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AGROBIODIVERSITÀ E PRODUZIONI DI QUALITÀ IN BASILICATA a cura di Maria Assunta D’oronzio e Milena Verrascina INEA 2012

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ISBN 978-88-8145-322-1VOLUME NON IN VENDITA

collana PUBBLICAZIONI REGIONALI. Quaderni AGROBIODIVERSITÀ E PRODUZIONI DI QUALITÀ IN BASILICATA

a cura di Maria Assunta D’oronzio e Milena Verrascina

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Le attività delle Sedi Regionali dell’Istituto sono molteplici, dall’assistenza alle Regioni e agli altri enti locali, in particolare per l’attuazione, il monitoraggio e la valutazione delle politiche comunitarie (interventi strutturali, di mercato, sviluppo rurale, ecc.), per la produzione di fonti informative originali sul funzionamento delle imprese agricole (RICA) e sulle dinamiche di im-portanti fenomeni che investono il settore primario: irrigazione, foreste, immigrati, mercato fondiario, filiere agroalimentari, produzioni di qualità e biologiche, ecc. Ma una componente di rilievo è rappresentata anche dalle attività di ricerca che le sedi regionali assicurano per la realizzazione di indagini condotte dalla sede nazionale dell’Ente e dalle collaborazioni attivate in partnership con il mondo della ricerca nazionale e internazionale.La produzione tecnica e scientifica delle Sedi Regionali spazia dai rapporti finalizzati alle esi-genze di supporto alle decisioni delle istituzioni locali ai quaderni divulgativi sul sistema della conoscenza in agricoltura e sulla evoluzione e gli scenari di sviluppo agricolo e rurale. Le com-petenze e le esperienze accumulate in molte sedi consentono anche di sviluppare autonome attività di studio e di ricerca mirate a fornire contributi metodologici e un avanzamento delle conoscenze.

INEA 2012

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ISTITUTO NAZIONALE DI ECONOMIA AGRARIA

Agrobiodiversità e produzioni di qualità in Basilicata

a cura di Maria Assunta D’Oronzio e Milena Verrascina

INEA 2012

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Il presente documento è stato elaborato dall’INEA nell’ambito del progetto “Attività di studio e di supporto metodologico per la realizzazione della Progettazione Integrata e del Program-ma di Sviluppo Rurale della Regione Basilicata 2007/2013”.

Responsabile progetto: Maria Assunta D’Oronzio e Carmela De Vivo.

La segreteria del progetto è stata curata da Anna Romaniello.

Per l’impostazione e la progettazione dello studio ha operato il seguente gruppo di lavoro:

Maria Assunta D’Oronzio (INEA), Gerardo Delfino (INEA), Sabrina Giuca (INEA), Milena Ver-rascina (INEA), Mara Loperfido (collaboratore INEA)

La revisione del testo è stata curata da Maria Assunta D’Oronzio e Milena Verrascina.

I contributi al testo sono di:

Lo scenario di riferimento: Maria Assunta D’Oronzio

Capitolo I: Sabrina Giuca

Capitolo II: Milena Verrascina

Capitolo III: Carmela De Vivo

Capitolo IV: Mara Loperfido

Segreteria di redazione: Roberta Capretti

Coordinamento editoriale: Benedetto Venuto

Impaginazione grafica: Ufficio Grafico INEA (Barone, Cesarini, Lapiana, Mannozzi)

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IndIce

Prefazione

Prodotti di qualità: lo scenario di riferimento 5

capitolo 1

I prodotti agroalimentari tipici 13

1.1 La tipicità dei prodotti agroalimentari 13

1.2 I prodotti tipici certificati DOP e IGP 18

1.2.1 I Prodotti DOP/IGP in Basilicata 22

1.2.2 I vini di qualità e i vini a indicazione geografica tipica 24

1.3 I Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) 25

1.4 I prodotti tipici a marchio collettivo 28

capitolo 2

Territorio, prodotti, qualità e agrobiodiversità 33

2.1 L’agrobiodiversità: patrimonio delle risorse genetiche vegetali e animali di un territorio 33

2.2 La biodiversità agraria e la politica di Sviluppo rurale 35

2.3 Le tipicità lucane: conservazione dell’agrobiodiversità, tradizione, valorizzazione del territorio 37

2.4 Tutela della biodiversità agraria e sviluppo produzioni tipiche di qualità: alcuni esempi regionali 38

capitolo 3

Politiche e produzioni di qualità in Basilicata 43

3.1 Le politiche regionali di valorizzazione delle produzioni locali 43

3.2 Progetti territoriali per promuovere e valorizzare la tipicità 45

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capitolo 4

I prodotti di qualità in Basilicata: storia, identità, tradizione e sviluppo 51

4.1 Qualità e tipicità nel contesto lucano 51

4.2 I prodotti ortofrutticoli DOP/IGP della Regione Basilicata 54

4.3 Formaggi DOP/IGP della Regione Basilicata 104

4.4 “Pane di Matera” IGP

4.5 Olio extravergine di oliva "Vulture" DOP 156

4.6 I vini a Denominazione di Origine Controllata della Regione Basilicata 169

Bibliografia 229

Sitografia 235

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PrefazIone

I prodotti tipici e tradizionali della Basilicata rappresentano una vera ric-chezza storica e culturale regionale, con un’identità ben specifica che trae origine dalle caratterizzazione del “sistema locale” in termini di ambiente, tradizioni, co-noscenze e competenze. Spesso tali prodotti danno vita a piccole realtà artigianali locali che, attraverso lavorazioni e metodiche particolari, aggiungono alla biodiver-sità agraria un’ulteriore esaltazione del prodotto locale. La riscoperta di tali produ-zioni, accompagnata da politiche comunitarie, nazionali e regionali, ha consentito ai territori e alla collettività di recuperare e riappropriarsi della propria identità culturale e contemporaneamente di consolidare e, in alcuni casi, di creare un nuovo segmento di mercato, che richiede tali produzioni.

La normativa sulle denominazioni di origine ha consentito la diversificazione dei processi e dei prodotti in particolare per le produzioni agro-alimentari medi-terranee, caratterizzate da vocazionalità del territorio, tradizionalità dei saperi e artigianalità delle tecniche ed ha portato ad una presa di coscienza degli operatori ed una maggiore conoscenza da parte dei consumatori della qualità di un prodotto.

Grazie a tale normativa i produttori possono beneficiare di una maggiore re-muneratività ed ai consumatori è assicurata una maggiore qualità nutrizionale che consenta di disporre effettivamente di un prodotto sano, salubre e genuino.

Oggi siamo di fronte ad un incremento del numero dei prodotti DOP/IGP e all’aumento del valore e delle quantità prodotte, nonché della domanda sia a livello nazionale, per il consumo domestico, sia a livello estero.

L’Italia si distingue a livello europeo per numero di prodotti DOP/IGP, con denominazioni di alta reputazione a livello internazionale, anche se la produzione complessiva dei prodotti certificati continua ad essere trainata da appena il 7% dei prodotti che hanno ottenuto il riconoscimento comunitario. Il paniere lucano dei prodotti a denominazione di origine, sono otto: il Canestrato di Moliterno IGP, il Fagiolo di Sarconi IGP, la Melanzana Rossa di Rotonda DOP, il Pane di Matera IGP, il Pecorino di Filiano DOP, i Fagioli Bianchi di Rotonda DOP, il Peperone di Senise IGP, nonché il Caciocavallo Silano DOP, che incidono sul poco più del 3% del paniere nazionale. L’Olio extra-vergine di oliva Vulture DOP, che potenzialmente ha maggiori quantitativi, ai sensi dell’art. 5 del regolamento (CE) n. 510/06 resta in

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protezione transitoria in attesa della iscrizione nel registro ufficiale europeo delle DOP/IGP.

