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COMMENTO SLIDE MOBBING RIFERIMENTI NORMATIVI E GIURISPRUDENZIALI

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COMMENTO SLIDE MOBBING

RIFERIMENTI NORMATIVI E GIURISPRUDENZIALI

CISL FP NAPOLI

SLIDE N. 1 Nel nostro ordinamento, pur in assenza di una legge specifica sul mobbing, esistono diverse norme costituzionali, civilistiche e penali che permettono di difendersi dai comportamenti persecutori che avvengono in ambito lavorativo. Sulla base di dette norme, la legislazione ha elaborato delle ricostruzioni giuridiche che permettono di sanzionare il mobbing e molti dei singoli comportamenti ad esso ascrivibili. Esamineremo, quindi, i progetti e disegni di legge che di recente sono stati presentati nonché gli strumenti di tutela che sono già rinvenibili nell’ordinamento. La sentenza che per prima ha introdotto il termine mobbing nel lessico giurisprudenziale è stata resa dal Tribunale di Torino, sezione lavoro, in data 16/11/99. Al giudice torinese era stato sottoposto il caso di una lavoratrice dipendente che aveva richiesto il risarcimento del danno biologico subito a causa delle condizioni di lavoro gravose e dalle continue vessazioni e umiliazioni da parte del capo reparto. E’ proprio a partire da quella data che sono stati presentati diversi disegni di legge tendenti a disciplinare in maniera compiuta il fenomeno del c.d. mobbing. Il più risalente è il Progetto di Legge Camera 1813 fino ai più recenti, n. 434 e n. 1203, presentati nell’autunno del 2008 innanzi alla Commissione Lavoro Senato. Tuttavia, nonostante, il proliferare di numerose iniziative legislative, ad oggi, non vi è ancora una legislazione ad hoc in tema di mobbing. Dal punto di vista legislativo, la Regione Lazio con la Legge del 2001, definiva il mobbing come il complesso di atti discriminatori o vessatori protratti nel tempo, posti in essere nei confronti di lavoratori dipendenti pubblici o provati da parte di un datore o da soggetti posti in posizione sovraordinata oppure da altri colleghi. Detta legge , tuttavia, è stata dichiarata illegittima dalla Corte Costituzionale nel 2003 in quanto a dire della Suprema Corte, forniva una nozione giuridica autonoma di un fenomeno disciplinato in più modi dall’ordinamento statale. Simili definizioni si rinvengono nella L. R. Friuli Venezia Giulia del 2005, L.R. Umbria del 2005 e L.R. Abruzzo 2004, che, invece, sono state ritenute costituzionalmente legittime. Un brevissimo cenno all’esperienza comunitaria, essendo l’Italia inserita in tale contesto: nel 2001 un libro verde del Parlamento Europeo, Il mobbing sul posto di lavoro, introduceva il dibattito in sede comunitaria. La risoluzione del Parlamento che ne è seguita, è uno dei primi riferimenti normativi in materia che tuttavia non è stato recepito dal nostro ordinamento. In Europa, il paese più avanzato in materia di mobbing è sicuramente la Svezia che prevede un reato di mobbing.

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SLIDE N. 2 Abbiamo detto che,pur in assenza di una legislazione ad hoc in materia di mobbing, la giurisprudenza ha sviluppato delle ricostruzioni giuridiche che consentono di sanzionare il mobbing e molti dei singoli comportamenti ad esso ascrivibili. La base della ricostruzione giurisprudenziale consolidata in questa materia è costituita da una lettura combinata delle norme costituzionali di cui all’art. 32 della Costituzione (che sancisce il diritto primario ed assoluto alla salute) ed all’art. 41, comma 2, della Costituz. (che pone un limite al principio della libertà di iniziativa economica privata laddove ne vieta l’esercizio con modalità tali da pregiudicare la sicurezza e dignità umana) , con le norme civilistiche contenute nell’art. 2087 ( che individua la responsabilità contrattuale del datore di lavoro) e/o nell’art. 2043 (che delinea la responsabilità extracontrattuale) nonché gli artt. 1175 e 1375 c.c. che ispirano principi di correttezza e buona fede. ( Prof. Avv. L. Spagnuolo Vigorita)

