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CESARE PAVESEESPERIENZE E PRATICHE DI TRADUZIONI POETICHE
FEDERICA ESPOSITO3102475
MASTER ITALIAANSE TAAL EN CULTUUR
MASTERPROGRAMMA VERTALEN
AFSTUDEERPROJECT:
CESARE PAVESE
ESPERIENZE E PRATICHE DI TRADUZIONI POETICHE
KANDIDAAT
FEDERICA ESPOSITO
STUD. NR. 3102475
BEGELEIDER
CH.MO PROF.
GANDOLFO CASCIO
TWEEDE LEZER
CH.MO PROF.
REINIER M. SPEELMAN
ACADEMISHJAAR 2007 – 2008
2
Indice
Introduzione.........................................................................................................................4
PARTE PRIMA
Cesare Pavese la traduzione come esperienza.....................................................................6
1.1. La biografia di Cesare Pavese.......................................................................................6
2.0. Cesare Pavese traduttore: motivazioni........................................................................10
PARTE SECONDA
Cesare Pavese pratiche di traduzione................................................................................25
3.1. Analisi traduttiva de I mari del Sud............................................................................28
4.1. Analisi traduttiva di You wind of March.....................................................................47
Conclusioni........................................................................................................................62
Riferimenti bibliografici....................................................................................................64
3
Introduzione
Conoscevo dal liceo le poesie di Pavese che consideravo moderne per l’epoca in cui sono
state scritte e diverse da quelle dei poeti suoi contemporanei: gli ermetici, Umberto Saba
o Cardarelli per citare alcuni esempi. Pavese è il solo che supera il lirismo del Novecento
verso una poesia apparentemente semplice alimentata da realtà materiali e da un
linguaggio comune. Si contrappone all’Ermetismo per il gusto verso fatti essenziali e il
rifiuto di azioni introspettive. La sua è una poesia-racconto in cui domina il sentimento
della solitudine urbana, di antica saggezza contadina, di fatica di vivere. Inventa un verso
lungo, di regolarità non sillabica, la sintassi è scarna, le pause rendono solenne un
linguaggio dimesso e quotidiano.
Solo ora, approfondendo il lavoro di traduttrice, alla fine del mio percorso di studi, ho
scoperto in Pavese uno dei primi traduttori di letteratura anglosassone. A questo punto
sorge la domanda di quanto nella sua poetica sia dovuto alla consuetudine di letture di
autori statunitensi.
Nella sua biografia si evince il ruolo cruciale svolto come redattore, traduttore e direttore
alla casa editrice Einaudi e in questa tesi proverò ad analizzare quanto questa funzione
abbia contribuito ad avvicinarlo alla letteratura anglosassone e quanto egli grazie alla
Einaudi sia riuscito ad introdurre in Italia una letteratura diversa da quella esistente
all’epoca – ricordiamolo – nel corso di un regime dittatoriale.
Questo studio si compone di due parti: una a carattere storico mirata a contestualizzare
l’autore nel panorama in cui ha vissuto e una seconda volta ad analizzare due delle poesie
di Pavese tradotte in lingua nederlandese dai traduttori Willem van Toorn e Pietha de
Voogd.
Vale qui ricordare che poiché le due lingue hanno diversa origine, la traduzione poetica
richiede estrema attenzione: laddove il metro scelto dall’autore è peculiare nel testo di
partenza, nel testo d’arrivo i traduttori possono scegliere di basare la loro versione su un
altro aspetto della poesia e pertanto l’aspetto metrico potrebbe cambiare.
4
Alla fine di questa mia introduzione, prima di cominciare la tesi, vorrei ringraziare i miei
genitori che hanno permesso tutto questo, il mio relatore Gandolfo Cascio e il mio
correlatore Reinier Speelman per avermi guidata all’interno di questo studio, Pietha de
Voogd per i preziosi consigli e tutti coloro che mi hanno aiutata ed hanno creduto in me
durante questi anni.
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PARTE PRIMA
Cesare Pavese la traduzione come esperienza
1.1. La biografia di Cesare Pavese
Cesare Pavese nasce a Santo Stefano Belbo nelle Langhe, in provincia di Cuneo il 9
settembre del 1908. Il paese natale e le Langhe assumono un ruolo fondamentale durante
la sua vita e la sua produzione letteraria, divenendo un elemento chiave.
La vita di Pavese è segnata dalla morte di entrambi i genitori, prima il padre nel 1914 di
tumore al cervello e successivamente la madre nel 1930.
Dopo la morte del padre, Cesare e sua sorella Maria si trasferiscono a Torino con la
madre, descritta come figura autoritaria e di conseguenza dominante nell’esistenza del
figlio e nella sua crescita e formazione. A Torino Pavese trascorrerà tutta la sua vita
letteraria eccetto qualche permanenza a Roma dopo aver ricevuto l’incarico di redattore
alla Einaudi.
Nel 1924 il piemontese si iscrive al liceo classico “Massimo d’Azeglio” di Torino dove
tra gli insegnanti conosce il professore Augusto Monti. Tra i suoi compagni di studi ci
sono numerosi esponenti della futura generazione di antifascisti e che insieme, grazie alla
comune passione per la letteratura, nel 1933 fonderanno la casa editrice, oggetto di
trattazione in seguito, che prenderà il nome del più giovane1.
Nel 1927 Pavese consegue la maturità classica e comincia a studiare l’inglese da
autodidatta; successivamente si iscrive alla facoltà di Lettere a Torino, periodo durante il
quale, in particolare tra il 1929 ed il 1930, si dedica alla lettura di molti scrittori
americani tra cui Hemingway, Anderson e Lee Masters e scrive anche il saggio di
letteratura su Sinclair Lewis che viene pubblicato su “La Cultura”2 rivista letteraria diretta
da Arrigo Cajumi. Da questo momento in poi comincia il periodo delle traduzioni che si
apre con Il nostro signor Wrenn3: negli anni successivi lo scrittore piemontese, alternando 1 Giulio Einaudi (1912), che presto è affiancato nell’iniziativa dal primo direttore editoriale, Leone Ginzburg (1909), da Massimo Mila (1910), da Norberto Bobbio (1909) e da Cesare Pavese (1908).2 Cesare Pavese, Sinclair Lewis, Un romanziere americano, in «La Cultura» (Roma-Milano), IX, 11,novembre 1930, s.p.
3 Sinclair Lewis, Il nostro signor Wrenn, Firenze, Bemporad, 1931.
6
le traduzioni al lavoro di scrittore, tradurrà opere quali Moby Dick di Melville, Riso nero,
di Sherwood Anderson, Dedalus di James Joyce e Il 42° parallelo John Dos Passos.
Nel 1930 comincia a comporre la raccolta Lavorare stanca che verrà pubblicata nel 1943,
aperta dalla poesia I mari del sud4. In questa raccolta è visibile l’influenza della
letteratura americana da lui letta e tradotta.
Dopo essersi laureato con la tesi su Walt Whitman nel 1932 e una volta ricevuta la
risposta negativa alla sua richiesta per una borsa di studio alla Colombia University, nel
1934 Pavese riceve un incarico per alcune supplenze al liceo “D’Azeglio” e in due scuole
serali. Nel frattempo le sue traduzioni vengono pubblicate, le prime dalla Bemporad,
dalla Frassinelli e dalla Mondadori e dal 1938 in poi dalla Einaudi, con cui Pavese
collabora ormai da qualche anno.
Questa casa editrice era nata in un clima giovanile caratterizzato da un intenso interesse
culturale e dall’impegno politico con cui Augusto Monti aveva formato i suoi studenti.
Ciò la rendeva un luogo in cui i suoi collaboratori potessero scambiare idee e discutere di
temi letterari finalizzati non solo al profitto dell’azienda ma anche al proprio
arricchimento culturale.
È questo uno dei motivi per cui molti dei suoi collaboratori, tra cui lo stesso Pavese,
benché già intensamente impegnati come editori e redattori, hanno dedicato altro tempo
all’editoria diversificando il proprio impegno e cimentandosi, ad esempio, in traduzioni
di scrittori americani. Questi sono i fattori che hanno reso l’Einaudi una società basata su
un inscindibile intreccio politico-culturale.
Dopo l’uccisione di Ginzburg avvenuta nel 1944 ad opera dei nazisti per stampa
clandestina del giornale di Giustizia e libertà, l’azienda va avanti scindendosi in tre sedi:
una a Milano con Vittorini come redattore, una a Roma con Pavese e un’altra a Torino
alla cui redazione c’è prima Mila e poi di nuovo Pavese.
Lo scrittore piemontese dà un apporto sostanziale alla Einaudi: grazie a lui la produzione
di saggi è ampliata e diversificata. Si apre inoltre alla narrativa e alla critica letteraria
straniera divenendo col tempo un punto di riferimento per le traduzioni degli scrittori
anglosassoni e accoglie anche saggi di antropologia e di psicanalisi5.4 Analisi traduttiva, pp. 28 e ss. di questo volume.
5 Dopo la morte di Pavese avvenuta nel 1950, il suo successore Luciano Foà ha provveduto ad un rinnovamento della narrativa italiana proponendo nuovi autori, tra cui Fenoglio, Lucentini, Ottieri, Rigoni Stern e Leonardo Sciascia, e
7
Nel maggio del 1935 Pavese viene arrestato a causa dei suoi legami antifascisti con
Altiero Spinelli ed altri. Trascorre alcuni mesi alle Carceri Nuove di Torino prima e a
Regina Coeli di Roma poi; dopo il processo durante il quale non si discolpa, viene
condannato a tre anni di confino a Brancaleone Calabro durante i quali scrive un diario,
pubblicato postumo nel 1952, Il mestiere di vivere6.
Tornato a Torino scopre che la donna che ama, descritta nelle opere come “donna dalla
voce rauca”, ha sposato un altro.
Nonostante il forte interesse per la letteratura inglese ed americana ed il suo lavoro di
traduttore che gli rendono molto utili i contatti internazionali – ricordiamo a tal proposito
la corrispondenza con l’americano Antony Chiuminatto di cui si parlerà più avanti –
Pavese non si è mai recato all’estero, probabilmente a causa delle denunce per
antifascismo, degli impedimenti economici provocatigli dapprima dalla guerra e poi dal
degrado e dalla miseria che il conflitto mondiale aveva apportato. Circostanze quali il
clima bellico, la condizione di orfano e alcuni innamoramenti non corrisposti, hanno reso
piuttosto tormentata la sua vita. Nel corso della sua giovinezza, in seguito al suicidio di
un compagno di studi, evento che lo aveva colpito particolarmente, Pavese aveva tentato
di uccidersi già nel 1927.
L’esperienza del confino e i drammi personali degli ultimi anni lo spingono a cambiare
direzione nella produzione letteraria passando così dalla poesia alla prosa narrativa:
[…] Il ritorno dal confino, dove ha scontato solo una parte della condanna, rappresenta per Pavese un crollo: di qui il suo successivo cercare disperatamente altre compensazioni, nella psicologia, nel mito, nel volto vero o presunto dell’arte, nel contatto con gli altri. Matura in questo tempo il decisivo passaggio dalla poesia alla prosa narrativa7.
A partire dal 1936-37 al 1941 Pavese si dedica prevalentemente alla prosa componendo
opere quali Terra d’esilio (‘36-‘37) Paesi tuoi (‘41) La casa in collina (‘48) e Tra donne
sole (1949).
pubblicando, in seguito alla crisi del 1956, la collana dei “Libri bianchi” che riporta i fatti di Ungheria e la rivelazione dei crimini di Stalin.6 Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, Torino, Einaudi, 1997.7 Giliberto Finzi, Come leggere la luna e i falò di Cesare Pavese, Milano, Mursia, 1976, p. 18.
8
Alla fine degli anni ‘40 conosce l’attrice americana Constance Dowling di cui si
innamora. A lei sono dedicate le poesie della raccolta Verrà la morte e avrà i tuoi occhi8
scritte appena prima di suicidarsi nel 1950.
Fra il 26 e il 27 agosto del 1950 lo scrittore piemontese pone fine alla propria esistenza
ingerendo barbiturici in una stanza dell’albergo Roma a Torino. Nel biglietto lasciato è
scritto: “Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi”9.
Vista l’esistenza problematica di Pavese, come è possibile confrontare dai numerosi saggi
critici sull’argomento tra cui quello di Giliberto Finzi contenuto in Come leggere la luna
e i falò, probabilmente tra le ragioni del suicidio ci sono l’incapacità di amare, il carattere
solitario testimoniato nel “diario”, il clima della “guerra fredda” in contrasto con
l’ideologia dello scrittore e la possibile insoddisfazione letteraria:
Si sarebbe tentati di spiegare questo suicidio, e non sarebbe forse difficile, con motivazioni che vanno dall’amore deluso all’incapacità di amare, alla volontà masochista di solitudine testimoniata dal «diario»; e con le altre motivazioni della politica che mescola l’incomprensione ideologica per lo scrittore alle generali paure determinate dalla «guerra fredda» fra le grandi potenze, al clima reazionario attuato con rigore dai governi che si succedono; con le motivazioni, infine, dell’insoddisfazione di scrittore che dopo una serie di straordinari exploits (straordinari sia per i risultati ottenuti che per i tempi entro cui si realizzano) è pervenuto a una crisi di valori che lo coinvolge, forse per il timore di «aver detto tutto». Ma nonostante tutto questo è bene non fare illazioni su questa morte, e pacificarne la memoria in nome delle stesse parole dello scrittore: «Perdono a tutti e a tutti chiedo perdono. Va bene? Non fate troppi pettegolezzi»10.
8 Analisi traduttiva della poesia You wind of March, pp. 47 e ss. di questo volume.9 Giliberto Finzi, op. cit. p. 21.10 Ibidem.
9
2.0. Cesare Pavese traduttore: motivazioni
Verso il 1930, quando il fascismo cominciava a essere ‘la speranza del mondo’, accadde ad alcuni giovani italiani di scoprire nei suoi (di Pavese) libri l’America, un’America pensosa e barbarica, felice e rissosa, dissoluta, feconda, greve di tutto il passato del mondo e insieme giovane, innocente. Per qualche anno questi giovani lessero e tradussero e scrissero con una gioia di scoperta e di rivolta che indignò la cultura ufficiale, ma il successo fu tanto che costrinse il regime a tollerare, per salvare la faccia. Si scherza? Eravamo il Paese della risorta romanità dove perfino i geometri studiavano il latino, il Paese dei guerrieri e dei santi, il Paese del Genio per grazia di Dio, e questi nuovi scalzacani, questi mercanti coloniali, questi villani miliardari osavano darci una lezione di gusto facendosi leggere, discutere, ammirare? Il regime tollerò a denti stretti, e stava intanto sulla breccia, sempre pronto a profittare di un passo falso, di una pagina più cruda, d’una bestemmia più diretta, per pigliarci sul fatto e menare la botta.11
2.1. Premessa
Negli ultimi anni, il sorgere, sia in Italia che nei paesi dell’aerea europea, di dipartimenti universitari di scienze della traduzione e di scuole di specializzazione post laurea, dimostrano il forte interesse che la comunità scientifica e editoriale rivolgono a un’esperienza fino a poco tempo fa ritenuta marginale. La traduzione di testi letterari, infatti, va riconosciuta a pieno titolo come atto letterario e soggetto culturale, e non solo come ausilio per la divulgazione delle letterature straniere.Si noti, peraltro, che spesso anche l’attività traduttiva dei grandi scrittori viene solo fugacemente menzionata nelle biografie, e scarsi sono soprattutto gli studi critici di stampo comparativo con la loro opera originale. L’analisi della scelta dei testi e degli autori tradotti potrebbe invece essere rilevante sia per riconoscere gli interessi culturali dello scrittore-traduttore, sia per individuare delle influenze e suggestioni che queste versioni possono avere apportato nel suo lavoro. Basti pensare, ad esempio, ai Lirici greci tradotti dal poeta Salvatore Quasimodo. Una raccolta di traduzioni che può considerarsi un titolo tanto importante nella bibliografia del siciliano quanto i propri componimenti; e lo stesso discorso vale sicuramente anche per altri nomi eccellenti quali Pavese, Vittorini, Manganelli. Dal 1983 al 2000, un ottimo lavoro è stato fatto dalla casa editrice Einaudi, che con la collana ‘Scrittori tradotti da scrittori’ ha pubblicato classici stranieri nella traduzione di grandi scrittori italiani. Sempre da Einaudi sono poi uscite in volume con il titolo Quaderno di traduzioni, alcune raccolte di versioni poetiche di Fortini, Fenoglio, Nievo, Caproni, Solmi e Sereni.12
Cesare Pavese (1908-1950) è conosciuto prevalentemente per la sua attività di letterato,
ma questo non è stato il suo unico impegno intellettuale. Egli ha infatti tradotto ben
quindici opere di scrittori anglosassoni un numero cospicuo se consideriamo che ne ha
prodotte quattordici come autore.
Lo scrittore piemontese, dopo aver studiato dal 1926 al ‘29, come accennato in
precedenza, alla facoltà di Lettere, si laurea nel 1930 in Letteratura inglese con una tesi
su Walt Whitman con il relatore Ferdinando Neri. Durante tutto il suo percorso di studi, il
giovane Pavese ha modo di avvicinarsi alla letteratura americana oltre che di apprendere
la lingua inglese.
11 Fernanda Pivano, Album americano, Piacenza, Frassinelli, 1997, p. 327.12 Gandolfo Cascio, Il terzo mestiere: Eugenio Montale traduttore, in “Incontri. Rivista europea di studi italiani” (NS) 18, II, 2003, p. 155.
10
Fin dal ginnasio si era dedicato con passione allo studio di questa lingua scegliendo per la
sua tesi Walt Whitman che con la sua gioia di vivere, agli antipodi rispetto al pessimismo
di Pavese, probabilmente incarna per lui un ideale.
A tre anni dalla tesi di laurea, pubblica su “La Cultura” il saggio Interpretazione di Walt
Whitman poeta13.
In molti casi la difficoltà testuale e le discrepanze culturali fanno sì che tradurre
letteratura voglia dire riscrivere i testi in lingua straniera e tale compito non richiede solo
padronanza della lingua di partenza per poter interpretare correttamente il testo originale,
ma anche abilità e creatività di scrittura in lingua di arrivo. Per questo motivo un autore
come Pavese grazie alla sua conoscenza dell’inglese ha potuto agevolmente tradurre
letteratura in italiano e, grazie anche alla sua esperienza di scrittore, tali opere sono state
divulgate in Italia.
Poiché negli anni antecedenti e per tutto il dopoguerra quello del traduttore non era un
mestiere ufficialmente riconosciuto, non c’è molto materiale a disposizione sugli
“scrittori – traduttori” e nei pochi saggi sull’argomento non sono quasi mai menzionate le
ragioni storico-culturali e le problematiche che hanno spinto gli scrittori a cimentarsi
come traduttori. Si trovano spesso solo analisi, comparative e non, dei lavori di
traduzione.
