COMnewsARS - Comars · la consapevolezza che eravamo in due ma potevamo diventare quattro o più,...

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s CO ARS M news “L’uomo stesso è una porta, perchè ciascuno nella propria anima è in movimento, è in azione” F. Dostoevskij La vita è veramente vita solo quando è una testimonianza data, amando, alla verità Giulio Salvadori Poeta di Monte San Savino numero due agosto 2012

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CO ARSMnews“L’uomo stesso

è una porta,

perchè ciascuno

nella propria anima

è in movimento,

è in azione”

F. Dostoevskij

La vita è veramente vitasolo quando è una testimonianzadata, amando, alla verità

Consorzio Sociale

Giulio SalvadoriPoeta di Monte San Savino

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Sommario

Viaggiando con Adriano: vivere spalancati come una porta... 3

Da Monte San Savino ad Assisi: dans la douceur de l’amité. 5

Dieudonnè: il mistero di quel 26 novembre. 7

Fabio: cento volte di più di ciò che ho dato. 8

Fabrizio: Blowin’ in the Wind. 10

Gianluca: le persone come il vino. 11

Laura, accolta dai bambini. 12

Marna, la restauratrice. 13

Stefano Tusino: il mister che parla con i “matti” 14

La carità nel pensiero e nell’opera di Giulio Salvadori (2a parte) 15

3

Edito

rial

e

Viaggiando con Adriano:vivere spalancati come una porta...Ogni volta che visito Monte San Savino compio qualche tra-sferimento in macchina con Adriano. È un piacere andare per declivi tra il verde e la terra di Siena cangiante nelle varie sta-gioni, cercando sempre un giudizio sulle cose. Adriano è uomo concreto e profondo, attento e curioso, quello che si dice un buon compagno di viaggio. Quando si viaggia in due, uno gio-vane e uno un po’ meno, a me viene in mente sempre quell’an-dare di Giovanni e Pietro con il volto teso verso il sepolcro, nel dipinto di E. Burnand al musée d’ Orsay. Andare è sempre per una ricerca, per trovare - toccare ciò per cui è valsa la pena camminare. Il metodo è ancora quello dello stupore che si rin-nova, perché quando due si incontrano mica sai dove andrai a finire, e c’è sempre una pietra che cela l’ultimo mistero. La realtà ci porta davanti tutto quello che stiamo cercando, si tratta di osservare: talora si vive dimentichi del mistero grande in cui è innestata la nostra vita. Talora c’è la pretesa che tutto si squaderni davanti ai nostri occhi senza una fatica, un sacri-ficio. Ma il lavoro, ogni lavoro, ha dentro questa dimensione o diventa terribilmente banale. Il lavoro è sempre una strada, cioè possibilità di cogliere la distanza che intercorre ancora.Il lavoro è sempre un già e non ancora, è rapporto con la realtà amata, abbracciata come tua storia sacra che ti conduce a quel mattino di Pasqua verso il sepolcro vuoto; ma è ancora fatica, sacrificio, seme gettato. “La grazia nella mia vita è data da Famiglie per l’Accoglienza che ha distrutto il mio covo ed ha aperto la casa, il nostro sancta sanctorum. Famiglie per accoglienza ci ha detto “aprite ad altro, siamo fatti di altro e la porta deve essere aperta al suo imprevedibile bussare”. Così ad un certo punto della nostra vita abbiamo avuto chiara la consapevolezza che eravamo in due ma potevamo diventare quattro o più, chissà. Certo non eravamo più liberi di prenota-re un albergo perché non sai mai, ma non ci mette più in ansia non aver tutto stabilito. In un mondo in cui non c’è più stabilità e tutti si ostinano a cercarla, noi diciamo che la stabilità ce la dà un Altro. Secondo il pensiero del mondo la nostra vita è se-gnata da una precarietà di fondo, ma noi la riteniamo stabile rispetto al senso: cioè noi siamo di un Altro. Cambiano molto i fattori della vita, ieri tre, oggi quattro, domani chissà, mutano le cose che hai e spesso c’è la perdita della bussola. Ma tutto ciò ti fa vedere da cosa proviene questo mutamento. Il vento tu

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non sai da dove venga e dove vada, ma sei certo del tuo punto di consistenza perché lo hai sperimentato e lo sperimenti ora. E poi c’è un padre, un punto da guardare: in una società della connivenza, in cui c’è paura di dire le cose come stanno, di dire anche i necessari no; in cui si fraintende l’idea stessa di bene che diventa complicità, incapacità dunque di contrapporsi per porsi, di fare i necessari bracci di ferro.Spesso si fanno vivere i bambini in una sorta di limbo, in cui è incerto tutto a partire dall’autorevolezza dei genitori. Subiamo così un continuo ricatto affettivo come se voler bene volesse dire abdicare al proprio compito. Nell’ educare i nostri figli il meto-do è quello che ci è stato insegnato, e che pratichiamo quotidia-namente per noi: una continua stupita apertura al reale.”

“L’uomo stesso è proprio una porta aperta, perché ciascuno nella propria anima è in movimento, in azione...”ci viene detto nel libro ‘Dal paradiso all’inferno’ della Kasatki-na, su F. Dostoevskij Questa porta spalancata , come quella di Hopper sul mare, è pro-fezia per la nostra vita.

Piergiorgio

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Da Monte San Savino ad Assisi:dans la douceur de l’amité.Freschezza di una mattina d’au-tunno. Leggera brezza. Tempo clemente. Domenica, 9 novem-bre 2011, partiamo da Monte San Savino. Sono le 8.40. Il nostro autobus si mette in cammino. De-stinazione, Assisi. La giorna-ta si annuncia abbastanza bella. Questo viaggio è preparato da set-timane. Oggi, è la grande parten-za. Per me, è un pellegrinag-gio. Sono certo che questo senti-mento sia condiviso da tutti gli altri com-pagni di viaggio.I miei amici di viaggio, ognuno sistemato tranquillamente nel suo sedile, sono entusiasti. Si legge una certa eccitazione sui loro volti. Alcuni mi sembrano familiari; sono coloro con i quali lavoro e collaboro alla COLAP. Gli altri sono degli invitati. Con noi c’è anche un gruppo di ragazze e ragazzi della “comunita” educativa di Vitiano nel comune di Arezzo. Sono accompagnati

dai loro educatori. Il viaggio è gradevole, cullato da preghiere.