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SLIDE N. 3 Particolare attenzione merita l’art. 2087 che testualmente dispone: “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa tutte le misure che secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Detta norma è interpretata dalla costante giurisprudenza come norma di chiusura del sistema di protezione del lavoratore che impone al datore di lavoro non solo l’adozione delle misure richieste specificamente dalla legge, dall’esperienza e dalle conoscenze tecniche, ma anche dall’obbligo più generale di attuare tutte le misure generiche di prudenza e diligenza necessarie al fine di tutelare l’incolumità ed integrità psico-fisica del lavoratore. Da questa disposizione viene fatto derivare sia il divieto per il datore di lavoro di compiere direttamente qualsiasi comportamento lesivo dell’integrità fisica e morale del dipendente, sia di prevenire e scoraggiare la realizzazione di simili condotte nell’ambito ed in connessione con lo svolgimento dell’attività lavorativa. L’inadempimento di tale suo obbligo genera responsabilità contrattuale del datore di lavoro.( Prof. Avv. Spagnuolo Vigorita) Ma la giurisprudenza è andata oltre nel senso di statuire che il datore di lavoro risponde del danno di mobbing anche laddove le condotte materiali siano state poste in essere da colleghi di pari grado della vittima, in quanto ciò che rileva unicamente è che il datore di lavoro sapesse, ovvero potesse sapere di quanto stava accadendo ( culpa in vigilando) – Cass. Sez. lavoro 6326/05. Secondo certa giurisprudenza la responsabilità contrattuale di cui all’art. 2087 sin qui analizzata, può concorrere con quella extracontrattuale originata dalla violazione di diritti soggettivi primari ( diritto alla salute, alla sicurezza e dignità ) poiché grava sul datore di lavoro il generale obbligo di neminem ledere previsto dall’art. 2043 c.c. ed anche quello specificamente stabilito dall’art. 2049 c.c. che configura la responsabilità solidale del datore di lavoro per gli illeciti commessi dai suoi dipendenti nell’espletamento del loro incarico. Oltre alle norme di applicazione generale esistono nell’ordinamento norme che possono e devono essere applicate se nel caso concreto si verificano i comportamenti che ne integrano la fattispecie. Prima fra tutte è la disposizione di cui all’art 2103 c.c. ce vieta le ipotesi di demnsionamento e dequalificazione e la cui violazione dà luogo al risarcimento del danno alla professionalità, ciò perché la non osservanza di questa norma si verifica molto frequentemente come dimostrato dalla cospicua giurisprudenza in materia. Inoltre se il comportamento di mobbing si sostanzia o comporta una qualsiasi forma di discriminazione saranno applicabili le norme antidiscriminatorie. Più segnatamente l’art. 3 della cost. che riconosce il diritto all’uguaglianza formale e sostanziale, Lo Statuto dei Lavoratori che all’art. 15 vieta gli atti a qualsiasi titolo discriminatori durante il rapporto di lavoro, art. 19 sulla libertà sindacale, art. 8 che vieta indagini di opinione nella misura in cui, non essendo giustificate da esigenze lavorative potrebbero indurre il datore di lavoro a discriminare il lavoratore a causa delle sue opinioni.O ancora casi in cui la condotta di mobbing causi un danno alla salute e integri il reato di lesioni personali, in tal caso potrebbero trovare applicazione l’art. 582 c.p . ( lesione personale) e l’art. 590 c.p. che sanziona con previsione generale chi cagiona per colpa una lesione personale ad altri soggetti.