Lo stesso Pavese non ha mai pubblicato alcun saggio scientifico sulla teoria della
traduzione, o sulle metodologie da lui adottate e ritenute più utili, tuttavia ne fa cenno
nella sua corrispondenza epistolare. Noi comunque possiamo provare a renderci conto
del suo approccio alla traduzione riferendoci alle note, nei riferimenti e nelle introduzioni
alle traduzioni svolte.
Durante il periodo pre-bellico, negli intellettuali europei oppressi dal totalitarismo era
nata una nuova attrazione verso la cultura d’oltreoceano; si guardava all’America in
maniera sempre più attenta:
[…] negli anni trenta l'Europa perse la sua autorità politica e morale. Il fascismo fu una tirannide che gli americani non avrebbero mai immaginato potesse esistere, e la politica di appeasement adottata verso il fascismo dalle potenze democratiche mise in luce le crepe di tutto il sistema occidentale.14
13 Cesare Pavese, Interpretazione di Walt Whitman poeta, in La Cultura, XII, 3, luglio-settembre 1933, s.p.14 Richard Hofstadter, Società e intellettuali in America, Torino, Einaudi, 1968, p. 409.
11
In particolare Torino diviene la fucina delle menti orientate verso il mito americano ed in
questo clima Cesare Pavese, mediante un’intensa opera di traduzione degli scrittori
statunitensi contemporanei, trasforma con i saggi critici il mito americano in “fede
letteraria ed ideologica”15.
La passione per la cultura americana spinge l’autore a richiedere una borsa di studio alla
Columbia University, che però non consegue. Non avendola ottenuta non parte per il
nuovo continente circoscrivendo il suo interesse alla sola letteratura e apprendendo la
lingua solo dai libri.
Dopo la laurea non riesce a diventare assistente all’università, ma gli vengono affidate
alcune supplenze al liceo classico Massimo D’Azeglio che aveva precedentemente
frequentato come studente, e riceve delle proposte dalla casa editrice Bemporad, dalla
Frassinelli e dalla Mondadori per traduzioni dall’inglese.
L’interesse verso la letteratura americana e le traduzioni ricoprono un lasso di tempo
piuttosto ampio che va dagli anni trenta fino alla seconda guerra mondiale. Negli anni tra
il 1920 ed il 1930, Pavese si dedica con estremo interesse alla lettura di Sheerwood
Anderson, Sinclair Lewis, Edgar Lee Masters, John Dos Passon, Eugene O’Neill, Ezra
Pound, Ernest Hemingway, Francis Scott Fitzgerald16. Nel 1930 gli viene commissionata
la traduzione de Il nostro signor Wrenn di Sinclair Lewis, probabilmente in seguito
all’assegnazione del premio Nobel all’autore americano avvenuta nello stesso anno17.
L’anno seguente, Federico Gentile gli affida la traduzione di Moby Dick di Melville per il
compenso di mille lire.
In questo periodo viene pubblicato anche il saggio su Sinclair Lewis18 che desta negli
intellettuali italiani un vivo interesse per la cultura americana. Non si sa con precisione
quando sia stato scritto; secondo alcuni studi filologici sarebbe verso il settembre del
1930, poco prima quindi della data di pubblicazione.
Dal 1 maggio 1938 Pavese viene assunto come redattore e traduttore dalla casa editrice
Einaudi con cui aveva cominciato a collaborare da qualche anno.
15 Angelo D’Orsi, La cultura a Torino tra le due guerre, Torino, Einaudi, 2000, p. 125.16 In Giovanni Cillo, La distruzione dei miti. Saggio sulla poetica di Cesare Pavese, Firenze, Enrico Vallecchi, 1972, pp. 9-35.17 Cfr. Cesare Pavese, Cronologia della vita e delle opere, in Le Poesie, Torino, Einaudi, p. LV.18 Cesare Pavese, Sinclair Lewis, Un romanziere americano, cit.
12
Il suo ruolo di redattore gli dà la possibilità di stabilire personalmente quali titoli
pubblicare19 e lo aiuta a divulgare le opere americane in italiano. La collaborazione sia
con la Einaudi che con la rivista “La Cultura” gli consente di pubblicare molti articoli
sulla letteratura americana.
È grazie alle sue traduzioni in italiano, quindi, che molti scrittori americani tra cui Dos
Passos, Anderson, Faulkner e Melville sono stati introdotti in Italia.
La sua attività saggistica e traduttiva si interrompe però nel 1935 in seguito alla retata del
15 maggio che coinvolge diversi redattori e collaboratori de “La Cultura”, tra cui lo
stesso Pavese. Arrestato, viene condannato al confino nel Luglio del 1935 per tre anni a
Brancaleone Calabro sullo Jonio, dove giunge il 3 agosto. Dopo il confino, Pavese è
privato dei diritti civili e gli viene proibito d’insegnare nelle scuole pubbliche a causa del
suo esplicito antifascismo.
Negli anni del dopoguerra l’autore delle Langhe ha continuato a pubblicare brevi saggi
sulla letteratura anglosassone e le traduzioni sono divenute più sporadiche. Nella maggior
parte dei casi tali saggi sono solo brevi note, pubblicate per lo più su “L’Unità”, in cui si
fa riferimento all’influenza esercitata dalla letteratura americana negli anni precedenti.
19 Cesare Pavese, Cronologia della vita e delle opere, in Le Poesie, cit., LV-LVII.
13
2.2. Le ragioni delle traduzioni
La cultura americana diviene uno dei temi portanti nella vita di Pavese: nello stesso 1930
egli aveva iniziato la collaborazione alla rivista fondata da Cesare De Lollis col primo
saggio su Sinclair Lewis, già citato. Questa data segna per lo scrittore l’inizio di una
lunga e fruttuosa attività critica e di traduzione della letteratura statunitense e, in seguito,
di quella inglese.
Il panorama italiano dell’epoca è dominato dal Fascismo e dalla corrente filosofica
dell’Idealismo. La letteratura “d’importazione” tradotta da Pavese, all’opposto degli
scenari italiani, offre immagini vitali ed avventurose, inedite, giovani ed innocenti: un
modo di essere che l’Italia dell’epoca non permette. Cesare Pavese traducendo opere
d’oltreoceano sfida le regole imposte dal regime e più tardi, quando scrive egli stesso
romanzi dove è presente l’influenza straniera, rompe definitivamente con la tradizione
dando una svolta significativa alla produzione letteraria italiana.
Inoltre con le sue traduzioni regala ad un’Italia in cui ancora domina una cultura di
matrice decadente una ventata di freschezza e di gioventù e contribuisce alla nascita del
mito americano.
Le traduzioni hanno apportato un grosso contributo alla cultura italiana del tempo: il
pubblico ha modo di conoscere ed apprezzare un altro tipo di letteratura, fatta da scrittori
che vivono in una realtà diversa da quella italiana, provenienti da un mondo libero e più
moderno. Nel periodo iniziale la divulgazione delle opere di autori americani era
circoscritta ad un’elite di pochi giovani che manifestava la propria opposizione al regime
fascista e alla politica di autarchia culturale da esso promossa.
Per Pavese il lavoro di traduttore ha costituito inoltre fonte d’ispirazione per produrre
letteratura rinnovata, attingendo da tematiche inedite e confrontandosi con stili diversi.
Da quanto sopra illustrato si deduce che le motivazioni del piemontese verso il lavoro di
traduttore non sono esclusivamente di tipo economico, ma anche intellettuali, e personali.
Il suo mestiere principale rimane quello di scrittore e redattore per l’Einaudi. Ma tradurre
per Pavese è qualcosa di più che un semplice hobby: è la passione e l’aspirazione verso
un nuovo mondo. Come si evince dalla sua biografia, perfino i colleghi della Einaudi lo
considerano un instancabile redattore e ciononostante egli continua a tradurre la
letteratura americana per interesse culturale:
14
1940 Per Einaudi, nei radi intervalli che il lavoro editoriale gli concede (è ritenuto dai colleghi un redattore infaticabile), traduce Benito Cereno di Melville e Tre esistenze della Stein. […] 20.
Dal 1938 al 1940 Pavese si dedica alla traduzione di L’Autobiografia di Alice B. Toklas21
e Tre Esistenze22 dell’autrice Gertrude Stein. Tale traduzione, collocata tra Moll
Flanders23 e David Copperfield24, rappresenta il proseguimento dell’analisi della forma
del romanzo eseguita da Pavese – realista, verista e naturalista – analisi che era stata
approfondita negli scritti degli anni dopo il confino.
Mentre in Autobiografia di Alice B. Toklas – come si evince dal testo di Maria Stella25 su
Cesare Pavese traduttore - è predominante il contenuto e la tecnica costruttiva realistica,
non la provenienza americana, in Tre esistenze il discorso è opposto: Pavese è
personalmente interessato allo stile della scrittrice e alle sue forme sperimentali, in
quanto tipicamente americane.
[…] La traduzione de L’autobiografia di A.B. Toklas, eseguita tra Moll Flanders e David Copperfield, attesta come Pavese proseguisse sui contemporanei quel discorso sulla forma del romanzo, sul realismo, verismo e naturalismo che era andato man mano ampliandosi nel Diario e nei saggi negli anni dopo il confino. Ciò che predomina quindi in tale traduzione non è tanto la sua qualità “americana”, quanto il tipo di contenuto, e di tecnica costruttiva “realistica” che Pavese vi avverte all’interno […]. Con Tre esistenze, invece, il discorso diventa molto più «personale»: Pavese è guidato da una sua curiosità verso la scrittrice, verso le forme sperimentali (stavolta percepite come tipicamente americane) da lei usate26.
Come sarà evidenziato in seguito, lo studio dei testi americani ha influenzato la
produzione letteraria di Pavese sia in prosa che in poesia. Notevole è la suggestione
melvilliana: quando scrive Lavorare stanca, lo scrittore ha già letto e cominciato a
tradurre Moby Dick.
Le traduzioni americane hanno indotto in lui anche la necessità di trovare una soluzione
per tradurre lo slang in italiano. Sinclair Lewis lo utilizza spesso e da qui scaturisce la
problematica sulle varianti provinciali e regionali presenti nella letteratura americana.
Vale qui ricordare che in alcuni suoi lavori compare il dialetto piemontese, questione che
è divenuta argomento di discussione sullo stile dell’autore. Nel romanzo giovanile Ciau
20 Ivi, p. LVI.21 Gertrude Stein, L’Autobiografia di Alice B. Toklas, Torino, Einaudi, 1940.22 Gertrude Stein, Tre esistenze, Torino, Einaudi, 1940.23 Daniel Defoe, Moll Flanders, Torino, Einaudi, 1938.24 Charles Dickens, David Copperfield, Torino, Einaudi, 1939. 25 Cfr. Maria Stella, Cesare Pavese traduttore, Roma, Bulzoni, 1977, p. 169.26 Ibidem.
15
Masino27, datato 1932 e pubblicato postumo, viene utilizzato con sottile ironia il jazz
come gioco linguistico in un mix di gergo, dialetto, ma anche conoscenza ed utilizzo
della cultura americana nei simboli che la caratterizzano28. Probabilmente tale scelta è
stata influenzata dalla lettura di Lewis: Middle West e Piemonte vengono a coincidere
idealmente.
Negli anni le traduzioni di Pavese sono state spesso criticate per imprecisione e scarsa
conoscenza linguistica29. Nella traduzione di Moby Dick, ad esempio, sono presenti
numerosi errori come “la città bassa” (probabilmente traduzione letterale dell’inglese
downtown).
Occorre evidenziare che l’opera di traduzione dello scrittore piemontese avviene durante
il ventennio fascista, nel corso del quale il controllo del regime nei riguardi della stampa
periodica è estremamente serrato: al vaglio di una censura severa e restrittiva sono
sottoposti tutti i giornali e le riviste dell’epoca e la stampa periodica straniera è quasi
totalmente messa al bando.
Viceversa, nei confronti della letteratura dell’epoca, italiana e straniera, il governo
preferisce, specie all’inizio30, esercitare strategie di controllo molto meno severe. Tali
metodi rispondono alla duplice esigenza di non compromettere un mercato editoriale in
espansione, da una parte, e di assicurare al regime la lealtà delle case editrici, dall’altra.
La strategia “soft” del governo fu frutto dell’esigenza tutta politica di non compromettere la lealtà di una categoria, quella editoriale, che si dichiarava amica del regime e di non danneggiare, con azioni fortemente repressive la crescita di un settore florido e proprio in quegli anni in forte espansione, capace di offrire un contributo importante all’economia del paese31.
Alla politica dura di messa al bando di opere ed autori, il regime preferisce un’attività di
promozione presso le case editrici della pratica di “autocensura”, propinata come dovere
etico nei confronti della “Patria” nonché come difesa della morale della nazione.
27 Cesare Pavese, Ciau Masino, Torino, Einaudi, 1968.28 Maria Stella, op. cit., p. 28: “Pavese […] anziché snellire l’apparato linguistico in senso realistico l’appesantisce, rendendolo piú astratto e incredibile”.29 Dall’editore Bemporad per la traduzione de Il nostro signor Wrenn. In Maria Stella, op. cit., pp. 26-27.30 Le direttive censoree fasciste mutarono in maniera restrittiva anche per le pubblicazioni non periodiche nel 1938 quando, con l’alleanza del fascismo con il nazismo e l’adesione ideologica dell’Italia al nazismo di Hitler, si introdussero nella legislatura italiana le leggi razziali: il controllo sulle opere letterarie di autori ebrei e stranieri si fece più severo e la linea morbida utilizzata fino ad allora per la censura delle opere letterarie venne meno.31 Maria Elena Cembali, Traduzioni e traduttori in Italia nel Ventennio fascista, Abstract, Tesi non pubblicata, Forlì, Scuola Superiore di Lingue Moderne per Interpreti e Traduttori SSLIMIT, 2005, p. 1.
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Con tale modalità e sottraendosi all’immagine impopolare e negativa di governo che
inibisce il progresso della nazione, il regime risparmia sforzi economici e organizzativi di
controllo capillare sulle case editrici.
Queste ultime, d’altra parte, sia per non essere tacciate di anti-patriottismo, sia per non
incorrere in sanzioni governative con conseguenti danni economici, si “sintonizzano”
perfettamente sulle istanze del regime, divenendo i principali censori delle loro opere
letterarie, come si può evincere, a testimonianza di tale tendenza, ad esempio dai
documenti dell’epoca presenti nell’archivio della Fondazione Mondadori:
Interessanti testimonianze a riguardo si trovano oggi in numerosi pareri di lettura raccolti nel Fondo Arnoldo Mondadori, uno dei più ricchi attualmente della Fondazione Mondadori. Questi documenti, cui ho attinto per molti dei casi esemplificativi citati in questo articolo, restituiscono un’immagine della casa editrice di quegli anni come di un grande laboratorio in cui ci si adoperava alacremente per anticipare il responso della censura governativa ed escogitare i rimedi più efficaci per evitare la bocciatura di un volume.L’obbligo di rendere ogni testo “politicamente corretto” si tramutò per gli addetti ai lavori nella necessità di conciliare le regole insite nel proprio mestiere con i doveri più o meno tacitamente imposti dall’autorità, e questa ricerca di un equilibrio tra due esigenze sostanzialmente contrastanti non poté che tradursi in un compromesso morale con il potere. La questione etica toccò in modo del tutto particolare la categoria dei traduttori, i quali, investiti del doppio ruolo di mediatori e censori, più di altri soffrirono il peso dell’ingerenza politica nella propria attività.32
La questione riguarda a maggior ragione le opere straniere ed in particolare quelle
nordamericane, opere scritte da autori che vivono in paesi liberi da tirannidi dittatoriali.
Riguardo a tali opere, la figura del traduttore viene appesantita dalla funzione di censore:
questo è il ruolo scomodo che per sopravvivere egli è costretto ad assumere al fianco di
quello primario di mediatore culturale.
Parte della categoria dei traduttori tollera di rielaborare le traduzioni non solo per poterle
comunque pubblicare, ma anche perché l’opera di persuasione ideologica del regime ha
dato i suoi frutti. Le stesse case editrici preferiscono cedere al compromesso con le
restrizioni del regime, anziché rispettare l’integrità delle opere straniere. Spesso si
preferisce una traduzione manipolata, ma accettata dal regime, ad una fedele all’originale,
ma invisa al potere. Nell’Archivio Mondadori c’è ampia testimonianza di “pareri di
lettura” di lettori che suggeriscono tagli, modifiche o attenuazioni a difendere l’immagine
del paese “cosicché le opere che potevano diffondere un’immagine negativa della
nazione difficilmente avrebbero potuto ottenere il nullaosta”33. Giorgio Monicelli, ad
32 Ibidem.33 Ibidem.
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esempio, a proposito dell’opera di Wallace The Fourth Plague, che tratta di una banda di
malfattori italiani, suggerisce di cambiare la nazionalità di questi ultimi per adeguarsi alle
esigenze di censura del regime:
Bisognerebbe però cambiare la nazionalità dei componenti la Banda, i quali sono tutti italiani e agiscono e parlano secondo il concetto che hanno generalmente nel nostro paese certi popoli nordici; sono cioè tutti accoltellatori, superstiziosi, miserabili, presuntuosi, intelligenti ma intriganti, passionali, sensuali e sempre troppo bruni e troppo bassi34.
Interessanti i pareri di collaboratori dell’editore Mondadori quali Elio Vittorini, Luigi
Rusca e Giuliana Pozzo, i quali, a proposito rispettivamente di The Aaron’s Rod di
Lawrence, de La nuova terra di Hamsun e Marion lebt di Baum, propongono: di
modificare tacendo un accaduto nel The Aaron’s, di sospendere la pubblicazione del
volume La nuova terra, di “smussare” ed “amputare” in Marion lebt35.
