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1 APPENDICE Complessi Il campo dei numeri reali ha parecchie ottime proprietà: ma siccome nessuno è perfetto, anche qualche mancanza. Per esempio, sappiamo benissimo che nel campo dei numeri reali, nessun numero ha come quadrato –1: fatto condiviso con tutti i campi ordinati, dal momento che ogni quadrato deve essere positivo mentre –1, essendo l'opposto di un quadrato, non lo è; e immediata conseguenza è che il polinomio x 2 +1 non si può decomporre come prodotto di due polinomi di primo grado a coefficienti reali. Possiamo vedere allora cosa succede "aggiungendo" ai numeri reali un elemento, che indichiamo con i, il cui quadrato sia appunto –1: ma cosa vuol dire "aggiungere"? semplicemente questo: consideriamo tutte le espressioni del tipo a+bi, che scriveremo anche a+ib, dove a, b sono numeri reali, e facciamo le operazioni come per i polinomi, dove le lettera i ha preso il posto della indeterminata, indicata di solito con la lettera x, e con in più la regola che i 2 =–1. Esplicitamente avremo quindi, con l'usuale significato dei simboli: a+ib + c+id = a+c+i(b+d) e (a+ib)·(c+id) = ac+i(ad+bc)+i 2 bd = acbd+i(ad+bc);

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APPENDICE

Complessi

Il campo dei numeri reali ha parecchie ottime proprietà: ma siccome nessuno è perfetto, anche qualche mancanza.

Per esempio, sappiamo benissimo che nel campo dei numeri reali, nessun numero ha come quadrato –1: fatto condiviso con tutti i campi ordinati, dal momento che ogni quadrato deve essere positivo mentre –1, essendo l'opposto di un quadrato, non lo è; e immediata conseguenza è che il polinomio x2+1 non si può decomporre come prodotto di due polinomi di primo grado a coefficienti reali.

Possiamo vedere allora cosa succede "aggiungendo" ai numeri reali un elemento, che indichiamo con i, il cui quadrato sia appunto –1: ma cosa vuol dire "aggiungere"? semplicemente questo: consideriamo tutte le espressioni del tipo a+bi, che scriveremo anche a+ib, dove a, b sono numeri reali, e facciamo le operazioni come per i polinomi, dove le lettera i ha preso il posto della indeterminata, indicata di solito con la lettera x, e con in più la regola che i2=–1. Esplicitamente avremo quindi, con l'usuale significato dei simboli: a+ib + c+id = a+c+i(b+d) e (a+ib)·(c+id) = ac+i(ad+bc)+i2bd = ac–bd+i(ad+bc);

Appendice

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come facciamo per i polinomi poi, quando un coefficiente è 0, non lo scriviamo: invece dell'espressione 3+i0 di solito si scrive semplicemente 3, come si scrive 7i invece di 0+7i.

È facile controllare che in questo modo si ottiene ancora un campo, cioè che

l'operazione di somma introdotta è associativa, commutativa, ha elemento neutro (0+0i, che si indica con 0) e ogni elemento ha opposto;

l'operazione di prodotto è associativa, commutativa, ha elemento neutro (1+0i, che si indica con 1) e ogni elemento tranne 0 ha inverso;

vale la proprietà distributiva della somma rispetto al prodotto.

Questi nuovi oggetti si chiamano numeri complessi, e il

campo dei numeri complessi si indica con la lettera C; dato il numero a+ib (si intende sempre che a, b sono numeri reali), a e b si chiamano rispettivamente parte reale e parte immaginaria e si indicano anche con i simboli Re(a+ib) e Im(a+ib); il numero a–ib (stessa parte reale e parte immaginaria opposta di a+ib) si chiama complesso coniugato (o semplicemente coniugato) di a+ib, e si indica anche con a+ib. Si vede subito che (a+ib)a+ib=a2+b2, e questa osservazione torna molto utile perché ci permette di esprimere esplicitamente l'inverso di un numero: infatti, se a+ib non è 0, allora a2+b2 non è 0, e quindi l'inverso di a+ib, che si indica sempre con (a+ib)–1 o con 1

a+ib è 1

a 2 +b2a+ib = a

a 2 +b2 – i b

a 2 +b2.

