE E ARTIFICIALI 25,00% 0,00% 0,00% 25,00% 50,00% 100,00%

FABBRICAZIONE DI PRODOTTI DELLA LAVORAZIONE DI MINERALI NON METALLIFERI 0,00% 25,00% 0,00% 50,00% 25,00% 100,00%

INDUSTRIA DEL LEGNO E DEI PRODOTTI IN LEGNO 11,11% 11,11% 0,00% 16,67% 61,11% 100,00%

INDUSTRIE ALIMENTARI, DELLE BEVANDE E DEL TABACCO 42,86% 14,29% 0,00% 28,57% 14,29% 100,00%

INDUSTRIE CONCIARIE, FABBRICAZIONE DI PRODOTTI IN CUOIO, PELLE E SIMILARI 0,00% 0,00% 40,91% 59,09% 0,00% 100,00%

INDUSTRIE TESSILI E DELL'ABBIGLIAMENTO 0,00% 0,00% 0,00% 50,00% 50,00% 100,00%

METALLURGIA, FABBRICAZIONE DI PRODOTTI IN METALLO 31,43% 8,57% 2,86% 17,14% 40,00% 100,00%

PRODUZIONE E DISTRIBUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA, GAS E ACQUA 0,00% 0,00% 0,00% 100,00% 0,00% 100,00%

SANITA' E ASSISTENZA SOCIALE 0,00% 100,00% 0,00% 0,00% 0,00% 100,00%

TRASPORTI, MAGAZZINAGGIO E COMUNICAZIONI 22,22% 48,15% 3,70% 18,52% 7,41% 100,00%

ProvincieTotale

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Figura 3 – Distribuzione percentuale per classe di addetti dei conti Formazione e Impresa

Il dato regionale comunque, risente della quantità di dati non disponibili (N/D) sulla dimensione aziendale messi a disposizione da Fondimpresa e che rappresentano ben il 92,59% per il conto Formazione e il 7,41 del conto Sistema.

Lo stesso dato assume valori diversi se rapportato alla contribuzione che la classe (N/D) apporta all’interno dei singoli conti (Figura 4).

Per quanto riguarda il conto Formazione, infatti, la non disponibilità della classe di addetti, riguarda il 12,67% delle imprese mentre la percentuale più alta, nell’ambito di tale conto, è rappresentata dalla classe 10-49 con il 37,50% delle imprese, seguita dal 19,76% della classe <=9 e dal 14,53% della classe 50-99.

Nel conto Sistema è sempre la classe di addetti 10-49 con il 51,91% delle imprese a prevalere, anche in questo caso dalla classe <=9 (27,07%) e da quella 50-99 addetti (11,78%). La classe di dati N/D rappresenta per il conto Sistema l’1,91% delle imprese.

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

Figura 4 – Distribuzione percentuale dei conti Formazione e Impresa per classe di addetti

3.3 Lavoratori beneficiari

Per quanto riguarda la tipologia dei lavoratori beneficiari degli interventi Fondimpresa (Tabella 10 allegato Fondimpresa), si partirà dall’analizzare le tipologie di contratto per singolo conto tenendo presente che sono 18.047 i lavoratori coinvolti di cui 14.239 (78,90%) per il conto Formazione e 3.808 (21,10%) per il conto impresa.

Figura 5 – Distribuzione percentuale per tipologia di contratto dei conti Formazione e Impresa

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Dalla Figura 5 emergono due dati che meritano di essere segnalati e che riguardano la totalità (100%) dei lavoratori coinvolti per tipologia di contratto: i lavoratori con contratti di “mobilità” che vengono impegnati esclusivamente nel conto Sistema e quelli con la tipologia “contratti a progetto” impegnati esclusivamente nelle attività formative del conto Formazione. Per tutte le altre tipologie di contratto è il conto formazione che contribuisce maggiormente alla formazione con valori che variano dal 65,75% della tipologia “Contratti di lavoro a tempo parziale” a quello dell’89,69% della tipologia Apprendisti. Fa eccezione solo la tipologia “Contratti di lavoro a intermittenza” che vede prevalere il conto Sistema (53,85% contro il 46,15% del conto Formazione).

Osservando la Tabella 3 si può notare come la formazione, indipendentemente dal conto con cui viene erogata, assume un ruolo fondamentale per i lavoratori con tipologia di “contratto di lavoro a tempo indeterminato” che rappresenta il 92,35% di tutte le tipologie contrattuale con valori del 92,40% e 92,15% rispettivamente per il conto Formazione e conto Sistema.

Tabella 3 - Distribuzione percentuale dei conti Formazione e Impresa per tipologia di contratto dei lavoratori

Sempre con riferimento alla tipologia contrattuale si passa a prendere in esame il genere dei lavoratori all’interno dei conti Formazione e Impresa. Il genere maschile ha una netta predominanza in valore assoluto su quello femminile con ben 13.037 lavoratori (72,24% ) contro le 5.010 lavoratrici (27,76%).

Formazione Sistema

Apprendisti 1,22% 0,53% 1,07%

Cassa integrazione 0,21% 0,11% 0,19%

Cont. a progetto 0,05% 0,00% 0,04%

Cont. a tempo det. 4,99% 4,62% 4,91%

Cont. a tempo indet. 92,40% 92,15% 92,35%

Cont. di lav. a tempo parz. 1,01% 1,97% 1,21%

Cont. di lav. Intermitt. 0,08% 0,37% 0,14%

Cont. inserimento 0,04% 0,03% 0,03%

Mobilità 0,00% 0,24% 0,05%

Totale 100,00% 100,00% 100,00%

Tipologia ContrattoConto

Totale

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

Figura 6 – Distribuzione percentuale per genere per tipologia di contratto

Si evidenzia subito come la tipologia “Contratto a progetto” sia a completo appannaggio del genere maschile che, comunque, predomina in tutte le tipologie contrattuali ad eccezione per la tipologia “Contratti di lavoro a tempo parziale” che vede una netta predominanza di genere femminile (79,91%) contro il 20,09% del genere maschile.

Tabella 4 - Distribuzione percentuale per genere nei conti Formazione e Impresa per tipologia di contratto dei lavoratori

Passando all’analisi all’interno dei singoli conti e ricordando quanto detto precedentemente in relazione al 100% dei maschi nella tipologia “contratti a progetto”, dalla Tabella 4 possiamo evidenziare come questo dato sia presente solo nel conto Formazione dove, peraltro, si ripropone la prevalenza del genere femminile (79,17% contro il 20,83% del genere maschile) per la tipologia dei “contratti di lavoro a tempo parziale”.

È nel conto Sistema che il genere femminile contrappone, al 100% del genere maschile della tipologia “contratti di inserimento”, il 100% delle lavoratrici della tipologia “cassa integrazione”. Anche

M F M F

Apprendisti 72,41% 27,59% 55,00% 45,00%

Cassa integrazione 86,67% 13,33% 0,00% 100,00%

Cont. a progetto 100,00% 0,00%

Cont. a tempo det. 68,87% 31,13% 66,48% 33,52%

Cont. a tempo indet. 73,22% 26,78% 72,76% 27,24%

Cont. di lav. a tempo parz. 20,83% 79,17% 18,67% 81,33%

Cont. di lav. Intermitt. 75,00% 25,00% 78,57% 21,43%

Cont. inserimento 60,00% 40,00% 100,00% 0,00%

Mobilità 66,67% 33,33%

Totale 72,51% 27,49% 71,24% 28,76%

Tipologie contrattualiFormazione Sistema

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nel conto Sistema viene evidenziata la preponderanza del genere femminile (81,33% contro il 18,67% del genere maschile) all’interno della tipologia “contratti di lavoro a tempo parziale”.

Incrociando i dati delle sezioni ATECO con le tipologie contrattuali si passa ora ad esaminare, per singola tipologia contrattuali, le distribuzioni più rilevanti all’interno delle stesse.

La tipologia contrattuale “Apprendista” si distribuisce abbastanza uniformemente tra i diversi settori trovando il suo massimo nel settore “fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” (20,10%), seguito dal settore “altre industrie manifatturiere” col 14,95%.

È solo in tre settori, invece, che si distribuisce la tipologia “Cassa integrazione” che risultano essere “fabbricazione di mezzi di trasporto”, “industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari” e “industrie tessili e dell'abbigliamento” rispettivamente con il 64,71%, 23,53% e 11,76%.

Sono quattro invece i settori in cui la tipologia di “contratto a progetto” trova la sua collocazione con percentuali che vanno dal 42,86% del settore “commercio all’ingrosso e al dettaglio; riparazione di autoveicoli, motocicli e di beni personali e per la casa”, al 28,57% del settore “altre industrie manifatturiere” e al 14,29% dei settori “fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” e “costruzioni”.

I settori “estrazione di minerali” (14,33%), “altre industrie manifatturiere” (13,77%) e “fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” (11,63%), sono quelli che maggiormente identificano le attività formative della tipologia “contratti a tempo determinato” che distribuisce la restante parte negli altri settori con la sola esclusione di quello delle “attività finanziarie” dove non risultano lavoratori coinvolti.

I lavoratori con tipologia “contratto a tempo indeterminato”, si distribuiscono su tutti i settori tra i quali, il principale, risulta essere quello della “fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” con il 14,84% seguito da quello delle “altre industrie manifatturiere” con il 14,50%.

Sono i settori “trasporti, magazzinaggio e comunicazioni” (20,55%) e “altre industrie manifatturiere” (15,07%), che risultano essere i settori maggiormente rilevanti per la tipologia “contratto di lavoro a tempo parziale” che, ad eccezione dei settori “estrazione di minerali”, “fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio, trattamento dei combustibili nucleari”, “fabbricazione di prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi”, “istruzione”, “produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e acqua”, “sanità e assistenza sociale” e “attività finanziarie”, si distribuisce con percentuali simili tra tutti gli altri settori.

È ancora il settore “trasporti, magazzinaggio e comunicazioni” ad attrarre il 26,92% dei lavoratori con tipologia di lavoro di “contratto ad intermittenza”. In questa forma contrattuale, il settore “industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari” impegna il 19,23% dei lavoratori. La restante parte si distribuisce con percentuali inferiori al 10% tranne che per il settore “sanità e assistenza sociale” che contribuisce con l’11,54%.

I “contratti di inserimento” sono caratterizzati da soli 4 settori tra i quali quello delle “altre industrie manifatturiere” che assorbe da solo il 50% dei lavoratori mentre i settori “altri servizi pubblici, sociali e personali”, “commercio all’ingrosso e al dettaglio; riparazione di autoveicoli, motocicli e di beni personali e per la casa” e “industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari” contribuiscono con il 16,67%, ognuno, al raggiungimento del totale dei lavoratori della categoria.

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

La tipologia contrattuale dei lavoratori in “Mobilità” è presente solo nel settore “fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” (100%).

L’incrocio dei settori ATECO con la suddivisione in classe di età dei lavoratori beneficiari delle attività di formazione, forniscono ulteriori informazioni di dettaglio in proposito.

Sono le classi di età “da 35 a 44” (35,89%) e “da 45 a 54” (31,89%) che insieme rappresentano il 67,78% dei lavoratori impegnati nelle attività di formazione di Fondimpresa. Questo dato, ovviamente, si riflette anche all’interno dei singoli settori con percentuali più o meno simili a quelle regionali ma con qualche eccezione di cui faremo cenno.

Le due classi, ad esempio, rappresentano il 100% dei lavoratori per il settore “Attività finanziarie” rispettivamente con il 33,33% della classe “da 35 a 44” e il 66,67% di quella “da 45 a 54”. Quest’ultima classe, peraltro, non ha lavoratori in formazione nel settore “Istruzione” che viene caratterizzata dalle classi “25-34” con il 44,44% e da quella “da 35 a 44” per il 55,56%.

Da sottolineare anche come le classi “>=24” e “over 65” raggiungano percentuali di lavoratori molto basse (1,99% per la prima e 0,94 per la seconda) a dimostrazione che la formazione, per certe tematiche come vedremo più avanti in questo lavoro, non è indirizzata ai lavoratori in ingresso e in uscita.

Tabella 5 – Distribuzione percentuale dei lavoratori per settore economico e classi di età

<=24 25-34 da 35 a 44 da 45 a 54 da 55 a 64 over 65 Totale

AGRICOLTURA CACCIA E SILVICOLTURA 1,56% 12,50% 42,19% 32,81% 10,94% 0,00% 100%

ALBERGHI E RISTORANTI 1,33% 25,33% 38,67% 25,33% 8,00% 1,33% 100%

ALTRE INDUSTRIE MANIFATTURIERE 3,07% 21,41% 36,53% 29,24% 9,32% 0,42% 100%

ALTRI SERVIZI PUBBLICI, SOCIALI E PERSONALI 0,74% 15,61% 31,60% 38,29% 13,75% 0,00% 100%

ATTIVITA' FINANZIARIE 0,00% 0,00% 33,33% 66,67% 0,00% 0,00% 100%

ATTIVITA' IMMOBILIARI, NOLEGGIO, INFORMATICA, RICERCA, SERVIZI ALLE 0,88% 32,67% 41,50% 17,66% 6,84% 0,44% 100%

COMMERCIO ALL’INGROSSO E AL DETTAGLIO; RIPARAZIONE DI AUTOVEICOLI,

MOTOCICLI E DI BENI PERSONALI E PER LA CASA 2,53% 25,46% 38,79% 24,45% 8,09% 0,67% 100%

COSTRUZIONI 2,15% 25,11% 30,26% 29,83% 11,80% 0,86% 100%

ESTRAZIONE DI MINERALI 0,60% 35,33% 32,34% 18,56% 13,17% 0,00% 100%

FABBRICAZIONE DELLA PASTA-CARTA, DELLA CARTA E DEL CARTONE, DEI

PRODOTTI DI CARTA; STAMPA ED EDITORIA 6,29% 26,27% 27,56% 29,72% 10,08% 0,09% 100%

FABBRICAZIONE DI ARTICOLI IN GOMMA E MATERIE PLASTICHE 1,33% 19,10% 36,87% 33,63% 8,70% 0,37% 100%

FABBRICAZIONE DI COKE, RAFFINERIE DI PETROLIO, TRATTAMENTO DEI

COMBUSTIBILI NUCLEARI 0,00% 10,67% 32,00% 46,67% 10,67% 0,00% 100%

FABBRICAZIONE DI MACCHINE ED APPARECCHI MECCANICI 1,18% 20,04% 39,13% 31,50% 7,93% 0,23% 100%

FABBRICAZIONE DI MACCHINE ELETTRICHE E DI APPARECCHIATURE

ELETTRICHE, ELETTRONICHE ED OTTICHE 0,28% 17,37% 43,42% 29,97% 8,96% 0,00% 100%

FABBRICAZIONE DI MEZZI DI TRASPORTO 0,00% 12,08% 44,92% 35,05% 7,81% 0,15% 100%

FABBRICAZIONE DI PRODOTTI CHIMICI E DI FIBRE SINTETICHE E ARTIFICIALI 0,40% 24,10% 39,56% 30,92% 5,02% 0,00% 100%

FABBRICAZIONE DI PRODOTTI DELLA LAVORAZIONE DI MINERALI NON 1,51% 20,00% 36,23% 32,45% 9,06% 0,75% 100%

INDUSTRIA DEL LEGNO E DEI PRODOTTI IN LEGNO 4,28% 18,18% 39,22% 29,59% 8,20% 0,53% 100%

INDUSTRIE ALIMENTARI, DELLE BEVANDE E DEL TABACCO 0,00% 16,80% 29,92% 36,48% 15,98% 0,82% 100%

INDUSTRIE CONCIARIE, FABBRICAZIONE DI PRODOTTI IN CUOIO, PELLE E 1,63% 16,27% 34,30% 35,36% 11,39% 1,06% 100%

INDUSTRIE TESSILI E DELL'ABBIGLIAMENTO 0,71% 20,00% 30,71% 37,86% 9,64% 1,07% 100%

ISTRUZIONE 0,00% 44,44% 55,56% 0,00% 0,00% 0,00% 100%

METALLURGIA, FABBRICAZIONE DI PRODOTTI IN METALLO 1,93% 19,58% 39,21% 30,48% 8,56% 0,23% 100%

PRODUZIONE E DISTRIBUZIONE DI ENERGIA ELETTRICA, GAS E ACQUA 0,33% 11,11% 18,95% 36,93% 32,68% 0,00% 100%

SANITA' E ASSISTENZA SOCIALE 1,60% 19,55% 33,97% 33,33% 10,58% 0,96% 100%

TRASPORTI, MAGAZZINAGGIO E COMUNICAZIONI 1,59% 13,34% 25,09% 43,73% 15,81% 0,44% 100%

Totale complessivo 1,94% 19,92% 35,89% 31,89% 9,96% 0,40% 100%

ATECOClassi di età dei lavoratori

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Il Rapporto Marche

3.4 Formazione erogata

3.4.1 Il conto Sistema Le ore di formazione erogata nell’ambito del conto di Sistema (Tabella 12 dell’allegato

Fondimpresa), risultano essere pari a 11.691. Di queste il 65,77% (7.689) sono state utilizzate in appena 6 settori che risultano essere, nell’ordine, quello delle “industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari” con il 13,63%, “metallurgia, fabbricazione di prodotti in metallo” con il 12,77%, “industrie tessili e dell'abbigliamento” con l’11,99%, “trasporti, magazzinaggio e comunicazioni” con il 9,79%, “altre industrie manifatturiere” con l’8,92% ed infine quello della “fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” con l’8,66%. Tutti questi settori hanno superato la soglia delle 1.000 ore di formazione andando dal massimo di 1.593 per il settore “industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari” alle 1.013 del settore della “fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici”.

Non hanno superato le 100 ore di formazione invece, i settori “fabbricazione di prodotti chimici e di fibre sintetiche e artificiali” (82 ore), “fabbricazione di mezzi di trasporto” (80 ore), “fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio, trattamento dei combustibili nucleari” (72 ore), “alberghi e ristoranti” (48 ore), “agricoltura caccia e silvicoltura” (28 ore), “estrazione di minerali” (20 ore) e “sanità e assistenza sociale” con appena 6 ore di formazione.

Se si analizzano i dati relativamente alle tematiche di formazione svolte (Tabella 13 dell’allegato Fondimpresa), si può notare da subito che quella relativa alla “sicurezza sul luogo del lavoro” è quella che prevale con ben 4.788 ore di formazione che rappresentano circa il 41% del totale delle ore. Evidentemente, tra i limiti imposti dalle normative vigenti ed una maggiore sensibilità emersa in ambito lavorativo in questi ultimi anni, le imprese hanno la necessità di investire in questa tematica.

Ulteriore tematica da prendere sicuramente in considerazione è quella relativa alle “Tecniche di produzione” che, con le sue 1.799 ore di formazione erogata, rappresenta il 15,39% del totale. Anche in questo caso, evidentemente, le imprese hanno la necessità di “innovare” i loro processi produttivi per meglio affrontare le sfide del mercato.

Altre due tematiche che meritano di essere citate, anche se con percentuali al di sotto del 10%, sono quelle delle “lingue” (9,06%) e della “Gestione aziendale-amministrazione” (9,05%). Anche in questo caso l’internazionalizzazione (lingue) e l’attenzione al “controllo di gestione” (Gestione aziendale) sono tematiche di sicuro interesse per lo sviluppo e la competitività aziendale.

Incrociando le due variabili precedentemente descritte, settori economici e tematiche, e analizzando le stesse dal punto di vista di distribuzione delle tematiche di formazione all’interno dei settori, si passeranno in rassegna gli stessi mettendo in evidenza le caratteristiche salienti di ognuna.

Come già descritto precedentemente, è la tematica “sicurezza sul luogo del lavoro” che caratterizza le tematiche della formazione. È interessante osservare come questa si distribuisca su tutti i settori contribuendo maggiormente al settore “metallurgia, fabbricazione di prodotti in metallo” (12,26%) e a quello della “fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” con il 10,38%. Negli altri settori, ad eccezioni di quelli “agricoltura caccia e silvicoltura”, “estrazione di minerali” e “sanità e assistenza sociale”, che non presentano formazione legate a questa tematica, mentre si distribuisce più o meno allo stesso modo negli altri settori.

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

La tematica “Tecnica di produzione” caratterizza per quasi il 50% i settori “industrie tessili e dell'abbigliamento” (31,07%) e “industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari” (18,23%) a dimostrazione, come già detto precedentemente, di quanto le imprese, in particolare di questi due settori, hanno necessità di “innovazione” per competere al meglio sui mercati.

L’internazionalizzazione, che associamo alla tematica “lingua”, trova maggiore concentrazione nel settore “industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari” (26,05%) e “metallurgia, fabbricazione di prodotti in metallo” (18,31%). Con percentuali superiori al 10% si segnalano i settori “fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” (12,98%) e “attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, servizi alle imprese” con l’11,75%. Anche in questo caso si nota come questi settori stiano cercando una loro dimensione “internazionale” soprattutto pensando alla combinazione dei due settori ovvero alla messa on-line (informatica) di vendita di case (attività immobiliari) nella regione.

Con 1.058 ore erogate, la tematica “Gestione aziendale–amministrazione”, è concentrata praticamente in 3 settori: “industrie tessili e dell'abbigliamento” con il 45,84%, “industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari” con il 20,89% e “altre industrie manifatturiere” con l’11,72%. Da soli, questi tre settori, contribuiscono per più del 75% alle ore di formazione di questa tematica a dimostrazione che le imprese di questi settori cercano di essere attenti alle problematiche “amministrative e gestionali” per meglio affrontare le sfide legate alle novità fiscali e tributarie in continua evoluzione nel nostro Paese.

Le tematiche legate alla “qualità” vedono coinvolte, principalmente, i settori “metallurgia, fabbricazione di prodotti in metallo” (16,69%) e “fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” (15,76%). È evidente come questi settori siano quasi “obbligati” a fare formazione su questa tematica in quanto i prodotti della loro produzione, per la maggior parte di servizio ad altre imprese, devono rispondere a standard di qualità elevati e richiesti dalle normative nazionali e internazionali.

In riferimento alla tematica “informatica” si noterà come questa è caratterizzata prevalentemente da due settori: “metallurgia, fabbricazione di prodotti in metallo”, con il 26,47% delle ore, e quello delle “altre industrie manifatturiere” con il 20,75%. Per quanto riguarda gli altri settori, solo quello della “fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” raggiunge una percentuale di poco superiore al 10%, mentre in altri è completamente assente.

Sono ancora i settori “industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari” con il 42,29% e quello delle “industrie tessili e dell'abbigliamento” (26,88%) che caratterizzano anche le attività formative che hanno come tematica il “Marketing e le vendite”. Si rafforza sempre di più, quindi, per questi settori la loro vocazione alla competitività per migliorare a tutti i livelli.

La tematica “abilità personali” ha impegnato i lavoratori per 508 ore rappresentando il 4,35% delle ore complessive di formazione erogata. I settori maggiormente coinvolti sono stati quelli delle “industrie tessili e dell'abbigliamento” (19,69%), “altri servizi pubblici, sociali e personali” (15,75%) e “metallurgia, fabbricazione di prodotti in metallo” con il 12,60% delle ore.

Con appena 204 ore di formazione erogata (1,75% del totale), la tematica “Contabilità – finanza” concentra la sua attività nel settore “industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari” con il 66,67% delle ore. Tale tematica, comunque, è presente solo nei settori “metallurgia, fabbricazione di prodotti in metallo” e “fabbricazione di macchine elettriche e di apparecchiature elettriche, elettroniche ed ottiche” con l’11,76% delle ore, e di quella delle “attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, servizi alle imprese” con il 9,80%.

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Il Rapporto Marche

È il settore “costruzioni” che consuma il 36,84% delle ore dedicate alla tematica sull’ “impatto ambientale” seguito dal settore “industria del legno e dei prodotti in legno” (21,05%). Appare del tutto evidente come questi due settori, proprio per le loro peculiarità intrinseche alle attività svolte, abbiano maggiore necessità rispetto agli altri settori, di avere maggiore formazione a riguardo.

La tematica di formazione “Lavoro in ufficio ed attività di segreteria”, vede coinvolti solo due settori: “industria del legno e dei prodotti in legno” (66,67%) e “fabbricazione di prodotti della lavorazione di minerali non metalliferi” (33,33%). Vale la pena ricordare che questa tematica rappresenta solo 0,31% di tutte le ore erogate che risultano essere appena 36.

3.4.2 Il conto Formazione L’erogazione delle ore nell’ambito del conto Formazione, risultano essere pari a 50.050. Di queste

circa il 60% (59,33% - 29.693 ore) sono state distribuite nei settori “trasporti, magazzinaggio e comunicazioni” (14,98% - 7.497 ore), “fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” (14,92% - 7.150 ore), “metallurgia, fabbricazione di prodotti in metallo” (8,65% - 4.331 ore), “altre industrie manifatturiere” (8,15% - 4.080 ore), “industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari” (7,53% - 3.769 ore) e “fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche” con il 5,73% (2.867 ore). Se a questi settori si aggiungono anche quelli che hanno una percentuale superiore al 5% ovvero “attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, servizi alle imprese” (5,53% - 2.766 ore) e “commercio all’ingrosso e al dettaglio; riparazione di autoveicoli, motocicli e di beni personali e per la casa” (5,10% - 2.551 ore), la percentuale delle ore raggiunge quota 69,95% ovvero 35.009 ore.

Tutti gli altri settori variano tra il 4,07% (2.035 ore) del settore “fabbricazione di macchine elettriche e di apparecchiature elettriche, elettroniche ed ottiche” e lo 0,13% (solo 64 ore di formazione) del settore “attività finanziarie”.

Se si analizzano i dati relativamente alle tematiche di formazione svolte, si noterà come sia è la tematica sulla “Sicurezza sul luogo di lavoro” che impegni per più del 25% (25,75%) le ore (12.886) dedicate alla formazione. Sono solo 4 le tematiche che contribuiscono con una percentuale maggiore del 10% alle ore del conto Formazione. Oltre alla già citata “Sicurezza sul luogo di lavoro”, sono le tematiche “Lingue” (17,15%), “Abilità personali” (13,63%) e “Tecniche di produzione” (10,90%) che con le loro 33.747 ore totali, rappresentano ben il 67,43% delle ore tematiche svolte. In merito a questi settori valgono le considerazioni valutative già espresse in merito nel paragrafo precedente.

Anche per il conto Formazione si cercherà di analizzare la distribuzione delle tematiche di formazione all’interno dei settori evidenziandone gli aspetti principali in merito al contributo di ore erogate.

È la tematica “Sicurezza sul luogo di lavoro” che è presente in tutti settori, ad eccezione di quello dell’istruzione, contribuendo con percentuali superiori al 10% solo nei settori “altre industrie manifatturiere” (10,81%), “trasporti, magazzinaggio e comunicazioni” (10,70%) e “fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” con il 10,34%. Negli altri settori tale tematica è distribuita più o meno uniformemente.

La tematica “lingua” viene erogata per il 29,06% nel settore “fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” mentre nel settore “fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche” solo per il 10,64%.

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

Risulta essere il settore “trasporti, magazzinaggio e comunicazioni” quello che maggiormente assorbe (53,87%) la formazione della tematica “abilità personali” che risulta essere presente nella maggioranza dei settori e distribuendosi tra questi in maniera più o meno costante ad eccezione del settore “fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” che registra un valore pari al 7,92%.

Con il 53,12% delle ore dedicate al tema delle “Tecniche di produzione”, sono i settori “fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” (17,39%), “trasporti, magazzinaggio e comunicazioni” (14,19%), “metallurgia, fabbricazione di prodotti in metallo” (10,94%) e “produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e acqua” (10,60%) che caratterizzano tale tematiche.

È il settore “attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, servizi alle imprese” insieme a quello “trasporti, magazzinaggio e comunicazioni” che beneficiano delle attività formative nelle tematiche dell’informatica con percentuali pressoché identiche (16,50% per la prima e 16,07% per la seconda). Con percentuali superiori al 10% si segnalano solo i settori “industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari” (13,29%) e “metallurgia, fabbricazione di prodotti in metallo” con l’11,56%.

Per quanto riguarda la tematica “Gestione aziendale–amministrazione”, sono i settori “commercio all’ingrosso e al dettaglio; riparazione di autoveicoli, motocicli e di beni personali e per la casa” (15,85%), “industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari” (12,75%), “fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” (12,49%) e “attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, servizi alle imprese” (10,32%) che vengono maggiormente coinvolte nelle attività relative a tale tematica.

“Marketing e vendite” è la tematica che più ha interessato i settori “industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari” (23,19%), “commercio all’ingrosso e al dettaglio; riparazione di autoveicoli, motocicli e di beni personali e per la casa” (14,22%), “fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” (12,00%) e “attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, servizi alle imprese” che sono gli unici settori che hanno soglie di intervento superiori al 10%, come peraltro risultano essere i settori “fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” (12,53%), “attivita' immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, servizi alle imprese” (11,55%) e “trasporti, magazzinaggio e comunicazioni” (11,54%), gli unici a superare tale soglia per la tematica formativa inerente la “Qualità”.

“Contabilità e finanza” è la tematica che ha visto maggiormente impegnati i settori “fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” (29,97%), “trasporti, magazzinaggio e comunicazioni” (12,89%) e “fabbricazione di macchine elettriche e di apparecchiature elettriche, elettroniche ed ottiche” (10,08%).

Sono invece sostanzialmente due i settori coinvolti nelle tematiche formative legate all’”Impatto ambientale” di cui la prima “trasporti, magazzinaggio e comunicazioni”, con ben il 47,49% delle ore, seguita dal settore “attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, servizi alle imprese” con il 20,07%.

Analogo discorso può essere fatto per le attività formative collegate alle tematiche del “Lavoro in ufficio ed attività di segreteria” che vede nei settori “fabbricazione di prodotti chimici e di fibre sintetiche e artificiali” (50%), “attività immobiliari, noleggio, informatica, ricerca, servizi alle imprese” (41,67%) e “commercio all’ingrosso e al dettaglio; riparazione di autoveicoli, motocicli e di beni personali e per la casa” (8,33%) gli unici coinvolti in tale attività.

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Il Rapporto Marche

3.5 Penetrazione di Fondimpresa nel tessuto produttivo regionale

In questo paragrafo cercheremo di approfondire quanto gli interventi di Fondimpresa siano pervasivi nel tessuto produttivo regionale.

A differenza dei paragrafi precedenti, i dati saranno trattati uniformando i due conti analizzando quindi la penetrazione di Fondimpresa sia in riferimento alle imprese raggiunte per provincia sia per classe di addetti.

Nella Tabella 14 dell’allegato Fondimpresa, sono riportate in riga le sezioni/divisioni Ateco, mentre in colonna sono presenti le 5 provincie marchigiane più la colonna Marche.

Anche per questa analisi seguiremo l’approccio di commentare i dati per colonna, in questo caso le provincie, segnalando per ogni sezione/divisione Ateco i dati più rilevanti ovvero con rapporti pari o superiori allo 0,1 trattandosi di un rapporto puro e non di una proporzione percentuale.

