Come disegnare la nuova scuola
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Come disegnare la nuova scuola? (Pubblicato nel N° 4 de “La Rivista dell’Istruzione” Maggioli Editore Rimini 2014)
Mi è stata posta una serie di domande non facili. Perchè ci devono interessare le architetture scolastiche? E’ possibile che un diverso ambiente scolastico possa migliorare apprendimento e benessere degli allievi? Cosa cambia (o potrebbe cambiare) per chi abita i luoghi-‐scuola? Ci debbono interessare le architetture scolastiche così come ci interessano le architetture per vivere, per lavorare, per curarci, per passare il tempo libero. Nel tempo l’ambiente scolastico è stato pensato e costruito secondo i modelli pedagogici e sociali vigenti. Ma negli ultimi tempi gli stessi modelli si sono replicati senza tener conto delle trasformazioni dell’uomo e della società o sono stati solo formalmente imbellettati contrabbandandoli per innovativi e moderni. Occorre rinnovare il disegno complessivo dei luoghi della scuola perché possano incidere sul miglioramento del rapporto tra chi deve apprendere, chi deve insegnare e la qualità del processo in sé, rendendolo più dinamico e creativo. Occorre adeguare il disegno alla globalizzazione buona, al web, alla possibilità di apprendere ovunque e in ogni tempo. L’uso del verbo disegnare però non è solo metaforico. Si tratta proprio del disegno nella nobile accezione del progetto di un’architettura civile tra le più emblematiche per la città. E sarebbe insieme un disegno architettonico e pedagogico. E’ la città con la sua storia, insieme alla storia dell’educazione che ci suggeriscono come progettare, disegnare e costruire, o meglio scegliere ed “eleggere” spazi nuovi per la scuola. Un approccio pedagogico al disegno di una scuola non può prescindere dall’idea di architettura che si ha di un edificio, della città e dei monumenti civili come il municipio, la chiesa, il teatro. e dell’uso didascalico che se ne facevano. Le premesse architettoniche ideali per concepire un diverso ambiente scolastico da quello che oggi si lega ancora ad una concezione pedagogica ottocentesca ci conduce ad una scuola nella città che deve essere una teoria di spazi pieni di storia e di poesia, senza tempo e destinati all’”errare”. Non più un luogo di “contenzione pedagogica” simile a un carcere o a una caserma come sosteneva in un suo illuminato e critico articolo Giovanni Papini nel 1914.
Liceo classico in un palazzo rinascimentale. Il cortile
Il testo delle ultime ennesime linee guida ministeriali sull’edilizia scolastica spinge a rimpiangere per qualche verso il caposaldo della normativa sull’edilizia scolastica italiana il DI del 1975 mai superato perché mai di fatto applicato in tutti i suoi aspetti, soprattutto quelli dei principi pedagogici e didattici e delle premesse ante litteram per una scuola sempre meno statica, che erano sicuramente apprezzabili mentre ripropone di fatto edifici, aule, laboratori, regole e gerarchie. Diverse sono le linee che mi sento di proporre ricorrendo alle mie idee di innovazione degli spazi della scuola che debbono per loro natura essere diffusi e sparsi per la città. Mi piace citare a tal proposito una nota del Prof. Franco de Anna ad uno dei miei articoli su Education2.0 “La scuola diffusa: provocazione o utopia?” del 25 Gennaio 2012. “1. La prima idea venne ai Gesuiti alla fine del Cinquecento. Collocare l'istruzione entro una "simulazione" di città quali erano i loro Collegi: il Tempio, le stanze, i loggiati, i cortili, una "vita intera" da contenere e regolare. La "città educante" dei Greci diventava "la scuola come città simulata" nella sua specializzazzione formativa. Era una "città aristocratica" ed elitaria (per quanto gli stessi Gesuiti fecero, con la medesima "intuizione pedagogica", esperienze assai più democratiche in alcuni paesi colonizzati dell'America Latina...). forse sarebbe meglio dire "cittadella". 2. L'istruzione di massa della seconda rivoluzione industriale ha costruito la scuola come "fabbrica" dell'istruzione, con un modello sostanzialmente tayloristico: pensate alla nostre aule in fila, alle scansioni temporali, alle sequenze "disciplinari", alle "tassonomie" che regolano l'attività ed il lavoro scolastico. Non pensate a Taylor come un esperto di produzione industriale: si fece le ossa invece nel settore trasporti. Era un esperto in "logistica" diremmo oggi. Molto più vicino a Max Weber che a Ford... E noi abbiamo trasferito il paradigma "amministrativo" nell'organizzazzione "specializzata" della riproduzione del sapere. Ma abbiamo mandato a scuola "tutti" (almeno come intenzione). 