I numeri con parte reale uguale a 0 vengono detti immaginari puri (o anche immaginari, e basta), quelli con parte immaginaria uguale a 0 si possono identificare con i numeri reali, e quindi si può pensare che i complessi contengano i numeri reali; e la costruzione fatta sembra (ed è) piuttosto "artigianale" ma in effetti non si discosta molto da uno dei modi corretti ed eleganti di introdurre i complessi.

Complessi.

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Come si è detto all'inizio del paragrafo, i numeri complessi non si possono ordinare (in maniera compatibile con le operazioni): ma è evidente che si possono rappresentare in un piano (che viene detto piano di Gauss), facendo corrispondere a a+ib il punto di coordinate (a,b): in questo modo l'asse delle x corrisponde ai numeri reali, quello delle y agli immaginari; ed è evidente anche che la corrispondenza a+ib → (a,b) tra i numeri complessi e R2 conserva l'operazione di somma, e anzi è una funzione lineare iniettiva e suriettiva, cioè un isomorfismo di spazi vettoriali reali.

Ora incominciamo a fare un po' di pratica con il calcolo dei numeri complessi, anche per vedere se per caso, con l'aggiunta di questo elemento i, non si sia prodotto simultaneamente qualche effetto secondario, magari piacevole.

Intanto è ovvio che si ha anche (–i)2=–1 ed anzi per ogni numero reale a≠0 esistono due numeri complessi il cui quadrato è a; ma è ancora poco: un numero complesso qualsiasi a+ib è a sua volta il quadrato di qualcosa? Cerchiamo insomma x+iy tale che a+ib=(x+iy)2=x2–y2+2ixy e si ottiene il sistema a coefficienti reali x 2 −y2 =a2xy=b;⎧ ⎨ ⎩

questo non è un sistema lineare, ma si vede subito

che ha soluzioni reali e che queste sono esattamente due se a e b non sono entrambi nulli (è interessante pensare all'interpretazione geometrica di questo sistema: si tratta dell'intersezione di due iperboli equilatere che hanno come asintoti gli assi coordinati [la seconda equazione] e le loro bisettrici [la prima]). Ma c'è un altro modo di procedere che risulta più utile quando si cerca qualcosa la cui potenza ennesima sia un certo numero dato.

Il modulo del numero complesso a+ib si indica con il simbolo |a+ib| ed è il numero reale ρ= a2 +b2 ovvero la norma del vettore di componenti (a,b) rispetto ad una base ortonormale; è evidente, e servirà più avanti, che per ogni numero complesso si ha: |a|, |b| ≤ |a+ib| ≤ |a|+|b|; inoltre se a+ib non è 0, a+ib=ρ(a

ρ+bρi ); ma a

ρ e b

ρ sono due numeri reali la cui somma

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dei quadrati è 1 e quindi esiste un numero θ tale che aρ

=cosθ e

=sinθ ovvero a+ib=ρ(cosθ+isinθ); questa scrittura si chiama

forma trigonometrica del numero a+ib e θ si chiama argomento di a+ib; è chiaro che l'argomento di un numero non è unico ma lo è se restringiamo la scelta all'intervallo [0,2π[.

Il motivo per cui questa scrittura risulta utile in questo contesto è il seguente: dati due numeri complessi ρ(cosθ+isinθ) e σ(cosϕ+isinϕ), per il loro prodotto si ottiene: ρ(cosθ+isinθ)σ(cosϕ+isinϕ)= =ρσ(cosθcosϕ–sinθsinϕ+i(cosθsinϕ+sinθcosϕ))= (per le formule di addizione) =ρσ(cos(θ+ϕ)+isin(θ+ϕ)) e quindi il modulo del prodotto di due numeri è il prodotto dei moduli (ovvio) e un argomento è la somma degli argomenti.

In particolare (ρ(cosθ+isinθ))2=ρ2(cos2θ+isin2θ) e con una facile estensione (ρ(cosθ+isinθ))n=ρn(cos(nθ)+isin(nθ)).

Questo può essere usato per ottenere, o memorizzare, delle formule di "ennuplicazione" per il seno ed il coseno:

cos(nθ)+isin(nθ)=(cosθ+isinθ)n= knk( )(cosθ)k (isinθ) n-k

0

n∑ ;

la prima uguaglianza è nota sotto il nome di formula di De Moivre. Proseguendo, le "radici ennesime" di un numero

a+ib=ρ(cosθ+isinθ), diverso da 0, sono i numeri r(cosα+isinα), tali che rn(cos(nα)+isin(nα))=ρ(cosθ+isinθ): dal che si vede che r è la radice ennesima (reale, positiva) di ρ e nα=θ+2kπ, con k intero qualsiasi; vale a dire che le soluzioni di xn=a+ib sono gli n numeri ρ1/n(cos θ

n+2kπn( )+isin θ

n+2kπn( )):

sottolineo che al variare di k in Z i numeri distinti sono esattamente n, e si possono ottenere per k∈{0,1,2,…,n–1}.

