COMMENTO ALLA SECONDA LETTERA DI SAN PAOLO … · stoli, suoi testimoni immediati. Per noi, invece,...

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Il futuro della lIturgIa 57 COMMENTO ALLA SECONDA LETTERA DI SAN PAOLO APOSTOLO A TIMOTEO (2Tm 3,14-4,2) Omelia di Sua Eminenza Reverendissima il cardinale Walter Brandmüller 72 E ra il momento di transizione della Chiesa nascente dal tempo degli Apostoli alla prima generazione di cristiani che non hanno più conosciuto di persona Gesù Cristo. Ora tra fuochi di persecuzione da parte dei giudei e dello stato pagano si tro- vavano in una situazione incerta, pericolosa. L’apostolo san Paolo a sua volta vedeva imminente il suo addio da questo mondo. E lo premeva la preoccupazione per la precarietà del futuro del piccolo gregge di Gesù. Proprio questa era la situazione nella quale fu scritta la lettera di cui è stato appena letto un brano. Domandiamo quindi, quale messaggio tiene per noi. I 7imoteo, figlio di padre greco e della madre ebreocristiana (unice, era molto stimato dai cristiani di Listra, sua patria. Lui dal momento di incontrare san Paolo lo accompagnava nei suoi viaggi missionari. A lui poi fatto vescovo di Efeso l’apostolo dà il consiglio: «Tu però rimani saldo in quello che hai imparato e di cui sei convinto». Ma come mai, ci domandiamo, poteva essere convinto di cose – la vita e il mes- saggio di *es ² cose che in prima persona non aYeYa Yissuto" Ë molto significatiYo ciò che aggiunge l’apostolo: «Tu sai – dice – da chi l’hai appreso». 72 Omelia pronunciata durante la S. Messa solenne in Rito Romano ordinario celebrata dal card. Walter Brand- müller nel Duomo di Verona, domenica 16 ottobre 2016.

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lucida e serena, a saper venerare la Tradizione, la quale implica sia conservazione perenne, sia crescita vitale.

È questo lo spirito che ha condotto Benedetto XVI alla decisione di emanare nel luglio del 2007 il Motu Proprio Summorum Pontificum. L’accostamento simultaneo, nella vita della Chiesa oggi, di due forme dell’unico Rito Romano ha per scopo soprattutto – come il Papa ha scritto – di favorire una «riconciliazione interna nel seno della Chiesa», attraverso il reci-proco in usso dei due essali che possono arricchirsi a icenda 70. Come è riduttivo affer-mare che il Motu Proprio rappresenti solo una mano tesa ai lefebvriani71, così è parimenti errato ritenere che il Papa intendesse con questo documento avviare il ritorno sic et simpliciter alla pratica liturgica cattolica più antica. Si trattava, invece, di aggiungere un tassello in un processo ampio e lento, attraverso il quale gli elementi migliori di ognuna delle due forme del ito omano si integrino a icenda, purificando al contempo le debole e presenti in entrambe.

Come esattamente si svolgerà in futuro il progresso della Liturgia romana, credo nessuno possa prevederlo nei suoi dettagli. Una cosa però appare chiara: la Chiesa ha certamente bisogno forse oggi pi che mai di un’ulteriore fase di s iluppo e di purifica ione, che ci porti a una forma della Liturgia risanata da certe recenti infermità e integrata dalle migliori espressioni della vera Tradizione.

70 Queste espressioni si trovano nella Lettera ai escovi in occasione della pubblicazione del Motu Proprio Summorum Pontificum , 7 luglio 2007.

71 Che simile interpretazione sia riduttiva, lo ha ribadito con forza lo stesso Benedetto XVI nel recente volume ltime conversazioni, Garzanti, Milano 2016, pp. 189-190.

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COMMENTO ALLA SECONDA LETTERA

DI SAN PAOLO APOSTOLO

A TIMOTEO (2Tm 3,14-4,2)

Omelia di Sua Eminenza Reverendissima il cardinale Walter Brandmüller 72

Era il momento di transizione della Chiesa nascente dal tempo degli Apostoli alla prima generazione di cristiani che non hanno più conosciuto di persona Gesù

Cristo. Ora tra fuochi di persecuzione da parte dei giudei e dello stato pagano si tro-vavano in una situazione incerta, pericolosa. L’apostolo san Paolo a sua volta vedeva imminente il suo addio da questo mondo. E lo premeva la preoccupazione per la precarietà del futuro del piccolo gregge di Gesù.