3. Il funzionalismo (cattivi allievi lecourbusieriani: che ne dici Campagnoli?) ha creato spazi più o meno assennati per contenere "funzioni", dimenticandosi che dovevano essere "abitati da uomini" (anzi da "cuccioli " di uomo in crescita) non da funzioni (ma non è così in certa nell'edilizia popolare?). E noi continuiamo ad essere preoccupati (è pure necessario..) di indicatori come i mq per alunno e come dimensionare le "classi" o i "laboratori". La sfida nelle parole di Campagnoli è quella di come si costruisce e struttura la "città dell'istruzione" recuperando i Gesuiti e l'esperienza critica della loro "cittadella", destrutturando la "fabbrica" e recuperandone la vocazione produttiva di massa, immaginando un ambiente (spazi, tempi, abitanti e relazioni) che a sua volta reiterpreti nella nostra postmodernità il classico mito della "città come impresa educativa" di cui parla Tucidide. “
Oggi non si può più sopportare la scuola intra moenia. La scuola non è statica ma etimologicamente dinamica nello spazio oltre che nel tempo. Le modalità di fruizione delle informazioni, di apprendimento e di applicazione pratica non sopportano più i limiti di un unico luogo deputato. L’architettura educativa dovrebbe adeguarsi alle nuove esigenze della conoscenza e della crescita delle persone e non può essere la stessa nei secoli. In questo il nostro panorama è desolante, ma non lo sono da meno le esperienze esotiche che noi tendiamo a considerare sempre più verdi come l’erba del vicino. Non è l’ecologia d’assalto o la ipertecnologia che fanno di un edificio o di un sistema di edifici un buon ambiente per l’apprendimento. Da un’ idea di architettura e di scuola che coincidono nasce invece un sogno che potrebbe, anche a breve, diventare una splendida realtà. L’esperienza di un workshop sperimentale internazionale a Liegi nel 2012 mi ha suggerito un modello da imitare per prospettare la scuola del futuro. I discenti si muovevano da un luogo all’altro a seconda delle esigenze di apprendimento: una biblioteca, una chiesa, un laboratorio, un auditorium situati i diverse
parti della città (il centro, il fiume, il parco..) legate per funzione ai differenti learning objects. Nel caso di studenti adulti non era problematica la mobilità da un luogo all’altro durante la giornata come avviene un po’ solo per l’università. Per le scuole di livello base o intermedio sarebbe sufficiente concepire quotidianamente un orario di prossimità con un sistema di trasporto integrato che consentisse di trasferire gli alunni, anche in continuità verticale, (negli stessi luoghi e laboratori studenti dalle elementari alle superiori, a volte anche insieme!) ogni giorno in un posto diverso a seconda delle necessità di apprendimento e di applicazione. Naturalmente la scuola dovrebbe essere riorganizzata in modo estremamente flessibile (di quella flessibilità di cui si parla tai tempi dell’autonomia ma che non è mai veramente esistita )per superare tutte le rigidezze dovute anche ad una normativa disforica sulla sicurezza che assimila tout court i luoghi per l’apprendimento ai luoghi di lavoro con tutte le limitazioni del caso. Ogni luogo pubblico ed anche privato della città (municipio, biblioteca, mediateca, laboratori, università) avrebbe spazi dedicati ed attrezzati per fare scuola consentendo a gruppi di discenti di non fossilizzarsi per ore nello stesso ambito, sempre difronte alla medesima lavagna, allo stesso panorama. Solo un edificio-‐base, che fungesse da manufatto simbolico, una specie di portale di ridotte dimensioni, con l’insegna “Scuola” ubicato in una parte significativa e centrale della città, con servizi amministrativi e luoghi di riunione non specializzati, potrebbe rappresentare la stazione di partenza verso le aule virtuali e reali sparse nel territorio fisico e del web. Sarebbe un primo luogo di rendez vous all’inizio della giornata di studio. Credo si possa cominciare a ragionare su questa idea e aprire un dibattito tra il popolo della scuola e i pedagogisti, gli amministratori e i progettisti. Questa prima vera rete culturale con i suoi nodi simbolici potrebbe estendersi oltre la città fino alle altre realtà urbane ed al territorio tutto estendendo il luogo dell’apprendere ad una teoria di luoghi diversi e qualificati. Il tempo scuola dovrebbe