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COME STUDIARE LE ORGANIZZAZIONI - DI GIUSEPPE BONAZZI – IL MULINO CAPITOLO 1 LA BUROCRAZIA COME ORGANIZZAZIONE RAZIONALE E LE SUE VARIANTI STORICHE 1.1 COMPRENDERE LE ISTITUZIONI. IL CONCETTO DI MODELLO IDEALE 1.2 Il primo grande nome che incontriamo è Max Weber (1864 - 1920), il suo metodo di analisi può essere definito "comprendente e istituzionale". Comprendente perché l'oggetto di studio della sociologia è l'agire dotato di senso, che Weber definisce come "l'atteggiamento umano a cui l'individuo che agisce attribuisce un suo senso soggettivo in riferimento all'atteggiamento di altri individui". Scopo della ricerca sociologica è fornire una "spiegazione comprendente" dell'agire sociale di una o più persone, spiegare vuol dire trovare le cause che si suppone abbiano provocato un dato agire, comprendere vuol dire rendere evidente il senso che il soggetto ha dato al suo agire in rapporto a quelle cause. Istituzionale perché studia le condizioni e i vincoli che determinate istituzioni sociali pongono sia all'agire umano che al senso che i soggetti danno del loro agire. Gli uomini hanno creato istituzioni statali (monarchia, repubblica), politiche (democrazia, dittatura etc), giudiziarie (magistratura) economiche (latifondo agrario, capitalismo etc) religiose (chiese sette monasteri etc) etc. A differenza di Marx che privilegia i rapporti economici, di Freud che privilegia gli impulsi libidici dell'individuo, Max Weber non privilegia nessun fattore, non mira a dare spiegazioni generali della storia, la sua attenzione è rivolta a studiare le infinite forme istituzionali apparse nel corso della storia umana, i presupposti materiali, sociali, culturali, religiosi, economici che le hanno fatte nascere, le affinità tra varie istituzioni in apparenza lontane tra loro. Un esempio che fa comprendere meglio il pensiero di Weber è la sua ricerca sui rapporti tra spirito del capitalismo ed etica protestante, indicò nell'insieme delle convinzioni etiche e religiose di ispirazione calvinista (rigore di costumi, vita attiva ed ordinata, propensione al risparmio) un importante elemento di legittimazione dell'agire capitalistico ai suoi primordi. Weber e i tipi ideali: suo fondamentale strumento di ricerca, sono modelli che esistono solo nella mente del ricercatore, per costruire il tipo ideale il ricercatore osserva e seleziona fra tutti gli aspetti di una data realtà gli elementi che sembrano più significativi, li collega tra loro, li accentua e coordina in un quadro che deve essere coerente; è sempre un concetto limite, una forma che non si trova in realtà; il ricercatore osserva una realtà e valuta in che misura essa si avvicina o discosta da un certo tipo ideale. Il tipo ideale

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COME STUDIARE LE ORGANIZZAZIONI -  DI GIUSEPPE BONAZZI – IL MULINO

CAPITOLO 1

LA BUROCRAZIA COME ORGANIZZAZIONE RAZIONALE E LE SUE VARIANTI STORICHE

1.1 COMPRENDERE LE ISTITUZIONI. IL CONCETTO DI MODELLO IDEALE1.2 Il primo grande nome che incontriamo è Max Weber (1864 - 1920), il suo metodo di analisi può essere

definito "comprendente e istituzionale".

Comprendente perché l'oggetto di studio della sociologia è l'agire dotato di senso, che Weber definisce come "l'atteggiamento umano a cui l'individuo che agisce attribuisce un suo senso soggettivo in riferimento all'atteggiamento di altri individui". Scopo della ricerca sociologica è fornire una "spiegazione comprendente" dell'agire sociale di una o più persone, spiegare vuol dire trovare le cause che si suppone abbiano provocato un dato agire, comprendere vuol dire rendere evidente il senso che il soggetto ha dato al suo agire in rapporto a quelle cause.

Istituzionale perché studia le condizioni e i vincoli che determinate istituzioni sociali pongono sia all'agire umano che al senso che i soggetti danno del loro agire . Gli uomini hanno creato istituzioni statali (monarchia, repubblica), politiche (democrazia, dittatura etc), giudiziarie (magistratura) economiche (latifondo agrario, capitalismo etc) religiose (chiese sette monasteri etc) etc.

A differenza di Marx che privilegia i rapporti economici, di Freud che privilegia gli impulsi libidici dell'individuo, Max Weber non privilegia nessun fattore, non mira a dare spiegazioni generali della storia, la sua attenzione è rivolta a studiare le infinite forme istituzionali apparse nel corso della storia umana, i   presupposti materiali, sociali, culturali, religiosi, economici che le hanno fatte nascere, le affinità tra varie istituzioni in apparenza lontane tra loro. Un esempio che fa comprendere meglio il pensiero di Weber è la sua ricerca sui rapporti tra spirito del capitalismo ed etica protestante, indicò nell'insieme delle convinzioni etiche e religiose di ispirazione calvinista (rigore di costumi, vita attiva ed ordinata, propensione al risparmio) un importante elemento di legittimazione dell'agire capitalistico ai suoi primordi.Weber e i tipi ideali: suo fondamentale strumento di ricerca, sono modelli che esistono solo nella mente del ricercatore, per costruire il tipo ideale il ricercatore osserva e seleziona fra tutti gli aspetti di una data realtà gli elementi che sembrano più significativi, li collega tra loro, li accentua e coordina in un quadro che deve essere coerente; è sempre un concetto limite, una forma che non si trova in realtà; il ricercatore osserva una realtà e valuta in che misura essa si avvicina o discosta da un certo tipo ideale.Il tipo ideale

è un concetto qualitativo costruito selezionando e accentuando aspetti della realtà osservata, la sua capacità euristica dipende dalla bravura del ricercatore;

non indica qualcosa che si possa desiderare, per Weber un tipo ideale non h nulla a che fare con una perfezione che non sia puramente logica;

1.2 FORME PURE DI POTERE, LEGITTIMAZIONE E BUROCRAZIA.

Weber costruisce tipi ideali per lo studio del potere. Definisce il potere come "la possibilità per specifici comandi di trovare obbedienza da parte di un determinato gruppo di uomini".Il potere ha una natura relazionale e specifica.

E' relazionale perché nasce dal rapporto tra chi comanda e chi accetta di obbedire. E' specifica perché bisogna sempre stabilire le circostanze, condizioni e limiti in cui un rapporto di potere

si instaura.

Il potere ha due proprietà:

1. se esercitato in modo continuativo richiede di essere legittimato.

2. per essere esercitato ogni potere legittimo ha bisogno di un apparato amministrativo, diverso a seconda del tipo di legittimazione di cui gode il potere, dove la forma di legittimazione del potere è il vero oggetto di studio sociologico.

Weber distingue tre forme di potere legittimato:

1. Potere carismatico: da carisma (dono della grazia) si basa su qualità eccezionali e a volte sovraumane che i seguaci attribuiscono a un capo. Non è detto che tale potere duri, nella sua forma pura secondo Weber questo potere è irrazionale, manca di regole, è rivoluzionario perché rovescia il passato. Secondo Weber tale potere nasce da una rottura radicale con le Istituzioni. L'apparato amministrativo del potere carismatico è rudimentale, formato da discepoli a diretto contatto con il capo, persone che hanno dato prova di fedeltà. Tale potere trova la sua forma più pura nella sfera religiosa ma anche nella sfera politica dei grandi rivoluzionari e nella sfera economica dei grandi imprenditori. Tale movimento si affievolisce con la scomparsa del capo o se si ritira e i suoi seguaci trasformano il carisma in pratica quotidiana, Weber la definisce routinizzazione del carisma, diventando alla fine un potere burocratico o tradizionale.

2. Potere Tradizionale o burocratico: fonda la sua legittimità su ordinamenti antichi ed esistenti da sempre, chi ha il potere è rispettato in virtù della tradizione, può non avere personali doti di comando, un esempio è il sovrano che regna in base a un diritto di sangue. In tale potere si assegnano cariche in base all'appartenenza ad un gruppo privilegiato e in questo si trova il punto debole di tale potere, sempre minacciato dall'insorgere di un capo carismatico, oppure alla messa in discussione dell'assenza di capacità del detentore del potere.

3. Potere legale o razionale: chi comanda lo fa in virtù di una nomina legale, l'ordinamento in tal caso è ispirato a criteri astratti ed universali, applicabilki in modo equo a tutti i casi simili, anche il detentore di potere è tenuto a rispettare l'ordinamento stesso, il carattere universalistico del potere legale è prerogativa degli stati di diritto dove i soggetti sono dei cittadini con diritti riconosciuti.

1.3 SUPERIORITA' TECNICA ED AMBIVALENZE DELLA BUROCRAZIA

L'apparato amministrativo tipico è la burocrazia che assume la sua forma più completa nella società moderna. Weber distingue razionalità rispetto al valore e razionalità rispetto allo scopo. Il valore è buono, lo scopo è qualcosa che si prefiggono vari soggetti indipendentemente dal suo valore etico. Weber non sostiene che la burocrazia sia orientata verso dei valori, con scopi sempre benefici ma pensa che la burocrazia può anche essere usata per scopi di sfruttamento oppressione e morte. Weber pensa che la burocrazia in quanto strumento tecnico è superiore a qualsiasi altra amministrazione, il suo studio è rivolto è rivolto ad esaminare le ragioni per cui un modello puro di burocrazia è superiore ad altri modelli puri di amministrazione. Weber vede la burocratizzazione come una tendenza generale della società moderna, la sua originalità sta nel fatto che in un'epoca segnata dall'avvento di grandi progetti politici come il socialismo, il liberalitarismo o il comunitarismo cristiano, capisce che non sono queste le novità destinate ad affermarsi nel mondo bensì è la burocratizzazione, un processo universale che accompagna la realizzazione di qualsiasi processo politico-sociale nel mondo contemporaneo. Il potere burocratico ha una particolarità, è acefalo, non ha cioè dentro di sé le direttive supreme di natura politica che guidano le scelte di un paese o di un’organizzazione. La burocrazia è sempre un apparato al servizio di un potere politico che si può basare su forme di legittimazione carismatica, tradizionale o razionale ossia è conforme ai principi di uno Stato di diritto. Responsabile di un apparato burocratico è il funzionario che segue le direttive di un capo politico, mentre il capo politico cambia a seconda delle vicende politiche il funzionario resta. tra capo politico e funzionario si instaura un rapporto complesso, uno ha bisogno dell'altro, i funzionarti attuano i programmi dei politici interpretandoli e adattandoli, grande il loro potere perché li possono attenuare, ritardare sabotare di nascosto. La burocrazia può anche essere avversa a un parlamento democraticamente eletto, se quest'ultimo è male informato diventa impotente, il problema è quello di evitare degenerazioni burocratiche nel funzionamento dello Stato, impostando un rapporto corretto tra potere politico e potere burocratico. Weber crede che si controlla bene il potere burocratico in paesi dove esiste libertà di stampa e di denuncia, e dove c'è una classe politica non dilettante, professionalizzata e capace di controllare la macchina burocratica. 1.4 LA BUROCRAZIA TRA TIPO IDEALE E VARIANTI STORICHE Weber delinea un modello ideale di burocrazia espresso in dieci punti:

1. Fedeltà di ufficio: dovere di obbedienza ai superiori anche se questi cambiano, cosa che non accade con il potere carismatico e tradizionale.

2. Competenza disciplinata: i dipendenti svolgono compiti precisi secondo norme prestabilite, capaci di svolgere e tenuti a svolgere.

3. Gerarchia degli Uffici: rigido sistema di subordinazione dell'autorità con poteri di controllo e direzione dei superiori sugli inferiori.

4. Preparazione specializzata: corso di studi predeterminato per acquisire conoscenze per svolgere i compiti preposti.

5. Concorsi pubblici: così si entra in burocrazia, per merito con un concorso.

6. Sviluppo di una carriera: possibilità di ricoprire funzioni sempre più alte.

7. Attività a tempo pieno: professione continuativa che diventa l'attività primaria da svolgere.

8. Segreto di ufficio: non divulgazione delle pratiche di ufficio.

9. Stipendio monetario fisso: si è pagati per l'amministrazione per cui si lavora.

10. Non possesso degli strumenti del proprio lavoro: gli strumenti sono in dotazione dell'amministrazione per cui si lavora.

Anche se l'ideal-tipo della burocrazia si presenti in modo astratto ed universale si rispecchia nell'epoca in cui Weber si trova, tra il XIX e XX secolo, e cioè l'immaginario che egli aveva in mente era quello di un mondo maschile fatto di funzionari servitori dello Stato prussiano, un ordinamento statale simile a una sorta di assolutismo burocratico come dice Bendix (1966). Inoltre quel modello, proprio perché puro ed estremo, consente di assumere tutti i suoi tratti ideali come aspetti che nella realtà possono variare: possono essere considerati come variabili con valori anche lontani da quelli indicati da Weber. I mutamenti consentono di costruire tipi puri delle varianti e delle deviazioni da quelle istituzioni.1.5 LA LEADERSHIP NELLA BUROCRAZIA: RAZIONALE, CARISMATICA O TRADIZIONALE ?Il Burocrate puro non chiede né di essere amato né di essere temuto per i suoi tratti caratteriali, trae la sua autorevolezza dalla legge, non sono previsti né tradizione, né carisma nella burocrazia pura vige solo la fedeltà di ufficio. Weber sa di definire un tipo ideale puro e privo di spessore umano, non esiste un uomo così perfetto ma lui vuole vedere in termini di analisi sociologica le conseguenze che derivano dal riconoscere che in un’organizzazione burocratica si può obbedire e per quali ragioni. Uno spunto su ciò arriva da un sociologo israeliano, Etzioni (1961) che osserva che il carisma non nasce solo dal rifiuto di un ordine preesistente ossia fuori e contro le istituzioni, ma può nascere dentro le istituzioni sull'onda del successo che il capo ottiene nell'opera di rafforzarle e rinnovarle. Il carisma può anche essere esercitato su persone esterne all'organizzazione. Biggart (1989) parla di capitalismo carismatico a proposito dei venditori che riescono a fare un grande fatturato imbambolando i clienti con la loro capacità di persuasione. Fin qui gli effetti benefici del carisma, ma non è sempre così. Osserva Etzioni che personaggi come un medico un professore etc porta prestigio all'organizzazione senza che questa lo possieda direttamente e in tal caso l'obbedienza al professionista carismatico si avvicina all'obbedienza razionale della burocrazia pura, elemento di differenza tra le due è l'attaccamento emotivo al professionista che non c'è nella burocrazia pura. altro problema si pone nelle carceri, l'apparato di custodia ha criteri burocratici ma tra i detenuti vi sono spesso leader con carisma che conservano un attivo appoggio negli ambienti malavitosi esterni. Infine in una burocrazia ci possono essere aspetti tradizionali, un agire tradizionale si presenta quando dirigenti funzionari o impiegati fanno carriera non per merito ma per appartenenza a determinati gruppi sociali, le raccomandazioni sono una pratica attiva perseguita e verbalmente deprecata come segno di nepotismo e clientelismo. Altra situazione d’intreccio tra criteri tradizionali e razionali o meritocratici, si ha nelle carriere accademiche dove un docente porta un proprio allievo in concorso. 1.6 BUROCRAZIA PROFESSIONALE O BUROCRAZIA MECCANICA ?

Mentre Weber era interessato solo a delineare i tratti generali e comuni della burocrazia pura, la sociologia post-weberiana sente l'esigenza di distinguere tra i diversi tipi di burocrazia, con doveri, competenze precise, controlli più o meno diretti, carriere più o meno potenti e prestigiose. Gouldner (1954) osserva che il principio weberiano di competenza disciplinata si basa su una tensione che lo rende instabile, la competenza contrasta con la disciplina,

chi svolge un ruolo di alta competenza e responsabilità, è autonomo e padrone delle conoscenze professionali necessarie, ogni intervento esterno è visto come un'interferenza che minaccia l'autonomia se poi gli interventi sono volti a dare indicazioni sui contenuti del lavoro si apre un conflitto tra la competenza professionale e la fedeltà alla gerarchia dell'organizzazione. Nella maggior parte delle burocrazie ci sono lavori di elevata professionalità con un principio di competenza istituzionalmente riconosciuto come superiore a quello di disciplina, e lavori di scarso livello professionale con il principio di disciplina che sovrasta quello di competenza. Da qui la tesi di Gouldner di superare il modello weberiano per giungere a un modello duale che si divide in burocrazia basata sul principio di competenza e burocrazia basata sul principio di disciplina. Si sviluppa da qui si giunge alla visione di Mintzberg (1979) che distingue in burocrazia professionale (ruoli con  margini discrezionali, e iniziativa personale, gli addetti operano al chiuso nei loro uffici, riservatezza e non controllo diretto da parte dei superiori) e burocrazia meccanica (mansioni ripetitive standardizzate, procedure prestabilite, gli addetti operano in ambienti aperti, controllo diretto da parte dei superiori) sulle quali, secondo Mintzberg, l'organizzazione esercita dei controlli: nella burocrazia professionale il controllo è esercitato sulla formazione iniziale dei funzionari (capacità e risultati), in quella meccanica il controllo è esercitato sulle modalità di prestazione del lavoro affidato. Chi invece valuta i gradi di professionalità in seno a un organizzazione burocratica è Jaques (1976) che dice che se un lavoro è ricco di contenuti discrezionali e di professionalità si allunga il periodo di iniziativa personale e l'organizzazione esercita il controllo di merito solo per le decisione prese, più si sale di livello più diminuiscono i controlli, un operaio controllato sempre un direttore solo due tre volte all'anno. Jaques offre una scala a livelli di professionalità crescente che consente di precisare il concetto di burocrazia professionale, ma tale modello fu elaborato negli anni 60 e oggi va rivisitato a fronte di monitoraggi elettronici e figure professionali complesse, oggi alcuni lavori vanno monitorati permanentemente per garantire sicurezza ed entra in crisi il suo presupposto di equivalenza tra responsabilità e autonomia. Infine, comparando il processo di burocratizzazione di Weber e l'organizzazione scientifica del lavoro di Taylor (taylorismo), notiamo che, mentre Weber vede nella razionalizzazione burocratica il processo distintivo della società moderna, la taylorizzazione che investì le fabbriche nella prima metà del XX secolo, si impone come espressione più coerente ed estrema di quel processo. Il taylorismo può essere giudicato come la manifestazione più estrema di burocrazia meccanica, Taylor calcolò che si poteva aumentare di tre o quattro volte l'efficienza produttiva delle fabbriche se si separava completamente il lavoro tecnico da quello esecutivo e si standardizzava quest'ultimo prescrivendo meticolosamente tempi, movimenti fisici e strumenti da usare, il lavoro umano diventa dunque appendice della macchina. La penosità del primo taylorismo si è attenuato per effetto delle nuove tecnologie, della protesta operaia e dei nuovi orientamenti del managment. Oggi si parla di neotaylorismo sfiorito nelle fabbriche e diffuso nei servizi, Mc Donald's, lavoro telefonico nei call center, moderni studi dentistici, medici o legali dove il lavoro segue delle strette procedure predeterminate e allo stesso tempo le le competenze diventano sempre più settoriali. 1.7 GERARCHIA DI UFFICIO Il burocrate puro di Weber è inserito in una gerarchia che occupa un grado preciso, ha dei superiori, dei pari grado e degli inferiori. In un organizzazione burocratica comandi e controlli procedono sempre attraverso gerarchie (esempio guarnigione militare, convento, sindacato). Tra gli anni '30 e '50 la scienza del managment ha a lungo esaminato e discusso le diverse forme che può assumere una gerarchia: gerarchie lunghe, con molti livelli, gerarchie corte con pochi livelli, gerarchie con controllo dall'alto, gerarchie che lasciano discrezionalità, quelle fondate sull'autorità formale o sulla competenza, quelle con un solo superiore e quelle con diversi responsabili. Tale tema è affrontato negli anni '60, '70 da un programma di ricerche sociologiche, la cd scuola di contingenze, di origine britannica, che prende il nome dal fatto che non esiste un modo unico e ottimale (l'one best way di Taylor) di costruire un organizzazione, ma tanti diversi modi la cui scelta ottimale dipende dalle circostanze o contingenze. La variabile strategica messa in luce dalla ricerca ispirate a tale teoria è quella che si colloca lungo la dimensione tranquillità-turbolenza dell'ambiente in cui l'organizzazione opera: in un ambiente tranquillo gli eventi sono ordinari ripetitivi e prevedibili, in un ambiente turbolento gli eventi sono imprevedibili e sempre nuovi. L'ambiente tranquillo è gestito meglio da una gerarchia burocratica tradizionale, un gerarchia lunga, procedure precise e regolari, un ambiente turbolento richiede una gerarchia corta, rapidità di comunicazione, ruoli non predefiniti apertura alle novità, lavoro in team e capacità di iniziativa. Lawrence e Lorsch (1967) scoprirono che all'interno di un organizzazione possono coesistere diverse strutture, molteplici ambienti caratterizzati da diversi gradi di turbolenza. Fecero una ricerca su alcune imprese produttrici, scoprirono che produzione, uffici commerciali, centri di ricerca e sviluppo sono mondi separati dove il mondo di produzione è quello più burocratico e formale, il mondo di ricerca e sviluppo è il più flessibile, per conciliare diversi mondi le imprese avevano istituito staff incaricati di integrare tutte le parti dell'organizzazione e che svolgessero una attività di interfaccia. Altra soluzione per situazioni complesse è la struttura matrice, si chiama così per via della sua struttura gerarchica verticale alla quale viene sovrapposta una struttura che taglia orizzontalmente le divisioni gerarchiche, le

linee orizzontali poi, corrispondono ad altrettanti progetti da portare a termine in termini più o meno lunghi che necessitano di personale facente parte di varie sezioni e che si trovano ad operare in due strutture aziendali, quella istituzionale (attività ordinaria) e in quella del progetto (compiti temporanei). L'organizzazione a matrice ha il vantaggio di essere flessibile, polimorfa, destinata a sciogliersi una volta che l'obiettivo è raggiunto, per avere successo si devono superare le resistenze delle strutture tradizionali chiamate a svolgere funzioni inconsuete. Alcuni autori chiamano tale modello post-burocratico, perché si basa sulla comunicazione diffusa e responsabilità di gruppo per gestire i problemi tecnici, sociali complessi. 1.8 PREPARAZIONE SPECIALIZZATA Una preparazione specializzata secondo Weber è indispensabile per svolgere efficientemente un compito in seno ad una burocrazia. Negli anni 30 Merton, critico del modello weberiano di burocrazia, attirò l'attenzione sul fatto che la formazione professionale data ai funzionari poteva non essere adeguata e parlò di incapacità addestrata, quando le azione basate sull'addestramento e l'abilità tecnica possono risultare inappropriate sotto mutate condizioni, quando la realtà muta sorgono problemi inediti e l'addestramento troppo specifico del funzionario si traduce in mancanza di duttilità nell'applicazione delle norme e non conseguimento degli scopi prefissati. Oggi il cambiamento avvenuto è radicale, le competenze acquisite hanno una scadenza più breve rispetto al passato (esempio informatica o medici) e si ripensa il modo di lavorare, l'innovazione investe il mondo della burocrazia professionale ma anche quella meccanica che deve adeguarsi ad esempio all'informatica e alla comunicazione elettronica. 1.9 CONCORSI PUBBLICI CARRIERA E TEMPO PIENO. Il burocrate puro entra nell'organizzazione con un concorso pubblico che è l'istituzione che garantisce equità di criteri nel giudicare i  concorrenti e decidere il più meritevole, privilegiando la competenza. Oggi oltre ai concorsi che regolano le assunzioni dall'esterno ci sono concorsi interni che decidono l'avanzamento di carriera del personale già assunto, se si crea un posto vacante l'organizzazione da la precedenza ai già assunti che hanno diritto di precedenza, i mercati interni del lavoro possono essere una fonte legale di ineguaglianza sociale ma nel contempo favoriscono la sicurezza di un impiego stabile e lo sviluppo di una carriera . Ma nella società contemporanea c'è un accentuarsi della precarietà dei rapporti di lavoro, oggi si celebra il lavoro flessibile. La letteratura distingue tre tipi di flessibilità:

1. flessibilità funzionale: lavoratore che svolge molti lavori e disponibile a trasferirsi in sedi diverse della stessa impresa.