È opportuno a questo punto, però, dare una panoramica per Regione e per Provincia della situazione generale del livello di penetrazione di Fondimpresa nel tessuto produttivo regionale che, nella sua globalità, è pari allo 0,69 con punte dello 0,84 in provincia di Ascoli Piceno, dello 0,83 in quella di Macerata e 0,72 in provincia di Ancona; al di sotto della media regionale le provincie di Pesaro Urbino con lo 0,57 e Fermo con lo 0,44.

A livello regionale il settore più rappresentato è quello dell’Industria del tabacco che, come però già ricordato precedentemente, si tratta dell’unica impresa presente nelle Marche e precisamente nella provincia di Ancona, per cui, quando si illustreranno i dati riferiti a quest’ultima provincia si ometterà la descrizione di questo dato.

A livello regionale, se si esclude quello dell’industria del Tabacco, il settore più raggiunto da Fondimpresa è dato da quello della “Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche” (0,252), che raggiunge livelli superiori allo 0,100 in tutte e 5 le provincie, seguito da quello della “Raccolta, depurazione e distribuzione d'acqua” (0,182) e da quello della “Fabbricazione di apparecchi radiotelevisivi e di apparecchiature per le comunicazioni” (0,130). Con valori superiori allo 0,1 si segnalano anche i settori “Fabbricazione di prodotti chimici e di fibre sintetiche e artificiali” (0,110) e “Fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio, trattamento dei combustibili nucleari” (0,103).

Per quanto riguarda la provincia di Ancona è il settore “Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche” (0,261) quello più raggiunto da Fondimpresa seguito da quello della “Fabbricazione di apparecchi radiotelevisivi e di apparecchiature per le comunicazioni” (0,244), da quello della “Fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio, trattamento dei combustibili nucleari” (0,166), e da quello della “Metallurgia” e delle “Altre industrie estrattive” rispettivamente con lo 0,125 e 0,111.

In provincia di Ascoli Piceno è ancora il settore della “Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche” (0,357) ad essere il più raggiunto da Fondimpresa seguito da quello della “Fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio, trattamento dei combustibili nucleari” (0,200), da quello della “Fabbricazione di apparecchi radiotelevisivi e di apparecchiature per le comunicazioni” (0,166) e da quelli per la “Fabbricazione di prodotti chimici e di fibre sintetiche e artificiali” e “Fabbricazione, installazione, riparazione e manutenzione di macchine ed apparecchi elettrici n.c.a.” con valori rispettivamente pari allo 0,117 e 0,115.

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

La provincia di Fermo ha come settore maggiormente rappresentato da Fondimpresa quello della “fabbricazione di apparecchi radiotelevisivi e di apparecchiature per le comunicazioni” con uno 0,250 seguito da quello della “Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche” con 0,200, a cui seguono ancora i settori della “Fabbricazione di prodotti chimici e di fibre sintetiche e artificiali” (0,166), “Fabbricazione della pasta-carta, della carta e del cartone e dei prodotti di carta” (0,122) e quello del “recupero e preparazione per il riciclaggio” con lo 0,100.

Nella provincia di Macerata si segnala in particolare il settore della “Raccolta, depurazione e distribuzione d'acqua” con ben lo 0,666 delle aziende di tutta la provincia raggiunte da Fondimpresa, seguito da quello della “Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche” (0,285) e da quello della “Fabbricazione di prodotti chimici e di fibre sintetiche e artificiali” con lo 0,120. Tutti gli altri settori sono rappresentati con valori inferiori allo 0,1.

La provincia di Pesaro Urbino è quella che presenta settori con valori superiori allo 0,1 solo in due settori e precisamente in quelli della “Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche” con uno 0,197 e quello della “Metallurgia” con un valore pari allo 0,111.

La Tabella 15 (allegato Fondimpresa) cerca di mettere in evidenza i tassi di insediamento di Fondimpresa in relazione alla dimensione “numero di addetti” delle imprese per cui tale tabella verrà commentata in riferimento a tale dimensione.

Si ritiene opportuno richiamare in questa sede, quanto detto in premessa a questo capitolo in riferimento ai dati forniti per la tabella 15 da Fondimpresa in particolare all’alto numero di casi in cui la dimensione aziendale (classe di addetti) non è disponibile (N/D). È ovvio che tali dati non possono essere redistribuiti con alcun criterio che ne possa poi far validare l’inserimento in una determinata classe per poi generare il valore del rapporto con dati di altre fonti. Anche in questo caso si è deciso di prendere in considerazione solo i casi validi forniti che, come già detto precedentemente, potrebbero dar luogo ad interpretazioni errate del fenomeno.

Non vi sono aziende che presentino valori superiori allo 0,1 nella classe di addetti 0-9 e questo potrebbe essere uno stimolo per Fondimpresa a cercare la penetrazione in uno spazio “dimensionale” che rappresenta, a ben vedere, quella parte di piccole imprese che forse va più “guidata” verso i processi di formazione.

Per quanto riguarda la classe di addetti 10-49, essa trova ampia rappresentazione in molti settori di cui, però, ci preme sottolineare quelli della “Fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio, trattamento dei combustibili nucleari” e della “raccolta, depurazione e distribuzione d'acqua” con valori pari a 1, quello della “Fabbricazione di apparecchi radiotelevisivi e di apparecchiature per le comunicazioni” con uno 0,875 a cui fanno seguito, con valori abbastanza distanti, quelli della “Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche” (0,375), e “Metallurgia” (0,333).

Nella classe 50-99 è il settore “Fabbricazione di apparecchi radiotelevisivi e di apparecchiature per le comunicazioni” che viene maggiormente rappresentato seguito da quello dello “Smaltimento dei rifiuti solidi, delle acque di scarico e simili” e da quello della “Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche” per i quali i valori sono ben superiori all’unità il che conferma quanto detto precedentemente in merito alla bontà dei dati forniti. Si tratta infatti dei settori più rappresentativi e maggiormente raggiunti da Fondimpresa e per i quali, forse, varrebbe la pena di porre maggiore attenzione nella rilevazione dei dati.

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Analogo discorso vale per la classe di addetti 100-249 in cui i settori “Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche”, “Fabbricazione, installazione, riparazione e manutenzione di macchine ed apparecchi meccanici”, “Fabbricazione di altri mezzi di trasporto”, “Confezione di articoli di abbigliamento; preparazione, tintura e confezione di pellicce” hanno valori superiori all’unità arrivando addirittura al valore 10 nel primo dei settori citati. Con un valore di rapporto pari a 1 si segnalano i settori “agricoltura, caccia e relativi servizi”, “industria del legno e dei prodotti in legno ed in sughero, esclusi i mobili; fabbricazione di articoli in materiali da intreccio”, “fabbricazione e lavorazione dei prodotti in metallo, esclusi macchine e impianti”, “fabbricazione di macchine per ufficio, di elaboratori e sistemi informatici compresi gli accessori, escluse l'installazione, la riparazione e la manutenzione”, “fabbricazione, installazione, riparazione e manutenzione di macchine ed apparecchi elettrici n.c.a.”, “fabbricazione di apparecchi medicali, di apparecchi di precisione, di strumenti ottici e di orologi” e quello delle “costruzioni”. Al di sotto di questi valori si segnalano i settori della “fabbricazione di mobili; altre industrie manifatturiere n.c.a” con uno 0,563 e “preparazione e concia del cuoio; fabbricazione di articoli da viaggio, borse, articoli da correggiaio, selleria e calzature in cuoio e in materiale similare” con 0,345.

Nella classe di addetti 250-499, sono sicuramente da segnalare i settori “fabbricazione, installazione, riparazione e manutenzione di macchine ed apparecchi meccanici”, “fabbricazione e lavorazione dei prodotti in metallo, esclusi macchine e impianti”, “fabbricazione di mobili; altre industrie manifatturiere n.c.a.”, “fabbricazione di macchine per ufficio, di elaboratori e sistemi informatici compresi gli accessori, escluse l'installazione, la riparazione e la manutenzione”, “fabbricazione, installazione, riparazione e manutenzione di macchine ed apparecchi elettrici n.c.a.” e “servizi professionali ed imprenditoriali” che presentano valori superiori o uguali all’unità. Con valori pari allo 0,5 sono presenti solo i settori “preparazione e concia del cuoio; fabbricazione di articoli da viaggio, borse, articoli da correggiaio, selleria e calzature in cuoio e in materiale similare” e “trasporti terrestri; trasporti mediante condotte”.

La classe di addetti >=500 è rappresentata da solo 3 settori che risultano essere rispettivamente quelli della “fabbricazione, installazione, riparazione e manutenzione di macchine ed apparecchi meccanici” e “fabbricazione, installazione, riparazione e manutenzione di macchine ed apparecchi elettrici n.c.a., con un valore pari a 1 e quello della “preparazione e concia del cuoio; fabbricazione di articoli da viaggio, borse, articoli da correggiaio, selleria e calzature in cuoio e in materiale similare” con uno 0,500.

Preme sottolineare, in merito a questa tabella, la presenza di quasi tutti i settori nella dimensione N/D (dati non disponibili) con rapporti superiori allo 0,10 nei settori “poste e telecomunicazioni” (0,130), “trasporti terrestri; trasporti mediante condotte” (0,120) e “estrazione di petrolio greggio e di gas naturale e servizi connessi, esclusa la prospezione” (0,105) a dimostrazione del fatto che, se rilevati correttamente, questi dati potevano fornire ulteriori utili elementi di valutazione per quanto riguarda la classe dimensionale delle imprese.

Andando ad analizzare la Tabella 16 dell’allegato Fondimpresa (rapporto tra numero di lavoratori delle imprese raggiunte da Fondimpresa per qualifica dei lavoratori coinvolti e per genere almeno per sezione/divisione ATECO / numero totale di lavoratori delle imprese per qualifica dei lavoratori e per sesso, per sezioni/divisioni ATECO) metteremo in rilievo solo alcuni dati, lasciando al lettore la lettura completa della tabella posta in appendice.

L’analisi mette in evidenza alcune situazioni particolari per quanto riguarda ad esempio la categoria dei “Dirigenti” dove è il genere femminile a prevalere rispetto a quello maschile” quasi in tutti i settori. Questo dato trova conferma anche nella categoria “Quadri” a dimostrazione, forse, come siano le

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

“donne manager” ad impegnarsi in prima persona nella formazione per meglio rispondere alle sfide del mercato.

Nella qualifica “impiegati” risulta abbastanza equilibrata la presenza dei due generi mentre nella qualifica “operai” a predominare è il genere maschile su quello femminile. Tendenza che si inverte di nuovo all’interno della categoria “apprendisti”.

Con riferimento alla Tabella 17 (allegato Fondimpresa) e al conto Formazione, si noti che il maggiore tasso di insediamento riguarda il settore “estrazione di minerali” che presente valori in tutte le classi di età ad esclusione di quelle estreme. In particolare si rileva per la fascia 25-29 un tasso di insediamento pari al 0,376 che trova corrispondenza nella divisione “Estrazione di petrolio greggio e di gas naturale e servizi connessi, esclusa la prospezione” con un valore pari allo 0,857. Nella stessa divisione, si trovano valori corrispondenti allo 0,333, per la classe 20-24, e 0,25 per quella 30-34.

Tassi di insediamento con valori superiori allo 0,1 si trovano nel settore “Produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e acqua” per la fascia 50-54 con un valori pari allo 0,139 seguito, nella fascia successiva 55-59, da un valore uguale allo 0,136.

Per quanto riguarda gli altri settori, non si segnalano tassi di insediamento particolarmente rilevanti.

Il conto Sistema rileva tassi di insediamento regionali superiori allo 0,1 solo all’interno del settore “manifatturiero” in cui la voce “Industria del tabacco” raggiunge complessivamente lo 0,25 di tasso di copertura ma, all’interno delle singole classi raggiunge valori pari allo0,43 per la classe 35-39, 0,278 per quella 30-34 e il valore di 0,222 nella classe 40-44.

3.5.1 Analisi statistica sulle caratteristiche degli interventi formativi. Metodi fattoriali di analisi dei dati: l’Analisi delle Componenti Principali(A.C.P.)

Si tratta di un metodo di riduzione del numero delle variabili – attraverso la ricerca di nuove variabili sintetiche ottenute come combinazione lineare delle variabili di partenza – al fine di permettere la rappresentazione geometrica degli individui e dei caratteri: questa riduzione è possibile solo se le p variabili iniziali non sono indipendenti ed hanno dei coefficienti di correlazione non nulli.

Si supponga, ad esempio, di disporre di soli due caratteri x1 e x2; in questo caso è facile rappresentare graficamente l’insieme dei dati: ogni individuo è rappresentato su di un piano come un punto do coordinate (xi

1 e xi2), ed il semplice esame visivo dell’andamento della nube permette di studiare

l’intensità del legame tra xi1 e xi

2 e di ricercare gli individui o i gruppi di individui che presentano caratteristiche simili. Si si hanno tre variabili, l’esame visivo è ancora possibile ricorrendo a rappresentazioni geometriche tridimensionali. Ma quando il numero p di variabili diviene uguale o superiore a quattro, ciò diviene impossibile. In tal caso gli individui formano una nube in uno spazio multidimensionale, con tanti assi quanti sono i caratteri rispetto ai quali è descritto ciascun individuo. Se allora si vuole ugualmente rappresentare detti individui su di un piano, attraverso una proiezione, ciò che si otterrà sarà una rappresentazione deformata della configurazione vera, in quanto le distanze tra i punti sul pian non possono essere tutte uguali alle distanze tra gli individui nello spazio multidimensionale.

Si avranno forzatamente delle distorsioni che si cercherà di rendere minime; il criterio prescelto sarà quello di rendere massima la somma dei quadrati delle distanze tra le proiezioni.

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Il metodo

Il fondamento teorico che sta alla base dell’ACP, e di tutte le analisi fattoriali, prende il nome di Analisi Generale (Lebart, Morineau, Warwich (1984)).

Si consideri una tabella rettangolare di valori numerici rappresentata da una matrice X con n righe e p colonne, di termine generale xij. Questa matrice può dare luogo a due rappresentazioni geometriche: le n righe di X possono essere considerate come le coordinate di n punti in uno spazio p-dimensionale Rp, oppure le p colonne di X possono rappresentare le coordinate di p punti in uno spazio n-dimensionale Rn.

Si consideri per prima la rappresentazione in Rp. L’obiettivo è quello di approssimare la nube degli n punti mediante un sottospazio vettoriale di Rp. Il primo passo consiste nel cercare la retta F1, passante per l’origine, che meglio approssimi la nube. Sia u un vettore unitario condotto su questa retta tale che u, u=1. Poiché ogni riga di X rappresenta un punto di Rp, le n righe del vettore Xu sono gli n prodotti scalari di quei punti con u, e rappresentano quindi le lunghezze delle proiezioni di questi n punti su F1. Per ogni punto il quadrato della sua distanza dall’origine si decompone nel quadrato della sua proiezione su F1 e nel quadrato della sua distanza da F1.

Dal momento che le distanze dei punti dall’origine sono costanti, è equivalente minimizzare la somma dei quadrati delle distanze da F1, o massimizzare la somma dei quadrati delle proiezioni su F1. Se si vuole che la somma dei quadrati di queste proiezioni sia massima, è necessario cercare il vettore u che renda massima la quantità:

(Xu)’Xu = u’X’Xu (1)

La ricerca di un sottospazio che meglio approssimi la nube degli n punti, nel senso dei minimi quadrati, implica dunque la massimizzazione della (1) sotto il vincolo che u, u=1. Si indicherà questo sottospazio ottimale con u1.

Si dimostra che il miglior sottospazio vettoriale bidimensionale contiene u1. Esso si ottiene cercando il vettore unitario u2 ortogonale a u1 (tale cioè che u2’u1 = 0 e u2’u2 = 1) che renda massima la forma quadratica u2’X’Xu2. Analogamente mediante un ragionamento di induzione si ha che il migliore sottospazio q-dimensionale (q ≤ p) è generato dai vettori u1, u2, …uq, dove uq è ortogonale a u1, u2, …uq-1 e rende massima la forma quadratica uq ‘X’Xuq, sempre con uq’uq = 1.

Analizziamo la soluzione matematica del problema. Sia λ un moltiplicatore di Lagrange. Derivando la quantità u’X’Xu-λ(u’u – 1) rispetto ad u ed uguagliando a zero si ottiene:

2X’Xu – 2λu = 0

cioè:

X’Xu = λu

Ciò mostra che u è autovetture della matrice X’X. Inoltre si noti che u’XXu = λu’u = λ. Il massimo cercato allora è un autovalore di X’X. Pertanto u sarà l’autovettore u1 corrispondente al più grande autovalore λ1 della matrice simmetrica X’X. L’autovettore indica la direzione di massimo allungamento

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

della nube dei punti, l’autovalore la dispersione di detti punti nella direzione di massimo allungamento della nube.

Se si cerca lo spazio bidimensionale che approssima al meglio la nube dei punti, si deve trovare una seconda retta generata dal vettore unitario t, passante per l’origine degli assi, che massimizzi la quantità t’u1 = 0 e t’t = 1. La forma lagrangiana contiene due moltiplicatori λ e µ:

tX’Xt – λ(t’t – 1) - µ t’u

Derivando rispetto alle componenti di t e uguagliando a zero si ottiene:

2X’Xt – 2 λt - µu1 = 0

Premoltiplicando tutta l’espressione per u1’ e ricordando che u1’X’X=λu1 e che u1t = 0, si ottiene µ = 0 e quindi X’Xt = λt. Pertanto t sarà il secondo autovetture associato al secondo maggiore autovalore di X’X (λ2).

In conclusione la base ortonormale del sottospazio vettoriale q-dimensionale che meglio approssima, nel senso dei minimi quadrati, la nube è costituita dai q autovettori corrispondenti ai q maggiori autovalore della matrice simmetrica X’X.

Si prenda ora in considerazione il secondo tipo di rappresentazione geometrica. Nello spazio Rn la matrice X definisce una nube di p punti. Sia G1 la retta passante per l’origine generata dal vettore unitario v. la ricerca dei p punti in Rn richiede ancora una volta che la somma dei quadrati delle proiezioni su G1 sia massima. I p valori di queste proiezioni sono le p righe del vettore dei prodotti scalari X’v. Il vettore cercato v (a n componenti) deve quindi rendere massima la forma quadratica v’XX’v, sotto il vincolo che v’v = 1.

Sappiamo ora che v è l’autovettore v1 della matrice XX’ relativo al più grande autovalore m1. Allo stesso modo si possono calcolare i vettore v2, …vq, che generano il sottospazio q-dimensionale (q ≤ r) di migliore approssimazione della nube dei punti nel senso dei minimi quadrati.

È utile sottolineare le relazioni che esistono tra i due sottospazi di Rp e Rn. Si dimostra facilmente che ogni autovalore non nullo della matrice XX’ è autovalore di X’X e che gli autovettori corrispondenti sono legati dalle seguenti relazioni fondamentali:

ua = (1 / √λa ) X’va (2)

ua = (1 / √λa ) X’ua (3)

dove ua e va definiscono rispettivamente l’aesimo autovettore di X’X e l’aesimo autovettore di XX’, e dove λa rappresenta l’autovalore corrispondente.

L’asse Fa, generato dal vettore unitario ua, è definito l’α-esimo asse fattoriale di Rp; l’asse Ga generato dal vettore unitario va, è invece l’α-esimo asse fattoriale di Rn.

Dalla (2) e dalla (3) deriva:

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Xua = va √λa (4)

X’va = ua √λa (5)

Le coordinate dei punti della nube sull’asse α in Rp (Rn) sono per costruzione le componenti di Xua (X’va). Esiste quindi proporzionalità tra le coordinate dei unti su un asse a in uno spazio e le componenti unitarie dell’asse a nell’altro spazio.

Si noti ora che il più delle volte l’analisi statistica dispone di informazioni complementari sulla natura dei dati; queste informazioni suggeriscono di procedere a delle trasformazioni preliminari sulla matrice dei dati originari. L’ACP consiste proprio in un’Analisi Generale effettuata su di una matrice di dati trasformati.

In particolare, se si indica con R la matrice dei dati di partenza con termine generale rij (iesima osservazione di una variabile j), si ha che le variabili possono essere eterogenee in media, ed in questo caso l’ACP sarà un caso particolare dell’Analisi Generale su di una tabella X con termine generale Xij = (rij – ri)/√n dove rj rappresenta la media aritmetica degli n valori della jesima variabile; oppure le variabili possono essere eterogenee sia in media che in dispersione (le scale di misura possono essere diverse), rendendo il confronto tra le misure delle variabili non significativo. In questo caso si ha un’ACP su variabili standardizzate, cioè un’Analisi Generale su di una tabella X con termine generale xij = (rij – rj) / sj √nj dove sj indica lo scarto quadratico medio della jesima variabile.

In termini di rappresentazione geometrica, questa trasformazione si traduce, nell’analisi in Rp, in una traslazione dell’origine degli assi al centro di gravità (cioè al punto avente per coordinate le medie degli n valori di ciascuna variabile), ed in più in una modifica, in caso di variabili standardizzate, delle scale di misura dei diversi assi.

L’analisi della matrice trasformata X consiste, quindi, nella ricerca degli autovettori ua della matrice delle varianze e covarianze (o di quella delle correlazioni, in caso di variabili standardizzate) dei dati originari. Le coordinate dei punti individuo sull’asse α saranno allora i prodotti scalari costituenti le righe di Xua.

Quando si passa all’analisi in Rn i punti della nube in questo spazio sono ora i punti variabile. Tuttavia, poiché gli indici i e j non hanno ruoli simili nella trasformazione iniziale, l’interpretazione geometrica ad esso associata è completamente diversa.

La trasformazione xij = (rij-rj) / √n dove rj, che viene interpretata in Rp come una traslazione dell’origine, rappresenta ora in Rn una proiezione ortogonale alla prima bisettrice.

In particolare la variazione di scala degli assi, cioè la divisione di ogni coordinata di Rp per sj, diventa una trasformazione della nube che riconduce ognuno dei punti variabile alla distanza di uno dall’origine. I punti variabile si trovano dunque in un’ipersfera di raggio uno centrata nell’origine, che costituisce il punto medio della nube.

Si dimostra che la distanza tra due punti variabile è pari a d2(j,j’) = 2 (1 – cjj’), dove cjj’ è il coefficiente di correlazione tra le variabili j e j’. Quindi le prossimità tra i punti-variabile si potranno interpretare in

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

termini di correlazione: i punti sono molto vicini se la loro correlazione è fortemente positiva (cjj’ ≈ 1), e lontani se è fortemente negativa (cjj’ ≈ -1).

È utile sottolineare che si dimostra (Diday e altri (1982)) che proiettando le variabili rappresentate dai p punti in Rn, nel piano delle componenti principali (sottospazio bidimensionale di Rp), si ottengono i p punti del cerchio delle correlazioni. È possibile pertanto una rappresentazione simultanea della nube delle variabili e degli individui. Naturalmente la posizione di ogni individuo rispetto a ciascuna variabile non potrà essere letta in termini di distanza tra i punti, ma in termini di angoli formati dalle rette congiungenti i punti-variabile e i punti-individuo con l’origine degli assi.

L’ACP effettuata sui dati messi a disposizione relativamente agli spazi operativi di Fondimpresa nelle Marche, prenderà in esame le imprese, i lavoratori beneficiari, la formazione erogata e la penetrazione di Fondimpresa nel tessuto produttivo regionale partendo dalla descrizione della composizione delle variabili.

I dati utilizzati per la sezione delle imprese fanno riferimento alla dimensione delle imprese per classe di addetti riportati nella tabella 9 in allegato. L’ACP è stata effettuata su variabili standardizzate. Di seguito è riportata la matrice di correlazione.

Tabella 6 – Matrice di correlazione delle variabili esplicative

La matrice di correlazione già fornisce alcune interessanti informazioni, come ad esempio una forte correlazione tra classe di addetti e tipologia contrattuale facendo intuire come al crescere della classe di addetti si faccia ricorso ai contratti a tempo indeterminato. Nella tabella seguente sono indicati gli autovalori dell’analisi delle componenti principali:

Tabella 7 – Autovalori dell’Analisi delle Componenti Principali

Matrice di correlazione

Classe di addetti

Classe di età

Tipologia contrattuale

Provincia Genere

Classe di addetti 1

Classe di età 0,84 1

Tipologia contrattuale 0,91 0,84 1

Provincia 0,62 0,37 0,61 1

Genere -0,04 -0,51 -0,17 0,33 1

Numero autovalori % di var. %

cumulata

1 3,4692 49,6600 49,6600

2 2,1902 31,3517 81,0118

3 0,9044 12,9461 93,9578

4 0,3311 4,7395 98,6974

5 0,091 1,3026 100,0000

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Essi misurano la dispersione dei punti individuo (i “settori” nella nostra analisi) intorno agli assi individuati dalle nuove variabili sintetiche. Il contributo di ciascuna componente principale alla spiegazione della variabilità complessiva è misurata attraverso il rapporto

Si noti che i primi due autovalori spiegano più dell’80% della variabilità lineare totale. Ciò significa che nel passaggio da R5 a R2 (cioè da uno spazio a 5 dimensioni a uno a due dimensioni) si perde circa il 20% dell’informazione; si perde invece solo il 6% dell’informazione considerando uno spazio tridimensionale.

Le coordinate dei punti individuo rispetto ai primi cinque assi sono riportati nella tabella seguente. Si noti che i punti nello spazio delle componenti principali (spesso nel piano) possono essere vicini tra loro, mentre in Rp sono distanti.

La “qualità” della rappresentazione di ciascun punto nel piano delle componenti principali viene esaminata considerando il quadrato del coseno dell’angolo formato dal vettore rappresentativo del punto in Rp con la retta che congiunge la proiezione con l’origine degli assi. Tanto più il quadrato del coseno è vicino a zero (perpendicolarità), tanto peggiore è la rappresentazione.

La tabella che segue riporta le correlazioni tra le variabili e gli assi fattoriali (poiché l’analisi è condotta su variabili standardizzate esse sono proprio le coordinate dei punti variabile sul piano fattoriale):

Tabella 8 – Correlazioni variabili fattori

Maggiore è la correlazione tra le variabili iniziali e i nuovi assi, maggiore è il contributo dato da ciascuna di esse alla determinazione di detti assi. Questa informazione risulta particolarmente utile per comprendere il ruolo giocato nella nostra analisi dalle variabili sintetiche che individuano il piano fattoriale. Dall’osservazione della tabella risulta evidente che il primo asse è fondamentalmente un indicatore della dimensione aziendale (Classe di addetti) e delle tipologia contrattuale, mentre il secondo fornisce utili informazioni sulla struttura di quest’ultima.

La figura 7 mostra la rappresentazione simultanea dei punti-individuo (indicati in grassetto) e dei punti-variabili (indicati in corsivo) nel piano fattoriale.

1 2 3 4 5

Classe di addetti 0,94 0,23 -0,03 -0,20 0,12

Tipologia Contrattuale 0,76 0,51 0,37 -0,11 0,09

Classe di età 0,91 0,32 0,02 -0,04 -0,25

Provincia 0,83 -0,40 -0,05 0,38 0,04

Genere 0,11 -0,92 -0,04 -0,36 -0,03

Correlazioni variabili-fattoriVariabili

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

Per una corretta lettura del grafico è utile tenere conto delle seguenti regole di interpretazione:

la prossimità tra due punti-individuo esprime un’analogia di comportamento di detti punti rispetto alle variabili considerate;

una prossimità più o meno grande tra due punti-variabile esprime una correlazione più o meno grande tra le variabili corrispondenti, e ciò è tanto più vero quanto più i punti-variabile sono lontani dall’origine;

infine la prossimità (in termini di angolo) tra un punto-variabile ed un punto-individuo significa che tale variabile ha in media un valore elevato per quell’individuo (in media in quanto la posizione di ciascun punto-individuo non dipende da una, ma dall’insieme delle variabili).

Dall’osservazione della figura 7 risulta immediatamente che tutte le variabili si trovano dallo stesso lato rispetto all’origine. Tale disposizione riflette il fatto che la maggior parte delle variabili sono correlate tra di loro; sicché se una determinata variabile assume un valore elevato, tutte le variabili ad esse correlate assumeranno un valore elevato.

Figura 7 – Rappresentazione individui-variabili dell’ACP

Questa caratteristica compare di sovente sul primo asse, che viene definito fattore di taglia. Nella nostra analisi il fattore di taglia distribuisce sul proprio asse le imprese che sono caratterizzate da un alto numero di addetti mentre il secondo asse, come già sottolineato, indica prevalentemente la numerosità

-1,00

-0,80

-0,60

-0,40

-0,20

0,00

0,20

0,40

0,60

-1,00 -0,80 -0,60 -0,40 -0,20 0,00 0,20 0,40 0,60 0,80 1,00A

C

DA

DB

DC

DD

DE

DF

DG

DH

DI

DJ

DK

DLDM

DN

E

F

G

H

I

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K

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N

O

Classe di addetti

Tipologia Contrattuale

Classe di età

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degli addetti per tipologia contrattuale dei lavoratori. Nella figura 8, si è voluto meglio esplicitare questo concetto ”proiettando” il contributo che ogni singola variabile, attraverso le sue modalità caratteristiche, apporta alla costruzione dell’asse e a meglio esplicitare il legame della singola variabile con gli individui.

Per completare in modo esaustivo il grafico e darne una migliore interpretazione anche da un punto di vista di “distribuzione territoriale” dell’analisi effettuata, sono state proiettate anche le “Provincie” per cui, la figura 8 rappresenta in un unico colpo d’occhio il fenomeno esaminato.

Sono le provincie di Ancona, Macerata e Fermo che caratterizzano fortemente il primo asse, “dimensione” dell’impresa, che per quanto detto precedentemente, trova una correlazione forte con la “tipologia contrattuale” per cui si potrà notare la vicinanza delle classi di addetti (10-49 e 50-99) con le tipologie contrattuali “forti” ovvero “contratti a tempo indeterminato” e “contratto a tempo determinato”. Le classi di età che caratterizzano questo quadrante sono quelle intermedie ovvero 35-44 e 45-54. I settori che risultano avere “in media” queste caratteristiche sono quelli delle “Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari”, “Fabbricazione di macchine e apparecchi meccanici”, “Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche”, “Metallurgia, fabbricazione di prodotti in metallo”, “Altre industrie manifatturiere”.

Come si potrà osservare, la variabile “tipologia di contratto” si dispone su di una linea retta teorica che, partendo dal terzo quadrante, “passa” attraverso gli “apprendisti” e raggiunge i “contratti a tempo indeterminato” ovvero “dall’ingresso” al mondo del lavoro alla “stabilità” attraversando e caratterizzando anche le altre variabili che si dispongono comunque al di sotto o al di sopra di questa linea. Si noti ad esempio sempre nel terzo quadrante anche la presenza della tipologia contrattuale “Contratto tempo intermittenza” si associ a classi di età “basse” (<=24 e 25-34) ma a settori quali “Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni” e “Agricoltura” che trovano nella provincia di Ascoli Piceno la loro caratterizzazione.

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

Figura 8 – Rappresentazione individui, modalità caratteristiche delle variabili e provincia

Nel secondo quadrante è evidente, invece, come la tipologia contrattuale (“mobilità” e “cassa integrazione”) trovino corrispondenza con le classi di addetti (250-499 e >500) e classi di età (55-64 e >65) “alte”. La provincia di Pesaro Urbino è quella più influenzata da queste variabili e si caratterizza per la presenza di settori quali “Industrie alimentari, delle bevande e del tabacco”, “Industria del legno e dei prodotti in legno”.