L’onestà intellettuale di Cesare Pavese non può piegarsi facilmente alle pretese
manipolatorie del regime: egli vive male il conflitto tra le esigenze di autocensura
imposte dal Ministero agli editori ed i suoi scrupoli deontologici per una traduzione non
completamente fedele. Nella sua lettera del 2 Giugno 1937 a Luigi Rusca, editorialista
della Mondadori, concernente la traduzione del romanzo di Dos Passos Big Money36, lo
scrittore piemontese esprime tutto il proprio conflitto emotivo e sente il dovere di
giustificarsi per la scarsa aderenza al testo:
Ho seguito scrupolosamente i consigli del Ministero cioè inglesizzato i nomi italiani, lasciato cadere gli accenni a Lenin e sovieti, cancellato e sostituito un accenno al fascismo, taciuto o tradotto con dignità wop 37 e dago38 […] come non segnalato dal Ministero nel dattiloscritto che serbo gelosamente a mia eventuale giustificazione.39
Le ricerche e le traduzioni di Pavese sugli autori americani sono state rese possibili
soprattutto grazie alla collaborazione di Antony Chiuminatto, giovane violinista
34 Archivio della Fondazione Arnoldo e Alberto Mondadori: Fondo Arnoldo Mondadori, Milano, in Maria Elena Cembali, op. cit., pp. 2-3.35 Ibidem.36 John R. Dos Passos, Un mucchio di quattrini, Milano, Mondadori, 1938.37 Espressione slang di etimologia incerta. Molto probabilmente vuol dire Without papers (senza documenti), era usato per riferirsi ad un uomo dell’Europa meridionale, specialmente un italiano. Molti emigranti italiani non avevano documenti e venivano cosí categorizzati. Potrebbe anche voler dire working on pavement (lavorante di marciapiede) oppure provenire dal dialetto napoletano Guappo (prepotente).38 Espressione slang americana riferita agli immigrati proveniente dall’Europa meridionale. L’etimologia è Day Goes (che si riferisce alla paga giornaliera che tali lavoratori immigrati ricevevano).39 Lorenzo Mondo e Italo Calvino, (a cura di), Cesare Pavese. Lettere1926-1950, Torino, Einaudi, 1966, pp. 238-239.
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americano di origini piemontesi che lo scrittore aveva conosciuto quando era ancora
studente.
Antony trascorre qualche mese in Italia e prima della sua partenza i due giovani si
promettono di continuare a tenersi in contatto e a scambiarsi informazioni sulla letteratura
di entrambi i paesi40.
Lo studioso di letteratura americana Giorgio Raimondi41 sottolinea l’importanza dello
scambio epistolare tra i due artisti, Cesare con la sua sete di conoscenza sulla letteratura e
sulla civiltà americana, Antony disposto a condividere con il piemontese le sue
conoscenze.
Secondo quanto leggiamo nel saggio di Mulder De vrouw voor wie Cesare Pavese
zelfmoord pleegde, Chiuminatto costituisce per l’autore una fonte preziosa, in quanto
riesce a reperirgli materiali utili e gli offre chiarimenti su varianti americane, espressioni
in slang e tutto ciò che va oltre la sua limitata conoscenza linguistica:
Chiuminatto zou tot eind 1932 Paveses steun en toeverlaat blijven bij het ontdekken van de nieuwste schrijvers en bij het begrijpen van het ‘slang’ waarmee deze hun werk doorspekten42.
40 Pavese scrive all’amico il 17 aprile 1930: “Non solo avete i ben noti meravigliosi menestrelli del jazz, ma, quel che più conta, avete un mucchio di altri poeti la cui esistenza qui in Europa nessuno sospetta.”, in Lorenzo Mondo e Italo Calvino, (a cura di), cit., p. 124. 41 Cfr. Giorgio Raimondi, La scrittura sincopata. Jazz e letteratura nel Novecento Italiano, Milano, Mondadori, 1999, s.p.42 Arjen Mulder, De vrouw voor wie Cesare Pavese zelfmoord pleegde. Amsterdam, Balans, 2005, p. 57.
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2.3. L’influenza della letteratura americana sulle opere di Cesare Pavese
[…] Mio cugino ha parlato stasera. Mi ha chiestose salivo con lui: dalla vetta si scorgenelle notti serene il riflesso del farolontano, di Torino. “Tu che abiti a Torino…”mi ha detto “… ma hai ragione. La vita va vissutalontano dal paese: si profitta e si godee poi, quando si torna, come me, a quarant’anni,si trova tutto nuovo. Le Langhe non si perdono”.Tutto questo mi ha detto e non parla italiano,ma adopera lento il dialetto, che, come le pietredi questo stesso colle, è scabro tantoche vent’anni di idiomi e di oceani diversinon gliel’hanno scalfito. E cammina per l’ertacon lo sguardo raccolto che ho visto, bambino,usare ai contadini un poco stanchi. […] 43
L’interesse per la letteratura americana e per la traduzione ha apportato un grosso
contributo anche all’opera pavesiana: le opere composte dall’autore durante e dopo il
periodo delle traduzioni di scrittori americani presentano carattere diverso, rispetto a
quelle composte prima, e denotano una, seppure momentanea, rottura con la tradizione.
Ad esempio, l’influenza melvilliana è visibilmente presente in Lavorare stanca che fu
scritto dopo che Pavese aveva già letto e cominciato a tradurre Moby Dick.
La luna e i faló44 narra la storia di un emigrante italiano che dopo aver trascorso vent’anni
in America fa ritorno al suo paese natale situato in Piemonte.
Sembrerebbe possibile ipotizzare che la trama di tale opera possa avere richiami
autobiografici: come accennato in precedenza, benché la passione dello scrittore verso la
letteratura americana lo spingesse a desiderare sempre più di andare a vivere nel nuovo
continente, tale sogno rimase incompiuto.
La luna e i faló, scritto nel 1949 e pubblicato nel 1950, fu composto solo un anno prima
del suicidio dell’ autore avvenuto la notte del 26 Agosto 1950 nell’albergo “Roma” di
Torino.
Come si evince dal saggio sulla letteratura americana, già a ventitré anni l’autore aveva
chiaro in mente il suo piano di americanista. A distanza di molti anni dal suo lavoro
possiamo dire che tale programma è ben riuscito: le pagine tradotte da Pavese e
43 Cesare Pavese, I mari del Sud, in Le Poesie, cit., 1998, pp. 7-9.44 Cesare Pavese, La luna e i falò, Milano, Mondadori, 1984.
20
successivamente quelle da lui scritte – e da altri suoi contemporanei – hanno portato le
prospettive della letteratura italiana a nuove condizioni.45
Radici salde nelle regioni, ma non più con le strettoie del regionalismo o dello strapaese, nuova impostazione dei rapporti tra lingua nazionale letteraria e nutrimenti dialettali (e la letteratura ha permesso al cinema di fare altrettanto, - e forse, anche alla pittura). Cose ovvie, adesso ma vent’anni fa una ripresa di questa problematica risorgimentale forse poteva sembrare un ticchio scolastico; invece, oggi che si riprende a pubblicare e a leggere de Sanctis, e si discute sulla formula ritrovata tra le carte di Gramsci: “Carattere non nazionale-popolare della letteratura italiana”, mi pare che queste preoccupazioni di un giovane letterato, provinciale, allora pur tutto buttato abbiano un interesse d’attualitá46.
Da questa problematica sorge anche il problema dei termini provincia, nazione, regione e
conseguentemente il problema linguistico del dialetto e dello slang.
La corrispondenza slang – dialetto non è biunivoca in quanto i dialetti italiani variano nel
tempo molto di più degli slang anglosassoni47. Inoltre esistono molti più dialetti italiani
che slang americani e un traduttore che affronta un testo che presenta termini in slang
deve fare una scelta fondamentale rispetto al dialetto da utilizzare e mantenerla durante
tutto il corso della sua traduzione. Dovrà, quindi coerentemente scegliere sempre lo
stesso dialetto.
Lo studio degli autori americani intrapreso negli anni Trenta da Pavese ed altri, era volto
anche a sperimentare stili e nuovi linguaggi letterari italiani, pertanto si guardava
all’America in maniera sempre più attenta. Negli intellettuali, era nata una nuova
attrazione verso la cultura d’oltreoceano:
[…] il decennio dal ’30 al ’40 che passerà nella storia della nostra cultura come quello delle traduzioni, non l’abbiamo fatto per ozio né Vittorini né Cecchi né altri. Esso è stato un momento fatale, e proprio nel suo apparente esotismo e ribellismo è pulsata l’unica vena vitale della nostra recente cultura poetica. L’Italia era estraniata, imbarbarita, calcificata – bisognava scuoterla, decongestionarla e riesporla a tutti i venti primaverili dell’Europa e del mondo. Niente di strano se quest’opera di conquista di testi non poteva esser fatta da burocrati o braccianti letterari, ma ci vollerogiovanili entusiasmi e compromissioni. Noi scoprimmo l’Italia – questo il punto – cercando gli uomini le parole in America, in Russia, in Francia, nella Spagna48.
45 Cfr. Cesare Pavese, La letteratura americana e altri saggi, Torino, Einaudi, 1996, p. XV.46 Ibidem.47 Cfr. Francesca Bazzoni, Fernanda Pivano l’America in Italia, tesi non pubblicata, Universitá degli studi di Firenze, 2000. p. 11.48 Cesare Pavese, L’influsso degli eventi, 1946, in Nicola Carducci, Gli intellettuali e l’ideologia americananell’Italia letteraria degli anni Trenta, Manduria (TA), Lacaita Editore, 1973, p. 13.
21
Come si evince dal discorso riportato nel saggio di Antonio Lombardo La critica
italiana sulla letteratura americana49, l’obiettivo primario della ricerca letteraria di
Pavese come di altri – ad esempio Vittorini – era quello di cercare nella letteratura
americana le risposte alle proprie domande di scrittori e di uomini.
Pavese in La letteratura americana e altri saggi50 dichiara apertamente che le traduzioni
americane svolte da lui e dai suoi contemporanei nel periodo fascista non erano
finalizzate al guadagno economico, bensì a perseguire il calore umano che l’Italia
ufficiale non conferiva:
Tutto ciò in linguaggio fascista si chiamava esterofilia. I più miti ci accusavano di vanità esibizionistica e di fatuo esotismo, i più austeri dicevano che noi cercavamo nei gusti e nei modelli d’oltreoceano e d’oltralpe uno sfogo alla nostra indisciplina sessuale e sociale. Naturalmente non potevano ammettere che noi cercassimo in America, in Russia, in Cina e chissà dove, un calore umano che Italia ufficiale non ci dava. Meno ancora che cercassimo semplicemente noi stessi. Invece fu proprio così. Laggiù noi cercammo e trovammo noi stessi. Dalle pagine dure, bizzarre di quei romanzi, dalle immagini di quei film venne a noi la prima certezza che il disordine, lo stato violento, l’inquietudine della nostra adolescenza e di tutta la società che ci avvolgeva, potevano risolversi e placarsi in uno stile, in un ordine nuovo, potevano e dovevano trasfigurarsi in una nuova leggenda dell’uomo. Questa leggenda, questa classicità la presentimmo sotto la scorza dura di un costume e di un linguaggio non facili, non sempre accessibili; ma a poco a poco imparammo a cercarla, a supporla, a indovinarla in ogni nostro incontro umano.51
Soprattutto la produzione di Whitman ha influenza su quella di Pavese: lo scrittore
piemontese considera l’americano – come emerge dal saggio Walt Whitman ovvero alle
radici della poetica di Pavese di Giovanna Romanelli, che a sua volta cita la tesi di
laurea del nostro autore:
[…] creatore del mito democratico degli Stati Uniti, cantore della missione dell’aedo che «nei soldati, nemici ed amici, vede soprattutto compagni della marcia della vita, colleghi pionieri, conquistatori in spirito di semplicità dei “premi dell’universo”». […] 52
Tuttavia si denota una differenza fondamentale nella concezione della guerra nella
poetica dei due autori: mentre Whitman ha piena coscienza dell’atrocità della guerra (in
particolare della Guerra civile del 1861), esprimendo “il dolore di fronte alla sofferenza e
alla morte in modo sorvegliato, contenuto, in un grido di umana pietà”53 e considerandola
49 Cfr. Antonio Lombardo, La critica italiana sulla letteratura americana, in “Studi americani” n. 5, 1959, p. 40.50 Cesare Pavese, La letteratura americana e altri saggi, cit.51 Ivi, p. 217.52 Giovanna Romanelli, Walt Whitman ovvero alle radici della poetica di Pavese, in AA.VV., La stanza degli specchi. Cesare Pavese nella letteratura, nel cinema e nel teatro. Quarta rassegna di saggi internazionali di critica pavesiana, a.c.d. A. Catàlfamo, Santo Stefano Belbo, I Quaderni del CE.PA.M., 2004, p.104.
53 Ibidem.
22
uno sforzo verso l’ideale, in Pavese, il tema della guerra resta difficile da affrontare.
Come accennato in precedenza, l’autore delle Langhe si accosta fin dagli anni del liceo
alla letteratura inglese e si appassiona alla poetica di Walt Whitman fino ad eleggerla ad
oggetto della sua tesi di laurea. Tale scelta, rifiutata dal titolare della cattedra di inglese,
Federico Olivero, viene accolta dal docente di letteratura francese, Ferdinando Neri.
Quest’ultimo era allora direttore della rivista antifascista “La Cultura”, della quale nel
1934 lo stesso Pavese diventerà responsabile dal numero tre.
Ben consapevole dell’atteggiamento del regime nei confronti della letteratura
americana54, Pavese affronta lo studio della poesia di Walt Whitman, proponendosi di
colmare una grave lacuna, in quanto, come scriverà in seguito Giuseppe Zaccaria, “lo
studio che interpreti a noi moderni la poesia whitmaniana rimane ancora da scrivere”.55
Per la difficoltà a reperire materiale d’oltreoceano, egli ricorre all’aiuto del già citato
musicista americano Anthony Chiuminatto con il quale stipula un accordo di scambio
delle più importanti novità della propria letteratura:
Non solo avete i ben noti meravigliosi menestrelli del jazz, ma, quel che più conta, avete un mucchio d'altri poeti la cui esistenza qui in Europa nessuno sospetta 56.
La cultura americana lo affascina in tutte le sue espressioni, dalla letteratura, al jazz, alla
cinematografia. Di qui il suo lavoro di traduttore si sviluppa con il suo percorso letterario
e ne diviene parte integrante.
In Whitman – all’epoca conosciuto in Europa grazie alla diffusione francese – nel suo
verso libero dalla costrizione della retorica classica, lo scrittore piemontese vede
l’incarnazione di democrazia e libertà che rispetti il bisogno degli Stati “di foggiarsi una
letteratura che li esprima, che dia loro un significato”57. Anche Pavese ricerca nuovi
mezzi espressivi per l’Italia che possano “scuoterla, decongestionarla e riesporla a tutti i
venti primaverili dell’Europa e del mondo”58, ma presto scoprirà quanto sia difficile il
cammino del rinnovamento, perché
54 Cesare Pavese; Ieri e oggi, in La letteratura americana e altri saggi, cit., p. 173.55 Giuseppe Zaccaria, Pavese recensore e la letteratura americana, in Sotto il gelo dell’acqua c’è l’erba. Omaggio a Cesare Pavese, Alessandria, Edizioni dell’Orso, 2001, p. 330.56 Lettera di Pavese a Chiuminatto del 17 aprile 1930 in Lorenzo Mondo, Italo Calvino, (a cura di), op. cit. p. 124.57 Cesare Pavese, Ritorno all’uomo, in La letteratura americana ed altri saggi, cit., pp. 198-199.58 Cesare Pavese, L’influsso degli eventi, in La letteratura americana ed altri saggi, cit., p. 223.
23
[…] è facile enunciare una nuova analisi, nuove norme ecc. Difficile è farle nascere da un ritmo, un piglio di realtà coerente e complesso.59
Come Whitman Pavese vuole “giungere alla natura vera delle cose […] arrivare a
quell’ultimate grip of reality [estrema presa sulla realtà] che sola è degna di essere
conosciuta”60.
Il territorio per lo scrittore piemontese non ha connotazioni sociali o economiche: è la
terra per la quale l’individuo sente l’appartenenza, che lo radica alla sua umanità.
Nel suo ultimo romanzo, La luna e i falò, l’emigrante che torna al paese dopo aver fatto
fortuna in America, cerca nella sua terra la propria identità, il senso della propria
esistenza.
59 Cesare Pavese, Il mestiere di vivere, cit., p. 332.60 Cesare Pavese, Walt Whitman: Poesia del far poesia, in La letteratura americana ed altri saggi, cit., p. 133.
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PARTE SECONDA
Cesare Pavese pratiche di traduzione
In questa seconda parte sarà elaborata un’analisi traduttologica di due liriche tratte dal
volume De dood zal komen en jouw ogen hebben tradotto e curato da Pietha de Voogd e
Willem van Toorn61. Nonostante qui non ci occuperemo della fortuna e ricezione delle
opere liriche di Pavese nei Paesi Bassi né faremo un’analisi comparativa delle varie
traduzioni esistenti, sarà bene ricordare che nel ’94 Frans van Dooren ha pubblicato
l’antologia Gepolijst albast con le poesie De dood zal komen, (Verrà la morte e avrà i
tuoi occhi) ed Eenvoud (L’uomo solo – che é stato in prigione – ritorna in prigione).
Questa parte del mio studio è incentrata a livello pragmatico su due traduzioni liriche: I
mari del sud e You wind of March.
Sono state tradotte molte opere in prosa di Cesare Pavese. La prima traduzione di Paesi
tuoi risale al 1959, mentre l’opera poetica è apparsa in traduzione solo a partire dagli anni
Ottanta, pubblicata prima da piccoli editori e nel 2001 dalla casa editrice De Bezige Bij.
Benché in Olanda la poesia venda meno della prosa, Pavese non sia di facilissima
comprensione, ed il volume sia consistente – conta ben 264 pagine – e dal prezzo elevato,
esso ha riscontrato un forte interesse ed è stato ristampato in edizione tascabile. Questo
fenomeno ha suscitato l’interesse di diverse istituzioni culturali, tra cui l’Istituto italiano
di Cultura per i Paesi Bassi.
Questo excursus ci è utile per collocare la figura di Pavese nel panorama nederlandese
prima di iniziare la vera e propria analisi traduttiva.
In questa sede ci occuperemo in particolare della traduzione a quattro mani fatta da
Willem van Toorn e Pietha de Voogd che hanno curato la raccolta De dood zal komen en
jou ogen hebben.
Willem van Toorn è un importante poeta e scrittore olandese autore di opere quali Terug
in het dorp (1960), Kijkdoos (1962), Een leeg landschap (1985) e Een dichteres van
61 Cesare Pavese, De dood zal komen en jouw ogen hebben, Amsterdam, De Bezige Bij, 2003. A questo punto sarà bene ricordare le altre traduzioni liriche apparse in nederlandese in volume: Werken is vermoeiend I ed. Gent, Masereel, 1984, II ed. Antwerpen, De Vries-Brouwers, 1986, trad. F. Denissen – L. Nolens; De aarde en de dood, Amsterdam Aalders & Knuttel, 1989, trad. M. Nord; Het huis, Nijmegen, Verzameld Werk, 1991, trad. C. Ypes. Nell’antologia di Frans Van Dooren, Gepolijst albast. Acht eeuwen Italiaanse poëzie, Baarn, Ambo, 1994, sono state tradotte le poesie: Eenvoud (L’uomo solo – che é stato in prigione – ritorna in prigione) e De dood zal komen (Verrá la morte e avrá i tuoi occhi), pp. 372-373.