2. flessibilità finanziaria: introduce maggior competizione individuale tra i lavoratori e supera i vincoli dei contratti collettivi sindacali.

3. flessibilità numerica: l'impresa assume e licenzia liberamente secondo le sue necessità.

L'effetto congiunto delle tre flessibilità ha creato un doppio mercato del lavoro, uno centrale occupato da lavoratori forti, con elevate competenze professionali e scarso rischio di disoccupazione e uno periferico dei lavoratori deboli poco qualificati ad alto rischio di disoccupazione, questo oggi rappresenta una delle maggiori fonti di disuguaglianza sociale, inoltre si diffondono lavori part time.1.10 SEGRETO DI UFFICIO E SEPARAZIONE TRA VITA PUBBLICA E VITA PRIVATA.Secondo Weber, connessa al segreto, è la separazione tra la vita pubblica e quella privata, secondo Weber il burocrate puro osserva il segreto d'ufficio. Oggi anche questo aspetto cambia e si possono trovare tre novità:

1. sviluppo dei mass media che impone una revisione delle normative e delle pratiche di tutela del segreto di ufficio, oggi da un lato ci sono vari gradi di riservatezza, notizie ufficiose, confidenziali, riservate, segrete, top secret, dall'altro le stesse organizzazioni sono interessate a far trapelare informazioni per creare climi di attesa, sviare l'attenzione da altri argomenti, sondare il terreno, o per favorire questo o quel giornale o televisione per farsela amica, determinando l'uso calcolato dell'informazione.

2. diffusione dell'informatica che fa aumentare in modo esponenziale il volume delle comunicazioni e abbassa la soglia di controllo, il telelavoro ad esempio è all'opposto dell'idea di Weber di riservatezza.

3. Mondo della produzione e ridefinizione del concetto di segreto industriale, oggi ci si serve di una rete di fornitori esperti che collaborano anche con la concorrenza, che passano da un'impresa all'altra e che fanno sì che il loro know how sia sempre lo stesso e sia applicato ad imprese in concorrenza annullando le differenze. I segreti hanno vita breve, le imprese antagoniste spesso creano joint ventures su taluni progetti.

1.11 STIPENDIO MONETARIO FISSO

Il burocrate puro percepisce uno stipendio fisso, i cittadini pagano l'amministrazione in via diretta (tasse tariffe) o indiretta (tributi). La separazione tra retribuzione e costo del servizio è per Weber la condizione primaria per evitare favoritismi e per garantire imparzialità dell'ufficio. Tutto ciò va considerato insieme al fatto che il carattere burocratico o non burocratico di una prestazione lavorativa dipende dal contesto istituzionale in cui essa si svolge. Ad esempio un medico che lavora in ospedale ha un rapporto burocratico con il paziente, ma lo stesso medico che ha uno studio privato ha un rapporto professionale con i suoi pazienti dello studio privato. In alcuni mestieri questo doppio status giuridico della prestazione non è possibile o per ragioni materiali (ferrovieri, piloti di aereo) o per divieti legali (poliziotti, finanzieri che lo possono fare solo una volta dimessi dall'amministrazione pubblica). Una serie di occupazioni poi, appartengono alla sfera delle burocrazie ibride, l'impiego privato dove il dipendente riceve una retribuzione fissa in parte e una parte di retribuzione a seconda della sua incidenza sul fatturato del prodotto venduto (venditori di immobili, agenti di borsa, un caso particolare è   l'istituto della mancia il cui status secondo Whyte, 1948, ha uno statuto ambiguo perché le mance le percepiscono ceti inferiori ma rappresentano una fonte di reddito sostanzioso). Studi di economia del lavoro hanno riconosciuto che le politiche retributive sono utili per esaminare le differenze tra le varie organizzazioni e ci sono in tali politiche, quattro dimensioni significative:

1. livello retributivo rispetto ai valori di mercato: quanto più le retribuzioni sono alte tanto più l'organizzazione seleziona gli elementi migliori disponibili sul mercato del lavoro.

2. curva retributiva nel tempo: retribuzioni basse all'inizio che si alzano col passare del tempo comporta il fatto che i dipendenti tendono a rimanere presso quell'organizzazione per tutta la loro vita lavorativa.

3. ampiezza della differenza tra retribuzioni minime e massime: se la differenza è bassa l'organizzazione ha principi di egualitarismo.

4. incentivi monetari e/o simbolici: legati a parametri di produttività, efficienza, operosità, qualità del prodotto o della prestazione, scarso assenteismo. Particolari forme di incentivo sono la partecipazione agli utili dell'impresa, e possibilità offerta ai dipendenti di diventare per un certo periodo piccoli imprenditori.

1.12 NON POSSESSO DEGLI STRUMENTI DEL PROPRIO LAVORO

Il burocrate non possiede gli strumenti del proprio lavoro, questo per Weber è un tratto peculiare nella società moderna. Oggi capita che siano possibili usi personali più o meno leciti degli strumenti per scopi privati, soprattutto per i funzionari è difficile stabilire il confine preciso nell'uso di certi beni per scopi di ufficio o privati. Oltre un certo limite l'uso privato delle risorse di ufficio tende ad essere giudicato un segno di lassismo ed incuria.

1.13 CONCLUSIONI. I TRATTI ESSENZIALI DI UNA BUROCRAZIA PURA.

Le dieci caratteristiche di Weber nella loro forma pura delineano il modello ideale di burocrazia per Weber. La razionalità di tale modello, implica che una burocrazia pura, tenta di eliminare o controllare il più possibile ogni influenza extraorganizzativa sul comportamento dei suoi membri.

La burocrazia pura è:

1. una struttura centralizzata: perché le decisioni critiche sono materia esclusiva del vertice, quelle di routine sono delegate a livelli inferiori e periferici.

2. una struttura standardizzata o formalizzata: perché i dipendenti sono tenuti a rispettare tali procedure che si presume siano le più adatte a raggiungere gli scopi, perché l'uniformità dei comportamenti permette la sostituibilità degli addetti.

3. una struttura rigida: perché non prevede cambiamenti, poiché la burocrazia è uno strumento razionale per raggiungere determinati scopi, è essa la fonte di cambiamento che avvengono negli ambienti toccati dalla sua azione.

CAPITOLO 2

LE ORGANIZZAZIONI COME SISTEMI COOPERATIVI: IL RUOLO DEI SOGGETTI.

2.1 BARNARD: OLTRE L'ORGANIZZAZIONE PURAMENTE RAZIONALE E FORMALE.

Secondo il lascito di Weber e Taylor la burocrazia con la sua struttura gerarchica, rigida e formalizzata, è l'espressione più compiuta di razionalità dove ogni iniziativa dei soggetti è vista come devianza da reprimere. Ma lo sviluppo delle scienze sociali e degli studi organizzativi avviene con la critica a quell'impianto teorico. Il primo teorico in tal senso è Chester Barnard (1886 - 1961), americano, alto dirigente della Bell Telephone company, dove lavorò per 40 anni. Nel 1938 pubblica "Le funzioni del dirigente" dove sostiene che per comprendere il funzionamento delle organizzazioni si devono tener presenti i moventi che spingono gli individui a contribuire alle organizzazioni stesse. Barnard scrive riflettendo sulla propria esperienza di alto dirigente e il ruolo centrale svolto dal dirigente nel decidere le sorti dell'impresa è il primo elemento che lo porta a constatare l'insufficienza di un approccio che trascura la componente umana. Il contesto storico in cui Barnard si colloca nel periodo in cui si sostituisce il padrone con il manager professionista e dallo schema dicotmico proprietà - dipendenti si passa allo schema tricotomico proprietà - manager - dipendenti. Inoltre il pensiero manageriale comincia ad essere investito dalla cd Scuola delle Relazioni Umane che tra gli anni '20 e '30 dopo una serie di ricerche arrivarono alla conclusione che i fattori psicosociologici costituiscono un potente strumento di motivazione al lavoro. Tale scuola concepisce le organizzazioni come sistemi naturali, spontanei, adattivi, influenzati dai soggetti che vi operano e dall'ambiente circostante, sostituiscono alla visione di organizzazione come macchina una visione di organizzazione come organismo le cui cellule sono le persone e i gruppi che esse formano. Oggetto principale della ricerca di Barnard è l'operato dei manager, persone con responsabilità di comando e tenute a una continua mediazione tra gli interessi dell'organizzazione e quella dei membri che a vario titolo sono coinvolti nel suo funzionamento, devono essere considerate entrambe le visioni formale e informale di organizzazione.

2.2 LA PARABOLA DEL MASSO. L'ORGANIZZAZIONE COME SISTEMA COOPERATIVO.

Parabola: un uomo che viaggia su una strada solitaria incontra un masso che non gli permette di passare. Da solo non riesce a spostarlo, aspetta che arrivi qualcun'altro che debba passare come lui in modo che gli sforzi di tutti riescano nell'intento, là dove i limiti di una persona impediscono di raggiungere uno scopo, la cooperazione tra più persone riesce nell'intento; se 4 persone non bastano, supponiamo arrivi un contadino con un trattore, egli non ha interessi comuni alle 4 persone fino a quando riceve una somma di denaro per spostare il masso e diventa anche il suo scopo.

Dalla parabola segue che:

1. il gruppo si è organizzato per uno scopo comune. Barnard dice che un'organizzazione nasce quando ci sono persone in grado di comunicare tra loro e collaborare per uno scopo comune; questi sono i due elementi che Barnard si prefigge di combinare insieme, ovvero, l'elemento informale, la comunicazione e l'elemento formale, la cooperazione. Organizzarsi equivale a formare un sistema cooperativo, strumento che va oltre i limiti dell'individuo e raggiunge scopi che sarebbero impossibili per il singolo, e all'interno del quale un quid in più che nasce dalla cooperazione degli individui.

2. Bisogna sempre distinguere tra gli scopi dell'organizzazione e i moventi personali, questo implica il fatto che i capi di un'organizzazione non possono solo preoccuparsi di perseguire solo gli scopi organizzativi ma devono tener presenti anche i moventi che spingono i membri a partecipare, ad esempio il contadino ha il movente del denaro, gli altri di liberare la strada. I dirigenti devono riuscire a mobilitare le persone per uno scopo che non è loro.

3. Il rapporto tra gli elementi formali e informali, quando gli scopi comuni si stabiliscono, nasce l'organizzazione e una volta formata possono nascere rapporti informali nuovi, si instaura un’osmosi tra livello formale e informale dei rapporti umani. Bisogna distinguere tra aspetti formali (perseguimento degli scopi per cui è nata l'organizzazione) e aspetti informali (rapporti tra i singoli membri), tali aspetti non si escludono e l'aspetto formale non può esistere senza quello informale e viceversa.

Barnard parla di tutti i tipi di organizzazione, mira a fornire un modello valido per qualsiasi categoria di membri che collaborano con l'organizzazione e studia le condizioni che consentono alle organizzazioni di

perseguire i propri scopi soddisfacendo anche interessi e aspettative dei singoli che accettano di contribuire al perseguimento dei loro scopi.

2.4 LA FONDAZIONE SOGGETTIVA DEL VALORE E LA SOLVENZA DEL SISTEMA COOPERATIVO

Nel modello di Barnard vanno sottolineati tre aspetti:

1. Calcolo del rapporto tra costi e benefici: non è mai puramente razionalistico, solo occasionalmente la determinazione di soddisfazioni o meno è materia di ragionamento logico. Soggettività nel rapporto contributi - incentivi, dipende anche dalle persone, le situazioni oggettive della realtà esterna come ad esempio l'opportunità di trovare altri impieghi sul mercato del lavoro sono sempre filtrate dalla percezione soggettiva che ne hanno gli individui.

2. il modello di Barnard non ha solo validità economica e materiale , sostiene che a volte il denaro è inefficace, a volte la soddisfazione morale impegnarsi per il prossimo sono incentivi di talune organizzazioni e il denaro non è un parametro di valutazione efficace.

3. La solvibilità del sistema cooperativo nei confronti dei membri di un'organizzazione , la disponibilità complessiva di un'organizzazione non è la somma dei contenuti dei singoli membri, ma quella somma moltiplicata per un certo coefficiente dovuto al fatto che l'organizzazione è un sistema cooperativo, in più vi è la fondazione soggettiva del valore attribuito ai contributi dati e agli incentivi ricevuti. L'enfasi di Barnard  sugli incentivi non materiali gli permette di affrontare il problema della solvibilità dell'organizzazione in termini non strettamente economici ma simbolici e morali.

2.5 ESERCIZIO DELL'AUTORITA' E AREA DI INDIFFERENZA.

Il sistema cooperativo e l'equilibrio tra contributi ed incentivi, nascono per conto di un'autorità che per essere riconosciuta deve essere legittimata e competente. La legittimazione è massima quando non ricorre alla coercizione dei sottoposti, ma si basa su incentivi dotati di valore morale. La competenza sottintende che i sottoposti riconoscano che gli ordini ricevuti siano conformi ai codici di efficacia e correttezza procedurale, ossia che l'ordine ricevuto sia capito, non in contrasto con i fini generali dell'organizzazione, compatibile con gli interessi legittimi delle persone a cui è indirizzato, siano eseguibili dalle persone a cui è impartito . Barnard trova nella distinzione tra i fini dell'organizzazione e i moventi dell'individuo, il terreno su cui si esercita l'autorità. Per lui è irrealistico pensare che gli individui si identifichino completamente con l'organizzazione, i dirigenti devono gestire il rapporto tra contributi ed incentivi per essere obbediti dai sottoposti. Il fine dei dirigenti è di espandere l'area di indifferenza, ossia la zona in cui si trovano gli ordini indiscutibilmente accettabili, zona più o meno ampia a seconda del grado in cui gli incentivi superano gli obblighi e i sacrifici che determinano l'adesione degli individui all'organizzazione, eseguire gli ordini è l'obiettivo realistico che l'autorità deve cercare di ottenere dai suoi sottoposti. Non è necessario che i dipendenti amino il lavoro che fanno, è sufficiente che lo facciano con senso del dovere e professionalità. L'area di disponibilità esprime anche il grado di efficienza, quanto maggiore è la soddisfazione dei moventi individuali tanto più vasta è l'area delle prestazioni a cui gli individui sono disponibili.

2.6 LE FUNZIONI DEL DIRIGENTE E LA SUA PERSONALITA'.

Secondo Barnard tre sono le funzioni del dirigente:

1.  Assicurare un efficiente sistema di comunicazioni: requisito preliminare per l'esistenza di un gruppo sociale, il dirigente deve far circolare comunicazioni, creare ruoli di persone adatte a far circolare il flusso delle comunicazioni, base portante di un buon funzionamento dell'organizzazione.

2. Garantire il regolare afflusso delle risorse necessarie al funzionamento dell'organizzazione: le risorse più importanti sono quelle umane, membri in rapporto cooperativo con l'organizzazione, non solo soggetti nell'organizzazione ma qualunque persona abbia rapporti con essa, fornitori, clienti, azionisti, etc.

3. Stabilire i fini dell'organizzazione: per Barnard i fini sono l'insieme delle azioni in cui si verifica l'efficacia del sistema cooperativo, fine come processo che coinvolge tutti i membri dell'organizzazione,

fine come processo diffuso al fatto che nella funzione del dirigente Barnard dà più importanza agli aspetti comunicativi che a quelli decisionali.

Barnard definisce "dirigente in grigio", un dirigente poco protagonista, consapevole che dirigere non è solo decidere ma comunicare, mediare, rappresentare, coordinare, infondere motivazioni, che dia importanza alle doti non logiche, come l'intuito, la creatività, l'arte di trovare i nessi nascosti. Le doti di comando consistono in una complessità morale(pluralità di codici di comportamento che governano diverse sfere di rapporti sociali sia pubblici che privati) e in un senso di responsabilità superiore alla media (una sorta di meta-codice o codice superiore che nei dilemmi morali garantisce coerenza a un principio), ossia, il dualismo tra i fini dell'organizzazione e i moventi individuali, la base di legittimazione del ruolo di leader sta nella capacità di mediare i contrasti di questo dualismo, egli privilegia la mediazione e la ricerca di consenso piuttosto che la decisione autocratica.

2.7 SIMON: RAZIONALITA' LIMITATA E PROCESSI DECISIONALI.

Herbert Simon (1916 - 2001), premio nobel per l'economia, sociologo, uno dei fondatori della psicologia cognitiva e dell'analisi dei processi decisionali, riconosce il suo debito a Barnard sulla visione delle organizzazione come strumenti cooperativi e sull'equilibrio tra i contributi e gli incentivi, ma sposta il suo oggetto di analisi a un livello più astratto, lo individua nei processi decisionali che avvengono all'interno delle organizzazioni. Le decisioni sono prese in base a criteri di razionalità limitata . Tale concetto sancisce la continuità della condizione umana dalle organizzazioni più complesse e formali alla sfera più intima e privata, a seconda delle situazioni cambiano gli strumenti di supporto e le procedure per prendere decisioni ma non cambia il fatto che qualunque decisione sia pubblica che privata è presa scontando l'impossibilità di una razionalità assoluta, accettando sia pure un margine minimo di rischio, congettura e soggettività. Per esaminare ciò che avviene all'interno delle organizzazione si deve inoltre partire dall'azione dei soggetti. Non basta vedere i moventi dei soggetti a partecipare ad un'organizzazione ma bisogna considerare che sono i soggetti a costruire le organizzazioni, le organizzazioni per quanto grandi e complesse sono sempre frutto dell'iniziativa umana e a questa bisogna risalire per comprendere successi, difetti e fallimenti delle organizzazioni stesse. Simon critica le letteratura manageriale che concepiva l'organizzazione come una struttura composta da un insieme di ruoli collegati da canali formali di comunicazione e controllo, per lui il concetto di ruolo è troppo generico per offrire indicazioni sui comportamenti effettivi dei soggetti. Per Simon l'oggetto dell'analisi organizzativa per eccellenza non è il ruolo ma la decisione, che è un'unità di analisi molto più piccola e sottile di di quella di ruolo e dipende da numerose premesse che occorre esaminare, bisogna creare un quadro teorico che permetta di studiare in che modo informazioni, vincoli, procedure e motivazioni dei singoli soggetti concorrono a formare le decisioni.

