Come disegnare la nuova scuola

11
Come disegnare la nuova scuola? (Pubblicato nel N° 4 de “La Rivista dell’Istruzione” Maggioli Editore Rimini 2014) Mi è stata posta una serie di domande non facili. Perchè ci devono interessare le architetture scolastiche? E’ possibile che un diverso ambiente scolastico possa migliorare apprendimento e benessere degli allievi? Cosa cambia (o potrebbe cambiare) per chi abita i luoghiscuola? Ci debbono interessare le architetture scolastiche così come ci interessano le architetture per vivere, per lavorare, per curarci, per passare il tempo libero. Nel tempo l’ambiente scolastico è stato pensato e costruito secondo i modelli pedagogici e sociali vigenti. Ma negli ultimi tempi gli stessi modelli si sono replicati senza tener conto delle trasformazioni dell’uomo e della società o sono stati solo formalmente imbellettati contrabbandandoli per innovativi e moderni. Occorre rinnovare il disegno complessivo dei luoghi della scuola perché possano incidere sul miglioramento del rapporto tra chi deve apprendere, chi deve insegnare e la qualità del processo in sé, rendendolo più dinamico e creativo. Occorre adeguare il disegno alla globalizzazione buona, al web, alla possibilità di apprendere ovunque e in ogni tempo. L’uso del verbo disegnare però non è solo metaforico. Si tratta proprio del disegno nella nobile accezione del progetto di un’architettura civile tra le più emblematiche per la città. E sarebbe insieme un disegno architettonico e pedagogico. E’ la città con la sua storia, insieme alla storia dell’educazione che ci suggeriscono come progettare, disegnare e costruire, o meglio scegliere ed “eleggere” spazi nuovi per la scuola. Un approccio pedagogico al disegno di una scuola non può prescindere dall’idea di architettura che si ha di un edificio, della città e dei monumenti civili come il municipio, la chiesa, il teatro. e dell’uso didascalico che se ne facevano. Le premesse architettoniche ideali per concepire un diverso ambiente scolastico da quello che oggi si lega ancora ad una concezione pedagogica ottocentesca ci conduce ad una scuola nella città che deve essere una teoria di spazi pieni di storia e di poesia, senza tempo e destinati all’”errare”. Non più un luogo di “contenzione pedagogica” simile a un carcere o a una caserma come sosteneva in un suo illuminato e critico articolo Giovanni Papini nel 1914. Liceo classico in un palazzo rinascimentale. Il cortile

Transcript of Come disegnare la nuova scuola

Page 1: Come disegnare la nuova scuola

Come  disegnare  la  nuova  scuola?  (Pubblicato  nel  N°  4  de  “La  Rivista  dell’Istruzione”  Maggioli  Editore  Rimini  2014)  