Scopro un’altra personalità in

qualcuno dei miei compagni di viaggio. La moglie di Adriano, Rolando, la Sig.ra Gisella sono più aperti.Li trovo molto comunicativi. Questo atteggiamento crea un

certo rilassamento e un buon ambiente nel nostro autobus, che ingoia chilometri ad una velocità prudente. L’autista, è un gioviale cinquantenne, con indubbia esperienza.Dopo la nostra partenza , è nata una vera simbiosi. Si è instaurata una forte voglia istintiva di essere con l’altro, di vivere l’altro nella sua totalità. Il miracolo di un sor-riso sincero condiviso, locomoti-va del vero incontro tra persone che si scoprono pienamente. La potenza della comunicazione fra-terna ha rotto il ghiaccio. Non mi sono più sentito solo. Ho sorriso

agli altri, e loro si sono spon-taneamente e amiche-

volmente rapportati con me. Adesso

formiamo una “dyade”.

Nella dol-cezza dell’a-micizia, lontano dalle secca-ture quoti-diane. Allon-tanati

dalle esigenze

lavorative. Al riparo dai

tormenti che ritmano la no-

stra esistenza. Un momento di ritrovo,

di raccoglimento, di con-vivialità e di preghiera. Tutti gli

altri con me formavano una fami-glia. I tempi di una giornata, certi; ma le grandi aperture non nasco-no partendo da piccoli passi? Ho la certezza che questa giornata sia una scuola: quella dell’apprende-re la tolleranza e l’accettazione

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dell’altro come entità. Il tempo ad Assisi, questo 9 no-vembre, è capriccioso. Delle trombe d’acqua accompagnano raffiche di vento freddo, alterna-te da raggi di sole. Questo brutto tempo, lontano dallo scoraggiarci, riaccende la nostra determinazio-ne a proseguire il nostro pellegri-naggio. Non siamo più soli. Assisi è il punto di incontro della diaspo-ra universale. Il mondo intero si ritrova. Tutte le razze, le religioni, le culture, la terra tutta intera si dà ap-

punta-mento. A vedere l’incredibile

fervore di tutta questa gente, ero convinto che noi eravamo lì alla ricerca di qualcosa. Allora come San Paolo, ho pensato: “Se uno è in Cristo, è una creatura nuova”. Il nostro gruppo era fiero di vivere in armonia questa mescolanza, di condividere lo spazio nelle viuz-ze, le chiese, di respirare insieme la misteriosa forza del cristianesi-mo, questa immensa umanità. Mi ritrovo ad Assisi per la prima volta. Questo luogo, pieno di sim-boli e carico di storia. La storia di un grande uomo umile, San Fran-cesco. La storia di una religione. La Chiesa Cattolica. Sono com-mosso a pensare che siamo sul-

le tracce di San Francesco. Alla svolta di una viuzza mi dico: sto per posare i miei passi o è già pas-sato? Dappertutto si ha la sensa-zione che sia presente. Che il suo “spirito” vegli sulla città. Basta osservare attentamente i volti per leggervi la grande serenità che vi abita. La mia gioia è immensa. Dal mio Camerun, per i cristiani cattolici, Assisi è un luogo sacro.Francesco D’Assisi un uomo san-to.

Una doppia santità insomma.

Spaziale. Come la terra. E umana. Nel mio paese, c’è un reale “mi-sticismo” ad Assisi. A causa di questi due “simboli santi”. La no-stra cultura e le nostre tradizioni ci sono certamente per questo. Noi siamo fortemente attaccati alla natura, e alle forze che essa con-tiene, e che rappresenta. Per noi la natura è viva, protettrice e nutrice. Per noi è sacra. Io sono di fronte ad un Uomo, che per la forza del-la sua fede ha impregnato Assisi della sua personalità, e soprattutto del suo spirito santo. Questo be-nessere è per me una rivelazione. L’Uomo non è un’isola. Abbiamo condiviso dei momenti di gioia. Questa giornata ci ha permesso di intrattenere un altro tipo di re-

lazione: la comunicazione attra-verso la comunione e il dialogo, dentro la dolcezza dell’amicizia.

Dieudonné Nyangoua Ngoko

Carissimo Dieudonné,io credo che l’italiano non renda onore del tutto al tuo scritto, per questo me lo sono fatto mandare in lingua ori-ginale e l’ho gustato di più. Ho voluto lasciare almeno il titolo in francese, convinto come sono che ciascuno di noi è proprio un dono così come è stato pensato, voluto dalla mente di Dio, origina-le e irripetibile con tutti gli aspetti culturali, di lingua e tradizione che si porta ad-dosso.

Piergiorgio

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Dieudonnè:il mistero di quel 26 novembre…L’incontro con Dieudonnè è di quelli che lasciano il segno.Dieudonnè ti racconta i fatti e il loro significato, legge gli accadi-menti con una rara intelligenza cristiana.

Anche l’incipit è di quelli evan-gelici: come Giovanni ricorda esattamente l’ora in cui avvenne l’incontro con Cristo, lui ricorda l’inizio di questa amicizia cristia-

na che lo ha segnato per sempre.“Era il 26 novembre di un anno e mezzo fa. E’ un po’ misterioso, è il mistero che mi ha fatto arriva-re qua. Era il giorno della colletta del Banco Alimentare del 2010.