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SLIDE N. 4 Una delle modalità tipiche attraverso cui si possono realizzare comportamenti persecutori inquadrabili nel mobbing sono certamente le molestie sessuali commesse dal datore di lavoro, dal superiore gerarchico o da colleghi. E’ opportuno ricordare che per molestie sessuali si devono intendere oltre che veri e propri tentativi di molestia e gli atti di libidine violenta, anche i corteggiamenti indesiderati e le c.d. proposte indecenti. Interessante a questo proposito è ricordare la definizione di molestia sessuale contenuta nel codice di condotta, allegato alla raccomandazione della Commissione Europea che definisce molestia sessuale” ogni comportamento indesiderato a connotazione sessuale o qualsiasi altro comportamento basato sul sesso che offende la dignità degli uomini o delle donne nel mondo del lavoro”. La sentenza n. 33624 del 2007 V sez. penale si è preoccupata di inquadrare il fenomeno del mobbing dal punto di vista penale. Nel nostro codice penale, a differenza dello stalking, non esiste il reato di mobbing pertanto la condotta di mobbing potrà costituire reato solo se ricade nelle altre figure di reato già esistenti. Condotta di mobbing che suppone la reiterazione di una pluralità di atteggiamenti convergenti sia nell’esprimere ostilità verso la vittima sia nel mortificarla ed isolarla dall’ambiente di lavoro. Ora, la figura di reato più vicina ai connotati caratterizzanti il mobbing è il reato di maltrattamenti di cui all’art. 572. Tale orientamento è stato confermato dalla sentenza n. 27469 del 2008. Nel caso esaminato dalla Suprema Corte le vessazioni si erano protratte per tutta la durata del rapporto lavorativo e consistevano oltre che in ripetute e petulanti molestie sessuali, nel tentativo di violenza sessuale, nonché nel rifiuto di regolarizzare il rapporto di lavoro e nella pretesa di corrispondere la retribuzione in misura inferiore a quella risultante dalla busta paga. Di recente è intervenuta sempre in tal senso la IV sez penale della Cass. che con sentenza 23923 del 9/4/09 ha condannato un capo prepotente al risarcimento dei danni in favore di una dipendente ritenendolo colpevole dei reati di ingiuria, lesioni colpose e minaccia che le hanno provocato uno stato ansioso depressivo con tachicardia e stress emotivo. Il giudice si è pronunciato anche sotto l’aspetto penale configurando il caso sottoposto nel reato di lesioni colpose. Sarebbe tuttavia preferibile una disciplina specifica, infatti è vero che le norme del ns. ordinamento consentono di tutelare la vittima del mobbing ma è altrettanto vero che chi lo subisce ha anche il diritto di sapere esattamente che tipo di tutela può invocare…

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SLIDE N. 5, N. 6, N. 7 e N. 8 La giurisprudenza nel corso degli anni ha permesso di identificare una pluralità di comportamenti cd. Mobbizzanti alcuni dei quali possono dirsi tipici perché già espressamente previsti dall’ordinamento come illeciti e contrari a norme legislative e/o contrattuali e quindi contra legem ed altri comportamenti atipici o neutri che letti unitamente ai primi permettono di ricostruire un quadro vessatorio e persecutorio nei confronti del lavoratore. Si tratta in realtà di fatti, comportamenti che singolarmente considerati non originano una diretta responsabilità datoriale, alcuni sono addirittura irrilevanti giuridicamente, tuttavia considerati unitariamente e da un punto di vista dinamico rilevano ad integrare e completare la fattispecie di un illecito comportamento vessatorio e/o persecutorio del datore di lavoro nei confronti del lavoratore in presenza di alcuni elementi che vedremo nella slide n. 9 individuati come essenziali perché si possa parlare di mobbing. In effetti il mobbing può realizzarsi con comportamento datoriali indipendentemente dall’inadempimento di specifici obblighi o dalla violazione di specifiche norme attinenti alla tutela del lavoratore subordinato. Quindi l’esistenza della lesione del bene protetto e delle conseguenze deve essere valutata nel complesso degli episodi dedotti in giudizio come lesivi, considerando l’idoneità offensiva della condotta, che può essere dimostrata per la sistematicità e durata dell’azione nel tempo, dalle sue caratteristiche oggettive di persecuzione e discriminazione, risultanti specificamente da una connotazione emulativa e pretestuosa. / cfr. Cass. N. 4774/2006. Al riguardo anche la Corte di Cassazione ha ormai accolto il principio per cui alle condizioni appena enunciate anche un comportamento astrattamente lecito puo’ essere fonte di risarcimento del danno per violazione della norma di chiusura di cui all’art. 2087 c.c. che impone al datore di lavoro di tutelare l’integrita’ psicofisica e la personalita’ morale del lavoratore e degli obblighi generali di buona fede e correttezza di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. DI SEGUITO ALCUNE DELLE SENTENZE SULL’ARGOMENTO ( slide n. 7 e 8)