 Mi  è  stata  posta  una  serie  di  domande  non  facili.  Perchè  ci  devono  interessare  le  architetture  scolastiche?  E’  possibile  che  un  diverso  ambiente  scolastico  possa  migliorare  apprendimento  e  benessere  degli  allievi?  Cosa  cambia  (o  potrebbe  cambiare)  per  chi  abita  i  luoghi-­‐scuola?    Ci  debbono  interessare  le  architetture  scolastiche  così  come  ci  interessano  le  architetture  per  vivere,  per  lavorare,  per  curarci,  per  passare  il  tempo  libero.  Nel  tempo  l’ambiente  scolastico  è  stato  pensato  e  costruito  secondo  i  modelli  pedagogici  e  sociali  vigenti.  Ma  negli  ultimi  tempi  gli   stessi  modelli   si   sono   replicati   senza   tener   conto   delle   trasformazioni   dell’uomo   e   della  società   o   sono   stati   solo   formalmente   imbellettati   contrabbandandoli   per   innovativi     e  moderni.   Occorre   rinnovare   il   disegno   complessivo   dei   luoghi   della   scuola   perché   possano  incidere   sul   miglioramento   del   rapporto   tra   chi   deve   apprendere,   chi   deve   insegnare   e   la  qualità  del  processo   in   sé,   rendendolo  più  dinamico  e   creativo.  Occorre  adeguare   il  disegno  alla  globalizzazione  buona,  al  web,  alla  possibilità  di  apprendere  ovunque  e  in  ogni  tempo.  L’uso   del   verbo   disegnare   però   non   è   solo   metaforico.   Si   tratta   proprio   del   disegno   nella  nobile  accezione  del  progetto  di  un’architettura  civile  tra   le  più  emblematiche  per   la  città.  E  sarebbe  insieme  un  disegno  architettonico  e  pedagogico.  E’   la   città     con   la   sua   storia,   insieme   alla   storia   dell’educazione   che   ci   suggeriscono   come  progettare,  disegnare  e  costruire,  o  meglio  scegliere  ed  “eleggere”  spazi  nuovi  per  la  scuola.  Un   approccio   pedagogico   al   disegno   di   una   scuola   non   può   prescindere   dall’idea   di  architettura   che   si   ha  di   un   edificio,   della   città   e  dei  monumenti   civili   come   il  municipio,   la  chiesa,  il  teatro.  e  dell’uso  didascalico  che  se  ne  facevano.    Le   premesse   architettoniche   ideali   per   concepire   un   diverso   ambiente   scolastico   da   quello  che  oggi  si  lega  ancora  ad  una  concezione  pedagogica  ottocentesca  ci  conduce  ad  una  scuola  nella   città     che   deve   essere   una   teoria   di   spazi   pieni   di   storia   e   di   poesia,   senza   tempo     e  destinati   all’”errare”.  Non  più  un   luogo  di   “contenzione  pedagogica”   simile   a  un   carcere  o   a  una  caserma  come  sosteneva  in  un  suo  illuminato  e  critico  articolo  Giovanni  Papini  nel  1914.      

 Liceo  classico  in  un  palazzo  rinascimentale.  Il    cortile    

Page 2: Come disegnare la nuova scuola

         