Io avevo sentito parlare del ban-co alimentare dal mio parroco e avevo deciso di andarvi. Arrivo lì e mi presentano Fabrizio Sciaboli-ni. Poi incontro Gisella alla Coop

di Camucia e io lì dissi: “Eccomi sono disponibile”.È stato bello lavorare insieme e poi ci si lascia. Una settimana dopo mi telefonano, viene Adria-no e mi spiega tutto e mi chiede se potevo collaborare con loro. Io ero già innamorato dell’attività che fa-cevano loro, qui è più una famiglia che un luogo di lavoro classico … c’è un altro modo di stare, di esse-re, uno spirito.E’ il frutto dell’engagement del-la fede!”. Dieudonné mi chiede se capisco e io che al classico di quasi 50 anni fa ho avuto solo il francese come lingua viva lo invi-to pure a parlarlo e mi piace sen-tirlo. Nel suo dire vibra la lezione appresa del professore di lettere filosofia che è stato, la capacità di definire con precisione le cose, la ricercatezza della parola cui la lingua francese fornisce semmai ancor più leggiadria. “C’è un mi-stero presente, incombente che passa nelle nostre vite, siamo noi che non ce ne accorgiamo, non lo vediamo più perché non siamo abituati a cogliere la sua presenza sottile come una molecule… Noi non sappiamo usare i nostri organi sensoriali!”Ecco mi mancava la molecule, che rende bene questo mistero picco-lo, che entra come la briciola di Pollicino nelle nostre vite, che dà loro il sostentamento per cammi-nare i nostri sessanta stadi… cioè finchè il mistero ci si paleserà in tutto il suo splendore. Rende bene Dieudonnè - fin nel nome - questa compagnia che Dio fa all’uomo, questa danza di Dio che ha già fatto la sua mossa ed ora attende quella che l’uomo può fare, in qualsiasi momento…

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Fabio:cento volte di più di ciò che ho dato…Programmatore elettronico, perito chimico, impiegato, magazzinie-re, trasportatore, tuttofare nelle aziende di una volta. Poi, fu su-bito Comars. Subito si fa per dire, ci arriva non per caso ma per un destino, una missione, in un mo-mento cruciale e definitivo nella propria vita una quindicina di anni fa. Lui è uno che ha bazzicato la politica a livelli romani, collabo-rando con Sestini e Rocella, con il ministero del lavoro in consulenze varie. E in questo suo andare non viene lasciato, ma rimane attacca-to e

“così la fatica è possibile per me e per loro”. “Intan-to qui c’era una realtà cre-sciuta e consolidata e io ne facevo ormai parte, ne con-dividevo i passaggi. Finché finita l’esperienza politi-ca torno ad occuparmi di strutture residenziali, case di riposo, Rsa, Alzheimer e altro ancora. E tutto questo è possibile perché gli amici mi hanno sempre accolto e riaccolto e non in maniera passiva. Cioè son sempre stato parte di questa avventura, dentro questa storia e ci ho trovato un affetto e una attenzione alla mia persona che non si trova da altre parti. Ed è qui che mi vien ridato ogni volta 100 volte più di ciò che ho dato e posso mai dare.”

Il suo non è un lavoro frontale, ma organizzativo, si occupa del

personale, della sua selezione, dei rapporti con l’ente committente (comuni, asl), aspetti di carattere generale, la mission come si usa dire oggi.A Castiglion Fiorentino stanno iniziando nuove strutture per gli anziani, e Fabio deve far sì che la comunicazione sia centrata sulla persona che è l’anziano: “Prima viene la persona”. Al novanta per cento sono don-ne che operano in questo settore, gente semplice cui deve arrivare questo messaggio semplice: quel-lo del valore inalienabile di cia-scuno, dentro le sue debolezze e il suo limite strutturale. Occorre tener presente che ciascuna delle operatrici ha anche una famiglia da gestire e sono di fondamentale importanza nel lavoro gli aspetti motivazionali. L’azione con gli anziani è un’azione a tutto tondo, dall’alzarli, al dare loro la prima colazione, al far fare attività mo-toria, fino al metterli a letto. Gli aspetti routinari sono da tener pre-senti, perché possono far perdere vigore ad una azione. Talora anche la morte degli anziani diventa rou-tine, altre volte invece capita che li si viva come membri della propria famiglia. E qui occorre che l’ac-cudimento non avvenga soltanto per legge ma per dignità. Si tratta di strutture quasi post ospedaliere, quasi terminali in cui possono ar-rivare situazioni estreme, comun-que difficili da accompagnare. Oc-corre condividere il percorso con la famiglia, quando c’è.Ci si riesce solo per testimonianza

diretta, per osmosi: si capisce da come uno fa che viene prima la persona.Certo ci sono anche degli aspetti tecnici, che si inseriscono in un approccio personalizzato. Ma ciò che importa è che uno abbia visto fare, di più, essere …

“L’esito non è infatti nelle nostre mani, e non è mai scontato. A noi spetta vigi-

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lare che l’anziano ogget-tivamente sia curato, ma è chiaro che la stessa cosa può essere fatta in tanti modi. L’anziano può esse-re un nome , un volto, una persona...Confrontarsi con il dolore non è semplice e si corre sempre il rischio dell’abi-tudine. Il nostro è assolu-tamente un lavoro d’équipe guidata da un responsabile. Ogni 15 giorni è necessa-rio incontrarsi tutti: infer-mieri, terapisti, animatori, ausiliari, partendo dalle criticità. Ogni due mesi ci vediamo con tutti mettendo a tema la comunicazione, il movimento, l’alimentazio-ne. Occorre dare dignità a ciò che si fa, confrontandosi con questo mare di bisogni, anche di lavoro. Occorre fare scelte anche di perso-ne, cercando di non perde-re nessuno”.

In margine al nostro colloquio Fabio mi racconta della sua pas-sione per la pallavolo, della poli-sportiva di cui è presidente, della figlia ventenne pallavolista, dei tornei estivi, e della domanda di sua moglie di fronte alla sua vita così chiaramente dedicata: “Fabio quando torni a casa?”.

Gianluca: le persone come il vino.