25
Malta (1988). Anche lui come Pavese ha lavorato come redattore e collaboratore presso
alcune riviste come “De Vlaamse Gids”, “Maatstaf”, “Hollands Maandblad”, “New
Found Land” e “Nieuw Vlaams Tijdschrift” e varie case editrici; da traduttore oltre che di
Pavese si è occupato di Franz Kafka, John Updike e di letteratura per l’infanzia.
Pietha de Voogd è una traduttrice freelance che collabora con lo Steunpunt Literair
Vertalen. È inoltre traduttrice letteraria dall’italiano al nederlandese, docente di
comunicazione, presentatrice e coach. È laureata all’Università di Utrecht in Lingua e
cultura italiana con indirizzo “Traduzione e interpretariato”. Nel 1974 è diventata
traduttrice giurata, dopodichè ha cominciato a lavorare come sottotitolista per l’agenzia
NOB di Hilversum traducendo circa trenta libri in nederlandese tra cui la raccolta di
poesie che sarà argomento di questa mia tesi.
Frans van Dooren62 si è occupato principalmente di letteratura italiana e latina. Tra gli
autori da lui tradotti troviamo soprattutto quelli della tradizione. Ha inoltre curato
l’antologia nederlandese di letteratura italiana Gepolijst albas e nel 1990 gli fu assegnato
il premio “Martinus Nijhoff” per la traduzione.
Ho scelto di analizzare queste due poesie di diversi periodi pavesiani all’interno del mio
studio; la prima, tratta da Lavorare stanca, mi è sembrata interessante perché costituisce
secondo Pavese la soglia tra la preistoria e la storia della sua poesia; a proposito egli
stesso scrisse:
Non devo dimenticare com’ero smarrito prima dei Mari del Sud e come il mio mondo lo presi a conoscere via via che lo creavo. Non prima63.
Mentre la seconda, contenuta in Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, raccolta con cui
Pavese dice addio alla vita ed alla donna che ama, è meno conosciuta e pochi saggi sono
stati dedicati a questi versi. Ciononostante volevo capire come due traduttori esperti come
van Toorn e de Voogd avessero affrontato delle problematiche quali ad esempio la
traduzione di allitterazioni possibili sostanzialmente solo in italiano.
All’interno di questa raccolta sono contenute dieci liriche; nelle prime tre (“To C. from
C.”, “In the morning you always come back” e “Hai un sangue, un respiro”) è come se
Pavese avesse ancora un barlume di speranza nei confronti della vita e della relazione con
62 (Ravenstein 2 novembre 1934 – Oss 6 luglio 2005).63 Cesare Pavese in Elio Gioanola, Cesare Pavese, la poetica dell’essere, Milano, Marzorati editore, 1972, p.105.
26
la Dowling: non ci sono accenni alla morte, ma solo alla vita e sono scritte al presente,
fino al 22 marzo, data di stesura di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, in cui compare nei
versi sempre più spesso il tema della morte. Si parla dell’amata al passato (“Il tuo passo
leggero ha riaperto il dolore”64; “Così i tuoi occhi s’aprivano un tempo”65), o al futuro
(“Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”66; “Ancora cadrà la pioggia sui tuoi dolci selciati”67)
fino all’ultima poesia in inglese con titolo Last blues, to be read some day in cui è
scritto:
‘T was only a flirt you sure did knowsome one was hurtlong time ago.
All is the same year has gone by –some day you camesome day you’ll die.
Some one has diedlong time ago – some one who tried but didn’t know68.
Questo potrebbe sembrare un riferimento chiaro al suicidio imminente, specialmente
nell’ultima strofa al verso I, è come se Pavese immaginasse che un giorno lontano questi
versi vengano letti e la sua morte ricordata.
64 Cesare Pavese, You wind of March, in Le Poesie, cit., pp. 137-138. Da questo momento tutte le citazioni delle liriche di Pavese riportate in italiano sono tratte da questo volume. Quindi ci limiteremo a citare il titolo del componimento e la pagina.65 I mattini passano chiari, p. 140.66 Verrà la morte e avrà i tuoi occhi, p. 136.67 The cats will know, p. 142.68 Last blues to be read some day, p. 143.
27
3.1. Analisi traduttiva de I mari del Sud69
I mari del Sud (a Monti) De zeeën van het zuiden (voor Monti)
Camminiamo una sera sul fianco di un colle,in silenzio. Nell’ombra del tardo crepuscolomio cugino è un gigante vestito di bianco,che si muove pacato, abbronzato nel volto,taciturno. Tacere è la nostra virtù.Qualche nostro antenato dev’essere stato ben solo
– un grand’uomo tra idioti o un povero folle –per insegnare ai suoi tanto silenzio.
We wandelen op een avond langs de flank van een heuvel,in stilte. In de schaduw van de late schemeringis mijn neef een reus in het witdie zich bedaard beweegt, gebronsd gezicht,zwijgzaam. Zwijgen is onze deugd.Een voorouder van ons moet heel alleen zijn geweest– een groot man tussen idioten of een arme dwaas –om zijn nazaten zoveel zwijgen te leren.
Mio cugino ha parlato stasera. Mi ha chiestose salivo con lui: dalla vetta si scorgenelle notti serene il riflesso del farolontano, di Torino. «Tu che abiti a Torino…»mi ha detto «… ma hai ragione. La vita va vissutalontano dal paese: si profitta e si godee poi, quando si torna, come a quarant’anni,si trova tutto nuovo. Le Langhe non si perdono».Tutto questo mi ha detto e non parla italiano,ma adopera il lento dialetto, che, come le pietredi questo stesso colle, è scabro tantoche vent’anni di idiomi e di oceani diversinon gliel’hanno scalfito. E cammina per l’ertacon lo sguardo raccolto che ho visto, bambino,usare ai contadini un poco stanchi.
Mijn neef heeft vanavond gepraat. Hij heeft mij gevraagdmee naar boven te gaan: van de top kun je in heldere nachtende weerschijn zien van de verre vuurtorenvan Turijn. ‘Jij die in Turijn woont...’zei hij ‘... maar je hebt gelijk. Je moet je leven levenver van het dorp: je plukt er de vruchten van, je genieten later, als je terugkomt, zoals ik toen ik veertig was,is alles nieuw. De Langhe70 verdwijnen niet.’Dat zei hij allemaal en hij spreekt geen Italiaans,maar gebruikt traag het dialect dat, net als de stenenvan deze heuvel, zo weerbarstig isdat twintig jaar van vreemde talenen oceanener geen krasje op hebben gemaakt. En hij wandelt langs de steiltemet de nar binnen gekeerde blik die ik als kindal heb gezien van de boeren als ze wat moe waren.
Vent’anni è stato in giro per il mondo.Se n’andò ch’io ero ancora un bambino portato da donnee lo dissero morto. Sentii poi parlarneda donne, come in favola, talvolta;ma gli uomini, più gravi, lo scordarono.Un inverno a mio padre già morto arrivò un cartoncinocon un gran francobollo verdastro di navi in un portoe auguri di buona vendemmia. Fu un grande stupore,ma il bambino cresciuto spiegò avidamenteche il biglietto veniva da un’isola detta Tasmaniacircondata da un mare più azzurro, feroce di squali,nel Pacifico, a sud dell’Australia. E aggiunse che certoil cugino pescava le perle. E staccò il francobollo.Tutti diedero un loro parere, ma tutti concluseroche, se non era morto, morirebbe.Poi scordarono tutti e passò molto tempo.
Twintig jaar heeft hij de wereld rond gezworven.Hij ging weg toen ik nog een kind was, gedragen door vrouwenen ze zeiden dat hij dood was. Later hoorde ik vrouwensoms over hem praten, als in een sprookje;maar de mannen, ernstiger, vergaten hem.Op een winterdag kwam er voor mijn vader die al dood was een kaartjemet een grote groenige postzegel met schepen in een havenen de beste wensen voor een goede oogst. Iedereen was stomverbaasd,maar de grootgeworden jongen legde opgewonden uitdat het kaartje van een eiland kwam dat Tasmanië heette,omspoeld door een blauwere zee, gevaarlijk voor haaien,in de Stille Oceaan ten zuiden van Australië. En hij zei erbijdat neef vast parels viste. En hij weekte de postzegel los.Allemaal zeiden ze wat ze ervan dachten, maar allemaal besloten zedat hij, als hij niet dood was, gauw zou sterven.Toen vergat iedereen hem en ging er veel tijd voorbij.
Oh, da quando ho giocato ai pirati malesi,quanto tempo è trascorso. E dall’ultima voltache son sceso a bagnarmi in un punto mortalee ho inseguito un compagno di giochi su un alberospaccandone i bei rami e ho rotta la testaa un rivale e son stato picchiato,quanta vita è trascorsa. Altri giorni, altri giochi,altri squassi del sangue dinanzi a rivali
O, hoeveel tijd is er voorbij gegaansinds ik zeerovertje speelde. En sinds de laatste keerdat ik levensgevaarlijke diepten in dooken een speelkameraad achterna zat in een boom,dat de mooie takken scheurden en ik een rivaal
69 I mari del Sud, in Lavorare stanca, 1936, pp. 7-9. De zeeën van het zuiden, in Werken maakt moe, 1943, in De dood zal komen en jouw ogen hebben, cit., pp. 9-15. Da questo momento tutte le citazioni delle liriche di Pavese riportate in nederlandese sono tratte da questo volume. Quindi ci limiteremo a citare il titolo del componimento e la pagina.70 N.d.T.: De streek rond het geboortedorp van Pavese, Santo Stefano Belbo.
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più elusivi: i pensieri ed i sogni.La città mi ha insegnato infinite paure:una folla, una strada mi han fatto tremare,un pensiero talvolta, spiato su un viso.Sento ancora negli occhi la luce beffardadei lampioni a migliaia sul gran scalpiccìo.
een gat in zijn hoofd bezorgde en zelf klappen kreegis er zo veel leven voorbijgegaan. Andere dagen, andere spelletjes,andere heftige botsingen met minder grijpbarerivalen: mijn gedachten en dromen.De stad heeft mij oneindige angsten geleerd:een mensenmassa, een straat deden mij beven,soms een gedachte bespeurd op een gezicht.Nog voel ik in mijn ogen het spotzieke lichtvan de duizenden straatlantaarns boven dat grote geschuifel.
Mio cugino è tornato, finita la guerra,gigantesco, tra i pochi. E aveva denaro.I parenti dicevano piano: «Fra un anno, a dir molto,se li è mangiati tutti e torna in giro.I disperati muoiono così».Mio cugino ha una faccia recisa. Comprò un pianterrenonel paese e ci fece riuscire un garage di cementocon dinanzi fiammante la pila per dar la benzinae sul ponte ben grossa alla curva una targa-rèclame.Poi ci mise un meccanico dentro a ricevere i soldie lui girò tutte le Langhe fumando.S’era intanto sposato, in paese. Pigliò una ragazzaesile e bionda come le straniereche aveva certo un giorno incontrato nel mondo.Ma uscì ancora da solo. Vestito di bianco,con le mani alla schiena e il volto abbronzato,al mattino batteva le fiere e con aria sornionacontrattava i cavalli. Spiegò poi a me,quando fallì il disegno, che il suo pianoera stato di togliere tutte le bestie alla vallee obbligare la gente a comprargli i motori.«Ma la bestia» diceva «più grossa di tutte,sono stato io a pensarlo. Dovevo sapereche qui buoi e persone sono tutta una razza».
Mijn neef kwam terug toen de oorlog voorbij was,één van de weinigen, een reus. En hij had geld.In de familie zeiden ze zachtjes: ‘Over een jaar, op zijn hoogst,is het allemaal op en gaat hij weer weg.Zo komen zwervers aan hun eind.’Mijn neef heeft een vastberaden kop. Hij kocht een benedenverdiepingin het dorp en maakte er met beton een garage vanmet ervoor vlammend rood de zuil van de benzinepompen in de bocht op de brug een heel groot reclamebord.Daarna zette hij er een monteur in om geld te verdienenen reed hij zelf rokend de hele Langhe door.Intussen was hij getrouwd, in het dorp. Hij nan een meisjetenger en blond als de buitenlandse vrouwendat hij vast op een dag in de wereld had ontmoet.Maar hij ging nog steeds alleen op stap. In het wit gekleed,met zijn handen op zijn rug en zijn gebronsd gezichtliep hij ’s morgens de markten af en onderhandeldemet een ondoorgrondelijke blik over paarden. Mij legde hij later uit,toen de opzet mislukt was, dat hij van planwas geweest alle beesten uit het dal weg te halenen zo de mensen te dwingen motoren bij hem te kopen.‘Maar,’ zei hij, ‘het stomste beest van allemaalwas ik toen ik dat bedacht. Ik had moeten wetendat ossen en mensen hier één pot nat zijn.’
Camminiamo da più di mezz’ora. La vetta e vicina,sempre aumenta d’intorno il frusciare e il fischiare del vento.Mio cugino si ferma d’un tratto e si volge: «Quest’annoscrivo sul manifesto: - Santo Stefanoè sempre stato il primo nelle festenella valle del Belbo – e che la dicanoquei di Canelli». Poi riprende l’erta.Un profumo di terra e di vento ci avvolge nel buio,qualche lume in distanza: cascine, automobiliche si sentono appena; e io penso alla forzache mi ha reso quest’uomo, strappandolo al mare,alle terre lontane, al silenzio che dura.Mio cugino non parla dei viaggi compiuti.Dice asciutto che è stato in quel luogo e in quell’altroe pensa ai suoi motori.Solo un sognogli è rimasto nel sangue: ha incrociato una volta,da fuochista su un legno olandese da pesca, il Cetaceo,e ha veduto volare i ramponi pesanti nel sole,ha veduto fuggire balene tra schiume di sanguee inseguirle e innalzarsi le code e lottare alla lancia.Me ne accenna talvolta.Ma quando gli dicoch’egli è tra i fortunati che han visto l’aurorasulle isole più belle della terra,
We lopen al langer dan een half uur. We zijn dicht bij de top,steeds luider om ons heen het ruisen en fluiten van de wind.Mijn neef staat plotseling stil en draait zich om: ‘Dit jaarschrijf ik op het aanplakbiljet: - Santo Stefanoheeft altijd de beste feesten gehadin het dal van de Belbo – wat die vanCanelli ook beweren.’ Dan klimt hij verder.Een geur van aarde en wind omhult ons in het donker,soms een licht in de verte: boerderijen, auto’sdie je nauwelijks hoort; en ik denk aan de krachtdie mij deze man heeft teruggegeven, door hem te ontrukkenaan de zee, aan die verre landen, aan de stilte die aanhoudt.Mijn neef praat niet over die voorbije reizen.Hij zegt nuchter dat hij daar en daar is geweesten denkt aan zijn motoren.Maar één droomzit nog altijd in zijn bloed: eens heeft hij als stokerop een Hollandse visserboot, De walvis, gevaren,en hij heeft de zware harpoenen zien vliegen in de zon,heeft walvissen zien wegvluchten in bloedig schuimen de achtervolging en de hoog oprijzende staart en het gevecht met de lans.Daar heeft hij het soms over.Maar als ik tegen hem zegdat hij tot de gelukkigen behoort die de zonhebben zien opkomen boven de mooiste eilanden op aarde,glimlacht hij bij de herinnering en antwoord dat de zon
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al ricordo sorride e risponde che il solesi levava che il giorno era vecchio per loro.
opkwam als voor hen de dag al oud was.
7-19 settembre – novembre 1930 7-19 september – november 1930
La prima edizione di Lavorare stanca, fu stampata il 14 gennaio del 193671. Dopo essere
stata sottoposta all’Ufficio Censura della Prefettura fiorentina fu modificata: quattro
poesie dal titolo Pensieri di Dina, Il dio-caprone, Balletto e Paternità furono tolte dalla
raccolta.
Ciò suscitò il malcontento di Pavese che chiese all’editore Solaria una «tiratura
personale» di venti copie «per rilegarle a mano e regalarle agli intimi» (lettera alla sorella
Maria, [Torino, Carceri Nuove], 25 maggio 1935)72.
Il XIV gennaio MCMXXXVI è «finito di stampare» per le Edizioni Solaria a cura di Alberto Carocci, «nella Tipografia Fratelli Parenti di G., via XX Settembre 28 Firenze» la prima edizione di Lavorare stanca. Il volumetto […] è una tiratura «fuori serie riservata alla vendita». Esso è frutto di una lunga ed estenuante trattativa con il direttore di «Solaria», […] essa porta alle prime bozze nel dicembre 1934 […] Sottoposte all’Ufficio Censura della Prefettura fiorentina nel successivo mese di marzo, dopo alterne vicende esse vengono depurate, per «motivi morali», di quattro poesie Pensieri di Dina, Il dio-caprone, Balletto, Paternità. Pavese, amareggiato in modo particolare dall’eliminazione della seconda, chiede all’editore una «tiratura personale» di venti copie, per «rilegarle a mano e regalarle agli intimi»(lettera alla sorella Maria, [Torino, Carceri Nuove], 25 maggio 1935)73.
Successivamente durante il confino, Pavese sistema la raccolta e aggiunge otto nuove
poesie: Ulisse, Atavismo, Avventure, Donne appassionate, Luna d’agosto, Terre bruciate,
Poggio Reale e Paesaggio.
In merito Pavese riceve molti giudizi da parte di amici ed altri scrittori tra cui Mario
Sturani:
Ho ricevuto il libro con le nuove poesie superiori ad ogni elogio. Delle ultime do il primo premio al paesaggio. Perdio: Quest’è il giorno che salgono le nebbie dal fiume della bella città è la più bella poesia che io abbia mai letta. Secondo premio a “Donne appassionate” e a “Poggio Reale”. Mi piacciono moltissimo. Terzo premio a Ulisse. Il libro è molto bello anche come presentazione e veste tipografica e sono proprio contento che si sia finalmente pubblicato. Credo veramente che sia la cosa più bella e notevole di questi ultimi anni di letteratura. Me lo sono riletto tutto 2 volte e questo in me tu sai che cosa vuol dire. Anche a mia moglie piace moltissimo, a lei piace più che tutto “Proprietari”. | A me delle già conosciute si capisce mi piacciono moltissimo: I mari del Sud, Antenati, Pensieri di Deola, Due sigarette, Il tempo passa (bellissima), Casa in costruzione, La cena triste, I due uomini fumano a riva, La donna che nuota ecc. | E già: mi fa malinconia solamente il pensare che mentre tu tiri fuori poesie una più bella dell’altra, composte, piene di immagini e pensieri ed azione io sono oramai degli anni che non produco più un cazzo di niente né poesie, né quadri74.