Alcuni settori si addensano all’origine degli assi non riuscendo quindi a “caratterizzarsi” o “identificarsi” in alcun modo per alcuna caratteristica nel senso che all’interno di essi possono trovarsi distribuite in maniera più o meno uniforme, le diverse modalità delle variabili.

A questo punto si è ritenuto opportuno fare un ultimo sforzo per rappresentare congiuntamente anche le tematiche della formazione per verificarne la loro distribuzione rispetto a tutte le altre variabili. Per avere un grafico più intellegibile, si è ritenuto opportuno fare questa operazione lasciando sul grafico solo le caratteristiche principali (percentuale di contributi dato all’asse) delle singole variabili.

Si ha così, Figura 9, un quadro completo di quelli che sono stati gli spazi operativi di Fondimpresa nel periodo considerato in funzione dei dati ricevuti dal gruppo di lavoro.

-1,00

-0,80

-0,60

-0,40

-0,20

0,00

0,20

0,40

0,60

-1,00 -0,80 -0,60 -0,40 -0,20 0,00 0,20 0,40 0,60 0,80 1,00A

C

DA

DB

DC

DD

DE

DF

DG

DH

DI

DJ

DK

DLDM

DN

E

F

G

H

I

J

K

M

N

O

Classe di addetti

Tipologia Contrattuale

Classe di età

Contr. Tempo Indeterminato

Contr. Tempo determinato

Contr. Tempo Intermittenza

Contr. Tempo parziale

Contr. Inserimento

Mobilità

Contr Progetto

Apprendisti

Cassa integrazione

Addetti10-49

Addetti 50-99

Addetti 0-9

Addetti 100-249

Addetti 250-499

Addetti >500

età 25-34

età

35-44

età <= 24

età 45-54

età 55-64

età > 65

Ancona

Fermo

Macerata

Ascoli Piceno

Pesaro e Urbino

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3.6 Conclusioni Dai dati presi in considerazione e dalle analisi effettuate, è difficile cercare di giungere a delle

conclusioni che possano dare indicazioni su come “indirizzare” la formazione alle imprese.

Del resto è difficile poter giungere a delle conclusioni circa l’efficacia degli interventi della formazione in quanto è praticamente impossibile riuscire a trovare informazioni circa l’impatto di ciascun programma sui partecipanti così come comprendere quali siano i fabbisogni formativi soddisfatti e quelli da soddisfare.

Ci si è limitati a fare una fotografia di quanto è avvenuto in un momento congiunturale non facile e nel quale le imprese hanno cercato di trovare soluzioni alla crisi anche attraverso la formazione dei propri dipendenti. Le competenze che richiede il mercato, quindi i fabbisogni formativi, sono ormai chiari: le lingue, competenze manageriali, di gestione, marketing, internazionalizzazione, digitali ed infine tutte quelle competenze che devono accompagnare le imprese in questo difficile momento.

Questo lavoro, quindi, pone le basi per ulteriori approfondimenti in materia cercando, magari con indagini future mirate, di far emergere quanto la formazione erogata alle imprese possa costituire un “valore aggiunto” per le imprese stesse e non solo, come sovente avviene, un “ripiego” per i lavoratori da “occupare” in altre attività che non siano quelle proprie a causa del momento congiunturale negativo del mercato.

-1,00

-0,80

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-1,00 -0,80 -0,60 -0,40 -0,20 0,00 0,20 0,40 0,60 0,80 1,00A

C

DA

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Contr. Tempo Indeterminato

Contr. Tempo determinato

Contr. Tempo Intermittenza

Contr. Tempo parziale

Contr. Inserimento

Mobilità

Contr Progetto

Apprendisti

Cassa integrazione

Addetti10-49

Addetti 50-99

Addetti 0-9

Addetti 100-249

Addetti 250-499

Addetti >500

età 25-34

età

35-44

età <= 24

età 45-54

età > 65

Ancona

Fermo

Macerata

Ascoli Piceno

Pesaro e Urbino

Lingue

Marketing e vendite

Gestione aziendale -amministrazione

Contabilità e finanza

Qualità

impatto ambientale

Sicurezza sul luogo di lavoro

Abilità personali

Informatica

Tecniche di produzione

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3.7 Abstract In questo capitolo si sono analizzati i dati forniti da Fondimpresa al gruppo di lavoro in maniera da

capire ed intercettare quali possano essere stati gli spazi operativi di formazione da parte di Fondimpresa. Si sono effettuate analisi e confronti sia a livello regionale che provinciale, per divisione ATECO, classe di addetti, genere prendendo in considerazione le “dimensioni” imprese, lavoratori beneficiari, la formazione erogata.

Le imprese che hanno beneficiato delle azioni di Fondimpresa nelle Marche sono state 906 che rappresentano, se rapportate al numero di imprese che hanno aderito al fondo al 16/9/2015 (5.143), il 17,62%. Le imprese che hanno aderito al conto Formazione risultano essere 592 (65,34%) mentre quelle che hanno aderito al conto Sistema sono 314 (34,66%).

Il dato provinciale denota una maggiore concentrazione nelle provincie di Ancona (78,49%) e di Fermo (68,49%) delle attività di formazione erogate nell’ambito del conto Formazione mentre sono quelle di Ascoli Piceno (45,58%), Macerata (40,68%) e Pesaro Urbino (38,38%) che, per il conto Sistema sono al di sopra del dato regionale.

L’analisi condotta invece per tipologia di conto sull’intero territorio regionale, denota come siano le provincie di Ancona (35,14%) e Macerata (23,65%) che da sole “attraggono” più del 55% del conto Formazione mentre è ancora Macerata (30,57%) insieme a Pesaro Urbino (22,61%) che fa da catalizzatore del conto Sistema con poco più del 53% del totale del conto.

L’analisi a livello territoriale del conto Formazione per Sezione Ateco e per provincia, mette in risalto come alcuni settori siano presenti in prevalenza solo in alcune provincie. È il caso ad esempio della concentrazione delle imprese del settore della “Fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio, trattamento dei combustibili nucleari” che, visto il polo petrolifero presente in provincia di Ancona non stupisce, mentre meriterebbe maggiore attenzione la concentrazione totale delle imprese dei settori “Attività finanziarie” (100% in Ancona) e quelle dell’ ”Istruzione” (100% a Macerata) che, pur risultando essere presenti nelle altre provincie della Regione, non risultano essere imprese aderenti.

La concentrazione di imprese nella provincia di Macerata (60%) delle imprese del settore “Alberghi e ristoranti” e il 52,38% delle imprese del settore “Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari”, dimostrano come, nel territorio, ci sia un forte legame tra le imprese calzaturiere e le strutture ricettive considerazione valida, oltremodo, anche per la provincia di Fermo che per gli stessi settori presenta percentuali pari al 20% per il primo e 35,71% per il secondo. A ben vedere le due provincie rappresentano l’80% delle imprese del settore “Alberghi e ristoranti” e ben l’88,09% per quello delle “Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari”.

La provincia di Pesaro è caratterizzata invece dalla presenza di imprese nei settori “Altre industrie manifatturiere” (52,5%) e “dal 50% dalle imprese del settore “Industrie del legno e dei prodotti in legno” a conferma della vocazione prettamente “mobiliera” della provincia. Per quest’ultimo settore, infatti, insieme alla provincia di Macerata (40%) rappresentano ben il 90% delle imprese regionali aderenti al conto Formazione di Fondimpresa.

È il settore “Agricoltura, caccia e silvicoltura”, per quanto riguarda il conto Sistema, che trova la totalità delle imprese aderenti al conto nella provincia di Ascoli Piceno, così come quelle del settore “Sanità ed assistenza sociale” mentre, nella provincia di Macerata sono concentrate la totalità delle

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imprese dei settori “Estrazione di minerali” e “Produzione e distribuzione di energia elettrica, gas e acqua”.

Le imprese dei settori “Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari” e “Alberghi e ristoranti”, trovano una loro localizzazione nelle provincie di Macerata (59,09% per il primo settore e 33,33% per il secondo) e Fermo (40,91% e 66,67% rispettivamente) a dimostrazione dell’indotto che il settore delle industrie conciarie (prevalentemente calzaturifici) apporta al territorio.

Da notare comunque che la Provincia di Fermo è presente, oltre che nei settori precedentemente descritti, solo nei settori “Fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici”, con appena il 3,45% delle imprese del settore, e “Metallurgia, fabbricazione di prodotti in metallo” con il 2,86%.

Per quanto riguarda la tipologia dei lavoratori beneficiari degli interventi Fondimpresa, si è partiti dall’analizzare le tipologie di contratto per singolo conto tenendo presente che sono 18.047 i lavoratori coinvolti di cui 14.239 (78,90%) per il conto Formazione e 3.808 (21,10%) per il conto impresa.

Dall’analisi effettuata sono emersi due dati che meritano di essere segnalati e che riguardano la totalità (100%) dei lavoratori coinvolti per tipologia di contratto: i lavoratori con contratti di “mobilità” che vengono impegnati esclusivamente nel conto Sistema e quelli con la tipologia “contratti a progetto” impegnati esclusivamente nelle attività formative del conto Formazione. Per tutte le altre tipologie di contratto è il conto formazione che contribuisce maggiormente alla formazione con valori che variano dal 65,75% della tipologia “Contratti di lavoro a tempo parziale” a quello dell’89,69% della tipologia Apprendisti. Fa eccezione solo la tipologia “Contratti di lavoro a intermittenza” che vede prevalere il conto Sistema (53,85% contro il 46,15% del conto Formazione).

È stato interessante verificare come la formazione, indipendentemente dal conto con cui viene erogata, assume un ruolo fondamentale per i lavoratori con tipologia di “contratto di lavoro a tempo indeterminato” che rappresenta il 92,35% di tutte le tipologie contrattuale con valori del 92,40% e 92,15% rispettivamente per il conto Formazione e conto Sistema.

Per quanto riguarda la distribuzione per genere, il genere maschile ha una netta predominanza in valore assoluto su quello femminile con ben 13.037 lavoratori (72,24% ) contro le 5.010 lavoratrici (27,76%).

Si evidenzia subito come la tipologia “Contratto a progetto” sia a completo appannaggio del genere maschile che, comunque, predomina in tutte le tipologie contrattuali ad eccezione per la tipologia “Contratti di lavoro a tempo parziale” che vede una netta predominanza di genere femminile (79,91%) contro il 20,09% del genere maschile.

L’analisi all’interno dei singoli conti ha messo in luce la predominanza assoluta del genere (100%) del maschile nella tipologia “contratti a progetto”, nel conto Formazione dove, peraltro, si ripropone la prevalenza del genere femminile (79,17% contro il 20,83% del genere maschile) per la tipologia dei “contratti di lavoro a tempo parziale”.

È nel conto Sistema che il genere femminile contrappone, al 100% del genere maschile della tipologia “contratti di inserimento”, il 100% delle lavoratrici della tipologia “cassa integrazione”. Anche nel conto Sistema viene evidenziata la preponderanza del genere femminile (81,33% contro il 18,67% del genere maschile) all’interno della tipologia “contratti di lavoro a tempo parziale”.

Per quanto concerne la descrizione delle tipologie contrattuali, nel descriverle singolarmente in relazione ai settori produttivi, si è evidenziato che i settori “estrazione di minerali” (14,33%), “altre

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industrie manifatturiere” (13,77%) e “fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” (11,63%), sono quelli che maggiormente identificano le attività formative della tipologia “contratti a tempo determinato” che distribuisce la restante parte negli altri settori con la sola esclusione di quello delle “attività finanziarie” dove non risultano lavoratori coinvolti.

I lavoratori con tipologia “contratto a tempo indeterminato”, si distribuiscono su tutti i settori tra i quali, il principale, risulta essere quello della “fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” con il 14,84% seguito da quello delle “altre industrie manifatturiere” con il 14,50%.

L’ulteriore incrocio fatto tra i settori ATECO con la suddivisione in classe di età dei lavoratori beneficiari delle attività di formazione, ha fornito ulteriori informazioni di dettaglio in proposito.

Le classi di età “da 35 a 44” (35,89%) e “da 45 a 54” (31,89%) sono quelle che insieme rappresentano il 67,78% dei lavoratori impegnati nelle attività di formazione di Fondimpresa. Le due classi, ad esempio, rappresentano il 100% dei lavoratori per il settore “Attività finanziarie” rispettivamente con il 33,33% della classe “da 35 a 44” e il 66,67% di quella “da 45 a 54”. Quest’ultima classe, peraltro, non ha lavoratori in formazione nel settore “Istruzione” che viene caratterizzata dalle classi “25-34” con il 44,44% e da quella “da 35 a 44” per il 55,56%. Da sottolineare anche come le classi “>=24” e “over 65” raggiungano percentuali di lavoratori molto basse (1,99% per la prima e 0,94 per la seconda) a dimostrazione che la formazione, per certe tematiche come vedremo più avanti in questo lavoro, non è indirizzata ai lavoratori in ingresso e in uscita.

Si sono poi passati in rassegna i singoli conti (sistema e formazione) in maniera da mettere in evidenze gli aspetti quali-quantitativi della formazione erogata da Fondimpresa.

Le ore di formazione erogata nell’ambito del conto di Sistema risultano essere pari a 11.691 di cui il 65,77% (7.689) sono state utilizzate in appena 6 settori che risultano essere, nell’ordine, quello delle “industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari” con il 13,63%, “metallurgia, fabbricazione di prodotti in metallo” con il 12,77%, “industrie tessili e dell'abbigliamento” con l’11,99%, “trasporti, magazzinaggio e comunicazioni” con il 9,79%, “altre industrie manifatturiere” con l’8,92% ed infine quello della “fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” con l’8,66%. Tutti questi settori hanno superato la soglia delle 1.000 ore di formazione. Non hanno superato le 100 ore di formazione invece, i settori “fabbricazione di prodotti chimici e di fibre sintetiche e artificiali” (82 ore), “fabbricazione di mezzi di trasporto” (80 ore), “fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio, trattamento dei combustibili nucleari” (72 ore), “alberghi e ristoranti” (48 ore), “agricoltura caccia e silvicoltura” (28 ore), “estrazione di minerali” (20 ore) e “sanità e assistenza sociale” con appena 6 ore di formazione.

I dati analizzati relativamente alle tematiche di formazione svolte hanno messo in evidenza che quella relativa alla “sicurezza sul luogo del lavoro” è quella che prevale con ben 4.788 ore di formazione che rappresentano circa il 41% del totale delle ore. Evidentemente, tra i limiti imposti dalle normative vigenti ed una maggiore sensibilità emersa in ambito lavorativo in questi ultimi anni, le imprese hanno la necessità di investire in questa tematica.

Ulteriore tematica da prendere sicuramente in considerazione è quella relativa alle “Tecniche di produzione” che, con le sue 1.799 ore di formazione erogata, rappresenta il 15,39% del totale. Anche in questo caso, evidentemente, le imprese hanno la necessità di “innovare” i loro processi produttivi per meglio affrontare le sfide del mercato.

Nell’ambito del conto Formazione, risultano erogate 50.050 ore di cui circa il 60% (59,33% - 29.693 ore) sono state distribuite nei settori “trasporti, magazzinaggio e comunicazioni” (14,98% - 7.497 ore),

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

“fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” (14,92% - 7.150 ore), “metallurgia, fabbricazione di prodotti in metallo” (8,65% - 4.331 ore), “altre industrie manifatturiere” (8,15% - 4.080 ore), “industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari” (7,53% - 3.769 ore) e “fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche” con il 5,73% (2.867 ore).

L’analisi dei dati relativamente alle tematiche di formazione svolte, ha messo in luce che è la tematica sulla “Sicurezza sul luogo di lavoro” che impegni per più del 25% (25,75%) le ore (12.886) dedicate alla formazione. Sono solo 4 le tematiche che contribuiscono con una percentuale maggiore del 10% alle ore del conto Formazione. Oltre alla già citata “Sicurezza sul luogo di lavoro”, sono le tematiche “Lingue” (17,15%), “Abilità personali” (13,63%) e “Tecniche di produzione” (10,90%) che con le loro 33.747 ore totali, rappresentano ben il 67,43% delle ore tematiche svolte. In merito a questi settori valgono le considerazioni valutative già espresse in merito nel paragrafo precedente.

Nell’analizzare la distribuzione delle tematiche di formazione all’interno dei settori si è evidenziato, anche per il conto Formazione, che la tematica “Sicurezza sul luogo di lavoro” è presente in tutti settori, ad eccezione di quello dell’istruzione, contribuendo con percentuali superiori al 10% solo nei settori “altre industrie manifatturiere” (10,81%), “trasporti, magazzinaggio e comunicazioni” (10,70%) e “fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” con il 10,34%. Negli altri settori tale tematica è distribuita più o meno uniformemente.

La tematica “lingua” viene erogata per il 29,06% nel settore “fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici” mentre nel settore “fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche” solo per il 10,64%.

Per quanto concerne la penetrazione di Fondimpresa nel tessuto produttivo regionale esso risulta molto basso in quanto, nella sua globalità, è pari allo 0,69 con punte dello 0,84 in provincia di Ascoli Piceno, dello 0,83 in quella di Macerata e 0,72 in provincia di Ancona; al di sotto della media regionale le provincie di Pesaro Urbino con lo 0,57 e Fermo con lo 0,44.

A livello regionale, se si esclude quello dell’industria del Tabacco, il settore più raggiunto da Fondimpresa è dato da quello della “Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche” (0,252), che raggiunge livelli superiori allo 0,100 in tutte e 5 le provincie, seguito da quello della “Raccolta, depurazione e distribuzione d'acqua” (0,182) e da quello della “Fabbricazione di apparecchi radiotelevisivi e di apparecchiature per le comunicazioni” (0,130). Con valori superiori allo 0,1 si segnalano anche i settori “Fabbricazione di prodotti chimici e di fibre sintetiche e artificiali” (0,110) e “Fabbricazione di coke, raffinerie di petrolio, trattamento dei combustibili nucleari” (0,103).

Al fine di ottenere una migliore interpretazione delle informazioni disponibili sulle aree di intervento della formazione Fondimpresa, si è ritenuto opportuno fare ricorso al metodo di base di analisi dei dati della statistica descrittiva multidimensionale: l’Analisi delle Componenti Principali (ACP).

L’ACP permette di ottenere una descrizione sintetica, in forma grafica, di un insieme di n osservazioni effettuate su p attraverso la ricerca di nuove variabili sintetiche, ottenute come combinazione lineare delle variabili di partenza.

Si tratta di un metodo di riduzione del numero delle variabili – attraverso la ricerca di nuove variabili sintetiche ottenute come combinazione lineare delle variabili di partenza – al fine di permettere la rappresentazione geometrica degli individui e dei caratteri: questa riduzione è possibile solo se le p variabili iniziali non sono indipendenti ed hanno dei coefficienti di correlazione non nulli.

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Con l’applicazione di tale metodologia si e giunti alla rappresentazione simultanea degli individui (settori ATECO) e variabili (nr. Imprese, classe di addetti, numero lavoratori, ore di formazione erogate, tematiche, …) in uno spazio bi-dimensionale in cui le variabili sono state sintetizzate per meglio essere rappresentate. La figura seguente è il risultato finale di questa metodologia.

Rappresentazione individui, modalità caratteristiche delle variabili e provincia

Sono le provincie di Ancona, Macerata e Fermo che caratterizzano fortemente il primo asse, “dimensione” dell’impresa, che per quanto detto precedentemente, trova una correlazione forte con la “tipologia contrattuale” per cui si potrà notare la vicinanza delle classi di addetti (10-49 e 50-99) con le tipologie contrattuali “forti” ovvero “contratti a tempo indeterminato” e “contratto a tempo determinato”. Le classi di età che caratterizzano questo quadrante sono quelle intermedie ovvero 35-44 e 45-54. I settori che risultano avere “in media” queste caratteristiche sono quelli delle “Industrie conciarie, fabbricazione di prodotti in cuoio, pelle e similari”, “Fabbricazione di macchine e apparecchi meccanici”, “Fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche”, “Metallurgia, fabbricazione di prodotti in metallo”, “Altre industrie manifatturiere”.

Come si potrà osservare, la variabile “tipologia di contratto” si dispone su di una linea retta teorica che, partendo dal terzo quadrante, “passa” attraverso gli “apprendisti” e raggiunge i “contratti a tempo indeterminato” ovvero “dall’ingresso” al mondo del lavoro alla “stabilità” attraversando e caratterizzando anche le altre variabili che si dispongono comunque al di sotto o al di sopra di questa linea. Si noti ad esempio sempre nel terzo quadrante anche la presenza della tipologia contrattuale

-1,00

-0,80

-0,60

-0,40

-0,20

0,00

0,20

0,40

0,60

-1,00 -0,80 -0,60 -0,40 -0,20 0,00 0,20 0,40 0,60 0,80 1,00A

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Classe di addetti

Tipologia Contrattuale

Classe di età

Contr. Tempo Indeterminato

Contr. Tempo determinato

Contr. Tempo Intermittenza

Contr. Tempo parziale

Contr. Inserimento

Mobilità

Contr Progetto

Apprendisti

Cassa integrazione

Addetti10-49

Addetti 50-99

Addetti 0-9

Addetti 100-249

Addetti 250-499

Addetti >500

età 25-34

età

35-44

età <= 24

età 45-54

età 55-64

età > 65

Ancona

Fermo

Macerata

Ascoli Piceno

Pesaro e Urbino

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

“Contratto tempo intermittenza” si associ a classi di età “basse” (<=24 e 25-34) ma a settori quali “Trasporti, magazzinaggio e comunicazioni” e “Agricoltura” che trovano nella provincia di Ascoli Piceno la loro caratterizzazione.

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4 RICOGNIZIONE DEI FABBISOGNI FORMATIVI ESPRESSI INTERCETTATI DA FONDIMPRESA

4.1 Premessa In questo capitolo si prenderanno in considerazione due aspetti dell’indagine: l’analisi dei fabbisogni

formativi espressi dai beneficiari (imprese e lavoratori) sulla base di un’indagine svolta dal Censis nell’ambito del progetto FARO LAB della Regione Marche e la ricostruzione dei fabbisogni formativi espressi dai destinatari ed intercettati da Fondimpresa.

Si fa presente che nell’ambito di questa indagine era prevista la realizzazione di una breve indagine circa i fabbisogni espressi ed inespressi formativi da parte dei destinatari. A questo proposito il team di ricerca aveva pianificato un’attività di focus group ed una seconda di indagine basata sulla somministrazione di un questionario ai rappresentanti delle imprese del territorio.

Tuttavia, un primo monitoraggio del contesto regionale basato su desk research ed interviste a testimoni privilegiati aveva fatto emergere tre aspetti importanti. Vale a dire, da una parte, la Regione Marche ha dato vita ad un progetto sperimentale dal titolo “FARO LAB” attraverso il quale realizzare un’indagine approfondita circa lo stato dell’arte sulla formazione continua ed i relativi fabbisogni formativi per la realizzazione di un Osservatorio sulla formazione continua. Dall’altra, proprio nell’ambito del progetto “FARO LAB” i soci dell’ATS IFOA, Censis e l’associazione Nuovi Lavori hanno realizzato una serie di focus group a livello provinciale negli anni 2014 e 2015 nonché un’indagine quantitativa basata sulla somministrazione di un questionario alle imprese e ai partecipanti ai corsi di formazione continua. Il terzo elemento emerso dalla nostra analisi di contesto basata su desk research ed interviste a testimoni privilegiati è stato appunto la perplessità di coloro che sono stati intervistati e della stessa OBR Marche.

In particolare il Dott. Montanini (Responsabile Regione Marche Formazione) ha suggerito di evitare ulteriori indagini in quanto gli aspetti che si andavano a ricercare nella nostra indagine erano già stati approfonditi sufficientemente negli ultimi 4 anni da parte del consorzio aggiudicatario del bando della Regione e che ha portato alla realizzazione del progetto FARO LAB. Di conseguenza suggeriva di prendere spunto da tale indagine.

D’altronde rilevava sempre il Dott. Montanini, le imprese in questi ultimi anni sono state sommerse di indagini date le condizioni economiche in cui versa il paese e lo stesso territorio. Il Dott. Montanini concludeva sostenendo anche che nell’ambito del FARO LAB hanno constatato una minore collaborazione del tessuto economico regionale all’indagine dopo una prima fase di forte entusiasmo e partecipazione. In particolare tale risultato si è evidenziato soprattutto nelle attività di focus group. Tanto che la partecipazione ai focus group è passata da circa 15 partecipanti per focus group nell’anno 2014 ad una media di 5 partecipanti ai focus group del 2015.

Allo stesso tempo, la stessa OBR Marche, nel momento in cui gli è stato presentato il piano di realizzazione dell’indagine da parte del team di ricerca ha appoggiato la metodologia ma al momento della richiesta di supportare i ricercatori per contattare le imprese, l’OBR Marche ha fatto presente che non era il caso di chiedere un ulteriore sforzo ai rappresentanti delle imprese.

Alla luce di quanto espresso, nella prima parte di questo capitolo si presenteranno la metodologia di indagine utilizzata da parte dell’ATS FARO LAB circa l’indagine quantitativa svolta nei confronti delle imprese e dei lavoratori partecipanti ai corsi di formazione continua e successivamente i principali risultati. Nella seconda parte del capitolo invece si presenteranno i principali risultati circa la

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

ricostruzione dei fabbisogni formativi espressi intercettati da Fondimpresa sulla base dei dati disponibili.

4.2 Contributo progetto FARO LAB alla ricognizione dei fabbisogni espressi

4.2.1 Metodologia Per quanto riguarda la metodologia utilizzata nell’indagine per la rilevazione delle caratteristiche e

sulle nuove eventuali esigenze formative di coloro che abbiano frequentato attività di formazione continua negli anni precedenti l’indagine di FARO LAB risulta finalizzata a rilevare il tasso di soddisfazione degli utenti e l’impatto che la formazione ha avuto sul percorso professionale.

L’indagine oltre a tenere conto delle banche dati, tiene conto dei sistemi di monitoraggio fisico e finanziario e gli elenchi dei beneficiari delle attività di formazione continua, sia presso la Regione e sia presso i Fondi Paritetici Interprofessionali.

In particolare per quanto riguarda l’indagine quantitativa la metodologia prevedeva l’acquisizione dei dati degli elenchi dei beneficiari, procedere alla composizione di un panel, per quanto possibile, rappresentativo. Preparazione del questionario da condividere con l’ente finanziatore. Il panel faceva riferimento a un anno o più anni formativi ma non eccessivamente precedenti all’indagine stessa.

Il questionario prevedeva le seguenti sezioni:

informazioni generali: età, sesso, titolo di studio, altre esperienze formative, attuale condizione occupazionale, condizione al momento della frequenza del corso, anzianità lavorativa, tipologia e livello di inquadramento, settore economico, impresa, ecc.

Gradimento dell’attività formativa: aspettative e risultati conseguiti, soddisfazione generale, qualità percepita, opinioni su metodologie, contenuti, logistica durata, utilità delle competenze acquisite, ecc.

Impatto sul percorso professionale individuale e sull’organizzazione/contesto aziendale: miglioramento di posizione/ruolo/funzione, incrementi economici, cambio di lavoro, miglioramento delle performance aziendali, ecc.).

Propensione alla formazione ed emersione di nuovi bisogni formativi.

La rilevazione è stata realizzata tramite la somministrazione (on line con metodo CAWI) di un questionario strutturato. Il numero di partecipanti coinvolti previsto era di 1.000.

Per quanto riguarda invece l’indagine per la ricognizione dei fabbisogni professionali e formativi delle imprese, il progetto intendeva raggiungere il seguente obiettivo: raccogliere le esigenze di qualificazione/aggiornamento/riconversione, di nuove professionalità e di formazione espresse dal sistema produttivo e di mettere a sistema l'insieme delle informazioni in funzione della costruzione di un'offerta di formazione adeguata alle stesse esigenze delle imprese e ai percorsi di evoluzione economica e produttiva del territorio.

Le principali fonti di informazione di tipo desk sono da ricondurre al Sistema Informativo Excelsior – Ministero del Lavoro – UnionCamere che rileva periodicamente i fabbisogni di figure professionali sull’intero territorio nazionale. Inoltre, le indagini sui fabbisogni professionali e formativi realizzate dagli enti bilaterali nazionali e eventuali attività di ricerca realizzate a livello locale.

La rilevazione dei fabbisogni espressi dalle imprese è stato realizzato tramite:

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somministrazione (on line con metodo CAWI) di un questionario strutturato a un panel (solo “qualitativamente” rappresentativo) di imprese marchigiane;

realizzazione di Focus Group a dimensione provinciale e di Piani Formativi aziendali, finalizzati all'approfondimento “qualitativo” di alcuni specifici aspetti emersi nel corso della realizzazione dell'attività di ricerca;

realizzazione di interviste a testimoni privilegiati (rappresentanti del partenariato sociale ed economico, stakeholder, ecc), al fine di ottenere informazioni aggiuntive di segno qualitativo, rispetto a quanto emerso con le due rilevazioni ora citate;

realizzazione di casi di studio aziendali, non contemplati nel progetto FARO LAB, ma di rilevante interesse nell’economia complessiva del Modello qui proposto.

Somministrazione di un questionario strutturato alle imprese selezionate, in particolare la realizzazione dell'indagine prevede le seguenti fasi:

analisi della documentazione disponibile;

definizione dell’universo delle imprese;

definizione del campione (di un panel) delle imprese in conformità a determinate variabili strutturali;

costruzione dell'indirizzario e dei referenti aziendali;

individuazione delle modalità di rilevazione sul campo (somministrazione diretta, metodi CATI, CAWI, invio postale, ecc.) e del gruppo di lavoro dedicato alla rilevazione (internalizzazione dell'attività o esternalizzazione a società specializzate);

predisposizione degli strumenti di rilevazione

briefing del gruppo di rilevatori;

test degli strumenti di rilevazione;

rilevazione tramite somministrazione di questionari alle imprese;

imputazione dei dati raccolti e predisposizione dell'archivio e del data set;

definizione del piano degli incroci;

analisi preliminare dei dati e verifica congruenza interna;

costruzione matrici di elaborazione (per dati quantitativi) e analisi di contenuto (per dati qualitativi);

calcolo delle statistiche descrittive (frequenza, media, mediana, varianza, ecc.);

effettuazione incroci fra le variabili attraverso tecniche statistiche anche multivariate (correlazione, chi quadrato, analisi della varianza, ecc.);

redazione del rapporto di indagine.

Strumenti di rilevazione Le aree di indagine contenute nei questionari devono riguardare necessariamente:

il profilo aziendale;

la domanda di Formazione Continua;

le esigenze di nuove professionalità e competenze;

le modalità di accesso al mercato della formazione34.

L’indagine prevedeva un panel di 1.000 imprese.