Si reputava nato per fare il filo-sofo, magari il ricercatore e tutto sembrava portarlo proprio lí...Ha vissuto per trenta anni a Gar-gonza ed aveva conosciuto la pas-sione educativa di don Silvano: l’ infanzia era trascorsa tra colonie di bambini e animazione degli an-ziani. Ma si sa come sono persi-stenti le idee: mica poteva venire meno ai suoi studi, lui ricercatore, quasi un topo d’archivio...Ci voleva qualcosa che fosse più forte di questa passione primige-nia. La realtà incombe e va osser-vata ed ha la testa più dura delle nostre idee, si compila un curri-culum e lo si presenta proprio lì dove c’era bisogno di una figura maschile. Prende corpo una pro-posta educativa proprio per lui il nostro filosofo ricercatore e siamo nel 2006. L’idea di una carriera universitaria vien meno, nascono e prendono piede altre cose im-portanti, che muovono questo gio-vane uomo dalla grande libertà a cercare ancora, a mettersi in gioco su tutto. Comincia l’assistenza ad alcuni bambini nelle scuole, l’impegno nella casa famiglia di Vitiano, le arti marziali, l’arte del sommelier. “Finalmente faccio ció che mi

piace riprendendo anche antiche professioni iniziate da giovane. Il vino è come la terra, di più, come le persone: bisogna conoscerlo, approcciarlo con tenerezza, al-lora sprigiona la sua personalità inconfondibile che lo rende uni-co. Il bianco profuma e scivola, il rosso graffia perché ha i tannini e ciascuno di loro sollecita una parte diversa del nostro palato. Le arti marziali possono essere comunicate ai bambini per ren-derli più sicuri, perché il corpo è importante e non va trascurato e il rigore marziale è una via per esprimere l’interiore in questo approccio olistico che riprende il meglio della filosofia (corpore et anima unus...)”.Vedi Gianluca che niente è perdu-to per sempre?“Ciascuno di noi porta se stesso, un io corpo che ha a che fare con tutta la realtà incontrata” mi dice il filosofo diventato educatore, ma-estro d’arti marziali, sommelier semplicemente seguendo una re-altà più concreta e forte delle sue idee che ha procurato ai bambini di Bandallegra una figura maschi-le di grande fascino perché sta da-vanti a tutto per imparare, sempre.

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Fabrizio è un bel tipo di uomo, uno che personalizza i rapporti, che ha imparato a dire io nelle cose, che parla di sé con la tenerezza che gli è stata inseegnata.Mi parla del Ceis di Roma dove ha seguito il progetto uomo. Ricorda bene questo progetto di recupero chi ha potuto fruirne o chi l’ha studiato: uno dei più seri, più efficaci, più strutturati progetti per il recupero dalle dipendenze che sia stato messo in atto in Italia.La persona, nel progetto di Don Mario Picchi è messa al centro e rispettata nel suo valore di dialogo e cooperazione. Per questo mira alla rinascita dell’uomo e Fabrizio è un uomo rinato.

“Mi trovavo in una fase abbastanza avanzata del progetto.

Il programma prevedeva il mio

reinserimento, ma dove? E’ il momento

più delicato perché si cerca una certezza,

qualcosa che tenga in te e attorno a te. Ed ecco che grazie a un’operatrice, di cui ricorderò sempre il nome, Marinella, ho la possibilità di lavorare in un progetto serra a Pieve del Toppo . Così comincio a lavorare e a conoscere persone, coltivavamo piante aromatiche ed io ero in borsa lavoro. E’ la fase della limitazione del danno, e il progetto è proprio finalizzato a questo scopo” mi dice Fabrizio che ha imparato anche il linguaggio specifico del recupero.“Mi guardai intorno, certamente non era uno splendido stipendio, però mangiavo e dormivo e intanto m’ero ripreso la patente.

Poi il 5 aprile del 2005 ho avuto l’assunzione! Io ho trovato

chi ha creduto in me, chi mi ha ridato fiducia, mi ha detto che potevo ricominciare. Io mi sono agganciato a questa possibilità che mi è stata donata e da lì è rinato Fabrizio. Lavoro all’inceneritore di san Zeno, faccio alcune sostituzioni in casa di riposo, un po’ di pulizie esterne e curo il verde. E’ un lavoro pesante, ma io conosco il senso e so come farlo, come offrire il mio contributo”. Riecheggiano le parole di quel progetto uomo che ha rimesso in moto l’umanità di Fabrizio.“Oggi vivo con una bellissima ragazza: io sono vegetariano, lei fa la macellaia…”È spiritoso Fabrizio, ama la musica e si porta appresso una passione per il rock, suona il sax , ama Bob Dylan…Certo che a lui la risposta è arrivata proprio Blowin’ in the Wind…

FabrizioBlowin’ in the Wind

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Laura, accolta dai bambini…Laura ha un approccio curioso e spalancato alla realtà e una vo-lontà di rendersi utile. Proprio a lei, che si definisce una ragaz-za di campagna, vien fatta quella proposta affascinante di lavorare in Bandallegra. Così Laura verrà accolta dai bambini e da Cinzia, perché uno accoglie se è stato accolto. “Ora qui è casa mia, sia-mo in quattro che lavoriamo con Cinzia. Provengo dalla facoltà di lettere, ma avevo voglia di met-termi in gioco per rendermi utile subito. Io abito in campagna e là sono stata raggiunta dal richiamo di Bandallegra. Per me è stato es-sere raccolta ed accolta. Due po-meriggi a settimana vengono i ra-gazzi delle scuole medie e diamo una mano nei compiti, anche con i volontari tra cui Mariella. Con i nostri ragazzi - alcuni tra loro sono stranieri - quest’anno abbiamo fat-to delle uscite, mitica quella alle terme. Il bello di questo lavoro è che c’è una osmosi, un passaggio continuo tra noi e loro. Ricordo