La rappresentazione di questi numeri sul piano di Gauss fornisce i vertici di un ennagono regolare; e un vertice di questo ennagono sta sull'asse delle x solo se a+ib ha parte immaginaria

Complessi.

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0. In particolare le radici ennesime di 1 si chiamano anche radici ennesime dell'unità, e sono i numeri

cos2kπn +isin2kπn ,

e le radici ennesime di ρ(cosθ+isinθ) si possono ottenere moltiplicando una delle radici ennesime, per esempio ρ1/n(cosθn +isinθn ) per le n radici ennesime dell'unità. Vale anche

la pena di segnalare che le radici quadrate di ρ(cosθ+isinθ), sono ± ρ (cosθ2 +isinθ2 ), cioè per le formule di bisezione,

± ρ 1+cosθ2 + 1−cosθ

2 i⎛

⎝ ⎜

⎠ ⎟ oppure ± ρ 1+cosθ

2 − 1−cosθ2 i

⎝ ⎜

⎠ ⎟

(le prime due se θ∈[0,π], cioè se Im(ρ(cosθ+isinθ))≥0, ovvero se sinθ≥0, le seconde se θ∈]π,2π[).

A.1 Esercizi. a) Calcolare le radici quadrate dei numeri

4i, –4i, 3+4i, 4–3i. b) Calcolare le radici seste dell'unità. c) Calcolare le radici quarte di –16 e di 4. d) Risolvere l'equazione x3–27=0. e) Verificare che se z e w sono numeri complessi, si

ha: z+w= z+w , z⋅w= z .w , z z=|z|2, |z|=| z |. f) Si risolva nel campo complesso l'equazione x2=|x|2. g) Scrivere esplicitamente le formule di quadruplicazione

del seno. h) Si dimostri che C è uno spazio vettoriale reale di

dimensione 2 e uno spazio vettoriale complesso di dimensione 1. i) Sia V= a −b

b a[ ] : a,b∈R}⎧ ⎨ ⎩

; si dimostri che V è un

sottospazio di M2(R) di dimensione 2 e che la funzione

L(a+ib) = a −bb a[ ] è un isomorfismo di spazi vettoriali reali che in più, se z, w sono complessi qualsiasi, verifica L(zw) = L(z) L(w).

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Facciamo un altro passo avanti: sia ax2+bx+c=0 una equazione di secondo grado (⇒ a≠0) a coefficienti complessi (attenzione); semplici passaggi, leciti in qualsiasi campo, danno ax2+bx+c=a(x2+ba x)+c= a(x+ b

2a )2+c–b2

4a

e quindi si ottiene la solita formula risolutiva per le equazioni di secondo grado: con la differenza, rispetto a quanto accadeva nel campo dei reali, che le radici quadrate di un numero esistono sempre. In realtà la situazione è molto migliore di quanto abbiamo visto ora, come si capisce dal seguente teorema e dal suo nome:

A.2 Teorema fondamentale dell'algebra. Ogni polinomio in una indeterminata a coefficienti

complessi di grado maggiore di 0 ha almeno una radice nel campo dei complessi.

La dimostrazione di questo teorema non è facile e viene omessa; la sua importanza è evidente, ed altrettanto notevoli sono alcune conseguenze. Ricordo che un polinomio si dice ribucibile (in un certo ambiente) se si può decomporre nel prodotto di due polinomi di grado non nullo (con coefficienti in quell'ambiente), irriducibile altrimenti; siccome in C[x] (così come in R[x]) si può effettuare la divisione di polinomi, e a è una radice se e solo se il polinomio è divisibile per x–a, si ottiene in C[x] sono irriducibili tutti e soli i polinomi di grado 0 e 1.