Proprio questa era la situazione nella quale fu scritta la lettera di cui è stato appena letto un brano. Domandiamo quindi, quale messaggio tiene per noi.

I

imoteo, figlio di padre greco e della madre ebreo cristiana unice, era molto stimato dai cristiani di Listra, sua patria. Lui dal momento di incontrare san Paolo lo accompagnava nei suoi viaggi missionari. A lui poi fatto vescovo di Efeso l’apostolo dà il consiglio: «Tu però rimani saldo in quello che hai imparato e di cui sei convinto».

Ma come mai, ci domandiamo, poteva essere convinto di cose – la vita e il mes-saggio di es cose che in prima persona non a e a issuto molto significati o ciò che aggiunge l’apostolo: «Tu sai – dice – da chi l’hai appreso».

72 Omelia pronunciata durante la S. Messa solenne in Rito Romano ordinario celebrata dal card. Walter Brand-müller nel Duomo di Verona, domenica 16 ottobre 2016.

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Proprio queste ultime parole sono di fondamentale importanza. La fede, infatti, in prima linea dipende dalla credibilità del testimone che tramanda il Vangelo.

Per il giovane Timoteo era la madre colei dalla quale l’aveva appreso. Una donna membro vivo della giovane Chiesa. Senz’altro c’era soprattutto lo stesso apostolo a istruire il giovane Timoteo e ad approfondire la sua conoscenza di Gesù Cristo.

Noi, invece, non abbiamo conosciuto di persona né Gesù né uno dei suoi apo-stoli, suoi testimoni immediati. Per noi, invece, il fondamento per la nostra fede è la testimonianza della Chiesa una santa cattolica e apostolica, la Chiesa che nei turbini e sciagure, sconfitte e ittorie è sopra issuta e ci circonda cos la Lettera agli brei – dal grande nugolo di testimoni, cioè di eroi di fede e carità, dei santi.

II

Un secondo momento per fondare la fede di Timoteo, dice san Paolo, erano le Sacre Scritture, che lui conosceva dalla sua infanzia. Era, ovviamente, l’Antico Testa-mento, cioè letto come profezia alla luce del suo compimento in Gesù Cristo.

A quelle Sacre Scritture spetta l’altissima autorità, perché – come abbiamo sentito – «tutta la Scrittura, infatti, è ispirata da Dio». Quindi è la Parola di Dio.

Quest’ultima affermazione vale ancora di più per il Nuovo Testamento che ci rife-risce fedelmente la vita, le parole e l’operato di Gesù Cristo, del lÒgow, cioè il Verbo eterno di Dio Padre fatto uomo.

Vale, carissimi, la pena di soffermarci un po’ su questo punto, perché oramai non ci sono pochi che considerano per esempio i Vangeli semplicemente come opere più o meno anonime di letteratura dell’antico Medioriente.

Opere, certamente di un loro fascino umano, morale, poetico – ma non di più. È veramente una questione di esistenziale importanza per ognuno di noi, se nel Nuovo Testamento incontriamo veramente la parola di Dio vivente o un libro di origine puramente umana.

Ma, come ci fanno capire le più moderne scienze storico-critiche, i Vangeli rife-

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Proprio queste ultime parole sono di fondamentale importanza. La fede, infatti, in prima linea dipende dalla credibilità del testimone che tramanda il Vangelo.

Per il giovane Timoteo era la madre colei dalla quale l’aveva appreso. Una donna membro vivo della giovane Chiesa. Senz’altro c’era soprattutto lo stesso apostolo a istruire il giovane Timoteo e ad approfondire la sua conoscenza di Gesù Cristo.

Noi, invece, non abbiamo conosciuto di persona né Gesù né uno dei suoi apo-stoli, suoi testimoni immediati. Per noi, invece, il fondamento per la nostra fede è la testimonianza della Chiesa una santa cattolica e apostolica, la Chiesa che nei turbini e sciagure, sconfitte e ittorie è sopra issuta e ci circonda cos la Lettera agli brei – dal grande nugolo di testimoni, cioè di eroi di fede e carità, dei santi.