ovviamente essere rimodulato con valenza plurisettimanale lungo tutto l’arco dell’anno, per cancellare la mortificante rigida ripetizione di orari e attività giorno dopo giorno, mese dopo mese. L’edificio–scuola, così come oggi concepito lascerebbe il posto ad una costruzione che funge da ingresso ad una sorta di parco della conoscenza, sostituto innovativo delle aule tradizionali e degli spazi specializzati che, ahimè, oggi ancora altro non sono se non aule diversamente arredate ed attrezzate. Nella visione sopra descritta non avrebbe più senso parlare di specializzazione degli spazi e di compartimentazione. La gestione della rete di spazi scolastici diffusi nella città avrebbe un polo unico amministrativo e direzionale, con gli uffici generali, gli studi per i docenti di ogni ordine e grado, gli spazi e i laboratori comuni a tutti gli ordini di scuole. L’integrazione con la città e con gli altri servizi scolastici di ogni ordine e grado facilita la fruizione in rete di tutte le strutture sportive e ricreative della città senza doverne costruire ad hoc per ogni singola scuola. L’uso di parchi, giardini campus sportivi diviene un momento del tempo scuola diffuso ed integrato nel territorio. I servizi, i materiali, la sicurezza, gli arredi sono quelli delle strutture didattiche che ospitano di volta in volta gli allievi in diversi luogi e tempi della città. Luoghi che in altri tempi possono avere funzioni diverse con utenti diversi ma che sono allestiti e configurati in modo da ospitare attività didattiche per bambini, studenti adolescenti, adulti ma anche attività culturali e ricreative per tutti i cittadini. Trasformiamo ove possibile tutta l’edilizia scolastica esistente in altrettanti poli di questa rete integrata da musei, teatri, biblioteche, parchi, attrezzature sportive, monumenti, municipi. Apriamo gli spazi della scuola verso l’esterno e trasformiamo la città e i territori fisici e virtuali in una unica grande aula senza confini. Sgombriamo il campo dall’equivoco secondo cui esistono solo spazi specializzati per l’apprendimento formale o informale. In realtà tutti gli spazi urbani possono essere destinati all’apprendimento anche istituzionale. Per suggerire come attuare questa idea occorre rispondere alle solite domande.
Chi? Non certamente l’archistar del mercato globale che fa prevalentemente monumenti a sè medesimo in una specie di Hollywood dell’architettura. Non l’architetto in solitaria e nemmeno il solito architetto condotto che progetta di tutto. Serve una personalità di progettista eclettico per formazione, esperto di architettura, storia della città, disegno urbano, arte, educazione e spazi culturali. Serve un mini team multidisciplinare di esperti. In tutto un modulo di non più di 6 persone per un progetto unitario dove ognuno fa la sua parte a tempo pieno integrando pedagogia, architettura, amministrazione, organizzazione e tecnologia e sostenibilità. Questo team dovrebbe essere previsto per legge con tanto di requisiti e di albo ufficiale e dovrebbe replicarsi per ogni intervento di edificio pubblico o privato dedicato all’istruzione e alla cultura, ponendo fine così al “tutti fanno tutto” in genere senza alcuna garanzia di competenza e qualità, come vediamo nel panorama dei disastri quotidiani. Che cosa? Non sarà più un edificio monofunzione. Si torna alla rete dei tempi delle “scholae” ad una concezione di scuole e cultura diffuse nella città e nel paese ma connesse tra loro da una rete di percorsi reali e virtuali. L’unico nuovo edificio da progettare e costruire è il cuore e il cervello di questo nuovo organismo . Quando? Non certo in risposta alle emergenze. La città cresce e si trasforma e i suoi monumenti, compresi i luoghi deputati alla cultura ed alla istruzione, la seguono e si evolvono o vengono sostituiti se necessario. Sempre con stile e con una integrazione poetica tra forma e funzione. Il ricambio dei pezzi di città, compresi i luoghi deputati alla cultura ed all’apprendimento debbono nascere ed evolversi in modo fisiologico e coerente con la storia urbna. Come? L’edificio scolastico dovrebbe essere il paradigma dell’architettura formalmente e funzionalmente sostenibile. L’edificio scolastico oggi in una città dovrebbe rappresentare la il portale ai tanti luoghi dell’apprendere per tutti i cittadini in fase di formazione formale o informale. Dalla scuola dell’infanzia all’università, all’apprendimento permanente, in continuità orizzontale e verticale, in