Inoltre se a è una radice (in C) di un polinomio a coefficienti reali, per l'esercizio e) anche a è una radice: e se a non è reale, il polinomio è divisibile per (x–a)(x–a ) che è un polinomio di secondo grado a coefficienti reali; in conclusione

ogni polinomio a coefficienti reali si può scrivere in R[x] come prodotto di polinomi di grado al più 2 (anche non distinti, chiaramente), e

i polinomi irriducibili in R[x] sono tutti e soli quelli di grado 0 e 1 (questi lo sono in K[x] per ogni campo K) e quelli di grado 2 che hanno discriminante negativo;

Complessi.

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infine si vede, senza bisogno di ricorrere alla continuità delle funzioni polinomiali, che:

ogni polinomio di grado dispari a coefficienti reali ha almeno una radice reale.

A.3 Esercizi. a) Calcolare le soluzioni delle equazioni x2+2x+5=0,

x2+2ix+5=0, x2+3x+3–i=0, x4+(3+2i)x2+8–6i=0. b) Risolvere l'equazione x4–4x3+3x2+2x–6=0, sapendo

che 1+i è una soluzione. c) Decomporre il polinomio x4–4x3+3x2+2x–6 (il primo

membro dell'equazione di sopra) in fattori irriducibili in R[x] e in C[x].

d) Sia p(x) un polinomio monico (=: il termine di grado più alto ha 1 come coefficiente) in C[x]; si dimostri che se il coniugato di ogni radice è a sua volta radice, allora i coefficienti del polinomio sono tutti reali. Di più (ma poco): se p(x) è un polinomio in C[x] che ha un coefficiente reale (non nullo) e il coniugato di ogni radice è a sua volta radice, allora i coefficienti del polinomio sono tutti reali.

Ora volgiamo brevemente la nostra attenzione allo studio di successioni e serie di numeri complessi. Come prevedibile, diciamo che la successione an+ibn converge ad a+ib, ovvero che a+ib è il limite di an+ibn e scriviamo

limn→+∞

an+ibn= a+ib, oppure an+ibn →a+ib,

se per ogni ε>0, ∃n0 tale che per ogni n> n0 si ha |a+ib–(an+ibn)|<ε.

È del tutto ovvio che la successione an+ibn converge ad

a+ib se e solo se an converge ad a e bn converge a b, e quindi in questo campo non si presentano difficoltà nuove rispetto a quelle già esistenti nel campo dei reali.

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Anche per le serie non ci sono grosse novità: si dice che

(an +ibn )0

∞∑ =a+ib ovvero che la somma della serie (an +ibn )

0

∞∑

è a+ib, o ancora che la serie converge ad a+ib, se la successione

delle ridotte, cioè delle somme parziali (an +ibn )0

k∑ converge ad

a+ib. Aggiungo solo che si dice che la serie converge

assolutamente se converge la serie dei moduli, cioè la serie

|an +ibn |0

∞∑ , e dalla solita disuguaglianza si ottiene:

A.4 Proposizione (an +ibn )0

∞∑ converge assolutamente se e

solo se convergono assolutamente le serie della parte reale e della

parte immaginaria, cioè se e solo se convergono |an |0

∞∑ e |bn |

0

∞∑ ;

e di conseguenza:

se (an +ibn )0

∞∑ converge assolutamente, allora converge.

A.5 Esercizi. a) Calcolare, se esiste, il limite della successione i

nn .

b) Calcolare, se esiste, il limite delle successioni (1+i)nn , (1+i)

n

2 n , (1+i)n

2n/2 .

c) Verificare che (a+ib)nn!0

∞∑ converge assolutamente

per ogni numero complesso a+ib.

d) Verificare che (a+ib)nn0

∞∑ converge assolutamente

per ogni numero complesso di modulo minore di 1.

Complessi.

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Consideriamo ora la serie (ix)nn!0

∞∑ ; questa serie è

assolutamente convergente per ogni x, e per analogia con la serie esponenziale reale, indichiamo con eix la sua somma; data la convergenza assoluta, sappiamo che possiamo anche sommare tra di loro tutti i termini di indice pari e quelli di indice dispari:

(ix)nn!0

∞∑ = (ix)2n(2n)!0

∞∑ + (ix)2n+1(2n+1)!0

∞∑ = (−1)n x 2n(2n)!0

∞∑ + i (−1) n x 2n+1(2n+1)!0

∞∑

e queste ultime due serie sono ben note e hanno somma rispettivamente cosx e sinx; in conclusione otteniamo eix = cosx+isinx.