34 Per approfondire la metodologia dell’indagine così come i questionario, si veda:

http://www.istruzioneformazionelavoro.marche.it/Portals/4/Documenti/Report_Mod_rilevazione%20indagine.pdf

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

4.2.2 Risultati indagine FARO LAB imprese L’indagine quantitativa sui fabbisogni formativi delle imprese è un percorso che inizia nel 2010 e

termina nel 2015 con 3 aggiornamenti. Alla prima indagine hanno collaborato 1.060 imprese non campionate. Gran parte delle imprese sono società di capitali, 429 a responsabilità limitata e 131 per azioni, 128 società in nome collettivo, 56 cooperative, 49 in accomandita semplice e 5 società di persone. Il 31% sono imprese manifatturiere, il 16% commercio e servizi alle imprese mentre per gli altri settori il numero delle imprese che hanno partecipato è al di sotto del 10%. Le imprese fino a 4 occupati sono il 32%, il 21% quelle con 5-9 addetti, il 20% quelle con 15-49 addetti ed infine il 15% le imprese con più di 50 lavoratori. Oltre 1/3 delle imprese sono residenti in provincia di Ancona, il 22% nella provincia di Pesaro Urbino, 20% Macerata, 9% Fermo ed infine 4% nel fermano.

Gran parte di coloro che hanno risposto sono i titolari, 56%, o i manager delle imprese che sono prevalentemente maschi, 62%, e laureati, 55%. Alla domanda se l’anno passato, il 2009, sia stato positivo o negativo, essi hanno risposto per il 34% negativo mentre per il 2010 essi hanno dichiarato per il 42% che è stato negativo e per il 2011 prevedono che sarà ancora negativo per il 53%. In particolare sono i comparti dell’edile e del manifatturiero a manifestare il peggior andamento.

Solo il 16% delle imprese contattate hanno dichiarato di essere iscritte ad un fondo paritetico professionale tuttavia dai dati dei fondi risulta che circa la metà delle imprese marchigiane sono iscritte ad un fondo di conseguenza si deve prendere atto che spesso neanche i titolari o gli amministratori sono a conoscenza del fatto che sono iscritti ad un fondo interprofessionale.

I ricercatori del Censis presumono che le iscrizioni, essendo senza oneri, vengono effettuate dai consulenti fiscali all’insaputa degli amministratori. E’ interessante notare che tra le imprese che dichiarano di far parte di un fondo paritetico professionale, si manifesta il doppio delle risposte positive rispetto alla congiuntura economica. Il 40% delle imprese dichiara di non aver messo in atto alcun intervento per contrastare la crisi, il 22% dichiara di essersi indebitata in misura maggiore e per il 17% ha ridimensionato la produzione. Tra le imprese che hanno cercato di reagire vi sono soprattutto quelle manifatturiere le quali hanno messo in atto strategie per raggiungere nuovi mercati, 28%, o hanno ridotto le esternalizzazioni, il 19%. Le imprese che hanno dichiarato di essersi maggiormente indebitate sono quelle del comparto delle costruzioni. Tuttavia, il 57% delle imprese hanno cercato di mantenere stabile l’occupazione ed il 19% ha addirittura fatto nuove assunzioni.

Per quanto riguarda l’occupazione, le imprese del comparto edile dichiarano per il 50% di avere difficoltà a reperire il personale di cui ha bisogno, il 42% nei servizi alle imprese e il 40% nel manifatturiero.

Per quanto riguarda la formazione, sono gli stessi titolari ad ammettere carenze in competenze gestionali, 18%, di marketing, 16%, e linguistiche, 31% mentre oltre 1/3 dichiara di essere soddisfatto delle competenze già acquisite. Tuttavia il 54% degli intervistati non ha partecipato ad alcun corso di formazione negli ultimi 3 anni, anche se il 58% dichiara di essere disponibile a partecipare ad un corso di formazione.

Sul versante dei dipendenti, i titolari riscontrano lacune in competenze gestionali, 30%, linguistiche, 25%, e normativa del settore per il 22% e a seguire difficoltà nel campo dell’informatica e del marketing rispettivamente per il 17% e 13%. Tuttavia oltre il 36% non rileva alcuna lacuna nei proprio dipendenti.

Inoltre, quasi la metà degli amministratori delle imprese partecipanti non rileva carenze dal punto di vista professionale. Altri riscontrano carenze di carattere organizzativo, 25%, e scarsa specializzazione, 21%. Il dato disaggregato rileva che è soprattutto nel settore del turismo e del commercio dove non si

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riscontrano carenze sulle competenze del personale, 57%, mentre nel settore delle costruzioni i datori di lavoro riscontrano scarse competenze nell’ambito dell’organizzazione del lavoro e addirittura scarsa preparazione culturale.

Più della metà dei dipendenti hanno partecipato a corsi di formazione negli ultimi tre anni ma di fatto prevalentemente corsi sulla sicurezza sul luogo di lavoro, l’apprendimento linguistico e l’informatica.

L’aspetto più interessante che si rileva dall’indagine è che oltre il 75% dei partecipanti dichiara che la formazione impartita ai propri dipendenti sia stata finanziata con fondi propri. Questo sembrerebbe confermare che spesso gli amministratori non sono a conoscenza delle modalità di finanziamento dei corsi di formazione. Il 19% degli intervistati fa riferimento alle risorse del Fondo Sociale Europeo (FSE), il 20% ai fondi interprofessionali ed infine pochissimi, circa il 3% ha citano le leggi 236/93 e 53/2000.

Infine, sono oltre il 70% le imprese che ritengono di non avere bisogno di corsi di riqualificazione, aggiornamento o riconversione del personale. Nei settori del commercio e turismo, servizi alle imprese e costruzioni la media è superiore al 70%.

Tra coloro che segnalano la necessità di formazione, essi ritengono che necessitano di formazione soprattutto per la manodopera, soprattutto nei settori delle costruzioni e del manifatturiero. A seguire i tecnici, specie nei settori appena citati ed anche nei servizi alle imprese. Essi ritengono che siano necessarie competenze tecniche ed informatiche di carattere avanzato e specifico al settore o all’impresa stessa come nel caso di formazione per specifici pacchetti applicativi e non formazione di base. A seguire le lingue straniere per gli italiani e la lingua italiana per gli stranieri.

Le figure ritenute più importanti in azienda variano di settore in settore. Infatti, se nelle costruzioni sono soprattutto la manodopera, 29%, i tecnici, 27%, nel manifatturiere sono soprattutto i quadri e dirigenti con oltre il 27%. Nel settore dei servizi alle imprese invece per il 35% la figura più importante è l’amministrativo e per il 21% il tecnico.

Infine, le figure più richieste sono la manodopera, per il 25%, i tecnici per il 20% ed i dirigenti per il 9%. Anche in questo caso si conferma la differenziazione per settori produttivi dove nelle costruzioni la figura più richiesta è la manodopera per il 46% ed i tecnici per il 19% così come nel comparto manifatturiero anche se le percentuali sono inferiori, rispettivamente 31% e superiori con il 23%. Nel settore della ristorazione e del commercio invece le figure maggiormente richieste sono il commerciale, 34%, e la manodopera, 21%. In generale le figure più richieste sono la manodopera e i tecnici con un terzo ciascuno, in termini percentuali. Si richiedono figure con un grado di scolarizzazione alto come la laurea specialistica, 31%, ma anche diploma di scuola media superiore per il 27% mentre il 25% non ritiene che il titolo di studio sia importante. Da sottolineare che solo il 13% ritiene la laurea triennale sia necessaria. Tuttavia molte imprese richiedono esperienza specifica, 38%, o nel settore, 31%, e sarebbero disponibili a pagare un costo maggiore.

All’aggiornamento del 2011 hanno risposto 552 imprese quindi circa la metà rispetto alle 1.060 della prima indagine. Ciò potrebbe essere dovuto anche al fatto che l’indagine è stata svolta tra luglio e settembre del 2011 quindi proprio nel momento di massima tensione a livello nazionale, europeo e dal punto di vista economico. Tra i titolari cresce l’incertezza circa l’andamento dell’economia tanto che il 28% dei partecipanti dichiara di non saper rispondere come sarà il 2012 così come si riduce la percentuale che pensa che l’anno in corso, il 2011, così come il prossimo, il 2012, saranno

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

contrassegnati da una crescita. Infatti, si passa da un 33% per il 2011, a un 28% per il 2011 e 21% per il 2012.

Le imprese che hanno aumento il numero di addetti sono prevalentemente quelle del settore dell’energia con il 66% a seguire quelle del credito e delle assicurazioni con il 43% ed infine nella logistica con il 27% mentre industria e costruzioni sono i settori dove il numero di addetti si è ridotto per il 32% circa. Tuttavia oltre i 2/3 delle imprese non ritiene sia il momento di fare nuove assunzioni ed esse sono circa il 16% in più rispetto allo scorso anno.

Molti amministratori di aziende ritengono che produrre nelle Marche sarebbe un vantaggio ma dovrebbe essere sfruttato in misura maggiore. In particolare, essi ritengono che il vantaggio sarebbe dovuto alla maggiore qualità della vita, alle migliori risorse umane e di competenze, la localizzazione geografica ed infine alla capacità delle imprese di fare innovazione. Tali motivazioni vanno dal 52% al 35%.

Mentre vengono segnalate come criticità del territorio il lavoro irregolare, 41%, il ruolo e le politiche degli istituti di credito, 37%, e le infrastrutture per il 31%. Essi si soffermano anche sull’importanza dell’informatica specie nel rapporto con i clienti e dichiarano anche di utilizzare tale strumento ma che sarebbe necessario aumentarne l’utilizzo.

Per quanto riguarda l’occupazione, le imprese ritengono che non sia particolarmente difficile reperire il personale, per circa il 36%. In misura leggermente inferiore rispetto al 2010 mentre non ritengono di assumere in misura molto maggiore rispetto all’anno precedente, si passa da poco meno del 60% al 66%.

Alla domanda se ritengono di avere le competenze necessarie per gestire l’azienda, si nota come essi riconoscano in misura maggiore la necessità di incrementare la formazione rispetto all’indagine dell’anno precedente. Coloro infatti che dichiarano di non avere tale necessità passano dal 38 al 35 percento. Inoltre, aumenta il numero di coloro che riconoscono di avere bisogno di una maggiore conoscenza delle lingue, dal 30 a quasi il 34%. Tale consapevolezza si dimostra anche per quanto riguarda le competenze dei propri dipendenti per i quali il 31% ritiene non sia necessaria alcuna formazione rispetto al 37% dell’anno precedente. Le lingue e le competenze organizzative gestionali sono quelle che vengono maggiormente citate ed in aumento rispetto all’anno precedente. Tuttavia, sia nel caso delle competenze degli amministratori così come del personale, i partecipanti ritengono che siano necessarie più competenze nei diversi ambiti della formazione rispetto all’anno precedente. Segno, probabilmente, che con la crisi e la partecipazione al progetto, sia aumentata la consapevolezza che la competizione internazionale ha fatto emergere i limiti delle loro imprese, degli amministratori così come del personale.

Di conseguenza emergono in misura maggiore le carenze manifestate dai propri dipendenti, in tutti i campi. Infatti, si riduce il numero degli intervistati che dichiarano di non riscontrare particolari carenze, dal 37 al 31 percento. Malgrado tutto ciò, aumenta il numero degli intervistati che dichiara di non sentire l’esigenza di formazione dei propri dipendenti, da 27 a 30 percento. Tuttavia, essi ritengono che tra i loro addetti sono i funzionari e responsabili a necessitare di formazione, 24%, gli amministrativi, 20%, tecnici e la manodopera per il 17%.

Infine, si riduce il grado di soddisfazione per la formazione fruita. Infatti, si passa da un grado di forte soddisfazione del 36% per il 2011 a poco meno del 31% per il 2012 per quanto riguarda gli amministratori ma la riduzione maggiore risulta essere la soddisfazione per i dipendenti che hanno seguito un corso di formazione. Infatti, il grado di soddisfazione complessivo passa dall’90% all’80%.

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Nell’aggiornamento del 2014 le imprese rispondenti sono risultate 563 contro le 1.060 del primo anno e le 552 del secondo anno. L’indagine è stata svolta tra dicembre 2013 e febbraio 2014 ad un indirizzario di 10.500 indirizzi e come negli anni precedenti l’indagine si è svolta con un questionario online. I partecipanti sono prevalente amministratori delegati o responsabili del personale, in prevalenza maschi, giovani e con un titolo di studio superiore al diploma. Il passaggio dai titolari, agli amministratori ed infine ai responsabili del personale è segno che, da parte delle imprese, inizia ad esserci una maggiore attenzione alla formazione ed all’indagine stessa.

Tra le imprese sale la consapevolezza di essere iscritti ai fondi interprofessionali e si raggiunge la quota del 37% ed un altro 10% riconosce di non esserne a conoscenza. Insomma un bel salto in avanti rispetto al 13% del primo anno. Ciò sicuramente sarà dovuto anche all’aumento delle imprese che si sono iscritte nel frattempo ma anche ad una maggiore conoscenza del tema.

Rispetto alla crisi, il 37% continua a sostenere che non hanno preso alcune contromisure mentre il 27% dichiara di essersi indebitato ulteriormente. Infine il 18% punta a raggiungere nuovi mercati. Si rileva scarsa collaborazione tra le imprese dello stesso settore e risulta per la maggior parte occasionale, 60%. Le imprese tendono a mantenere stabile il livello occupazione per il 52% mentre per il 30% si è deciso di ridurlo. Le imprese sostengono che i principali fattori che hanno permesso di mantenere la competitività sono stati la qualità e specializzazione del prodotto per il 61%, i prezzi per il 52% e la flessibilità nella fornitura del prodotto o servizio per il 31%. La competitività però è stata anche supportata da maggiori investimenti in tecnologia così come nel risparmio energetico, per il 42% delle imprese. Solo il 34% delle imprese ha lanciato nuovi prodotti e circa il 30% è presente nei mercati esteri. Tra le aziende che hanno risposto di essere presenti nei mercati esteri, oltre la metà dichiara di avere una posizione relativamente consolidata, per il 40% sono imprese già presenti nei mercati internazionali ma che hanno deciso di sperimentare nuove strategie ed infine un 18% che ha deciso da poco tempo di intraprendere un percorso d’internazionalizzazione. Le imprese che invece non sono presenti sui mercati esteri dichiarano che il loro tipo di prodotto o servizio non è adatto per i mercati internazionali. Tuttavia, vi sono imprese che ritengono di non avere sufficienti risorse oppure stanno valutando l’opportunità o addirittura non sono interessati ai mercati esteri.

Sul versante dell’occupazione, circa il 70% non ritiene di dover o poter assumere in questa fase economica. Il reclutamento avviene sempre per canali informali e solo per il 15% attraverso i servizi del centro per l’impiego e per il 20% circa attraverso le agenzie private. Il 32% delle imprese ritiene che sia difficile reperire il personale in quanto si richiedono competenze di base legate alla produzione per il 50% delle imprese. In prevalenza si richiede una laurea, 40%, o un diploma, per il 37%. Il 23% degli amministratori ritengono che il personale necessita di formazione e tale risposta risulta essere più alta soprattutto nel settore delle telecomunicazioni o digitale con il 45% e nell’industria agroalimentare per il 42%. Infine, nell’indagine si fa riferimento alle figure professionali maggiormente richieste per settore produttivo35.

Aumenta il numero dei dirigenti che hanno seguito un corso di formazione negli ultimi tre anni e raggiunge la quota del 41%, si riduce ulteriormente la percezione dell’utilità dei corsi seguiti da parte dei dirigenti, solo per il 62% il commento positivo. Invece il numero di imprese che ha avuto personale coinvolto in un corso di formazione oltrepassa la metà delle risposte e l’utilità percepita è leggermente superiore e raggiunge il 64% ma resta molto lontana dai livelli delle prima e seconda indagini.

35 Per un approfondimento si veda:

http://www.istruzioneformazionelavoro.marche.it/Portals/4/Documenti/Formazione/Indagine%20imprese%202014_CENSIS.pdf.

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

All’aggiornamento del 2015 hanno risposto 685 imprese, aumenta ancora il numero delle imprese che dichiara di essere iscritta ad un fondo interprofessionale fino a raggiungere la quota del 42% mentre resta un 10% che non ne è a conoscenza. Nel settore della sanità sono circa il 62% le imprese iscritte, il 54% nel settore manifatturiero, il 52% nel settore della gomma e della plastica così come nel mobile mentre è del 50% nel settore delle attività digitali.

Le imprese con il 2015 iniziano a percepire che la congiuntura economica stia cambiando se non migliorando. Infatti, si riducono le risposte circa gli interventi posti in essere per contrastare la crisi come nel caso del maggiore indebitamento che passa dal 27 al 23 percento. Aumenta invece la collaborazione tra imprese dello stesso settore o meglio diminuisce il numero di imprese che sostengono di non avere alcun rapporto di collaborazione con le altre imprese dello stesso settore dal 25% al 19%.

La congiuntura economica non negativa viene percepita anche nell’ambito del personale dove il numero di imprese che dichiara di avere una condizione stabile sale al 58% rispetto al 53% così come diminuisce il numero di imprese che dichiara di aver ridotto il personale dal 30 al 25 percento. Insomma, tutti gli indicatori sembrerebbero andare nella direzione di, quanto meno, una riduzione degli effetti della crisi ma soprattutto un dato è particolarmente interessante. Nell’anno in corso si riduce il numero di imprese che aumenta la propria competitività attraverso una politica dei prezzi, dal 52 al 49 percento, ed aumenta il numero di imprese che invece cerca di aumentare la propria competitività attraverso la qualità e la specializzazione dal 61 al 68 percento. Questo dato, è sicuramente importante in quanto evidenzia che nella crisi vi è stato anche un atteggiamento costruttivo così come un cambio culturale. D’altronde aumenta anche il numero di imprese che hanno lanciato nuovi prodotti dal 35 al 39 percento rispetto al 2014. Invece non si rileva un aumento sostanziale della presenza all’estero che passa dal 30 al 31 percento.

Per quanto riguarda le assunzioni si riduce il numero di imprese che non ritiene di dover o poter assumere che passa dal 47 al 44 percento, anche se i valori restano tuttora molto elevati. Infatti, se si sommano il numero delle imprese che non ritiene di avere necessità di nuovo personale a quelle che ritengono che la propria azienda non è in grado di aumentare l’organico si raggiunge una percentuale quasi del 70%. Tra i settori che pensano di poter o voler assumere nei prossimi due anni si evidenzia il 54% delle imprese nel settore digitale, il 52% nella sanità e sociale e turismo. Il reclutamento del personale continua a passare attraverso canali informali, per il 70%, tuttavia vi è un aumento del numero di imprese che utilizza i servizi del centro per l’impiego, dal 17 al 21 percento. In particolare ciò avviene soprattutto in provincia di Pesaro Urbino dove la percentuale sale dal 19 al 29 percento. Aumenta il numero delle imprese che dichiara di non avere difficoltà a reperire il personale dal 68 al 72 percento. Infine, aumenta, seppure in misura relativa, il fabbisogno di formazione dal 23 al 25 percento e di conseguenza aumenta il numero di imprenditori che hanno partecipato alla formazione, dal 41 al 42 percento e sembrerebbe aumentare anche il grado di soddisfazione degli imprenditori circa la formazione. Infatti, il 70% di essi sono soddisfatti del corso che hanno seguito contro il 63% dell’anno precedente. Invece si è ridotto il numero di partecipanti del personale dal 51 al 48 percento tuttavia anche in questo caso gli amministratori ritengono utile la partecipazione a tali corsi, dal 63 al 67 percento.

4.2.3 Risultati indagine FARO LAB partecipanti alla formazione continua L’indagine sui beneficiari dei progetti formativi prevedeva due rilevazioni sempre nel 2011.

Complessivamente la banca dati del Sistema Informativo della regione Marche comprende 5.163 beneficiari. Tuttavia il numero dei questionari realizzati sono stati 684 nella prima indagine quindi poco oltre il 10%.

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Il Rapporto Marche

La distribuzione dei partecipanti per classi di età abbastanza omogenea. Infatti, circa un quarto degli intervistati fanno parte delle classi fino a 32 anni, fino a 38 anni e fino a 45 anni. I restanti 23% sono compresi nella classe di età che va oltre i 45 anni. Oltre la metà degli intervistati possiede un titolo di scuola media superiore e il 19% livelli inferiori, pochi coloro che hanno dichiarato di possedere la licenza elementare, quasi l’1%.

Il settore manifatturiero è il settore dal quale provengono la maggioranza relativa dei partecipanti, il 24%, sanità e servizi sociali per il 19% ed infine il settore variegato delle attività immobiliari per il 17%. A chiudere, il 48% sono maschi mentre il 51% circa sono femmine.

Quasi il 60% di essi hanno indicato che hanno avuto notizia del corso attraverso l’azienda in cui erano impiegati. Ormai scarsi i risultati dei tradizionali canali di comunicazione come gli Enti Locali, i Centri per l’impiego ed anche le reti informali che sono tutti in percentuali inferiori al 5% o poco oltre mentre è internet il canale che tende ad essere più diffuso con circa il 10%.

Molti dei partecipanti hanno dichiarato che hanno deciso di partecipare in quanto sono stati “invitati” a farlo dall’azienda, il 58%, ma anche l’interesse personale, 52%, ed infine l’aspirazione a progredire all’interno del proprio contesto produttivo, quasi il 26%. In particolare, la motivazione dell’interesse personale cresce al crescere del tasso di scolarizzazione dei partecipanti.

Il 68% dei partecipanti hanno partecipato per poter acquisire nuove competenze nell’ambito dello stesso settore mentre il 27% in un nuovo settore. Di conseguenza i corsi di maggiore partecipazione sono la formazione professionale, 59%, e aggiornamento/riconversione per lavoratori, 29% mentre i corsi di lingua e di informatica risultano essere non particolarmente frequentati rispettivamente 6 e 13 percento. Il 74% ha ricevuto un attestato al termine del corso, l’8% un certificato di specializzazione ed il 17% non ha ricevuto nulla.

I partecipanti si ritengono soddisfatti dei corsi frequentati per il 74% ed il 47% considera corrispondenti gli obiettivi formativi iniziali. Inoltre il 90% dei partecipanti considera le competenze e conoscenze acquisite adeguate alle mansioni lavorative svolte. I partecipanti considerano che i contenuti tecnico-specialistici proposti durante i corsi sono risultati molto utili o abbastanza utili per il 87% dei casi, per quanto riguarda le competenze generali quali capacità di rapportarsi con gli altri e cultura generale vi è un grado di soddisfazione rispettivamente del 86% e 83% mentre è sulla trasmissione delle competenze informatiche che i partecipanti non si ritengono così soddisfatti come nei casi precedenti. Infatti, coloro che si dichiarano molto soddisfatti sono solo il 29% e quelli che si ritengono abbastanza soddisfatti raggiungono il 37%. Questo sta a significare che complessivamente “solo” il 66% ritiene che il corso frequentato sia stato utile. Una percentuale più bassa di circa 20 punti.

Oltre 1/3 degli intervistati ritiene che i corsi siano sufficientemente soddisfacenti e quindi non ritengono necessari miglioramenti mentre tra coloro che esprimono delle considerazioni circa i miglioramenti da apportare, fanno presente che una maggiore presenza di attività pratiche, quasi il 23%, altri invece suggeriscono materiali didattici migliori, altri ancora che si debbano migliorare i contenuti dei corsi. Una parte dei partecipanti richiedono cambiamenti in termini di durata ed orario delle attività formative. Infine, il 12% ritiene che si debba migliorare l’aspetto organizzativo. I partecipanti ritengono soddisfacenti le competenze e le prestazioni dei docenti così come il supporto ricevuto.

Il 70% dei partecipanti dichiara di aver partecipato ad altri corsi di formazione in precedenza mentre il 38% sostiene di aver partecipato ad altri corsi in seguito. Di particolare interesse il fatto che sono soprattutto le donne a dichiarare di aver partecipato ad altre attività di formazione, il 74% contro il 26% dei maschi. Così come la partecipazione a corsi di formazione in precedenza tende ad aumentare con il

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

titolo di studio, 85% e 68% tra laureati e diplomati e 16% e 48% tra i soggetti con licenza elementare o media.

Rispetto al desiderio di aggiornarsi, anche in questo caso le donne così come gli altamente scolarizzati tendono ad essere più volenterosi. Molti degli intervistati sostiene che sarebbe auspicabile un atteggiamento pro attivo circa la formazione e quindi sostengono che ognuno dovrebbe iscriversi di propria iniziata ai corsi di formazione, oltre la metà.

Ad un anno di distanza si è proceduto alla seconda rilevazione nella quale oltre il 36% ha dichiarato di avere seguito altri corsi di formazione. Il numero dei partecipanti è stato minore, 240. Infatti, essi sono parte dei 684 partecipanti alla prima indagine che si sono resi disponibili a partecipare ad eventuali nuove iniziative lasciando il proprio contatto mail. Tuttavia questo approccio ha ridotto di molto il numero dei partecipanti e soprattutto ha polarizzato la stessa partecipazione. Infatti, oltre l’85% dei partecipanti dichiara di possedere un titolo di studio di scuola media superiore o laurea. Anche in questo caso le donne tendono ad essere più sensibili rispettivamente il 41% contro il 31% degli uomini.

Per quanto i due questionari non possano essere confrontati tuttavia si possono tenere conto di alcune differenze. Infatti, tra la prima rilevazione e la seconda si nota come i partecipanti all’indagine tendono a scegliere la tipologia di corso sulla base della propria età e titolo di studio o addirittura di genere. Nel primo caso, i più giovani, con età inferiore ai 35 anni, tendono a prediligere corsi di formazione professionale ed i corsi di lingua mentre coloro al di sopra dei 35 anni dei corsi di aggiornamento, riconversione o riqualificazione. Così come i corsi di formazione professionale sono preferiti da coloro che hanno un titolo di studio inferiore alla media mentre, al contrario, i partecipanti con titolo di studio superiore alla scuola secondaria superiore tendono a preferire i corsi di aggiornamento, riqualificazione e riconversione. Infine, le donne più degli uomini tendono ad iscriversi ai corsi di formazione professionale.

Per quanto riguarda invece il grado di soddisfazione circa il corso frequentato, si rileva che nella seconda indagine i partecipanti tendono ad essere meno appunto soddisfatti tanto che il 10% contro il 6% dell’anno precedente considera insufficienti le competenze apprese. Tale dato cresce tra i partecipanti più anziani così come il grado di insoddisfazione è molto superiore tra coloro che hanno un titolo di studio basso o molto basso come la licenza media rispettivamente il 50% ed il 33%.

Ancora una volta, i partecipanti sentono di non aver appreso a sufficienza nell’ambito delle competenze o conoscenze informatiche. In questo caso, il numero di insoddisfatti diviene anche la maggioranza relativa. Infatti, solo il 7% ritiene sia stato utile il corso di formazione per migliorare le proprie competenze nell’ambito dell’informatica e se si sommano anche coloro che sono abbastanza soddisfatti si raggiunge la quota del 43%, appunto 7 punti in meno della maggioranza. Il 29% e quasi il 28% pensano che l’aver frequentato il corso sia stato poco utile o per niente utile dal punto di vista delle competenze informatiche acquisite. Insomma, emerge, da una parte, un grado di insicurezza nei partecipanti confrontandosi con il mondo del lavoro ed all’esterno, e, dall’altra parte, tale insicurezza tende a non essere soddisfatta dai corsi offerti dal sistema della formazione continua.

La quasi totalità sostiene che i corsi di formazione sono importanti, come nella scorsa indagine, tuttavia come si è rilevato solo il 30% poi in effetti ha frequentato un corso nell’arco dell’anno trascorso. In questo caso, essi sostengono che sia importante concordare con la parte datoriale la partecipazione ai corsi ed inoltre oltre ¼ degli intervistati sente l’esigenza di migliorare le proprie competenze linguistiche. Anche in questo caso, circa il 14% ritiene necessario un ulteriore approfondimento delle tematiche attinenti l’informatica.

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In conclusione, si nota come all’aumentare della partecipazione ai corsi di formazione, i partecipanti tendano a valutare con più attenzione la qualità dei corsi ed i risultati raggiunti e purtroppo sono proprio coloro che ne hanno più bisogno tendono ad essere meno soddisfatti dell’offerta formativa. Fermo restando che resta una forte insoddisfazione circa le competenze acquisite nell’ambito dell’informatica e delle lingue.

4.3 Ricostruzione dei fabbisogni formativi espressi intercettati da Fondimpresa Dopo aver analizzato in dettaglio nel capitolo precedente gli spazi operativi di Fondimpresa, si

prenderanno ora in esame i fabbisogni formativi “espressi” attraverso l’analisi delle tematiche della formazione, le caratteristiche delle imprese e dei partecipanti alle stesse del solo conto Formazione.

L’analisi verrà condotta senza tenere conto della localizzazione territoriale delle imprese ma cercherà di mettere in evidenza, invece, a quale classi dimensionali vengono rivolte le attività formative, la tipologia contrattuale dei partecipanti e la loro qualifica.

Si effettuerà quindi la classificazione automatica su queste variabili cercando di identificare il legame che esiste tra le stesse e ad individuare una famiglia di partizioni tali che raggruppamenti o divisioni successive degli individui formino una gerarchia.

Come già visto nel capitolo precedente, le tematiche riguardanti la formazione (cfr. Tabella 18 allegato Fondimpresa), hanno principalmente riguardato la “Sicurezza sul luogo di lavoro” con ben il 25,74% di ore erogate. Evidentemente, tra i limiti imposti dalle normative vigenti ed una maggiore sensibilità emersa in ambito lavorativo in questi ultimi anni, le aziende hanno la necessità di investire in formazione su questa tematica.

Figura 1 –Percentuale delle ore erogate per tematiche formative

Stesso discorso già fatto precedentemente è quello che riguarda le tematiche legate alle Lingue e al Marketing/vendite (rispettivamente con il 17,15% e 6,48%) che rappresentano il “fabbisogno di internazionalizzazione” delle imprese così come il “fabbisogno di innovazione” si lega a tematiche quali “abilità personali” (13,63%), “tecniche di produzione” (10,90%) e “informatica” (9,64%).

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

La necessità che in una fase congiunturale come quella in cui sono state svolte le attività formative, vengano espressi anche fabbisogni relativi alla “Gestione e controllo” dell’azienda, vengono individuate attraverso le tematiche inerenti “Gestione aziendale amministrazione (8,47%), “Contabilità-finanza” (1,42%) che esprimono la necessità delle imprese di porre maggiore attenzione alle normative fiscali e tributarie nonché al controllo di gestione in senso stretto.

“Qualità” e “impatto ambientale”, rispettivamente 5,60% e 0,90%, sono tematiche che possono esprimere il “fabbisogno di qualità” delle imprese. Dal lato dell’utente finale infatti, sia esso altra impresa o consumatore, un’impresa con certificazione di qualità e attenzione all’ambiente è sicuramente più “attrattiva”.

Con riferimento alla dimensione classe di addetti (Tabella 19 allegato Fondimpresa), passando in rassegna le tematiche formative, si nota che la classe con la maggiore frequenza di ore di formazione è richiesta da quelle imprese in cui non viene rilevata, almeno dai dati forniti da Fondimpresa, la classe dimensionale degli addetti che risulta essere pari al 27,98% delle ore erogate. È importante sottolineare questo aspetto poiché, nel prosieguo dell’analisi, si è deciso di non tenere conto di questa dimensione, ovvero tutti i dati presentati sono stati analizzati al netto dei dati non disponibili.