rete. Si impara nei luoghi-‐chiave della città, percorrendo le strade e le piazze che li collegano e li ospitano. Ci si avvia a costruire la scuola diffusa. Dove? Ogni città, in un luogo centrale avrebbe il suo monumento che conduce ai diversi spazi della cultura. La città stessa, in base alla collocazione dei suoi manufatti civili suggerisce dove costruire la sua Scuola. L’iter progettuale e costruttivo di un sistema complesso per la cultura nella città seguirà il motto:“Non scholae sed vitae discimus” Le funzioni fondamentali saranno: la scuola, le biblioteche, i laboratori, il teatro, i musei, gli auditorium, le strade, le piazze, i civici monumenti. Tutte in un unico organismo disteso nella città e oltre. L’edificio di accesso dovrà avere una forma stilisticamente riconoscibile e summa della storia della città rivisitata in chiave moderna. Nessun avventore dovrebbe avere dubbi su fatto di trovarsi difronte a un manufatto per la cultura e l’educazione. E’ già questo un approccio pedagogico. Così, forse, potrebbe finire l’odissea dell’architettura scolastica italiana. Recuperiamo il recuperabile, perchè ancora valido come spazio didattico aperto e funzionale ad un insegnare e apprendere diversi, usiamo ambiti dedicati alla cultura, all’arte ed alla storia per fare scuola. Aboliamo le scuole ad hoc: terribili opifici dove tenere fermi e chiusi tra quattro mura per ore bambini, adolescenti e giovani, mitigati da semplici palliativi
di angusti laboratori e della flessibilità guidata. Un po’ di rinnovamento e soprattutto di fantasia. Mettiamo alla prova i sindaci, gli architetti, i pedagogisti, i docenti i presidi e le famiglie più coraggiosi! Per rendere concrete queste idee basterebbe intanto trasferire tutti i beni di edilizia scolastica esistenti ai Comuni unificando così la tipologia di enti proprietari, dettare dei protocolli non solo tecnici ma anche architettonici nazionali per concepire un nuovo sistema scolastico nelle città che inizi a non specializzare gli spazi ma a tirar fuori da tutti gli spazi e manufatti urbani già esistenti la loro intrinseca potenzialità pedagogica. Non più nuovi edifici e nuove aule ma una rete di luoghi per apprendere in ogni città e paese introdotta da un manufatto (trasformando ad hoc una scuola esistente con poca spesa o costruendo un nuovo edificio) che fa da portale di ingresso e da centro servizi comuni ai diversi gradi di scuole diffuse nel territorio. 16 Giugno 2014 Giuseppe Campagnoli
La scuola diffusa ideale Giuseppe Campagnoli 2014
Scuola media in Recanati. La rampa e il teatro. G.Campagnoli, P.Basilici, S.Tarducci 1977
Scuole in periferia a Berlino 2014
Progetto-‐concorso di modulo aula-‐laboratorio itinerante “Mirror cube” in Strasbourg 2009 Giuseppe Campagnoli e Stanislao Biondo
Bibliografia essenziale Giovanni Papini: “Chiudiamo le scuole”. Vallecchi – Editore, Firenze, 1919 Aldo Rossi. “L’architettura della città” Quodlibet 2011 Milano Adolf Loos. Ornament und Verbrechen (Ornamento e Delitto) Vienna 1910 Giuseppe Campagnoli. “L’architettura della scuola” Franco Angeli editore 2007 Milano “Questione di Stile” Un viaggio dentro l’architettura contemporanea ed una idea di architettura culturale. Researt Editions iTunes Store 2014. In Educationdue.0 Edizioni RCS libri: “La scuola: luogo o non luogo?” 22/4/2011 “La scuola diffusa. Provocazione o utopia” 25/1/2012 “Linee guida per l’edilizia scolastica.Un passo avanti?” 12/6/2013 In La Stampa: “Costruire scuole” 12/10/2010 In Ministero dell’Istruzione Ufficio scolastico regionale per le Marche. Dal “Secondo manifesto della scuola marchigiana”: “Un luogo da amare” Ancona 2010. In “La rivista dell’istruzione” N° 5/2012 Maggioli Editore Rimini. “E se la chiamassimo architettura scolastica?” In “Voci della scuola” 2010 Tecnodid Napoli. “Edilizia scolastica” Giorgio Grassi. “La costruzione logica dell’Architettura” Edizione 2008. Franco Angeli editore Milano Uberto Siola. “Lezioni di architettura urbana” CLEAN 2011. a cura di Visconti F.; Capozzi R. Philip Wilkinson “Juste assez d’architecture pour briller en société Dunod Editeur Paris 2011 Mariagrazia Marcarini “Gli spazi Della scuola: le proposte rivoluzionarie dell’attivismo nell’organizzazione degli spazi educativi e le ricadute successive” Rivista Formazione Lavoro Persona Anno IV Numero 10 2014. Scuola Internazionale di dottorato. Università di Bergamo Marie-‐Hélène Contal, Jana Revedin “Progettare la sostenibilità” Edizioni Ambiente 2009 Milano