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SLIDE N. 9 Per la giurisprudenza prevalente gli elementi essenziali del mobbing sono:

- aggressione e/o persecuzione di carattere psicologico; - la sua frequenza, sistematicità e durata nel tempo; - il suo andamento progressivo; - le conseguenza patologiche anche gravi che ne derivano per il lavoratore.

Il mobbing non è una patologia in senso stretto, ma una situazione problematica legata all’ambiente di lavoro che si estrinseca in una violenza psicofisica e molestia morale caratterizzata dalla ripetitività e sistematicità dei comportamenti reiterati in un arco di tempo di almeno sei mesi con una frequenza di almeno settimanale, nonché dall’intento persecutorio volto a svilire il lavoratore al punto da fargli perdere stima di sé stesso ed abbandonare il posto di lavoro o sottomettendosi al volere del datore di lavoro. Il lavoratore per poter ottenere il risarcimento da mobbing, deve dimostrare il collegamento della malattia con una pluralità di comportamenti che si inseriscono in una precisa strategia persecutoria posta in essere dal datore di lavoro al fine di isolarlo psicologicamente e fisicamente ( c.d. danno da mobbing).

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SLIDE N. 10 Una volta individuati, seppur sinteticamente, gli elementi caratteristici del mobbing, occorre affrontare l’aspetto della risarcibilità del danno da mobbing, in aprticolare la tipologia del danno risarcibile. In via preliminare si ritiene opportuno sottolineare che qualsiasi tipo di risarcimento per equivalente, in ipotesi di mobbing, non è in grado di restituire ciò che la vittima ha perduto con la lesione subita, in quanto nessuna offesa arrecata ad un diritto della persona può realmente essere cancellata o ricompensata. Lo studioso Harald Ege ha affermato che “ il mobbing è sicuramente una notevole fonte di pregiudizi per chi ne è vittima e non solo di danni biologici in senso ampio, ma anche di peculiari forme di danno che da esso derivano per l’esistenza stessa del soggetto leso”. Ne discende che il danno risarcibile si distingue in danno patrimoniale e danno non patrimoniale. Se è vero che la conseguenza più immediata del mobbing è il danno alla salute psico-fisica del soggetto mobbizzato, è anche vero che in conseguenza di tale lesione subirà ripercussioni sulle sue possibilità lavorative future sia in termini di capacità lavorativa e quindi di guadagno, sia in termini di prospettive di avanzamento professionale sia in termini di reimpiego in altro contesto lavorativo. Il danno patrimoniale da mobbing, quindi, si configura come: - danno da demansionamento o dequalificazione professionale: in tal caso la prevalente giurisprudenza è orientata nel riconoscere una mensilità di retribuzione o una percentuale della stessa per ogni mese di demansionamento; - danno emergente: rappresentato da spese mediche e cure sostenute dal lavoratore mobbizzato a causa della malattia psico-fisica derivante dai comportamenti mobbizzanti; - lucro cessante: rappresentato dai riflessi negativi dovuti alla riduzione della capacità lavorativa e quindi di produrre reddito ed alla perdita di chances; - danno da licenziamento illegittimo o da dimissioni da giusta causa: in tal caso troveranno applicazione i criteri risarcitori di cui allo Statuto dei Lavoratori, alla legge n. 108/90 e n. 604/66. Il danno non patrimoniale si distingue in:

- danno biologico; - danno esistenziale; - danno morale.