Nel 2009, in Basilicata la superficie agricola investita a prodotti certificati è quasi triplicata rispetto al 2008 ed interessa oltre 166 ettari, ma ciò non ha com-portato un proporzionale incremento del fatturato e tra le possibili cause sicura-mente l’eccessiva frammentazione dell’offerta che inficia adeguati comportamenti di business. La filiera regionale di qualità DOP/IGP coinvolge 95 strutture produttive sia di produzione (74%) che di trasformazione (26%). Il fatturato alla produzione delle DOP e IGP lucane è stimato in 2,1 milioni di euro nel 2008 (ISMEA, 2010) dato sicuramente da non sottovalutare e sottostimare in considerazione che il paniere della Basilicata si compone di pochi prodotti e che si registra una resistenza dei produttori alla vendita delle proprie produzioni con il marchio aziendale o collettivo.

La situazione delle produzioni di qualità regionale è differenziata, a seconda del comparto, e se in alcuni casi la fama dei prodotti ha valicato il confine regionale e nazionale per altri il lavoro è ancora lungo. Una politica regionale che valorizza le produzioni di qualità, conservando le agro biodiversità, è necessaria per rendere le nostre aziende più competitive. In questo caso un ruolo centrale per lo sviluppo delle aziende, delle produzione e dei territori è rappresentato dai Consorzi di tutela e di valorizzazione in quanto costituiti da soggetti direttamente coinvolti nella filie-ra produttiva, con un’esperienza specifica ed una conoscenza approfondita delle caratteristiche del prodotto, che possono garantire e sostenere o sviluppo delle denominazioni d’origine e delle indicazioni geografiche.

Dr.ssa Vilma MazzoccoAssessore Dipartimento Agricoltura, Sviluppo Rurale, Economia Montana

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Prodotti di qualità: lo scenario di riferimento

L’Italia è il primo Paese europeo per numero di prodotti a Denominazione d’Origine Protetta (DOP), Indicazione Geografica Protetta (IGP) e Specialità Tradi-zionale Garantita (STG) che si confermano e si elevano a componente significativa della produzione agroalimentare nazionale e ad elemento di competitività e di iden-tità locale. Il riconoscimento dei prodotti tipici certificati DOP/IGP ha rappresentato uno nuovo modo per tutelare e valorizzare, all’interno del mercato unico europeo, le produzioni agricole e agro-alimentari mediterranee caratterizzate dalla vocazione del territorio, dalla tradizionalità dei saperi e dall’artigianalità delle tecniche. In tal modo, in un contesto internazionale caratterizzato da una produzione di massa dei beni alimentari, se ne è affiancata una differenziata, limitata e flessibile alle esigen-ze di mercato, che soddisfa nuovi modelli di consumo e forme di vendita. Nei prodotti DOP/IGP è il territorio che genera la qualità, le caratteristiche o anche la semplice rinomanza del prodotto (Albisinni et al., 2007).

Il mercato nazionale dei prodotti DOP/IGP è, in continua crescita, anche per valore e quantità prodotte, orientato principalmente al mercato interno -al consumo domestico-, ma con un buon andamento della domanda estera. Il primato di im-magine dell’alimentare Made in Italy è un dato acquisito che regge anche l’impatto della globalizzazione e, il proliferare di prodotti “taroccati” che di italiano hanno solo il <sounding> ne è la più evidente conferma (Annamaria Capparelli, INEA 2010). La performance positiva del Made in Italy evidenzia Il ruolo ed il contributo delle pro-duzioni di qualità (agricole e del trasformato) alla formazione del saldo commer-ciale. Infatti, nel 2008, le esportazioni di prodotti a denominazione sono aumentate in maniera costante ed hanno raggiunto i 14,1 Milioni di Euro; (il Commercio con l’Estero dei prodotti agroalimentari. INEA 2008). In base ai dati ISTAT, nel 2009 i prodotti di qualità italiani a denominazione comunitaria sono diventati 194 e sono cresciuti rispetto all’anno precedente (19 in più). In Italia queste produzioni han-no assunto un’importanza crescente, in quanto da un lato una quota sempre più rilevante di consumatori ha dimostrato interesse verso produzioni alimentari non standardizzate e con caratteristiche di unicità e qualità superiore e, dall’altro, il si-stema produttivo ha visto l’affermarsi di sistemi locali centrati su prodotti legati a specifiche tradizioni e contraddistinte da caratteristiche di particolare pregio (tipi-cità). L’Unione europea, alla fine del 2008, attraverso il “Libro verde sulla qualità dei prodotti agricoli: norme di prodotto, requisiti di produzione e sistemi di qualità”

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(COM 2008) ha avviato un’intensa fase di consultazione rivolta alle organizzazioni e ai cittadini interessati alla qualità dei prodotti agricoli per sapere se gli strumenti esistenti sono adeguati e in che modo potrebbero essere migliorati e quali nuove iniziative sarebbero auspicabili. L’assunto di partenza del Libro verde è l’importanza del perseguimento della qualità che risulta l’arma più potente per gli agricoltori per vincere le sfide di un’economia di mercato ormai sempre più globalizzata. La qualità è un fattore di produzione che deve interessare ogni agricoltore europeo e ogni con-sumatore sia che si tratti di requisiti minimi a cui devono rispondere le derrate e sia che riguardi di prodotti di prima qualità. La tematica della sicurezza alimentare e la percezione della qualità oltre che la rintracciabilità dei prodotti agroalimentari sono considerati i prerequisiti necessari da assicurare al consumatore e che il produttore deve prseguire.

Nonostante la crisi generale che caratterizza la spesa alimentare delle fa-miglie, i consumi domestici si orientano ancora verso prodotti di qualità, segno che rappresentano una garanzia sia per i produttori che per i consumatori: la tipicità “paga” ed i consumatori sono disposti a spendere di più per un prodotto che la ga-rantisca1. Inoltre, come emerge da una recente indagine Censis/Coldiretti (2010) gli italiani risultano attenti all’origine nazionale degli alimenti acquistati e alla qualità legata al territorio. Tuttavia, almeno nel breve periodo l’impiego del logo DOP/IGP non sempre è remunerativo: l’indagine condotta da Belletti nel 2005, riporta che su 45 imprese di differente tipologia e dimensione operanti con 4 diversi prodotti ad indicazione geografica della Toscana, oltre il 25% delle imprese ha dichiarato di non recuperare i costi mentre per un terzo i maggiori costi sono appena compensati dai maggiori ricavi; soltanto una delle 45 imprese intervistate ha ritenuto molto re-munerativo l’impiego della denominazione. (Belletti, Marescotti Agriregione, Marzo 2007 ).

Nel tempo la sensibilità dei consumatori rispetto alle caratteristiche quali-tative è fortemente cresciuta e non è trascurabile il peso che assume la “carica di nostalgia del passato” che ispira il consumatore che ricevendo dalle mani dell’agri-coltore il cestino della frutta raccolta nel suo campo riesce a (ri)scoprire i sapori naturali dei prodotti. Questi nuovi comportamenti del consumatore contribuiscono così ad accorciare la filiera, ad aumentare la redditività per il produttore e a ridurre

1 Una buona etichetta che dimostri qualità e legame con il territorio, secondo lo studio, può convince-re a pagare fino al 30% in più, con un diverso approccio ai prodotti tra i consumatori italiani e quelli stranieri. I primi hanno maggiore consapevolezza delle caratteristiche di territorialità e tradizione dei prodotti tipici, i secondi riferiscono la tipicità alla Toscana, all’Italia o al Mediterraneo in gene-rale e si lasciano guidare dal prezzo e dal gusto. Università di Firenze e di Pisa.