Il   testo   delle   ultime     ennesime   linee   guida   ministeriali   sull’edilizia   scolastica   spinge   a  rimpiangere  per  qualche  verso   il   caposaldo  della  normativa  sull’edilizia  scolastica   italiana   il  DI  del  1975  mai  superato  perché  mai  di  fatto  applicato  in  tutti  i  suoi  aspetti,  soprattutto  quelli    dei  principi  pedagogici  e  didattici  e  delle  premesse  ante  litteram  per  una  scuola  sempre  meno  statica,  che  erano  sicuramente  apprezzabili  mentre  ripropone  di  fatto  edifici,  aule,  laboratori,  regole  e  gerarchie.  Diverse  sono  le  linee  che  mi  sento  di  proporre  ricorrendo  alle  mie  idee  di  innovazione  degli  spazi  della  scuola  che  debbono  per  loro  natura  essere    diffusi  e  sparsi  per  la  città.  Mi  piace  citare  a  tal  proposito  una  nota  del  Prof.  Franco  de  Anna  ad  uno  dei  miei  articoli  su  Education2.0  “La  scuola  diffusa:  provocazione  o  utopia?”  del  25  Gennaio  2012.  “1.   La   prima   idea   venne   ai   Gesuiti   alla   fine   del   Cinquecento.   Collocare   l'istruzione   entro   una  "simulazione"  di  città  quali  erano  i  loro  Collegi:  il  Tempio,  le  stanze,  i  loggiati,  i  cortili,  una  "vita  intera"  da   contenere   e   regolare.   La   "città   educante"  dei  Greci   diventava   "la   scuola   come   città  simulata"   nella   sua   specializzazzione   formativa.   Era   una   "città   aristocratica"   ed   elitaria   (per  quanto  gli   stessi  Gesuiti   fecero,   con  la  medesima   "intuizione  pedagogica",   esperienze  assai   più  democratiche   in   alcuni   paesi   colonizzati   dell'America   Latina...).   forse   sarebbe   meglio   dire  "cittadella".    2.  L'istruzione  di  massa  della  seconda  rivoluzione  industriale  ha  costruito  la  scuola  come  "fabbrica"  dell'istruzione,  con  un  modello  sostanzialmente  tayloristico:  pensate  alla  nostre  aule  in  fila,  alle  scansioni  temporali,  alle  sequenze  "disciplinari",  alle  "tassonomie"  che  regolano  l'attività  ed  il  lavoro  scolastico.  Non  pensate  a  Taylor  come  un  esperto  di  produzione  industriale:  si  fece  le  ossa  invece  nel  settore  trasporti.  Era  un  esperto  in  "logistica"  diremmo  oggi.  Molto  più  vicino   a   Max   Weber   che   a   Ford...   E   noi   abbiamo   trasferito   il   paradigma   "amministrativo"  nell'organizzazzione   "specializzata"   della   riproduzione   del   sapere.   Ma   abbiamo   mandato   a  scuola  "tutti"  (almeno  come  intenzione).  3.  Il  funzionalismo  (cattivi  allievi  lecourbusieriani:  che  ne   dici   Campagnoli?)   ha   creato   spazi   più   o   meno   assennati   per   contenere   "funzioni",  dimenticandosi  che  dovevano  essere  "abitati  da  uomini"  (anzi  da  "cuccioli  "  di  uomo  in  crescita)  non   da   funzioni   (ma   non   è   così   in   certa   nell'edilizia   popolare?).  E   noi     continuiamo   ad   essere  preoccupati   (è   pure  necessario..)   di   indicatori   come   i   mq   per   alunno   e   come   dimensionare   le  "classi"   o   i   "laboratori".  La   sfida   nelle   parole   di   Campagnoli   è   quella   di   come   si   costruisce   e  struttura   la   "città   dell'istruzione"   recuperando   i   Gesuiti   e   l'esperienza   critica    della   loro  "cittadella",   destrutturando   la   "fabbrica"   e   recuperandone   la   vocazione   produttiva   di   massa,  immaginando  un  ambiente   (spazi,   tempi,  abitanti  e   relazioni)  che  a   sua  volta  reiterpreti  nella  nostra   postmodernità   il   classico   mito   della   "città   come   impresa   educativa"   di   cui   parla  Tucidide.  “      

Oggi   non   si   può   più   sopportare   la   scuola   intra  moenia.   La   scuola   non   è   statica   ma  etimologicamente   dinamica   nello   spazio   oltre   che   nel   tempo.   Le  modalità   di   fruizione   delle  informazioni,   di   apprendimento   e   di   applicazione   pratica   non   sopportano   più   i   limiti   di   un  unico   luogo  deputato.  L’architettura  educativa  dovrebbe  adeguarsi  alle  nuove  esigenze  della  conoscenza   e   della   crescita   delle   persone   e   non  può   essere   la   stessa  nei   secoli.   In   questo   il  nostro   panorama   è   desolante,   ma   non   lo   sono   da   meno   le   esperienze   esotiche   che   noi  tendiamo  a  considerare  sempre  più  verdi  come  l’erba  del  vicino.  Non  è  l’ecologia  d’assalto  o  la  ipertecnologia   che   fanno   di   un   edificio   o   di   un   sistema   di   edifici   un   buon   ambiente   per  l’apprendimento.  Da  un’   idea  di   architettura   e  di   scuola   che   coincidono  nasce   invece  un   sogno   che  potrebbe,  anche   a   breve,   diventare   una   splendida   realtà.   L’esperienza   di   un   workshop   sperimentale  internazionale   a   Liegi   nel   2012   mi   ha   suggerito   un   modello   da   imitare   per   prospettare   la  scuola   del   futuro.   I   discenti   si  muovevano   da   un   luogo   all’altro   a   seconda   delle   esigenze   di  apprendimento:   una   biblioteca,   una   chiesa,   un   laboratorio,   un   auditorium   situati   i   diverse  