BARNARD SIMONOrganizzazioni come strumenti cooperativi Organizzazioni come strumenti cooperativi

equilibrio tra contributi ed incentivi equilibrio tra contributi ed incentiviProcessi decisionali: si muove a livello di opportunità pratica nell'esercizio di comando

Processi decisionali: si muove a livello teorico generale

Principio di Razionalità limitata: insiste sui limiti fisici che spingono l'uomo a cooperare per raggiungere obietti altrimenti irraggiungibili a livello individuale. Parabola del Masso.

Principio di Razionalità limitata: pone l'accento sui limiti mentali, che limitano la razionalità umana. Ci sono:

1. Limiti cognitivi: esseri umani hanno preferenze e convinzioni che li fanno scegliere in una gamma ristretta di possibilità.

2. Limiti etici, limiti culturali, limiti emotivi: incertezza e ambiguità nei criteri di scelta.

3. Limiti sociali: scendere a compromessi tra criteri e preferenze

differenti e talvolta opposti. i compromessi contrastano con il criterio di pura razionalità. Ne deriva che le scelte avvengono secondo un criterio di sufficienza e non di massima efficienza. Tale criterio vale sia per le micro-decisioni che i soggetti prendono nel privato quanto per le decisioni più complesse che i soggetti prendono per conto delle organizzazioni.

2.8 CONTINUUM MEZZI - FINI.

Simon distingue due categorie di giudizi:

1. Giudizi di fatto: riguardano eventi avvenuti o previsti nel mondo sensibile ed è sempre possibile verificare se sono veri o falsi. Le decisioni sono quelle riguardanti i mezze per raggiungere un determinato fine.

2. Giudizi di valore: esprimono la preferenza per un certo stato di cose, può essere di natura etica, estetica, ideologica, emotiva, non è possibile verificare empiricamente se sono veri o falsi tali giudizi. Le decisioni sono quelle riguardanti i mezzi per raggiungere il fine.

Nei concreti processi decisionali, la distinzione tra questi due giudizi non è facile, per Simon esiste sempre un continuum tra mezzi e fini, nel senso che un dato fine raggiunto in base a una decisione di valore si trasforma in un mezzo per raggiungere un fine successivo. Tra le considerazioni del continuum tra mezzi e fini, troviamo il fatto che non si può valutare la bontà di uno scopo disgiungendolo dai mezzi necessari per raggiungerlo, il fine non giustifica i mezzi, ammonisce Simon, la desiderabilità degli scopi può essere stabilita prescindendo dai mezzi che si sceglie di usare per raggiungerli, il giudizio di valore sugli scopi cambia nel quadro generale di un giudizio su un contesto in cui si collocano e nuovi scopi possono emergere nel proseguio del continuum tra mezzi e fini. Inoltre l'agire in una catena di decisioni dove quelle precedenti sono strumentali alle successive garantisce la coerenza del comportamento umano e consente di affermare che questo è orientato a criteri di razionalità, Simon definisce la razionalità come la selezione di alternative di comportamenti preferiti in rapporto a un sistema di valori in base al quale sia possibile valutare le conseguenze del comportamento, ma la coerenza tra mezzi e fini non è solo espressione di razionalità perché in essa si forma la stessa identità sociale di un soggetto, il suo carattere e la sua immagine, secondo Simon, ciò che la persona ama e vuole influenza ciò che la persona vede, e ciò che vede influenza ciò che vuole e ama. Infine, la razionalità umana è limitata, la catena mezzi fini è sempre vaga e incompleta, può essere precisa su un arco di tempo breve, se il fine è remoto il concatenamento tra azioni diventa debole e sfuggente.2.9 DECISIONI CRITICHE E DECISIONI DI ROUTINE:L'IMPORTANZA DELLE PROCEDURE.

La complessità delle decisioni organizzative implica il fatto che coinvolgono più persone, sono formali, seguono procedure prescritte e hanno conseguenze socialmente rilevanti, a differenza delle decisioni inerenti la vita privata. Barnard insiste sui limiti fisici, Simon su quelli mentali; per Simon l'organizzazione è un sistema cooperativo che non i limita a coordinare i compiti dei membri per raggiungere certi obiettivi, ma che conserva e accumula nel tempo la memoria di quei coordinamenti, con le decisioni prese, i risultati acquisiti, le esperienze fatte, gli errori commessi, etc. Il tempo è fondamentale per lo sviluppo di un processo di apprendimento (learning process) che consenta di selezionare e codificare la somma dei saperi utili ad affrontare i vari tipi di problemi che l'organizzazione deve affrontare. Uno dei modi efficaci per espandere la razionalità limitata è quello di trarre giovamento dalle esperienze passate. Affinché possano porsi obiettivi complessi occorre che i soggetti non debbano prendere decisioni nuove per ogni singolo atto che compiono e che possano ricorrere il più possibile a delle procedure, a sequenze di decisioni prestabilite in base a esperienze e a calcoli e questo vale sia per attività di routine sia per le questioni più critiche. Le procedure inoltre non si limitano a fornire gli schemi per affrontare problemi che si pongono nella vita di un'organizzazione, esse servono anche ad assorbire l'incertezza di coloro che devono decidere, vi è incertezza quando mancano prove sicure sulla validità o attendibilità dei dati disponibili. Anche se l'esplorazione completa non è possibile, si decide in base ad indicatori che stanno al posto di prove certe, ma ai quali i calcoli e le esperienze precedenti conferiscono un grado accettabile di probabilità.   Per capire il comportamento umano, si decide cercando una soluzione soddisfacente e non ottimale, si decide man mano che si procede, scegliendo fra programmi di azione già disponibili nel repertorio dell'organizzazione, infine si esegue il programma d'azione prescelto in semi-indipendenza da altri programmi. La limitata connessione tra le varie parti di un'organizzazione è un requisito indispensabile per il suo funzionamento.

2.10 ROY: UN CONTRIBUTO DALLA SOCIOLOGIA INDUSTRIALE.

Barnard: funzionamento delle organizzazioni in base al rapporto tra contributi e incentivi.Simon: limiti della razionalità umana, prevalere dei criteri di sufficienza su quelli di ottimalità.Barnard e Simon a differenza di Weber non propongono modelli tipico - ideali del funzionamento di un organizzazione, ma non si propongono di verificare.Lo sviluppo di nuovi orientamenti teorici è dovuto alla ricerca empirica, il cui primo contributo arriva dalla sociologia industriale e riguarda gli svariati modi in cui gli operai rispondono agli incentivi economici per aumentare la produzione. La sociologia industriale si sviluppa nella metà del XX secolo, durante la massima espansione del regime produttivo taylor - fordista.Tra gli studiosi della fabbrica, Donald Roy (1911 - 1980), che ha lavorato per un anno come operaio in una fabbrica, metodo dell'osservazione partecipante, negli anni in cui gli operai lavoravano su macchine singole che richiedevano sforzo e destrezza continua, un periodo in cui il management aveva adottato un cottimo individuale in base al quale gli operai se superavano una certa soglia di produzione guadagnavano un extra più o meno proporzionale al numero dei pezzi prodotti in più. Il cottimo era un sistema equo-razionale che premiava i più bravi, dove i rapporti sociali che contano erano quelli formali e dove la direzione disponeva di un flusso omogeneo di informazioni attendibili. Ma Roy con la sua ricerca mette il luce il fatto che

1. Il cottimo era fonte di continuo conflitto e profonda sfiducia tra operai e managment; odiati dagli operai erano i cronometristi che misuravano i tempi di lavoro, si escogitavano strategie di difesa, si aggiungevano movimenti inutili durante il lavoro per allungare i tempi e far sembrare che i tempi reali fossero quelli in modo di riuscire a guadagnare e a non farsi sfruttare troppo, si nascondevano ai capi i tempi reali di lavoro per poter guadagnare il premio del cottimo.

2. La risposta operaia al cottimo era lontana da quanto la direzione si proponeva, il rendimento dell'operaio si concentrava in due punte, una al di sopra della soglia in cui scattava l'incentivo (accettavano il cottimo) e una al di sotto (rifiutavano il cottimo). Le ragioni delle differenze Roy le trova nell'imperfezione del sistema di cottimo e nel diverso atteggiamento degli operai. Per gli operai vi erano lavori magri in cui era difficile guadagnare a cottimo e lavori grassi dove era facile il cottimo. Giocava anche il fattore della soggettività degli operai, Roy li distingue in acchiappa cottimo (rate buster) che ottenevano lavori dove era facile ottenere cottimo, e i fannulloni (goldbrickers) ai quali andavano altri lavori.

3. Le deviazioni nell'uso di cottimo oltre che dai duelli tra operai e cronometristi nascevano anche da una rete di complicità che coinvolgevano altre figure professionali, manutentori carrellisti e capisquadra (che spesso mediavano tra le richieste del managment e la preoccupazione di non perdere il consenso degli operai).

4. L'intero sistema di motivazioni che spinge gli operai a lavorare che non era solo economico, il lavoro era anche vissuto come una gara con se stesso in cui l'operaio sfidava se stesso nel superare i limiti dei ritmi che prima credeva irraggiungibili. Contavano anche i giochi di produzione, che inducono gli operai a fare il making out, a raggiungere cioè le quote di produzione stabilite come se si trattasse di una corsa ad ostavoli da eseguire entro un certo tempo, ci si destreggia tra regole e vincoli in modo da avanzare il più presto possibile verso il risultato finale.

2.11 ROY RILETTO ALLA LUCE DI BARNARD E SIMON. ALTRI SVILUPPI DELLA SOCIOLOGIA INDUSTRIALE.

BARNARD ROY SIMON

conflitto tra la sfera formale e informale Importanza della sfera informale conflitti più accentuati della sfera informale e formale  

fabbrica come sistema cooperativo Contrasto tra cronometristi ed operai  Comunicazione come requisito della cooperazione

Volontà operaia di bloccare le informazioni per nascondere il loro patrimonio di astuzie su come rallentare il lavoro quando si prendono i tempi e su come accelerarlo in assenza di

 

controllo.Sembra avere una visione idilliaca della fabbrica ma solo a livello superficiale, egli ricorda più volte la difficoltà di costruire dei sistemi cooperativi.

Distrutta visione idilliaca della fabbrica, che lui vede come luogo coatto, simile a un carcere, rigidità burocratica e manipolazione delle regole complicità, coercizioni, favori e finzioni.

 

fondamentale il riconoscimento che i soggetti hanno una personalità e degli interessi non riducibili agli scopi dell'organizzazione.

   

Incentivi non solo economici Giochi di produzione  

  Razionalità limitata, approssimazione, compromessi, ambiguità, aggiustamenti

Razionalità limitata, approssimazione, compromessi, ambiguità, aggiustamenti

 rincorsa tra tentativi del managment di imporre controlli al processo produttivo e la risposta operaia per vanificare quei tentativi

Simile visione

 visione ingenua della fabbrica intesa come luogo dove il Capitale è una entità personificata che si produce con razionalità

 

Uguale analisi dell'organizzazione di una  fabbrica partendo dalle persone Uguale

Trenta anni dopo nella stessa fabbrica di Roy conduce una ricerca Michel Burawoy (1979), che ritrova gli stessi giochi di produzione descritti da Roy ma cambia il contesto: aumentata la componente fissa del salario le variazione dovute al cottimo sono cambiate, si è attenuata la distinzione tra lavori grassi e magri, ci sono meno capisquadra, i controlli sono meno per via delle nuove tecnologie che hanno ritmo fisso, diminuisce l'importanza delle gerarchie e aumenta il numero degli operai qualificati che hanno compiti di autocontrollo prima affidati ai capi. Più marcato individualismo.

2.12 CROZIER POTERE E STRATEGIE DEI SOGGETTI.

Michel Crozier (1922 .- vivente), francese, fondatore nel suo paese della fiorente scuola di studi organizzativi e ha contribuito alla riforma dell'apparato amministrativo francese. Per Crozier l'uomo non è soltanto un braccio e non è soltanto un cuore, l'uomo è una mente, un progetto, una libertà. Sostiene che per capire il funzionamento di un'organizzazione, non basta l'approccio della scuola classica (dipendenti come semplici esecutori di comandi gerarchici) e non bastano le Relazioni Umane (limitano a sottolineare la psicologia e la sensibilità delle persone, il cuore). Bisogna tener presente la mente delle persone, riconoscere la loro capacità di pensare, progettare, sostiene che i soggetti sono capaci di sviluppare delle strategie all'interno dell'organizzazione, negoziano la loro partecipazione cercano di tutelare i propri interessi. Per Crozier, la razionalità non appartiene solo alle organizzazioni perché anche i soggetti hanno delle proprie razionalità private che non solo coincidono con quella dell'organizzazione ma che possono anche portare a condotte non previste dall'organizzazione stessa. Per Crozier il potere è la capacità di controllare i margini di incertezza presenti nei rapporti con altri soggetti. Nella realtà ci sono sempre situazioni imprevedibili e non è possibile ricondurre i soggetti a comportamenti pre-derminati come si trattasse di api di un alveare, per Crozier inoltre, le radici del potere si trovano in rapporti squilibrati di prevedibilità tra due o più soggetti, in tutte le situazioni dove un soggetto prevede le mosse altrui e nasconde le proprie si può dire che egli si trova in un rapporto di potere favorevole rispetto agli altri interlocutori. Da tale definizione di potere deriva che il potere è cosa diversa dall'autorità formale che si connette al grado gerarchico ricoperto in un'organizzazione ; non vi è necessariamente corrispondenza tra grado gerarchico e sfera di potere, se un inferiore gerarchico riesce a conservare dei margini di imprevedibilità nel modo in cui compie il suo lavoro, per Crozier proprio su quei margini egli esercita un potere che sfugge al controllo del suo superiore. Chi detiene un margine di incertezza nel suo

comportamento agisce per conservarlo mentre coloro che lo subiscono tentano di eliminarlo o ridurlo il più possibile. Il risultato sistemico complessivo di tali strategie possono essere circoli viziosi.

2.13 I CIRCOLI VIZIOSI DELLA BUROCRAZIA E LE INDICAZIONI PER IL SUO CAMBIAMENTO.

Crozier ottenne fama internazionale con il libro "Il fenomeno burocratico " (1963) sulla ricerca sul funzionamento di due amministrazioni statali, un'Istituto contabile presso il Ministero delle Finanze e il Monopolio dei Tabacchi. Le due amministrazioni erano:

1. acefale, le decisioni fondamentali dipendevano da un potere politico esterno.2. la dirigenza era nominata dal potere politico con criteri esclusivamente legali e burocratici.

3. struttura centralizzata piramidale e gerarchica.

4. tutto il funzionamento si ispirava a regole rigide precise, impersonali, a cui la dirigenza era tenuta ad uniformarsi senza libertà interpretative e senza iniziative autonome.

5. le retribuzioni e l'assegnazione dei compiti erano regolate secondo il criterio di anzianità e l'impiego era garantito a vita.

Crozier ci offre una burocrazia lenta, pesante, poco efficiente, incapace di innovazione , la sua ricerca è empirica, il fattore di scarsa efficienza è da ricercare nel fatto che le burocrazie da lui studiate non operavano in condizioni di mercato, non si ispiravano a criteri di profitto, non dovevano competere con la concorrenza, non sentivano il bisogno di rinnovarsi. Crozier studia i rapporti sociali all'interno di quelle organizzazioni, e trova un microcosmo bloccato, stratificato, senza conflitti espliciti, con poche occasioni di comunicazione e di contatto sociale, i dipendenti svolgevano il lavoro strettamente previsto dal regolamento, i vari strati gerarchici tendevano ad isolarsi, rapporti formali e di cortesia, i contrasti aperti erano evitati. I dipendenti lavoravano in modo disciplinato e uniforme, ma l'insoddisfazione per una vita monotona, creava frustrazioni nei dirigenti per mancanza di responsabilità e riconoscimento che trovavano una rivalsa nella sicurezza dell'impiego. In tutti i gradi gerarchici si avvertiva la profonda insofferenza per le situazioni di dipendenza diretta fra i rapporti faccia a faccia tra superiori e inferiori. Nonostante il diffuso individualismo esistevano meccanismi di difesa collettiva che sfociava in un atteggiamento soddisfatto e aggressivo,fatto di ostilità verso le nuove tecnologie e appello ideologico all'unità di classe di manutenzione per mantenere le cose come stavano, gli operai di manutenzione traevano il loro margine di potere dalle conoscenze tecniche e dall'imprevedibilità dei guasti che dovevano riparare. I quadri intermedi erano la componente più frustrata, semplici guardiani di norme, privi di discrezionalità nel disporre dei propri dipendenti privi di competenze tecniche, reagivano costruendo nicchie di piccoli favori per i loro dipendenti. Anche la direzione svolgeva un ruolo di basso profilo, gli obiettivi generali erano prefissati dal potere politico esterno, i metodi e processi di produzione erano stabili. Tutto converge nel direttore che detiene il potere legittimo, sola persona che abbia conservato nella fabbrica il diritto formale di prendere decisioni, seppur decisioni impersonali, non può manipolare i suoi subordinati e influenzare il loro comportamento usando il potere di accordare ricompense perché privo di tale potere. Il fatto di essere acefale rendeva tali burocrazie prive degli strumenti finanziari, politici, tecnici per decidere qualsiasi innovazione, anche la cultura aziendale era ostile ai cambiamenti. La dirigenza interna si limitava a redigere per l'autorità giuridica per l'autorità politica dei rapporti in cui si segnalavano le insoddisfazioni interne. Crozier conclude che il fenomeno burocratico rispecchiava lo stato della burocrazia francese degli anni 50 e 60.

2.14 SOGGETTI, POTERE, STRUTTURE: ALCUNE CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE.

Crozier e Roy studiano realtà antitetiche, Roy esplora l'industria privata, Crozier due burocrazie statali. Il rapporto tra Roy e Crozier, si presta alla considerazione che entrambi pongono come oggetto centrale della loro analisi i comportamenti dei soggetti in rapporto alle strutture e ai vincoli organizzativi in cui si trovano ad agire.

CAPITOLO 3

L'APPROCCIO ISTITUZIONALISTA: MUTAMENTO SOCIALE, POTERE, AMBIENTE.

3.1CARATTERI GENERALI DELL'ISTITUZIONALISMO

Barnard: mette a fuoco i moventi che inducono gli individui a cooperare per raggiungere gli scopi dell'organizzazione.Simon: gli interessi e le convinzioni dei soggetti limitano la razionalità delle organizzazioni.Roy: analisi empirica profondità dei conflitti in seno a un'organizzazione.Crozier: riconosce ai soggetti la capacità di sviluppare delle strategie ispirate a una razionalità diversa da quella organizzativa, e in tale capacità risiede la fonte imprevista di potere informale che lui definisce come controllo dei margini di incertezza presenti nelle condotte organizzative, e la possibilità che le organizzazioni si avvitino in circoli viziosi che provocano scarsa efficienza.L'approccio istituzionalista va oltre il rapporto soggetti-organizzazioni perché sottolinea l'importanza delle grandi istituzioni nel condizionare i comportamenti umani. Tale scuola di pensiero, presente nelle scienze economiche, politiche e sociali, rifiuta di vedere la società come un aggregato di individui orientati a massimizzare le proprie utilità secondo criteri di razionalità sia pure limitata e pone in primo piano i condizionamenti di carattere materiale e simboliche che istituzioni storiche (stato, chiesa etc) esercitano sugli orientamenti e sui comportamenti umani. L'istituzionalismo si differenzia da:

1. correnti razionaliste che spiegano i comportamenti umani in base a principi universali astratti della natura umana.

2. visione riduttiva dell'ambiente come insieme di fattori produttivi dotati di maggiore o minore turbolenza.

Per l'istituzionalismo sono le istituzioni a plasmare la mappa mentale degli individui nei loro aspetti cognitivi e normativi, a suggerire sia i modi di agire che di conoscere, interpretare il mondo . L'istituzionalismo, ha avuto un particolare sviluppo nello studio delle organizzazioni, ha avuto due fasi, una tra gli anni '40 e '60 e l'altra dagli anni '70 ad oggi. Tratto comune tra le due è quello di spiegare sia l'ordine che i mutamenti nelle organizzazioni rialendo al più ampio quadro istituzionale inteso come ambiente sociale e culturale.

3.2 PHILIP SELNICK: UN APPROCCIO FUNZIONALISTA E PESSIMISTA.

Philip Selznick (1919 - vivente), padre fondatore della prima fase dell'istituzionalismo, il suo pensiero si qualifica in tre aspetti:

1. il funzionalismo. in base al quale le istituzioni sono concepite come sistemi sociali che per sopravvivere devono soddisfare alcuni bisogni fondamentali.

2. l'enfasi sulle influenze che centri di potere esterno percepiti come istituzioni esercitano sulle organizzazioni.

3. il pessimismo dell'analisi che concepisce il mutamento come risultato di logiche degenerative presenti nelle organizzazioni, che accettando compromessi esterni si allontanano dai loro scopi originari.