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l’impatto ambientale della circolazione delle merci. Ecco, allora, che il cibo acqui-sisce una nuova e differente chiave di lettura: non solo risposta al bisogno primario dell’alimentazione ma anche recupero culturale delle tradizioni e delle identità ter-ritoriali che altrimenti andrebbero perse. Il cibo ottenuto attraverso metodi e culti-var tradizionali e il recupero di antiche ricette garantisce ai consumatori la possibi-lità di riappropriarsi e riavvicinarsi al territorio, recuperare stili di vita più sereni e in sintonia con l’ambiente.

I prodotti agricoli e agroalimentari tipici e di qualità rappresentano, dunque, un’opportunità per lo sviluppo delle aree rurali in quanto ne costituiscono la sintesi, il vantaggio competitivo e le potenzialità di crescita. Negli anni recenti non sono isolati i casi in cui attorno all’offerta di prodotti tipici è stato costruito un sistema economico territoriale, itinerari e percorsi alla scoperta di luoghi considerati margi-nali; in queste realtà i prodotti della terra hanno costituito il moltiplicatore di servizi connessi (agriturismo, turismo rurale, servizi innovativi, …), che hanno determinato lo sviluppo dell’area e il miglioramento della qualità della vita dei residenti.

Alcuni casi di percorsi di sviluppo socioeconomico legati ai prodotti tipici si ritrovano anche in Basilicata, dove, in particolare, i prodotti regionali hanno un’iden-tità specifica e molto marcata che trae origine dalla forte caratterizzazione del “si-stema locale” in termini di ambiente, tradizioni, conoscenze, che hanno originato e possono ancora favorire nicchie di mercato significative sia in termini produttivi che occupazionali.

Il sistema agroalimentare lucano è variegato e presenta numerose tipologie produttive caratterizzate da diversi gradi di concentrazione dell’offerta; in alcuni casi con un peso economico rilevante anche a livello nazionale ad esempio i comparti ortofrutticolo e vitivinicolo che negli ultimi anni sono entrati in contatto con i mercati nazionali ed internazionali grazie al progressivo inserimento di know how e inno-vazioni nonché al miglioramento dei modelli organizzativi. Altri comparti, quali ad esempio quello zootecnico, invece, difficilmente superano la barriera commerciale regionale, e per alcuni di essi alla crescita in termini di aziende e di capi, non è se-guito un corrispondente sviluppo del settore. La programmazione 2007/2013 dalla Regione Basilicata ha promosso i Progetti Integrati di Filiera (PIF), (presentati nel capitolo 3), con l’obiettivo di favorire l’aggregazione e la qualificazione dell’offerta ed aumentare il valore aggiunto del settore e la competitività delle imprese, puntando anche sulla tipicità delle produzioni e sul miglioramento dell’imprenditoria lucana. La fase di start up dei PIF è stata preceduta da un’attività di animazione rivolta agli operatori del sistema agricolo e agroalimentare lucano incentrata sulla rilevazione di informazioni sulla qualità delle produzioni locali, sullo stato del contesto produtti-

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vo e sulla definizione dei fabbisogni espressi dagli operatori. La Regione Basilicata, con il supporto dell’INEA, ha realizzato sei Focus Group2 che, insieme agli stake-holders (rappresentanti di organizzazioni di categoria, associazioni di produttori), ha favorito la definizione del quadro di esigenze e fabbisogni settoriali sulla scorta dei quali è stata disegnata la strategia di intervento regionale. I comparti scelti sono stati quelli maggiormente rappresentativi dell’economia agricola lucana: ortofrutta, cerealicoltura, zootecnia da latte e da carne, vitivinicolo, olivicoltura.

Elemento ricorrente dei Focus è stata la consapevolezza degli operatori dell’importanza e del valore che la qualità conferisce ai processi, ai sistemi pro-duttivi (o a parte di essi) che risulta riscontrabile, controllabile e certificabile. Data la qualità del prodotto (e del territorio di produzione) come elemento acquisito, si è rivelata fondamentale l’attività di informazione e di comunicazione, che implica l’adozione di un’ idonea strategia comunicativa capace cioè di raggiungere e influen-zare il mercato. La qualità dei prodotti agroalimentari si realizza attraverso un so-stanziale equilibrio tra attributi del prodotto, natura dell’ambiente in cui esso nasce e caratteristiche del processo produttivo. Da una parte la qualità del prodotto “porta con sé” le valenze positive dell’area di origine (naturali e storico-culturali); dall’altra le sue caratteristiche sono espressione di un equilibrio che con il tempo si è venuto a creare tra il saper fare dei produttori e le risorse produttive del luogo. Queste consi-derazioni sono in linea con le indicazioni emerse nei Focus organizzati sul territorio regionale che hanno evidenziato la presenza di un consumatore sempre più attento alla qualità degli alimenti associata al territorio di provenienza. Attraverso i Focus gli operatori della trasformazione hanno evidenziato che in Basilicata, - per raggiunge-re o mantenere adeguati livelli di qualità bisogna, talvolta, ricorrere a materia prima di provenienza extra regionale, rinunciando quindi alla specificità territoriale carat-teristica delle DOP. Questa esigenza, nel contesto locale, è strettamente collegata alla limitata produzione di materia prima, si recupera però lavorando la stessa con metodi spesso legati alle tradizioni locali ed al saper fare dell’imprenditoria lucana.

La principale caratteristica della qualità del prodotto viene individuata dai partecipanti al Focus nelle caratteristiche del luogo di origine inteso come territorio nel quale coesistono caratteristiche naturali e tradizioni culturali. L’abilità del pro-duttore è quella di sapere tradurre questi valori territoriali (ambiente incontamina-to, salubrità, esperienza locale) in caratteristiche di qualità del prodotto che siano

2 I focus sono stati organizzati tutti a Potenza presso la sede del Dipartimento agricoltura e nelle seguenti date: ortofrutta (22 aprile 2009), cerealicoltura (20 maggio 2009) e zootecnia (25 maggio 2009 quello lattiero-caseario; 4 agosto 2009 quello da carne), vino (21 settembre 2009) e olio (25 settembre 2009).

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univoche e riconoscibili, anche grazie al rispetto di precise regole di produzione e al ricorso a disciplinari. Sempre nei Focus, alla qualità è stato collegato il tema della salubrità delle produzioni che, anche quando non è citata esplicitamente come un attributo di qualità, costituisce un requisito implicito e indispensabile. Per i consu-matori ed i partecipanti ai focus la salubrità dei prodotti coincide sostanzialmente con il concetto di genuinità, che discende dalla natura dei processi produttivi im-piegati (basso impiego di composti chimici, sostanze esterne che pregiudicano la naturalezza). Il tema della certificazione della salubrità del prodotto si interseca con quello della certificazione della sua origine e il connubio salubrità delle produzioni e legame con il territorio deve essere chiaramente riconoscibile. Nel Focus dedicato al lattiero-caseario, questa relazione rappresenta una necessità per lo sviluppo dei prodotti. Infatti, la qualità della materia prima è necessaria per distinguere i pro-dotti caseari fatti con latte lucano da quelli ottenuti con materia prima di origine ignota, quindi – a parere degli operatori - è necessario adottare etichette chiare e trasparenti che ne garantiscano la rintracciabilità. Nella maggior parte dei prodotti lucani l’origine e le caratteristiche del prodotto sono oggi sottoposte a procedure di certificazione, vale a dire un complesso sistema di controlli, operati da una parte terza, attestanti che un prodotto è conforme alle norme contenute nel disciplinare di produzione.