II

Un secondo momento per fondare la fede di Timoteo, dice san Paolo, erano le Sacre Scritture, che lui conosceva dalla sua infanzia. Era, ovviamente, l’Antico Testa-mento, cioè letto come profezia alla luce del suo compimento in Gesù Cristo.

A quelle Sacre Scritture spetta l’altissima autorità, perché – come abbiamo sentito – «tutta la Scrittura, infatti, è ispirata da Dio». Quindi è la Parola di Dio.

Quest’ultima affermazione vale ancora di più per il Nuovo Testamento che ci rife-risce fedelmente la vita, le parole e l’operato di Gesù Cristo, del lÒgow, cioè il Verbo eterno di Dio Padre fatto uomo.

Vale, carissimi, la pena di soffermarci un po’ su questo punto, perché oramai non ci sono pochi che considerano per esempio i Vangeli semplicemente come opere più o meno anonime di letteratura dell’antico Medioriente.

Opere, certamente di un loro fascino umano, morale, poetico – ma non di più. È veramente una questione di esistenziale importanza per ognuno di noi, se nel Nuovo Testamento incontriamo veramente la parola di Dio vivente o un libro di origine puramente umana.

Ma, come ci fanno capire le più moderne scienze storico-critiche, i Vangeli rife-

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riscono fatti incontestabili che eccedono ogni umana esperienza, persino la risurre-zione di Gesù Cristo.

Basti questo accenno che per ora non possiamo approfondire.nfatti, la crittura acra contiene la parola i ina nella este, nella figura di pa-

role umane. La parola di Dio si incarna in parole umane come pure l’eterno Verbo, il lÒgow, s’incarna nella figura umana di es di Na aret. negare uell’insieme tra divino e umano in Gesù fu però, già nel IV secolo, Ario, presbitero di Alessandria, la cui eresia fu condannata dal Concilio di Nicea del 325, poiché aveva infettate – tran-ne Roma – grandi parti della Chiesa, anzi dell’episcopato.

Oggi l’eliminazione della natura divina di Gesù, molto diffusa nei nostri giorni, comporta logicamente pure la negazione dell’ispirazione divina delle Sacre Scritture, di cui ha parlato san Paolo.

Le conseguenze sono chiare: in quel caso il Nuovo Testamento non avrebbe più importanza per la mia vita che non l’Iliade o l’Odissea di Omero.

Non chiudiamo gli occhi, carissimi, alla brutta realtà di questi errori, di questo arianesimo redivivo, che oggi non sono meno diffusi pure all’interno della cattolicità che non l’eresia ariana nel secolo IV. Tanto per la Sacra Scrittura come fondamento della nostra fede.

Senz’altro, tornando a Timoteo, c’era, come abbiamo detto, pure l’apostolo san Paolo a istruirlo e approfondire la conoscenza di Gesù. Proprio quell’insieme della Sacra Scrittura e l’insegnamento personale dei testimoni con il nostro giudizio ragio-nato sulla credibilità di esso è – prescindendo dalla grazia di Dio – pure per noi il motivo decisivo per essere credenti.

III

lla fine san aolo si ri olge di nuo o direttamente al gio ane esco o di feso «Ti scongiuro davanti a Dio e a Gesù Cristo … annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni ma-

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gnanimità e dottrina».Naturalmente queste ammonizioni riguardavano anzitutto noi vescovi e sacer-

doti, ma in un certo senso tutti i cristiani, essendo pure loro chiamati e abilitati per il sacramento della cresima alla testimonianza della fede. Questa per noi tutti è una vocazione comune – e oggi più che mai urgente. Certo, l’annunzio della parola di un ministro ordinato è sempre diversa da quella di un fedele battezzato e cresimato. Però dev’essere sempre l’autentica parola di Dio senza alcuni elementi di soggettività, di individualismo. Perciò ognuno deve controllare – prima di parlare – se è veramente vero, autentico ciò che intende dire.