1) Come afferma Ege, dal punto di vista medico-legale è ormai opinione diffusa che il mobbizzato può presentare una lunga serie di disturbi, somatizzazioni e vere e proprie malattie che possono protrarsi per un lungo periodo o divenire croniche o irreversibili, raggiungendo anche quadri clinici di severa gravità. Le lesioni e le violazioni subite dal lavoratore alla propria integrità psico-fisica, a prescindere dalla sussistenza di alcun danno di carattere patrimoniale, sono risarcibili quale danno biologico una volta accertato il nesso eziologico tra la lesione ed i comportamenti mobbizzanti; il risarcimento che ne deriva può essere calcolato secondo i criteri in uso nei Tribunali. Si precisa che tale tipologia di danno dal 2003 è stato ricondotto nella categoria del danno non patrimoniale.

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2) Del danno esistenziale si parlerà più diffusamente nella slide n. 11. 3) Danno morale Sotto il profilo del danno morale devono essere ricompresi il dolore, le sofferenze dell’animo e spirituali ed i perturbamenti subiti da un individuo in seguito ad un fatto ingiustamente cagionatogli che sia previsto e punito astrattemente dalla legge come reato. Detto danno viene risarcito attraverso la liquidazione di una somma di denaro che non esclude il risarcimento del danno biologico, del danno patrimoniale e del danno esistenziale e che sarà determinato nel suo ammontare in via equitativa. La prassi giurisprudenziale ha introdotto il criterio di collegamento tra il danno morale ed il danno biologico, riconoscendo come risarcimento del danno morale una somma variabile tra il ¼ ed il ½ della somma riconosciuta a titolo di danno biologico a seconda dell’entità dello stesso.

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SLIDE N. 11 Un particolare approfondimento merita la categoria del danno esistenziale perché dallo stesso discende il c.d. fenomeno del doppio mobbing. Ma procediamo per gradi: abbiamo detto che il danno esistenziale, che rappresenta senza dubbio una figura relativamente recente riconosciuta in un primo tempo solo dalla dottrina e via via anche dalla giurisprudenza, viene inserita nell’accensione più ampia di danno non patrimoniale di cui all’art. 2059 c.c. Esso, derivante dalla lesione di altri interessi costituzionalmente garantiti, comporta un’ALTERAZIONE PEGGIORATIVA DELLA QUOTIDIANITA’ DELLA VITTIMA In materia di riconoscimento di danno esistenziale riveste un ruolo fondamentale la sentenza del Tribunale di Forlì del 2001 che dopo aver sollevato dubbi sulla tradizionale tripartizione danno biologico- danno patrimoniale- danno morale, ha riconosciuto e liquidato il danno esistenziale da mobbing quale danno alla vita di relazione che si realizza ogni qual volta il lavoratore viene aggredito nella sfera della dignita’ senza che tale aggressione offra sbocchi per altra qualificazione risarcitoria qualificando come danno esistenziale quello che risulta da una condotta mobbizzante. La categoria del danno esistenziale ben si addice agli effetti devastanti del mobbing poiché tutela quelle situazioni in cui anche al di fuori dei casi di malattia fisica e psichica accertata in sede medica e ricadente nella voce del danno biologico, si possono verificare oggettivi peggioramenti delle condizioni esistenziali della vita di relazione riguardanti diritti primari e costituzionalmente garantiti e consente di sanzionare condotte plurioffensive ovvero che si ripercuotono in vari piani della vita del mobbizzato. Con le sentenze n. 6572 e 13456 del 2006 la Cassazione riconosce definitivamente il danno esistenziale nell’ambito del danno non patrimoniale e definendolo quale pregiudizio che incide sul fare reddituale del soggetto alterando le sue abitudini di vita e sconvolgendo la sua quotidianita’ e privandolo di occasioni per la espressione e la realizzazione della sua personalita’ nel mondo esterno. Il danno esistenziale appare particolarmente congeniale alla situazione di mobbing perche’ e’ la qualità’ della vita del lavoratore a risentirne principalmente con tutte le conseguenze anche in ambito familiare. La famiglia che dovendo assorbire e sopportare tensioni, disturbi e restrizioni economiche e sociali può esplodere in comportamenti distruttivi e pericolosi. In particolare questo aspetto viene indicato con in termine DOPPIO MOBBING, per descrive le negative conseguenze del mobbing all’interno della famiglia. Questa infatti dapprima comprende e da conforto al lavoratore ma a lungo andare , a causa della rabbia insoddisfazione o depressione che lo stesso ha accumulato durante la giornata, finisce per andare in crisi essa stessa. In questi casi la vittima del mobbing inconsciamente diventa in ambito familiare una minaccia per l’integrità e la salute della famiglia e dei suoi componenti con inventabili ripercussini sulla qualità dei rapporti familiari. Questa con il tempo erige un muro di protezione per non farsi coinvolgere troppo dai problemi del mobbizzato fino ad arrivare al rifiuto dello stesso. Con il termine doppio mobbing si indica pertanto la situazione in cui la vittima si viene a trovare in questo caso: sempre piu’ bersagliata sul luogo di lavoro e privata della comprensione e dell’aiuto della famiglia.