Negli ultimi anni infatti sono nati diversi progetti che hanno avuto come obiet-tivo quello di valorizzare e caratterizzare le produzioni agroalimentari della Basili-cata3, legando la qualità e la riconoscibilità dei prodotti ai luoghi di appartenenza e puntando sulla valorizzazione di tradizionalità e rintracciabilità.

Questo lavoro analizza e riassume il quadro normativo e regolamentare che fa da cornice alle politiche di tutela della qualità delle produzioni locali e ne delinea strumenti attuativi, azioni di sostegno, esperienze realizzate, a livello regionale, da soggetti diversi che operano spesso in ambito locale, con azioni di tutela, valoriz-zazione e promozione. Nell’analisi, la qualità delle materie prime e lo sviluppo di prodotti agroalimentari tipici viene letto anche in chiave di sostenibilità, nell’ottica della tutela e valorizzazione del patrimonio dell’agrobiodiversità. Produzioni tipiche e di qualità, nate dalla tradizione locale, contribuiscono, grazie al mantenimento e recupero della biodiversità agraria, garantita prevalentemente dai piccoli produttori locali che hanno conservato e continuato a produrre cultivar autoctone, a mante-nere sul territorio un elevato numero di specie, cultivar e a preservare il paesaggio agroforestale.

3 Si veda il capitolo 3 Le politiche e le produzioni di qualità in Basilicata.

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Una parte del lavoro è dedicata alla descrizione dei marchi territoriali della Basilicata creati con lo scopo di valorizzare le produzioni regionali. Sul territorio è stata riscontrata la presenza di molteplici marchi di valorizzazione, di marchi d’area e marchi di certificazione, ma non tutte le esperienze hanno raggiunto obiettivi di efficacia generando in alcuni casi anche confusione e sovrapposizioni ( capitolo 3). La ricerca INEA ha considerato le diverse azioni attivate sul territorio privilegiando i prodotti a denominazione comunitaria, presentando le caratteristiche e prendendo in esame i diversi soggetti pubblici e privati coinvolti nelle varie attività. Ha, inoltre registrato (capitolo 4 ) lo stato attuale delle produzioni certificate in Basilicata per verificare, nella situazione attuale e a livello potenziale, il ruolo socioeconomico di questi prodotti, il potere commerciale in ambito nazionale ed extra, le potenzialità di sviluppo. Per tale motivo è stata condotta un’indagine quali-quantitativa sui prodotti DOC, DOP e IGP che attraverso la raccolta di dati economici e strutturali nonché informazioni sulle prospettive di crescita e sulle criticità esistenti. I risultati ottenuti sono stati riportati in apposite schede e per ogni prodotto sono state delineate le li-nee strategiche di sviluppo finalizzate al rilancio e alla valorizzazione dei singoli pro-dotti e dei territori rurali di origine. Tra i principali risultati emerge che, in generale:

una scarsa partecipazione delle imprese ai sistemi collettivi di tutela e va-lorizzazione territoriali; questo richiede l’individuazione di strategie e azioni capaci di creare basi produttive larghe e stabili, motivare i produttori, incentivare politiche di adesione comprendendo anche forme di sostegno all’adesione ai marchi, creare modalità di fidelizzazione dei produttori ai sistemi collettivi geografici e di qualità.

una eccessiva frammentazione della base produttiva: la maggior parte delle imprese che operano all’interno dei sistemi legati alle produzioni tipiche sono di piccola-media dimensione, e spesso orientati alla commercializzazione su canali locali per i quali la presenza di una DOP-IGP non riveste una particolare valenza in-formativa e/o di garanzia in quanto altri meccanismi (fiducia, prossimità geografica e culturale) sono all’opera (Belletti, Marescotti in Agriregione Marzo 2007).

Infine, spesso si evidenzia nei prodotti segnalati una ridotta produzione di prodotti già con marchio o in fase di ottenimento. Questo dato necessita di una pro-fonda riflessione da parte dei policymakers locali che possono svolgere un ruolo importante nella conduzione di politiche di tutela e valorizzazione. Le politiche di valorizzazione delle produzioni locali hanno infatti anche il compito di frenare la mi-naccia di scomparsa di prodotti di qualità che, se troppo di nicchia rischiano di estin-guersi. Con le conseguenze anche in termini di patrimonio di agrobiodiversità locale e di cultura e tradizioni.

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Capitolo 1

CAPITOLO 1

I PRODOTTI AGROALIMENTARI TIPICI

1.1 Latipicitàdeiprodottiagroalimentari

Nonostante il marketing riesca a “comunicare”, per alcuni prodotti indu-striali indifferenziati di largo consumo, valori e aspetti comunque riconducibili alla tradizione e alla qualità attraverso strategie e slogan evocativi del tipo “Prodotti di una volta”, “Prodotti genuini”, Prodotti del contadino”, “Prodotti della nonna” e così via, il consumatore ne associa tuttavia significati differenti ma comunque ricondu-cibili alla presenza di un legame tra prodotto e territorio. Tale legame può trovarsi nell’origine geografica delle materie prime oppure nella localizzazione delle atti-vità di trasformazione, lavorazione, conservazione o stagionatura o, ancora, nelle metodiche di lavorazione consolidate nella tradizione e nella cultura dei territori di origine (Box 1).

Box 1 - Elementi che conferiscono tipicità a un prodotto agroalimentare

Localizzazione geografica - le condizioni ambientali dell’area di coltivazione o allevamento o trasformazione impri-mono al prodotto caratteristiche non riproducibili.

Metodiche di lavorazione - sono tradizionali e artigianali con l’utilizzo di materie prime spesso locali.

Memoria storica - il prodotto è direttamente collegabile alla storia e alle tradizioni del luogo di produzione.

Qualità organolettiche e nutrizionali del prodotto - strettamente connesse ai criteri precedenti conferiscono gusto, genuinità e unicità al prodotto.

La tipicità, pertanto, non si presta a un’ univoca interpretazione e identifi-cazione ma, pur presentando un insieme di variabili (NOMISMA, 2001; Pencarelli, Forlani, 2006), si identifica nei prodotti agroartigianali che hanno un’identità ben specifica e molto marcata che trae origine dalla forte caratterizzazione del “siste-ma locale” in cui nascono, in termini di ambiente, tradizioni, conoscenze e compe-tenze (Prospetto 1).

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

Prospetto1–Matricedellevariabilidellatipicitàdiunprodottoagroalimentare

Localizzazione Input di produzione Tecniche di gestione

Materie prime agricole

comunale, provinciale, regionale, nazionale, estero

razza, varietà, cultivar, tipo di alimentazione

trattamenti, lavorazioni, operazioni colturali, modalità raccolta

Trasformazionecomunale, provinciale, regionale, nazionale

salatura, tipo di caglio, ingredienti

parametri chimico-fisici di gestione, tecnica di cottura, tecniche di spremitura

Stagionatura, conservazione

comunale, provinciale, regionale, nazionale

tempi di stagionatura, modali-tà di conservazione

Fonte: NOMISMA.

Strettamente connesso al concetto di tipicità è il concetto di qualità, che as-sume diverso significato a seconda della fase della filiera a cui fa riferimento (Mac-cioni, 2009). Il produttore agricolo, infatti, individua essenzialmente la qualità nelle caratteristiche intrinseche del prodotto, mentre il trasformatore punta a garantire l’uniformità dei prodotti che soddisfino requisiti minimi, accettati a livello interna-zionale; diversamente, il consumatore percepisce la qualità come soddisfacente i requisiti minimi ex lege (requisiti di natura igienico-sanitaria) e i requisiti di natu-ra merceologico-mercantile che caratterizzano la cosiddetta qualità commerciale del prodotto - identità, composizione, aspetto, packaging - comprensiva del servizio complessivo incorporato.