Da quanto si è visto per le serie a coefficienti reali, sappiamo che la serie zn

n!0∞∑ converge assolutamente per ogni numero

complesso z e per definizione, estendendo quanto accade nel

campo reale, poniamo ex+iy = (x+iy)nn!0

∞∑ ; sappiamo poi che se a

e b sono reali vale l'uguaglianza ann!0

∞∑ bnn!0

∞∑ = (a+b)n

n!0∞∑ , ed è

facile accettare che questa uguaglianza continui a valere con iy al posto di b (è ancora merito della convergenza assoluta) e quindi si ottiene:

ex+iy= exeiy=ex(cosy+isiny). Vale la pena di scrivere esplicitamente alcune formule di

facile effetto che seguono immediatamente da queste definizioni e notazioni: e2iπ=1; eiπ=–1; eiπ/2=i; e x+iy=e x+iy ; |ex+iy|=ex.

È evidente che la funzione ez è periodica di periodo 2πi e si ha:

ex+iy=ea+ib se e solo se x=a e y=b+2kπ per qualche intero k; inoltre l'equazione ez=w nella indeterminata z non ha soluzioni per w=0 e ne ha infinite in tutti gli altri casi: scritto w in forma trigonometrica w=ρ(cosθ+isinθ), sono soluzioni tutti (e soli) i numeri lgρ+i(θ+2kπ); tutti questi numeri si chiamano logaritmi (complessi) di w.

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A.6 Esercizi. a) Calcolare modulo e argomento di e2+iπ; calcolarne i

logaritmi. b) Trovare le soluzioni delle equazioni:

eiz=1; eiz=e|z|; ei|z|=ez; ez= e–3z.

c) Calcolare i logaritmi di 2, e2, 4i, 12+32 i .

A.7 Proposizione. Se la serie zn0

∞∑ converge assolutamente

e an è una successione limitata (cioè esiste un numero reale r

tale che |an|<r per ogni n), allora anche an zn0

∞∑ converge

assolutamente. Questa proposizione è interessante non tanto di per sé quanto

per la sua applicazione a quanto segue. Una serie del tipo an zn

0

∞∑ ,

dove gli an sono numeri complessi e z è una indeterninata, si chiama serie di potenze di centro 0 (evidentemente le somme

parziali sono polinomi); e una serie an (z−z0 )n

0

∞∑ si chiama

serie di potenze di centro z0 (z0 è un numero complesso qualsiasi). È chiaro che il primo problema che ci si presenta per una serie di potenze è capire quali siano i numeri che, sostituiti

all'indeterminata, fanno della serie an zn

0

∞∑ una serie convergente.

Il caso più semplice è quello della serie geometrica zn0

∞∑ , e si vede

subito che questa serie converge assolutamente per ogni z in modulo minore di 1: e la somma è 11−z ; e non converge in tutti

gli altri casi, perché il termine generale non è nemmeno infinitesimo; della serie zn

n!0∞∑ ho già detto che converge

assolutamente per ogni numero complesso; ma la serie znn0

∞∑ ha

Complessi.

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già un comportamento più complicato: converge assolutamente per ogni numero in modulo minore di 1, non converge per ogni numero in modulo maggiore di 1, sempre perché il termine generale non è infinitesimo, ma restano aperti i casi dei numeri di modulo 1, per i quali sappiamo che la serie a volte converge (p.e. z=–1) e a volte no (p.e. z=1), anche se certo non converge assolutamente. Con l'aiuto della precedente proposizione, si arriva al seguente fatto fondamentale per le serie di potenze:

A.8 Proposizione. Se la serie an zn

0

∞∑ converge in un punto

z0, allora converge assolutamente per ogni z1 in modulo minore di z0; e naturalmente se non converge assolutamente in z0, allora non converge per ogni z1 in modulo maggiore di z0.

Se consideriamo l'insieme A={z: an zn

0

∞∑ converge},

si possono quindi presentare i seguenti casi:

A è solo {0} (p.e. n nz n0

∞∑ );

A è tutto C (p.e. znn!0

∞∑ );

altrimenti A è "quasi" un cerchio; "quasi" perché in geneale non è né un cerchio chiuso né aperto: a priori non si può dire nulla sulla circonferenza che ne costituisce la frontiera, ma bisogna esaminare punto per punto.