Un altro momento da considerare è l’occasione, sono i destinatari, le circostanze della nostra testimonianza. L’esortazione apostolica di alzare la voce in ogni occa-sione opportuna e non opportuna certamente non è un invito all’imprudenza. Lo stesso san Paolo per esempio sull’Areopago di Atene e davanti al procuratore Festo ha parlato molto diversamente che non come ai giudei di Gerusalemme. Comunque la parola dev’essere proclamata a seconda delle circostanze ma sempre con chiarezza e determinazione. Non come richiederebbe la political correctness dei nostri giorni.

Interessante è ciò che segue: Questa testimonianza dev’essere fatta «con ogni ma-gnanimità e dottrina». Makrodum€a, dice il testo greco, e quello latino di san Giro-lamo traduce: longanimità, anche pazienza. Comunque il senso è chiaro. Qualora si tratta della verità di fede bisogna evitare ogni specie di polemica, asprezza, disprezzo dell’interlocutore. Bisogna piuttosto spiegare pazientemente la verità, risolvere pro-blemi, cercare di convincere, non confutare. Ai cristiani di Colossa l’apostolo racco-manda: «Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito di sapienza, per sapere come rispondere a ciascuno». Annunciando, difendendo la fede dobbiamo combinare la verità con la carità. La carità è la chiave che apre i cuori alla verità.

Ma ciò non basta. L’apostolo parla anche della dottrina della fede. Il più bello, prezioso bicchiere all’assetato non serve se non c’è dentro altro che aria!

La fede del cristiano, infatti, non è un qualsiasi cieco sentimento religioso, ma ha come contenuto tutto ciò che Gesù ci ha rivelato su Dio, sul suo piano di salvezza del

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riscono fatti incontestabili che eccedono ogni umana esperienza, persino la risurre-zione di Gesù Cristo.

Basti questo accenno che per ora non possiamo approfondire.nfatti, la crittura acra contiene la parola i ina nella este, nella figura di pa-

role umane. La parola di Dio si incarna in parole umane come pure l’eterno Verbo, il lÒgow, s’incarna nella figura umana di es di Na aret. negare uell’insieme tra divino e umano in Gesù fu però, già nel IV secolo, Ario, presbitero di Alessandria, la cui eresia fu condannata dal Concilio di Nicea del 325, poiché aveva infettate – tran-ne Roma – grandi parti della Chiesa, anzi dell’episcopato.

Oggi l’eliminazione della natura divina di Gesù, molto diffusa nei nostri giorni, comporta logicamente pure la negazione dell’ispirazione divina delle Sacre Scritture, di cui ha parlato san Paolo.

Le conseguenze sono chiare: in quel caso il Nuovo Testamento non avrebbe più importanza per la mia vita che non l’Iliade o l’Odissea di Omero.

Non chiudiamo gli occhi, carissimi, alla brutta realtà di questi errori, di questo arianesimo redivivo, che oggi non sono meno diffusi pure all’interno della cattolicità che non l’eresia ariana nel secolo IV. Tanto per la Sacra Scrittura come fondamento della nostra fede.

Senz’altro, tornando a Timoteo, c’era, come abbiamo detto, pure l’apostolo san Paolo a istruirlo e approfondire la conoscenza di Gesù. Proprio quell’insieme della Sacra Scrittura e l’insegnamento personale dei testimoni con il nostro giudizio ragio-nato sulla credibilità di esso è – prescindendo dalla grazia di Dio – pure per noi il motivo decisivo per essere credenti.

III

lla fine san aolo si ri olge di nuo o direttamente al gio ane esco o di feso «Ti scongiuro davanti a Dio e a Gesù Cristo … annunzia la parola, insisti in ogni occasione opportuna e non opportuna, ammonisci, rimprovera, esorta con ogni ma-

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gnanimità e dottrina».Naturalmente queste ammonizioni riguardavano anzitutto noi vescovi e sacer-

doti, ma in un certo senso tutti i cristiani, essendo pure loro chiamati e abilitati per il sacramento della cresima alla testimonianza della fede. Questa per noi tutti è una vocazione comune – e oggi più che mai urgente. Certo, l’annunzio della parola di un ministro ordinato è sempre diversa da quella di un fedele battezzato e cresimato. Però dev’essere sempre l’autentica parola di Dio senza alcuni elementi di soggettività, di individualismo. Perciò ognuno deve controllare – prima di parlare – se è veramente vero, autentico ciò che intende dire.