Poiché la produzione agricola (comunitaria e nazionale) è sempre più chia-mata a rispondere in termini di tipicità, trasparenza e rintracciabilità1, i requisiti di natura igienico-sanitaria e i requisiti di natura merceologico-mercantile dei prodotti agroalimentare sono diventati imprescindibili per il consumatore, tanto da essere percepiti come prerequisiti; il consumatore, però, si mostra sempre più esigente e attento ai prodotti che mangia, alla loro provenienza, ai metodi di coltivazione, ai processi di produzione, alle proprietà nutrizionali, ma anche alla loro valenza eco-logica, agli aspetti culturali, al contenuto etico e sociale delle produzioni. Pertanto, ogni elemento aggiuntivo che possa essere percepito dal consumatore come un plus

1 Tutti gli Stati membri dell’Unione Europea possono contare su un sistema disciplinare unitario, organizzato per principi e finalità, e su strumenti innovativi condivisi, in grado di garantire al consu-matore europeo livelli di protezione elevati e prodotti alimentari sicuri lungo l’intero percorso “dai campi alla tavola”. Gli elementi caratterizzanti il sistema, in cui l’Autorità europea per la sicurezza alimentare (EFSA) svolge un ruolo fondamentale, sono: il controllo di filiera; la responsabilizzazione del produttore; la rintracciabilità dei percorsi di alimenti, mangimi e loro ingredienti; i sistemi di allarme rapido sui rischi alimentari; l’informazione al consumatore (INEA, 2009).

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Capitolo 1

viene da questi incluso nel concetto stesso di qualità, al punto che alcuni elementi sono stati elevati a requisiti minimi che il prodotto deve soddisfare per legge (Pro-spetto 2). Tutti questi requisiti, dunque, accrescono il valore aggiunto dei prodotti agroalimentare in termini di esigenze implicitamente soddisfatte e ne determinano il posizionamento nella mente del consumatore e nella sua scala dei bisogni.

Prospetto2-Requisitidiqualitàdeiprodottiagroalimentari

Pre-requisiti imprescindibili per il consumatore

Requisiti merceologici-mercantili: caratteristiche commerciali, aspetto esteriore, caratteristiche del confezionamento del prodotto (freschezza, gusto, aroma, colore).

Requisiti igienico-sanitari: oltre al condizionamento e all’imballaggio, devono garan-tire, ad esempio, l’assenza di residui e la risoluzione di problemi di carattere fitosanitario, nell’ottica più ampia della sicurezza alimentare e delle norme cogenti sull’etichettatura e la rintracciabilità di alimenti, mangimi e loro ingredienti.

Requisiti percepiti come plus dal consuma-tore

Zona geografica d’origine del prodotto: richiama elementi quali la tipicità e la tradizione.

Contenuti nutrizionali e salutistici: ingredienti, specificità intrinseche dei prodotti anche di natura sensoriale, assenza di organismi geneticamente modificati (OGM).

Fattori ambientali: produzione eco-compatibile, Km 0, imballaggi riciclabili, biodegrada-bilità delle confezioni.

Fattori culturali, etici e sociali: benessere degli animali, condizione dei lavoratori, commercio equo.

Marchio: industriale, commerciale, private label e servizi incorporati (conservabilità, facilità d’uso, confezionamento/packaging).

Qualità certificata da terzi: dei sistemi, prodotti e processi (rintracciabilità di filiera).

Requisiti minimi ex lege (per tutti gli alimenti)

Igiene, sicurezza alimentare, merceologico-mercantili, tutela ambientale, salute degli ani-mali e delle piante, benessere degli animali.

Nel settore agroalimentare nazionale, in particolare, è possibile individuare le seguenti tipologie di prodotti tipici: 1) i prodotti tipici certificati (DOP, IGP, STG, DOC, DOCG, IGT) regolamentati da

norme comunitarie e nazionali, in cui è il territorio che genera la qualità, le caratteristiche o anche la semplice rinomanza del prodotto (Albisinni et al., 2007). (disciplinare)

2) i prodotti agroalimentare tradizionali (PAT), riconosciuti per legge, le cui me-todiche di lavorazione, conservazione e stagionatura sono inscindibilmente legate agli usi e alle tradizioni del territorio da almeno 25 anni. (disciplinare)

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

3) i prodotti di origine locale a marchio collettivo, in cui elementi quali la tipici-tà e la tradizionalità delle produzioni assumono una connotazione di fattore competitivo2.

4) i prodotti delle micro-filiere aziendali o a filiera corta, ottenuti e commercializ-zati: a) all’interno della medesima fattoria o agriturismo; b) in punti organizzati da uno o più operatori, nelle fiere o nelle città; c) presso negozi, ristoranti e scuole. In particolare questi prodotti rappresentano una realtà che sta cre-scendo sotto l’impulso dell’agriturismo e della preferenza della popolazione che abita realtà urbane verso i prodotti genuini della campagna, i cosiddetti prodotti contadini “di una volta”. Inoltre, questi prodotti beneficiano, indiret-tamente, di un quadro nazionale di orientamento per garantire agli agricoltori spazi pubblici per la loro vendita diretta, i cosiddetti mercati contadini o far-mer’s markets (d.m. 20/11/2007); Regioni e Comuni possono disporre il so-stegno dei mercati contadini tramite campagne di comunicazione e contributi economici per la loro istituzione o assegnare contributi per i Comuni che uti-lizzano i prodotti dei farmer’s market per le mense scolastiche.La maggior parte dei prodotti tipici italiani, fatta eccezione per i prodotti DOP/

IGP “storici” (Prosciutto di Parma, Parmigiano Reggiano, Grana Padano, ecc.), ha aree di produzione e di mercato ristretti e originano da imprese di piccole e medie dimensioni. L’intero sistema produttivo italiano dei prodotti agroalimentare tipici presenta incisive criticità strutturali dettate dalla frammentazione verticale e oriz-zontale delle filiere s che si traducono nei costi di distribuzione del prodotto elevati, specie su mercati delocalizzati, e nei difficili rapporti con il sistema distributivo e in particolare con la grande distribuzione, alla quale occorre garantire la fornitura costante di grandi volumi di qualità elevata e standardizzata. A ciò si aggiungono il basso ricorso all’innovazione tecnologica e alla meccanizzazione, la difficoltà di in-dividuare tecniche e politiche di vendita coerenti con le caratteristiche del processo e del prodotto e la mancanza di un’adeguata politica di comunicazione a sostegno del prodotto (Giuca, 2001).

2 Tuttavia, quando il marchio utilizza un toponimo (c.d. marchio collettivo geografico) a indicare l’ori-gine o la provenienza di un prodotto, il nesso diretto di causalità fra l’area di produzione e le carat-teristiche distintive del prodotto (nesso che è esclusivo per le DOP/IGP e come tale regolamentato esclusivamente dal reg. 510/06) non deve essere evidenziato, (Albisinni et al., 2007); occorre, inoltre, sottolineare che l’origine geografica può essere comunicata solo attraverso un marchio collettivo non appartenente ad enti pubblici territoriali, non essendo ammesse misure pubbliche (aiuti di Stato) che possano ostacolare gli scambi intracomunitari (art. 28, Trattato CE), come nel caso che accordino ai prodotti nazionali una preferenza in modo da escludere in tutto o in parte lo smercio di prodotti importati equivalenti (Germanò, 2006).