lo stupore dei bambini che per la prima volta vedevano il mare. Con loro capiamo di più il piccolo principe di Saint Exupery quando dice: tutti i grandi sono stati bam-bini... Ogni anno mi è ridata fiducia, en-tro a scuola a supporto nei progetti comunali o della azienda sanitaria. Il bambino si porta appresso qui anche la famiglia e noi lavoriamo tutti insieme. Noi non siamo vi-sti come specialisti o maestri. Per questo nessuno qui si sente giudi-cato. Non è uno spazio di giudizio questo ma di crescita nell’affronto delle difficoltà. Quando ho comin-ciato Cinzia era sempre presente e mi ha trasmesso una passione. Oggi noi educatori guardiamo nella stessa direzione e sappiamo che andiamo verso lo stesso porto. Arriviamo mezz’ora prima ed è un importante momento organizzati-vo quotidiano. C’è un quaderno delle consegne, c’è una squadra e i bambini sentono che siamo in-sieme, una compagnia all’opera anche di fronte alle difficoltà del-

la vita e così arroccarsi non serve più. D’inverno vediamo una ven-tina di persone al giorno, a pranzo una decina. È un’occasione per un’educazione alimentare, occor-re fargli assaggiare il sapore della vita. Anche questa è una strada per entrare e capire i bambini.I compiti vanno fatti dalle tre alle cinque, ma la nostra esperienza co-mincia a mezzogiorno, dalla attesa davanti alla scuola . Come li vedi uscire capiamo come è andata la mattinata. Troviamo i nonni che ci chiedono consigli, che ci pongono qualche problema di crescita. La gente ormai ci riconosce, trent’an-ni di storia dell’Arca non sono un solo giorno… Ho cominciato in Arca ad interes-sarmi dei ragazzi con disabilità e dentro quel seme c’era già tutto lo sviluppo che poi è venuto pren-dendo forme diverse. Sono solo dieci gli anni di Bandal-legra, ma è dall’82 che noi godia-mo di una storia che ci precede e ci ingloba e ci fa riconoscere tra la gente come appartenenti ad un popolo, ad una tradizione, ad una vita. Questa appartenenza dice già tutto nell’educazione nostra e di coloro che ci sono affidati…

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Marna, la restauratriceMarna va veloce e stento a seguir-la, cammina spedita al senso del suo lavoro. Non ho bisogno quasi di chiederle le cose, ed è difficile annotare il suo fluente parlare tra un richiamo e l’altro a qualche ra-gazzino di passaggio.“Noi proviamo ad accompagnare questi ragazzi al loro destino, an-che quando vivono con rabbia la realtà per via della loro storia di abbandono educativo e di trascu-ratezza. Occorre che arrivino a capire che c’è qualcuno che può voler loro bene per come sono, e

questa percezione non è scontata. Avviene come per una scoperta in un bel mattino. Noi li accom-pagniamo fino ai 21 anni e poi… Noi possiamo dare anche tutto di noi, ma è un Altro che li com-pie. Ciò ci è stato evidente nella storia di Esmeralda, la bambina di sei anni che è morta per una gravissima malattia. Noi la ab-biamo accompagnata anche con la preghiera che inizialmente fu per la guarigione. Poi la preghiera di Esmeralda cambiò: “Io voglio morire come Gesù…” E noi le di-

cevamo: “No, questo non lo puoi chiedere…” Invece lei è morta come Gesù, era proprio Cristo in croce. La vita di questi bambini non la compiamo noi… Noi non siamo sconfitti ma vittoriosi en-trambi. Esmeralda mi chiedeva del Paradiso… ed è quello il com-pimento. Con i ragazzi c’è tutta la fatica del no che noi educatori di-ciamo sempre con un senso di col-pa… Talora si vorrebbe essere noi a risarcire questi ragazzi, a lenire le loro ferite in qualche modo. Ciò ci espone a dei conflitti con loro, qualcuno parte con delle accuse, con delle pretese. Ma poi, io non so che cosa scatta, parte un bene che è intuito anche da loro. Il 3 giugno mi sposo con Leonar-do. Lui è diverso da me, è il mio opposto. È un ingegnere di teleco-municazioni. Ci sarà una grande festa, anche se dobbiamo ancora sistemare tante cose in casa.Leonardo era amico di mio fratel-lo, veniva a vedere la Fiorentina… Adesso stiamo restaurando una casetta a Foiano che era della sua nonna, perché noi quando vedia-mo ruderi ci innamoriamo…Sto mettendo a posto un tavolo con una toppa, mi piace l’arte po-vera, fatta di assi che richiamano la storia. Riportare in vita gli og-getti, riconsegnarli al loro uso.E’ una passione che ho eredita-to dal mio babbo: facevo ancora le elementari e comperammo un rudere in mezzo agli spini. Ora è una casa bellissima. A me piace ritrovare quello che c’era, dietro la polvere, le apparenze, il tempo che ha consumato”. Marna è consigliere comunale ed ha fretta perché stasera c’è consi-glio lì a Foiano. È colpa del prete aggiunge e mentre se ne va io pen-so che la sua vocazione è proprio quella della restauratrice, cioè di chi sa vedere, tra gli spini, la casa bellissima della vita.