In ogni caso il numero reale sup{|z|: an zn

0

∞∑ converge} si

chiama raggio di convergenza della serie, e ci si riferisce all'insieme di convergenza della serie come al cerchio di convergenza (pensando ai primi due casi come ai cerchi di raggio 0 e ∞ rispettivamente); è chiaro che

sup{|z|: an zn

0

∞∑ converge}=sup{|z|: an z

n

0

∞∑ converge assolutamente}

anche se i due insiemi

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{z: an zn

0

∞∑ converge} e {z: an z

n

0

∞∑ converge assolutamente}

possono non coincidere: ma la differenza sta (eventualmente) in punti che stanno sulla circonferenza. Ma ci fermiamo qui. A.9 Rivisitazione. Mi pare ragionevole e legittimo chiedersi quanto di quello che abbiamo studiato sugli spazi vettoriali reali, si possa trasferire agli spazi vettoriali complessi senza modifiche, oltre a quelle del tutto ovvie. Ed è facile capire che tutto ciò che riguarda sottospazi, rango, dipendenza lineare, linearità, matrici, sistemi, tutto insomma quello che è trattato nei paragrafi dal 5 al 12, si può ripetere parola per parola, mutatis mutandis.

Anche la diagonalizzabilità non comporta nessuna difficoltà: anzi riguardiamo il teorema conclusivo per le matrici reali:

Teorema. Una matrice quadrata A è diagonalizzabile se

e solo se il suo polinomio caratteristico pA(t) si fattorizza in R[t] in fattori di grado 1 e dimVλ=µ(λ) per ogni autovalore λ;

ci si accorge subito che, siccome ogni polinomio si fattorizza in C[t] in fattori di grado 1, il suo enunciato risulta addirittura più semplice (e la dimostrazione è la stessa).

A.10 Teorema. Una matrice quadrata a coefficienti

complessi è diagonalizzabile se e solo se dimVλ=µ(λ) per ogni autovalore λ.

Naturalmente gli autovalori adesso sono numeri complessi, e

gli autovettori sono oggetti di Cn (dove "n" è l'ordine della matrice).

La situazione cambia invece per i prodotti scalari e gli

argomenti collegati (forme quadratiche, matrici simmetriche,

Complessi.

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matrici ortogonali). È pur sempre vero che la funzione prodotto da C×C in C è bilineare (definizione tale e quale a quella nota), ma che si debba cambiare qualcosa è evidente perché se non abbiamo che il prodotto scalare di un vettore con se stesso è (reale e) maggiore o uguale a 0, non si può parlere di norma (e non varrebbe la disuguaglianza di Schwarz, e non si potrebbero misurare i vettori, …). Si procede allora così:

A.11 Definizione. Sia V uno spazio vettoriale sul campo C. Si chiama prodotto scalare una funzione che ad ogni coppia di vettori (u,v) associa un numero complesso, che indichiamo con u•v e che verifica le seguenti proprietà:

1) v•v>0 per ogni vettore non nullo v (qui si intende

naturalmente che v•v è reale e positivo) 2) u•v=v•u ; 3) (ru)•v=r(u•v); 4) (u+w)•v=u•v+w•v. Immediatamente da questo si ottiene che u•rv=r (u•v). Ancora il prodotto scalare si può esprimere attraverso un

prodotto di matrici: se X e Y sono ennuple di numeri complessi (pensate come colonne), si ha X•Y=XTY .

Questo porta, direi senza sorprese, a due definizioni, con le quali chiudiamo l'argomento (che in realtà qui si aprirebbe).

A.12 Definizioni. Sia V uno spazio vettoriale sul campo

C. Una funzione f : V×V→C è una funzione (o forma) semibilineare o sesquilineare se:

f(rX,Y)=rf(X,Y)=f(X,rY) f(X+Z,Y)=f(X,Y)+f(Z,Y) f(X,Y+Z)=f(X,Y)+f(X,Z);

f si dice hermitiana se f(X,Y)= f (Y,X) .

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Se f è una forma semibilineare hermitiana, la funzione g:V→R definita da

g(X)=f(X,X) si chiama forma quadratica.

A.13 Definizione. Una matrice A di ordine n a coefficienti complessi si dice unitaria se ATA= In.

È il caso di osservare che ancora si ha che una matrice è

unitaria se e solo se le sue colonne (e le sue righe) sono una base ortonormale per il prodotto scalare canonico di Cn.

Ma non ci addentriamo nell'argomento, e ci fermiamo qui.

F I N E