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Capitolo 1

Sulla base delle descrizioni precedenti, che annoverano le diverse e possibili forme di valorizzazione e tutela delle produzioni tipiche, possono essere ricondotti a questa ampia categoria:a) prodotti con caratteristiche e dimensioni di mercato simili a quelli di largo

consumo indifferenziati, con una reputazione consolidata, soprattutto i tra-sformati a denominazione di origine, come formaggi (un caso per tutti è rap-presentato dal Parmigiano Reggiano DOP), salumi (ad esempio il Prosciutto di Parma DOP), olio extravergine di oliva e vini, esportati in tutto il mondo.

b) prodotti che rappresentano eccellenze di nicchia con una forte specializza-zione tanto delle materie prime quanto della localizzazione della trasfor-mazione (alcuni prodotti DOP/IGP, i prodotti agroalimentare tradizionali, i prodotti locali a marchio collettivo). Alcuni di questi prodotti sono a “filie-ra chiusa”, ovvero consumati nell’ambito della ristretta area di produzione3 oppure sono conosciuti e consumati da una fascia “elitaria” di estimatori nazionali e persino internazionali. Si tratta di prodotti che vengono lavora-ti, spesso, solo a livello artigianale in condizioni organizzative non consone alle richieste del mercato (etichettatura, rintracciabilità) e, pertanto, sono di difficile collocazione nei canali commerciali significativi o addirittura hanno mercati di domanda potenziale superiore all’offerta e impossibili da soddi-sfare.

c) prodotti a rischio di estinzione4 in quanto caratterizzati da quantità ridotte e/o carenza di materie prime di qualità; necessitano di adeguamento alle norme igienico-sanitarie (divisione dei locali, utilizzo di appositi contenitori, ecc.), spesso in contrasto con i metodi e le tecniche tradizionali di conservazione e stagionatura; hanno scarsa redditività; presentano limiti merceologici alla commercializzazione e sono privi di quei disciplinari di produzione che co-stituiscono il presupposto per la valorizzazione; necessitano di investimenti nella ristrutturazione degli impianti di produzione; risentono della mancanza di reputazione presso i consumatori e il loro destino è strettamente legato alla scomparsa di saperi connessi al processo produttivo. Tutti i prodotti tipici, però, si caratterizzano come “arte del particolare” ed

anche quando presentano caratteristiche di commodity (pasta, pane, conserve di pomodoro), essendo legati a territori di eccellenza ambientale, paesaggistica, cul-

3 In alcuni casi questi prodotti si avvalgono di specifiche forme di vendita diretta, come la vendita per corrispondenza, l’e-commerce, la consegna a domicilio a singoli o a gruppi organizzati di consuma-tori (Carbone, 2006).

4 La gran parte di questi prodotti rientra nell’elenco dei prodotti agroalimentare tradizionali (PAT).

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

turale in grado di esprimere valori materiali e immateriali riconoscibili dal consu-matore, possono contribuire allo sviluppo di determinate aree rurali nel rispetto della biodiversità locale5 specie se valorizzati nelle aree di produzione, ad esempio attraverso i circuiti dell’agriturismo e del turismo rurale o attraverso i canali della vendita diretta e della ristorazione.

La tutela delle peculiarità ambientali, culturali ed enogastronomiche da cui derivano le eccellenze agroalimentare, infatti, possono rappresentare un vantaggio competitivo per tutti i soggetti interessati a valorizzarne le tipicità ed un volano per l’economia locale, rappresentando l’opportunità di ancorare, accrescere e salva-guardare il valore aggiunto della propria comunità, specialmente nelle zone rurali montane e isolate (AA.VV, 2009). Naturalmente, la diffusione delle conoscenze e dei luoghi legati alle produzioni deve associarsi all’adozione di politiche coerenti con uno sviluppo socio-economico sostenibile in grado di promuovere sinergie tra tutti gli enti che a diverso titolo operano sul territorio - nel settore agroalimentare, ambientale, culturale, turistico e del commercio - e di coniugarle, da un lato, al coinvolgimento diretto degli attori locali e, dall’altro, ad una corretta informazione al consumatore sulla produzione, trasformazione e fruizione dei prodotti tipici. Il capitolo 3 presenta le politiche sulla qualità adottate della Regione Basilicata evi-denziando anche le azioni di valorizzazione e promozione delle produzioni agroali-mentari locali.

1.2 IprodottitipicicertificatiDOPeIGP

All’inizio degli anni Novanta del secolo scorso, il riconoscimento comunitario dell’identità delle produzioni tradizionali attraverso la disciplina delle denomina-zioni di origine DOP/IGP6 ha rappresentato, all’interno del mercato unico europeo, uno strumento innovativo per la tutela e la valorizzazione delle produzioni agricole e agroalimentare. Tale strumento, infatti, si è inserito in un contesto internazionale in cui alla produzione di massa dei beni alimentari è subentrata una produzione differenziata, limitata e flessibile alle esigenze di mercato, che ha trovato spazio nei nuovi format commerciali (ipermercati, centri commerciali) e che ha soddisfatto

5 Cfr. Capitolo 2.

6 Reg. CEE n. 2081/92 (abrogato dal reg. CE n. 510/06) relativo alla protezione delle indicazioni geo-grafiche e delle denominazioni d’origine dei prodotti agricoli e alimentari (DOP/IGP) e reg. CEE n. 2082/92 (abrogato dal reg. CE n. 509/06) relativo alle attestazioni di specificità dei prodotti agricoli e alimentari (STG), ovvero Specialità Tradizionale Garantita.

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Capitolo 1

nuovi modelli di consumo e nuove modalità di vendita, frutto del processo di mo-dernizzazione e diversificazione del sistema distributivo (Giuca, 2001).

Dopo aver imposto, nel corso degli anni, specifiche norme commerciali e igienico-sanitarie per tutti gli alimenti che circolano all’interno del mercato co-munitario, indipendentemente dal fatto che siano di origine comunitaria oppure di importazione (in questo secondo caso stante il principio di “equivalenza” e del-la piena “conformità alla norma europea”), all’alba della globalizzazione l’Unione europea ha riconosciuto nella denominazione di origine l’elemento qualitativo di differenziazione delle produzioni comunitarie: una “qualità” garantita dalla stessa Commissione europea attraverso il riconoscimento DOP/IGP, legata alla tipicità e al territorio di origine, e in grado di assegnare al prodotto un valore aggiunto im-mediatamente riconoscibile, distintivo e univoco per comunicare - e preservare - l’identità socio-economica della collettività geografica che lo produce (Giuca, 2006).

Box2–IprodottitipicicertificatiregolamentatidanormecomunitarieenazionaliDenominazione di Origine Protetta (DOP) e Indicazione Geografica Protetta (IGP)

Un prodotto agricolo o alimentare originario di una Regione, di un luogo determi-nato o, in casi eccezionali, di un paese può ottenere, ai sensi del Regolamento (CE) n. 510/2006:

la DOP quando “le caratteristiche sono dovute essenzialmente o esclusivamente ad un particolare ambiente geografico, inclusi i fattori naturali e umani, e la cui produ-zione, trasformazione ed elaborazione avvengono nella zona geografica delimitata”;

la IGP quando “una determinata qualità, la reputazione o altre caratteristiche pos-sono essere attribuiti all’origine geografica e la cui produzione e/o trasformazione e/o elaborazione avvengono nell’area geografica determinata”;

L’art. 85 della legge 27 dicembre 2002, n. 289 (legge finanziaria 2003), prevede una particolare tutela dei prodotti tipici dei territori montani che hanno ottenuto la DOP o l’IGP, autorizzandoli a fregiarsi della menzione aggiuntiva “Prodotto di montagna”, seguita dall’indicazione geografica del territorio interessato.