71 Cfr. Mariarosa Masoero Nota ai testi, in Cesare Pavese, Le Poesie, cit. p. XXXII.72 Ibidem.73 Ibidem.
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Pavese nel periodo tra il 1935 e il 1937 scrisse nuove poesie tra cui Vecchia ubriaca, il
carrettiere accanto alle riflessioni su come fare poesia nonostante nel 1935 la casa
editrice avesse già apportato gli ultimi ritocchi alla raccolta.
3.2. Analisi della poesia
Quando scrisse I mari del Sud Pavese aveva cominciato già da qualche anno a tradurre le
opere degli scrittori americani. Si può notare infatti come l’orientamento poetico
dell’autore cambi nel tempo, fino a tornare negli ultimi anni della sua vita alla poesia
lirica classica.
Questi versi sono più discorsivi e quindi molto diversi dalla poesia dell’epoca per cui il
traduttore sarà confrontato con problematiche diverse più simili alla traduzione di prosa
che di poesia.
In questi versi mancano le rime, e sono presenti poche figure retoriche. I traduttori van
Toorn e de Voogd hanno cercato di mantenere la traduzione più vicina possibile al testo
di partenza, ma il verso in nederlandese risulta comunque più lungo di quello italiano.
Già nella prima strofa al III verso compare la prima difficoltà:
mio cugino è un gigante vestito di bianco, is mijn neef een reus in het wit
La parola “neef”75 in nederlandese può significare sia “cugino”76 che “nipote” (di zio o
zia), quindi il lettore olandese non saprà chiaramente di che grado di parentela si tratti.
“In het wit”, inoltre è più generico di “vestito di bianco”: il significato è espresso con
meno precisione. La scelta alla fine del verso è stata di eliminare la virgola.
Al verso successivo, la scelta dell’aggettivo “bedaard” per tradurre l’italiano “pacato”
crea un’assonanza con “beweegd” ed è più aulico di “rustig” o “kalm”. Anche nella
seconda parte del verso “abbronzato nel volto” troviamo nel testo d’arrivo “gebronsd
gezicht” anche questa scelta crea un’assonanza non presente nella poesia di Pavese.
74 Lettera del 24 gennaio 1936, edita da Marziano Guglielminetti, Una poetica « tenzione»: Mario Sturani e Cesare Pavese, in AA. VV., Mario Sturani, (1906 – 1978) a cura di M.M. Lamberti, Torino, Allemandi, 1990, p. 193.75 Vincenzo Lo Cascio, Handwoordenboek Italiaans Nederlands / Nederlands Italiaans, Utrecht - Bologna Van Dale –Zanichelli, 2001. Da questo momento in poi, per entrambe le analisi traduttive sarà questo il dizionario di riferimento per la traduzione in nederlandese.76 Nicola Zingarelli, Lo Zingarelli minore, vocabolario della lingua italiana edizione terzo millennio, Bologna, Zanichelli Editore, 2001. Da questo momento in poi, per entrambe le analisi traduttive, sarà questo il dizionario di riferimento per la lingua italiana.
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Al VI verso troviamo nel testo di partenza:
Qualche nostro antenato deve essere stato ben solo Een voorouder van ons moet heel alleen zijn geweest
Qui la traduzione non è esattamente letterale: “een” in nederlandese non significa
esattamente “qualche” ma “un” o “uno”. Il testo d’arrivo risulta quindi più specifico di
quello di partenza: mentre nella versione italiana gli antenati potrebbero essere più di
uno, in quello di arrivo si tratta sicuramente di uno solo.
L’aggettivo italiano “povero” al verso VII è stato interpretato in nederlandese con “arm”
con significato “povero” (materialmente). Questo lemma potrebbe avere però, anche altri
significati come ad esempio “misero” o “umile” che in nederlandese sarebbero tradotti
diversamente, ad esempio con “schamel” o “eenvoudig”.
Nell’ultimo verso della prima strofa compare in italiano il sostantivo “suoi” riferito a “i
familiari” tradotto in nederlandese con “nazaten” che ha più il significato di
“discendenti”, più formale ed aulico di “suoi”.
Nella seconda strofa al verso II vediamo che è stato invertito l’ordine della frase in
nederlandese, dando al lettore un’anticipazione:
[…] dalla vetta si scorge nelle notti serene il riflesso del faro lontano, di Torino. […].
[…] van de top kun je in heldere nachten de weerschijn zien van de verre vuurtoren van Turijn. […].
Tradotto letteralmente in nederlandese il verso significa “dalla vetta puoi nelle notti
serene il riflesso vedere del lontano faro di Torino”.
La sintassi nederlandese prevede questa costruzione che però anticipa inevitabilmente
degli elementi quali “le notti serene” che Pavese aveva scelto di inserire nel verso
successivo e di mettere prima il predicato verbale “scorgere”. Ciò è determinato dalla
differenza con il costrutto italiano.
Altre scelte dei traduttori all’interno dei versi II e III sono l’aggettivo “helder” per
tradurre “serene” e il verbo “zien” (vedere) per tradurre “scorgere”. Il verbo italiano ha
un significato diverso da “vedere”: “scorgere” significa “vedere appena” e il
nederlandese possiede altri verbi che potrebbero essere considerati come equivalenti, ad
esempio i verbi “ontwaren”, “bespeuren”, “opmerken”.
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All’interno del quarto verso e nel quinto è possibile notare che i traduttori hanno scelto di
cambiare le virgolette nel discorso diretto:
«Tu che abiti a Torino…» mi ha detto «… ma hai ragione. […]»
‘Jij die in Turijn woondt…’ zei hij ‘maar je hebt gelijk. […]’
come è possibile notare i traduttori hanno scelto di sostituire le virgolette a caporale con
quelle in alto. Il motivo di tale scelta resta piuttosto oscuro, probabilmente è dettato dal
fatto che in nederlandese le virgolette a caporale non sono usate tanto spesso quanto in
italiano.
Nel verso 6 van Toorn e de Voogd hanno reso la frase in questo modo:
[…] si profitta e si gode je plukt er de vruchten van, je geniet
Vediamo quindi che il verbo “profittare” è stato tradotto in nederlandese con una
metafora che tradotta letteralmente vuol dire: “raccogli i frutti” nella seconda persona
singolare in senso impersonale. In nederlandese esiste il verbo “profiteren” con
significato “profittare”, ma ciononostante la decisione è stata di non utilizzarlo e di
rendere la traduzione più colloquiale attraverso questa metafora che in italiano esiste ma
si usa soprattutto nel linguaggio parlato.
Un altro elemento che appare nella versione nederlandese è l’uso del pronome “je” per
tradurre la forma impersonale italiana “si”. L’equivalente forma impersonale
nederlandese prevede infatti l’uso del pronome “je” (tu) o in alternativa della particella
“men”. La scelta rende il testo d’arrivo ancora più informale perché il lettore immagina i
due personaggi che dialogano. Nel testo d’arrivo è stata anche aggiunta una virgola tra la
metafora e la seconda parte del verso mentre nel testo di partenza era presente la
congiunzione “e”.
Al verso VIII i traduttori si sono trovati di fronte ad uno specifico riferimento
topografico: “Le Langhe”: la regione attorno a Santo Stefano Belbo. Per un lettore
italiano sarà probabilmente più facile reperire il significato di questa parola che compare
nel testo di Pavese, ma per i lettori nederlandesi che non conoscono bene la zona, e la
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storia dell’autore sarà più difficile. Pertanto van Toorn e de Voogd hanno deciso di
risolvere questo problema aggiungendo una nota a piè pagina:
“De streek rond het geboortedorp van Pavese, Santo Stefano Belbo.” (La regione attorno
al paese natale di Pavese, Santo Stefano Belbo.)
Tramite tale scelta hanno deciso di rinunciare per un attimo al ruolo di traduttori e di dare
un’ulteriore spiegazione ai lettori sebbene in un testo poetico non compaiano quasi mai
note, ad eccezione dei commenti dei critici nelle edizioni destinate alle antologie.
Ai due versi seguenti:
Tutto questo mi ha detto e non parla italiano, ma adopera lento il dialetto, che, come le pietre
Dat zei hij allemaal en hij spreekt geen Italiaans, maar gebruikt traag het dialect dat, net als de stenen
è possibile notare che l’aggettivo italiano “lento” è stato tradotto con “traag” che in
nederlandese ha un’ accezione in più, quella di “pigro”; nella versione di Pavese non c’è
riferimento alla pigrizia di questo personaggio che potrebbe parlare lentamente
semplicemente per difficoltà ad esprimersi. Altra modifica nella traduzione è l’omissione
di una virgola che isola il “che” nel testo di partenza; ciò può essere dovuto sia ad una
scelta dei traduttori di non appesantire la versione nederlandese grammaticalmente, sia ad
una semplice dimenticanza, visto che anche in italiano l’aggiunta della virgola non era
dettata da regole grammaticali, ma dall’esigenza metrica di isolare il “che” per porre
maggiore enfasi sulla similitudine che segue (“come le pietre di questo stesso colle
[…]”).
Al verso XI troviamo nel testo di partenza l’aggettivo “scabro” che in nederlandese è
stato tradotto come “weerbarstig” che ha un sfumatura un po’ diversa: “scabro” vuol dire
“Ruvido, aspro al tatto, non liscio” mentre l’aggettivo scelto dai traduttori vuol dire
“ricalcitrante, indocile, ribelle”. Anche l’ordine della frase cambia in nederlandese a
causa delle regole sintattiche:
[…] è scabro tanto che vent’anni di idiomi e di oceani diversi non gliel’hanno scalfito.
[…] zo weerbarstig is dat twintig jaar van vreemde talen en oceanen er geen krasje op hebben gemaakt.
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In nederlandese ancora una volta è invertito l’ordine tra verbo ed aggettivo (“zo
weerbarstig is” tradotto letteralmente “così recalcitrante è”) mentre nel costrutto italiano
il verbo precede l’aggettivo.
Altra scelta personale è quella di tradurre “idiomi” come “vreemde talen” (lingue
straniere). In italiano “idioma” significa “lingua propria di una comunità”. Può essere
interpretato anche come “lingua straniera” ma traducendo in questa maniera van Toorn e
de Voogd si sono trovati costretti ad omettere l’aggettivo “diversi” che accompagna il
sostantivo “oceani”. Nel verso nederlandese “vreemde talen en oceanen” l’aggettivo
“vreemde” si riferisce sia a “talen” che a “oceanen”, ma l’immagine nel testo d’arrivo è
stata comunque modificata perché “vreemd” significa “diverso” con l’accezione di
“strano” o “straniero”.
Al verso seguente vediamo che il verbo “scalfire” è stato parafrasato77 con “er geen krasje
op hebben gemaakt”. Se confrontiamo questa traduzione con il dizionario alla prima voce
viene riportato “krassen maken op / in”, che non è una vera e propria traduzione, ma è un
modo di tradurre attraverso una parafrasi.
All’interno dello stesso verso leggiamo:
E cammina per l’erta con lo sguardo raccolto che ho visto, bambino,
En hij wandelt langs de steilte met de naar binnen gekeerde blik die ik als kind
La prima caratteristica visibile è il sostantivo ‘erta’ che, confrontando la definizione
riportata nel dizionario, in italiano vuol dire “Salita con forte pendenza, faticosa a
percorrersi” tradotto in nederlandese come “steilite” che significa “ripidezza, dirupo,
balza”. Subito dopo nel verso di Pavese si presenta la sinestesia “sguardo raccolto” che in
nederlandese è stata tradotta con un’altra parafrasi: “de naar binnen gekeerde blik”
(letteralmente: “lo sguardo rivolto all’interno”), anche qui il costrutto sintattico
nederlandese prevede che tale parafrasi sia posta all’interno della frase in posizione
aggettivale quindi prima del sostantivo. Probabilmente nel testo di partenza questo
aggettivo aveva anche un significato simbolico più che letterale (ad esempio “assorto nei
pensieri”), e non meramente “rivolto all’interno”.
77 Cfr. Andrew Chesterman, Vertaalstrategieën: een classificatie, in AA. VV., Denken over vertalen, Nijmegen,Uitgeverij Vantilt, 2004, pp. 254-255.
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Il predicato verbale “ho visto” che in italiano è presente al penultimo verso in
nederlandese slitta necessariamente all’ultimo:
[…] che ho visto, bambino, […] die ik als kind al heb gezien
I traduttori hanno inoltre scelto di eliminare entrambe le virgole che isolano il sostantivo
“bambino”.
Nell’ultimo verso van Toorn e de Voogd hanno deciso di eliminare il verbo “usare”:
usare ai contadini un poco stanchi. al heb gezien van de boeren als ze wat moe waren.
Come è possibile notare i traduttori hanno scelto di sostituire il verbo con la preposizione
nederlandese “van” e “un poco stanchi” è stato tradotto con una parafrasi “als ze wat moe
waren” (quando erano un poco stanchi); il riferimento temporale “quando” non è presente
nel testo di partenza, ma è stato aggiunto nella versione nederlandese.
Nella terza strofa al primo verso vediamo che i traduttori hanno aggiunto un verbo che
nel testo di partenza manca: il verbo nederlandese “zwerven” al passato prossimo
“heeft… gezworven”:
Vent’anni è stato in giro per il mondo. Twintig jaar heeft hij de wereld rond gezworven.
Il testo di partenza presenta una frase piuttosto colloquiale che in nederlandese non
presenta lo stesso grado di informalità: la traduzione letteralmente vuol dire: “(Per)
Vent’anni ha girato il mondo”, in più è presente “rond” che vuol dire letteralmente
(intorno) adatto a tradurre l’italiano “in giro”.
Al secondo verso della terza strofa nel testo di Pavese troviamo altre forme colloquiali:
Se n’andò ch’io ero ancora un bambino portato da donne
Hij ging weg toen ik nog een kind was, gedragen door vrouwen
Queste espressioni apostrofate “n’” “ch’” non fanno parte dell’italiano standard che
prevedrebbe che le parole venissero citate per esteso: “se ne andò…” e “che io…”, ma
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del linguaggio informale e colloquiale; nella versione di van Toorn e de Voogd questa
caratteristica non viene alla luce poiché la traduzione è in nederlandese standard. Nel
testo d’arrivo è inoltre stata aggiunta una virgola tra “was” e “gedragen”.
Il secondo verso continua nel terzo con un enjambement:
e lo dissero morto. Sentii poi parlarne en ze zeiden dat hij dood was. Later hoorde ik vrouwen
In italiano l’espressione “lo dissero morto” è usata raramente, più spesso si usa “fecero
credere che fosse morto” o più semplicemente “dissero che era morto”, ma l’espressione
scelta da Pavese stavolta non ha uno stile colloquiale ma più formale. Van Toorn e De
Voogd hanno scelto per la loro traduzione una semplice frase in nederlandese: “en ze
zeiden dat hij dood was […]”.
All’interno dello stesso verso nel testo d’arrivo troviamo un’anticipazione: “Later hoorde
ik vrouwen” (in seguito sentii donne) per tradurre “Sentii poi parlarne”; è stato anticipato
il “vrouwen” (donne) che nel testo di partenza compare al verso successivo. Inoltre
l’intera frase in nederlandese è stata cambiata, è stato aggiunto “over hem” (di lui) per
tradurre “parlarne”. L’italiano prevede l’aggiunta del “ne” alla fine del verbo mentre il
nederlandese non presenta questa caratteristica. Questo è uno dei motivi per cui il verso
del testo d’arrivo risulta più lungo di quello di partenza. All’interno del quarto verso
troviamo:
da donne, come in favola, talvolta; soms over hem praten, als in een sprookje;
L’espressione italiana “come in favola” è allungata in nederlandese con “als in een
sprookje”; per ovviare alla lunghezza del verso i traduttori hanno deciso di spostare
“talvolta” all’inizio del verso traducendolo come “soms” e di eliminare così la virgola
che separava “favola” e “talvolta” nel testo di partenza. La scelta di Pavese di porre
“talvolta” alla fine del verso risulta piuttosto informale; di solito in italiano standard
l’avverbio di tempo “talvolta” viene posto all’inizio della frase e non alla fine.
Al verso V nella poesia di Pavese troviamo:
ma gli uomini, più gravi, lo scordarono maar de mannen, ernstiger, vergaten hem.
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Singolare la scelta di usare il comparativo di maggioranza dell’aggettivo “grave” riferito
a “gli uomini” per giunta messo in evidenza come inciso tramite le due virgole.
Van Toorn e de Voogd hanno seguito le tracce di Pavese ed hanno tradotto alla lettera
l’aggettivo come “ernstiger” riportando precisamente anche la punteggiatura.
Nel testo di partenza è inoltre presente il verbo “scordare” tradotto in nederlandese come
“vergeten” (dimenticare). La scelta dello scrittore di usare proprio il verbo “scordare” e
non il suo sinonimo italiano “dimenticare” è dettata probabilmente da due motivi:
innanzitutto per dare un tono più informale e dialettale alla poesia che è scritta come se
venisse narrata, e poi perché il verbo scordare deriva dal latino “cor – cordis” che
significa “cuore” quindi il contrario di “ricordare” ed in italiano descrive bene la
situazione di quest’uomo che dopo essere emigrato, ritorna al suo paese e non viene quasi
riconosciuto. Il nederlandese purtroppo non possiede due verbi diversi per “scordare” e
“dimenticare”, per cui i traduttori sono stati costretti a tradurre semplicemente con
“vergeten”, usato nel linguaggio standard.
Al verso VI i traduttori si sono trovati di fronte a altre due difficoltà:
Un inverno a mio padre già morto arrivò un cartoncino
Op een winterdag kwam er voor mijn vader die al dood was een kaartje
La prima difficoltà consiste nel tradurre “inverno” che van Toorn e de Voogd hanno
deciso di tradurre con “winterdag” (giorno di inverno). Nella versione di Pavese non è
presente l’elemento “giorno” anche se al pubblico italiano sarà chiaro che in questo verso
per “Un inverno” si intende “un giorno di inverno” in quanto l’arrivo di una cartolina (o
di un “cartoncino”) non può che essere circoscritto ad un solo giorno e non ad un inverno.
Altra scelta è quella di tradurre “cartoncino” con “kaartje” (cartolina). In effetti, la scelta
di questo termine suona piuttosto singolare in italiano; dai versi successivi capiamo che si
tratta proprio di una cartolina, ma non sappiamo esattamente perché Pavese non abbia
scelto il termine “cartolina” in italiano standard, ma “cartoncino”. Probabilmente la
ragione è ancora una volta quella di conferire un tono colloquiale al verso usando un
termine più dialettale.