Selznick riceve l'influenza di Roberto Michels secondo il quale il processo degenerativo nasceva dai meccanismi impersonali che portavano ad anteporre la difesa del partito inteso come strumento di azione al perseguimento degli scopi per cui il partito stesso era nato. L'oggetto di studio di Selznick, non sono le imprese private ma le organizzazioni pubbliche o semipubbliche che per statuto sono tenute a perseguire determinati obiettivi di interesse generale ma che poi, si allontanano da quegli obiettivi. Selznick individua le origini del processo degenerativo nell'azione di centri di potere esterno (differenza di Crozier che le trova nelle strategie degli individui). Definisce le organizzazioni formali come degli strumenti razionalmente orientati al raggiungimento di determinati scopi (come Barnard), dove ognuna di esse ha una sua catena di comando, competenze tecniche e manageriali e una divisione del lavoro. Il carattere formale di un'organizzazione è garantito dalla possibilità di sostituire i soggetti nei vari ruoli senza che l'organizzazione entri in crisi. Trascura il fatto che l'organizzazione formale è solo un aspetto di una struttura sociale concreta, formata da soggetti che agiscono come esseri umani totali, dunque gli aspetti formali e informali non sono considerati, inoltre l'organizzazione è inserita in un ambiente non neutro che esercita delle influenze e delle pressioni su di essa costringendola a continui cambiamenti. Questi due elementi lo portano a  individuare ciò che lui chiama l'inevitabile paradosso di ogni organizzazione: le persone e l'ambiente esterno sono indispensabili per l'esistenza dell'organizzazione stessa, ma sono anche continue fonti di dilemmi, tensioni e a volte di rovina.

3.3 DUE FONTI DI PERTURBAZIONE: CRICCHE ISTITUZIONALIZZATE E POTERI ESTERNI.

A Selznick preme esplorare i paradossi, le tensioni e i dilemmi che scaturiscono dal rapporto tra i soggetti e le organizzazioni. I soggetti tendono a fuoriuscire dai ruoli assegnati, a partecipare nella loro totalità di persone, a resistere alla spersonalizzazione. L'istituzionalizzazione è un processo in base al quale componenti individuali o pratiche sociali che si ripetono in modo regolare e costante vengono percepiti come istituzioni, strutture relativamente stabili indipendente dal loro grado di legittimità formale. Esistono comportamenti informali istituzionalizzati sia dentro che fuori le organizzazioni. Tra gli effetti dell'istituzionalizzazione vi è che essa porta a considerare le deviazioni dalle norme come aspetti strutturali delle organizzazioni formali, tra le istituzioni informali ci sono le cliques o cricche basate su relazioni personali, attraverso cui alcuni membri interni alle organizzazioni cercano di controllare l'ambiente in cui si prendono decisioni organizzative. anche le cricche fanno parte integrante del sistema cooperativo, il loro carattere istituzionale porta a studiare le funzioni che esse svolgono nelle organizzazioni a prescindere dalle personalità dei soggetti che le compongono. Le cricche obbediscono a logiche d'azione che superano la personalità dei membri che ne fanno parte. In conformità con i suoi assunti funzionalisti, Selznick vede le organizzazioni come sistemi sociali, le cui componenti interne, come negli organismi viventi, svolgono funzioni necessarie a mantenere in vita i sistemi a cui appartengono. Alcune di queste funzioni sono:

1. sicurezza dell'organizzazione in rapporto alle forze sociali che agiscono nell'ambiente.2. la stabilità delle linee interne di autorità e comunicazione.

3. la continuità della politica e delle fonti della sua definizione.

4. l'omogeneità dell'immagine con riferimento al significato  e al ruolo dell'organizzazione.

5. Senza i primi quattro punti, l'organizzazione non può esistere.

Secondo lui le persone interessate a un dato scopo fondano un'organizzazione che deve essere lo strumento per perseguire quello scopo, nel momento che nasce l'organizzazione ha bisogno di risorse per vivere, non sempre è facile trovarle a volte si scende a compromessi per ottenerle, a volte centri di potere già sul territorio esercitano pressioni sull'organizzazione per condizionarne l'azione, i suoi dirigenti per farla sopravvivere attenuano la purezza del programma originario e scendono a compromessi, i dirigenti sono sottoposti al dilemma tra perseguire a ogni costo senza compromessi il fine per cui è nata l'organizzazione oppure la scelta realistica di scendere a compromessi con le pressioni esterne. Un suo concetto fondamentale è la recalcitranza dei mezzi, ossia l'organizzazione va vista come uno strumento indispensabile per raggiungere un obiettivo, ma al contempo come uno strumento imperfetto che deforma l'obiettivo verso cui tende. Oggetto dell'esame di Selznick, è il modo in cui in nome della sopravvivenza dell'organizzazione i suoi responsabili accettano progressivi spostamenti dagli scopi e dallo spirito originario dell'organizzazione stessa.

3.4 LE RADICI DELL'ERBA. UNA RICERCA SULLE RAGIONI ISTITUZIONALI.

Selznick scorse vari mesi nel Tennessee, esplorò materiale disponibile negli archivi, fece interviste in profondità sia ai dirigenti che al personale della TVA ed ai maggiorenti locali. Ma svolgeva la ricerca avendo già recepito il messaggio pessimistico di Michels, esaminare i processi degenerativi provocati dalla tirannia dei mezzi sui fini divenne il tema dominante della sua ricerca. La TVA era un ente voluto da Roosevelt negli anni 30, nel quadro del new deal per superare la crisi del 29. La TVA nasceva per realizzare un vasto programma di opere pubbliche nella valle del Tennessee e per migliorare le condizioni di vita di chi viveva in quei territori. La TVA doveva costruire dighe, centrali elettriche, produrre e distribuire fertilizzanti chimici a basso costo, era esentata da una serie di controlli amministrativi, ricevette uno stanziamento annuo e la possibilità di usare i ricavati dalla vendita per energia elettrica e per i prodotti chimici. Nacque dunque sotto il segno della polemica, la politica della dirigenza era volta a superare le opposizioni preconcette e conquistare la fiducia degli enti locali, i dirigenti sapevano che un programma imposto dall'alto non avrebbe funzionato e scelsero di decentrare i dipartimenti sul territorio coinvolgendo gli enti locali, le comunità etniche, le università etc. Questa scelta conforme al credo americano delle Radici dell'erba, ossia della democrazia dal basso nata nei paesi di frontiera. Selznick sostiene che "interessi della popolazione" e "istituzioni legate alla popolazione" sono delle astrazioni indeterminate con funzione ideologica di copertura. Arrivò alla conclusione che la TVA voleva soddisfare l domanda espressa attraverso i canali di rappresentanza locali e questo favorì i ceti privilegiati determinando uno scostamento

crescente con il suo orientamento originario e una necessità di giustificazioni ideologiche in nome della necessità di fare scelte che rispondessero alle concrete esigenze dell'ambiente.

3.5 COOPTAZIONE FORMALE E INFORMALE

Selznick definisce cooptazione "il processo di assorbimento di nuovi elementi nella direzione o nella struttura che determinano la politica di un'organizzazione, come mezzo per pervenire minacce alla sua stabilità e alla sua esistenza". Se un'organizzazione si sente minacciata da pericoli esterni, un modo per difendersi è quello di cooptare dei rappresentanti dell'ambiente da cui provengono le minacce. Selznick distingue:

1. COOPTAZIONE FORMALE: l'organizzazione assorbe ufficialmente nuovi elementi attraverso l'allargamento degli organi direttivi o la creazione di nuovi ruoli. Tale cooptazione è necessaria quando il carattere legittimo di un ente è contestato da gran parte della popolazione o se c'è il bisogno di promuovere la partecipazione di strati più larghi della società che portano a delle forme di autogoverno. E' la risposta che l'organizzazione fornisce in una situazione di difficoltà provocata dalla mancanza del consenso da parte della base, l'organizzazione decide in tal caso di allargare la base del consenso sulle decisioni da prendere (esempio: partecipazione alla direzione aziendale che la dirigenza d'impresa offre ai sindacati).

2. COOPTAZIONE INFORMALE O SOSTANZIALE: il suo scopo è quello di fronteggiare delle minacce provenienti da centri di potere esterno, può avvenire inserendo alcuni esponenti del potere esterno all'interno dei propri organi decisionali, o accettando di fatto le loro richieste. Così è garantita la sopravvivenza dell'organizzazione ma al costo di alterare il programma originario. Tale cooptazione rischia di rimanere informale perché le forze esterne sono interessate solo alla sostanza del potere.

I due tipi di cooptazione implicano un diverso rapporto con l'ideologia ufficiale dell'organizzazione, quella formale trova una facile legittimazione nell'ideologia dell'organizzazione stessa, quella informale ne contraddice i valori e gli orientamenti ideologici dichiarati.La distinzione tra cooptazione formale e informale, è lo strumento di Selznick per esaminare le iniziative palesi e i compromessi nascosti compiuti dalla TVA. Alla TVA le cooptazioni formali coerenti con il principio di democrazia si sovrapposero alle cooptazioni informali o sostanziali che condizionarono la politica della TVA. Queste ultime avvennero ad opera delle pressioni esercitate dai grandi proprietari terrieri, i funzionari della TVA addetti all'agricoltura svilupparono intensi rapporti di collaborazione con i proprietari terrieri come se fossero una loro clientela amministrativa. Tale rapporto clientelare per Selznick è una cooptazione nascosta. I grandi proprietari riuscirono a far modificare l'indirizzo sociale del programma originario di promozione e di assistenza dei piccoli contadini, imponendo un'estensione minima all'ampiezza delle proprietà agricole da agevolare, una soglia minima di consumo dei fertilizzanti a basso costo venduti dalla TVA. Relativamente alla questione di acquisto di aree per i serbatoi idrici delle dighe, i grandi proprietari riuscirono a limitare l'acquisto di terre per serbatoi al minimo necessario e a far rinunciare alla TVA della fascia protetta. Osserva Selznick che la TVA nata dal New Deal, si alleò con i nemici degli organismi con i quali divideva lo spirito politico. Così la parte tecnica del programma (rimboscamento, costruzione di dighe e centrali elerttriche, produzione di fertilizzanti) fu compiuta secondo le previsioni, la parte sociale subì un sostanziale tradimento.

3.6 ISTITUZIONI E FUNZIONI DELLA LEADERSHIP

Relativamente alla leadership, oggetto dell'analisi di Selznick sono le iniziative che la leadership prende per dare scopi all'organizzazione e per creare nei suoi membri il consenso necessario a raggiungerli. In questa parte del suo studio si rileva il suo riconoscimento del fatto che non sempre un'organizzazione è destinata a tradire gli obiettivi originari, ma può raggiungerli se diretta da una leadership efficace. Per questo distingue due tipi di organizzazioni:

1. Organizzazioni Strumentali: svolgono servizi tecnici, contano l'efficienza amministrativa e le procedure razionalmente orientate ai fini tecnici. (esempio agenzie di raccolta dei rifiuti). Prendono delle decisioni di routine, che rientrano nell'ordinaria amministrazione riguardano le organizzazioni di servizio e possono essere giudicate in termini di efficienza tecnica.

2. Organizzazioni che chiama Istituzioni: capaci di progettualità politica, conta il definire e proporre dei valori, avere un'identità e un progetto che le distingua dall'essere semplici strumenti tecnici (esempio governo di una città, attua una politica). Prendono delle decisioni critiche, rientrano nella sfera

della leadership, riguardano la definizione degli scopi e dei valori, tratto caratterizzante delle istituzioni.

Per Selznick la leadership è un'attività creativa che rende l'istituzione capace di prendere iniziative. Può essere svolta da una persona sola o da un gruppo dirigente e si manifesta in 4 funzioni fondamentali:

1. Definisce il ruolo e la missione dell'istituzione, ossia indica la prospettiva generale di azione che ricomprende e subordina tutte le attività di routine.

2. Incorpora lo scopo nell'istituzione, cerca cioè di creare un'identità collettiva in modo che tutti i membri interiorizzino gli scopi dell'istituzione.

3. Difende l'integrità istituzionale, la leadeship deve ridefinire continuamente l'azione svolta mediante bilanci, celebrazioni, analisi critiche, esaminando gli eventi passati può interpretare i problemi del presente, deve svolgere una funzione simbolica e comunicativa.

4. Compone i conflitti interni, deve mediare e comporre i conflitti interni, i conflitti non possono essere risolti solo attraverso l'imposizione autoritazia di un esito, ma deve ottenere il consenso da entrambe le parti, ciò per aumentare il consenso di cui deve godere la leadership.

Selznick indica tre principali rischi nell'esercizio della leadership:

1. Fuga nella tecnologia: se alla leadership mancano gli obiettivi strategici si concentra sull'acquisizione  di mezzi come se fossero un surrogato dei fini.

2. L'opportunismo: si perseguono fini a breve termine senza visioni di largo respiro, con pericolo di perdita di identità dell'istituzione che rincorre obiettivi incoerenti.

3. L'utopismo: quando si perseguono obiettivi non raggiungibili in base a considerazioni puramente ideologiche. L'utopismo può condurre all'opportunismo.

3.7  LEADERSHIP, ISTITUZIONI E AMBIENTE ESTERNO: AMBIGUITA' NEL PENSIERO DI SELZNICK

Alla luce di quanto detto sulla leadership si rilegge la ricerca della TVA, i centri di potere esterno che la condizionavano erano delle istituzioni esterne dotate di una leadership efficace. In tutta la sua ricerca Selznick non muove alla dirigenza della TVA la critica di non essere stata capace di esercitare una vera leadership, la sua analisi è diretta a dimostrare che le istituzioni esterne erano tanto potenti da impedire alla TVA di attuare pienamente i suoi programmi. Nonostante le ambiguità, se consideriamo le due opere sulla TVA e sulla leadership notiamo che esse definiscono un solo e costante oggetto di ricerca, quello dei rapporti di potere tra le organizzazioni e dei mutamenti provocati da tali rapporti. Per un verso le organizzazioni possono essere oggetto di pressioni da parte dei poteri esterni e possono cambiare per effetto di quelle pressioni. Per un altro verso, se guidate da una leadership possono diventare esse stesse soggetti capaci di esercitare pressioni sull'ambiente esterno e di indurlo a uniformarsi ai loro obiettivi (in questo caso Selznick parla di istituzioni). Possiamo trarre due conclusioni, la prima è la fonte del mutamento istituzionale risiede in ultima analisi nell'iniziativa umana, a patto che sappia imporsi come leadership, la seconda è che sono le istituzioni a formare il quadro dei poteri forti di cui bisogna tenere conto per capire cosa avviene nelle altre organizzazioni e nella società in generale.

3.8 LE RICERCHE ISTITUZIONALISTE DI PRIMA MANIERA: ALCUNI ESEMPI E I TRATTI DISTINTIVI.

Tra gli anni '50 e '60 comparvero numerose ricerche orientate ad esaminare lo scarto tra gli scopi originari di specifiche organizzazioni e i cambiamenti intervenuti per adeguarsi alle pressioni di istituzioni operanti nell'ambiente. Le organizzazioni esaminate erano per lo più associazioni filantropiche, ospedali, scuole, organizzazioni che dovendo dipendere da sovvenzioni esterne erano esposte alle pressioni ambientali. Alcuni esempi di ricerche ispirate al funzionalismo pessimista di Selznick sono:

1. Zald e Denton: associazione per soccorrere immigrati indigenti divenne alla fine un circolo ricreativo per giovani di classe media.

2. Scott: Istituto professionale per giovani ciechi che invece di inserirli nel mercato del lavoro li impiegava al suo interno a basso costo e mantenedo le sovvenzioni prviste.

3. Clark: Junior College proclamava l'accesso all'università, ma il basso livello di preparazione dei suoi studenti lo trasformò in dispensatore di diplomi, nessuno si lamentava e si faceva in modo che il titolo sembrasse di valore per il mercato.

4. Perrow: Ospedale che accetta le sovvenzioni private pensate per la ricerca furono usate per innovazioni tecnologiche che avrebbero dato fama ai donatori stessi.

5. Sudnow funzionamento della giustizia negli USA, la legge proclama che i processi esistono per accertare la verità ma gli accusati non avevano i mezzi per permettersi una difesa privata ed erano inseriti in un meccanismo burocratico in cui gli avvocati stssi suggerivano loro di proclamarsi colpevoli.

6. Janowitz: unico positivo, ricerca su forze armate che inserite in una burocrazia civile hanno emarginato i generali più guerrafondai, aumentando la prudenza nell'uso delle armi.

Le ricerche istituzionalistiche di prima maniera hanno in comune:

1. Impianto discorsivo e olistico (olis = intero): gli autori ricostruiscono la storia dell'organizzazione a partire dalle ragioni della sua nascita, discutono la leadership dei fondatori e successori, illustrano i successi ottenuti, mostrano le dinamiche delle pressioni subite, analizzano le giustificazioni con cui i responsabili scesero a compromessi modificando man mano gli obiettivi delle organizzazioni e della sua ragion d'essere.

2. Enfasi sull'ambiente esterno: le pressioni non provengono necessariamente da enti nemici dell'organizzazione in esame e la cooptazione indicata da Selznick come il principale meccanismo per la trasformazione dei fini agisce il più delle volte in modo strisciante e inavvertito.

3. Tanto le organizzazioni che subiscono pressioni quanto le istituzioni che le esercitano appaiono dotate di una logica di azione che trascende le volontà dei singoli individui: il mercato appare una delle massime istituzioni di cui tenere conto per comprendere il comportamento di organizzazioni con scopi in apparenza anche lontanissimi dalla sfera economica. Negli Stati Uniti il mix di mercato, di competizione e di valori di classe medio alta hanno talmente impegnato ogni spazio della vita sociale che anche le organizzazioni che per statuto dovrebbero essere le più lontane da quel mix non possono sopravvivere se non si adeguano ai suoi imperativi.

9.3 LA SCUOLA NEOISTITUZIONALISTA, MEYER E ROWAN: ISOMORFISMO E MITI RAZIONALI.

Alla fine degli anni '70 le ricerche istituzionaliste conobbero un nuovo impulso grazie a vari autori che ripresero il tema dei rapporti tra organizzazioni e ambiente, il neo-istituzionalismo appunto, il cui nome da continuità al passato ma trova nelle istituzioni l'oggetto primario di interesse. Il problema diventa quello di capire come mai le organizzazioni dello stesso tipo sono tutte così simili tra loro. Nel nuovo istituzionalismo:

1. scompare il funzionalismo che portava a pensare alle organizzazioni come a sistemi organici.2. cade la centralità di un potere volto a dominare le organizzazioni esistenti e le nuove.

3. scompare il pessimismo di principio che faceva vedere le organizzazioni come condannate a tradire i propri scopi.

4. emerge una visione più articolata dei rapporti tra le organizzazioni.

5. viene dato spazio ai processi cognitivi degli attori, viene riconosciuta dell'importanza delle mappe mentali nella costruzione sociale della realtà.

John Meyer e Brian Rowan affrontano le tematiche neo-istituzionaliste per primi in un articolo sull'isoformismo, intendendo, con isoformismo, descrivere le ragioni e i processi per cui le unità che formano una data popolazione sono spinte ad assomigliarsi sempre più tra di loro. L'articolo nasce da una ricerca sul sistema scolastico americano nel 1975, dalla quale emergeva che data l'impossibilità di controllare l'effettiva efficacia dell'insegnamento sul futuro professionale degli studenti, il sistema scolastico ha elaborato delle procedure sostitutive nella presunzione che queste garantiscano l'efficacia dell'insegnamento. Vengono inseriti dei parametri di valutazione non verificabili direttamente e per questo ritenuti validi in quanto rispecchiano le convinzioni socialmente prevalenti, il criterio di valutazione è valido se è conforme al cerimoniale delle procedure stabilite, quanto più alta è la conformità, tanto maggiori sono le probabilità che la scuola ottenga sovvenzioni e che i suoi allievi siano i più richiesti dal mercato. Quanto più una scuola si conforma ai criteri prevalenti su cosa è l'istruzione, tanto più il suo orientamento è giudicato giusto da parte delle istituzioni operanti nell'ambiente. Meyer e Rowan osservano che le organizzazioni operano in contesti altamente istituzionalizzati che stabiliscono i criteri di razionalità che le organizzazioni stesse sono tenute a rispettare per essere giudicate efficienti. Meyer e Rowan proclamano un'ipotesi di lavoro rivoluzionaria e cioè che le organizzazioni spesso non hanno criteri propri di razionalità e seguono criteri suggeriti dall'ambiente esterno, oppure hanno criteri propri ma questi differiscono da quelli prevalenti nell'ambiente. Ne deriva che l'oggetto principale di ricerca sono le pressioni che le istituzioni esercitano sulle varie organizzazioni affinché si adeguino ai criteri della razionalità prevalenti: come si sviluppano i processi di isomorfismo. Partendo dall'isomorfismo nelle scuole giungono alla conclusione che mentre un tempo le organizzazioni nascevano per iniziativa dell'imprenditore che doveva avere sufficiente spirito di intraprendenza e propensione al rischio, nella società contemporanea non è più così, la società è popolata da istituzioni di ogni tipo che formano un quadro istituzionale che stabilisce un fitto reticolo di normative a cui le organizzazioni devono attenersi per avere riconoscimento e successo. Indicano i criteri che sviluppano processi di isomorfismo in alcune potenti regole istituzionali che fungono da miti razionalizzati, dove le regole sono legittimate dalla convinzione di essere razionalmente efficaci o conformi a un manato legale).   L'affermarsi di un mito razionalizzato favorisce la creazione di nuovi campi di attività, non è detto che la crescente omogeneizzazione equivalga sempre a una maggior efficienza, ha volte la diffusione di una innovazione non è volta a migliorare le prestazioni ma volta ad aumentare la legittimizzazione sociale di che la accetta. Meyer e Rowan distinguono due tipi di organizzazione:

1. quelle che recepiscono dall'esterno i criteri di razionalità, sono le organizzazioni prive di criteri intrinseci per valutare l'efficienza e si basano sulla capacità di adeguarsi alle aspettative e alle esigenze cerimoniali prescritte da istituzioni esterne.