Con l’entrata in vigore, il 1° agosto 2009, della riforma del settore vitivinicolo - reg. (CE) n. 479/08, reg. (CE) n. 491/09 - i vini DOC, DOCG e IGT transitano automaticamente nel nuovo registro comunitario delle DOP e IGP ai sensi del reg. (CE) 607/09 e del reg. (CE) 401/2010. La disciplina sulla tutela delle denominazioni di origine dei vini in Italia è dettata dal decreto legislativo 8 aprile 2010 n. 61.

Specialità tradizionale garantita (STG)

Un prodotto agricolo o alimentare tradizionale può ottenere la STG ai sensi del Regola-mento CE n. 509/2006 quando la composizione tradizionale del prodotto o il metodo di produzione tradizionale sono consolidati nel tempo (almeno 25 anni) e la cui specificità è “l’elemento o l’insieme di elementi che distinguono nettamente un prodotto agricolo o alimentare da altri prodotti o alimenti analoghi appartenenti alla stessa categoria.

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

La normativa sulle denominazioni di origine, tra vantaggi e criticità (Box 3), ha rappresentato uno strumento per ottenere la diversificazione dei processi e dei prodotti verso la qualità delle produzioni agroalimentare mediterranee, caratte-rizzate da vocazionalità del territorio, tradizionalità dei saperi e artigianalità delle tecniche.

Il mercato nazionale dei prodotti DOP/IGP è in continua crescita, sia come numero di denominazioni e di prodotti in attesa di riconoscimento, sia per valore e quantità prodotte, con un maggiore orientamento verso il mercato interno, in particolare per il consumo domestico, e un buon andamento della domanda estera.

Nel 2009 il fatturato alla produzione ha toccato i 5,2 miliardi di euro e il fattu-rato al consumo ha totalizzato 9,9 miliardi di euro, il 27% circa realizzato sui mer-cati esteri, per un totale di 1,8 milioni di tonnellate di produzione e 129.000 aziende certificate7 coinvolte, il 94,5% rappresentato da aziende agricole e allevamenti e il 5,5% da strutture di trasformazione artigianali e industriali (Osservatorio Qualivita, 2010). I prodotti ortofrutticoli continuano ad essere il comparto che certifica i mag-giori volumi di produzione (62,8% del totale delle produzioni DOP/IGP), seguito da formaggi (25,2%), prodotti a base di carne (11,1%) e olio extravergine di oliva (0,5%).

L’Italia si distingue a livello europeo per numero di prodotti DOP/IGP8, con denominazioni di alta reputazione a livello internazionale. La produzione comples-siva dei prodotti certificati, però, continua ad essere trainata da appena il 7% dei prodotti che hanno ottenuto il riconoscimento comunitario; se si guarda ai primi 15 prodotti di qualità certificata per produzione e fatturato nel 2009, questi rappresen-tano, complessivamente, oltre il 90% della produzione totale DOP/IGP e realizzano circa il 90% del fatturato al consumo totale. Si tratta, però, di certificazioni che sto-ricamente rappresentano le grandi produzioni tipiche italiane (formaggi, salumi e olio) e che, complessivamente, realizzano l’80% del fatturato alla produzione totale di DOP/IGP, e di 2 prodotti ortofrutticoli con un forte peso sul mercato dei prodotti a marchio collettivo che solo da qualche anno hanno ottenuto il riconoscimento co-munitario: la “Mela Alto Adige” IGP (dal 2005) e la “Mela Val di Non” DOP (dal 2003). A seguire, tra le oltre 200 denominazioni che rappresentano, insieme, meno del 10% della produzione totale DOP/IGP, e meno del 12% del fatturato alla produzione

7 Aziende che ricevono la registrazione finale DOP/IGP e quindi si trovano nella fase finale della filiera, ad esempio le aziende che effettuano l’imbottigliamento per gli oli extravergine di oliva (Osservatorio Qualivita, 2010).

8 L’Italia, con 227 prodotti certificati (142 DOP, 83 IGP e 2 STG), pari al 22,2% del totale dei prodotti cer-tificati Ue (1.022), è leader europeo, davanti a Francia (183) e Spagna (148). (dati Qualivita, aggiornati al 30 aprile 2011).

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Capitolo 1

totale, vi sono prodotti di grande potenzialità come, ad esempio, l’Arancia Rossa di Sicilia IGP che, da sola, costituisce il 50% della produzione nazionale di arance. E’ pur vero che non tutti i prodotti sono vocati per la produzione e distribuzione di lar-go raggio e la gran parte dei 200 prodotti certificati italiani che rappresentano quasi il 12% della produzione totale DOP/IGP sono tipicità locali, prodotti ortofrutticoli con areali di produzione molto limitati, salumi e formaggi con processi di lavorazio-ne e trasformazione che mal si adattano grandi quantitativi di produzione.

Box3-Puntidiforzaepuntididebolezzadellapoliticacomunitariaperlaqualità

Punti di forza

• Tutela giuridica delle produzioni certificate contro imitazioni e abusi.

• Qualità garantita e istituzionalizzata attraverso i regolamenti che dispongono: a) il rispetto di disciplinari di produzione dei prodotti a marchio che identificano i diversi attori della filiera e i flussi dei materiali dalla materia prima al prodotto finito; b) i controlli effettuati da organismi accreditati UNI EN ISO 45011, soggetti a vigilanza dell’Autorità pubblica, a tutti i livelli della filiera.

• Differenziazione dell’offerta, attraverso diverse tipologie di prodotto da immettere sul mercato.

• Incremento della capacità competitiva del sistema agroalimentare attraverso il legame con il territorio.

• Difesa del reddito dell’agricoltore che attraverso i prodotti di qualità può spuntare prezzi più alti.

• Contributo allo sviluppo economico e occupazionale delle zone rurali (possibilità di impiego nella trasformazione dei prodotti agricoli, nella preparazione gastronomica, nell’agriturismo).

• Concessione di finanziamenti per le campagne pubblicitarie nazionali di prodotti tipici che hanno ottenuto il riconoscimento DOP/IGP.

PUNTI DI DEBOLEZZA

• Mancanza di un coordinamento stretto tra politiche classiche di sostegno al mercato e interventi indirizzati a migliorare e valorizzare la qualità certificata.

• Scarsa informazione al consumatore dei prodotti tipici che hanno ottenuto il riconoscimento DOP/IGP.

• Insufficienti politiche di promozione e commercializzazione dei prodotti tipici (la UE considera i regolamenti come un punto di partenza e non di arrivo e confonde spesso la qualità dei prodotti con la sicurezza alimentare).

• Elevati costi di certificazione.

D’altra parte, non si è avuto l’atteso sviluppo di nuove denominazioni tra quei prodotti che hanno elevate potenzialità commerciali e rilevanza economica per l’agri-coltura nazionale, come l’olio e le carni fresche; così come non si è avuta una cre-scita significativa, in termini numerici e di fatturato, per le cosiddette denominazioni “minori”, la cui notorietà continua ad avere una dimensione di nicchia di mercato, soprattutto locale.

A livello istituzionale la volontà di realizzare una politica di valorizzazione delle produzioni di qualità italiane DOP/IGP si evince dai principali documenti di program-

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

mazione economica degli ultimi anni, con le Regioni che hanno svolto - e svolgono - attività di individuazione e promozione dei prodotti tipici suscettibili di registrazione comunitaria, finanziando anche studi e ricerche per il miglioramento qualitativo dei prodotti e dei processi. Tuttavia, l’intero sistema nazionale delle certificazioni di ori-gine risente della mancanza di coordinamento delle azioni degli operatori pubblici e privati coinvolti nei processi di riconoscimento delle denominazioni, che avrebbe do-vuto incidere, come prevede la normativa comunitaria, sugli aspetti tecnico-organiz-zativi delle imprese, sulla gestione collettiva del prodotto, sulla commercializzazione e promozione delle denominazioni sul mercato interno e internazionale.