Figura 2 –Percentuale delle ore erogate per classe di addetti

Passando in rassegna le classi dimensionali (Figura 1) si nota come sia la classe di addetti 10-49 ad avere la maggiore richiesta di ore di formazione (30,63%) seguita dalla classe 50-99 con il 19,89%. L’insieme delle due classi rappresenta poco più del 50% delle ore di formazione erogate a dimostrazione della maggiore presenza delle “medie imprese” nella regione.

Se si analizzano le tematiche aziendali in funzione della classe di addetti delle imprese si noterà come le tematiche legate alle “abilità personali” si distribuiscano su tutte le dimensioni delle imprese toccando il suo massimo in quelle con classe di addetti 100-249 (22,97%), >=500 (20,44%) e 10-49 con il 20,38%.

La tematica “contabilità-finanza” è concentrata per il 30,95% nella classe di addetti 10-49, con il 20,24% nelle classi 50-99 e 250-499 e 19,05% nella classe 100-249. Praticamente assente (0,60%) tale tematica nella classe di addetti >=500.

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È concentrata quasi esclusivamente nelle prime tre classi di addetti la tematica “Gestione aziendale-amministrazione” con il valore massimo nella classe 50-99 con il 28,87%, in quella 10-49 con il 26,14% e in quella <=9 con il 16,98%. Tale tematica, anche in diretta correlazione con quella “contabilità-finanza” descritta precedentemente, è molto più sentita da quelle aziende medio-piccole che più devono confrontarsi con il “controllo di gestione” e con “normative fiscali e tributarie” in continua evoluzione per cercare di resistere al momento congiunturale sfavorevole che si è presentato loro.

Sono ancora le “piccole” imprese (41,35%) che richiedono formazione su tematiche inerenti l”impatto ambientale”. Tale dato trova riscontro anche nella classe 10-49 con il 29,81%. Completamente assente la richiesta di ore di formazione su tale tematica da parte delle imprese con classi di addetti superiori ai 250.

Le ore sulla tematica “informatica” sono state erogate, per la maggioranza di esse, alle imprese con classe di addetti 10-49 (41,62%) a cui segue la classe 50-99 con il 22,52%. Non raggiungono nemmeno il 5%, sommando le relative ore, le classi di addetti 250-499 (3,09%) e >=500 (1,63%).

Tali classi, congiuntamente a quelle 50-99 e 100-249, non hanno nemmeno chiesto ore di formazione nella tematica “Lavoro in ufficio ed attività di segreteria” che vengono divise a metà tra le classi <=9 e 10-49.

L’internalizzazione delle imprese viene espressa mediante le tematica “lingua” che ha visto il suo massimo di ore erogate alle aziende con classe di addetti 250-499 (24,51%) seguita da quelle erogate nella classe 50-99 con il 23,65%. Il numero minimo di ore erogate per questa tematica, risulta nella classe <=9 con l’unico valore percentuale (6,77%) inferiore al 10%.

Alla tematica precedente, si aggancia quella relativa al “Marketing-vendite” che vede il massimo delle ore di formazione erogate (52,24%) nella classe 10-49 seguita dalla classe <=9 con il 20,76% e dalla classe 50-99 con il 15,64%.

La classe 10-49 è ancora quella che richiede più ore di formazione per la tematica “Qualità” con il 38,01% delle ore. Le classi 100-249 e <=9 hanno richiesto, rispettivamente, il 20,64% e il 20,25% delle ore, mentre la classe 250-499 ne ha richieste appena l’1,05%.

Ancora superiore al 30% le ore di formazione espresse dalla classe 10-49 (32,86%) in tema di “Sicurezza sul luogo di lavoro”. Tale tematica, come già descritto in precedenza, è comunque presente in tutte le classi con percentuali variabili tra il 6,59% della classe 250-499 a quella massima descritta precedentemente.

Con il 29,54% delle ore della tematica “Tecniche di produzione”, è la classe 100-249 addetti quella che richiede formazione in tale ambito seguita, manco a dirlo, da quella 10-49 con il 22,63%. Percentuali praticamente simili per le classi 50-99 e <=9 rispettivamente con il 15,35% e 15,03% delle ore. Appena sotto il 10% le classi 250-499 con il 9,45% e >=500 con l’8%.

La formazione erogata è stata rivolta per la quasi totalità (90,18%) a lavoratori con tipologia di “contratto a tempo indeterminato” (Tabella 20 allegato Fondimpresa) che, ovviamente, sembra una scelta quasi scontata da parte delle imprese nell’investire in formazione che resti all’interno dell’impresa. Non meraviglia, quindi, che sia la tipologia di “contratto a tempo determinato” ad avere la seconda percentuale più alta (4,52%) tra le tipologie di contratto, rafforzando il concetto precedentemente espresso: evidentemente tale forma contrattuale è da intendersi in evoluzione, anche a seguito della formazione, verso la forma contrattuale “tempo indeterminato”. Stesso discorso può essere fatto per gli “apprendisti” (2,61%) e per i lavoratori con “contratto di lavoro a tempo parziale”.

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

Figura 3 –Percentuale delle ore erogate per tipologia contrattuale dei partecipanti

Se si analizzano le tipologie contrattuali in riferimento alle ore erogate per tematica, si possono approfondire alcuni aspetti legati all’incrocio delle due variabili. Si passeranno quindi a descrivere le singole tipologie contrattuali per verificare la distribuzione delle tematiche formative al loro interno.

Come era facile ipotizzare, agli “apprendisti” vengono dedicate circa il 30% delle ore alle tematiche inerenti le “tecniche di produzione (29,95%) seguite dalla tematica “abilità personali” (19,10%) e “Sicurezza sul luogo del lavoro” (18,20%). Tutte tematiche che “preparano” il futuro lavoratore ad entrare al meglio nella realtà lavorativa.

Alla tipologia “Cassa integrazione” sono dedicate la quasi totalità delle ore (92,18%), alle tematiche delle “tecniche di produzione” ipotizzando, per questi lavoratori, una riconversione verso altre attività lavorative. La restante parte delle ore di formazione (7,82%) sono dedicate alla tematica “informatica”.

I lavoratori con “contratto a progetto” seguono per il 57,14% delle ore di formazione a loro dedicate, la tematica della “sicurezza sul luogo di lavoro” e per il 38,10% quelle dedicate all’”informatica”. È intuibile, peraltro, che è proprio la tipologia contrattuale che porta le imprese ad investire in questi settori per far sì che i lavoratori coinvolti “concludano” con successo i progetti loro assegnati.

Ancora la tematica “sicurezza sul luogo di lavoro” è quella che impegna per più del 50% i lavoratori con “contratto a tempo determinato” (55,61%) seguita da quella delle “abilità personali” con il 10,92%. Le altre tematiche vedono distribuite le ore in maniera più o meno equa ad eccezione di quella riferibile al “lavoro in ufficio ed attività di segreteria” per la quale non risultano ore di formazione erogata. Tale tematica, peraltro, presenta percentuale di ore di formazione molto basse sole in due tipologie contrattuali: “contratto di lavoro a tempo parziale” con lo 0,43% delle ore e quella della tipologia “contratto di lavoro a tempo indeterminato” con lo 0,03%.

I lavoratori con tipologia “contratto di lavoro a tempo indeterminato” sono quelli che vengono coinvolti in tutte le tematiche formative con particolare riferimento a quelle legate alla “sicurezza sul

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luogo di lavoro” (43,48%) e “lingue” (10,64%). Molto bassa la percentuale di ore da dedicare a tematiche quali “impatto ambientale” 0,52%, “Contabilità-Finanza” (0,72%) e “qualità” (4,64%).

La tipologia contrattuale dei lavoratori con “contratto di lavoro a tempo parziale”, seguono per il 30,05% delle ore la tematica della “sicurezza sul luogo del lavoro”, per il 28,46% quella del “marketing e vendite”; per tale tematica è questa la tipologia contrattuale con il maggior numero di ore dedicate.

Fa seguito al 50,71% delle ore dedicate alla tematica “sicurezza sul luogo di lavoro”, il 34,40% che i lavoratori con tipologia di “contratto di lavoro a intermittenza” dedicano alla tematica “abilità professionali”. La restante parte delle ore è divisa tra le tematiche “lingue” (13,83%) e “tecniche di produzione (1,06%).

Poco da dire sulle ore di formazione dei lavoratori con tipologia di “contratto di inserimento”: il 100% delle ore sono dedicate alla tematica sulla “sicurezza sul luogo di lavoro”.

Ultimo aspetto da prendere in considerazione per avere un quadro esaustivo sulle ore di formazione erogate, è quello che riguarda la “qualifica” dei partecipanti (Tabella 21 allegato Fondimpresa).

È la qualifica “impiegato amministrativo e tecnico” che segue per il 45,31% le ore di formazione erogate seguite dalla qualifica “operaio qualificato” (23,70%) e “operaio generico” (22,58%). Risultano basse le percentuali dei “quadri” (5,42%) e “impiegato direttivo” quasi a dimostrazione che per i ruoli “dirigenziali” la formazione non sia necessaria o possa essere ad appannaggio di tematiche specifiche di formazione.

Figura 4 –Percentuale delle ore erogate per tipo di qualifica dei partecipanti

Si partirà proprio dalla qualifica “quadro” allora per vedere come l’incrocio delle due variabili possa segnalare qualche particolare di interesse per l’analisi.

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

La qualifica “quadro” segue per il 27,60%delle ore di formazione la tematica “abilità personali” che, si può ipotizzare, siano specificatamente rivolte a temi legati alla gestione del personale e alla leadership. Non da trascurare, comunque, la percentuale di ore di formazione dedicate alle tematiche sulla “sicurezza sui luoghi di lavoro” (21,17%) e quella della “lingue” (16,92%) che, peraltro, risulta la più alta tra tutte le qualifiche presenti.

Analogamente ai “quadri” si comportano gli “impiegati direttivi” che però, invertono la posizione tra “sicurezza sul luogo di lavoro” (25,39%) e “abilità personali” (17,34%) ma lasciano al terzo posto la tematica “lingua” (12,50%) seguita a breve dalla tematica “informatica” (11,67%).

Anche la tipologia dell’“impiegato amministrativo e tecnico” segue per la maggioranza delle ore (24,69%) la tematica sulla “sicurezza sul luogo di lavoro” e la tematica “lingua” (16,51%). Anche la tematica legata all’”Informatica”, comunque risultano essere rilevanti (13,62%) considerando che le tematiche “Gestione aziendale-amministrazione” (11,04%) e “Contabilità-finanza” (1,39%) non raggiungono tale valore.

Le qualifiche “operaio qualificato” e “operaio generico” seguono, principalmente, le stesse tematiche di formazione che risultano essere quelle della “sicurezza sul luogo di lavoro” con percentuali pari al 55,49% per i primi, e 72,51% per i secondi. Percentuali che si invertono per la tematica “tecniche di produzione” che risultano essere 21,14% per gli operai qualificati e 9,86% per gli operai generici.

4.3.1 La Classificazione Automatica I metodi di classificazione automatica si dividono in gerarchici e non gerarchici, seconda se il

procedimento di aggregazione tende o no ad individuare una famiglia di partizioni tali che raggruppamenti o divisioni successive degli individui formino una gerarchia. In realtà la scelta tra algoritmi gerarchici e non gerarchici dipende dalla dimensione del fenomeno, in quanto, per grandi matrici, il ricorso ad algoritmi non gerarchici è d’obbligo.

Se la classificazione è di tipo gerarchica è possibile avere una rappresentazione grafica detta albero di classificazione (dendrogramma). Il dendrogramma a sua volta può essere tagliato in determinati punti, ottenendo così alcune classi distinte che formano la tipologia finale. In altre parole l’albero è partizionato in modo tale da ottenere un certo numero di classi finali.

Si è in un primo tempo proceduto alla costruzione dell’albero massimo (utilizzando il criterio di Ward che crea partizioni con devianza minima interna alle classi e devianza massima tra le classi) e successivamente si è tagliato l’albero in corrispondenza del nodo che prevede una partizione in 3 classi. La partizione dell’albero in un numero superiore di classi arricchisce di poco la descrizione risultando poco conveniente, in quanto lo svantaggio dovuto alla presenza di classi in più (minore sintesi), è superiore al guadagno in omogeneità delle classi stesse.

L’applicazione della metodologia della Classificazione Automatica ci ha permesso di individuare 3 diversi tipi di imprese relativamente alla formazione espressa dalle stesse.

Nelle tabelle seguenti abbiamo le modalità caratteristiche di ciascuna classe in ordine di importanza.

Ogni tabella prende in esame una singola classe: nella colonna “globale” è riportata la percentuale di individui che presentano quella particolare modalità. La colonna “CLA/MOD” indica (in percentuale) quanti degli individui che presentano quella particolare modalità sono presenti nella classe in esame. La colonna “MOD/CLA” indica invece, sempre in termini percentuali, quanti degli individui appartenenti

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alla classe in esame hanno quella particolare modalità. La colonna “valore test” fornisce un’indicazione di quanto la classe in esame è caratterizzante della modalità.

Figura 5 –Classificazione automatica: albero di classificazione

La prima classe, rappresentante il 15% delle imprese a cui è stata erogata la formazione, è formata da aziende che si caratterizzano per una formazione orientata all’apprendimento delle lingue (72,58% della classe) da qualifiche elevate dei lavoratori (quadro e impiegato direttivo) oltre che da classe di addetti molto rappresentative della realtà territoriale (10-49, 50-99).

Nel prosieguo dell’analisi, si eviterà di commentare la “Tipologia di contratto – a tempo indeterminato” poiché, come abbiamo visto precedentemente, è la tipologia con la maggioranza di lavoratori che hanno seguito le attività formative per cui, inevitabilmente, caratterizzano più o meno tutte le classi.

internazionalizzazione

managment e controllo

qualità

sicurezza

innovazione

GLOBALE CLA/MOD MOD/CLA V.TEST

internazionalizzazione % % %

CLASSE 1/5 15,00

Tipologia contratto Cont. a tempo indet. 15,67 92,36 40,70 9,57

Tematica Lingue 17,15 72,58 14,52 9,20

Qualifica Quadro 21,08 7,47 3,29 4,78

Classe di addetti 10_49 27,09 25,30 3,45 2,42

Tematica Marketing vendite 6,48 27,42 5,48 2,22

Qualifica Impiegato direttivo 21,08 4,12 1,82 2,17

Classe di addetti 50_99 30,61 18,55 2,53 1,89

Tipologia contratto Cont. di lav. a tempo parz. 31,22 2,26 1,00 1,77

Qualifica Impiegato amministrativo e tecnico 24,53 72,65 32,02 1,77

Classe di addetti 250_499 51,80 15,43 2,10 1,20

modalità CARATTERISTICHE

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

La seconda classe è caratterizzata invece dalla tematica “gestione aziendale – amministrazione” (85,18% della classe) a cui partecipano prevalentemente lavoratori con qualifica di “impiegato amministrativo e tecnico” che appartengono ad imprese con classi di addetti 50-99.

La terza classe (di dimensioni più piccole delle altre) rappresenta le imprese con esigenze formative orientate alla “qualità” (86,21% della classe) e sono caratterizzate (V.Test 4,05) da una classe di addetti <=9. È evidente come “le piccole” stiano puntando a certificazioni di qualità per accrescere la loro competitività. Ad ulteriore conferma di questa tesi è la partecipazione della qualifica “quadro” a tali attività.

Le imprese appartenenti alla quarta classe hanno svolto esclusivamente ore di formazione sulla tematica “sicurezza sul luogo di lavoro”. Hanno coinvolto trasversalmente più classi di addetti, qualifiche quali quelle di “operaio”, e tipologie contrattuali (oltre a quella a tempo indeterminato di cui già si è detto in apertura di questo paragrafo) di “futuro inserimento stabile”.

GLOBALE CLA/MOD MOD/CLA V.TEST

Managment e controllo % % %

CLASSE 2/5 16,00

Tematica Gestione aziendale - amministrazione 8,48 85,18 17,04 7,78

Tipologia contratto Cont. a tempo indet. 7,25 87,63 39,58 6,13

Qualifica Impiegato amministrativo e tecnico 12,51 76,00 34,32 4,25

Classe di addetti 50_99 15,18 21,84 2,64 3,93

Qualifica Quadro 10,88 7,91 3,57 3,89

Qualifica Impiegato direttivo 10,86 4,35 1,97 2,71

Classe di addetti <=9 14,15 12,69 1,53 2,49

Tipologia contratto Cont. a tempo det. 9,03 5,47 2,47 2,43

Tematica Contabilità - finanza 1,43 14,33 2,87 2,19

classe di addetti >=500 11,38 7,53 0,91 1,95

Tematica Lavoro in ufficio ed attività di segreteria 0,05 0,48 0,10 1,77

modalità CARATTERISTICHE

GLOBALE CLA/MOD MOD/CLA V.TEST

Qualità % % %

CLASSE 3/5 6,50

Tipologia contratto Cont. a tempo indet. 5,17 93,24 7,73 7,62

Classe di addetti <=9 12,32 16,91 2,00 4,05

Tematica Qualità 5,60 86,21 17,24 3,52

Classe di addetti 100_249 7,77 15,65 1,85 2,97

Qualifica Quadro 8,10 8,79 0,73 2,48

Tematica Impatto ambientale 0,90 13,79 2,76 2,29

Tipologia contratto Cont. a tempo det. 4,71 4,26 0,35 2,17

Classe di addetti 10_49 8,45 28,68 3,39 2,15

Qualifica Impiegato amministrativo e tecnico 5,88 53,29 4,42 2,06

Tipologia contratto Cont. di lav. a tempo parz. 8,67 1,92 0,16 1,94

Qualifica Operaio qualificato 3,26 15,49 1,28 1,88

modalità CARATTERISTICHE

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La quinta e ultima classe, è rappresentativa delle imprese che hanno espresso fabbisogni formativi di “innovazione”. Sono caratterizzate da tematiche quali “abilità personali”, “informatica” e “tecniche di produzione” ed hanno una dimensione aziendale medio-piccola.

GLOBALE CLA/MOD MOD/CLA V.TEST

Sicurezza % % %

CLASSE 4/5 25,00

Tipologia contrattuale Cont. a tempo indet. 43,48 92,01 44,05 7,78

classe di addetti 10_49 28,21 24,17 1,97 6,13

Qualifica Operaio generico 72,51 38,42 18,39 4,25

tematica Sicurezza sul luogo di lavoro 25,75 100,00 20,00 3,93

Tipologia contrattuale Cont. a tempo det. 55,61 5,89 2,82 3,89

Qualifica Operaio qualificato 55,49 30,86 14,77 2,71

Tipologia contrattuale Cont. inserimento 100,00 0,02 0,01 2,49

classe di addetti 100_249 31,11 15,82 1,29 2,43

classe di addetti 50_99 25,19 14,02 1,14 1,85

modalità CARATTERISTICHE

GLOBALE CLA/MOD MOD/CLA V.TEST

Innovazione % % %

CLASSE 5/5 34,17

Tipologia contrattuale Cont. a tempo indet. 28,43 86,50 40,60 9,57

Tematiche Abilità personali 13,63 39,88 7,98 9,20

Qualifica Impiegato amministrativo e tecnico 32,39 49,54 23,23 4,78

Classe di addetti 10_49 26,45 17,07 1,85 2,42

Tematiche Informatica 9,64 28,22 5,64 2,22

Tipologia contrattuale Cont. a tempo det. 17,16 2,62 1,23 2,17

Tematiche Tecniche di produzione 10,90 31,90 6,38 2,08

Classe di addetti 50_99 24,51 10,28 1,11 1,89

Qalifica Impiegato direttivo 35,82 3,62 1,70 1,77

modalità CARATTERISTICHE

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

4.4 Prime conclusioni L’analisi qui svolta ci permette di trarre delle prime conclusioni. Dall’analisi emerge chiaramente che

il fabbisogno di formazione non può essere analizzato indipendentemente dai fattori strutturali delle imprese; le dimensioni di queste, l’organizzazione interna e il momento economico non favorevole, non solo hanno condizionato il comportamento passato e presente delle stesse, ma fortemente condizionano la richiesta di formazione futura.

L’esigenza di formazione è legata quindi non solo alla volontà di titolari e dirigenti più o meno sensibili al problema, ma dalle reali potenzialità strutturali delle imprese stesse. Alcuni “effetti dimostrazione” (l’osservare il comportamento di imprese concorrenti) e la chiarezza di idee sugli aspetti legati alla formazione, non fanno altro che rendere più complessa l’organizzazione di un programma di formazione.

La Classificazione Automatica ci ha permesso di “raggruppare” le imprese permettendoci di individuare cinque differenti tipi di imprese; una prima classe che ha manifestato esigenze formative per affacciarsi o accrescere la loro presenza sui mercati internazionali, la seconda che chiede formazione per meglio “controllare i processi produttivi e finanziari aziendali”. Qualità e impatto ambientale sono le tematiche richieste dalle imprese della terza classe, che vogliono presentarsi sul mercato con “certificazioni” per avere un profilo più attraente sul mercato. La quarta classe (sicurezza sul luogo di lavoro) è trasversale e nasce dall’esigenza di rispettare le normative per non avere problemi. È anche però la tematica per la quale vengono spese più ore di formazione.

La quinta e ultima classe esprime il fabbisogno formativo di aziende che vogliono innovarsi per rimanere al passo sul mercato cercando anche una dimensione “internazionale”.

Lo scenario sin qui delineato offre una base di partenza, una mappa strutturale per dare una risposta differenziata all’esigenza di formazione espressa dalle imprese.

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5 ANALISI SUI FABBISOGNI FORMATIVI “INESPRESSI” E SULLA RILEVANZA DEGLI STESSI NEI PROCESSI DI RIPOSIZIONAMENTO COMPETITIVO DELLE IMPRESE

5.1 Introduzione Le analisi dei fabbisogni formativi espressi ed inespressi hanno tenuto conto dei seguenti aspetti:

struttura socio-economica generale del contesto territoriale e comparativa con le principali aree territoriali del nord-est-centro sulla base di quanto esposto nel primo capitolo, l’analisi dei rapporti sulla formazione continua annuali dell’ISFOL, dall’analisi dei documenti del CEDEFOP e dei risultati delle diverse indagini o progetti europei e OECD quali learning for jobs, skill beyond school, Adult Learning Skills (PIACC – Programme for the International Assessment of Adult competencies), work-based learning in VET, Labour Force Survey, European Employer Survey on skill needs, ICT skills, European Company Survey (Eurofound). Sulla base del programma Europa 2020 rivolto all’occupazione:

Innalzamento al 75% del tasso di occupazione per la fascia di età 20-64;

Aumento investimenti fino al 3% del PIL;

Riduzione tasso di abbandono scolastico del 10%;

Aumento al 40% dei 30-34enni con un’istruzione secondaria

Come corollario a questi che sono i temi centrali per la formazione/istruzione vi sono altri due obiettivi che sono fortemente correlati ad essi: il clima, l’energia e l’esclusione sociale.

Inoltre, sulla base del programma specifico Education and Training 2020 (ET2020), parte integrante di Europa 2020:

• Fare dell’apprendimento permanente e della mobilità una realtà;

• Migliorare la qualità e l’efficienza dell’istruzione e la formazione;

• Promuovere l’equità, la coesione sociale e l’attiva partecipazione;

• Accrescere la creatività, l’innovazione e l’imprenditorialità;

• Oltre il 95% bimbi devono partecipare alla scuola materna;

• Meno del 15% dei giovani sotto i 15 anni devono essere con scarsa preparazione nelle competenze di base (lettura, matematica e scienze);

• Il tasso di abbandono scolastico tra i 18-24 anni deve essere inferiore al 10%;

• Oltre il 40% dei giovani 30-34 devono essere laureati;

• Almeno il 15% degli adulti devono partecipare alla formazione continua;

• Almeno il 20% dei laureati ed il 6% di coloro che hanno una formazione professionale devono aver partecipato ad un corso di studio o training all’estero;

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

• La quota degli occupati laureati (tra i giovani tra i 20-34 anni con almeno il possesso diploma superiore e che hanno completato gli studi negli ultimi 3 anni) deve essere almeno dell’82%36.

Ancora sulla base dei risultati di una sperimentazione sull’inclusione socio-lavorativa di soggetti svantaggiati sviluppata in questi ultimi anni in Provincia di Ancona in un progetto finanziato dalla Fondazione CariVerona alla Provincia di Ancona in partenariato con i principali soggetti che si occupano di inclusione socio-lavorativa di soggetti svantaggiati (individui soggetti da dipendenze, disoccupati di lungo corso, incapienti, senza fissa dimora, donne vittime di tratta o di violenza, soggetti affetti da HIV/AIDS, migranti e rifugiati). Sperimentazione basata su una metodologia specifica che prevedeva: accoglienza da parte del privato no-profit, redazione di un bilancio di competenze, individuazione del percorso formativo, iscrizione alle liste di mobilità e redazione Bilancio delle Competenze presso il CIOF, sostegno economico per sostenere il percorso individuato ed infine i percorsi prevedevano una serie di strumenti e di supporto (si veda grafico metodologia)37. A tale sperimentazione hanno partecipato 156 beneficiari disoccupati, sono stati formati 30 operatori pubblico/privato, 56 partecipanti hanno partecipato a corsi di base (IT, ICT e orientamento lavorativo.), 72 partecipanti hanno partecipanti hanno avuto occasione di partecipare a percorsi professionalizzanti (400h di cui 280h di teoria e 120h di stage), 156 partecipanti portati ad esperienze di tirocinio (da 3 a 12 mesi) e soprattutto il 33% dei partecipanti hanno concluso la loro esperienza con un assunzioni.

La sperimentazione è stata anche un’opportunità per sviluppare la metodologia ed indagare le maggiori difficoltà dei partecipanti a migliorare le proprie competenze e trovare lavoro. A questo proposito si evidenzia come vi sia stata scarsa correlazione tra titolo di studio e l’avvenuta assunzione ma molto alta la correlazione con l’esperienza di tirocinio, stage e periodo di permanenza nel progetto. Infatti, è soprattutto molto alta la correlazione con il periodo di permanenza all’interno del progetto: un periodo inferiore ai 6-12 mesi porta scarsi risultati così come un periodo superiore ai 30 mesi. In linea con i principali studi svolti in questo ambito. Questo aspetto coincide con l’analisi svolta nel Regno Unito38. Tale sperimentazione ha permesso di presentare una metodologia che è stata molto utile per individuare la metodologia da porre in essere per l’analisi dei fabbisogni territoriali in oggetto39.

Il gruppo di ricerca, sulla base delle indicazioni di Fondimpresa ha ipotizzato un percorso di ricerca basato su interviste a testimoni privilegiati, focus group ed indagine basata sulla somministrazione di un questionario alle imprese. Infatti, i capitoli quarto, quinto e sesto come da indicazioni avrebbero dovuto prevedere indagini di prima fonte basate quanto meno su interviste a testimoni privilegiati. Sulla base di tali indicazioni il gruppo di ricerca ha presentato un programma operativo basato su focus group:

36 http://www.oecd.org/education/innovation-education/oecdpolicyreviewsofvocationaleducationandtrainingvet.htm, http://ec.europa.eu/education/, http://ec.europa.eu/education/policy/vocational-policy/index_en.htm, http://ec.europa.eu/programmes/creative-europe/projects/, http://ec.europa.eu/education/policy/vocational-policy/index_en.htm, http://ec.europa.eu/education/policy/strategic-framework/skills-development_en.htm, http://www.oecd.org/education/innovation-education/oecdpolicyreviewsofvocationaleducationandtrainingvet.htm, http://staging.fondimpresa.it/Home/index.html, http://www.cedefop.europa.eu/en/news-and-press/news/cedefop-launches-european-skills-survey-eu-skills e http://ec.europa.eu/education/policy/strategic-framework/.

37 P. Sospiro (2015). Percorsi di inserimento lavorativo: metodologia, sperimentazione e risultati. Aracne Editrice, roma. 38 L. Cappellari e S. Jenkins “The Dynamics of Social Assistance Receipt”. Infatti i soggetti che hanno svolto un percorso tra i 18 ed i 30 mesi hanno avuto una probabilità maggiore di trovare un lavoro (L. CAPPELLARI, S. JENKINS, op. cit., 2008, pp. 66–67). 39 Sospiro, P. Percorsi di inserimento lavoratori: Metodologia, sperimentazione e risultati, Aracne Editrice, Roma, 2015, http://www.aracneeditrice.it/aracneweb/index.php/pubblicazione.html?item=9788854888401.

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il progetto di indagine prevedeva la realizzazione di un focus group regionale facendo intervenire i principali soggetti che si occupano di impresa, lavoro e formazione. A questi si pensava di aggiungere un rappresentante della regione40.

Il focus group avrebbe dovuto prevedere una durata massima di 2 ore con 10 partecipanti. Il focus group sarebbe stato organizzato online utilizzando la piattaforma dell’Università di Macerata attrezzata per organizzare attività di ricerca inerenti ai sondaggi e alle lezioni online. Si era optato per questa modalità in quanto, in termini di costi/benefici, garantisce gli stessi benefici della modalità tradizionale ma rispetto alla modalità tradizionale garantisce anche una partecipazione degli invitati che potranno risparmiare tempo per partecipare all’evento. Inoltre, si deve tenere conto che molti di essi sono particolarmente impegnati e richiedere ad essi la disponibilità in una data ora e dato giorno per tutti diviene molto complesso. Insomma, concordare l’agenda di tutti i partecipanti è praticamente impossibile. Tanto è vero che anche nel caso, del progetto della Regione FARO LAB il numero di partecipanti è diminuito con l’andare del tempo.

L’attività di focus group avrebbe permesso di rilevare alcune novità circa il sistema economico, considerato che la ripresa sta di giorno in giorno cambiando il contesto economico sociale, le percezioni degli operatori del settore circa i fabbisogni formativi allo stato attuale delle cose e soprattutto se le attività già poste in essere stanno soddisfacendo le esigenze delle imprese e dei lavoratori alla luce del particolare momento che la nostra regione sta vivendo.

L’attività di Focus Group sarebbe stata registrata, trascritta e successivamente svolta l’analisi. Sulla base dei risultati dell’attività di focus group e sulla base dei risultati dei precedenti capitoli, il gruppo di ricerca avrebbe stilato il questionario da somministrare ad un campione più ampio di soggetti a livello provinciale.

Il focus group regionale da 10 persone prevedeva: Rappresentante dei sindacati, Camera di commercio, Organizzazione datoriale, Ente formazione, Regione/Provincia/ciof e Ufficio Scolastico Regionale/Università.

L’attività di focus group prevedeva la seguente guida di discussione: breve presentazione personale, dell’ente e dell’attività svolta, presentazione del contesto economico dal punto di vista dei partecipanti, giudizio dei partecipanti circa il contesto socio-economico ed il cambiamento in esse ed in quale direzione, in che modo i partecipanti sono venuti a conoscenza dei fondi di formazione finanziati e quelli intersettoriali, quale la differenza, se conoscono Fondimpresa, se conoscono la formazione in entrata, se conoscono la formazione continua, se si occupano di formazione in entrata/continua, come e da quanto?, se ritengono necessaria la formazione continua, se dovrebbe essere ampliata e perché, come si potrebbe migliorare la formazione continua ed infine quali sono i fabbisogni formativi allo stato attuale.