38
Questa caratteristica manca però nel testo d’arrivo in quanto i traduttori hanno scelto ciò
che normalmente si userebbe in nederlandese per descrivere una cartolina. Tuttavia
l’aggiunta del suffisso “je” alla fine conferisce in nederlandese un tono meno formale.
La struttura della proposizione è inoltre stata cambiata sostituendo la relativa “die al dood
was” all’aggettivo “morto” con avverbio “già” presenti nel testo di partenza.
Nella prima metà del verso VIII sono state fatte due scelte particolari: una di tipo
linguistico e l’altra di tipo lessicale.
e auguri di buona vendemmia. Fu un grande stupore,
en de beste wensen voor een goede oogst. Iedereen was stomverbaasd
La prima scelta è stata quella di tradurre la parola “auguri” con “de beste wensen” (i
migliori auguri). Van Toorn e de Voogd hanno probabilmente adattato l’espressione alla
lingua nederlandese che in questo contesto prevedrebbe l’espressione “de beste wensen”
e non semplicemente “de wensen” (auguri). La seconda scelta è quella di tradurre
“vendemmia” con “oogst” che in olandese significa “raccolto”; la parola “vendemmia”
sarebbe stata “wijnoogst”. Tramite questo adattamento linguistico i traduttori hanno
cambiato leggermente l’immagine data dalla poesia in quanto essendo ambientata in un
contesto rurale questo della vendemmia è un elemento chiave.
Nella seconda parte del verso vediamo che la versione di Pavese è scritta in modo
impersonale: “Fu un grande stupore”, mentre nel testo d’arrivo troviamo “Iedereen was
stomverbaasd” (tutti furono sbalorditi). L’elemento “iedereen” (tutti) priva il verso della
sua impersonalità e “stomverbaasd” usato per tradurre “stupore” che nel testo di partenza
era sostantivo, in quello di arrivo diventa aggettivo riferito a “iedereen”.
È possibile notare che il verso IX sia stato allungato visibilmente:
ma il bambino cresciuto spiegò avidamente maar de grootgeworden jongen legde opgewonden uit
È stato scelto di tradurre la parola “bambino” non con “kind” ma con “jongen” che in
nederlandese vuol dire “ragazzo”. In questo modo si perde l’ossimoro presente nel testo
di Pavese (bambino cresciuto) che diventa “ragazzo cresciuto”.
39
Altra scelta personale dei traduttori in questo verso è quella di tradurre l’avverbio
“avidamente” come “opgewonden” che letteralmente vuol dire “elettrizzato”.
Al verso X troviamo un riferimento al verso VI:
che il biglietto veniva da un’isola detta Tasmania dat het kaartje van een eiland kwam dat Tasmanië heette,
Stavolta Pavese usa per il suo verso la parola “biglietto” e non più “cartoncino”, termine
che definisce meglio in italiano l’oggetto già menzionato in precedenza. I traduttori
invece hanno usato ancora una volta “kaartje”.
In riferimento all’isola nel testo di partenza Pavese scrive: “un’isola detta Tasmania”
attraverso lo stile di questo verso lo scrittore comunica al lettore quanto quest’isola sia
straniera, sconosciuta e lontana: se avesse formulato la frase in altro modo, ad esempio
“l’isola della Tasmania” non avrebbe raggiunto lo stesso risultato nell’immaginario del
lettore.
Van Toorn e de Voogd hanno tradotto “een eiland … dat Tasmanië heette” (un’isola ...
che si chiamava Tasmania), ma la traduzione non rende a pieno il participio passato con
valore aggettivale usato dallo scrittore piemontese. Nella versione originale neanche il
narratore conosce quest’isola, mentre nel testo d’arrivo il narratore è onnisciente e
racconta come si chiama l’isola. Alla fine del verso è stata aggiunta una virgola che
Pavese aveva scelto di non inserire nel testo di partenza.
Al verso XI il testo presenta una particolarità: il comparativo di maggioranza “più
azzurro” non presenta alcun secondo termine di paragone:
circondata da un mare più azzurro, feroce di squali omspoeld door een blauwere zee, gevaarlijk vol haaien
In nederlandese il verbo “circondare” è stato tradotto con “omspoelen” che vuol dire più
precisamente “bagnare”, “sciacquare”, mentre il termine “circondare” non prevede il
contatto tra l’acqua e la terra.
Il comparativo di maggioranza senza secondo termine di paragone è stato reso fedelmente
anche in lingua d’arrivo: “een blauwere zee”. I traduttori hanno invece reso in modo più
creativo l’ultima parte del verso che presenta la metonimia “feroce di squali”; nel testo
40
d’arrivo leggiamo: “gevaarlijk vol haaien” in cui “gevaarlijk” è avverbio, “vol” aggettivo
e “haaien” sostantivo – il verso tradotto letteralmente vorrebbe dire “pericolosamente
pieno di squali”, tradotto alla lettera sarebbe stato “[…] wild van haaien”.
Al verso XII sono presenti altri due riferimenti geografici:
nel Pacifico, a sud dell’Australia. E aggiunse che certo
in de Stille Oceaan ten zuiden van Australië. En hij zei erbij
Questo verso è stato tradotto molto fedelmente da van Toorn e de Voogd. Gli unici due
punti difformi al testo di partenza sono l’eliminazione della virgola dopo “del Pacifico” e
lo spostamento dell’avverbio “vast” per tradurre “certo” al verso successivo.
Al verso XIII in nederlandese troviamo il pronome relativo “dat” senza alcun articolo che
si riferisca a “neef”:
il cugino pescava le perle. E staccò il francobollo. dat neef vast parels viste. En hij weekte de postzegel los.
Nel testo d’arrivo al verso XIV è possibile constatare che il sostantivo italiano “parere”
sia stato tradotto con una parafrasi, nonostante la lingua nederlandese possieda più di un
termine per tradurre “parere” ad esempio “menig” o “standpunt”:
Tutti diedero un loro parere, ma tutti conclusero
Allemaal zeiden ze wat ze ervan dachten, maar allemaal besloten ze
La parafrasi rende il verso nederlandese visibilmente più lungo di quello italiano; altra
scelta è stata quella di tradurre il verbo italiano “concludere” come “beslissen” con
significato “decidere”. Il significato di questi due verbi è simile ma “decidere” si riferisce
più specificamente ad un giudizio o ad una sentenza, “concludere” prevede un accordo o
una conseguenza logica.
Nel testo di partenza al verso XV si nota un’insolita costruzione grammaticale:
che, se non era morto, morirebbe. dat hij, als hij niet dood was, gauw zou sterven.
41
In italiano standard il periodo ipotetico sarebbe stato: “se non fosse stato già morto,
sarebbe morto (presto)”. Ma Pavese ha deciso di scrivere questa poesia con un registro
informale e, di conseguenza, ha scelto di non usare il congiuntivo.
Il nederlandese presenta forme grammaticali diverse, pertanto i traduttori hanno dovuto
utilizzare altri mezzi per rendere colloquiale la loro versione. Ad esempio la ripetizione
del pronome “hij” che compare due volte all’interno del verso, denota un registro
informale inoltre è stato deciso di aggiungere l’avverbio di tempo “gauw” (presto).
All’ultimo verso troviamo ancora una volta l’uso del verbo “scordare” che in
nederlandese è stato di nuovo tradotto con “vergeten”:
Poi scordarono tutti e passò molto tempo. Toen vergat iedereen hem en ging er veel tijd voorbij.
In questo verso i traduttori hanno scelto di modificare leggermente il senso aggiungendo
“hem” (lui). Nella versione di van Toorn e de Voogd il complemento oggetto è definito e
si riferisce al protagonista del “racconto”, il cugino del narratore, mentre nel testo di
partenza il complemento oggetto non viene definito: Pavese scrive semplicemente
“scordarono” senza specificare se si tratta di una persona o di un evento.
La peculiarità delle poesie di Lavorare Stanca è composta, come già detto, dal linguaggio
colloquiale, caratterizzato spesso da parole dialettali, dagli scenari rurali che richiamano i
paesaggi delle Langhe di cui l’autore è originario e da espressioni che riportano
esplicitamente le emozioni e i pensieri dei personaggi, come ad esempio nella sesta strofa
ai versi XV e XVI: “Dice asciutto che è stato in quel luogo e in quell’altro e pensa ai suoi
motori”.
Nei versi IX e X della seconda strofa troviamo un riferimento esplicito all’uso del
dialetto:
Tutto questo mi ha detto e non parla italiano, ma adopera lento il dialetto, che, come le pietre di questo stesso colle è scabro tanto che vent’anni di idiomi e oceani diversi non gliel’hanno scalfito.
Dat zei hij allemaal en hij spreekt geen Italiaans, maar gebruikt traag het dialect dat, net als de stenen van deze heuvel, zo weerbarstig is dat twintig jaar van vreemde talen en oceanen er geen krasje op hebben gemaakt.
42
In questi versi Pavese ci informa che il cugino non sa parlare italiano, ma solo il dialetto
piemontese probabilmente perché essendo stato per molto tempo all’estero non aveva
imparato correttamente l’italiano.
È possibile notare anche che il poeta ha adoperato una rima interna tra “detto” e
“dialetto”, forse inconsciamente in quanto, come i traduttori ci informano nella
postfazione alla raccolta di poesie in lingua nederlandese, Pavese durante la stesura di
Lavorare stanca aveva deciso di evitare il metro tradizionale e le rime:
Voor de versificatie van zijn poesia-racconto moest Pavese behalve een levendige taal en krachtige beelden een versvorm vinden die hem zou behoeden voor de valkuilen van het Whitmaniaanse vrij vers, dat hem te grillig en ongebonden was. Tegelijkertijd had hij geen vertrouwen in het traditionele metrum, en zeker niet in een vormelement als rijm, dat hem vooral komisch voorkwam78.
A tal proposito probabilmente van Toorn e de Voogd hanno deciso di non riprodurla nella
loro versione nederlandese. Infatti in questi versi si denotano molte più caratteristiche
della prosa che della poesia, si può infatti parlare di poesia-racconto79.
Come già accennato in precedenza, altri termini ed espressioni dialettali sono presenti:
nella terza strofa al verso V: “[…] gli uomini più gravi […] lo scordarono”;
nella terza strofa al verso XV: “[…] se non era morto, morirebbe”;
nella quarta strofa al verso VIII: “squassi del sangue”;
nella quinta strofa al verso XI: “Pigliò una ragazza”;
nella sesta strofa al verso XV: “Dice asciutto che è stato in quel luogo e in quell’altro”.
In nederlandese questo tono informale è stato ricreato traducendo ove possibile con
espressioni colloquiali, ad esempio nella traduzione dell’ultimo verso della sesta strofa:
«[…] buoi e persone sono tutta una razza». ‘[…] ossen en mensen hier èèn pot nat zijn.’
Questa espressione in nederlandese è molto informale, potrebbe essere equivalente alle
espressioni in italiano “essere dello stesso stampo” oppure “essere tutta una risma”.
Secondo quanto riportato da Elio Gioanola questo verso sarebbe illuminante per capire la
concezione del progresso:
78 Pietha De Voogd e Willem Van Toorn, Nawoord, in De dood zal komen en jou ogen hebben, cit., p. 257.79 AA. VV. Il naturalismo mitico di Cesare Pavese, in AA. VV. Storia della letteratura italiana diretta da Enrico Malato vol. IX il Novecento, Salerno editore, Roma, 2000, p. 753.
43
Questo verso è illuminante: se uomini e bestie sono una cosa sola, non è data possibilità di progresso; il paese, la terra, sono il luogo dell’immobilità e il fallimento è dovuto alla volontà di cambiare il ritmo inesorabile del destino, di voler introdurre l’avventura e il rischio là dove tutto è sempre uguale80.
È possibile inoltre notare che compaiono nel testo d’arrivo ancora una volta le virgolette
in alto invece di quelle a caporale81 e che il punto è stato spostato prima della chiusura
delle virgolette.
Anche la metonimia presentata nella settima strofa al verso XVIII può essere interpretata
come scelta rivolta a creare un tono informale.
da fuochista su un legno olandese da pesca, il Cetaceo, op een Hollandse visserboot, De walvis gevaren,
Van Toorn e de Voogd hanno scelto di non riprodurla nella versione nederlandese
traducendo “legno” come “visserboot” (barca da pesca) che in nederlandese è presentato
in una sola parola e hanno anche scelto di eliminare il corsivo nella traduzione del nome
della barca.
Altra rima interna nel testo di partenza si presenta al verso XI e XII della terza strofa:
[…] un mare più azzurro feroce di squali, nel Pacifico, a sud dell’Australia. […]
[…] een blauwere zee, gevaarlijk vol haaien, in de Stille Oceaan ten zuiden van Australië. […]
In questo caso il testo più che una rima presenta un’assonanza tra “squali” ed “Australia”.
Come è possibile riscontrare nei saggi di Giulio Ferroni un’altra particolarità di questa
raccolta di poesie dell’autore piemontese è il verso che presenta una lunga cadenza
iterativa attraverso cui il poeta delle Langhe esprime la condanna dell’umanità a ripetersi
continuamente nella storia ritornando perpetuamente sul proprio destino82, realizzando
così un nuovo e personale verso narrativo caratterizzato da combinazioni di versi di
misura differente83.
Pavese ha realizzato un personale verso narrativo, dal lungo respiro, fatto spesso di combinazioni di versi regolari di diversa misura: questi versi si succedono in una serie di lasse e assumono un carattere di cantilena, di narrazione primitiva, mitica ed epica; i frammenti della conversazione quotidiana, le cose
80 Elio Gioanola, op. cit., p. 113.81 Vedi verso IV e ss. strofa 2.82 Cfr, Giulio Ferroni, Storia della letteratura italiana, il Novecento, Einaudi Scuola Milano, 1991, pp. 404-405.83 Ibidem.
44
della realtà di tutti i giorni, si elevano così a segni simbolici, anche se con il rischio di una stanca monotonia.84
Sia dalle ambientazioni che dalle tematiche si denota il carattere autobiografico delle
poesie caratterizzate da ritmi lunghi e cadenzati che sono alla base della poesia-racconto
pavesiana.
Al primo verso de I mari del Sud il poeta ci presenta il personaggio principale della
poesia-racconto scrivendo: “Mio cugino ha parlato stasera”. Lo introduce così con fare di
mistero, come se il cugino avesse nascosto per tanto tempo un segreto. Qualche verso più
avanti troviamo citate tra virgolette le parole del cugino che riportano la dicotomia città /
campagna (“[...] La vita va vissuta lontano dal paese […] Le Langhe non si perdono”),
altra caratteristica fondamentale di Lavorare stanca.
Questa raccolta, grazie al carattere autobiografico, alla dicotomia tra città e campagna, al
tono colloquiale caratterizzato talvolta da termini dialettali, si colloca nel panorama
storico e culturale del tempo ed in particolare nel mondo rurale delle Langhe di cui
Pavese è originario. Nell’affrontare la traduzione di queste poesie, tra cui I mari del Sud
verso altre lingue, i traduttori sono posti immediatamente di fronte alla problematica di
come far capire al pubblico straniero questi elementi tipici dell’Italia degli anni Trenta;
l’orientamento della traduzione sarà quindi rivolto verso un adattamento di tipo
culturale85.
Gli elementi caratteristici sono espressi nelle poesie tramite i personaggi che si
inseriscono con difficoltà nella collettività sociale, come ci informano i saggi critici scritti
da Romano Luperini e Pietro Cataldi; la condizione dei personaggi presenti in Lavorare
Stanca rivela l’estraniamento e la solitudine dell’uomo. Sono proprio questi i temi che
collegano Pavese al Decadentismo europeo86.
Da una poesia all’altra ritornano temi analoghi e situazioni affini. I personaggi preferiti sono quelli che con difficoltà si inseriscono nella collettività sociale (ricorrono le figure del vecchio e del ragazzo), in grado di rivelare la condizione di estraniamento e di solitudine dell’uomo: temi che collegano Pavese al Decadentismo europeo87.
84 Ibidem.85 Cfr. Andrew Chesterman, op. cit. p. 258.86 Cfr. Romano Luperini e Pietro Cataldi, L’oggettivazione narrativa di Cesare Pavese, in Romano Luperini e Pietro Cataldi, La Scrittura e l’interpretazione, storia della letteratura italiana nel quadro della civiltà e della letteratura d’occidente, Volume 3, tomo II, Palumbo, Palermo, 1999, pp. 856-858.87 Ivi, p. 857.
45
Lo scenario rurale è visibile ne I mari del Sud soprattutto nella quinta strofa ai versi III-
V:
I parenti dicevano piano: «fra un anno a dir molto, se li è mangiati tutti e torna in giro. I disperati muoiono così».
In de famiglie zeiden ze zachtjes: ‘Over een jaar, op zijn hoogst, is het allemaal op en gaat hij weer weg. Zo komen zwervers aan hun eind.’
In questi versi è possibile constatare il giudizio fermo del paese che conosce il fato88 e
non esita a predire che il cugino del poeta delle Langhe sperpererà il danaro in breve
tempo. Altro riferimento al giudizio del paese è alla terza strofa ai versi XIV-XV-XVI:
Tutti diedero un loro parere, ma tutti conclusero che, se non era morto, morirebbe. Poi scordarono tutti e passò molto tempo.
Allemaal zeiden ze wat ze ervan dachten, maar allemaal besloten ze dat hij, als hij niet dood was, gouw zou sterven. Toen vergaat iedereen hem en ging er veel tijd voorbij.
Vediamo che il paese viene interpellato sulla sorte del cugino e nella poesia il giudizio
viene riportato minuziosamente.
Nella traduzione sul piano semantico e sintattico le informazioni sono tradotte
fedelmente, ma forse nella cultura d’arrivo la valenza pragmatica di questi versi è più
difficile da riportare: possono essere interpretati alla luce della dicotomia città /
campagna; probabilmente è proprio il giudizio del paese a spingere il personaggio a voler
evadere verso una realtà più libera ed impersonale come quella cittadina.
Un chiaro riferimento a questo tema lo troviamo nella quarta strofa ai versi da X a XIV:
La città mi ha insegnato infinite paure: una folla, una strada mi han fatto tremare, un pensiero talvolta, spiato su un viso. Sento ancora negli occhi la luce beffarda dei lampioni a migliaia sul gran scalpiccìo.
De stad heef mij oneindige angsten geleerd: een mensenmassa, een straat deden mij beven, soms een gedachte bespeurd op een gezicht. Nog voel ik mijn ogen het spotzieke licht van de duizenden straatlantaarns boven dat grote geschuifel.
Con questi versi Pavese ci illustra il disincanto del cugino nei confronti della città. Dopo
aver trascorso venti anni in giro per il mondo il protagonista ha avuto modo di riscontrare
le difficoltà di vivere fuori dal contesto rurale dove è nato ed è quindi tornato nelle
Langhe.