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Stefano Tusino: il mister che parla con i “matti”Già avevo incontrato Stefano nel-la residenza di Villanova dove la malattia mentale degli ospiti si lenisce nella contemplazione del-la luce limpidissima dei colli e le convalli popolate di case e d’oli-veti. Uomo forte e pacato, con gli occhi lucidi che mandano segnali, Stefano è uno che nel lavoro ha imparato a guardare, cercando un luogo dove la solitudine si potesse stemperare in un giudizio comune. Il titolo del lavoro di quest’anno nella rete di opere che Stefano ha deciso di seguire parlava di bilan-cio sociale: detto così poteva sem-brare di una pesantezza mortale ma lui crede a chi glielo ha indi-cato e si stupisce nel vedere che è un’altra cosa. A tema non è un servizio, ma la persona e ciò che origina ogni opera: è proprio un’accezione ori-ginale di bilancio sociale. Dodici anni di Villanova non sono una passeggiata se non si hanno degli orientamenti chiari, una bussola umana che ti indichi sempre il va-lore tuo e dell’altro, quel punto di gravità permanente che non muta nel tempo o per condizioni psichi-che particolari... Stefano ha una frase che si ripete e ripete a ogni ospite: “Se tu ci sei o non ci sei non è la stessa cosa…”. È la sua sfida a se stesso e agli al-tri, la sfida che tiene desti, tesi ad una speranza che intesse le gior-nate… Nel contesto in cui vive e opera quest’uomo, non c’è bravura per-sonale che tenga, non c’è potere sulle cose, è questione di incontri,

di sguardi, di occhi. C’è da guar-dare qualcuno che magari non fa il tuo stesso lavoro, ma ha lo stesso sguardo, le stesse domande aper-te. Così comincia un’amicizia più stretta e vera con Adriano che farà sempre capolino in tutto il suo parlare. La comunità di Villanova acco-glie una decina di ospiti: si tratta di persone spesso stigmatizzate per il loro disagio psichico, per la provenienza da situazioni umana-mente estreme. Non è un mondo facile quello della malattia menta-le: tutto rischia di essere guardato a partire dal filtro che la malattia impone. Si tratta di disturbi vari di personalità, psicotici, schizofre-nici, alcoolisti e altre situazioni di particolare gravità sociale. Cer-to servono anche tecniche e una conoscenza delle relazioni umane segnate dal disagio psichico, ma lo sguardo umano su queste per-sone non è mai scontato, è sempre da riprendere, incoraggiare, soste-nere. “Poi man mano qui diventa come casa propria, una famiglia. Uno psichiatra mi ha chiesto re-centemente perché da noi stanno così bene e io gli ho risposto senza pensarci su troppo “perché noi : gli vogliamo bene!”. Non è facile tuttavia volere bene, è più facile amare l’idea che si ha di loro, e non loro stessi per come sono. Come è facile in comunità di que-sto tipo affidarsi alle regole e non capire che anch’esse devono esse-re per l’uomo”. Stefano è padre di tre figli: Riccar-do di 15 anni, Giulia di 13 e Ales-

sandro di 10. Suo figlio più grande gli ha detto che non farebbe il suo lavoro per tutto l’oro del mondo, lui gli ha ri-sposto anch’io. Si tratta infatti di un lavoro che si può fare solo per Lui, come ogni lavoro...Laureato in giurisprudenza ha fat-to vari mestieri fino al ’96 quando ha cominciato a lavorare nel co-siddetto sociale sulle problema-tiche più varie (tossici, malati di aids, bambini). Mi racconta che da 5 anni allena al calcio i bambini e per come me lo dice capisco che questa è la sua antica passione che ritorna con i figli che cominciano a calcare il campetto affittato da un gruppo di genitori. È la poli-sportiva Sant’Angelo di Perugia che conta 55 bambini. Ma anche lì occorre stare senza progetto, senza pretesa di allevare campio-ni, guardando questi futuri uomini per la bellezza della loro umanità che è da accompagnare mai da comprimere, “come mi ha inse-gnato Franco…”E mentre parla io capisco il segre-to di Stefano, che è quello di guar-dare un maestro, sia che si tratti di allenare bambini, sia che si tratti di parlare con i cosiddetti “matti”.

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La caritànel pensiero e nell’opera diGiulioSalvadori

di Marta Sciabolini

2. Educare alla carità.

Da questo primo accorgimen-to di un amore vero nei suoi confronti, cioè di un amore che non etichetta, non giudi-ca in base a un’apparenza, ma vuol bene al bene dell’altro, a che si compia il suo destino, Lisa impara dallo zio a guar-dare così anche le persone più bisognose, le più umili e po-vere che in un primo momen-to aveva schifato:

Inconsciamente, l’anima mia cercava la sua ragione di vita. […] Ora per ora, vincendo le mie ironie e le mie incredulità, ecco che egli mi guidava incontro al vero per la via del bene. Il miracolo d’amore si compiva contro la mia stessa volontà che non voleva piegarsi e lentamente così il mio cuore si disciolse dal gelo dopo anni di morte.[…] Attimo per attimo, lentamente, con l’esempio della sua vita, mi aveva accesa di questo amore per

gli umili, amore divino e immortale e avvampante come una passione e come una benedizione.[…] Mi aveva condotta a donare con amore, con maternità, con gratitudine poiché grande è il bene che essi fanno a noi di permetterci di recare aiuto.[…]Su la via della Resurrezione il suo amore mi portava, il suo amore mi porta ancora oggi perché non dimentichi mai quale fragile creatura e inutile sarei stata se egli non mi avesse illuminato il sentiero.

Pertanto Giulio si fa educa-tore di carità: è un carisma il suo che non lascia indifferen-ti, infatti l’allievo, l’amico o il parente non può far altro che seguirlo e imparare da lui quel modo nuovo e migliore di vo-ler bene all’altro.Sono tanti gli allievi di Salva-dori che ne hanno ricordato la grandezza e che sono stati for-mati dal suo modo di vivere la realtà.Amintore Fanfani, nello scrit-to commemorativo già citato,

ha ricordato questa frase che Salvadori scrisse in una lette-ra alla zia nel 1885, anno della conversione: «Ho studiato, ho capito, ho apprezzato che una cosa sola è importante: Dio. Dio solo basta».A partire da questa esclama-zione Fanfani ricorda un epi-sodio di carità dimostrata dal maestro, allora insegnante presso l’Università Cattolica di Milano:

Caro amico Nello Vian, non so se eri presente anche tu quella mattina del febbraio del 1927, in cui vedemmo arrivare all’Università Salvadori, senza cappotto e bagnato fradicio. Veniva dalla sua casa, era passato da Corso Ticinese. Gli domandammo: «Ma professore, va in giro così?» Disse: «Sono arrivato a quella chiesa e c’era un poveretto fuori, che si bagnava, seduto sugli scalini, a chiedere l’elemosina. Gli ho dato il mio cappotto». Ciò disse non con aria di ostentazione, ma come testimonianza di

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quello che aveva imparato in famiglia, di quello che aveva riconquistato il Venerdì Santo del 1885.