Page 3: Come disegnare la nuova scuola

parti  della  città  (il  centro,  il  fiume,  il  parco..)  legate  per  funzione  ai    differenti  learning  objects.  Nel  caso  di   studenti  adulti  non  era  problematica   la  mobilità  da  un   luogo  all’altro  durante   la  giornata  come  avviene  un  po’  solo  per  l’università.  Per   le  scuole  di   livello  base  o  intermedio  sarebbe   sufficiente   concepire   quotidianamente   un   orario   di   prossimità   con   un   sistema   di  trasporto  integrato  che  consentisse  di  trasferire  gli  alunni,  anche  in  continuità  verticale,  (negli  stessi  luoghi  e  laboratori  studenti  dalle  elementari  alle  superiori,  a  volte  anche  insieme!)  ogni  giorno  in  un  posto  diverso  a  seconda  delle  necessità  di  apprendimento  e  di  applicazione.    Naturalmente   la   scuola   dovrebbe   essere   riorganizzata   in  modo   estremamente   flessibile   (di  quella  flessibilità  di  cui  si  parla  tai  tempi  dell’autonomia  ma  che  non  è  mai  veramente  esistita  )per  superare  tutte  le  rigidezze  dovute  anche  ad  una  normativa  disforica  sulla  sicurezza  che  assimila  tout  court  i  luoghi  per  l’apprendimento  ai  luoghi  di  lavoro  con  tutte  le  limitazioni  del  caso.    Ogni  luogo  pubblico  ed  anche  privato  della  città  (municipio,  biblioteca,  mediateca,  laboratori,  università)   avrebbe     spazi   dedicati   ed   attrezzati   per   fare   scuola   consentendo   a   gruppi   di  discenti   di   non   fossilizzarsi   per   ore   nello   stesso   ambito,   sempre   difronte   alla   medesima  lavagna,  allo  stesso  panorama.  Solo  un  edificio-­‐base,  che  fungesse  da  manufatto  simbolico,  una  specie  di  portale  di  ridotte  dimensioni,  con  l’insegna  “Scuola”  ubicato  in  una  parte  significativa  e   centrale   della   città,     con   servizi   amministrativi   e   luoghi   di   riunione   non   specializzati,  potrebbe   rappresentare   la   stazione   di   partenza   verso   le   aule   virtuali   e   reali   sparse   nel  territorio   fisico  e  del  web.  Sarebbe  un  primo   luogo  di  rendez  vous  all’inizio  della  giornata  di  studio.  Credo  si  possa  cominciare  a  ragionare  su  questa  idea  e  aprire  un  dibattito  tra  il  popolo  della  scuola  e  i  pedagogisti,  gli  amministratori  e  i  progettisti.  Questa  prima  vera   rete   culturale   con   i   suoi  nodi   simbolici  potrebbe  estendersi  oltre   la   città  fino  alle  altre  realtà  urbane  ed  al  territorio  tutto  estendendo  il  luogo  dell’apprendere  ad  una  teoria  di  luoghi  diversi  e  qualificati.    Il  tempo  scuola  dovrebbe  ovviamente  essere  rimodulato  con  valenza  plurisettimanale  lungo  tutto  l’arco  dell’anno,  per  cancellare  la  mortificante  rigida  ripetizione   di   orari   e   attività   giorno   dopo   giorno,   mese   dopo   mese.   L’edificio–scuola,   così  come  oggi  concepito  lascerebbe  il  posto  ad  una  costruzione  che  funge  da  ingresso  ad  una  sorta  di   parco   della   conoscenza,   sostituto   innovativo     delle   aule   tradizionali   e   degli   spazi  specializzati   che,   ahimè,   oggi   ancora   altro   non   sono   se   non   aule   diversamente   arredate   ed  attrezzate.  Nella  visione  sopra  descritta  non  avrebbe  più  senso  parlare  di  specializzazione  degli  spazi  e  di  compartimentazione.   La   gestione   della   rete   di   spazi   scolastici   diffusi   nella   città   avrebbe   un  polo  unico  amministrativo  e  direzionale,  con  gli  uffici  generali,  gli  studi  per  i  docenti  di  ogni  ordine  e  grado,  gli  spazi  e  i  laboratori  comuni  a  tutti  gli  ordini  di  scuole.  L’integrazione  con  la  città  e  con  gli  altri  servizi  scolastici  di  ogni  ordine  e  grado  facilita  la  fruizione  in  rete  di  tutte  le  strutture   sportive   e   ricreative   della   città   senza   doverne   costruire   ad   hoc   per   ogni   singola  scuola.  L’uso  di  parchi,  giardini  campus  sportivi  diviene  un  momento  del  tempo  scuola  diffuso    ed   integrato   nel   territorio.   I   servizi,   i   materiali,   la   sicurezza,   gli   arredi   sono   quelli   delle  strutture  didattiche  che  ospitano  di  volta  in  volta  gli  allievi  in  diversi  luogi  e  tempi  della  città.  Luoghi   che   in   altri   tempi   possono   avere   funzioni   diverse   con   utenti   diversi   ma   che   sono  allestiti  e  configurati  in  modo  da  ospitare  attività  didattiche  per  bambini,  studenti  adolescenti,  adulti  ma  anche  attività  culturali  e  ricreative  per  tutti  i  cittadini.  Trasformiamo  ove  possibile  tutta  l’edilizia  scolastica  esistente  in  altrettanti  poli  di  questa  rete  integrata   da   musei,   teatri,   biblioteche,   parchi,   attrezzature   sportive,   monumenti,   municipi.  Apriamo   gli   spazi   della   scuola   verso   l’esterno   e   trasformiamo   la   città   e   i   territori   fisici   e  virtuali   in  una  unica  grande  aula  senza  confini.  Sgombriamo  il  campo  dall’equivoco  secondo  cui  esistono  solo  spazi  specializzati  per  l’apprendimento  formale  o  informale.  In  realtà  tutti  gli  spazi  urbani  possono  essere  destinati  all’apprendimento  anche  istituzionale.    Per  suggerire  come  attuare  questa  idea  occorre  rispondere  alle  solite  domande.  