88 Cfr. Elio Gioanola, op. cit., pp. 113.
46
4.1. Analisi traduttiva di You wind of March89
You, wind of March You, wind of March
Sei la vita e la morte.Sei venuta di marzosulla terra nuda –il tuo brivido dura.Sangue di primavera- anemone o nube -il tuo passo leggeroha violato la terra.Ricomincia il dolore.
Je bent het leven en de dood.Je bent gekomen uit maartover de naakte aarde –en je rilt nog altijd.Bloed van deze lente- anemoon of wolk -jouw zo lichte pasheeft de aarde geschonden.Opnieuw is er verdriet.
Il tuo passo leggeroha riaperto il dolore.Era fredda la terrasotto povero cielo,era immobile e chiusain un torpido sogno,come chi più non soffre.Anche il gelo era dolcedentro il cuore profondo.Tra la vita e la mortela speranza taceva.
Jouw zo lichte pasheeft het verdriet weer geopend.Koud was de aardeonder de schamele hemel,roerloos en geslotenin een verdoofde droom,als wie niet meer lijdt.Ook de vrieskou was zachtin het diepst van het hart.Tussen leven en doodwerd de hoop niet gehoord.
Ora ha una voce e un sangueogni cosa che vive.Ora la terra e il cielosono un brivido forte,la speranza li torce,li sconvolge il mattino,li sommerge il tuo passo,il tuo fiato d’aurora.Sangue di primavera,tutta la terra tremadi un antico tremore.
Nu heeft alles wat leeftweer een stem en een bloed.Nu zijn aarde en hemelhevig in trilling gebracht,ze worden vervormd door de hoop,de ochtend brengt ze in beroering,jouw pas dompelt ze onder,je adem van morgenrood.Bloed van deze lente,de hele aard beeftvan een oeroude beving.
Hai riaperto il dolore.Sei la vita e la morte.Sopra la terra nudasei passata leggeracome rondine o nube,e il torrente del cuoresi è ridestato e irrompee si specchia nel cieloe rispecchia le cosee le cose, nel cielo e nel cuoresoffrono e si contorcononell’attesa di te.È il mattino, è l’aurora,sangue di primavera,tu hai violato la terra.
Je hebt het verdriet weer geopend.Je bent het leven en de dood.Licht ben je voorbij gegaanover de naakte aarde,als een zwaluw of een wolk,en de wilde stroom van het hartis bedaard en dringt binnenen spiegelt zich in de hemelen weerspiegelt de dingen –en de dingen, in de hemel en het hart,lijden pijn en zijn wanhopigterwijl ze wachten op jou.Het is de ochtend, het morgenrood,bloed van deze lente,jij hebt de aarde geschonden.
La speranza si torce, De hoop strijdt met zichzelf,
89 You wind of March, in Verrà la morte e avrà I tuoi occhi, pp. 137-138. You wind of March, in De dood zal komen en jouw ogen hebben, pp. 238-241.
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e ti attende ti chiama.Sei la vita e la morte.Il tuo passo è leggero.
Roept je en wacht op jou.Je bent het leven en de dood.En jouw pas is licht.
25 marzo 1950 25 maart 1950
Come già accennato nei capitoli precedenti, successivamente al periodo letterario
pavesiano caratterizzato dall’influenza della letteratura americana, che comprende anche
le poesie di Lavorare stanca l’autore si volge verso una poesia più classica. I versi
raccolti in Verrà la morte e avrà i tuoi occhi sono liriche d’amore caratterizzate da una
forte nostalgia e da un forte dolore.
Le poesie furono scritte nell’arco di un mese a Torino nella primavera del 1950
(precisamente dall’11 marzo all’11 aprile) per l’attrice Costance Dowling90 e, ritrovate
dopo la morte dello scrittore in una cartella nella scrivania del suo ufficio alla Einaudi,
furono pubblicate postume nel 1951 insieme a La letteratura americana e altri saggi91.
Come ci informa Mariarosa Masoero nella sua nota: Si tratta di
Undici cartelle dattiloscritte con correzioni a inchiostro nero e con l’aggiunta, dello stesso inchiostro e a lapis, di titoli e date autografi, e due manoscritte della poesia Hai un sangue, un respiro, tutte racchiuse in una cartellina color panna con la scritta autografa, a matita blu, «Originali cass. | La terra e la morte | - | Verrà la morte”, segn. od. APIII-8; precede un foglio con la descrizione del materiale e la segnalazione della mancanza, rispetto alle notizie di Calvino, di “f. di Verrà la morte e avrà i tuoi occhi [oggi in FE23 e FE6] | 9 poesie di La terra e la morte [dattiloscritti]»92.
La raccolta inizia e termina con due poesie scritte in inglese – To C. from C. e Last blues
to be read some day – il primo titolo quasi sicuramente è da interpretare come To
Costance from Cesare (A Costance da Cesare); Pavese anche nelle lettere indirizzate
all’attrice del 19 marzo e del 17 aprile 1950 dichiara un’ attitudine che tematicamente si
riallaccia facilmente allo spirito dei testi letterari, dove anche domina uno stato d’animo
particolarmente triste ed angosciato. Queste le parole che Cesare Pavese scrive
all’amata93:
Dearest, | I am no more in a mood to write poems. They came with you and go with you. This one was written some afternoons ago, during the long hours in the hotel I was waiting and hesitating to call you up.
90 Cfr. Mariarosa Masoero, op. cit., in Cesare Pavese, Le Poesie, cit. p. XLII, e Willem van Toor e Pietha de Voogd, Nawoord, in Cesare Pavese, De dood zal komen en jouw ogen hebben, cit., p. 259.91 Cesare Pavese, La letteratura americana e altri saggi, cit.92 Mariarosa Masoero op. cit., in Cesare Pavese, Le Poesie, cit., p. XLII.93 Ivi, pp. XLII-XLIII.
48
Forgive its sadness, but I was also sad with you. | You see, I began with an English poem and end with another. In them is the whole range of what I experienced in this month – l’orrore e la meraviglia of it.94
Questi componimenti in inglese furono tradotti da Calvino e successivamente insieme
alle altre liriche dell’autore vennero inseriti nell’undicesimo volume delle opere di Cesare
Pavese del 1968 insieme alle Poesie del disamore.
Calvino oltre ad aver tradotto queste due liriche ha contribuito, dopo la morte di Pavese, a
far conoscere per la prima volta queste poesie scritte negli ultimi anni di vita dell’autore.
Nella scheda bibliografica (n.10, febbraio 1951) leggiamo:
È questo il primo libro postumo di Cesare Pavese: un libro di versi… il libro raccoglie… tutte le poesie che Pavese ha scritto dopo Lavorare stanca. Sono tutte liriche d’amore, d’una vena nuova nell’opera di Pavese: un canto che scorre lieve tra una nostalgia di gioia e una stretta di dolore95
I versi presi in esame in questo capitolo sono quelli di You wind of March. Il titolo in
inglese supponiamo che non debba addebitarsi all’influenza della letteratura americana,
ma alla presenza di Costance Dowling nella vita di Pavese.
Willem van Toorn e Pietha de Voogd si sono occupati della traduzione nederlandese di
questi versi. Vale qui ricordare che Willem van Toorn, proprio come lo stesso Pavese,
oltre che essere traduttore è anche poeta.
94 Ibidem.95 Ibidem.
49
4.2. Analisi della poesia
La prima scelta da constatare è che van Toorn e de Voogd non hanno tradotto il titolo
della lirica, ma l’hanno lasciato in inglese. In questo modo è visibile anche nella
traduzione che la poesia è dedicata a Costance Dowling.
Analizzando i versi vediamo che Pavese scrive nella seconda persona plurale.
Sei la vita e la morte. Sei venuta di marzo […] il tuo brivido dura. […]
Je bent het leven en de dood. Je bent gekomen uit maart [...] en je rilt nog altijd. [...]
La grammatica italiana prevede il pronome personale sottointeso, mentre quella
nederlandese no, quindi il verso tradotto risulterà più lungo di quello originale. Pertanto a
causa dell’importanza del metro, i traduttori sono spinti a tradurre più liberamente per
provare a ricreare lo stesso tipo di verso in lingua d’arrivo:
Deze verzen dwingen de vertaler een iets grotere vrijheid te nemen, vanwege de belangrijke rol van het metrum96.
Già dal verso II della prima strofa possiamo notare la libertà dei traduttori che hanno reso
il verso “Sei venuta di marzo” come “Je ben t gekomen uit maart”. In nederlandese
questa frase vorrebbe significare “Sei venuta da marzo”, mentre nel verso originale non è
presente il moto da luogo ma semplicemente un riferimento temporale con un
complemento di tempo.
Nel verso IV troviamo ancora un altro cambiamento nella traduzione: “il tuo brivido
dura” viene tradotto come “en je rilt nog altjd”. Qui il cambiamento comprende tutta la
struttura sintattica della frase: mentre nel testo di partenza il soggetto è “il tuo brivido”,
nel testo d’arrivo il soggetto diviene “je” (tu) e “rilt” è il predicato verbale attivo, per cui
ci sembra di constatare che nella traduzione la donna sia molto più presente. Al contrario,
nel verso originale la donna non è presente, ma ne rimane solo una traccia (il brivido);
tale scelta dell’autore è proprio volta ad enfatizzare l’assenza della donna, elemento non
presente nella versione di van Toorn e de Voogd.
Nella traduzione del verso successivo:
96 Cfr. Pietha de Voogd e Willem van Toorn, Nawoord, in De dood zal komen en jouw ogen hebben, cit. p. 259.
50
Sangue di primavera Bloed van deze lente
viene aggiunto l’aggettivo dimostrativo “deze” (questa) non presente nell’originale.
Anche questo verso è quindi reso più lungo. Probabilmente i traduttori l’hanno dovuto
allungare necessariamente per far sì che non risultasse troppo breve rispetto agli altri. Il
verso VI è stato tradotto invece piuttosto letteralmente:
- anemone o nube - - anemoon of wolk -
In questo caso è possibile notare come sia difficile per un traduttore rendere il senso del
testo originale pur rispettandolo alla lettera. In italiano infatti una “nube” è molto diversa
da una “nuvola”: la prima è infatti sempre minacciosa, mentre la seconda può non
esserlo. In questo caso è probabile che Pavese usi volontariamente “nube” e non “nuvola”
elemento minaccioso in contrapposizione ad “anemone” che è un fiore. Se avesse
utilizzato “nuvola”, inoltre il metro si sarebbe allungato. La versione nederlandese
presenta semplicemente “wolk” che non possiede tutto il significato cupo di “nube”; il
compito dei traduttori è stato reso più difficile dalla mancanza in nederlandese di un
termine equivalente o più adeguato.
Nella seconda strofa al verso I troviamo già un’aggiunta nella traduzione di “Il tuo passo
leggero”:
Il tuo passo leggero Jouw zo lichte pas
Anche qui il testo di partenza non presenta il rafforzativo “zo” (così). In caso contrario
sarebbe stato “Il tuo passo così leggero” e nella versione pavesiana troviamo solo “Il tuo
passo leggero”. Anche qui vale probabilmente il discorso metrico: il verso sarebbe
risultato troppo breve se fosse stato tradotto “Jouw lichte pas” soprattutto rispetto ai versi
seguenti.
L’ultimo verso della prima strofa è stato leggermente modificato nella sua versione
nederlandese:
51
Ricomincia il dolore. Opnieuw is er verdriet.
Nel testo di partenza “il dolore” è soggetto ed è più visibile rispetto al testo d’arrivo in
cui è posto alla fine del verso ed il verbo è semplicemente “is er” (c’è). Probabilmente la
scelta è dettata dalla sintassi nederlandese che non prevede una frase come “het verdriet
begint opnieuw” che sarebbe la traduzione letterale del verso. Pietha de Voogd ci informa
inoltre che anche ritmicamente la frase non suona bene97.
Ad aprire la seconda strofa troviamo ancora una volta il verso “Il tuo passo leggero”
tradotto coerentemente da van Toorn e de Voogd con l’identico verso in nederlandese
utilizzato anche per tradurre il verso VII della prima strofa:
Il tuo passo leggero Jouw zo lichte pas
È possibile constatare che il verso seguente, pur non essendo stato cambiato, in
nederlandese risulta molto più lungo del primo: nel testo d’arrivo sono presenti 9 sillabe
mentre in quello di partenza 7.
ha riaperto il dolore. heeft het verdriet weer geopend.
Probabilmente per rendere il verso più breve i traduttori avrebbero potuto utilizzare il
verbo “heropenen” (riaprire). I prefissi come “ri” o “re” (con significato di nuovo) sono
una caratteristica soprattutto delle lingue neolatine, ma in questo caso anche in
nederlandese il prefisso “her” in certi casi ha lo stesso valore.
Nel verso III “Era fredda la terra” i traduttori hanno scelto di cambiare l'ordine sintattico
della frase. La traduzione risulta quindi: “Koud was de aarde” (Fredda era la terra):
Era fredda la terra Koud was de aarde
97 Federica Esposito: «In strofe 1, lijn IX staat in het Nederlands “Opniew is er verdriet”en de brontekts was “Ricomincia il dolore” hoe komt deze vertaling met “is er” kon het niet zijn “Opnieuw begint het verdriet”?»Pietha de Voogd: «Nee, dat is niet fraai in het Nederlands. Combinatie beginnen + verdriet is niet mooi en bovendien is het ritmisch niet mooi. Lees beide zinnen maar hardop.»Queste informazioni mi sono state riferite personalmente da Pietha de Voogd in data 15 gennaio 2008.
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Nella traduzione è più enfatizzata la parola “Koud” dislocata all'inizio della frase il che
dà un suono molto più poetico al verso; qui c’è probabilmente il tocco del Van Toorn
poeta che sceglie di porre l’accento sull’aggettivo “Koud” che richiama la sfera
sensoriale. Pavese non ha infatti scritto “La terra era fredda” che sarebbe la costruzione
formale in italiano, ma ha posto comunque l’accento su “fredda”, scegliendo però di far
precedere il verbo al nome (“Era fredda la terra” e non “Fredda era la terra”), ma questa
traduzione risulta più naturale in nederlandese di “Was koud de aarde”.
Il verso seguente è stato tradotto piuttosto letteralmente e qui Van Toorn e De Voogd
hanno interpretato l’aggettivo “povero” come “misero”. In nederlandese “schamel” va
inteso proprio come “misero” e i traduttori hanno creato anche un’assonanza non presente
nel testo di partenza tra “schamel” ed “hemel”.
Nel verso V van Toorn e de Voogd hanno scelto di tradurre in modo ellittico: il verbo
essere che nell’originale viene ripetuto (“era immobile e chiusa”) nel testo d’arrivo viene
a mancare:
era immobile e chiusa roerloos en gesloten
Gli aggettivi scelti in nederlandese sono molto vicini a quelli utilizzati da Pavese in
italiano: “roerloos” vuol dire proprio “immobile” e “gesloten” “chiuso”. Nel sesto verso
della seconda strofa invece i traduttori hanno dato una sfumatura diversa traducendo
l’aggettivo “torpido” con “verdoofd” che letteralmente vuol dire “frastornato”, “stordito”.
“Torpido” e “frastornato” non sono veri e propri sinonimi: “torpido” vuol dire “Che è
preso dal torpore, che è intorpidito, detto del corpo o di una sua parte.| (est.) Pigro e
tardo, intellettualmente o spiritualmente.”, mentre “frastornato” significa: “Confuso,
stordito.” e “stordito”: “1. Privo di sensi | Intontito | Sbalordito. 2. Sventato,
inconsiderato.”
Come è possibile constatare, c’è una notevole differenza di significato tra l’aggettivo
scelto da Pavese e quello scelto in nederlandese.
Il verso seguente:
come chi più non soffre. als wie niet meer lijdt.
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è stato tradotto fedelmente sia nel suo costrutto che nella scelta del lessico: il verbo
“soffrire” è stato tradotto con l’equivalente nederlandese “lijden”.
Il verso VIII ha messo i traduttori di fronte ad una nuova scelta: l’aggettivo italiano
“dolce” può infatti riferirsi sia ad un sapore che ad una visione, ad un suono o ad un
odore.
In questo caso l’aggettivo è stato reso col nederlandese “zacht” (tenero, morbido) che può
riferirsi ad una qualità tattile o uditiva ma non gustativa.
Anche il gelo era dolce Ook de vrieskou was zacht
Anche al verso IX la scelta è stata quella di cambiare l’ordine del verso conferendovi una
sfumatura diversa:
dentro il cuore profondo. in het diepst van het hart.
Il verso in nederlandese risulta come “nel più profondo del cuore”. Anche qui la scelta è
probabilmente dettata dalla metrica: tradurre più alla lettera con “in het diepe hart” ad
esempio, avrebbe reso il verso troppo breve rispetto ai precedenti.
Una libera traduzione si trova anche agli ultimi due versi della seconda strofa: nel
penultimo sono stati omessi gli articoli determinativi nonostante nel verso I della
traduzione siano stati usati: “Je bent het leven en de dood”:
Tra la vita e la morte Tussen leven en dood
Un altro adattamento linguistico compare all’ultimo verso:
la speranza taceva. werd de hoop niet gehoord.
In nederlandese il verso è divenuto “La speranza non veniva sentita”. È possibile notare
che il significato è del tutto differente: mentre nella versione di Pavese è la speranza a
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tacere, nel testo d’arrivo la speranza “non tace” ma bensì non viene sentita; l’immagine
presente nella versione nederlandese risulta opposta a quella di partenza. La ragione di
tale scelta è anche qui, probabilmente dettata dalla metrica dei versi: in questo modo i
traduttori hanno creato un’assonanza tra “dood” e “gehoord” non presente nell’originale.
Nella terza strofa è possibile notare che i primi due versi sono stati invertiti:
Ora ha una voce e un sangue ogni cosa che vive.
Nu heeft alles wat leeft weer een stem en een bloed.
Letteralmente tradotto il testo d’arrivo risulta: “Adesso ha tutto quello che vive | di nuovo
una voce ed un sangue”. Anche l’aggiunta del “weer” è dettata dalla libertà di van Toorn
e de Voogd: nel testo italiano c’è semplicemente “Ora” all’inizio del primo verso che è
stato tradotto con “Nu”.
Allo stesso modo i due versi successivi sono stati tradotti adattati nel modo seguente:
Ora la terra e il cielo sono un brivido forte,
Nu zijn aarde en hemel hevig in trilling gebracht,
In nederlandese il verso risulta come: Ora sono terra e cielo | pesantemente portate a
rabbrividire. È stato aggiunto il participio passato “gebracht” (portato) e “forte” da
aggettivo diventa avverbio ed è posto all’inizio del quarto verso. Anche l’ausiliare essere
viene anticipato e dal quarto verso passa al terzo; questo spostamento è però dettato dalle
regole grammaticali: il nederlandese nel suo costrutto sintattico (soggetto – verbo –
avverbio) prevede che dopo un avverbio di tempo ci sia un’inversione tra verbo e
soggetto (avverbio – verbo – soggetto).