2. quelle che hanno criteri propri che possono confliggere con quelli esterni, sono le organizzazioni con criteri autonomi percepiti come soggettivi nel valutare l'efficienza del loro processo produttivo. In queste si possono sviluppare due strutture parallele una formale e visibile per ripettare i criteri cerimoniali esterni e una informale e nascosta per seguire le proprie regole di efficienza.

10.3 POWELL  DIMAGGIO. CAMPI ORGANIZZATIVI E TIPOLOGIA DELL'ISOMORFISMO.

In un articolo del '83 Powell e Dimaggio elaborano il concetto di campo organizzativo, superando la distinzione tra organizzazioni che subiscono o che esercitano pressioni all'isomorfismo. Osservano anche che i processi di isomorfismo non sono uguali e indistinti ma variano secondo una tipologia basata sulle modalità e rapidità con cui si sviluppano. Sottolineano che l'isomorfismo investe anche i singoli individui, dentro e fuori le organizzazioni. Trovano la risposta all'isoformismo nel concetto di campo organizzativo: insieme di organizzazioni che, nel loro complesso, costituiscono un'area riconosciuta di vita istituzionale, fornitori chiave, consumatori di risorse e prodotti, agenzie di controllo, altre organizzazioni che producono prodotti o servizi simili. Il concetto di campo organizzativo per la ricerca porta a tre conseguenze:

1. una ricerca su un processo di cambiamento non può limitarsi ad analizzare i processi decisionali all'interno di specifiche organizzazioni, deve estendersi al ruolo svolto da tutti gli attori interessati a quel processo.

2. scompare la distinzione tra organizzazioni che subiscono pressioni e istituzioni che esercitano pressioni, tutte le parti in causa sono al tempo stesso soggetto e oggetto delle pressioni che attraversano un campo organizzativo.

3. la ricerca su un cambiamento organizzativo diventa la ricostruzione dell'intero pezzo di storia della società in cui il cambiamento si è verificato.

Ne deriva che l'isoformismo è il risultato dell'azione incrociata di tutti gli attori presenti in un dato campo organizzativo. Per Powell e Dimaggio l'isoformismo varia a seconda della velocità e delle modalità con cui si sviluppa. Distinguono tre tipi di isoformismo: 

1. ISOFORMISMO COERCITIVO, quando l'organizzazione è sottoposta a pressioni esterne che le obbligano a conformarsi, come vincoli di legge o clausule contrattuali con imprese più potenti.

2. ISOFORMISMO MIMETICO, quando le organizzazioni per fronteggiare l'incertezza dell'ambiente iniziano dei processi imitativi, imitazione come surrogato di certezza.

3. ISOFORMISMO NORMATIVO, quando nasce da processi di professionalizzazione, quando i responsabili dell'organizzazione apprendono in centri specializzati dell'esistenza e della convenienza di nuovi metodi di consuzione di nuove tecnologie o nuovi orizzonti di ricerca (Processi di selezione del personale, caratteristiche comuni).

11.3 UNA RICERCA NEOISTITUZIONALISTA L'EVOLUZIONE DEI MUSEI NEGLI STATI UNITI.

Le ricerche neoistituzionaliste essendo interessate a un campo vasto, comportano l'enfasi sul campo organizzativo che non sulle singole organizzazioni, l'esame di un lungo periodo di storia nel corso del quale si verifica il mutamento studiato. Varie ricerche hanno in comune il riconoscimento che i processi di istituzionalizzazione e di isoformismo, non sono indolori, comportano sempre un conflitto più o meno esplicito tra i difensori di un vecchio ordine sociale e i fautori di un nuovo ordine sociale. La ricerca di Dimaggio sull'evoluzione dei musei d'arte negli stati Uniti tra il 1920 e il 1940 è un tipico esempio di isomorfismo normativo dove i portatori dell'innovazione vincente sono stati professionisti operanti nelle organizzazioni. Dimaggio sostiene che bisogna capire per prima cosa come si è formato il campo organizzativo, perché quest'ultimo rappresenta una struttura altamente significativa. All'interno dei campi organizzativi possono nascere conflitti tra  nuovi e vecchi attori, i processi di istituzionalizzazione non riguardano solo le nuove forme di organizzazione ma anche le nuove categorie di attori autorizzati che escono vincenti dai conflitti con i gruppi che controllavano le organizzazioni prima del mutamento. Il cambiamento delle forme organizzative è il risultato di trasformazioni che investono l'intero campo degli attori coinvolti e le trasformazioni sono spesso conflittuali. emergono nuovi attori, agenzie promotrici di cambiamento, nuove attività e nuovi canali di comunicazione. L'insieme degli attori e delle loro iniziative, definisce un nuovo campo organizzativo, per capire che cosa comportano tali nuove forme organizzative bisogna assolutamente capire come nascono, come si forma il campo e con quali conflitti, su quali aggregazioni. Da questo presupposto parte Dimaggio, inizia descrivendo il contrasto che all'inizio degli anni '20 si era aperto tra i fautori di due opposte concezioni del museo d'arte, una conservatrice ed elitaria l'altra riformista e democratica.

1. I conservatori sostenevano che i musei dovevano essenzialmente occuparsi di collezione di opere d'arte intese come oggetti antichi rari e di indiscusso valore.

2. I riformisti sostenevano che i musei dovevano esporre oggetti belli anche se non antichi, impegnarsi nell'istruzione artistica di un vasto pubblico, essere sotto il controllo di professionisti museali ed essere collocati in edifici semplici ed accessibili.

DiMaggio esamina le vicende che portarono i riformisti ad essere vincenti e il suo racconto evidenzia  il contrasto che si venne a creare tra la crescita delle sovvenzioni da parte di donatori privati (favorevoli alla visione conservatrice) e l'aumento dell'influenza degli operatori museali invece favorevoli ai riformisti. L'aumento del numero dei musei provocò  effetti sociali a catena: più visitatori, aperture di scuole d'arte, accademie, aumento degli esperti di gestione museale etc. L'aumentato impegno finanziario dei donatori privati per espandere la struttura museale poneva la premessa per la crescita e l'istituzionalizzazione di una comunità di professionisti che intendeva la funzione dei musei come diametralmente opposta a quella dei donatori privati. Di Maggio sottolinea anche il contrasto tra professionisti e donatori che non si manifestò all'interno dei musei ma al di fuori, nello sviluppo di una rete di organizzazioni parallele e di iniziative volte a sostenere la causa riformista . Nel processo di istituzionalizzazione del professionismo museale, un ruolo decisivo fu svolto dalla Carnegie Corporation (fondazione privata che grazie alla guida carismatica del suo leader, Keppel, prese una decisa posizione a favore della concezione riformista dei musei) il cui leader, Keppel ebbe il merito storico di capire che la gestione dei beni museali poteva e doveva essere oggetto di una politica nazionale diretta da una guida centrale. Attraverso il sovvenzionamento di una fitta rete di colleges of arts nelle università e di associazioni professionali, Keppel ottenne la creazione di un campo organizzativo formato da un fitto sottobosco di

organizzazioni dominate dagli staff museali e da accademici, si creò una élite professionale integrata e d omogenea. Fondamentale in tale processo fu la costruzione di sedi decentrate dei musei che apparivano come l'espressione più coerente e avanzata della concezione riformista, secondo cui per indurre a visitare i musei centrali bisognava portare l'arte in periferia presso il grande pubblico. DiMaggio con la sua ricerca sui musei ci offre la ricostruzione storica di un aspetto poco noto della società americana, fatta con acuta sensibilità sociologica. Arriva alle conclusioni che, la diffusione dei musei fu guidata a livello nazionale da una rete di organizzazioni (campo organizzativo) create da attori che volevano modificare la struttura e la missione originaria del museo; le nuove forme organizzative del museo ricorsero come giustificazione culturale all'ideologia progressista di efficienza democratica; la creazione del campo organizzativo si intrecciò agli sforzi di coloro che lavoravano nei musei per definire la propria professione e per aumentare la propria autorità.

12.3 VECCHIO E NUOVO ISTITUZIONALISMO: IL SENSO DI UN PERCORSO

La vittoria della concezione riformista dei musei su quella conservatrice segna un allontanamento dai fini originari delle organizzazioni museali. Denunciare il tradimento dei fini originari testimonia la nostalgia per una concezione aulica e aristocratica dell'arte. Il modello di Selznick individua l'origine del tradimento degli scopi originari di un'organizzazione nelle pressioni di potenti forze esterne interessate al mantenimento dello status quo, ma il caso dei musei americani contraddice il modello di Selznick: non vi fu alcuna cooptazione informale e i professionisti museali furono cooptati in modo trasparente e formale. Il cambiamento nacque all'interno quando i professionisti museali cominciarono a mobilitarsi per cambiare lo scopo istituzionale dei musei. Ciò dimostra che il modello di Selznick non ha validità universale. DiMaggio e altri neoistituzionalisti che hanno una visione più aperta e problematica del mondo scelgono temi adatti a confermare le loro convinzioni sulle intrinseche ambiguità dei rapporti sociali. Quant'anni dopo la ricerca sulla TVA Powell e DiMaggio discutono su cosa resti valido nel discorso di Selznick e nel vecchio istituzionalismo. Rispondono che sebbene l'intuizione delle pressioni di origine esterna resti attuale, il mutato contesto sociale obbliga a ripensarla in modo diverso, per loro noi oggi viviamo in una società così fittamente popolata di Istituzioni pubbliche e private che è normale assistere ad una interrotta, diffusa e incrociata azione di normazione e controllo sull'attività di qualsiasi ente. Per i neoistituzionalisti le pressioni esterne non nascono da oscuri centri di interesse ma da miti razionalizzati o da processi di isoformismo portatori di convinzioni e pratiche socialmente approvate nella presunzione della loro intrinseca positività. Gli stessi istituzionalisti, d'altro canto riconoscono che i processi di istituzionalizzazione non sono esenti da conflitti tra i sostenitori del vecchio e del nuovo ordine, ammettono che non esistono garanzie che le pratiche di istituzionalizzate diano sempre effetti benefici. gli istituzionalisti pongono due domande: il potere di oggi è veramente meno brutale di quello di un tempo o ci appare tale solo perché ci siamo abituati? Se tutto si omogeneizza da dove sorgono i movimenti che contrastano questi processi? Il problema che gli istituzionalisti sono chiamati a risolvere è quello di dare una risposta teorica soddisfacente al fatto che nella società esistono sempre risorse spirituali nascoste da cui possono scaturire movimenti collettivi di rigiuto non solo nel quadro istituzionale esistente ma anche di quello emergente. Si tratta di riformulare il concetto di isomorfismo in modo da non vederlo esente da conflitti. Vediamo l'ambivalenza nello stesso processo di globalizzazione, fenomeno talmente vasto e coinvolgente da poter essere considerato l'espressione più emblematica di un isoformismo a livello planetario, isomorfa anche la protesta sui fenomeni di globalizzazione, la mobilitazione ecologista.

CAPITOLO 5 

GLI APPROCCI MORBIDI: CULTURA, CONFERIMENTO DI SENSO E PROCESSI DI STRUTTURAZIONE.

1.5 LE RAGIONI DEGLI APPROCCI MORBIDI.

Gli approcci morbidi sono approcci che privilegiano gli aspetti culturali, simbolici, riflessivi e i processi di conferimento di senso che i soggetti mettono in atto interagendo con le organizzazioni stesse, sono gli approcci la cui fortuna è cominciata agli inizi degli anni '70 che trovano la loro ragion d'essere in due fattori:

1. dalla tendenza delle grandi imprese a passare da strumenti di controllo prevalentemente burocratico - disciplinare a strumenti più raffinati di natura normativa, basati sull'interiorizzazione dei valori dell'impresa per cui i soggetti lavorano. Oggetto di ricerca sono l'efficacia di un insieme di pressioni molto

più sottili volte a coinvolgere i dipendenti, capaci di suscitare in essi rapporti di amore - odio verso l'impresa attenta alla crescita professionale ma anche più esigente nel richiedere totale dedizione.

2. L'insoddisfazione che in quegli anni prendeva forma verso gli approcci hard, riconducibili a grandezze numeriche come i livelli gerarchici , i campi di competenza e di controllo , la frequenza delle comunicazioni. erano approcci di ispirazione contingentista basati sul presupposto che esiste una connessione tra il grado di turbolenza dell'ambiente e la struttura ottimale dell'organizzazione. 

Contro il contingentismo due le principali contestazioni, una che le scelte strategiche delle imprese non potevano essere spiegate in base alle loro caratteristiche strutturali, ma dipendevano in larga misura dall'azione strategica dei soggetti che prendevano le decisioni, l'altro che le imprese operanti nello stesso settore di analoga ampiezza e strutture organizzative comparabili rilevavano un'atmosfera interna,  motivazioni a partecipare e livelli di prestazione diversi. In più cresceva l'importanza dei metodi di ricerca qualitativa, come lo studio dei casi, l'osservazione partecipante, etnografia. Gli approcci soft sono condivisi da diverse scuole di pensiero, l'interazionismo simbolico, il cognitivismo, la fenomenologia e l'etnometodologia, tutti accomunabili dall'asse oggetto - soggetto. Ad un estremo si trovano gli oggettivisti che partono dal presupposto che le organizzazioni possiedono una propria cultura intesa come un giacimento che si è progressivamente accumulato nel tempo, attraverso il suo studio si giunge a capire sia il funzionamento delle organizzazioni sia quello dei soggetti che ne fanno parte. Per questo sono anche definiti culturalisti. All'estremo opposto, troviamo i soggettivisti che partono da presupposto che la realtà esterna sia soltanto una costruzione sociale risultante dal conferimento di senso che i soggetti compiono nel flusso della loro esperienza. Tra questi due estremi esistono posizioni intermedie.

2.5 EDGARD SCHEIN E IL CONCETTO DI CULTURA ORGANIZZATIVA.

Per Schein studiare un'organizzazione equivale a studiare la sua cultura. Per Schein la cultura organizzativa è l'insieme coerente di assunti fondamentali che un dato gruppo ha inventato, scoperto o sviluppato imparando ad affrontare i suoi problemi di adattamento esterno e di integrazione interna , e che hanno funzionato bene in modo da poter essere considerati validi, validi per insegnarli ai nuovi membri come il modo corretto di percepire, pensare e sentire in relazione a quei pensieri. Spiegahiamo la definizione in tre aspetti principali:

1. il concetto di cultura inteso come un insieme di assunti fondamentali; Schein dice che la conoscenza di un a cultura organizzativa procede attraverso un'analisi che si sviluppa a diversi livelli di profondità, in superficie ci sono gli artefatti ossia i prodotti immediatamente osservabili di una data organizzazione. L'arte di decifrare il senso degli artefatti costituisce il primo banco di prova di una analisi organizzativa. Per Schein l'osservazione attenta degli artefatti è il primo passo dell'analisi organizzativa. Al secondo livello si trovano i valori espliciti dell'organizzazione. Siamo nella sfera dei discorsi manifesti e accettati che vengono spesso creati e fatti circolare dalla leadership con l'intento di rafforzare il senso di appartenenza e solidarietà, di individuare i pericoli e i nemici esterni, di chiarire e legittimare le scelte dell'organizzazione, di creare consenso tra i membri.  A un terzo livello ancora più profondo, quello che Schein chiama degli assunti di base. Sono queste le convinzioni profonde e inespresse, date talmente per scontate da non attrarre l'attenzione e di cui spesso i membri non sono nemmeno del tutto consapevoli. Questo è il livello più importante per capire l'anima dell'organizzazione, le motivazioni profonde delle azioni dei suoi membri e il modo in cui questi sono stati selezionati e plasmati. Negli assunti fondamentali di un'organizzazione determinano il valore della ricerca e Schein da alcune indicazioni su come scoprire questi assunti: riguardano i campi universali dell'esperienza umana, come il rapporto con la natura (che può essere di dominanza e di sfruttamento), la percezione del tempo (che può avere una concezione ciclica che torna su se stesa oppure lineare di un tempo che non torma indietro), la natura dell'uomo (pessimista, macchiata dal peccato originale, ottimiste che vedono l'uomo come un essere capace di perfezionarsi indefinitivamente), le attività umane e le relazioni tra le persone (autoritarie e democratiche, di gruppo o individualiste etc). gli assunti di base si possono variamente combinare tra loro pur rispettando una coerenza interna.  

3.5 SCHEIN. LA FORMAZIONE DI UNA CULTURA ORGANIZZATIVA

Per Schein la cultura si forma sempre in un gruppo e arriviamo al secondo punto della definizione. Il gruppo è formato da persone che sono state insieme il tempo sufficiente per aver condiviso problemi significativi, averli

affrontati, aver osservato gli effetti delle soluzioni e aver trasmesso quelle soluzioni ai neovenuti.Il gruppo è tanto più forte quanto più condivide esperienze comuni. Vale a dire che una cultura non è fatta di idee astratte ma di risposte a problemi concreti che occorreva risolvere, inventando o scoprendo soluzioni che poi, diventano oggetto di apprendimento da parte dei nuovi membri del gruppo. La validità delle risposte è data dal grado in cui riducono l'ansia dei membri, l'ansia nasce in ambienti sconosciuti o ostili, qundo non si riesce a percepire un ordine o una coerenza interna. Schein distingue in due grandi categorie di problemi: 

1. adattamento del gruppo all'ambiente esterno, riguardano gli obiettivi le strategie e i mezzi per realizzare obiettivi e valutazioni delle prestazioni, tali problemi possono cambiare man mano che l'organizzazione li affronta e passa a un'altra fase della vita. 

2. adattamento del gruppo all'ambiente interno, riguardano la capacità del gruppo interno all'organizzazione di funzionare come gruppo. qui c'è un'esigenza di consenso che riguarda i criteri per includere i membri, per distribuire il potere, per sviluppare amicizia, confidenza e affetto, per stabilire premi e punizioni. Occorre consenso sull'ideologia, sul sistema dei discorsi con cui attribuire significato e ridurre l'ansia dei membri di fronte a eventi inspiegabili o traumatici.

Per affrontare tutti questi problemi, l'organizzazione sviluppa degli assunti  che secondo la definizione data da Schein devono funzionare bene da poter essere considerati validi. quegli assunti formano la cultura dell'organizzazione, si crea tensione tra l'esigenza di conservare il patrimonio degli assunti formatisi con l'esperienza precedente l'esigenza di verificarli e adattarli alle nuove esigenze che li sfidano. La cultura richiede sempre di essere trasmessa ai nuovi membri, operazione facile se fatta a persone giovani non ancora formati, difficile se i nuovi membri a livelli alti entrano con idee ed esperienze proprie. Lo studio delle culture organizzative deve estendersi ai processi di socializzazione dei nuovi membri (come la cultura viene trasmessa recepita e adattata), alle risposte date ad eventi critici (che formano il patrimonio di ricordi che concorrono a formare l'identità collettiva dell'organizzazione) e alle anomalie (man mano che la ricerca procede). Per Schein leadership  e cultura non sono che due aspetti della medesima realtà: studiando la leadership di un'organizzazione si studia la cultura e viceversa.

4.5 JOANNE MARTIN E LA PLURALITA' DELLE CULTURE ORGANIZZATIVE

La forza dell'opera di Schein sta nell'offrire un convincente strumento di analisi delle culture organizzative. La debolezza del suo impianto teorico sta nel proporre una visione sostanzialmente olistica e omogenea delle culture organizzative, come se queste fossero degli insiemi coerentemente connessi nelle loro varie parti. Schein riconosce che nelle organizzazioni possono esistere degli aspetti subculturali legati a particolari segmenti delle loro popolazioni interne. Joanne Martin è una autrice che corregge la pretesa assolutistica del pensiero di Schein, non rifiuta quel modello ma lo relativizza affiancando tre prospettive di analisi: attraverso il continuo passaggio dall'una all'altra prospettiva è possibile pervenire a una conoscenza riflessiva delle organizzazioni che tiene presente che quelle prospettive generano discorsi incompatibili tra loro. Le tre prospettive sono:

1. INTEGRATIVA: la cultura è fonte di armonia e consenso.2. DIFFERENZIANTE: in un'organizzazione esistono diverse sub culture talvolta in conflitto tra loro.

3. FRAMMENTARIA: in un'organizzazione non esistono culture ben definite ma una molteplicità di punti di vista fluttuanti e ambigui.