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La liquidazione del danno esistenziale non potrà che avere luogo in via equitativa tenendo conto di ogni elemento che consente di adeguare la somma alle circostanze del caso allo scopo di evitare ogni liquidazione meramente simbolica.( Spinelli in Enciclopedia Persona e danno)

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SLIDE N. 12 Abbiamo detto che la norma principale presa in considerazione dalla giurisprudenza al fine di individuare la responsabilità del datore di lavoro in ipotesi di mobbing è l’art. 2087 c.c. che delinea in capo a quest’ultimo una responsabilità contrattuale e non extracontrattuale ex art. 2043 c.c. In via preliminare è bene individuare il criterio che differenzia tali ipotesi di responsabilità che non è da ricercare nella fonte da cui trae origine, bensì dalla determinabilità dei soggetti obbligati. In altre parole non è contrattuale la responsabilità che trae origine da un contratto ed extracontrattuale quella che origina da una fonte diversa: al contrario è contrattuale la responsabilità che si determina allorquando il comportamento rimasto inadempiuto è obbligatorio per uno o più soggetti determinati o determinabili, mentre è extracontrattuale quando il comportamento inadempiuto è obbligatorio nei confronti di una pluralità indeterminata di soggetti. Pertanto, essendo il datore di lavoro è obbligato ex art. 2087 c.c. nei confronti dei suoi dipendenti ovvero di una pluralità di persone determinabili ne consegue che la responsabilità è di tipo contrattuale e la ripartizione dell’onere della prova. Il datore di lavoro dovrà provare di aver ottemperato all’obbligo di protezione dell’integrità psico-fisica del lavoratore , mentre a quest’ultimo spetterà provare sia la lesione, sia il nesso di causalità tra l’evento dannoso e l’espletamento della prestazione lavorativa, prova sicuramente non agevole. La prima difficoltà che incontra il lavoratore è sicuramente la reperibilità di testimoni giacchè spesso le molestie avvengono nel chiuso di una stanza tra molestatori da un lato e molestato dall’altro. Inoltre l’onere probatorio del lavoratore si complica ulteriormente laddove la situazione lavorativa avversa non culmini in un unico fatto eclatante, ma si limiti ad una serie di comportamenti significativi più nel loro complesso che ciascuno di per sé; in casi come questi il lavoratore deve provare il verificarsi non di uno, ma di tanti comportamenti illegittimi reiterati nel tempo il che comporta un aumento del rischio probatorio. Altro elemento, importante e fondamentale, di cui il lavoratore deve provare l’esistenza è il nesso causale tra il danno lamentato e la prestazione dell’attività lavorativa. Con particolare riferimento al danno biologico, che rappresenta la conseguenza più importante che può derivare dal mobbing anche sul piano risarcitorio, la valutazione dell’avvocato sicuramente non è sufficiente atteso che una simile conclusione presuppone conoscenze mediche e/o psicologiche più che legali. Peraltro questa lacuna è in parte colmata da risultati scientifici che sono ormai diventati fatti notori e che dicono universalmente che situazioni lavorative avverse sono in sé idonee a cagionare stati depressivi che possono poi manifestarsi con somatizzazioni di diverso tipo. Tuttavia dato per certo che la conseguenza è possibile sul piano teorico, bisogna valutare se quella conseguenza si sia verificata davvero in pratica e, dunque, se quello stato depressivo sia davvero la diretta conseguenza di un comportamento vessatorio del datore di lavoro. Questa conclusione spetta solo ad un medico specialista, cui sarà indirizzato il lavoratore, il quale redigerà un certificato medico ( sulla anche scorta della certificazione sanitaria rilasciata da strutture pubbliche esibita dal lavoratore) che attesti l’effettiva ricorrenza del danno e del nesso causale.