Nei versi successivi è possibile constatare un’allitterazione in ‘l’ nel testo di Pavese:
la speranza li torce, li sconvolge il mattino, li sommerge il tuo passo, il tuo fiato d’aurora.
ze worden vervormd door de hoop, de ochtend brengt ze in beroering, jouw pas dompelt ze onder, je adem van morgenrood.
Van Toorn e de Voogd nella loro versione nederlandese hanno cercato di ricreare tale
allitterazione attraverso la ripetizione del suono “ze”, “je” e “jouw”:
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Nel testo di partenza Pavese fa uso del verbo “torcere” (“la speranza li torce”). Tale verbo
è stato tradotto come “vervormen” che significa “deformare” con significato leggermente
diverso. Ancora più interessante è constatare che il verbo torcere ricorre spesso nei versi
ed è stato tradotto sempre in maniera diversa.
Nel verso seguente “li sconvolge il mattino” i traduttori hanno aggiunto il verbo
“brengen” (portare) – scelta coerente con il verso IV. Il testo d’arrivo risulta quindi “il
mattino li porta in sconvolgimento”.
Per creare l’allitterazione in ‘j’ van Toorn e de Voogd hanno dovuto cambiare l’ordine
delle frasi e spostare il soggetto all’inizio; mentre nel testo di partenza è posta più enfasi
sul verbo: “li sommerge il tuo passo”, in quello di arrivo l’enfasi viene spostata sul
soggetto “jouw pas dompelt ze onder”. Lo stesso discorso vale per il verso precedente e
quello successivo: “li sconvolge il mattino” (“de ochtend brengt ze in beroering”) e per
“la speranza li torce” (“ze worden vervormd door de hoop”). In nederlandese è andata
persa l’allitterazione in ‘l’ che sarebbe stato possibile riprodurre traducendo “jouw pas” e
“jouw adem”, di conseguenza il climax crescente creato dai tre versi “la speranza li
torce,” | “li sconvolge il mattino,” | “li sommerge il tuo passo,” nella traduzione risulta
meno forte.
Nel verso IX “Sangue di primavera” è stato ancora una volta aggiunto l’aggettivo
dimostrativo “deze” riferito a “lente” come nel verso V della prima strofa. La versione
nederlandese è ancora una volta “Bloed van deze lente”: è stato scelto di aggiungere un
riferimento temporale che Pavese non aveva inserito nella sua poesia. “Sangue di
primavera” non è determinato nel tempo ed è più generico di “Bloed van deze lente”.
Il penultimo verso della terza strofa è tradotto letteralmente sia nella scelta del lessico che
nella costruzione:
tutta la terra trema de hele aard beeft
È possibile però constatare che l’allitterazione in ‘t’ nella traduzione è andata persa.
All’ultimo verso è stata data una sfumatura diversa:
di un antico tremore. van een oeroude beving.
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Benchè il nederlandese possegga l’aggettivo “antiek” che somiglia prosodicamente a
“antico” è stato scelto per la traduzione “oeroud”. “Antico” si riferisce in italiano a
qualcosa di vecchio, ma allo stesso tempo prezioso. Il motivo per cui è stato deciso di
tradurre in questo modo è, come ci informa Pietha de Voogd, che “Antiek” non può
essere riferito a “beving” in quanto si riferisce a concetti come la cultura antica greca e
romana. L’idea che meglio si colloca con “beving” è quella di “ouderheid”, e pertanto è
stato scelto “oeroud” come aggettivo98.
Nel verso I della quarta strofa la traduzione è stata eseguita in modo letterale, ma è
possibile vedere che il verso in nederlandese è allungato dal soggetto “je” espresso e dal
“weer” “geopend” utilizzato per tradurre il verbo italiano “riaperto”:
Hai riaperto il dolore. Je hebt het verdriet weer geopend.
Il verso II presenta la ripetizione del primo verso della lirica che è stato coerentemente
riportato da Van Toorn e De Voogd.
Nei versi III e IV vediamo che è stata fatta un’ulteriore inversione:
Sopra la terra nuda sei passata leggera
Licht ben je voorbij gegaan over de naakte aarde,
Il testo d’arrivo è stato tradotto come “Leggera sei passata | sulla terra nuda”. Ancora una
volta l’accento è posto in maniera diversa nella traduzione. Nella versione nederlandese è
più enfatizzato l’aggettivo “Licht” (leggera), mentre nell’originale di Pavese l’immagine
predominante è quella de “la terra nuda”.
Nel V verso si ripresenta il problema del sostantivo italiano “nube” che è stato ancora una
volta tradotto con “wolk” e nella versione nederlandese viene anche aggiunto l’ articolo
indeterminativo “een” non presente nel testo di partenza:
98 F.E.: «In strofe 3 lijn XI staat het bijvoeglijk naamwoord “antico” die in het Nederlands als “oeroud” is vertaald. Er bestaat ook het bijvoeglijk naamwoord “antiek” waarom werd het niet gebruikt, misschien omdat het een negatieve betekenis heeft in het Nederlands?»P.d.V.: «Integendeel: “antiek” associëren we met mooie, oude meubels of de (Griekse en Romeinse) Oudheid. Dat zijn dus niet de juiste associaties bij ‘beving’, vandaar oeroud».Queste informazioni mi sono state riferite personalmente da Pietha de Voogd in data 15 gennaio 2008.
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come rondine o nube, als een zwaluw of een wolk,
Nel VI verso è stato aggiunto l’aggettivo “wild” (selvaggio) che conferisce una sfumatura
ancora più forte alla traduzione, ma di conseguenza il verso risulta più lungo di quello
originale.
Nel verso VII è possibile notare che i traduttori hanno conferito un senso diverso: mentre
nel testo di partenza è scritto “si è ridestato e irrompe” in quello di arrivo è scritto: “is
bedaard en dringt binnen”. Il verbo nederlandese “bedaren” può essere tradotto con
“calmare”, “ricondurre a calma”, mentre il verbo utilizzato dallo scrittore piemontese
“ridestato” ha significato diverso, vuol dire: “1. Destare di nuovo, SIN. Risvegliare”.
La traduzione dei tre versi successivi è molto vicina all’originale: l’anafora della ‘e’ è
presente anche in nederlandese:
e si specchia nel cielo e rispecchia le cose e le cose, nel cielo e nel cuore
en spiegelt zich in de hemel en weerspiegelt de dingen – en de dingen, in de hemel en in het hart,
È possibile notare però che nel testo d’arrivo è stata aggiunta una virgola alla fine del
decimo verso ed un trattino alla fine del nono.
Il verso XI si riferisce al X, è un suo proseguimento: i verbi “soffrire” e “contorcersi” si
riferiscono a “le cose, nel cielo e nel cuore”. La versione nederlandese presenta un
sostantivo in più: “lijden pijn en zijn wanhopig”, mentre in italiano il “pijn” non è
presente. Pietha de Voogd ci informa che questa scelta è mirata a conferire ritmo e a
creare una rima interna in “ij” tra “lijden”, “pijn” e “zijn”99.
Il verbo “contorcersi” è stato tradotto con “zijn wanhopig” con significato “essere
disperato”. A questo punto è possibile dedurre che in nederlandese non ci sia un
equivalente appropriato per questo verbo in quanto, come già detto, anche nella strofa
precedente il verbo “torcere” è stato tradotto abbastanza liberamente come “vervormen”.
99 F.E.: «Weer in strofe 4 lijn XI in de doeltekst staat “lijden pijn” is dit een persoonlijke keuze om een alliteratie te creëren of komt het van de regels van de Nederlandse grammatica?»P.d.V.: «Een alliteratie is de gelijkheid van de beginklank. Daar is hier dus geen sprake van. Wel van binnenrijm: “lijden pijn”, “zijn”. (Zie voor alliteratie b.v. weer eerste 3 regels van Gente spaesata: “stende”, “slavata”, “sfumata”, DT “vervaagd”, “verkleurd”, “vervloeit”. Plus nog veel meer sc in BT en soortgelijke effecten in DT.)“Soffrire” betekent “lijden” of “pijn lijden”: pijn staat erbij voor het ritme».Queste informazioni mi sono state riferite personalmente da Pietha de Voogd in data 15 gennaio 2008.
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Al verso XII troviamo una parafrasi100 nella traduzione: il verso “nell’attesa di te” è stato
tradotto come “terwijl ze wachten op jou” (mentre aspettano te). La ragione di questa
scelta è probabilmente che in nederlandese non esiste un termine per tradurre
propriamente la parola “attesa” ed inoltre la costruzione alla lettera che potrebbe essere
con “het wachten”, oltre a non avere proprio lo stesso significato di “l’attesa”, sarebbe
innaturale.
Nel verso XIII la copula compare due volte nella versione originale di Pavese e una sola
in quella di van Toorn e de Voogd:
È il mattino, è l’aurora, Het is de ochtend, het morgenrood,
Anche in questo caso il senso del verso viene leggermente cambiato e il climax nella
lingua d’arrivo leggermente smorzato.
Il verso seguente “sangue di primavera” è ancora una ripetizione ed è stato coerentemente
tradotto come nel nono verso della terza strofa.
L’ultimo verso della quarta strofa fa riferimento all’ottavo della prima. L’unico
cambiamento apportato dallo stesso Pavese è che mentre nel primo caso il soggetto era “il
tuo passo leggero” in quest’altro verso il soggetto è “tu” che espresso in italiano
conferisce un tono ancora più marcato. Il verbo sarebbe potuto essere semplicemente
“Hai violato la terra”, ma l’aggiunta voluta di questo “tu” all’inizio del verso lo rafforza
maggiormente.
I traduttori quindi hanno deciso di utilizzare “jij” e non “je” per non tralasciare questa
sfumatura. Inoltre “je” viene utilizzato prevalentemente nel linguaggio parlato o
informale e non in questo caso. Probabilmente avrebbero potuto porre maggiore enfasi
scrivendo il soggetto in corsivo.
La lirica termina con l’ultima strofa visibilmente più breve rispetto alle precedenti.
Nel verso I “la speranza si torce” c’è ancora un riferimento ad un verso precedente: il
quinto della terza strofa “la speranza li torce”; anche qui vediamo però che Pavese ha
deciso di mantenere il metro del verso, ma di cambiarne il significato.
100 Cfr. Andrew Chesterman, op. cit., pp. 254-255.
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Van Toorn e de Voogd si sono trovati ancora una volta a dover affrontare il problema del
verbo “torcere” in nederlandese, questa volta al riflessivo “torcersi”, e hanno tradotto in
modo difforme dal quinto verso della terza strofa: mentre nel primo caso hanno utilizzato
il verbo “vervormen” (deformare), in questo caso hanno eseguito un’altra parafrasi
utilizzando il verbo “strijden” (lottare, combattere). Nel testo d’arrivo il verso è “De hoop
strijdt met zichzelf” il cui significato è diverso da “la speranza si torce”. Pietha de Voogd
ci spiega che non esiste quasi mai un solo modo di tradurre un verbo; spesso in italiano
Pavese ha adoperato delle anafore laddove in nederlandese non è possibile ripetere lo
stesso lemma, pertanto si è provato a far ricorrere più spesso altri elementi nel testo
d’arrivo101.
Nel verso successivo “e ti attende ti chiama” Pavese crea una frase insolita. In italiano
standard si potrebbe scrivere “e ti attende, ti chiama” aggiungendo una virgola oppure “ti
attende e ti chiama” spostando la congiunzione al centro del verso. E la scelta nella
versione nederlandese è stata di cambiare la struttura grammaticale del verso102
utilizzando questo secondo approccio: il verso in lingua d’arrivo risulta: “roept je en
wacht op jou”. La congiunzione è stata spostata al centro del verso.
La ripetizione del “ti” italiano è stata tradotta con due pronomi personali diversi in
nederlandese: “je” e “jou”. Negli ultimi due versi della poesia ci sono due richiami al
primo verso della prima strofa e al primo della seconda. Il penultimo verso è riportato
senza cambiamenti:
Sei la vita e la morte. Je bent het leven en de dood.
101 F.E.: «Het werkwoord “torcere” komt drie keer voor in de brontekst (twee keer “torcere” lijnen V strofe 3 en lijn I strofe 5, en een keer “contorcere” lijn XI strofe 4), en het is altijd op een verschillende manier vertaald, eerst met “vervormen”, daarna met een parafrase (“lijden pijn en zijn wanhopig”) en de laatste keer als “strijden met zichzelf” komt dit omdat er geen echte werkwoord bestaat in het Nederlands dat “torcere” betekent?»P.d.V.: «Natuurlijk bestaan er allerlei vertalingen voor “torcere”. Er bestaat zelden maar één vertaling voor een werkwoord. Indien het enigszins mogelijk is, herhalen we uiteraard het in de BT herhaalde woord ook in de DT . (Zie b.v. het gedicht Gente spaesata: “scabro”).Het kan echter voorkomen dat in het Italiaans 3 keer eenzelfde woord is gebruikt waar dat in het Nederlands niet mogelijk is. Vaak proberen we zoiets te compenseren, dus b.v. een ander woord in de DT herhalen. In het geval van “torcer(si)” ( N.B.: wel en niet reflexief gebruikt) was een herhaling in de DT niet mogelijk. De vertalingen corresponderen met de Italiaanse synoniemen: zie De Mauro: Il dizionario dei sinonimi e contrari».Queste informazioni mi sono state riferite personalmente da Pietha de Voogd in data 15 gennaio 2008.102 Cfr. Andrew Chesterman, op. cit., pp. 247-248.
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mentre all’ultimo Pavese ha aggiunto il verbo essere: “il tuo passo è leggero” invece di
“il tuo passo leggero” della seconda strofa.
I traduttori hanno riportato fedelmente il penultimo verso “Je bent het leven en de dood”
invece all’ultimo hanno aggiunto la congiunzione “en” all’inizio del verso. Il verso nel
testo d’arrivo è differente rispetto a quello della seconda strofa: mentre nel primo caso era
“Jouw zo lichte pas”, nel secondo è “En jouw pas is licht”.
Ciò che è stato rispettato molto fedelmente è invece la lunghezza delle strofe: la prima
conta nove versi sia nella versione originale che in quella tradotta; la seconda undici, la
terza undici, la quarta quindici, e l’ultima quattro.
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Conclusioni
Grazie a questa tesi ho conosciuto un nuovo Pavese, diverso da quello che tutti studiano
alle scuole superiori, ho avuto modo di capire le ragioni che lo hanno spinto a tradurre e a
questo punto mi sembra possibile affermare che esse, soprattutto nel secondo periodo,
sono di interesse personale e non economico.
Mi sono accostata anche alla sua esistenza piena di emozioni, passioni ed eventi
sconvolgenti che mi hanno fatto capire i drammi e la sofferenza che sono spesso alla base
del lavoro di molti letterati ed artisti di fama mondiale, pathos che però consente loro di
produrre opere d’arte di valore universale.
Il mio percorso di traduttrice è stato molto arricchito da questo studio perché mi ha
consentito di approfondire un autore che attraverso l’opera di traduzione di testi
anglosassoni ha in parte modificato il suo modo di scrivere.
In quest’ottica ho scoperto che la freschezza e l’attualità delle sue poesie del primo
periodo, moderne per l’epoca in cui sono state scritte, derivava dalla sua consuetudine
agli autori americani.
In particolare mi ha colpito lo stile discorsivo de I mari del Sud in cui egli sperimenta una
lingua nuova caratterizzata da termini dialettali e con essa sceglie un metro libero che
conferisce al verso un ritmo lungo e cadenzato.
Di You wind of March ho trovato invece interessante lo stile classico ma scarno e
cadenzato malgrado l’assenza di rime e il climax crescente caratterizzato dall’anafora dei
versi “Sei la vita e la morte”, “Sangue di primavera”, “il tuo passo leggero” che in modo
velato comunicano al lettore il tormento di chi li ha scritti.
Nella traduzione nederlandese molto spesso in entrambe le poesie i versi sono stati
ulteriormente allungati a causa del costrutto sintattico diverso in lingua d’arrivo, ma
ciononostante entrambe le traduzioni riescono a mio avviso a comunicare il messaggio
del poeta.
Pavese è stato uno scrittore molto amato dalla generazione del dopoguerra per l’impegno
sociale e l’angoscia esistenziale che caratterizzano sia le sue pagine che la sua vita
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tragicamente conclusa col suicidio, evento preannunciato in qualche modo dalle ultime
poesie dedicate a Constance Dowling in cui l’autore spesso fa riferimento alla morte.
Andando avanti con lo studio ho potuto constatare che sicuramente nel secondo periodo il
piemontese non è stato mosso da interessi di tipo economico nella sua opera di
traduzione, mentre probabilmente all’inizio il suo intento era anche quello di farsi
conoscere nel mondo accademico e letterario.
In tempi successivi, essendosi inserito in questo ambito, è probabile che la sua sia stata
un’opera di divulgazione. Tuttavia fino ad oggi non sono stati affrontati molti studi a
riguardo, cosa straordinaria se consideriamo l’immensa bibliografia pavesiana. Quindi
con questa mia tesi spero di aver contribuito a colmare una lacuna negli studi dell’attività
traduttiva di Pavese che sicuramente ha avuto ripercussione sulla sua multiforme attività
creativa.
Spero che questo lavoro possa anche essere utile a chi voglia in futuro creare dei paralleli
tra l’opera di Pavese traduttore e la sua produzione creativa.
Durante i miei studi di scienza della traduzione ho avuto modo di constatare quanto sia
difficile stabilire se la poesia si possa tradurre o meno, pertanto mi sono concentrata solo
sulle pratiche della traduzione. Inoltre ho privilegiato in queste pagine un approccio
pragmatico, basato sui più moderni studi teorici perché mi ha consentito di armonizzare
pratica e teoria103.
I risultati di questa mia analisi traduttiva mostrano soprattutto come a seconda della
lingua di arrivo il metro del testo di partenza debba variare e le caratteristiche peculiari
della lirica, come le figure retoriche, debbano essere ricreate nel testo d’arrivo. Questo
comporta delle scelte da parte del traduttore che si trova da un lato a dover trasmettere il
messaggio originale, e dall’altro a dover apportare dei cambiamenti per far sì che il testo
abbia anche lo stesso ritmo; ciò spesso avviene attraverso l’utilizzo di strategie quali la
parafrasi o modificando la struttura della frase.
103 Qui mi riferisco ai testi di traduttologia come riportati in bibliografia alla voce: “Saggi di traduttologia”.
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