Per capire come le tre prospettive possono coesistere bisogna tenere presente che: le tre prospettive non rispecchiano situazioni oggettive differenti ma differenti interpretazioni soggettive, inoltre, il passaggio attraverso le tre prospettive, proprio perché si escludono a vicenda, offre al ricercatore la possibilità di una comprensione più profonda delle organizzazioni studiate. Per la Martin se ogni contesto culturale è studiato abbastanza in profondità alcune cose appariranno coerenti e generatrici di consenso, altri nei confini subculturali appariranno frammentati in uno stato perenne di flusso. La Martin per dare validità alla sua tesi riporta una sua ricerca una ricerca su una grande impresa elettronica OTZU (potrebbe essere IBM): tra i tanti argomenti la Martin seleziona tre principali questioni:

1. l'egualitarsmo di trattamento e opportunità di carriera offerto ai dipendenti.2. l'atteggiamento del managment verso l'introduzione di innovazione

3. l'attenzione dell'impresa per il benessere fisico e mentale dei suoi dipendenti.

Analizza tali punti nelle tre prospettive.Prospettiva Integrativa: per tutti e tre le questioni ricevono un giudizio rassicurante circa il clima aziendale e la collaborazione tra managment e dipendenti, dipendenti partecipano agli utili dell'impresa, hanno sicurezza di impiego, l'egualitarismo è salvaguardato anche negli usi quotidiani, parcheggi e mense comuni ai dirigenti e dipendenti, l'innovazione è incoraggiata al fine di creare strutture organizzative capaci di integrare sempre meglio produzione e marketing andando incontro alle richieste dei clienti. Da qui il racconto integrativo dell'ordine aziendale, emergono aspetti di consenso, il cambiamento coinvolge l'intera organizzazione, l'approccio integrativo riconosce l'esistenza di ambiguità e conflitti solo come crisi temporanee superabili con nuovi ordini.Prospettiva differenziante: L'impresa è un insieme di diverse popolazioni lavorative dotate ciascuna di una subcultura, non esiste l'egualitarismo, gli ingegneri hanno privilegi, incentivi sono usati come mezzo di pressione sui dipendenti, si decide in modo autoritario, la gioviale disponibilità dei manager è in realtà solo uno strumento di controllo sui dipendenti, poche donne hanno posizioni di rilievo. L'innovazione è perseguita non in modo omogeneo e ostacolato da barriere interne. Le subculture sono di vari strati etnici e professionali.Prospettiva frammentaria: la Martin si sente più vicina a questa prospettiva, qui si vanifica l'esistenza di una omogenea cultura aziendale ma anche quella delle tante subculture perché caratteristica dell'intera organizzazione sono la confusione e l'ambiguità. Opportunità di carriera, introduzione di incentivi, politiche del personale e costumi di vita quotidiana sono regolati in modo incerto e casuale e imprevedibile. Tale prospettiva sottolinea la casualità dei processi decisionali le anarchie organizzate, flussi costanti e imprevedibili di cambiamento.  Poiché le tre prospettive sono incommensurabili non è possibile fare delle sintesi ma bisogna cercare di tenerle tutte presenti. Per adottare questo approccio multiprospettico bisogna abbandonare il presupposto oggettivistico che una prospettiva sia più corretta delle altre due. Conosciamo le organizzazioni solo attraverso le loro rappresentazioni discorsive. 5.5 GIDEON KUNDA: LA CULTURA AZIENDALE COME STRUMENTO DI CONTROLLO

Kunda, sociologo israeliano svolge una ricerca in chiave postmoderna sulla cultura aziendale su una grande impresa aziendale la Tech (che sarebbe la digital). Il suo scopo è quello di spiegare in cosa consiste quella cultura come viene trasmessa, inculcata ai dipendenti e come questi reagiscono. La sua è una ricerca etnografica sulla cultura aziendale della Tech, la post modernità sta nella finezza con cui egli indaga sui rapporti tra pressioni aziendali e personalità dei soggetti e poi l'autoanalisi che mette in discussione se stesso e i suoi risultati di ricerca. Inizia osservando gli aspetti più manifesti (come Schein) dell'ambiente di lavoro e dell'organizzazione aziendale e poi scende a livelli sempre più profondi. Sottolinea le ambiguità dei dipendenti le loro personalità plurime (multiple self) motivo postmoderno della sua analisi. Si pone il problema di capire le ragioni di quei discorsi,  sono pronunciati dalle stesse persone, e ci si chiede se proprio nella loro contraddittorietà esse non esprimano un faticoso equilibrio esistenziale. Mentre Barnard indicava nel rapporto tra organizzazione e soggetti il problema centrale tanto della pratica manageriale che dell'analisi organizzativa, un'organizzazione non può mai spingersi al punto da richiedere l'annullamento della personalità dei suoi membri, ma essi manterranno sempre un quid irriducibile che è alla base della loro personalità privata che non potrà mai identificarsi totalmente con la personalità organizzativa. Barnard vedeva gli incentivi morali e culturali come fattore di coesione e di collaborazione tra individui e organizzazione. Rispetto ai tempi di Barnard il controllo delle imprese sui dipendenti è molto più sofisticato: c'è un controllo di terzo livello per distinguerlo dal controllo coercitivo (primo livello) e da quello gerarchico (secondo livello), tale controllo è detto concertato per indicare che i soggetti hanno interiorizzato talmente bene i codici aziendali da essere divenuti i più solerti controllori di se stessi e dei propri colleghi di lavoro (questo è il terzo livello). E' diventato dunque una sorta di controllo culturale dove l'impresa vuole plasmare la personalità dei suoi membri, nella convinzione che solo la totale e appassionata identificazione con i valori e voleri dell'impresa stessa può portare a interiorizzare disciplina e autocontrollo. Si reinterpreta Barnard in modo da abolire il confine tra il sé e l'organizzazionein modo da far coincidere, secondo Kunda, gli interessi dell'azienda e quelli del singolo.Kunda articola in tre parti l'esposizione della sua ricerca:

1. tratti distintivi della cultura Tech2. rituali attraverso cui quella cultura viene diffusa e inculcata nei dipendenti

3. modo in cui i dipendenti la recepiscono e ai costi umani che ciò comporta.

6.5 IDEOLOGIA E RITUALI COMUNICATIVI DELLA CULTURA AZIENDALE

Per Kunda, l'ideologia è un sistema autoritario di significati che chi detiene il potere presenta all'opinione pubblica come una mappa per leggere la realtà e comportarsi di conseguenza. L'ideologia, può essere considerata come il sottoinsieme di una più vasta cultura che ne comprende tutti gli aspetti che sono consapevolmente articolati in modo da proporre un'immagine schematica dell'ordine sociale ed esercitare un'autorità. Kunda esamina alla Tech la presenza di una ideologia aziendale, tale ideologia proclama che la Tech ha una cultura forte sottolinea che i dipendenti devono farla propria se vogliono contribuire al successo dell'impresa e raggiungere anche il proprio successo personale. Alcuni dei principi esposti in un documento interno di quella che alla Tech è ufficialmente chiamata cultura aziendale sono: 

1. siamo una grande famiglia2. le persone sono creative, lavorano sodo, sono in grado di autogestirsi ed imparare.

3. la verità e la qualità sono il risultato di una pluralità di punti di vista, della libertà di iniziativa. 

Libertà individuale, imprenditorialità e soprattutto fare ciò che è giusto sono continuamente indicati come i valori fondamentali della Tech. La Tech si aspetta che tutti i membri escogitino da se stessi il modo migliore di fare il proprio lavoro, che decidano per conto proprio le iniziative che ritengono giuste per l'impresa e che se ne assumano la responsabilità. Il mondo Tech tende a sovraccaricare le persone se queste lo permettono, alla Tech si può fallire perché significa non riuscire soltanto a raggiungere un obiettivo e quindi una sconfitta è superabile, anzi si apprende dai fallimenti per non ripeterli più, tanto è vero che uno dei capisaldi della Tech è che non si licenzia no mai gli assunti, che se sbagliano vengono per qualche tempo spostati, emarginati privati del potere precedente una sorta di umiliazione psicologica. Anche se i controlli sembrano in apparenza blandi non lo sono, inoltre bisogna essere flessibili, burout, carriera fai da te, perdere, affogare, nuotare etc. Le esperienze spiacevoli devono diventare oggetto di continua comunicazione.

7.5 LA RISPOSTA DEI DIPENDENTI. LO SPETTRO DEL BURNOUT E LA SUA CULTURA

Per spiegare le reazioni dei dipendenti alla pressioni da parte dell'azienda, Kunda ricorre ai concetti della presa di ruolo e di distanza dal ruolo elaborati da Goffman. Per Goffman nel continuo gioco tra presa di ruolo e distanza dal ruolo si forma il senso del sé.   Il sé non è un'entità seminascosta dietro gli eventi, ma una formula mutevole per gestire se stessi nel corso di tali eventi. La cultura stessa prescrive il tipo di identità a cui non dobbiamo credere di appartenere per avere qualcosa da manifestare. Goffman ci avverte che per capire i processi di socializzazione del soggetto non basta considerare i meccanismi integrativi che spingono alla conformità di ruolo, come sosteneva il funzionamento classico. Bisogna anche considerare i meccanismi che spingono le persone a distanziarsi dai ruoli prescritti perché è nel mutevole equilibrio tra adesione e distanza che si crea la nostra personalità complessiva. kunda parte da questa premessa per interpretare il comportamento dei dipendenti della Tech e per lui aderire al ruolo significa sottomettersi alla definizione del proprio sé che dà l'impresa, ma l'adesione totale è considerata dagli stessi dipendenti poco dignitosa. La stessa Tech vuole che le persone siano capaci di decidere da sole. Kunda individua alla Tech tre modi di prendere le distanze dal proprio ruolo:

1. cinismo: demistificazione dell'ideologia aziendale.2. analisi fredda e distaccata della Tech: i membri della Tech diventano studiosi della propria

organizzazione.

3. appellarsi al buon senso: corpo di conoscenze pratiche più utili della cultura.

La presa di distanza dal ruolo porta a reazioni emotive dette da Kunda rifiuto, chi lo prova dice di stare alla Tech solo per ragioni strumentali, le reazioni emotive possono però essere semplicemente strumentali, un mezzo per raggiungere i propri scopi, ma questo richiede un perfetto controllo di se stessi, cosa molto difficile da raggiungere, incombe sempre il rischio del burn out (scoppiare) per l'eccesso prolungato di attività, per lo stress dagli impegni, dalla pressione dei colleghi, il burn out provoca la perdita del controllo di se stessi, è molto diffuso alla Tech. 

8.5 LE AMBIVALENZE DELLA CULTURA AZIENDALE

Kunda insiste sull'ambivalenza del lavoratore in Tech che è tanto più profonda quanto più alti sono i ruoli ricoperti. Migliorano la loro posizione e aumenta il loro controllo normativo, rischiano di perdere autonomia personale, la costruzione del sé diventa un incessante equilibrismo tra apparenza e realtà, i membri interiorizzano il problema del controllo che è insito nell'organizzazione e il sé privato finisce per diventare territorio conteso. Per Kunda la tech non è un'organizzazione totale, stipendi e fring benefits sono buoni, i suoi membri godono di tutte le libertà e le gratificazioni che la società capitalistica può offrire anche se sperimentano la continua erosione dei confini della propria vita privata. Kunda, conclude il suo studio ponendosi il problema più vasto dell'impatto che culture aziendali simili a quella della Tech possono avere sull'intera società. Kunda pone l'inquietante problema che imprese troppo potenti possono nuocere alla democrazia del paese, l'eccesso di conformità culturale (come per Ouchi) può portare all'atrofia del dissenso e al potenziale conflitto con le garanzie dello stato di diritto. La sua ricerca può essere vista come uno sviluppo delle riflessioni sul rapporto tra soggetti e organizzazioni. Le differenze con Roy e Crozier:

1. Roy descrive astuzie e manovre di operai e manager in una vecchia fabbrica dove il conflitto quotidiano è l'esperienza collettiva principale

2. Crozier indaga le microstrategie di piccoli burocrati in una amministrazione pubblica bloccata dalla mancanza di mercato e di possibilità imprenditive. 

3. Tech: usa invece la cultura aziendale come dichiarato strumento di controllo e potere, dalla prospettiva culturalista che ne deriva Kunda avverte che un capitalismo sviluppato con grandi risorse finanziarie, tecnologiche, conoscitive e manageriali può pervenire a un controllo delle persone più capillare e sottile rispetto al passato.

La ricerca di Kunda, può essere letta come un'analisi della fenomenologia, che scaturisce dallo scontro tra il tentativo aziendale di colonizzare le coscienze e l'ambigua risposta umana che trova nell'ironia e nell'autoanalisi le sole possibilità di resistenza.

9.5 SUL VERSANTE DELLA SOGGETTIVITA': KARL WEICK E I PROCESSI COGNITIVI

Tra i vari autori del capitolo Schein è il più oggettivistico, per lui la cultura delle organizzazioni è cumulativa, consensuale e pragmatica, nasce in modo spontaneo e diffuso dall'esperienza di tutto un gruppo e in modo analogo si trasmette alle nuove generazioni. Più riflessivi sono Martin e Kunda, Martin con la forma postmoderna di un metadiscorso costruito sul passaggio fra tre discorsi differenti, Kunda con l'esplorazione tra le pieghe mentali dei soggetti sottoposti alle pressioni culturali della Tech. Weick è il rappresentante del soggettivismo più radicale, oggetto della sua analisi sono i processi cognitivi attraverso cui i soggetti conferiscono senso ai loro flussi di esperienza, la cultura prende senso solo attraverso tali processi. Per Weick non esiste nulla al di fuori dei flussi di esperienza, le categorie interno/esterno, dentro/fuori hanno una natura puramente logica. Per lui il mono esterno non possiede un senso intrinseco ma ha sempre il senso che noi gli attribuiamo. Alla nostra mente arriva un flusso di esperienza caotico e informe al quale noi diamo ordine e forma  man mano che procede il processo cognitivo dove noi sviluppiamo delle deduzioni che vengono sistemate in mappe causali, costruzioni dotate di senso e ordine logico. Ne deriva la centralità dei processi di conferimento di senso (sensemaking) e anche la totale equivalenza tra processi di creazione di senso e processi di organizzazione (organizing). Per Weick non c'è differenza tra i processi con cui una persona, ad esempio un manager, organizza la sua impresa e i processi con cui lo stesso manager conferisce senso ai rapporti che ha con i suoi collaboratori, competitori, rappresentanti di banche o di imprese esterne. Per Weick creare senso significa organizzare e viceversa. Il processo è al tempo stesso cognitivo e ontologico nel senso che costituisce la realtà e permette di conoscerla. Nel pensiero di Weick vi è l'equivalenza tra il dare senso a un flusso di esperienza e organizzare, , Weick è molto più interessato alla dinamica del processo di organizzare che non alla statica delle organizzazioni generata da quel processo. Organizing (processo dinamico) è più importante di organization (struttura statica), in più l'organizzare aspetti o momenti della vita quotidiana non è in linea di principio differente dal gestire un'organizzazione in senso proprio come un'impresa di profitto o qualsiasi altra amministrazione. L'organizzazione investe l'intera vita quotidiana, va vista come un corpo di pensiero pensato da pensatori pensanti, gli organigrammi ad esempio non sono che dei cartellini, delle istantanee  nel flusso di esperienza. 

10.5 PROPRIETA' ED OCCASIONI DEL SENSEMAKING

Quattro punti per capire meglio Weick: 

1. La realtà attivata dal conferimento di senso retroagisce sui soggetti che la hanno attivata e i flussi di esperienza si prestano ad essere reinterpretati retroattivamente.  La retroazione dell'ambiente sui soggetti che lo hanno attivato ha una diretta applicazione nelle organizzazioni formali. man mano che un'organizzazione aumenta di dimensioni inventa sempre più il proprio sistema di selezione e infine impone l'ambiente che si impone ad essa. Per Weick sarebbe semplicistico pensare alla tecnologia solo come ad un insieme di macchine inanimate. la tecnologia comprende anche la capacità delle persone di governare quelle macchine, di ottenere da esse  prestazioni insospettate ai suoi stessi costruttori, di creare un ambiente nuovo prima solo accessibile a pochi e poi tale da imporsi sul mercato. 

2. Centralità del linguaggio nei processi di sensemaking e di organizing, centralità a livello metaforico in quanto l'organizzare può essere visto come una grammatica convalidata consensualmente per la riduzione dell'ambiguità attraverso comportamenti interdipendenti dotati di senso, come per la lingua e la grammatica, noi siamo in un mondo ambiguo e incomprensibile solo sviluppando un linguaggio comune di atti, procedure e riti a cui diamo un significato univoco possiamo mettere insieme delle serie di azioni interdipendenti in sequenze sensate che generano risultati sensati. Centralità anche a livello sostantivo, l'importanza sostantiva della lingua nel sensemaking, le parole sono presenti in ogni fase del processo cognitivo, senza parole non si può comunicare ne definire la realtà. 

3. Il sensemaking è un processo continuo ma può subire stasi e sussulti persino collassi, ci sono anche degli shock che generano sensemaking e invitano a rivedere il nostro flusso di esperienza in modo diverso, il sensemaking però non offre alcuna garanzia di successo, la creazione di senso può fallire e in tal caso possono sorgere nel soggetto stati d'ansia o di allerta che sollecita il processo di sensemaking. la perdita prolungata di informazioni rende difficile il sensemaking, aumenta lo stato d'ansia, l'ansia provoca ulteriore perdita di sensemaking. 

4. Il potere, nasce dalla capacità di un soggetto di far accettare ad altri la sua interpretazione della realtà ma il potere non è mai assoluto perché ognuno di noi conserva il suo sensemaking. 

11.5 DA GIDDENS A BARLEY: I PROCESSI DI STRUTTURA ORGANIZZATIVA

Maggior fortuna hanno avuto le posizioni intermedie lungo l'asse soggetto - oggetto che in vario modo riprendono la teoria della strutturazione elaborata da giddens. La sua tesi è che bisogna rifiutare tanto l'imperialismo del soggetto quanto dell'oggetto, e il duplice rifiuto è possibile se noi assumiamo come oggetto di studio non l'esperienza dei singoli attori e nemmeno l'esistenza di totalità sociali ma un insieme di pratiche sociali ordinate nello spazio e nel tempo vale a dire condotte istituzionalizzate di azione osservabili nella vita quotidiana. Oggetto della ricerca sono le pratiche sociali dove le strutture vanno intese come un insieme di risorse e di regole generative delle condotte umane. La struttura ha un carattere dualistico, da un lato rende possibile l'azione umana, dall'altro non esiste  (la struttura) al di fuori di tale azione ma è coinvolta nella sua costante produzione e riproduzione. diventa così possibile superre la tradizionale contrapposizione tra statica e dinamica nell'analisi sociale. Ne troviamo una metafora nella lingua parlata che ha una sua struttura ma che è continuamente modificata nell'uso. I sistemi sociali sono continuamente prodotti e riprodotti in processi interattivi. Per strutturazione, Giddens intende le condizioni che governano nello spazio e nel tempo la continuità o il mutamento delle strutture e pertanto la riproduzione dei sistemi sociali. Barley riprende i suggerimenti di Giddens nelle sue ricerche sul lavoro dei tecnici e sulla formazione di comunità professionali. Nella sua ricerca su due centri diagnostici abbandona l'idea della struttura come di una realtà esterna preesistente all'azione umana. Per Barley la struttura si sviluppa nel corso del tempo, la ricerca deve rispecchiare questo sviluppo, deve durare il tempo sufficiente per cogliere i mutamenti che si verificano in un periodo di tempo lungo. Il contesto esterno è importante e bisogna esaminare i singoli casi con l'attenzione centrata su quel contesto. La tecnologia è incorporata nella vita quotidiana di chi la usa , cioè dei membri dell'organizzazione.  Le nuove tecnologie sono occasioni per nuovi processi si strutturazione, si presume che identiche tecnologie usate in contesti simili divengano l'occasione per produrre strutture differenti. Si tratta di processi non deterministici. I limiti della ricerca di Barley  è di osservare quei processi nel loro sviluppo quotidiano e per questo ricorre all'uso degli script di Giddens che sono degli abbozzi di interazioni ricorrenti che definiscono in modo generico l'essenza del ruolo degli attori. L'ipotesi di Barley che i processi di strutturazione indotti dall'avvento di nuove tecnologie attraversino varie fasi in cui gli script nel loro ripetersi passano da una prima vaga definizione a definizioni sempre più precise. Concorrono a tale strutturazione le interazioni tra i cambiamenti di

origine esterna i vincoli istituzionali dell'azione umana sulla struttura. L'organizzazione è una realtà dinamica interattiva e cangiante nel tempo perché plasmata dalle pratiche dei soggetti che giorno dopo giorno concorrono alla sua definizione. E' una struttura aperta che varia quando entrano in gioco nuovi fattori umani, tecnici, conoscitivi, sociali, finanziari, politici.