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Tale certificato rappresenta senza dubbio la condizione indispensabile per promuovere l’azione giudiziaria ed al contempo fornisce al giudice quel principio di prova necessario ad ammettere una consulenza tecnica d’ufficio. Pertanto si deve concludere sul punto dicendo che l’onere probatorio del lavoratore sulle circostanze in questione si può assolvere mediante una consulenza tecnica d’ufficio, previo certificato medico che attesti l’esistenza di un problema psico-fisico ed il nesso di causalità con una situazione lavorativa avversa.

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SLIDE NR. 13 Cenni su altre fattispecie aventi con il mobbing alcuni elementi in comune. Abbiamo detto che nella ricostruzione giuridica della fattispecie attuata dai giudici di merito, sono stati individuati alcuni caratteri essenziali del mobbing: la reiterazione della condotta mobbizzante, la sua durata nel tempo la sua rilevanza ed idoneità offensiva. Recentemente si è sviluppato un orientamento che pone l’accento più che sulla ripetitività della condotta sulla sua intensità lesiva e perdurante nel tempo. E’ stata proposta una ulteriore lettura della fattispecie illecita produttiva di danno risarcibile denominata STRAINING. Quest’ultimo si differenzia dal mobbing per la mancanza , tra i criteri oggettivi idi riconoscimento della fattispecie, della frequenza idonea delle azioni mobbizzanti; cosicché verrebbe in rilievo anche un solo episodio vessatorio con effetti durevoli e costanti nel tempo come nel caso di demansionamento con isolamento ed inattività ( Trib. Bergamo 21/4/05) Quello dello STALKING, invece, è espressamente previsto come reato dall’art. 612 bis c.p. introdotto recentemente nel nostro ordinamento e che garantisce per chi lo commette la reclusione da 6mesi a 4 anni, è un fenomeno per certi versi simile al mobbing. Una delle differenze sostanziali è che nello stalking l’aggressore pone in essere la condotta persecutoria nell’ambito della vita privata della vittima. Tuttavia nei casi più gravi, gli atti persecutori iniziati nell’ambiente lavorativo, possono poi riversarsi anche nella sfera privata della persona. Si tratta in questi casi di STALKING OCCUPAZIONALE, intendendosi per tale una forma di stalking in cui l’effettiva attività persecutoria si esercita nella vita privata della vittima, ma la cui motivazione proviene invece dall’ambiente lavorativo dove lo stalker ha realizzato una situazione di conflitto persecuzione o mobbing. Sono i casi ad esempio in cui il rifiuto di avences non viene accettato dal datore di lavoro o dal superiore gerarchico della vittima la quale comincia ad essere tempestata di telefonate anche dopo l’orario di lavoro o pedinata nel tragitto casa lavoro o seguita ad ogni spostamento subendo un pregiudizio alle sue abitudini di vita associato a sofferenza psichica o paura per la propria incolumità Ovvero nel caso inverso in cui il lavoratore si vendica delle persecuzioni subite molestando a sua volta il mobber nella vita privata.