40 Contatti mail dei soggetti e persone da invitare al Focus group: [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected]; [email protected].

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

La struttura della guida di discussione, come si vedrà più avanti era molto simile a quella utilizzata nell’ambito del progetto FARO LAB.

Per quanto riguarda invece l’Analisi sui fabbisogni formativi “inespressi”, il Gruppo di Lavoro ha previsto di predisporre un questionario on-line (tramite piattaforma Lime-Survey) da somministrare ad un campione esteso di imprese e tendente a rilevare i fabbisogni formativi delle aziende nei processi di riposizionamento competitivo. Il piano di campionamento, sulla base dei dati delle imprese registrate presso le Camere di Commercio delle province del territorio era in fase di ultimazione così come la formulazione del questionario. Anche in questo caso, era prevista la somministrazione digitale in quanto permette di accelerare le procedure. Infatti, questa modalità permette agli intervistati di compilare il questionario in loco e secondo le loro esigenze di tempo. Tale approccio permette di risparmiare tempo per i ricercatori che dovranno strutturare il questionario, caricarlo sulla piattaforma, provvedere al data entry ed infine all’analisi dei dati. Il questionario indicativo in oggetto era stato formulato secondo la seguente struttura e suddiviso in quattro sezioni:

a) informazioni generali: persona di contatto (età, ruolo, titolo di studio, ecc), enti del quale fa parte (nome, numero dipendenti, settore di intervento, ecc), informazioni impresa;

b) economia regionale: contesto economico, esportazioni, proiezioni per 2015 e 2016, investimenti c) informazioni lavoro: informazioni circa il mercato del lavoro, le prospettive per il 2015-2016, le

modalità di inserimento nel mercato del lavoro locale, i processi di selezione, come migliorare le condizioni per facilitare l’incontro tra la domanda e l’offerta di lavoro.

d) informazioni sulla formazione circa lo stato della formazione continua: se la domanda di formazione è soddisfatta dall’offerta di formazione esistente, circa la necessità di un monitoraggio dei risultati della formazione, certificazione della formazione, formazione e digitalizzazione dei processi produttivi, fabbisogni formativi, informazione/promozione/comunicazione dei programmi e dei progetti formativi.

Anche in questo caso, la struttura del questionario era molto simile a quella impostata nel progetto FARO LAB dal consorzio per l’indagine sulle imprese.

Alla luce di tale impostazione si è iniziato ad organizzare le interviste con i testimoni privilegiati e di conseguenza si sono presi contatti con l’assessore regionale e con il dirigente alla formazione della regione. In particolare le informazioni emerse dall’interazione con il Dott. Fabio Montanini sono state molto utili. Infatti, il Dott. Montanini ha fatto presente che la Regione aveva già un piano di monitoraggio interno sulla base dei RAE annuali ed esterno sulla base dei documenti di valutazione che ci avrebbero potuto permettere di indagare circa la formazione finanziata ed i fabbisogni del territorio. E soprattutto il Dott. Montanini ci ha suggerito di prendere visione del materiale emerso dal progetto FARO LAB in quanto le attività previste ed i risultati raggiunti avrebbero potuto permettere di evitare un ulteriore indagine sugli stessi soggetti che erano già stati contattati negli anni dal 2010 al 2015 attraverso delle attività di focus group sulle stesse tematiche e questionari.

Per quanto riguarda la somministrazione del questionario, si è fatta richiesta all’OBR territoriale di facilitare il contatto con le imprese tuttavia anche l’OBR Marche faceva presente che “Dopo un rapido confronto con alcuni componenti del CdA OBR Marche e con il presidente Luciano Vizioli riteniamo, per una questione di opportunità, di soprassedere all'invio dello stesso alle aziende, che sono abbondantemente sollecitate nella compilazione dei questionari da parti di molteplici interlocutori sul territorio provinciale, regionale e nazionale. Certi di una vostra comprensione, ringraziamo per la collaborazione e porgiamo cordiali saluti.”.

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Il Rapporto Marche

Di conseguenza si è proceduto all’analisi dei risultati raggiunti dall’indagine svolta negli ultimi 5 anni dal consorzio FARO LAB, tenendo in considerazione anche il rapporto sulla formazione continua redatto annualmente dall’ISFOL. Dal quale parte proprio questo capitolo.

5.2 I fondi interprofessionali Dall’indagine ISFOL sulla formazione continua si evince che continua l’incremento, seppure lento,

delle adesioni delle imprese ai Fondi Paritetici Interprofessionali nonostante in alcuni territori e ambiti settoriali si è ormai alla saturazione. L’aumento delle adesioni ai Fondi è dovuto a molte motivazioni ma tra questi vi sono sicuramente la riduzione delle risorse regionali, al crescere delle risorse dei Fondi stessi ed anche alla loro maggiore diffusione a ormai dieci anni dalla loro costituzione. A nostro avviso, anche grazie a imprese che hanno puntato ad offrire servizi alle imprese per la formazione attraverso i Fondi interprofessionali.

Infatti, se si prova a digitare su qualsiasi motore di ricerca, ad esempio google, fondi interprofessionali si trovano oltre 166.000 pagine correlate di cui molte sono di imprese che offrono consulenza o servizi per le imprese per l’organizzazione della formazione interprofessionale. Così come se si prova a digitare su Linkedin fondi interprofessionali emergono 2.366 contatti. Insomma un mare di informazioni ma anche di risorse economiche ed umane che ormai si muovono nell’ambito della formazione continua ed in particolare interprofessionale grazie anche alla promozione degli stessi sul web. A ciò probabilmente si deve aggiungere che le risorse finanziate oltre ad essere sempre minori, tendono ad essere sempre più affollate. Il responsabile della Regione Marche Dott. Montanini ha sostenuto che il nuovo programma FSE ha già avuto richieste di fondi che sono quattro volte quelle a disposizione. D’altronde anche l’analisi del FSE 2007 – 2013 ha evidenziato che sono quasi il doppio le domande pervenute rispetto a quelle approvate. Certo non si è ancora ai livelli della concorrenza e competizione dei fondi diretti europei e per alcuni ambiti tuttavia il mondo del FSE diviene di anno in anno sempre più affollato. Infine, non si deve dimenticare un aspetto determinante vale a dire la maggiore flessibilità, nel tempo e nelle proposte, dei Fondi interprofessionali rispetto al FSE.

Allo stato attuale, dal sito dell’ISFOL, per la formazione continua dei Fondi Paritetici Interprofessionali, risultano riconosciuti 19 Fondi FPI operanti e 3 commissariati (FO.IN.COOP, FOND.AGRI e FONDIAZIENDA). Il rapporto ISFOL si domanda come mai ancora alla redazione del rapporto stesso i tre fondi commissariati (si veda tabella A.5.1 Fondi con asterisco) continuano ad avere imprese aderenti e queste ultime non aderiscano ad altri fondi piuttosto che continuare ad aderire a fondi che sono stati appunto commissariati. Rispetto a quelli risultanti nel XV rapporto ISFOL ne risulta uno in più che è Fondo Conoscenza riconosciuto nel marzo 2015.

Tra i fondi destinati ai dipendenti, i maggiori sono sicuramente: Fondo Artigianato Formazione con oltre 255 mila imprese aderenti, For.Te con oltre 176 mila aderenti e Fondimpresa con oltre 195 mila imprese. Tuttavia si deve far notare che in alcuni fondi sono presenti un numero maggiore di imprese anche perché molte di esse sono piccole o micro imprese mentre in altri fondi c’è una maggiore presenza di grandi imprese. E’ il caso per esempio di Fondo artigianato Formazione per i primi e Fondo Banche Assicurazioni per i secondi. Complessivamente oltre 1 milione di imprese hanno aderito ai fondi per dipendenti. Per quanto riguarda invece i fondi dirigenti, ne risultano tre ed hanno oltre 46 mila aderenti ed il maggiore e senza dubbio Fondirigenti con quasi 19 mila imprese (tabella 5.2). In conclusione, l’incremento è dell’8 percento.

Complessivamente i 18 fondi presi in considerazione dal Rapporto ISFOL rappresentano oltre 9,5 milioni di lavoratori. Nel tempo i nuovi Fondi così come i fondi settoriali hanno iniziato a prendere campo, rispetto ai più longevi e anche negli altri settori. Ovviamente la rappresentazione per numero di

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

imprese, spesso rappresenta anche la rappresentazione per numero di lavoratori. Di conseguenza il Fondo che è più rappresentativo per il numero di lavoratori è sicuramente Fondimpresa con oltre 4 milioni di lavoratori e molto distanti tutti gli altri che sono al di sotto del milione di lavoratori ad eccezione di For.Te con oltre 1,2 milioni di lavoratori (tabella 5.3).

Come sopra anticipato, gran parte dei Fondi sono rappresentativi di imprese micro o piccole. Infatti, la media delle imprese micro è di circa il l8% e di quelle piccole è del 13% mentre quelle medie arriva fino al 2,3% e quelle grandi è sotto l’1%. Tra i Fondi, Fondo Formazione Servizi Pubblici e Fondo Banche e Assicurazioni sono sotto il 50%. In molti Fondi, 7, le micro imprese aderenti sono oltre il 90%, in sei Fondi le micro imprese sono oltre l’80% e in tre Fondi si è sotto l’80% di micro imprese aderenti (tabella 5.4).

La distribuzione settoriale dei Fondi rappresenta la loro specificità quanto meno al momento in cui sono stati istituiti così come nel caso del Fondo Banche e Assicurazioni che sicuramente è quello più settoriale tra i Fondi con l’84% di adesioni nel settore di competenza. In generale, circa il 51% delle adesioni sono nel settore manifatturiero, a seguire il settore complesso immobiliare, informatica, ricerca, servizi alle imprese con il 14% e poi infine il settore del commercio con l’11%.

Tutti gli altri fondi per settore rappresentano meno del 10% delle adesioni. Come si diceva vi sono alcuni fondi che sono più specializzati in alcuni settori come nel caso del Fondo FOR.AGRI dove le adesioni nel settore dell’agricoltura sono oltre il 66% oppure nel caso del FONDO E.R dove oltre il 47% delle adesioni sono nel settore dell’istruzione. Sicuramente Fondimpresa è il Fondo che ha una distribuzione maggiore anche se oltre il 34% degli aderenti sono del settore manifatturiero così come la maggiore distribuzione in termini di fondi è rappresentata nel settore complesso immobiliare, informatica, ricerca, servizi alle imprese, del commercio, delle costruzioni e della manifattura. Infine, c’è da sottolineare che gran parte delle adesioni per quanto riguarda i fondi per dirigenti sono da imputare al settore manifatturiero con oltre il 60% (tabella 5.5).

Per quanto riguarda la penetrazione territoriale dei Fondi si evidenzia che il nord rappresenta oltre il 50% delle adesioni mentre il centro il 18% circa ed infine il sud con le isole si attesta al 28% e tale progresso nel meridione è avvenuto negli ultimi anni. Vi sono, anche in questo caso, Fondi che sono specializzati dal punto di vista territoriale come nel caso di FONDOLAVORO, FONDITALIA, FO.IN.COOP e FON.AR.COM che raggiungono rispettivamente l’82%, il 71%, il 62%, il 45% e 42%. e Fondo Formazione con oltre il 62%. Nel nord-ovest la concentrazione minore con Fondo Formazione Servizi Pubblici Industriali, FormAzienda, Fondo Banche Assicurazioni che superano il 40% delle adesioni. Nel nord-est ad eccezione di Fondo Artigianato Formazione che raggiunge oltre il 40%, per il resto la distruzione è relativamente distribuita tra gli altri Fondi. Infine, è sicuramente al centro che la distribuzione tende ad essere omogenea. Infatti, nessuno dei Fondi supera la quota del 40% e solo Fond.AGRI arriva a sfiorarla con il 39%. Altra cosa invece per quanto riguarda i Fondi dei dirigenti dove gran parte delle imprese aderenti sono provenienti dal nord-ovest con oltre il 50% e poco oltre il 25% nel nord-est (tabella 5.6).

Per quanto riguarda i flussi finanziari a disposizione di ciascun Fondo è da rilevare che è importante tenere in considerazione quando ciascun Fondo è stato istituito. Infatti, vi sono Fondi che sono stati istituti nei primi cinque anni del nuovo secolo come Fondartigianato, ConCoop, Fondimpresa, Forte, Fonter, Fondir, Fondirigenti, Fondo dirigenti PMI, Fondo professioni e Fonder. Altri invece nel secondo quinquennio come nel caso di Fonarcom, Foragri, Fondiazienda, Fba Fondo banche assicurazioni, Formazienda, Fonditalia, Fonservizi e Fo.in.coop ed infine altri ancora che sono stati istituti negli ultimi cinque anni come nel caso di Fond.agri, fondo lavoro e fondo conoscenza (tabella 5.1).

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Quindi se si tenesse conto solo delle risorse complessive, come nel caso del XV rapporto ISOL, è evidente che sono soprattutto i Fondi più longevi ad avere raccolto le risorse maggiori, per quanto l’anzianità del Fondo garantisce anche un effetto progressivo di adesione che influisce anche sulle quote annuali di risorse acquisite. In ogni caso, per quanto riguarda l’anno 2014, i Fondi che hanno ricevuto maggiori risorse, con dati aggiornati fino a settembre, si rileva Fondimpresa che raccoglie quasi la metà delle risorse complessive. A seguire For.Te con oltre 48,5 milioni, Fondo Banche Assicurazioni con 38 milioni. Nel biennio 2013 – 2014 i Fondi hanno stanziato circa 560 milioni di euro negli avvisi e complessivamente oltre 2 miliardi in dieci anni. Alcuni aspetti da evidenziare per quanto riguarda i bandi, vale a dire che i Fondi con maggiore presenza di micro e piccole imprese prevedono la partecipazione anche dello stesso imprenditore alla formazione e ciò sicuramente va a colmare un’esigenza sempre più evidente di formazione degli imprenditori di piccole realtà. Inoltre, il finanziamento della formazione a sportello per ridurre il tempo di approvazione dei progetti stessi. Infine, per quanto riguarda i costi, i Fondi si stanno direzionando verso la standardizzazione dei costi dei corsi sulla base degli standard FSE prevalentemente per ora/allievo o per ora/corso (tabella 5.2).

Generalmente i Fondi tendono a finanziare progetti formativi a livello aziende anche perché i progetti pervenuti vanno in quella direzione tuttavia sono in crescita i piani formativi individuali mentre quelli settoriali e territoriali restano ancora relativamente limitati. Infatti, su oltre 42.000 piani formativi che compongono quasi 300 mila progetti che prevedono oltre 78 mila imprese coinvolte e oltre 3 milioni di lavoratori, solo circa 1.100 sono i piani formativi settoriali e territoriali ciascuno mentre i piani formativi aziendali risultano essere oltre 32 mila e quelli individuali oltre 5 mila ed in netto aumento rispetto all’anno precedente nel quale risultavano essere solo la metà (tabella 5.8).

Il contributo dei Fondi alla formazione è di circa il 70% ed il restante a carico delle imprese tuttavia il contributo delle imprese decresce con il passare da corsi aziendali, ad individuali, a quelli territoriali fino a quelli settoriali dal 37% per i primi al 23% per quelli settoriali. La maggior parte dei piani formativi finanziati hanno un costo che si aggira tra i 5.000 ed i 50.000. Infatti, essi sono circa l’80% dei piani finanziati. Il costo unitario per piano è di circa 24.000 euro.

La distribuzione territoriale dei piani approvati va dal 27% della Lombardia, al 17% del Veneto, al 12% dell’Emilia Romagna, al 10% del Piemonte, all’8% del Lazio mentre le Marche si attestano al 3,5% che è un risultato ragguardevole se si confronta al peso del PIL e della popolazione marchigiani rispetto a quelli nazionali che è intorno al 2,5%. Gran parte delle attività formative sono realizzate dalle stesse imprese beneficiarie, per il 66%, mentre in altri casi da enti di formazione o agenzie formative per il 13% e società di consulenza per il 18%. Si sottolinea che spesso i Fondi dei dirigenti tendono ad utilizzare società di consulenza per la formazione individuale per percorsi individualizzati.

Per quanto riguarda invece i progetti formativi organizzati dai Fondi si rileva che il tema più diffuso è sicuramente la formazione sulla salute e la sicurezza sul lavoro con quasi il 50% dei progetti finanziati ed oltre il 57% dei lavoratori. Seguono molto distanti lo sviluppo delle abilità personali con il 15% dei progetti e il 14% circa dei lavoratori e la gestione aziendale con oltre l’11% dei progetti e il 10% dei lavoratori. Altre tematiche come la vendita, il marketing, l’informatica, le tecniche di produzione, le lingue straniere e la salvaguardia ambientale sono tematiche affrontate da poco oltre o poco sotto il 5% dei progetti formativi. Insomma, le competenze che dovrebbero essere la base del lavoratore di oggi sono completamente trascurate (tabella 5.9).

La metodologia formativa o lo strumento maggiormente utilizzato nella formazione resta ancora l’aula con oltre l’86% e solo l’autoapprendimento e l’affiancamento raggiungono a mala pena il 5%. Anche in questo caso, è difficile immaginare come possa un sistema produttivo continuare la formazione chiedendo ai lavoratori di spostarsi per seguire un corso, dover sottostare ad un orario

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prestabilito e soprattutto chiedere alle imprese di privarsi dei propri lavoratori durante l’orario di lavoro, nell’era digitale quando i lavoratori potrebbero benissimo seguire corsi di aggiornamento online e magari quando lo desiderano o quando possono. Magari potendo percepire un riconoscimento economico per la formazione piuttosto che perdere la giornata di lavoro. Questo troverebbe, forse d’accordo, sia i lavoratori che le imprese (si veda la tabella A.5.9).

Infine, il numero di ore di formazione per ciascun progetto formativo nell’ambito dei piani formativi evidenzia che oltre la metà dei corsi hanno una durata fino a 8 ore, il 21% dalle 8 alle 16 ore. Insomma, praticamente la formazione può durare da una mezza giornata fino ad un massimo di due giornate lavorative. Se si considera il grado di istruzione del lavoratore medio e del lavoratore partecipante, è evidente che questo approccio non aggiunge nulla rispetto alle esigenze del singolo lavoratore, della singola impresa, dei singoli territorio e settore e soprattutto del paese (tabella 5.11).

I partecipanti prevalentemente hanno un contratto a tempo indeterminato a tempo pieno, quasi il 63%, a part-time, circa il 22%, e a seguire a tempo determinato, 11%, e poi tutte quelle forme poco chiare di lavoro, apprendistato o volontario ad eccezione dei lavoratori in CIG che sono solo il 0,2%. La maggior parte dei lavoratori che partecipano ai corsi hanno tra i 35 e i 44 anni, 38%, tra i 25 e i 34 anni, 27% ed infine tra i 45 e 54 anni con poco meno del 24%. Il titolo di studio dei partecipanti che risulta essere nessuno per il 6,3%, licenza elementare per il 0,8% e licenza media inferiore per il 34,4%. Questo sta a significare che oltre il 40% dei lavoratori partecipanti ha un titolo di studio considerato appena dell’obbligo. Un altro 37,4% possiede il titolo della scuola media superiore. Questo significa che quasi l’80% dei partecipanti non possiede un titolo di studio adeguato alla cosiddetta knowledge economy o al mondo moderno. La stragrande maggioranza dei partecipanti sono italiani, il 96% circa. L’inquadramento professionale dei partecipanti è prevalentemente impiegato amministrativo e tecnico con il 38% circa e operaio generico, 31% circa, mentre operaio qualificato e impiegato direttivo sono rispettivamente il 17% circa e 9% circa. In questo ambito le donne sono più presenti nella figura dell’impiegato amministrativo e tecnico.

Infine, quasi il 35% della formazione viene svolta da imprese con oltre 500 dipendenti, il 21% in imprese che hanno tra 1 e 9 dipendenti, il 19% nelle imprese che hanno tra i 14 e i 49 dipendenti, il 18% nelle imprese che hanno tra i 50 ed i 249 dipendenti. Questo significa che, come è ovvio, le imprese più grandi, che sono la minoranza nel paese, tendono ad essere più organizzate e più interessate alla formazione o forse semplicemente sono più a conoscenza dei fondi interprofessionali. Anche se come viene sottolineato nel rapporto che le grandi imprese tendono a realizzare più piani formativi in un breve arco di tempo o in diverse funzioni, ruoli, aree o unità di lavoro.

Per quanto riguarda i diversi contesti regionali si evidenzia come il numero complessivo di imprese che hanno partecipato ai progetti finanziati dai Fondi interprofessionali sono oltre 332 mila. La media delle imprese partecipanti è di 1,14% a livello nazionale se si prende in considerazione il numero di imprese complessive esistenti a livello nazionale secondo il censimento ISTAT del 2011. Tale analisi se viene svolta anche per singola regione sulla base del numero di imprese esistenti si nota come la partecipazione in percentuale al numero di imprese esistenti per regione varia da regione a regione. In particolare, emerge che le regioni con una maggiore partecipazione aziendale sono la regione Veneto, seguita da Lombardia, Toscana, Umbria, Emilia Romagna, Piemonte, Trentino Alto Adige, Friuli Venezia Giulia che risultano essere tutte sopra l’1% ad eccezione della regione Veneto che si attesta oltre il 2%, per la precisione 2,24%. Tali dati fanno riferimento al numero di imprese partecipanti nell’anno 2013 anziché 2014 visto che i dati non sono completi. Risultano in fondo in termini di partecipazione di imprese la Campania, la Valle d’Aosta, la Sardegna, l’Abruzzo, e la Sicilia che si

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attestano sotto la soglia dello 0,5%. Un livello ancora troppo basso per essere considerato soddisfacente (tabella 5.12).

Se si prende in considerazione il numero di imprese partecipanti per numero di addetti incrociato per regioni, si evince che il numero maggiore di imprese partecipanti risulta essere tra le imprese con 1 – 9 addetti e 10 – 49 addetti tuttavia non sono da sottovalutare anche i dati circa la partecipazione delle imprese più grandi che vanno dai 50 agli oltre 427 addetti. Permane la scarsa partecipazione delle imprese che non hanno dichiarato il numero di addetti (tabella 5.13).

Le imprese che maggiormente partecipano per settore e per regione risultano essere generalmente quelle del settore manifatturiero che in media sono quasi un terzo a livello nazionale ma il dato tende ad essere differenziato per regione. Infatti, nelle Marche la partecipazione del settore manifatturiero supera il 50% insieme alla regione del Friuli Venezia Giulia, a seguire vi sono il Piemonte, la Basilicata, la Calabria dove la partecipazione del settore manifatturiero supera la quota del 40%. Sopra il 30% risulta essere la partecipazione in Lombardia, Valle d’Aosta, Abruzzo, Veneto, Emilia Romagna e Molise. I settori dell’agricoltura, estrattivo e produzione di energia risultano quelli dove la partecipazione è la più bassa a livello nazionale ed anche a livello delle regioni.

Il settore dell’edilizia che risulta avere una scarsa partecipazione delle imprese alla formazione tuttavia evidenzia in alcune regioni dati particolarmente brillanti come nel caso della Basilicata, con quasi il 20%. Il settore del commercio che si attesta a livello nazionale oltre il 20%, evidenzia una partecipazione quasi del 60% in Umbria, quasi del 50% in Toscana e poco inferiore al 30% in Sardegna, nel Lazio e Molise. Il settore della ristorazione che pesa per circa il 3% a livello nazionale fa riscontrare in Trentino Alto Adige la percentuale del 43%. Ben lontano da tutte le altre regioni dove la partecipazione di questo settore alla formazione risulta essere inferiore al 5% ad eccezione della Liguria dove si attesta quasi al 15%. Questo è in contrasto con i fabbisogni e le caratteristiche di molte regioni italiane che si affidano al turismo e considerano il turismo come una delle fonti di ricchezza e lavoro nei prossimi anni, come nel caso della regione Marche. Il settore dei trasporti che fa registrare una partecipazione a livello nazionale intorno al 5% tuttavia in Valle d’Aosta raggiunge la quota del 26% e dell’11% in Campania. Nel settore delle banche e delle assicurazioni la quota di partecipazione a livello nazionale risulta essere del 5% circa, con punte del 28% in Valle d’Aosta e del 12% nelle Marche. Per quanto riguarda il settore dei servizi alle imprese e alle persone che conta per circa il 7% si evidenzia una percentuale quasi doppia in Sardegna. I settori della sanità e dell’istruzione rappresentano circa il 12% con punte del 18% in Liguria, Lombardia e poco sotto la Sicilia (tabella 5.14).

Se si prende in considerazione invece la partecipazione delle imprese per regione e per tipologia di piani formativi (aziendale, individuale, settoriale e territoriale), si nota come a livello nazionale il numero maggiore di piani formativi siano quelli aziendali con una media quasi dell’80%, come accennato poco sopra, e dal punto di vista regionale si constata che in Valle d’Aosta, Basilicata e Friuli Venezia Giulia tale percentuale raggiunge quote superiori al 90%, in Abruzzo, Marche, Sardegna, Piemonte, Puglia, Umbria, Veneto si è sopra la media nazionale mentre l’Emilia Romagna si attesta sulla media nazionale come la Toscana (tabella 5.15).

Se si prende in considerazione la finalità dei piani formativi per regione e a livello nazionale allora emerge che a livello nazionale il tema dell’aggiornamento delle competenze risulta il più importante con quasi il 30% seguito dal tema della competitività ed innovazione d’impresa che si attesta al 25% e poi la formazione obbligatoria con il 17%. Il tema dell’aggiornamento delle competenze sembrerebbe più sentito in Sardegna, Umbria, Calabria, Marche, Friuli Venezia Giulia, Lazio, Basilicata, Puglia e Valle d’Aosta dove la partecipazione è maggiore rispetto alla media nazionale con una punta del 41% per la Sardegna. Il tema dell’innovazione è più sentito in Umbria, in Abruzzo, nelle Marche dove

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rispettivamente la partecipazione raggiunge il 37%, il 33% e il 30%. Infine, per quanto riguarda la formazione obbligatoria risulta essere maggiore in Valle d’Aosta, in Piemonte, in Puglia dove la percentuale supera il 20% (tabella 5.16).

Se si considerano i contenuti dei progetti dei piani formativi presentati e conclusi, si osserva a livello nazionale una forte disaggregazione tuttavia 8 tematiche risultano essere sopra o intorno al 10% a livello nazionale e sono sviluppo delle abilità personali con il 16%, salute e sicurezza sul lavoro con quasi il 14%, gestione aziendale con oltre il 12%, vendita e marketing con poco meno del 12%, al 10% risultano essere il contesto lavorativo, l’informatica e la contabilità ed infine le tecniche per l’erogazione dei servizi economici con oltre l’8%.

I progetti di sviluppo delle abilità personali sono particolarmente apprezzati nelle regioni dell’Abruzzo, del Friuli Venezia Giulia, del Lazio e del Molise dove la percentuale supera il 20%. I progetti di sicurezza sul lavoro hanno una percentuale superiore alla media nazionale soprattutto in Basilicata con oltre il 20% così come quelli sulla gestione aziendale. Mentre i progetti di formazione sulla contabilità aziendale fanno riscontrare un valore più alto rispetto alla media soprattutto nelle Marche con oltre il 14% (tabella 5.17)

Infine, crediamo che un altro dato importante quanto quello del numero delle imprese partecipanti per regione sia il numero dei lavoratori partecipanti per regione. anche in questo caso, si è cercato di rielaborare i dati messi a disposizione nel XV rapporto dell’ISFOL sulla base del numero dei lavoratori impiegati nelle imprese per regione e a livello nazionale sulla base del censimento del 2011. La percentuale di lavoratori impiegati nelle imprese che partecipa ai progetti di formazione finanziati dai fondi interprofessionali è del 3,95% a livello nazionale. Quindi poco sotto il 4%. Tuttavia si evidenziano forti differenze tra le diverse regioni. Infatti, se le regioni Friuli Venezia Giulia, Veneto, Lombardia ed Emilia Romagna si attestano su una partecipazione dei lavoratori che è superiore al 4% con il Friuli Venezia Giulia che è molto prossimo al 5%. Dall’altra parte emerge come vi siano regioni che fanno fatica a raggiungere il 2% come nel caso dell’Abruzzo e della Basilicata. Le Marche si attestano quasi un punto sotto la media nazionale con 2,81% e lontano dalle regioni del nord ad eccezione della Valle d’Aosta e la Liguria (tabella 5.18).

5.3 I contributi del progetto FARO LAB Al momento dell’organizzazione dell’indagine territoriale, da più parti si sottolineava che il territorio

era sotto stress per la continua richiesta di indagini circa il contesto economico ed altro. Da qui la necessità di comprendere come proseguire. In effetti, l’analisi del materiale del progetto FARO LAB della Regione Marche per la costituzione dell’Osservatorio per la formazione continua e la comparazione della metodologia utilizzata per la realizzazione dei focus group così come per l’indagine complessiva era molto simile a quella da noi prospettava per l’analisi dei fabbisogni espressi ed inespressi. Inoltre, la metodologia utilizzata per le valutazioni in itinere esterne richieste dalla Regione sul POR FSE all’ATI composto da Fondazione Brodolini e IRS era certamente efficace così come i risultati. Di conseguenza si è deciso di soprassedere circa l’organizzazione dei focus group così come la somministrazione del questionario ed utilizzare soprattutto il materiale sviluppato nell’ambito del progetto FARO LAB.

5.3.1 Metodologia dei Focus Group e piani formativi organizzati nell’ambito del progetto FARO LAB Nell’ambito del progetto FARO LAB l’ATI composta da IFOA, capofila, Fondazione Censis e

Associazioni Nuovi Lavori ha organizzato un focus group per provincia negli anni 2014 e 2015. La metodologia utilizzata prevedeva il sistema del coaching (ascolto attivo e domande efficaci) i partecipanti a ciascuna sessione di focus group sono rappresentanti delle parti sociali, dell’Amministrazione Provinciali

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e di altri soggetti attivi nel sistema della formazione continua, inclusi i rappresentanti dei fondi interprofessionali. In media hanno partecipato circa 11 soggetti nel primo anno e 5 nel secondo anno. Generalmente, la mancata partecipazione è stata addebitata alla contingenza di impegni concomitanti. I focus group sono stati effettuati durante il primo semestre degli anni 2014 e 2015.

Principali temi di discussione: confronto sui dati macroeconomici e sul loro impatto potenziale sulle imprese e sul sistema della formazione continua, spunti di riflessione derivanti dalle survey condotte da Fondazione Censis, verifica dello stato dell’arte dei fabbisogni formativi e professionali.

Dopo una breve presentazione da parte del moderatore circa: la presenza degli stranieri, indicatori del mercato del lavoro, variazione degli occupati, saldo commercio estero, dati relativi al flusso turistico, i canali di reclutamento del personale, fattori di competitività aziendale. Durante il secondo anno si è accentuato in misura maggiore il fatto che si iniziano a intravvedere dei piccoli segnali di ripresa dell’economia.