Page 4: Come disegnare la nuova scuola

Chi?  Non   certamente     l’archistar   del   mercato   globale   che   fa   prevalentemente   monumenti   a   sè  medesimo   in   una   specie   di   Hollywood   dell’architettura.   Non   l’architetto   in   solitaria   e  nemmeno   il   solito   architetto   condotto   che   progetta   di   tutto.   Serve   una   personalità   di  progettista  eclettico  per  formazione,  esperto  di  architettura,  storia  della  città,  disegno  urbano,  arte,  educazione  e  spazi  culturali.  Serve  un  mini   team  multidisciplinare  di  esperti.   In   tutto  un  modulo  di  non  più  di  6  persone  per  un    progetto  unitario  dove  ognuno   fa   la  sua  parte  a   tempo  pieno   integrando  pedagogia,  architettura,   amministrazione,   organizzazione   e   tecnologia   e   sostenibilità.   Questo   team  dovrebbe   essere   previsto   per   legge   con   tanto   di   requisiti   e   di   albo   ufficiale   e     dovrebbe  replicarsi   per   ogni   intervento   di   edificio   pubblico   o   privato   dedicato   all’istruzione   e   alla  cultura,  ponendo  fine  così  al  “tutti  fanno  tutto”  in  genere  senza  alcuna  garanzia  di  competenza  e  qualità,  come  vediamo  nel  panorama  dei  disastri  quotidiani.    Che  cosa?  Non   sarà   più   un   edificio  monofunzione.   Si   torna   alla   rete   dei   tempi   delle   “scholae”   ad   una  concezione  di  scuole  e  cultura  diffuse  nella  città  e  nel  paese  ma  connesse  tra  loro  da  una  rete  di   percorsi   reali   e   virtuali.   L’unico   nuovo   edificio   da   progettare   e   costruire   è   il   cuore   e   il  cervello  di  questo  nuovo  organismo  .    Quando?  Non   certo   in   risposta   alle   emergenze.   La   città   cresce   e   si   trasforma   e   i   suoi   monumenti,  compresi  i  luoghi  deputati  alla  cultura  ed  alla  istruzione,  la  seguono  e  si  evolvono  o  vengono  sostituiti  se  necessario.  Sempre  con  stile  e  con  una  integrazione  poetica  tra  forma  e  funzione.  Il   ricambio   dei   pezzi   di   città,   compresi   i   luoghi   deputati   alla   cultura   ed   all’apprendimento  debbono  nascere  ed  evolversi  in  modo  fisiologico  e  coerente  con  la  storia  urbna.    Come?  L’edificio   scolastico   dovrebbe   essere   il   paradigma   dell’architettura   formalmente   e  funzionalmente  sostenibile.  L’edificio  scolastico  oggi  in  una  città  dovrebbe  rappresentare  la  il  portale   ai   tanti   luoghi   dell’apprendere   per   tutti   i   cittadini   in   fase   di   formazione   formale   o  informale.   Dalla   scuola   dell’infanzia   all’università,   all’apprendimento   permanente,   in  continuità  orizzontale  e  verticale,  in  rete.  Si  impara  nei  luoghi-­‐chiave  della  città,  percorrendo  le  strade  e  le  piazze  che  li  collegano  e  li  ospitano.  Ci  si  avvia  a  costruire  la  scuola  diffusa.    