Afferma quindi Fanfani e mi sembra una frase estrema-mente di aiuto ad esplicare meglio il fatto sopra racconta-to e in quanto introduce bene il prossimo punto che andre-mo a trattare:

Questa convinzione profonda che «Dio solo basta» significa che ogni rinuncia è possibile, purché vengano affermati il principio fondamentale, la ragione vera e la destinazione autentica della nostra vita.

3. Carità è imparare

a vivere come Cristo.

Un altro aspetto su cui si sof-ferma molto Lisa è come Sal-vadori fosse sempre così sere-no nella pratica della carità:

Un volto sereno e un sorriso limpido sono armi potentissime per vincere le più aspre battaglie d’uomini, per placare le più amare ribellioni, per offrire tante ragioni di bene e di comprensione.Un conforto, un aiuto, un pezzo di pane donato con dolcezza è offerta benedetta per chi riceve, il quale non dimenticherà mai quell’atto d’amore.Serenità e sorriso: ma sorriso profondo di quello che viene dal cuore non dalla bocca, che segreto di bene per coloro che li posseggono!

E ancora più avanti:

Egli trattava la portinaia cavallerescamente, come

una principessa, e parlava al più bocciato dei suoi scolari come ad un professore; accompagnava fino all’uscio il collega che era venuto a interrompere i suoi studi e restava a capo scoperto sotto il sole e sotto la pioggia davanti alla signorina che gli domandava qualche indicazione bibliografica.

Lisa si sofferma quindi su come si rendesse «povero tra i poveri»: «Il bene gli fioriva

dalle mani scarne come un miracolo d’amore».

Racconta di quando, negli ul-timi anni della sua vita a Mi-lano, gli fosse stato fatto dono di alcuni vestiti, poiché do-nando sempre tutti i suoi era rimasto quasi senza. Poiché però non si decideva a porta-re nulla di quello che gli era stato donato, gli venne chiesto il motivo e lui così rispose: «Grazie, grazie di tante cose belle! Ho potuto provvedere a due studenti che soffrivano veramente il freddo!».

Ma capite che un atteggia-mento così è da folli! Non è

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possibile, non è umano! Da dove gli derivava quell’amo-re lì, da chi aveva imparato ad amare così? Torniamo a quel famigerato 1885, l’anno dell’innamoramento per la Gallo e della conversione; c’è bisogno di un Altro, della Pre-senza del Cristo perché uno possa cambiare così, perché uno possa donare sé stesso così:

Amici miei, il mondo è pieno di contraddizioni e di sofismi; le passioni lo agitano e gli fanno odiare la verità; ma tutti gli uomini che hanno conservato appena una scintilla d’umanità, quando si trovano davanti a una vita pura, spesa a vantaggio degli altri in silenzio, che si rivela morendo, si fermano pensosi e riverenti, perché allora tutti sentono che la vita è veramente vita solo quando è una testimonianza data, amando, alla verità.

Pertanto la vita diventa vita vera, reale, bella, quando tu rendi testimonianza alla ve-rità, cioè affermi di Chi sei, che appartieni a Dio e quindi la tua vita diventa imitazione della vita di Cristo: «Solo Dio basta».Ha affermato il cardinal Co-lombo in un’omelia tenuta durante la Settimana Salvado-riana, compiutasi dall’8 al 14 gennaio 1985:

Al centro della sua vita Salvadori mise Cristo che tutti attira a sé dalla Croce, il Quale è in grado di rinnovare ognuno anche se affaticato o avvilito o deluso.La spiritualità di Giulio Salvadori è sì una spiritualità incentrata sulla croce e quindi sul martirio, […] ma un martirio in cui la fiducia in un Dio che è provvidenza infinita, trasfigura la tristezza

in letizia, la vita in quotidiana obbedienza, la sofferenza in grazia.

E ancora in un’altra omelia ri-corda che «ogni sua azione di bontà diventa carità, proprio perché esercitata alla luce del vero», «per il Salvadori Dio è Verità-Carità»:

Sicuro dell’amore di Dio per ogni uomo, il Poeta Servo di Dio era persuaso […] che c’è un Dio che vede e provvede, che atterra e affanna, che suscita e consola.Questo amore, che si è fatto carne, fratello nelle nostre difficoltà, Salvadori lo trovava nei poveri e nei sofferenti; e la sua carità nella verità sfociava in uno sconfinato impegno di giustizia e di pace.Possiamo ben dire che Giulio Salvadori ha fatto intendere a tutti che la verità non è astrattezza, né utopia, ma è il calore di una famiglia.

Cosa c’è di più concreto e di più bello di uno che si muo-ve così? Con questa certezza qui? Con questa letizia qui?Per essere così però, non hai bisogno che Dio ti appaia in modi strani, ma è la concre-tezza della vita che ti dice che vivere le cose così è più bello, come la testimonianza della nipote Lisa ci ha dimostra-to: era una ribelle schifata da ciò che non è gloria e potere e seguendo la testimonianza luminosa dello zio si è trovata ad abbracciare tutto della vita, fino agli umili più poveri, con una letizia mai sperimentata prima.Lo stesso Salvadori scelse per sé un esempio illustre da se-guire, San Francesco d’Assi-si, di cui ammirò come la fede divenisse azione, opera, fare concreto e quindi carità:

Come possiamo essere sicuri di non pentirci del cosiddetto «bene» che si fa ai poveri? Questo è il dubbio che isterilisce in molti moderni il desiderio del bene. E la risposta suggerita dall’esperienza è che, sebbene il dare, quando è guidato dagli occhi e dal cuore, sia un gran bene, tuttavia solo non basta; ci vuole il fare, l’opera benefica realmente esercitata sui corpi e sulle anime dei bisognosi.