Un altro momento da considerare è l’occasione, sono i destinatari, le circostanze della nostra testimonianza. L’esortazione apostolica di alzare la voce in ogni occa-sione opportuna e non opportuna certamente non è un invito all’imprudenza. Lo stesso san Paolo per esempio sull’Areopago di Atene e davanti al procuratore Festo ha parlato molto diversamente che non come ai giudei di Gerusalemme. Comunque la parola dev’essere proclamata a seconda delle circostanze ma sempre con chiarezza e determinazione. Non come richiederebbe la political correctness dei nostri giorni.

Interessante è ciò che segue: Questa testimonianza dev’essere fatta «con ogni ma-gnanimità e dottrina». Makrodum€a, dice il testo greco, e quello latino di san Giro-lamo traduce: longanimità, anche pazienza. Comunque il senso è chiaro. Qualora si tratta della verità di fede bisogna evitare ogni specie di polemica, asprezza, disprezzo dell’interlocutore. Bisogna piuttosto spiegare pazientemente la verità, risolvere pro-blemi, cercare di convincere, non confutare. Ai cristiani di Colossa l’apostolo racco-manda: «Il vostro parlare sia sempre con grazia, condito di sapienza, per sapere come rispondere a ciascuno». Annunciando, difendendo la fede dobbiamo combinare la verità con la carità. La carità è la chiave che apre i cuori alla verità.

Ma ciò non basta. L’apostolo parla anche della dottrina della fede. Il più bello, prezioso bicchiere all’assetato non serve se non c’è dentro altro che aria!

La fede del cristiano, infatti, non è un qualsiasi cieco sentimento religioso, ma ha come contenuto tutto ciò che Gesù ci ha rivelato su Dio, sul suo piano di salvezza del

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mondo e soprattutto su se stesso e il mistero della sua missione.È evidente quanto importante per la salvezza dell’uomo è la conoscenza di quela

verità, che è l’unico fondamento su cui costruire la vita.Su di noi, che siamo chiamati al ministero della parola, perciò, incombe la gravis-

sima responsabilità per l’intera, chiara e precisa trasmissione di quanto ci ha rivelato il Signore.

IV

Vedete, carissimi, di quanta attualità, malgrado la distanza di due millenni tra noi e Timoteo, è quella lettera di san Paolo appena letta.

Salta agli occhi quanto somiglia la situazione nostra nel mondo di oggi a quella della Chiesa nascente nell’impero Romano di allora. Le grandi potenze politiche, le correnti intellettuali, il disfacimento della società anzitutto della famiglia – tutto ciò è contrario al disegno del Creatore.

Ma come allora ancor oggi vale l’ammonimento apostolico ora rivolto a noi: «an-nunzia la parola, insisti in ogni occasione … ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina».

Non esitiamo, non stanchiamoci, dunque, di adempiere – ognuno a sua volta – questo comandamento apostolico. Il Signore – avendo noi seminato – darà l’incre-mento.

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mondo e soprattutto su se stesso e il mistero della sua missione.È evidente quanto importante per la salvezza dell’uomo è la conoscenza di quela

verità, che è l’unico fondamento su cui costruire la vita.Su di noi, che siamo chiamati al ministero della parola, perciò, incombe la gravis-

sima responsabilità per l’intera, chiara e precisa trasmissione di quanto ci ha rivelato il Signore.

IV

Vedete, carissimi, di quanta attualità, malgrado la distanza di due millenni tra noi e Timoteo, è quella lettera di san Paolo appena letta.

Salta agli occhi quanto somiglia la situazione nostra nel mondo di oggi a quella della Chiesa nascente nell’impero Romano di allora. Le grandi potenze politiche, le correnti intellettuali, il disfacimento della società anzitutto della famiglia – tutto ciò è contrario al disegno del Creatore.

Ma come allora ancor oggi vale l’ammonimento apostolico ora rivolto a noi: «an-nunzia la parola, insisti in ogni occasione … ammonisci, rimprovera, esorta con ogni magnanimità e dottrina».

Non esitiamo, non stanchiamoci, dunque, di adempiere – ognuno a sua volta – questo comandamento apostolico. Il Signore – avendo noi seminato – darà l’incre-mento.

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