Dove?  Ogni  città,  in  un  luogo  centrale  avrebbe  il  suo  monumento  che  conduce  ai  diversi  spazi  della  cultura.   La   città   stessa,   in   base   alla   collocazione   dei   suoi   manufatti   civili   suggerisce   dove  costruire  la  sua  Scuola.  L’iter  progettuale  e  costruttivo  di  un  sistema  complesso  per  la  cultura  nella  città  seguirà  il  motto:“Non  scholae  sed  vitae  discimus”    Le   funzioni   fondamentali  saranno:   la  scuola,   le  biblioteche,   i   laboratori,   il   teatro,   i  musei,  gli  auditorium,  le  strade,  le  piazze,  i  civici  monumenti.  Tutte  in  un  unico  organismo  disteso  nella  città  e  oltre.  L’edificio  di  accesso  dovrà  avere  una  forma  stilisticamente  riconoscibile  e  summa  della  storia  della  città  rivisitata   in  chiave  moderna.  Nessun  avventore  dovrebbe  avere  dubbi  su   fatto   di   trovarsi   difronte   a   un  manufatto   per   la   cultura   e   l’educazione.   E’   già   questo   un  approccio   pedagogico.     Così,   forse,   potrebbe   finire   l’odissea   dell’architettura   scolastica  italiana.   Recuperiamo   il   recuperabile,   perchè   ancora   valido   come   spazio   didattico   aperto   e  funzionale  ad  un  insegnare  e  apprendere  diversi,  usiamo  ambiti  dedicati  alla  cultura,  all’arte  ed  alla  storia  per  fare  scuola.  Aboliamo  le  scuole  ad  hoc:  terribili  opifici  dove  tenere  fermi  e  chiusi  tra  quattro  mura  per  ore  bambini,  adolescenti  e  giovani,  mitigati  da  semplici  palliativi  

Page 5: Come disegnare la nuova scuola

di   angusti   laboratori   e   della   flessibilità   guidata.   Un   po’   di   rinnovamento   e   soprattutto   di  fantasia.   Mettiamo   alla   prova   i   sindaci,   gli   architetti,   i   pedagogisti,   i   docenti   i   presidi   e   le  famiglie  più  coraggiosi!  Per  rendere  concrete  queste  idee  basterebbe  intanto  trasferire  tutti  i  beni  di  edilizia  scolastica  esistenti  ai  Comuni  unificando  così   la   tipologia  di  enti  proprietari,  dettare   dei   protocolli   non   solo   tecnici   ma   anche   architettonici   nazionali   per   concepire   un  nuovo  sistema  scolastico  nelle  città  che  inizi  a  non  specializzare  gli  spazi  ma  a  tirar  fuori  da  tutti  gli  spazi  e  manufatti  urbani  già  esistenti   la   loro  intrinseca  potenzialità  pedagogica.  Non  più   nuovi   edifici   e   nuove   aule  ma   una   rete   di   luoghi   per   apprendere   in   ogni   città   e   paese  introdotta   da   un   manufatto   (trasformando   ad   hoc   una   scuola   esistente   con   poca   spesa   o  costruendo   un   nuovo   edificio)   che   fa   da   portale   di   ingresso   e   da   centro   servizi   comuni   ai  diversi  gradi  di  scuole  diffuse  nel  territorio.    16  Giugno  2014    Giuseppe  Campagnoli                                                            