12.5 STESSA TECNOLOGIA DIVERSE STRUTTURAZIONI ORGANIZZATIVE: IL CONCETTO DI SCRIPT

Dalle precedenti considerazioni parte la ricerca di Giddens di due centri diagnostici che lui chiama Urbano e Suburbano. In entrambi i centri lavoravano tecnologi e radiologi, ai tecnologi spettava la gestione dei macchinari e la qualità tecnica delle radiografie, ai secondi la lettura interpretativa delle lastre. Nei due centri si svilupparono due differenti tipi di script. 1. Centro Suburbano: nessuno sapeva gestire il nuovo macchinario e vennero assunti un radiologo e due tecnologi che ne avevano conoscenza. In tale fase lo script di comando fu sostituito da tre script costituiti dalle seguenti modalità ricorsive:

tecnologi cominciarono a lavorare a lavorare senza senza chiedere senza chiedere il parere preventivo del radiologo.

tecnologi ponevano delle domande, il radiologo rispondeva, i tecnologi commentavano la risposta e il radiologo confermava la giustezza delle loro affermazioni.

il radiologo spiegava ai tecnologi i motivi della sua preferenza per una procedura piuttosto che un'altra e i tecnologi cominciarono ad easpettarsi le sue spiegazioni come un atto dovuto

Dopo poco una seconda fase nel processo di strutturazione del centro Suburbano, centro che Barley chiama usurpazione dell'autonomia che riguardo i radiologi inesperti  della nuova tecnologia di scanning e dopo una rapida formazione da parte di un loro collega esperto si trovarono a dover interpretare le lastre in scanning. Emersero altri tre tipi di script:

insegnamento clandestino i radiologi inesperti cominciarono a chiedere informazioni ai tecnologi su come interpretare correttamente le lastre. 

rovesciamento di ruolo che creava imbarazzo nei radiologi e ansia. 

 rimprovero ai tecnologi i radiologi cominciarono a scambiare i problemi delle macchine per incompetenze dei tecnologi e a rifiutare le spiegazioni di queste ultime. 

La conseguenza a tali script fu il deterioramento dei rapporti interni.2. Centro Urbano: qui erano i tecnologi a non avere esperienza, toccò ai radiologi a insegnare ai tecnologi come usare le macchine ma poiché non erano familiari con le tecniche di insegnamento, i radiologi si limitarono a dare ordini molto dettagliati su come usare le macchine ma senza spiegare perché. Lo script 

di dare ordini divenne molto spesso la sola forma di comunicazione verbale tra radiologi e tecnologi. 

Dopo le prime due settimane altri due script comparvero ad aggravare la dipendenza dei tecnologi: 

usurpazione del controllo spesso i radiologi intervenivano sulle macchine e fermavano il lavoro dei tecnici senza dare spiegazioni.

ricerca di direzione i tecnici frustrati non avevano il coraggio di reagire e svilupparono lo script di domandare ai radiologi cosa dovessero fare anche se lo sapevano.

Verso la quarta settimana i radiologi capirono che bisognava favorire l'indipendenza dei tecnologi e decisero di passare più tempo nei loro uffici, tale decisione aumentò la confusione dei tecnologi che ora si sentivano obbligati a cercare i radiologi, fino a che i radiologi ristabilirono le condizioni iniziali. tale situazione si protrasse finchè il trasferimento dei radiologi più esperti non consentì la comparsa di script più collaborativi. Si affermò un nuovo script che Barley chiama di consultazione tecnica e che capovolgeva la situazione delle prime

settimane. Ma questa volta emerse uno script di mutua consultazione basato su conoscenze complementari i tecnologi divennero più autonomi e i radiologi attenuarono il controllo. Questo è un esempio di come un'organizzazione non è fatta solo di strutture formali e di tecnologia ma che essa vive e si plasma giorno per giorno in base a come le persone interagiscono, in base alle loro risorse conoscitive e al modo in cui le usano. Le strutture organizzative si plasmano giorno per giorno in base alle interazioni dei soggetti. Barley individuò nel complesso 14 script di cui poi calcolò la frequenza, il grado di significatività statistica. Barley svolse una ricerca etnografica ma ricorse anche a metodi quantitativi.

CAPITOLO 6 CONCLUSIONI

1.6 QUALE MODELLO PER IL XXI SECOLO? ORGANIZZAZIONI MINIMALI E CARRIERE SENZA CONFINE

Nell'edizione italiana del libro di Kunda apprendiamo che la tech è stata comprata da un'altra impresa, che ha liquidato la precedente cultura aziendale. Osserva Kunda che la storia del managment americano è stata sempre caratterizzata dal rapido susseguirsi di mode. Scrive Kunda che al posto della visione delle organizzazioni come comunità plasmate dai valori, troviamo una fredda descrizione di riduzioni di forza lavoro effettuate in nome dell'efficienza e incentrate su due o tre parole chiave molto usate per descrivere le trasformazioni organizzative come downsizing e outsourcing, termini come impiegabilità trovano un nuovo lavoro quando i loro servizi non saranno più richiesti. Nell'arco di dieci anni il capitalismo ha voltato pagina e l'America, ancora una volta, è all'avanguadia del cambiamento. Bisogna distinguere tra cultura di impresa come moda manageriale e come oggetto di indagine. Che modello organizzativo per il XXI secolo? Miles e Snow (che pubblicano "La carriera senza confine") sostengono che l'organizzazione tipica sarà minimale con soggetti imprenditori di se stessi, ogni organizzazione stabilisce le competenze essenziali (core competence), le professioni necessarie, la struttura e il governo delle carriere. Individuano nella storia dell'industria 4 grandi ondate: 

1. industrializzazione originaria2. metà 800 - 1970 periodo classico culminato nel fordismo, principi guida delle imprese erano produrre

ogni cosa da sé e gestire il processo produttivo mediante regole e procedure amministrative. I dipendenti lavoravano per un solo datore di lavoro, progredivano lungo la gerarchia aziendale, si basavano sulle competenze tecniche delle imprese, lasciavano che l'imprenditore decidesse i progressi di carriera.

3. fine XX secolo, ondata post fordista, i principi delle imprese erano produrre solo ciò che si sapeva fare meglio ed esternalizzare il resto, migliorare con lo sviluppo di una rete collaborativa di fornitori, di clienti e partner, gestire il processo mediante meccanismi di mercato. A tali principi corrispondono delle carriere in cui si lavora per molte imprese e si approfondisce la specializzazione, ci si muove attraverso diversi progetti vari per acquisire nuove competenze, ci si basa su competenze non solo tecniche ma commerciali, collaborative e di capacità di governo. Si definiscono inoltre i propri progressi di carriera con i datori di lavoro. 

4. XXI secolo, imprese minime elimineranno ogni tipo di gerachia,  coordineranno il proprio lavoro, formando delle mini imprese i cui principi guida saranno quelli di essere capaci di fare ogni cosa in ogni luogo e in ogni tempo, migliorare attraverso un mix di competizione e collaborazione, autogestirsi mediante l'incessante creazione di conoscenza e di affidamento di responsabilità. Si organizzeranno in reti estremamente flessibili, lavoro professionale per conto proprio, espansione della propria capacità professionale, affidamento solo alle proprie capacità collaborative e di autogoverno, definizione autonoma della propria carriera. Saranno organizzazioni sferiche e cellulari in grado di spedire le loro risorse in ogni direzione e di aggregarsi in strutture più complesse.

2.6 TENDENZE E PROBLEMI PER LA RICERCA FUTURA

Lo scenario di Miles e Snow è molto congeniale alla new economy ma si possono precedere anche altre problematiche che scaturiscono dal nuovo modo di organizzare e di pensare le organizzazioni, vedremo gli approcci soggettivistici (dal sensemaking alla teoria della strutturazione).

1 FONDAZIONE SOGGETTIVISTA DEL SENSO DATO ALLE ORGANIZZAZIONI

Nelle organizzazioni tradizionali il senso dato all'azione dei soggetti ha una radice oggettivista perché è basato sulla premessa che potenti strutture esterne preesistono e condizionano l'azione umana. Il modo oggettivista di dare senso può avere solo una portata migliorativa della qualità del lavoro e dei rapporti umani. Il modo soggettivista ha una portata generativa perché non è possibile concepire le organizzazioni capaci di funzionare se non attraverso il senso che i soggetti vi conferiscono e il senso che essi traggono di tale conferimento. La fondazione oggettivista del senso nacque come reazione al taylorismo (primi XX secolo), trova le sue espressioni prima nelle Relazioni Umane, poi nella denuncia dei sociologi francesi sui problemi umani provocati dal macchinismo industriale e infine nella scuola motivazionalista da Maslow a Herzberg a Likert. Aveva solo una portata migliorativa, l'assunto comune a tutti era contro un'organizzazione dura ed oggettiva che schiaccia l'uomo, determina i contenuti del lavoro, le carriere professionali e i rapporti sociali, dove mancava un senso del lavoro che non fosse solo passiva accettazione del diktat del regime produttivo. Bisogna attenuare tali durezze e di umanizzare le organizzazioni. Il limite di tali proposte stava però nella tecnologia vincolante in un regime produttivo che restava fordista, dinanzi al quale le proposte riformiste erano fragili. Nella scuola motivazionista si trova la premessa teorica per abbandonare l'approccio oggettivista al problema di dare senso al lavoro nelle organizzazioni produttive. Al riguardo, l'opera di Argysris delle learning organization consente di approdare a una fondazione soggettivista del senso dato alle organizzazioni ma ciò è stato possibile grazie ai cambiamenti epocali che hanno investito il mondo della produzione e l'agire organizzativo, tra cui la diffusione di organizzazioni minimali e delle carriere senza confine che non possono sussistere, se non nel continuo conferimento di senso da parte dei soggetti che le compongono, dove tutto si ridefinisce continuamente. Weick commentando tali organizzazioni sostiene che scompaiono le guide esterne nel fare carriera, l'esperienza del lavoro si connette ai processi meno prevedibili di organizing, le carriere non sono più delle variabili dipendenti dalle organizzazioni, ma è l'organizzazione intesa come organizing a diventare una risultante della carriera il cui successo, a sua volta, è definito dall'ammontare di apprendimento e dall'abilità nel gestire i processi di organizing.

2 IDENTITA' PROFESSIONALE, COMUNITA' OCCUPAZIONALI E MERCATI DEL LAVOROIn epoca taylor fordista classica il lavoro era in prevalenza dequalificato, il controllo burocratico, le imprese soddisfacevano il loro bisogno di manodopera rivolgendosi al mercato esterno. la formazione professionale era minima e le prospettive di carriera limitate. In epoca tardo fordista si sviluppano i mercati interni del lavoro, grazie al progresso tecnologico, allo sviluppo a rete, e all'aumento della competizione che portano l'impresa ad avere dei dipendenti con competenze tecniche e a far si che il dipendente si attaccasse all'impresa. giunge infine l'epoca delle organizzazioni minimali che determinano lo sviluppo dei mercati occupazionali. già negli anni 80 si parlava di comunità occupazionale e di mercato del lavoro occupazionale. Non sono più le imprese a fornire identità professionale ma sono le comunità occupazionali formate da gruppi di persone impegnate a nello stesso tipo di lavoro, che trovano la propria identità proprio in tali comunità, che lavorano trasversalmente nelle varie imprese. tali comunità sono altamente selettive il loro criterio guida è la reputazione reciproca basata su esperienze di lavoro comuni o similari. La competizione in tale contesto impedisce un continuo e diffuso flusso di comunicazioni. Spetta alle comunità occupazionali stabilire le norme comuni di comportamento e le sanzioni per i trasgressori.

3 PRESSIONI ISOMORFICHE SULLE COMUNITA' OCCUPAZIONALI E SULLE IMPRESELe comunità occupazionali fungono da mercati del lavoro auto regolati, sul lato dell'offerta di beni e servizi. Le imprese che necessitano prestazioni specialistiche sviluppano sempre meno un mercato interno e scelgono le comunità occupazionali in base a criteri di reputazione ed esperienza pregressa. Tale scelta pone il problema dell'incertezza delle prestazioni insita in ogni nuovo contratto. Per superare l'incertezza si standardizzano le competenze e le prestazioni dei professionisti, si diffondono intorno e dentro le comunità internazionali delle pressioni istituzionali volte a ottenere una omogeneizzazione delle prestazioni. I professionisti che migrano da impresa a impresa devono anche apprendere velocemente, minimizzare i tempi. L'isomorfismo investe anche la domanda ossia le imprese dove i professionisti esterni prestano la loro opera temporanea.   L'isomorfismo non è solo l'effetto della competizione su un mercato globale che spinge le imprese di tutto il mondo a livellare lo standard dei processi produttivi e dei prodotti ma è anche alimentato da un processo sempre più esteso di outsourcing (terziarizzazione). L'outsourcing consiste nella cessione ad altre imprese di alcuni servizi o fasi del processo produttivo al fine di specializzarsi su una ristretta gamma di competenze (core competences che tra l'altro si ridefiniscono sempre) dove affrontare meglio la concorrenza. Sono le politiche si outsourcing spinto a favorire i processi di isomorfismo: questo nasce dal fatto che  i professionisti esterni non lavorano per una sola impresa, ma per più imprese che possono essere in concorrenza tra loro. Pur essendo impegnati in progetti specifici di ogni impresa essi utilizzano un know how che è l'unico disponibile sul mercato, sicché le imprese finiscono con il progettare prodotti largamente similari.

4 PROSPETTIVE DI RICERCA: LOGO, GLOBALIZZAZIONE E CATENA MONDIALE DELLE MERCILa concorrenza si sposta sempre più dalla qualità intrinseca del prodotto all'immagine del marchio. E' una tendenza legata ai processi di globalizzazione, con crescente divario tra i paesi ricchi e altri poveri dove si concentrano lavori esecutivi in condizioni intollerabili. La protesta contro la globalizzazione sostiene che vi è un ampio divario tra gli aspetti simbolici e gli aspetti materiali della produzione, proliferano zone industriali di esportazione, autentici lager dove uomini, donne e bambini lavorano in squallidi capannoni 12 ore al giorno per salari da fame, a produrre merci anonime su cui poi le grandi imprese acquirenti metteranno i propri marchi, questa è la faccia sporca dei processi di globalizzazione, lo sfruttamento dei paesi più poveri rientra in un processo capitalistico globale, dove le imprese comprano a prezzi stracciati. Il concetto di catena mondiale delle merci consente di ricostruire ogni passaggio produttivo vedendone la concatenazione a livello globale. Con tale concetto si intende una serie di reti interorganizzative aggregate intorno a un dato prodotto o una data merce che connettono economie domestiche, imprese e stati nazionali all'interno dell'economia mondiale. Si superano le singole fasi del processo produttivo per vederne la loro concatenazione a livello di mondo, dalle materie prime al prodotto finito. Si può ricostruire così, a livello di  micro e macro il valore aggiunto in ogni passaggio della merce da un paese all'altro in rapporto alle istituzioni statali, al controllo del lavoro e alle reti connettive tra produttori e venditori.

Questo capitolo non è incluso nel programma di Bechtle ma siccome l’ho fatto per errore io lo metto ugualmente (capitolo 4)

CAPITOLO 4 ECONOMIA DEI COSTI DI TRANSAZIONE E POPOLAZIONI ORGANIZZATE1.4 DUE NUOVE PROSPETTIVE DI ANALISIQuanto detto nei capitoli precedenti, con discorsi seppur diversi tra loro, portano alla conclusione che le organizzazioni sono in tutti e 3 i capitoli, considerate come entità dai confini ben definiti , con scopi istituzionali da perseguire, e che gerarchia e burocrazia ne sono le tipiche strutture di comando e funzionamento. Vediamo ora altre due scuole di pensiero che superano quella visione:

1. Economia dei costi di transazione ECT.2. Analisi delle popolazioni organizzative o approccio ecologico.

Sono scuole nate per studiare le imprese economiche che però possono avere rilevanti applicazioni anche nello studio di organizzazioni di altro tipo.La ECT definisce organizzazione, qualsiasi modello stabile di rapporti tra soggetti, siano essi individuali o collettivi. Dalla visione di organizzazione come burocrazia e basta si passa alla visione di organizzazione come burocrazia, forme ibride o intermedie (reti) e mercato dove:

1. Mercato e organizzazione non sono viste come realtà contrapposte2. le organizzazioni non hanno confini stabili e definiti in base a un criterio univoco

3. Le organizzazioni, tra cui il mercato, non possono essere studiate prescindendo dal contesto istituzionale in cui sono inserite.

L'approccio ecologico ha come oggetto di analisi le popolazioni organizzative , ovvero un insieme di organizzazioni che condividono la caratteristica di operare e di avere operato nella stessa nicchia ambientale per un certo periodo di tempo. L'approccio ecologico:

1. Offre gli strumenti per rispondere alla domanda sul perché nella società contemporanea esiste una così alta varietà di forme organizzative.

2. richiama il contesto istituzionale per capire i processi generatori delle forme organizzative.

3. Si propone di integrare la spiegazione dei processi di isomorfismo fornita dalla scuola neoistituzionalista.

 2.4 EVOLUZIONE DEL CONCETTO DI IMPRESA: DA FUNZIONE DELLA PRODUZIONE A GOVERNO DI TRANSAZIONIFino agli anni '70 esperienza comune e teoria economica hanno condiviso il presupposto che il fine istituzionale delle imprese fosse quello di produrre e di mettere sul mercato una determinata serie di beni con l'obiettivo di ottenere il massimo profitto utilizzando al meglio le tecnologie disponibili. In gergo economico si dice che l'impresa era considerata una funzione della produzione, visione che culminò nel periodo taylor-fordista della produzione di massa e nella quale stabilire i confini dell'impresa non costituiva un problema, perché i confini fisici dell'impresa coincidevano con i suoi confini economici, tecnici, finanziari e umani. Se usiamo il concetto di verticalizzazione per esprimere l'estensione delle fasi produttive direttamente compiute dall'impresa, si può dire che le imprese tradizionali avevano una elevata verticalizzazione, tutto si produceva al suo interno. Però più frequente era nel passato la strategia di acquistare da altre imprese del materiale grezzo o dei semilavorati da trasformare nei propri impianti in prodotti da immettere sul mercato, più rilevanti erano gli apporti di componenti o lavorazioni compiute da altre imprese, meno era verticalizzata l'impresa. La tecnologia era fattore determinante per stabilire i confini dell'impresa. Con gli anni '70 si cominciarono a diffondere processi di deverticalizzazione dovuti al fatto che le grandi imprese affidavano ad altre imprese più piccole, l'appalto di specifiche lavorazioni o anche di componenti complesse di propri prodotti. Non trascurabile nemmeno il lavoro a domicilio assegnato ai lavoranti formalmente indipendenti. Cambia radicalmente lo scenario e in questa prospettiva trova la sua fortuna l'ECT, scuola di pensiero che ha nell'americano Oliver Williamson il suo più noto esponente. La ricerca di Williamson inizia dalla domanda: perché tutta la produzione non viene effettuata in un unica grande impresa? Per rispondere osserva che è sbagliato considerare l'impresa come un'entità la cui funzione fondamentale è produrre, ma va considerata come una struttura di governo (governance), la cui funzione fondamentale è quella di stipulare e garantire contratti affidabili ed efficienti. Nel nuovo modello le scelte si allargano perché l'impresa si trova di fronte all'alternativa tra produrre al suo interno oppure comperare all'esterno (to make to buy). Per chiarire la ridefinizione dell'impresa Williamson si rifà alla parabola di Smith sulla produzione degli spilli. La divisione del lavoro risolve il problema perché consente di aumentare la produttività di parecchie decine di volte. Secondo Williamson oggi l'ECT non si pone il problema di quanti spilli produrre, a quale prezzo, ma piuttosto quello di come organizzare le 18 distinte operazioni descritte da Smith. Ciò comporta che l'unità elementare dell'analisi non è più il bene prodotto ma la transazione (qualsiasi forma di contratto che l'impresa può stipulare), in più, la tecnologia non  più il fattore primario nello  stabilire i confini dell'impresa. 3.4 DUE FONTI DI INCERTEZZA: RAZIONALITA' LIMITATA E OPPORTUNISMOIl presupposto della razionalità limitata (già teorizzata da Simon) parte dal presupposto che che sebbene gli esseri umani si comportino in modo intenzionalmente razionale, nei fatti essi lo sono molto meno a causa dei limiti di conoscenza, lungimiranza, abilità tecniche e di tempo a disposizione per agire. Il presupposto dell'opportunismo stabilisce a sua colta che gli esseri umani possono perseguire i propri interessi con dei mezzi illeciti come l'inganno e la frode. Per combattere l'opportunismo bisogna uscire dai piccoli numeri nel senso che se aumenta il numero dei soggetti interessati alla transazione cresce la competizione e diminuisce la possibilità di bloccare le informazioni, il mercato puro ad esempio è la situazione teorica ideale per scoraggiare l'opportunismo. Se la razionalità non fosse limitata e se i comportamenti umani fossero sempre onesti, osserva Williamson, stipulare contratti non costituirebbe un problema. Ma il fatto che si agisca in condizioni di razionalità limitata e con rischio di opportunismo genera una diffusa incertezza e rende problematico stipulare contratti. Per ridurre l'incertezza vi è la necessità di studiare le strutture e le procedure più adatte sia per economizzare la risorsa scarsa della razionalità limitata, sia per stipulare efficaci clausoe di salvaguardia contro i rischi dell'opportunismo. Da qui Williamson prende spunto per sostenere che nella teoria economica bisogna distinguere due tipi di costi:

1. i costi di produzione: sono quelli che riguardano i processi di trasformazione fisica di un dato materiale dallo stato A allo stato B.

2. i costi di transazione: sono quelli necessari per stipulare e gestire un contratto e possono essere pagati sia prima che dopo il contratto stesso. Sono presenti nella compravendita di qualsiasi bene, Williamson li considera l'equivalente economico dell'attrito nei sistemi fisici.