Per quanto riguarda i piani formativi e quindi i fabbisogni formativi espressi ed inespressi nella regione Marche si deve tenere conto che la formazione continua è rivolta agli addetti legati all’impresa con regolare contratto di lavoro, a tempo determinato o indeterminato (anche a part-time), o con contratti atipici. Sono compresi anche i datori di lavoro e i familiari. Essa mira ad adeguare e sviluppare le conoscenze e competenze professionali dei soggetti coinvolti nell’impresa, in stretta connessione con l’innovazione tecnologica ed organizzativa del processo produttivo tenendo conto dei mutamenti del mondo del lavoro.

I fabbisogni formativi devono partire dal contesto territoriale ma anche dalle prospettive di sviluppo sulla base delle politiche poste in atto a livello europeo, nazionale e locale che porteranno alla nascita e lo sviluppo di nuovi settori. In questa ottica allora questa sezione del documento potrà dare vita a spunti di riflessione utili per la formazione continua in senso lato.

5.3.2 Fabbisogno formativo Provincia di Pesaro Urbino

I fabbisogni formativi qui presentati fanno riferimento alle diverse attività svolte nell’ambito del progetto FARO LAB che comprendevano attività di desk research, focus group, elaborazione delle informazioni ed infine redazione dei Piani Formativi Territoriali per ciascuna provincia41.

La realtà economica della Provincia di Pesaro Urbino si caratterizza a forte specializzazione industriale con una marcata presenza di piccole e medie imprese artigiane. Infatti, il contributo dell’industria alla produzione di valore totale è del 27% circa conto il 21% nazionale. In particolare in provincia si notano il distretto del legno-mobile, anche con imprese di una certa caratura come Febal, Berloni e Scavolini e tessile-abbigliamento. Un altro settore importante è sicuramente quello della cantieristica navale ed infine quello del turismo balneare. Tuttavia questi due settori risentono, nel primo caso, di una forte crisi del settore a livello nazionale, e, nel caso del secondo, alcune debolezze del sistema locale circa la bassa ricettività turistica e la scarsa presenza di servizi.

Nel settore del mobile, si può evidenziare la capacità di qualità, innovazione, design e promozione del marchio. Certo la crisi economica ha messo seriamente in difficoltà anche il settore del mobile per non parlare del sistema delle piccole e medie imprese incapaci di innovare.

41 Per conoscere la metodologia utilizzata si faccia riferimento al sito:

http://www.istruzioneformazionelavoro.marche.it/Formazione/FAROLABlaboratoriosullaformazionecontinua.aspx.

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

Gli elementi di criticità del sistema produttivo provinciale sono sicuramente:

il modello produttivo regionale così come quello provinciale è caratterizzato da un sistema di piccole medie imprese basato sul modello tradizionale della piccola media impresa contoterzista che fa fatica a ri-orientarsi verso nuovi modelli, prodotti e mercati;

scarso contenuto innovazione nei prodotti così come nei servizi e nei sistemi produttivi;

in quanto contoterziste, gran parte delle imprese del territorio non hanno sviluppato un’efficace piano ed azione di commercializzazione e distribuzione e con particolare riferimento all’internazionalizzazione;

manca un’adeguata cultura imprenditoriale;

le risorse umane a disposizione non corrispondono alle richieste dei sistemi produttivi nonostante sia presente anche un polo universitario provinciale che si aggiunge agli altri poli universitari regionali, quattro, di carattere umanistico, Urbino e Macerata, tecnico Ancona e scientifico a Camerino. In particolare si rileva una forte differenza tra la domanda e l’offerta di lavoro in termini di competenze;

mancano capacità degli operatori e delle strutture in ambito turistico nonostante le grandi potenzialità del territorio;

una scarsa disponibilità a cooperare con le altre imprese;

costi elevati sia dei prodotti che della manodopera ;

disinteresse verso il sistema della formazione che viene percepito come non necessario soprattutto dalle imprese meno aperte al mercato ed in particolare al mercato internazionale. Infatti, dall’indagine Censis nell’ambito del progetto FARO LAB emerge che il 64% delle imprese raggiunte dall’indagine ritiene non avere bisogno di formazione, nonostante nella provincia di Pesaro Urbino sia stata riscontrata la più alta percentuale, quasi il 47%, di difficoltà a reperire personale così come risulta da un’indagine commissionata dalla Provincia di Pesaro Urbino alla società Prime Consulting che il 38% delle aziende non prevede fabbisogni formativi ed allo stesso tempo il 62% circa degli stessi soggetti segnala carenze di competenze. Da aggiungere che circa l’80% delle imprese non hanno aderito ad alcun fondo interprofessionale. E come fa notare il documento di FARO LAB, tutto ciò nonostante che i progetti formativi presentati nella provincia ai fondi interprofessionali siano stati di ottimo livello e i fondi siano molto utilizzati dalle grandi imprese del territorio;

limitato supporto da parte dei centri servizi specializzati;

infine un sistema dei trasporti ed in generale delle infrastrutture ancora inadeguato che potrà essere certamente migliorato nel momento in saranno completate le opere dell’ampliamento dell’A14, per la verità già in essere nel tratto pesarese, e soprattutto della quadrilatero. Certo l’avvento dell’alta velocità anche nella dorsale adriatica comporterà un vero proprio salto di qualità dal punto di vista dei servizi alla ricettività della regione e quindi della provincia. A questo vanno aggiunti il potenziamento ed l’efficientamento dell’aeroporto regionale di Ancona-Falconara e del porto di Ancona come infrastruttura di ricezione passeggeri soprattutto nell’ambito del sistema delle autostrade del mare ipotizzato dall’Unione Europea e del corridoio Adriatico-Ionico. Senza dimenticare l’infrastruttura per eccellenza della nuova era che è la digitalizzazione con rete ultra banda larga, anche in questo caso, della dorsale adriatica. Secondo la strategia nazionale sulla banda ultra larga la dorsale adriatica fino in Ancona rientra nell’area nera. Vale a dire un investimento con alto ritorno come nelle principali città del paese.

Nell’ambito della formazione continua gli attori del territorio rilevano le seguenti difficoltà: l’attuale offerta formativa non è adeguata alle proprie necessità in quanto prevede orari, durata dei corsi e tipologia/strumenti utilizzati come la formazione d’aula. Non vi sono strutture scolastiche/formative in

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collegamento con il sistema produttivo e modelli didattici innovativi. Altro aspetto sottolineato è favorire un migliore rapporto tra sistema produttivo e quello scolastico/formativo perché vi è anche una carenza nella formazione iniziale.

Fermo restando che l’ostacolo più grande è sicuramente culturale, sia da parte delle imprese, sia da parte dei finanziatori. Fermo restando che anche lo stesso approccio d’aula possa essere reso più stimolante, come sostiene lo stesso rapporto di FARO LAB, attraverso approcci innovativi e stimolanti come nel caso del problem based learning, allegorie, personalizzazioni, ecc.

Dall’altro lato i punti di forza del territorio sono sicuramente: un forte dinamismo imprenditoriale, presenza di alcune grandi imprese e di distretti consolidati che possono fare da traino alle imprese più piccole o alle nuove imprese, appunto poli scientifici ad iniziare dall’Università degli Studi di Urbino, la vocazione turistica territoriale ed fine le recenti iniziative produttive in ambito energetico e di bioedilizia.

In Provincia di Pesaro Urbino si rileva che i profili professionali critici quanto a elevata/media presenza nel sistema produttivo, difficoltà di reperimento, fabbisogno in fase di incremento sono sicuramente: operatori commerciali (Italia ed estero), tecnici commerciali e del marketing, responsabili degli acquisti, responsabili della logistica, tecnici specialistici in linguaggi di programmazione, meccanici riparatori d’auto e tecnici meccanici, tecnici conduttori di macchine a controllo numerico e maitre d’hotel e baristi specializzati.

Mentre i profili emergenti, caratterizzati da una ridotta presenza nel sistema produttivo, difficoltà di reperimento, fabbisogno in fase di incremento sono: esperti nel trattamento di rifiuti industriali, eco manager, esperti in bioedilizia, domotica e fotovoltaico, tecnici di comunicazione e immagine, tecnici di marketing e promozione turistica, esperti nelle preparazioni alimentari, ricercatore di nuovi mercati e tecnici della cura estetica.

In particolare i profili ricercati nell’ambito della cosiddetta green economy sono: esperto in programmazione o progettazione delle energie rinnovabili, designer dei sistemi fotovoltaici, operatore della centrale elettrica, elettricista specializzato nell’installazione di sistemi fotovoltaici, esperto di certificazione edilizia, tecnico per la manutenzione e gestione di impianti rinnovabili, responsabile del funzionamento, ingegneria, manutenzione degli impianti a biomassa, tecnico del risparmio energetico, tecnico del sistema di gas rifiuti ed Energy manager.

Inoltre vi sono alcune figure chiave per lo sviluppo che sono necessarie come: imprenditori di PMI, manager di PMI, esperti in turismo enogastronomico, esperti in servizi innovativi per il turismo ed esperti in marketing turistico.

Infine le competenze maggiormente richieste dalle aziende sono: competenze imprenditoriali e manageriali, conoscenze organizzativo gestionali, conoscenze delle normative tecniche, conoscenze informatiche, di tipo applicativo e di base per immigrati, conoscenze linguistiche: italiano per i lavoratori stranieri e lingue straniere per gli italiani.

Competenze manageriali per strategie direzionali, controllo di gestione, capacità di interpretazione del fabbisogno dell’impresa, capacità di diagnosi dei trend evolutivi dell’impresa e dei mercati di riferimento.

Competenze tecnico-specialistiche come conoscenza dei principi di elettronica ed elettrotecnica, capacità di utilizzo di impianti e macchinari di nuova generazione, conoscenza degli aspetti agro-alimentari dei prodotti (soprattutto in ambito turistico), capacità di operare nel settore della

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

comunicazione (anche in questo caso soprattutto nel turismo) soprattutto per la diffusione dei brand anche attraverso l’utilizzo dei mezzi multimediali e del web.

Infine competenze trasversali quali capacità di lavorare in gruppo, capacità di lavorare in autonomia, capacità di risolvere problemi, capacità comunicativa scritta ed orale ed abilità nel gestire rapporti con i clienti.

5.3.3 Fabbisogno formativo Provincia di Ancona

Il sistema economico provinciale così come quello regionale sta attraversando una fase di transizione ed incertezza in cui tutti gli attori, ad iniziare dalle istituzioni e le imprese, stanno facendo i conti. Anche il sistema economico della provincia di Ancona si caratterizza per un’accentuata propensione manifatturiera tradizionale con imprese piccole e spesso contoterziste. A ciò tuttavia in questa provincia si aggiunge un sistema costiero specializzato anche in servizi, dal turismo al commercio. Senza dimenticare la cantieristica, specializzata a livello mondiale per la produzione di yacht, il porto e l’area petrolchimica di Falconara Marittima. Nell’entro terra invece è particolarmente sviluppata la metalmeccanica con la produzione di componenti elettriche, elettroniche, circuiti stampati e le apparecchiature per il controllo della qualità. Senza dimenticare tutto il comparto degli elettrodomestici nel fabrianese seppure in grandissima difficoltà.

Le criticità emerse sono le seguenti: un modello industriale basato sulla tradizionale piccola media impresa a basso contenuto tecnologico, forte concorrenza estera dovuta a ritardo accumulato nel tempo, le PMI artigiane stanno lavorando in un contesto di calo produttivo, del fatturato e delle commesse, scarsa propensione agli investimenti e bassa specializzazione del comparto dei servizi.

I punti di forza del sistema produttivo sono: presenza di alcune grandi imprese, il centro Universitario specializzato in discipline tecniche quali ingegneria, medicina ed economia, casi di successo di imprese spin off in settori fortemente innovativi, vocazione turistica territoriale costiera ed interna e la presenza di un porto commerciale con forti potenzialità.

Vi sono state alcune iniziative di interesse ed in parte di successo per l’intero territorio come nel caso della realizzazione del Parco Scientifico e Tecnologico delle Marche, la costituzione del Consorzio Marchigiano Innovazione Tecnologica (COMIT) che raggruppa il settore del mobile (COSMOB), il settore del tessile abbigliamento (CTA), il settore della meccanica e dell’elettrotecnica (Meccano), il settore del calzaturiero (SCAM) ed infine il settore della ricerca che raggruppa i centri universitari (MIT).

Le priorità di intervento emerse sono: rinnovamento organizzativo delle PMI, anche attraverso un ricambio generazionale, differenziazione del prodotto, associazione ed aggregazione delle imprese, aumento dell’efficacia e dell’efficienza nell’utilizzo delle risorse naturali, sostengo alla digitalizzazione ed il suo utilizzo (siti internet delle imprese ed e-commerce), potenziamento delle infrastrutture per collegare porto, aeroporto ed autostrada con l’interno, integrazione fra il sistema produttivo con la ricerca, la formazione e l’istruzione.

Dall’analisi basata desk research, focus group, elaborazione delle informazioni in Provincia di Ancona sono emerse le seguenti considerazioni. Vi sono alcune professioni tradizionali che stanno scomparendo come nel caso dell’idraulico, dell’elettricista e dell’edile.

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Le figure professionali tipiche del manifatturiero che tuttora sono richiesti sono gli operai specializzati come i saldatori, tornitori, fresatori, operatori a controllo numerico, elettricista, elettrotecnico, espero di elettronica.

Figure professionali specialistiche come nel caso dei disegnatori specializzati nei diversi comparti e progettisti nei diversi comparti ed in particolare nel mobile e nella nautica.

Nell’ambito della green economy invece sono particolarmente richiesti: gli esperti di programmazione o progettazione delle energie rinnovabili, designer dei sistemi fotovoltaici, operatore della centrale elettrica, elettricista specializzato nell’installazione di sistemi fotovoltaici, esperto di certificazione edilizia, tecnico per la manutenzione e gestione di impianti rinnovabili, responsabile funzionamento, ingegneria, manutenzione degli impianti a biomassa, tecnico del risparmio energetico, tecnico del sistema di gas dei rifiuti ed Energy manager.

Inoltre sono ricercate figure e profili nell’ambito della domotica come elettromeccanico specializzato in domotica, tecnico impiantistico domotico, progettista domotico e installatore domotico.

Nel settore enogastronomico invece sono ricercati i camerieri con conoscenze dei prodotti tipici, giornalisti e pubblicisti specializzati nel settore dell’editoria enogastronomica nelle differente forme (giornali, radio, tv, cinema e internet), esperti in turismo enogastronomico, tecnici del marketing turistico, tecnici dei servizi di sala, tecnici nel prenotazioni online e del turismo ambientale e sostenibile.

Per quanto riguarda le competenze, le aziende richiedono soprattutto: informatica, lingua italiana per stranieri e lingue straniere.

Competenze tecnico-specialistiche da intendersi come conoscenza del quadro normativo, dei principi di elettronica ed elettrotecnica, capacità di utilizzo degli impianti e macchinari, competenze informatiche di tipo applicativo quindi non di base, conoscenze agro-alimentari, capacità operative nell’ambito della comunicazione soprattutto in internet.

Competenze trasversali che sono maggiormente richieste sono soprattutto le capacità organizzativo gestionali, relazionali, di adattamento a contesti difficili, flessibilità, risoluzione di problemi, disponibilità all’autoaggiornamento, lavorare in gruppo, conoscenza del proprio settore di lavoro, competenze imprenditoriali e manageriali per sviluppare il settore del marketing, competenze che possano favorire l’innovazione di prodotto, di processo e di mercato.

Competenze nel settore enogastronomico sono soprattutto rivolte a conoscenze della cultura rurale del territorio, del marketing territoriale, delle tecniche di comunicazione, nozioni di turismo, delle lingue straniere, delle norme di prevenzione e sicurezza sul lavoro e sull’igiene alimentare, conoscenza delle tecniche di base di sala e bar.

5.3.4 Fabbisogno formativo Provincia di Macerata La realtà economica della Provincia di Macerata è caratterizzata, più che nelle altre province, dal

cosiddetto “miracolo marchigiano” o dello sviluppo del cosiddetto modello nord-est-centro o del modello dei distretti industriali che ha rapidamente trasformato un territorio essenzialmente a vocazione agricola in una provincia a reddito elevato. Il centro di questo sviluppo è sicuramente stata la piccolissima, piccola e media impresa spesso a conduzione familiare nell’ambito del triangolo Civitanova, Recanati e Tolentino imperniata sul settore moda (calzature, pelli, cuoio e abbigliamento) basato sempre più sul brand e l’internazionalizzazione. A ciò si aggiungano la meccanica, il legno, le

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

materie plastiche, le produzione agricole, il turismo e non ultimo il settore della produzione dei giocattoli.

Un ulteriore salto di qualità dal punto di vista economico e produttivo richiederebbe un maggiore dialogo sociale e cooperazione istituzionale e territoriale, promozione e competitività del capitale rappresentato dal tessuto produttivo e non solo, migliorare le infrastrutture pesanti così come quelle leggere che permettano di sviluppare ulteriormente le filiere produttive e distributive, sviluppare ulteriormente le potenzialità del territorio, soprattutto nell’ambito del turismo inteso in senso lato (balneare, culturale, invernale e enogastronomico), la rivoluzione verde e società della conoscenza.

Vi sono ancora forti potenzialità anche al di fuori di quelli che sono le attività principali della provincia come nel caso del turismo, delle attività dei servizi e della tutela ambientale tenendo in considerazione che risulta un numero di laureati in aumento, una forte scolarizzazione e una costante crescita dello strumento dello stage in azienda. Da non sottovalutare la presenza di un polo di ricerca come l’Università degli Studi di Camerino. Polo di insegnamento e di ricerca di livello nazionale nell’ambito delle cosiddette materie scientifiche a livello dei Politecnici di Milano e Torino. Tra l’altro polo che negli ultimi anni si è fortemente specializzato nell’innovazione tecnologia dell’economia della conoscenza e dell’avvio di imprese innovative attraverso il sistema degli spin off.

Certo vi sono fattori che fanno pensare che la direzione presa sia quella giusta seppure ancora molto lontana da quelle che sono le necessità per uscire da una crisi di sistema attraverso gli investimenti che circa il 33% ha effettuato negli ultimi anni per prevalentemente sostituire i macchinari o per aprire nuovi punti vendita per quanto il tasso di investimento è inferiore di circa il 50% rispetto alla media nazionale.

Tuttavia non mancano le minacce come la forte specializzazione manifatturiera in settori obsoleti, bassi i livelli di investimento e il livello dei servizi è relativamente scarso.

Le priorità d’intervento sono: sviluppo di un dialogo sociale e di cooperazione istituzionale, sostegno al buon funzionamento dei distretti, infrastrutture, rinnovamento organizzativo delle imprese, sviluppo integrato di filiera, qualificazione strategica dei processi di internazionalizzazione così come della delocalizzazione, differenziazione del prodotto, ulteriore sviluppo del brand, maggiore propensione agli investimenti, valorizzazione del patrimonio culturale e naturale con particolare attenzione ai borghi abbandonati, maggiore investimento sull’efficienza energetica per ridurre i costi ed avviare processi di filiera nell’ambito dell’energia ed infine investimento nella cosiddetta società della conoscenza e nelle smart communities piuttosto che nelle smart cities. Integrando innovazione in ambito energetico a quello delle telecomunicazioni e digitale senza dimenticare l’innovazione nell’ambito dei processi integrati di raccolta, smaltimento e riutilizzo dei rifiuti.

In Provincia di Macerata l’analisi svolta ha evidenziato la necessità di un maggiore sostegno della formazione per migliorare la cultura d’impresa, l’internazionalizzazione, lo sviluppo della filiera fino alla commercializzazione finale. Per quanto, anche in provincia di Macerata, il 73% delle imprese non ritiene di avere bisogno di formazione nonostante il 35% di essi sostiene di non essere in grado di soddisfare la propria domanda di lavoro in termini di competenze. E l’impressione è che vi sia una sorta di sfiducia nello strumento della formazione. Tanto è vero che permangono le stesse perplessità rilevate negli altri territori circa le difficoltà nella formazione.

In ogni caso, sono richieste competenze di lingue straniere e di inglese commerciale. Inoltre, capacità manageriali, di gestione di impresa, controllo economico-finanziario, programmazione strategica. Infatti, gli stessi imprenditori manifestano una mancanza di competenze, il 62%, preparazione

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nell’ambito delle lingue, per il 31% e poi le competenze in ambito commerciale e di marketing così come nel digitale circa un quinto di essi. Per quanto riguarda il personale invece gli stessi rilevano carenze in area linguistica e organizzativo gestionale rispettivamente per il 33 e 27 percento.

Inoltre, competenze di marketing, strategie commerciali e distributive, gestione del brand e del retail.

Infine, conoscenze informatiche che siano più che di base che permettano l’utilizzo di software gestionali di risorsa/processo, progettuali, di logistica integrata che possano anche permettere l’integrazione interaziendale e territoriale.

Competenze tecnico professionali specialistiche richieste sono sicuramente la capacità di utilizzo di macchinari e procedure di produzione avanzate, sviluppo di nuovi prodotti e materiali, progettazione e ingegnerizzazione di prodotto e processo e time-to-market (TTM) inteso come la capacità di comprendere ed agire in tutto il processo di prodotto. Vale a dire, capacità di lettura del mercato, studi di fattibilità, ingegnerizzazione, appunto, creazione di prototipo, produzione in larga scala ed immissione sul mercato. Inoltre, designer di progettazione nell’ambito della moda e formazione per la sicurezza dei processi e dei luoghi di lavoro.

Le competenze trasversali di successo più richieste sono sicuramente l’approccio strategico all’innovazione, predisposizione al cambiamento, gestione della comunicazione e delle relazioni ed fine competenze organizzative.

Anche in questo caso, sono importanti quelle competenze nell’ambito del turismo, della green economy ma a differenza degli altri territori anche le competenze per il lavoro autonomo.

5.3.5 Fabbisogno formativo Provincia di Fermo

L’area della provincia di Fermo è una con la più alta concentrazione manifatturiera in Italia fortemente concentrata nella produzione di calzature e articoli in pelle. Nella provincia vi è la più alta concentrazione di imprese delle calzature in Italia. A ciò si aggiungano la produzione di cappelli, la produzione agricola di vino, frutta e tartufi ed infine attività agri-turistica. Anche in questo caso si tratta di tante micro, piccole e medie imprese in prevalenza a carattere familiare. Nonostante vi siano anche imprenditori e marchi di successo a livello internazionale come Tod’s, Hogan, Nero Girardini, Formentini group.

Le priorità del territorio sono: maggiore dialogo sociale, sviluppo del sistema di servizi alle imprese, promozione e competitività del capitale rappresentato dal tessuto delle microimprese famigliari, infrastrutture pesanti e leggere, continuare lo sviluppo sul manifatturiero ma sviluppare anche le potenzialità del territorio dal punto di vista turistico, le energie rinnovabili e società della conoscenza.

Per quanto riguarda la formazione la propensione ad essa è molto scarsa, circa il 90% delle imprese dichiara di non essere iscritta ai fondi interprofessionali, molti di essi non ne sono addirittura a conoscenza, il 72% ritiene di non aver bisogno di formazione anche perché la formazione non è adeguata per gli stessi motivi evidenziati nelle sezioni precedenti.

Tuttavia gli stessi responsabili delle imprese riconoscono che le competenze maggiormente richieste sono la formazione diffusa alla managerialità, gestione di impresa, controllo economico-finanziario, programmazione strategica. Così come la conoscenza delle lingue e dell’inglese commerciale. Inoltre, le competenze legate al settore dell’informatica ma non di base come nel caso di conoscenza o adattamento a software gestionali e soprattutto nella logistica.

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

Nel fermano l’attenzione si è focalizzate soprattutto nei settori della moda e delle calzature in quanto distretti particolarmente consolidati da tempo. A questo proposito sono necessarie competenze tecnico professionali quali progettazione, elaborazione di modelli e di design, sviluppo nuovi prodotti con strumenti avanzati, ingegnerizzazione di prodotto, competenze di presidio di macchinari innovativi (taglio informatizzato) e di procedure avanzate di produzione ed infine e soprattutto marketing, strategie commerciali e distributive, gestione dei brand e del retail.

Nel settore turistico sono richieste competenze di carattere imprenditoriale diffusa per migliorare la qualità delle imprese ricettive, valorizzazione imprenditoriale del territorio, guide, progettazione di percorsi turistici integrati e promotori del territorio.

Per quanto riguarda il settore dell’ambiente e dell’energia alternativa sono richieste figure competenti nell’aggiornamento degli operatori del settore edile ed elettrico e quindi anche gli stessi operatori dei settori edili ed elettrico, installatori e esperti di fonti rinnovabili, bioedilizia e tecniche risparmio energetico.

Le competenze trasversali maggiormente richieste sono: imprenditorialità, approcci strategico all’innovazione, predisposizione al cambiamento, gestione della comunicazione e delle relazioni, competenze organizzative e di programmazione formativa e valorizzazione della conoscenza.

5.3.6 Fabbisogno formativo Provincia di Ascoli Piceno L’economia ascolana ha sofferto particolarmente la crisi economica e a farne le spese è stata

soprattutto l’occupazione. I settori che promettono di poter recuperare più rapidamente sono sicuramente il turismo e l’agro-alimentare ma si deve tenere conto che il territorio dell’ascolano si caratterizza anche per avere una struttura specializzata alla fornitura con la piccola impresa famigliare e artigianale ma anche di grandi imprese grazie all’esperienza della Cassa del Mezzogiorno che nell’area adriatica includeva anche la provincia di Ascoli Piceno. I due principali poli industriali sono Ascoli Piceno e San Benedetto ma anche in questa provincia prevale il modello diffuso. Numerosi i settori manifatturieri, dall’agroalimentare, al chimico/plastico, meccanico, farmaceutico, cartiero, gomma ed altri come stabilimenti Barilla o Nestlè. Tuttavia gran parte del sistema manifatturiero della provincia è andato in crisi e fa fatica a riposizionarsi.

Inoltre il sistema produttivo della provincia tende ad avere una maggiore diffidenza sul sistema formativo e questo sicuramente non facilita l’aggiornamento così come l’innovazione.

Nel breve periodo, il settore manifatturiero, per quanto in difficoltà e di minore importanza rispetto alle altre province, tuttavia tende ancora ad essere vitale, nell’attesa di sviluppare ulteriormente quanto meno il settore del turismo e dell’agro-alimentare. Per quanto riguarda il settore turismo va supportato e sviluppato in un’ottica integrata (mare, entroterra e, enogastronomico, culturale, artigianale e montagna) e quindi vanno sviluppate tutte le competenze che sono state evidenziate nelle altre province.

In altre termini, nella provincia di Ascoli Piceno sono necessarie tutte le figure e competenze rilevate nelle altre province nell’ambito del turismo, dell’enogastronomico e della green economy tuttavia in misura molto maggiore rispetto alle altre province in quanto le condizioni socio-economiche e di competenze del territorio sono più arretrate.

Di conseguenza il lavoro da svolgere nella provincia di Ascoli Piceno è quello di accelerare lo sviluppo di questi nuovi settori ed allo stesso tempo il monitoraggio di tale sviluppo in modo tale da calibrare la formazione sulla base dello sviluppo stesso dei settori sopra indicati.

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In conclusione, in provincia di Ascoli Piceno non c’è solo un problema di carenza di competenze e figure ma c’è anche un problema di un tessuto territoriale depresso che richiede una rivitalizzazione attraverso lo sfruttamento di quelle che sono le peculiarità del territorio che tra l’altro non sono molto diverse da quelle delle province appena presentate.

5.4 Conclusioni In conclusione, la condizione della regione nella eterogeneità delle diverse province fa emergere un

tessuto imprenditoriale molto vivo seppure carente di competenze adatte all’imprenditorialità del nuovo secolo così come vi sono carenze circa la domanda ed offerta di lavoro.

La Regione così come tutto il sistema Marche, dopo aver riconosciuto che lo sviluppo industriale degli scorsi decenni, basato sul modello diffuso a distretti industriali prevalentemente composto da micro, piccole e medie aziende di carattere familiare in settori ormai obsoleti, non è più adeguato ai tempi della globalizzazione e delle rivoluzioni digitale e ambientale. Da qui un riposizionamento che sta richiedendo lo sforzo di tutto il sistema. Questo sta a significare il contributo da parte delle istituzioni, delle imprese, dei servizi, dei lavoratori ma anche della ricerca, dell’istruzione e della formazione.

L’esempio dell’affiancamento dell’Osservatorio sulla formazione continua all’Osservatorio sul mercato del lavoro, esempio citato anche nel XV rapporto dell’ISFOL, va proprio nella direzione auspicata così come sta accadendo in altri territori attraverso il supporto ed il coordinamento degli Enti Locali.

A questo proposito dall’indagine ISFOL sulla formazione continua finalizzata alla stesura del Rapporto sulla formazione continua del 2014 si rileva che diversi Enti Locali stanno sperimentando soluzioni circa il monitoraggio della formazione continua e dei fabbisogni formativi. A questo proposito vi sono alcune specificità come quelle delle Provincie Autonome di Bolzano e Trento che si affidano all’osservatorio del mercato del lavoro, del Friuli Venezia Giulia che viene elaborata dall’Agenzia regionale del lavoro, così come la regione Veneto che si affida a Veneto lavoro, della Regione Piemonte che ha istituito l’Osservatorio regionale sulla formazione in collaborazione con l’IRES, della Lombardia che ha istituito un Osservatorio sperimentale di rete, della regione Emilia Romagna che sin dal 2003 ha avviato la mappatura delle competenze e delle figure professionali maggiormente necessarie nel mercato del lavoro e che possono essere oggetto di percorsi formativi, la regione Liguria che ha istituito dal 2009 il “Laboratorio delle professioni del domani”.

Alla luce di quanto indicato fino ad ora è evidente che la Regione debba fare da fulcro per incentivare l’innovazione di processo e di prodotto da parte delle imprese anche attraverso una loro maggiore cooperazione. E soprattutto dovrà incentivare una maggiore cooperazione tra gli Istituti Tecnici Superiori, le Università, la formazione continua finanziata e dei fondi interprofessionali per poter migliorare le competenze degli imprenditori e dei lavoratori in ingresso e permanente.

E’ importante sottolineare che nell’ambito del progetto FARO LAB è stato sviluppato il sistema ARCPROM, archivio profili Marche che permette di visualizzare: le varie tipologie d’impresa, indicando il Sistema Locale del Lavoro, la localizzazione territoriale dei profili richiesti (indicando profilo e settore) ed infine le caratteristiche dei Sistemi Locali del Lavoro del territorio. Questo ulteriore passo che sarà accompagnato dalla realizzazione dell’Osservatorio regionale per la formazione continua che collaborerà con l’Osservatorio regionale per il mercato del lavoro permetterà di risolvere alcuni dei principali problemi delle imprese e dei lavoratori nell’ambito della formazione.

Le competenze necessarie e quindi i fabbisogni formativi sono ormai chiari: le lingue, competenze manageriali, di gestione, marketing, internazionalizzazione, digitali ed infine tutte quelle competenze

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necessarie per la rivoluzione verde che devono accompagnare la tutela dell’ambiente e lo sviluppo del turismo balneare, culturale, paesaggistico ed enogastronomico.