Page 6: Come disegnare la nuova scuola

                         

 La  scuola  diffusa  ideale  Giuseppe  Campagnoli  2014                          

Page 7: Come disegnare la nuova scuola

 Scuola  media  in  Recanati.  La  rampa  e  il  teatro.  G.Campagnoli,  P.Basilici,  S.Tarducci  1977        

           

 

Page 8: Come disegnare la nuova scuola

   Scuole  in  periferia  a  Berlino  2014    

   

           

Page 9: Come disegnare la nuova scuola

Progetto-­‐concorso    di  modulo  aula-­‐laboratorio  itinerante  “Mirror  cube”  in  Strasbourg  2009  Giuseppe  Campagnoli  e  Stanislao  Biondo        

                                             

Page 10: Come disegnare la nuova scuola

Bibliografia  essenziale    Giovanni  Papini:  “Chiudiamo  le  scuole”.  Vallecchi  –  Editore,  Firenze,  1919    Aldo  Rossi.  “L’architettura  della  città”    Quodlibet  2011  Milano    Adolf  Loos.  Ornament  und  Verbrechen  (Ornamento  e  Delitto)  Vienna  1910      Giuseppe  Campagnoli.    “L’architettura  della  scuola”  Franco  Angeli  editore  2007  Milano    “Questione  di  Stile”  Un  viaggio  dentro  l’architettura  contemporanea          ed  una  idea  di  architettura  culturale.  Researt    Editions    iTunes  Store  2014.    In  Educationdue.0  Edizioni  RCS  libri:  “La  scuola:  luogo  o  non  luogo?”  22/4/2011  “La  scuola  diffusa.  Provocazione  o  utopia”  25/1/2012  “Linee  guida  per  l’edilizia  scolastica.Un  passo  avanti?”    12/6/2013  In  La  Stampa:  “Costruire  scuole”    12/10/2010  In   Ministero   dell’Istruzione   Ufficio   scolastico   regionale   per   le   Marche.   Dal   “Secondo  manifesto  della  scuola  marchigiana”:  “Un  luogo  da  amare”  Ancona  2010.  In   “La   rivista   dell’istruzione”   N°   5/2012   Maggioli   Editore   Rimini.   “E   se   la   chiamassimo  architettura  scolastica?”  In  “Voci  della  scuola”  2010  Tecnodid  Napoli.  “Edilizia  scolastica”    Giorgio  Grassi.  “La  costruzione  logica  dell’Architettura”  Edizione  2008.  Franco  Angeli  editore  Milano    Uberto  Siola.  “Lezioni  di  architettura  urbana”  CLEAN  2011.  a  cura  di  Visconti  F.;  Capozzi  R.    Philip  Wilkinson   “Juste   assez   d’architecture   pour   briller   en   société       Dunod   Editeur   Paris  2011    Mariagrazia   Marcarini   “Gli   spazi   Della   scuola:   le   proposte   rivoluzionarie   dell’attivismo  nell’organizzazione  degli  spazi  educativi  e  le  ricadute  successive”    Rivista  Formazione  Lavoro  Persona  Anno  IV  Numero  10  2014.    Scuola  Internazionale  di  dottorato.  Università  di  Bergamo    Marie-­‐Hélène   Contal,   Jana   Revedin     “Progettare   la   sostenibilità”   Edizioni  Ambiente   2009  Milano                          

Page 11: Come disegnare la nuova scuola