Per San Francesco, ci ricorda Salvadori, «povertà voleva dire libertà ed allegrezza»:

Le nozze con la Povertà non erano nozze con la privazione, con la morte, col nulla: erano invece una più stretta unione con l’umanità povera, affaticata e dolente; e avevano la loro parte di dovere nel lavoro e il loro vincolo di amore nella carità.

Fine seconda parte,la conclusione nel prossimo numero.

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Il Centro diurno “L’Arca”, gestito dalla Coope-rativa Sociale “L’Arca1”, con oltre vent’anni di esperienza, accoglie persone diversamente abili e ad oggi in particolare gli ospiti sono nove. Ogni ragazzo viene seguito da un’equipe di educatori che propongono interventi educativi individuali tesi a mantenere, aumentare o far nascere ex novo capacità ed autonomie importanti.Di particolare rilevanza è l’attività teatrale che, attiva ormai da più di dieci anni, ha portato alla costituzione di una compagnia di teatro stabile chiamata “StrAbilia”, formata dai nostri ospi-ti uniti ad altri soggetti diversamente abili del territorio aretino, a bambini e ragazzi di “Bandal-legra” e “Bandamedie” (servizi gestiti dall’Asso-ciazione “L’Arca”). Altra importante attività del Centro è quella ar-tigianale con svariati lavori di decoupage e carta riciclata. Nell’ultimo anno è iniziata la produzio-ne di quadri con materiale di riciclo.

San Martino accoglie fino ad un massimo di 12 minori di entrambi i sessi temporaneamente impossibilitati a permanere nel nucleo familiare. L’affidamento dei minori alla comunità avviene attraverso il Tribunale per i Minori e i Servizi Sociali dei Comuni di appartenenza.La Comunità è nata nel 2006 (14 luglio)Responsabile: Rolando [email protected]

tel / fax 057597494

5x1000“L’Arca è un’Associazione ONLUS (organiz-zazione non lucrativa di utilità sociale) e per questo può usufruire del 5 per mille. È una pro-cedura molto semplice: in sede di dichiarazio-ne dei redditi (qualsiasi sia il modello che usa-te) potete mettere la vostra firma e il nostro codice fiscale 01003500517 nello spazio dedicato al 5 per mille.Una piccola parte delle tasse che pagate an-dranno - direttamente! - all’Arca. Vi sembrapoco? No, per noi è tantissimo, perché tante gocce formano il mare e noi abbiamo un ocea-

no di bisogni! È importante far sapere di questa possibilità anche a parenti e amici, date loro il nostro codice fiscale. Il meccanismo del 5 per mille funziona esattamente come l’8 per mille: insomma potete firmare sia per l’uno che per l’altro senza problemi.Ecco un modo semplice, bello e gratuito, per aiutarci. Attraverso il 5x1000 sosteniamo le nostre opere come “Bandallegra”, il Centro Diurno per i ragazzi disabili e la Comunità Educativa San Martino che accoglie bambini e ragazzi in difficoltà.

L’Arca

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IL CENTRO POLIFUNZIONALER.A. “G. CIAPI” Il Centro Polifunzionale è ubicato a Monte San Savino, in via Ciapi n.11. I posti complessivi sono 25, destinati esclusivamente ad anziani ed inabili autosufficienti, oltre a 6 posti autorizzati per il Centro Diurno. Il Centro Polifunzionale è gestito dal mese di luglio del 2011 e fino a giugno 2016, dal Consorzio Sociale COMARS onlus di Monte San Savino. L’équipe di lavoro è così composta:1 Responsabile di Struttura, 1 Infermiere Professionale, 1 Terapista della Riabilitazione,1 Animatore, 5 Addetti all’Assistenza di base, 2 Cuoche, 4 Addetti ai Servizi Generali.

Centro Polifunzionale CiapiVia Ciapi n. 1152048 Monte San Savino (AR)Tel. e fax 0575/844893

Per reclami e suggerimenti -Ufficio QualitàConsorzio Sociale COMARS onlusVia Sansovino, 28 - 52048 Monte San Savino (AR)Tel. 0575/844161 0575/844364 fax 0575/844550Rif. Adriano Di Sisto - e.mail: [email protected]

HOTEL LOGGE DEI MERCANTICorso Sangallo 40/4252048 Monte San Savino (AR)Tel: 0575/810710 Fax: 0575/[email protected]

L’hotel Logge dei Mercanti è un antico palazzo del Milleseicento che un tempo costituì la vecchia farmacia del borgo. Le 13 camere, una diversa dall’altra per decori e rifiniture, con travi a vista oppure impreziosite da antichi affreschi, propongono un’atmosfera di grande pregio ed eleganza grazie all’arredamento d’epoca che si sposa con elementi moderni e funzionali. La sala delle colazioni si trova sotto il livello stradale in un suggestivo contesto medievale.

RIFERIMENTI: Valentina Valocchia

RESIDENZA PSICHIATRICA VILLANOVALa residenza pschiatrica Villanova è gestita dal Comars dal 1° luglio 2000, può ospitare in regime residenziale 14 persone di entrambi i sessi. Fino ad oggi ha ospitato 55 persone, quasi tutti con disturbi psicotici gravi e qualche ragazzo/a con disturbi di personalità. Attualmente conta 13 ospiti (2 donne e 11uomini di età media 40/50 anni) quasi tutti seguiti da servizi delle USL umbre. Il Coordinatore è Stefano Tusino

[email protected] - 3289555749 tel. e fax di Villanova 0758757003.

CO ARSM

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CO ARSMnews“L’uomo stesso

è una porta,

perchè ciascuno

nella propria anima

è in movimento,

è in azione”

F. Dostoevskij

La vita è veramente vitasolo quando è una testimonianzadata, amando, alla verità

Consorzio Sociale

Giulio SalvadoriPoeta di Monte San Savino

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