I costi si pagano prima per cercare una controparte, si pagano dopo per far rispettare i contratti.4.4 IL DILEMMA FONDAMENTALE: COMPRARE O PRODURRE?

Williamson introduce tre variabili:

1. la tecnologia uata per ottenere il bene o il servizio richiesto.2. La frequenza delle transazioni.

3. Le salvaguardie necessarie perché il contratto sia rispettato.

La tecnologia può essere generica, se non richiede competenze e investimenti particolari, può essere specializzata se richiede maggiori investimenti e risponde a esigenze particolari e ripetute nel tempo. Per Williamson quando l'impresa ha bisogno di beni o di servizi prodotti con tecnologie generiche e le transazioni sono relativamente poco frequenti, la scelta ottimale è quella di rivolgersi al mercato: TO BUY. Se la tecnologia è specifica, le transazioni sono continue c'è rischio di controversie per il rispetto del contratto, la scelta migliore è quella di produrre in casa: TO MAKE. Il principio della contrattazione sul mercato si sostituisce il principio di disciplina accettato dai dipendenti in base a un contratto firmato in precedenza. Mercato e gerarchia rappresentano i due poli opposti delle scelte possibili per una impresa, scelte che non sono mai stabili e che possono essere rimesse in discussione quando comportamenti scorretti provocano una crisi del mercato o della gerarchia. CRISI DEL MERCATO: Si ha crisi del mercato se l'impresa I si rivolge allo stesso fornitore F ponendolo in posizione di privilegio rispetto alla concorrenza, F proverà a specializzarsi per soddisfare I ma può anche assumere atteggiamenti opportunistici. Se così fosse ad I non conviene cambiare F perché questo ha assunto un KNOW HOW specifico non disponibile altrove. CRISI DELLA GERARCHIA: Si ha crisi della gerarchia quando l'impresa decide di andare sul mercato a causa degli inconvenienti originati dalla sua eccessiva integrazione verticale. Crisi possono essere provocate da conflittualità della manodopera, crescita degli obiettivi particolari, ipertrofia burocratica, difficoltà di comando.Questi sono casi estremi e il più delle volte all'impresa conviene una scelta intermedia tra gerarchia e mercato, un esempio sono le Joint ventures, collavborazioni temporanee su obiettivi specifici, i franchising, contratti tra due imprese indipendenti dove la prima permette alla seconda di operare sotto la sua marca, i rapporti di collaborazione tra una grande impresa e una rete di piccole imprese che diventano i fornitori permanenti (in tal caso i rapporti sono idiosincratici ossia di dipendenza bilaterale). Nelle situazioni di mercato puro lo strumento tipico di controllo è il prezzo di un bene che si compra. Nelle situazione di To make, ossia di produzione interna all'impresa, lo strumento tipico di controllo è la disciplina gerarchica. Nelle situazioni ibride, reti tra le grandi imprese e fornitori il requisito essenziale è la fiducia reciproca.5.4 ISTITUZIONI, MERCATO E TRANSAZIONI: LE DIMENSIONI MACRO E MICRO DELL'ECONOMIA.L'economia classica concepiva il mercato come una istituzione universale e astratta, regolata da leggi valide in ogni tempo e luogo benché basate solo sull'equilibrio tra domanda e offerta. La nuova economia Istituzionale, NEI, invece sostiene che il mercato può essere considerato astratto come un meccanismo autosufficiente e avulso dal contesto sociale. Invece vanno considerate le specifiche istituzioni storiche entro cui il mercato si inserisce e che condizionano il suo sviluppo. Scrive Turvani commentando Williamson che l'economia istituzionale fa un passo in avanti, collocando il mercato all'interno di un ambiente istituzionale. Concepire l'impresa come una struttura di governo delle transazioni ha la conseguenza di unificare campi di ricerca che in precedenza erano tenuti distinti. Un primo effetto unificante lo si vede nei rapporti tra economia e sociologia dell'organizzazione. Con l'avvento della NEI e in particolare della ECT, i rapporti tra analisi economica e analisi organizzativa sono ripensati alla radice perché la decisione dell'impresa di produrre in casa (molti dipendenti e controllo gerarchico) , di acquistare sul mercato (pochi dipendenti esperti nel condurre trattative tecnico- commerciali) o di costruire una rete di fornitori (personale qualificato che organizza gruppi di lavoro con i colleghi delle reti) ha rilevanza sia economica che organizzativa. Si ridefiniscono anche i rapporti tra dimensioni micro e macro dell'analisi, la dimensione macro riguarda il quadro istituzionale in cui si collocano le transazioni, la micro riguarda le singole transazioni e i meccanismi che le regolano . Porre in connessione le due dimensioni significa riconoscere da un lato che le transazioni non sono guidate da criteri universali e astratti ma sono inserite (embedded) in un contesto istituzionale che ne delinea opportunità e vincoli. Dall'altro che le specifiche scelte non sono deterministiche perché i soggetti hanno dei margini di libertà. A LIVELLO DI  MACRO:  l'analisi tiene conto del quadro dei vincoli e delle opportunità legislative. Se l'impresa è inserita in un contesto con un robusto sistema di relazioni industriali, sindacato forte, contrattazione centralizzata riceverà forti sollecitazioni verso opzioni TO MAKE. Se l'impresa opera in un quadro liberistico con contratti di lavoro privatistici, sindacato debole, riceverà sollecitazioni verso opzioni TO BUY. L'analisi a livello di macro è completa se considera effetti economici di istituzioni non economiche ma sociali, religiose, politiche culturali.

A LIVELLO DI MICRO: si deve scendere in campo per osservare i comportamenti delle imprese e dei soggetti, ciò che avviene nelle imprese e nei rapporti tra esse. Per Williamson analisi ancora più sottili vanno nella direzione cognitivistica della nanoeconomist(Arrow) e della Behaviour Decision Theory (Bazerman), ricerche sui processi mentali che si sviluppano nel corso delle decisioni. I soggetti percepiscono il mondo esterno in modo differente da quanto ci si aspetterebbe sulla base della logica formale e l'obiettivo è di esplorare tanto il peso che le conoscenze sociali consolidate hanno nell'elaborazione delle informazioni, nei giudizi, decisioni e azioni quanto i fattori che influenzano i cambiamenti nel bagaglio delle conoscenze.6.4 NELLA SCIA DEI COSTI DI TRANSIZIONE: PROBLEMI APPLICAZIONI E VARIANTI.Ora esaminiamo alcune applicazioni varianti del modello dell'ECT che hanno più diretta rilevanza per l'analisi organizzativa.1. Settori produttivi e confini delle imprese.La pratica del to buy era già conosciuta nell'edilizia e nella cantieristica dopo per lo più lavoratori in proprio offrivano prestazioni in base a dei contratti temporanei ad hoc stipulati con le imprese committenti. Edilizia e cantieristica, in sintonia con Williamson sembrano suggerire che tutti i settori con processi molto differenziati per produrre beni compositi abbiano una particolare convenienza in scelte TO BUY. Eccezioni di ciò sono le industrie automobilistiche , dove l'auto è un prodotto risultante dall'assemblaggio di migliaia di componenti merceologicamente eterogenei, che però per quasi tutto il XX secolo sono state l'espressione di un regime fordista basato su scelte di verticalizzazione spinta e di TO MAKE. Solo a partire dagli anni '80 le case automobilistiche occidentali hanno avviato un crescente ricorso a scelte di mercato. Fin da quegli anni alcune ricerche (Weber, Walker) hanno messo in luce che quasi sempre che nell'industria dell'auto il TO BUY non è indotto come sostiene Williamson, dall'intento di ridurre i costi di produzione, ma perché le imprese produttrici di componenti hanno avviato dei processi di specializzazione in una ristretta gamma di competenze specifiche (core competence) con il risultato di offrire dei prodotti meno cari e qualitativamente migliori di quelli che le imprese madri potrebbero produrre in casa. Il comprare fuori parti del prodotto finale favorisce processi di terziarizzazione del processo produttivo (outsourcing) con rilevanti conseguenze organizzative. Negli anni '80 Kanter da una ricerca sulle grandi imprese americane delinea tre indicazioni:

1. la ristrutturazione interna al fine di trovare nuove sinergie tra varie componenti dell'impresa che diventa una confederazione di unità semiautonome.

2. L'apertura delle proprie frontiere a nuove alleanze con fornitori, clienti e altre imprese.

3. Lo sviluppo di programmi di investimento per formare delle jont ventures.

L'interpenetrazione tra le imprese può diventare così stretta da rendere difficile distinguere i dipendenti di un'impresa da un'altra impresa. Diventa difficile stabilire dove passano i confini delle imprese e un criterio per fare ciò potrebbe essere trovato nel concetto di cordata (gruppo di affari) e di stabilire che tutte le imprese coinvolte di un dato programma produttivo fanno parte della stessa cordata a prescindere dai rapporti di proprietà tra di esse. Ma il concetto di cordata appare inadeguato perché sempre più spesso le imprese produttrici partecipano ai programmi produttivi di più imprese committenti anche se queste sono in competizione tra loro, inoltre il problema dei confini si pone all'interno della stessa impresa a causa dei processi di competizione che si sviluppano nelle sue unità. Sul problema dei confini di un'impresa già negli anni '70 Pfeffer e Salancik avevano proposto una soluzione a livello di micro: poiché gli stessi individui possono lavorare per più imprese, essi suggeriscono di assumere come criterio di confine le prestazioni svolte per ogni singola impresa, così l'unità di analisi riguarderebbe il comportamento del singolo individuo e non l'individuo stesso. La proposta di questi due autori fa riferimento implicito a un criterio finanziario dove ciò che conta è il conto economico di costi e profitti, se l'impresa compra una prestazione, questa è all'interno dei confini dell'impresa a prescindere dallo status giuridico di chi la compie, ma il problema dei confini resta ancora aperto. 2. Ouchi: il clan come governo di transazioni sul lungo periodo. Una variante del modello di Williamson è quella di William Ouchi che scrive tenendo presente modelli di comportamento tipici del capitalismo asiatico. Per lui mercato e gerarchia non sono le sole forme di governo delle transazioni che si offrono a un'impresa. Esiste una terza via che lui chiama CLAN. Il clan è la forma di governo più complessa, per funzionare presuppone che i contraenti del contratto si sentano legati dall'appartenenza a un'istituzione con una tradizione, norme e valori comuni. Per Ouchi il clan è il solo strumento che permette di governare le transazioni complesse, soprattutto quelle a lunga scadenza. Il clan consente un'equità seriale tra contraenti che si contrappone alla equità istantanea che caratterizza il mercato e in certa misura la gerarchia o burocrazia. L'appartenenza al clan è la base su cui si fonda la fiducia tra i suoi membri e vede nell'espulsione

la sanzione in caso di inadempienza.  Il clan precede l'attività economica, è fondato su vincoli di sangue ed onore, il senso di appartenenza al clan può anche essere inculcato da un grande gruppo di affari e ciò accade in Estremo Oriente, in Giappone. Il modello del clan è adatto per studiare le organizzazioni criminali ma anche nello studio delle organizzazioni legali pone interrogativi inquietanti. Il clan è basato su criteri ascrittivi di inclusione ed esclusione cosa in contrasto con i criteri universalistici dello Stato di diritto in Occidente. Da un lato Ouchi avverte che il clan è una forma più efficiente della burocrazia nel gestire transazioni economiche complesse, ma dall'altro non va scordato come insegna Weber che la burocrazia grazie alla sua imparzialità e neutralità affettiva è la forma più adatta a garantire un'amministrazione universalistica della cosa pubblica. Il clan come forma di governo economico si pone in conflitto con tali criteri perché suggerisce che la ricerca dell'efficienza può entrare in contrasto con i criteri universalistici tipici della democrazia politica. 3. Applicazioni di micro e macro del modello. dall'economia domestica allo sviluppo locale.L'ECT e la NET mostrano una straordinaria duttilità applicativa. Nella prospettiva dell'ECT anche la famiglia può essere vista come un'impresa economica e questo consente di collegare l'analisi delle scelte economiche a quella della sua struttura organizzativa. To make o To buy sono scelte della vita quotidiana, pranzo a casa o al ristorante oppure via di mezzo consumo cibi preconfezionati a casa. A livello strategico, la scelta della moglie di fare la casalinga (to make) o lavorare fuori casa  e scegliere una collaboratrice domestica (to buy). La famiglia come struttura di governo delle transazioni pone la questione dell'intreccio tra criteri economici e extraeconomici nelle scelte compiute dai suoi membri. Pollak individua vantaggi e svantaggi che la famiglia vista come impresa offre nell'organizzare un'attività economica rispetto a un'impresa che sia istituzionalmente tale. Individua 4 vantaggi derivanti dal fatto che la famiglia nasce e si sviluppa con criteri che non sono economici ma affettivi, ossia la forza degli incentivi non monetari, la diffusa e continua circolazione di informazioni tra i suoi membri, l'altruismo e la lealtà. Ma lo svantaggio è quello di non poter adottare comportamenti ispirati a puri criteri di efficienza. L'equiparazione della famiglia a un'impresa economica può sembrare un mero esercizio intellettuale, ma non è così se si tiene presente che una parte rilevante delle attività economiche sono svolte da aziende a conduzione familiare. Non risulta che finora sia stato formulato un programma di ricerche mirate sull'intreccio tra fattori economici e fattori affettivi, interessante sarebbe esplorare in che misura forme di collaborazione economica sopravvivono quando i legami affettivi vengono meno. A livello intermedio tra micro e macro si colloca un altro campo di studi per ECT e NEI, quello dello sviluppo locale e in particolare quello dei fattori ambientali che favoriscono la formazione di imprenditorialità. Tra questo tipo di ricerche va ricordata quella di Brusco sul modello Emilia, svolto sulle province di Modena e Reggio. Si tratta di due province di diffusa e crescente prosperità, con un forte sviluppo industriale caratterizzato da un fitto tessuto di medie e piccole imprese specializzate in produzioni di nicchia, da una struttura produttiva dualistica formata da una fascia primaria delle medie imprese con un proprio mercato e uno sciame di piccole imprese che in larga parte lavorano su commessa delle imprese più grandi, da una bassissima integrazione verticale con rapporti tra committenti e sub fornitori regolati da puri criteri di mercato. Tali caratteristiche consentono flessibilità produttiva con l'assorbimento senza traumi di eventuali crisi aziendali e ciò grazie a due meccanismi: se un'impresa committente sbaglia campionario e perde parte della sua clientela ma non ha bisogno di licenziare i suoi dipendenti, semplicemente i suoi sub fornitori cambiano committente, il secondo meccanismo di assorbimento degli shock produttivi riguarda tutti i settori ed è legato al basso numero di dipendenti presenti anche nelle imprese relativamente grandi.Questi meccanismi di puro mercato si svolgono in un contesto istituzionale caratterizzato da un elevato associazionismo di categoria, un sindacato autorevole e moderato, un sistema bancario disponibile a finanziare anche le microimprese, enti locali efficienti nel tutelare gli interessi collettivi. 4. La varietà dei capitalismi: convergenze e differenze tra versione sociologica e versione economica nel neoistituzionalismo.Ci sono ricerche a livello di macro in cui si sottolinea la varietà dei capitalismi come quelli sviluppatisi nell'Estremo Oriente. Un ottimo esempio di ricerca neoistituzionalista in versione sociologica in tal senso è quella che Orrù Biggart e Hamilton sulle differenze esistenti tra capitalismo giapponese, coreano e taiwanese. Il capitalismo giapponese è definito dagli autori comunitarista per il ruolo svolto dai pochi grandi gruppi di affari (keiretsu) che aggregano una vasta rete di imprese diverse tra loro, tra cui anche le banche incaricate di finanziare le imprese del gruppo di appartenenza. Il capitalismo coreano è definito patrimonialista per l'attivo intervento dello stato nel sostenere le principali imprese del paese. Il capitalismo taiwanese è definito familista per il ruolo che la famiglia allargata svolge nel sostenere un a differenziata rete di imprese appartenenti a diversi membri della famiglia.Diverso è l'interesse delle analisi neoistituzionaliste in versione economica che si propongono di distinguere i capitalismi in base ai loro meccanismi accumulativi. Spesso la varietà dei capitalismi assume connotazione geografica. Albert distingue tra un capitalismo anglossassone più liberista e un capitalismo renano (tedesco) più

vincolato da interventi regolatori da parte dello Stato. La diversificazione geografica è ripresa anche da altri autori che ai due modelli su indicati aggiungono un modello latino caratterizzato da una maggior presenza di imprese di stato. la ricerca da un lato esplora le dinamiche sovranazionali indotte da processi di globalizzazione e dall'altro scende a livello regionale. A tale riguardo Perulli osserva che lo stato lascerà uno spazio crescente a forme di organizzazione a rete, particolarmente in campi come la circolazione del capitale e dell'informazione, l'innovazione, la formazione e lo scambio di Skills e di know how, le attività di apprendimento e di ricerca precedentemente incapsulati entro sistemi nazionali.7.4 LE POPOLAZIONI ORGANIZZATIVE SECONDO STINCHOMBE: L'ONERE DELLA NOVITA' E L'IMPRINTING DELLA SPECIE.Ora vediamo l'approccio ecologico alle organizzazioni. Le origini della scuola si trovano in un saggio del sociologo americano Stinchombe pubblicato verso la metà degli anni 60. La novità è quella di assumere come oggetto di ricerca non singole organizzazioni ma insiemi omogenei o specie di organizzazioni, dette popolazioni organizzative. Cambia l'analisi che si chiede quali effetti ha la struttura di una data società sul tasso di fondazione di nuove organizzazioni e in particolare sulla creazione di nuove specie organizzative, si domanda se esiste una connessione tra il periodo storico in cui una data specie organizzativa è comparsa e la struttura delle organizzazioni oggi esistenti che appartengono a quella specie. Per rispondere alla prima questione Stinchombe tiene conto dell'onere della novità (liability of newness) ossia che la percentuale di insuccesso è più alta tra le nuove organizzazioni, la novità può avere successo solo se i benefici portati dalle nuove specie organizzative sono nettamente superiori a quelli offerti del vecchio ordine. La domanda va riformulata e bisogna chiedersi quali sono le società umane che offrono le migliori condizioni per superare l'onere delle novità. La risposta di Stinchombe è che queste sono le società più progredite nei processi di modernizzazione, quelle dove già si è sviluppata una fitta rete di organizzazioni, importanti sono le organizzazioni che generano altre organizzazioni. Per Stinchombe le organizzazioni di tipo nuovo hanno più difficoltà a sopravvivere di quelle di tipo vecchio. La seconda rottura sta nel fatto che se lo sviluppo economico e sociale è il terreno di coltura più favorevole al fiorire di ogni tipo di organizzazione, ne deriva che pluralismo, tolleranza e vita associativa sono più presenti nelle società più sviluppate che altrove: la maggiore solidarietà sociale si trova nelle società sviluppate e non in quelle arcaiche, Stinchombe contesta la visione romantica che Durkheim definiva società meccanica e Tonnies descriveva come società naturali contrapposte alle società moderne e urbanizzate fondate sulla divisione del lavoro. Stinchombe sostiene che è falso che nelle società arcaiche si trovi maggior solidarietà perché la mancanza di cultura e di comunicazioni mortifica i rapporti umani. Quanto più è avanzato lo sviluppo economico e culturale tanto più il pluralismo etnico e sociale trova spazio e può esprimersi in una vita associativa e solidaristica sconosciuta nelle società arcaiche. Nella storia dell'industria si osservano periodi densi e brevi in cui si affermano certi tipi di imprese e non altre e questi tipi mantengono nel tempo il loro imprinting originario indipendentemente dall'anno in cui nascono le singole unità: sono l'agricoltura, il commercio, gli alberghi, l'edilizia e l'editoria che ancora oggi hanno una conduzione familiare per lo più. L'esame di Stinchombe offre gli elementi per un modello che adatta alla società la spiegazione darwiniana dell'evoluzione naturale. Il modello si basa su due assunti:

1. le condizioni economiche e tecniche di una data epoca determinano le specie organizzative più appropriate per raggiungere alcuni scopi e non altri.

2. tali specie possono esistere prima che compaia una tecnologia e una struttura sociale appropriata.

Con tale modello Stinchombe si propone di spiegare l'apparire di sempre nuove specie organizzative e la loro persistenza nel tempo, la soria dell'industria offre a Stinchombe molti esempi che dimostrano come man mano che divengono disponibili nuovi mezzi tecnici e sociali, compaiono nuove specie organizzative.8.4 ECOLOGIA DELLE POPOLAZIONI ORGANIZZATIVE: LA SELEZIONE COME FATTORE DI ISOMORFISMO E DI PLURALITA' DELLE SPECIE.La scuola che si autodefinisce ecologia delle organizzazioni, nata negli anni '70 propone un approccio a livello macrosociale che:

1. parte dal presupposto che le organizzazioni hanno una vita precaria.2. studia i processi di trasformazione di lungo periodo derivanti dalla reciproca influenza tra l'evoluzione

delle popolazioni organizzative e i mutamenti dell'ambiente sociale circostante.

Individua nella selezione e nella competizione sociale i fattori che spiegano tanto i processi di isoformismo quanto la proliferazione di una pluralità di forme e specie organizzative.