Tuttavia, nonostante che i POR FSE e FSER così come i Fondi Paritetici Interprofessionali, come nel caso di Fondimpresa, si impegnino ed in qualche modo siano in grado di soddisfare i fabbisogni espressi ed inespressi dei beneficiari.

A nostro avviso, tuttavia, i fabbisogni che emergono, dall’indagine svolta di carattere compilativa dal gruppo di lavoro e dall’indagine FARO LAB alla quale si è attinto, sono soprattutto una maggiore efficienza del sistema della formazione continua circa la modalità ed i tempi di presentazione dei progetti formativi e la loro realizzazione, andare nella direzione Just in Time, corsi più specifici, più approfonditi e pratici, maggiore conciliazione vita, lavoro e formazione in termini di orari e di logistica, più corsi individualizzati. Oltre ovviamente ai temi che tendono ad essere sempre lingue ed informatica. Quindi non è solo e soprattutto la necessità di soddisfare i fabbisogni formativi in alcune aree tematiche o settore bensì un nuovo approccio alla formazione continua quello che viene richiesto.

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Abstract In questo capitolo dopo aver passato in rassegna le principali analisi dell’indagine ISFOL sulla

formazione continua con il XV Rapporto (si veda capitolo), si è poi presentato la condizione e quindi i fabbisogni formativi dei territori provinciali attraverso l’analisi dei focus group realizzati nell’ambito del progetto FARO LAB della Regione Marche. In generale, nell’ambito della formazione continua gli attori del territorio rilevano le seguenti difficoltà: l’attuale offerta formativa non è adeguata alle proprie necessità in quanto prevede orari, durata dei corsi e tipologia/strumenti utilizzati (es: formazione d’aula). Non vi sono strutture scolastiche/formative in collegamento con il sistema produttivo e modelli didattici innovativi. Infine, è necessario favorire un migliore rapporto tra sistema produttivo e quello scolastico/formativo perché vi è anche una carenza nella formazione iniziale.

In Provincia di Pesaro Urbino si rileva che i profili professionali critici (quanto a elevata/media presenza nel sistema produttivo, difficoltà di reperimento, fabbisogno in fase di incremento sono sicuramente): operatori commerciali (Italia ed estero), tecnici commerciali e del marketing, responsabili degli acquisti, responsabili della logistica, tecnici specialistici in linguaggi di programmazione, meccanici riparatori d’auto e tecnici meccanici, tecnici conduttori di macchine a controllo numerico e maitre d’hotel e baristi specializzati. I profili emergenti (caratterizzati da una ridotta presenza nel sistema produttivo, difficoltà di reperimento, fabbisogno in fase di incremento) sono: esperti nel trattamento di rifiuti industriali, eco manager, esperti in bioedilizia, domotica e fotovoltaico, tecnici di comunicazione e immagine, tecnici di marketing e promozione turistica, esperti nelle preparazioni alimentari, ricercatore di nuovi mercati e tecnici della cura estetica. I profili ricercati nell’ambito della green economy sono: esperto in programmazione o progettazione delle energie rinnovabili, designer dei sistemi fotovoltaici, operatore della centrale elettrica, elettricista specializzato nell’installazione di sistemi fotovoltaici, esperto di certificazione edilizia, tecnico per la manutenzione e gestione di impianti rinnovabili, responsabile del funzionamento, ingegneria, manutenzione degli impianti a biomassa, tecnico del risparmio energetico, tecnico del sistema di gas rifiuti ed Energy manager. Figure chiave per lo sviluppo come: imprenditori di PMI, manager di PMI, esperti in turismo enogastronomico, esperti in servizi innovativi per il turismo ed esperti in marketing turistico. Le competenze maggiormente richieste sono: imprenditoriali e manageriali, organizzativo gestionali, conoscenze delle normative tecniche, informatiche di tipo applicativo e di base per immigrati, linguistiche: italiano per i lavoratori stranieri e lingue straniere per gli italiani. Le competenze manageriali: strategie direzionali, controllo di gestione, capacità di interpretazione del fabbisogno dell’impresa, capacità di diagnosi dei trend evolutivi dell’impresa e dei mercati di riferimento. Le competenze tecnico-specialistiche come conoscenza dei principi di elettronica ed elettrotecnica, capacità di utilizzo di impianti e macchinari di nuova generazione, conoscenza degli aspetti agro-alimentari dei prodotti (soprattutto in ambito turistico), capacità di operare nel settore della comunicazione (anche in questo caso soprattutto nel turismo) soprattutto per la diffusione dei brand anche attraverso l’utilizzo dei mezzi multimediali e del web. Le competenze trasversali: capacità di lavorare in gruppo, di lavorare in autonomia, di risolvere problemi, comunicativa scritta ed orale ed abilità nel gestire rapporti con i clienti.

In Provincia di Ancona le figure professionali tipiche del manifatturiero che tuttora sono richiesti sono: gli operai specializzati come i saldatori, tornitori, fresatori, operatori a controllo numerico, elettricista, elettrotecnico, espero di elettronica. Figure professionali specialistiche come: disegnatori specializzati nei diversi comparti e progettisti nei diversi comparti ed in particolare nel mobile e nella nautica. Nell’ambito della green economy invece sono particolarmente richiesti: gli esperti di programmazione o progettazione delle energie rinnovabili, designer dei sistemi fotovoltaici, operatore della centrale elettrica, elettricista specializzato nell’installazione di sistemi fotovoltaici, esperto di certificazione edilizia, tecnico per la manutenzione e gestione di impianti rinnovabili, responsabile funzionamento, ingegneria, manutenzione degli impianti a biomassa, tecnico del risparmio

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energetico, tecnico del sistema di gas dei rifiuti ed Energy manager. Inoltre sono ricercate figure e profili nell’ambito della domotica come: elettromeccanico specializzato in domotica, tecnico impiantistico domotico, progettista domotico e installatore domotico. Nel settore enogastronomico sono ricercati: camerieri con conoscenze dei prodotti tipici, giornalisti e pubblicisti specializzati nel settore dell’editoria enogastronomica (giornali, radio, tv, cinema e internet), esperti in turismo enogastronomico, tecnici del marketing turistico, tecnici dei servizi di sala, tecnici nel prenotazioni online e del turismo ambientale e sostenibile. Per quanto riguarda le competenze, le aziende richiedono soprattutto: informatica, lingua italiana per stranieri e lingue straniere. Competenze tecnico-specialistiche da intendersi come conoscenza del quadro normativo, dei principi di elettronica ed elettrotecnica, capacità di utilizzo degli impianti e macchinari, competenze informatiche di tipo applicativo, conoscenze agro-alimentari, capacità operative nell’ambito della comunicazione web. Competenze trasversali come le capacità organizzativo gestionali, relazionali, di adattamento a contesti difficili, flessibilità, risoluzione di problemi, disponibilità all’autoaggiornamento, lavorare in gruppo, conoscenza del proprio settore di lavoro, competenze imprenditoriali e manageriali per sviluppare il settore del marketing, competenze che possano favorire l’innovazione di prodotto, di processo e di mercato. Competenze nel settore enogastronomico rivolte a conoscenze della cultura rurale del territorio, del marketing territoriale, delle tecniche di comunicazione, nozioni di turismo, delle lingue straniere, delle norme di prevenzione e sicurezza sul lavoro e sull’igiene alimentare, conoscenza delle tecniche di base di sala e bar.

In Provincia di Macerata si evidenzia la necessità di un maggiore sostegno della formazione per migliorare la cultura d’impresa, l’internazionalizzazione, lo sviluppo della filiera fino alla commercializzazione finale. Per quanto, anche in provincia di Macerata, il 73% delle imprese non ritenga di avere bisogno di formazione nonostante il 35% di essi sostenga di non essere in grado di soddisfare la propria domanda di lavoro in termini di competenze. Si ha l’impressione che vi sia una sorta di sfiducia nello strumento della formazione. Sono richieste competenze di lingue straniere e di inglese commerciale, capacità manageriali, di gestione di impresa, controllo economico-finanziario, programmazione strategica. Gli stessi imprenditori manifestano una mancanza di competenze, il 62%, preparazione nell’ambito delle lingue, per il 31%, ed in ambito commerciale e di marketing così come nel digitale, circa 20%. Per il personale essi rilevano carenze in area linguistica e organizzativo gestionale rispettivamente per il 33 e 27 percento, competenze di marketing, strategie commerciali e distributive, gestione del brand e del retail. Infine, conoscenze informatiche che siano più che di base che permettano l’utilizzo di software gestionali di risorsa/processo, progettuali, di logistica integrata che possano anche permettere l’integrazione interaziendale e territoriale. Competenze tecnico professionali specialistiche richieste sono la capacità di utilizzo di macchinari e procedure di produzione avanzate, sviluppo di nuovi prodotti e materiali, progettazione e ingegnerizzazione di prodotto e processo e time-to-market (TTM) inteso come la capacità di comprendere ed agire in tutto il processo di prodotto (capacità di lettura del mercato, studi di fattibilità, ingegnerizzazione e creazione di prototipo, produzione in larga scala ed immissione sul mercato). Inoltre, designer di progettazione nell’ambito della moda e formazione per la sicurezza dei processi e dei luoghi di lavoro. Le competenze trasversali richieste sono: l’approccio strategico all’innovazione, predisposizione al cambiamento, gestione della comunicazione e delle relazioni e competenze organizzative. Anche in questo caso, sono importanti quelle competenze nell’ambito del turismo, della green economy e per il lavoro autonomo.

In Provincia di Fermo la propensione alla formazione è molto scarsa, circa il 90% delle imprese dichiara di non essere iscritta ai fondi interprofessionali, molti di essi non ne sono addirittura a conoscenza, il 72% ritiene di non aver bisogno di formazione anche perché la formazione non è adeguata per gli stessi motivi evidenziati nelle sezioni precedenti. Tuttavia gli stessi responsabili delle imprese riconoscono che le competenze maggiormente richieste sono la formazione diffusa alla managerialità, gestione di impresa, controllo economico-finanziario, programmazione strategica. Così

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come la conoscenza delle lingue e dell’inglese commerciale. Inoltre, le competenze legate al settore dell’informatica ma non di base come nel caso di conoscenza o adattamento a software gestionali e soprattutto nella logistica. Nel fermano l’attenzione è soprattutto nei settori della moda dove sono necessarie competenze tecnico professionali quali progettazione, elaborazione di modelli e di design, sviluppo nuovi prodotti con strumenti avanzati, ingegnerizzazione di prodotto, competenze di presidio di macchinari innovativi (taglio informatizzato) e di procedure avanzate di produzione ed infine e soprattutto marketing, strategie commerciali e distributive, gestione dei brand e del retail. Nel settore turistico sono richieste competenze di carattere imprenditoriale diffusa per migliorare la qualità delle imprese ricettive, valorizzazione imprenditoriale del territorio, guide, progettazione di percorsi turistici integrati e promotori del territorio. Per quanto riguarda il settore dell’ambiente e dell’energia alternativa sono richieste figure competenti nell’aggiornamento degli operatori del settore edile ed elettrico e quindi anche gli stessi operatori dei settori edili ed elettrico, installatori e esperti di fonti rinnovabili, bioedilizia e tecniche risparmio energetico. Le competenze trasversali maggiormente richieste sono: imprenditorialità, approcci strategico all’innovazione, predisposizione al cambiamento, gestione della comunicazione e delle relazioni, competenze organizzative e di programmazione formativa e valorizzazione della conoscenza.

In Provincia di Ascoli Piceno il sistema produttivo della provincia tende ad avere una maggiore diffidenza sul sistema formativo e questo sicuramente non facilita l’aggiornamento così come l’innovazione. Inoltre, sono necessarie tutte le figure e competenze rilevate nelle altre province nell’ambito del turismo, dell’enogastronomico e della green economy tuttavia in misura molto maggiore rispetto alle altre in quanto le condizioni socio-economiche e di competenze del territorio sono più arretrate.

La Regione così come tutto il sistema Marche, dopo aver riconosciuto che lo sviluppo industriale degli scorsi decenni, basato sul modello diffuso a distretti industriali prevalentemente composto da micro, piccole e medie aziende di carattere familiare in settori ormai obsoleti, non è più adeguato ai tempi della globalizzazione e delle rivoluzioni digitale e ambientale. L’esempio dell’affiancamento dell’Osservatorio sulla formazione continua all’Osservatorio sul mercato del lavoro va nella direzione auspicata. Alla luce di quanto indicato fino ad ora è evidente che la Regione debba fare da fulcro per incentivare l’innovazione di processo e di prodotto da parte delle imprese anche attraverso una loro maggiore cooperazione. E soprattutto dovrà incentivare una maggiore cooperazione tra gli Istituti Tecnici Superiori, le Università, la formazione continua finanziata e dei fondi interprofessionali per poter migliorare le competenze degli imprenditori e dei lavoratori in ingresso e permanente.E’ importante sottolineare che nell’ambito del progetto FARO LAB è stato sviluppato il sistema ARCPROM, archivio profili Marche.

Le competenze necessarie e quindi i fabbisogni formativi sono ormai chiari: le lingue, competenze manageriali, di gestione, marketing, internazionalizzazione, digitali ed infine tutte quelle competenze necessarie per la rivoluzione verde che devono accompagnare la tutela dell’ambiente e lo sviluppo del turismo balneare, culturale, paesaggistico ed enogastronomico. Tuttavia, nonostante che i POR FSE e FSER così come i Fondi Paritetici Interprofessionali, come nel caso di Fondimpresa, si impegnino ed in qualche modo siano in grado di soddisfare i fabbisogni espressi ed inespressi dei beneficiari. Tuttavia appunto, i fabbisogni che emergono, dall’indagine svolta di carattere compilativa dal gruppo di lavoro e dall’indagine FARO LAB alla quale si è attinto, sono una maggiore efficienza del sistema della formazione continua circa la modalità ed i tempi di presentazione dei progetti formativi e la loro realizzazione, andare nella direzione Just in Time, corsi più specifici, più approfonditi e pratici, maggiore conciliazione vita, lavoro e formazione in termini di orari e di logistica, più corsi individualizzati. Oltre ovviamente ai temi che tendono ad essere sempre lingue ed informatica.

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PARTE TERZA: I RAPPORTI TERRITORIALI

6 SINTESI E CONCLUSIONI

6.1 Analisi del grado di copertura operativo di Fondimpresa rispetto ai comparti produttivi raggiunti

6.1.1 Descrizione qualitativa e quantitativa delle tipologie di imprese raggiunte Le imprese raggiunte da Fondimpresa nella regione Marche sono state 906 che rappresentano, se rapportate al numero di aziende che hanno aderito al fondo (5.143) circa il 17%. Le aziende che hanno aderito al conto Formazione risultano essere 592 circa il 65% mentre quelle che hanno aderito al conto Sistema sono 314 circa il 35%. Ancona e Fermo prevalgono nel versante del conto Formazione in termini di partecipazione mentre Ascoli Piceno, Macerata e Pesaro Urbino nel conto Sistema. Di conseguenza Ancona, insieme a Macerata, attrae più del 55% delle risorse del conto Formazione mentre è ancora Macerata, insieme a Pesaro Urbino che fa da catalizzatore del conto Sistema.

L’analisi per settori e per province evidenzia alcune tipicità come nel caso di Ancona che attrae praticamente tutte le risorse nel settore finanziario mentre Macerata è specializzato nel settore dell’istruzione. Inoltre, Macerata risulta essere predominante nei settori della ricettività e delle industrie conciarie. Tale specificità emerge, seppure in misura minore, anche nel fermano. D’altra parte Pesaro Urbino ha una forte connotazione nel settore del legno. In questo caso, Pesaro Urbino, insieme a Macerata rappresentano ben il 90% delle aziende aderenti.

Per quanto riguarda il conto Sistema emerge che la provincia di Ascoli Piceno ha quasi la totalità delle imprese aderenti nel settore dell’agricoltura come nel settore della sanità mentre le imprese del settore estrattivo sono sostanzialmente stanziate in Provincia di Macerata così di energia elettrica. Si conferma anche nel conto Sistema la predominanza delle province di Macerata e Fermo per quanto riguarda i settori ricettivi e conciari. Così come la provincia di Pesaro Urbino mantiene il primato nel settore del legno.

Se si prende in considerazione il numero di addetti delle imprese aderenti si nota come all’aumentare degli addetti aumenta il numero di imprese aderenti. Tale condizione raggiunge l’apice nella classe 250-499 addetti dove la partecipazione è del 87% nell’ambito del conto Formazione mentre la condizione è contraria per quanto riguarda il conto Sistema.

In questo caso, sembrerebbe in linea con le politiche della stessa Fondimpresa la stratificazione per addetti per quanto riguarda i due conti. Infatti, il conto Formazione è messo a disposizione da Fondimpresa proprio per la formazione interna da parte delle aziende e tale condizione ovviamente ne favorisce l’utilizzo da parte delle imprese più strutturate e quindi con una maggiore presenza di lavoratori. Dall’altra parte il conto Sistema che è stato ideato proprio per favorire l’aggregazione della domanda di formazione da parte delle imprese ed in particolare le piccole imprese, favorisce l’iscrizione delle piccole imprese. Tuttavia, tale condizione sembrerebbe in contrato in speciale modo con le imprese con oltre 500 addetti che optano per il conto Sistema per il 20% di essi così come le imprese che sono nella classe 100-249 dipendenti. Tali imprese preferiscono aderire al conto Sistema e quindi a piani formativi collettivi piuttosto che aziendali. E’ tuttavia importante sottolineare che l’adesione ad un conto non presuppone l’esclusione dall’altro conto.

Per quanto riguarda la formazione con il conto Sistema si evidenzia come quasi i due terzi delle ore sono appannaggio di sei settori: conciario, metallurgia, tessile, trasporti, altre industrie ed infine macchine. Tutte hanno superato le 1.000 ciascuno in un complesso che raggiungere le oltre 11.000 ore di formazione offerte nell’ambito del conto Sistema.

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Il tema più rappresentato è sicuramente quello della sicurezza sul lavoro con oltre 4.700 ore di formazione che rappresenta circa il 41% del totale. A seguire, seppure molto distante, le tecniche di produzione, le lingue e la gestione aziendale. Anche se in questi ultimi due casi le percentuali sono sotto il 10%.

La formazione sulla sicurezza sul lavoro tende ad essere, ovviamente, maggiormente distribuita tra i diversi settori produttivi mentre le tematiche della tecnica di produzione, della lingua e gestionale sono soprattutto presenti nel settore cosiddetto della moda (tessile e cuoio). Nel caso dei corsi di lingua si evidenzia anche un maggiore interesse nel settore della metallurgia.

I settori della metallurgia e delle altre industrie evidenziano un interesse sulla formazione digitale. Dall’altra parte è il settore delle costruzioni che invece investe nella formazione sull’impatto ambientale, con il 36%.

Il conto Formazione ha distribuito in totale circa 50.000 ore di formazione, di queste poco meno di un terzo sono state appannaggio dei settori: trasporti, fabbricazione macchine, metallurgia, altre industrie, il conciario e il settore della fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche.

La tematica maggiormente rappresentata anche in questo caso è la sicurezza sul luogo di lavoro che è presente in tutti i settori ad eccezione di quello dell’istruzioni. In totale la sicurezza sul luogo di lavoro rappresenta circa il 25% delle ore complessive di formazione. Quindi una misura minore rispetto al conto Sistema. Questo probabilmente sta a significare che le imprese più piccole tendono a considerare il tema della sicurezza sul luogo di lavoro in misura minore rispetto alle imprese di minori dimensioni. Le altre tematiche che superano il 10% sono le lingue, abilità personali, tecniche di produzione. complessivamente essi rappresentano oltre i due terzi delle ore erogate.

La tematica della lingue tende ad essere di maggiore interesse nel settore della fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici. Nel settore della fabbricazione di articoli in gomma e materie plastiche prevale invece la tematica delle abilità personali mentre il tema delle tecniche di produzione prevale nei settori della fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici, trasporti, metallurgia ed energia. I settori dell’informatica e dei trasporti canalizzano il proprio sforzo formativo nell’ambito proprio delle competenze informatiche. Mentre la tematiche della gestione aziendale prevale soprattutto nel commercio ed industrie conciarie.

6.1.2 Descrizione qualitativa e quantitativa dei lavoratori raggiunti Per quanto riguarda i lavoratori raggiunti si fa presente che complessivamente sono stati oltre 18.000

i lavoratori coinvolti in attività di formazione, di cui circa 14.000, poco meno dell’80%, nel conto Formazione ed il restante sul conto Sistema.

Dai dati emergono due dati significativi, sul conto Formazione sono coinvolti tutti i lavoratori con contratti a progetto mentre i lavoratori in mobilità vengono inseriti nei progetti formativi del conto Sistema. Questo aspetto sembrerebbe in contrasto con quanto previsto proprio da Fondimpresa. Infatti, se il conto Formazione è destinato alle imprese e il conto Sistema è destinato a progetti formativi collettivi allora ha una motivazione che le imprese utilizzino i piani formativi aziendali per formare i lavoratori con contratto a progetto e con i progetti formativi collettivi i lavoratori in mobilità. In linea di massima è una logica che può avere una sua giustificazione circa l’investimento aziendale sul lavoratore ancora in azienda piuttosto che sul lavoratore già escluso dal processo produttivo. Tuttavia, si deve tenere in considerazione che il conto Sistema è anche o soprattutto finalizzato alla formazione nelle micro, piccole e medie imprese piuttosto che nelle grandi imprese. E dovrebbe proprio essere in

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questo ambito che dovrebbero essere maggiormente presenti i contratti atipici e dove ci dovrebbe essere una minore percentuale di lavoratori in mobilità.

Analizzando però i dati della partecipazione delle imprese per addetti ai due conti, è possibile notare che nell’ambito del conto Sistema vi è una percentuale di imprese medie (50-99) e grandi (100-249 e oltre i 500 addetti) che è rispettivamente di circa il 30% e del 20%. E’ molto probabile che la partecipazione di lavoratori in mobilità nei progetti formativi del conto Sistema possano aver coinvolto principalmente addetti di imprese medie e grandi in difficoltà. Complessivamente tuttavia, dai dati emerge che la maggior parte dei partecipanti sono dipendenti con contratti a tempo indeterminato, circa il 92%.

Per quanto riguarda la partecipazione di genere, si evidenzia come è preponderante la percentuale di partecipanti di soggetti maschi, circa il 72%. Questo sta a significare che la quota di donne partecipanti è relativamente più bassa rispetto alla partecipazione nel mondo del lavoro. Infatti, se si considera che il tasso di occupazione delle donne è del 55%.

Se si analizza invece la tipologia contrattale incrociata con il genere, si rileva che le donne sono in misura predominante con contratti a tempo parziale. Analizzando ancora la condizione di genere rispetto alla tipologia di contratto, tenendo conto tuttavia della specificità dei percorsi formativi, emerge che gli uomini partecipanti al conto Sistema con contratto di inserimento lavorativo sono la totalità mentre al contrario sono le donne in cassa integrazione a partecipare al conto Sistema.

Per quanto riguarda la tipologia di contratto e i settori economici, si rileva che i lavoratori in cassa integrazione sono distribuiti per la totalità in tre settori di cui due nel cosiddetto settore moda (tessile e pellame) e fabbricazione mezzi di trasporto.

I contratti a progetto sono prevalenti nel settore del commercio, 42%, altre industrie, 28%, e fabbricazione macchine ed apparecchi meccanici, 14%.

I contratti di inserimento lavorativo sono prevalenti nei progetti formativi di quattro settori: altre industrie manifatturiere che assorbe da solo la metà dei partecipanti e a seguire gli altri servizi pubblici, commercio e il settore del cuoio.

Infine, i lavoratori in mobilità sono presenti solo nel settore della fabbricazione di macchine ed apparecchi meccanici.

Se si prendere in considerazione l’età dei partecipanti per settori economici, si rileva che le classi con il maggior numero di partecipanti sono quelle che vanno dai 35-44 anni e da 45-54 anni che insieme rappresentano oltre i due terzi dei partecipanti. Tuttavia, essi rappresentano la totalità dei partecipanti nel settore finanziario. Ma il dato più significativo in questo ambito è la scarsa partecipazione ai progetti formativi da parte di lavoratori di classe di età 25-34 e oltre i 65 anni con percentuali rispettivamente di 1,99% e 0,94%. E se la percentuale dei partecipanti anziani è molto bassa è comprensibile, lo è molto meno la scarsa partecipazione dei giovani tra i 25-34 anni che dovrebbero essere la classe con maggiore esigenza di formazione di carattere tecnico, specie al momento dell’ingresso nel mondo del lavoro.

6.2 Suggerimenti propositivi miranti a favorire una maggiore penetrazione di Fondimpresa nei comparti più significativi della Regione e per un coinvolgimento più uniforme del tessuto imprenditoriale

Per quanto riguarda la penetrazione territoriale dei Fondi si evidenzia che il nord rappresenta oltre il 50% delle adesioni mentre il centro il 18% circa ed infine il sud con le isole si attesta al 28% e tale

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progresso nel meridione è avvenuto negli ultimi anni. Vi sono, anche in questo caso, Fondi che sono specializzati dal punto di vista territoriale come nel caso di FONDOLAVORO, FONDITALIA, FO.IN.COOP e FON.AR.COM che raggiungono rispettivamente l’82%, il 71%, il 62%, il 45% e 42%. e Fondo Formazione con oltre il 62%. Nel nord-ovest la concentrazione minore con Fondo Formazione Servizi Pubblici Industriali, FormAzienda, Fondo Banche Assicurazioni che superano il 40% delle adesioni. Nel nord-est ad eccezione Fondo Artigianato Formazione che raggiunge oltre il 40%, per il resto la distruzione è relativamente distribuita tra gli altri Fondi. Infine, è sicuramente al centro che la distribuzione tende ad essere omogenea. Infatti, nessuno dei Fondi supera la quota del 40% e solo Fond.AGRI arriva a sfiorarla con il 39%. Altra cosa invece per quanto riguarda i Fondi dei dirigenti dove gran parte delle imprese aderenti sono provenienti dal nord-ovest con oltre il 50% e poco oltre il 25% nel nord-est (si veda tabella A.5.6).

Considerate le specificità di Fondimpresa, vale a dire forte presenza nel settore manifatturiero e soprattutto tra le medie e grandi imprese, si suggerisce di incrociare i dati degli aderenti Fondimpresa nelle Marche con i dati e le cartografie realizzate nell’ambito del progetto FARO LAB circa i Sistemi Locali del Lavoro (SSL) delle Marche suddivisi per settori economici e numero di addetti. Questo permetterebbe a Fondimpresa di concentrarsi si Sistemi Locali del Lavoro e sulle imprese di maggiore interesse per Fondimpresa ed anche per le stesse imprese che possono essere interessate ad aderire a Fondimpresa piuttosto che ad altri Fondi Paritetici Interprofessionali.

6.3 Descrizione dettagliata dell’analisi del fabbisogno espresso

6.3.1 Verifica di coerenza tra le dinamiche formative richieste dalle imprese con quanto attiene alle dinamiche di crescita, sviluppo, diversificazione dei comparti produttivi del contesto territoriale.

La verifica del fabbisogno espresso dalle imprese circa la formazione interprofessionale, è evidente che Fondimpresa così come gli altri fondi faccia fatica a soddisfare tali fabbisogni in quanto spesso sono gli stessi imprenditori così come i lavoratori che non sono in grado di comprendere quali siano le loro esigenze.

Tuttavia, almeno nella regione Marche, le risorse di Fondimpresa vanno in una direzione diversa da quelli a livello nazionale. Infatti, il numero di progetti formativi sulla sicurezza sul posto di lavoro è sicuramente minore e questo è già importante. Così come è importante che Fondimpresa sia stata in grado di soddisfare il fabbisogno delle imprese e dei lavoratori negli ambiti che ritengono importanti e addirittura strategici come le competenze nell’ambito della gestione ed organizzazione aziendale, nelle lingue per italiani e per stranieri, nella commercializzazione con i corsi di marketing e nell’internazionalizzazione.

Tuttavia permangono ancora molte criticità, d’altronde sono passati solo dieci anni dall’istituzione dei primi fondi e dalla loro operatività e molti di essi sono stati costituti negli ultimi dieci anni. Così come imprenditori e lavoratori spesso non sono a conoscenza di tale opportunità e strumento e anche coloro che ne sono a conoscenza, iniziano solo ora a comprenderne l’importanza e l’efficacia di tale strumento se utilizzato al meglio. Tutto ciò richiede un cambio di mentalità e di esperienza che va costruita nel tempo.

E’ necessario sottolineare che imprenditori così come lavoratori sono Scarsamente interessati al rilascio di certificati. Tale aspetto che risulta importante per la formazione in entrata risulta esserlo meno nella formazione continua, quanto meno per i beneficiari. Questo aspetto è fortemente dibattuto a livello europeo in seno agli studi ed i workshop organizzati dal CEDEFOP o nelle analisi svolte da

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EUROFOUND tuttavia vi sono diversi paesi, in particolare Francia e Germania, che tendono a dare un’importanza minore a questo aspetto.

6.4 Analisi dei fabbisogni formativi inespressi: indicazioni utili a favorire ad estendere lo spazio formativo erogato da Fondimpresa

Rispetto ai fabbisogni formativi inespressi si deve tenere conto di quanto detto sopra, vale a dire imprese e lavoratori fanno ancora molta fatica a ragionare in termini di formazione continua e a maggior ragione in termini di formazione continua finanziata da loro stessi attraverso il 0,30% e quindi l’utilizzo delle risorse attraverso i fondi paritetici interprofessionali sia individualmente che attraverso il conto Sistema.

Tuttavia i dati emersi e soprattutto le indicazioni sostengono che le imprese così come i lavoratori attraverso le loro richieste tendono a disegnare quasi un’altra tipologia di corsi formativi. Infatti, essi chiedono di rivedere l’approccio di distribuzione delle risorse, le tematiche sulle quali proporre i piani ed i corsi di formazione, il grado di apprendimento settoriale e di qualifica dei corsi perché possano essere di maggiore utilità, tempi per la formazione in termini di intensità (una media di 8-16 ore di formazione) sembrerebbero troppo limitati così come gli orari e i giorni per la formazione. In questo senso, è difficile per i lavoratori conciliare lavoro, famiglia e formazione. Questo’ultimo aspetto è fortemente correlato con l’ultima richiesta che è il miglioramento della tipologia dei corsi (aula, individuali e offline/online). In questo caso, imprenditori così come lavoratori richiedono meno formazione frontale e d’aula e più formazione pratica. Inoltre, richiedono più formazione specifica, individualizzata oppure se vogliamo più concordata con impresa e lavoratori e magari la possibilità di facilitare tutta la questione logistica per permetterebbe ai partecipanti una maggiore conciliazione dei tempi di lavoro, famiglia e formazione. E’ evidente che una maggiore strutturazione dei corsi verso una distribuzione delle attività formative tra formazione d’aula, pratica e a casa attraverso la formazione a distanza ed il web, faciliterebbe la partecipazione stessa e magari garantirebbe maggiore interesse da parte dei partecipanti stessi. Maggiore interesse in quanto facilmente fruibili, più di appealing e più approfondito grazie alle consultazioni internet.