L’utilizzo della denominazione, in linea generale, comporta una serie di costi suppletivi per l’impresa, oltre a quelli di certificazione, che vanno dal rispetto del di-sciplinare di produzione, alla gestione interna del piano di autocontrollo per garantire la tracciabilità, all’adesione al Consorzio di tutela, ai controlli prescritti dalla norma-tiva; le strategie di comunicazione, necessarie al lancio e al sostegno del prodotto sul mercato, devono essere sostenute da tutti gli operatori commerciali, che non sempre si avvantaggiano di campagne di tipo istituzionale9, mentre alcuni Consorzi di tutela mostrano una scarsa operatività, a causa della ridotta rappresentatività di produttori e operatori commerciali e delle scarse risorse finanziarie (Belletti, Marescotti, 2007).

Le imprese private e le cooperative della zona interessata dalla DOP o dall’IGP, spesso preferiscono utilizzare i marchi commerciali collettivi; addirittura, in alcuni casi, la reputazione del marchio aziendale/collettivo è talmente consolidata che ri-sulta superiore a quella della DOP e l’utilizzo della denominazione rischierebbe di “appiattire” la percezione che il consumatore ha del livello qualitativo del prodotto commercializzato.

1.2.1 ProdottiDOP/IGPinBasilicata

I prodotti a denominazione di origine lucani, che hanno ottenuto il riconosci-mento comunitario sono otto: il Caciocavallo Silano DOP, il Canestrato di Moliterno IGP, il Fagiolo di Sarconi IGP, la Melanzana Rossa di Rotonda DOP, il Pane di Ma-tera IGP, il Pecorino di Filiano DOP, i Fagioli Bianchi di Rotonda DOP e il Peperone di Senise IGP, poco più del 3% del paniere nazionale. Al momento, solamente l’Olio extra-vergine di oliva Vulture DOP resta in protezione transitoria ai sensi dell’art. 5 del regolamento (CE) n. 510/06 in attesa della iscrizione nel registro ufficiale euro-

9 Non tutte le Regioni si sono attivate in questo senso, mentre a livello di Amministrazione centrale non sempre le campagne di comunicazione e promozione hanno interessato il settore delle DOP/IGP.

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Capitolo 1

peo delle DOP/IGP in seguito alla pubblicazione della domanda di riconoscimento come DOP sulla GU europea del 4 maggio 201110.

Nel 2009, oltre il 25% della superficie nazionale destinata alle produzioni DOP e IGP si trova nelle regioni del Sud (ISTAT, 2010); in Basilicata, la superficie agricola è quasi triplicata rispetto al 2008 e interessa oltre 166 ettari, meno dell’1% del totale delle regioni meridionali; il dato, tuttavia va letto in termini proporzionali, se rapportato all’incidenza della superficie regionale su quella nazionale, pari ad appena il 3%, e all’incidenza della SAU lucana su quella nazionale, pari a poco più del 4%. La filiera regionale di qualità DOP/IGP coinvolge 95 strutture produttive (Tab. 1.1), il 48% delle quali sono aziende agricole, seguite dagli allevamenti (26%) e dai trasformatori (26%).

Tabella1.1-ProdottiDOPeIGP:superficieestruttureproduttive Basilicata Mezzogiorno Italia

Superficie (ha) 166 35.344 138.900

Aziende agricole 46 22.120 77.427

Allevamenti 25 17.194 47.291

Trasformatori 24 1.554 6.065

Fonte: Istat 2010

Il fatturato alla produzione delle DOP e IGP lucane è stimato in 2,1 milioni di euro nel 2008 (ISMEA, 2010), meno del 9% del fatturato complessivo realizzato nelle Regioni del Sud e Isole; anche questo dato va letto in termini proporzionali, conside-rato che il paniere della Basilicata si compone di pochi prodotti e che, storicamente, sono piuttosto limitate le quote in termini di fatturato del Centro-Sud e delle Isole, pari, complessivamente, al 12% del fatturato dall’intero paniere nazionale DOP/IGP.

La Basilicata ha visto ridursi il fatturato alla produzione, nel 2008, in tenden-za con la maggior parte delle Regioni del Sud ma, quasi fanalino di coda delle Re-gioni italiane, sconta addirittura un dimezzamento in valore; tra le possibili cause imputabili, l’eccessiva frammentazione dell’offerta che inficia adeguati comporta-menti di business, la distorsione competitiva indotta dai comportamenti di acquisto e selling out della GDO e il mercato di sbocco, piatto e stabilizzato, soprattutto nel comparto dei formaggi, con conseguenti remunerazioni ridotte del sell in e uscita dal mercato delle piccole e piccolissime imprese.

10 Per 2 prodotti è stata avviata l’istruttoria nazionale per il riconoscimento della DOP o IGP: farina di carosella del Pollino e olio extravergine di oliva majatica. (Alsia, http:/old.alsia.it).

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

Figura1.1–RipartizionedeicanalidivenditainItaliaper4prodottilucaniDOP/IGP,2009

Fonte: elaborazioni INEA su dati Osservatorio Qualivita, 2010.

I prodotti lucani certificati sono destinati principalmente al mercato dome-stico (Fig. 2), con un’incidenza maggiore della vendita diretta sia per i prodotti com-modity sia per i formaggi (mentre i formaggi DOP storici, a livello nazionale, transi-tano per oltre il 50% nella GDO). Un’analisi approfondita della struttura produttiva e del mercato per i prodotti DOP/IGP lucani è riportata, nel dettaglio, nelle schede contenute nella seconda parte del presente lavoro.

1.2.2 Ivinidiqualitàeiviniaindicazionegeograficatipica

Nel 2007 la Regione Basilicata, con oltre 4.500 ettari di superficie vitata (ri-partita per il 66% nella provincia di Potenza e per il 34% in quella di Matera), quasi 4.900 aziende censite e 144.000 ettolitri di vino e mosto prodotti, pari allo 0,3% della produzione di vino italiana, contribuisce in maniera significativa alla produzione lorda vendibile agricola regionale.

La produzione complessiva di vino in Basilicata supera i 6,6 milioni di botti-glie/anno (di cui 3,8 milioni di bottiglie/anno di Aglianico del Vulture), con oltre 378 vini e circa 90 aziende di imbottigliamento (Repertorio vini – ALSIA, 2010). Il sensi-bile calo della produzione nel triennio 2007-2009 (ISTAT, 2008, 2009) è coinciso con

0%

20%

40%

60%

80%

100%

Caciocavallo Silano DOP

Pecorino di Filiano DOP

Fagiolo di Sarconi IGP

Pane di Matera IGP

Dettaglio tradizionale Distribuzione moderna Ristorazione Vendita diretta

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Capitolo 1

un miglioramento del livello di produzione, testimoniato dalla propensione verso le produzioni di qualità (Tab.2), tanto che il Grottino di Roccanova è stato elevato a DOC nel 2009 e l’Aglianico del Vulture Superiore, riconosciuto dai grandi enologi tra i cento migliori vini del mondo per le sue peculiarità organolettiche, è stato ricono-sciuto DOCG nel 2010. I vini a denominazione della Basilicata, pertanto, sono saliti a 6: Aglianico del Vulture Superiore DOCG, Aglianico del Vulture DOC, Grottino di Roccanova DOC, Matera DOC, Terre dell’Alta Val d’Agri DOC, Basilicata IGT.

Tabella1.2-ViniDOCG,DOCeIGT,2010

Basilicata Sud e Isole Italia

IGT 1 60 118

DOC 4 109 330

DOCG 1 7 56

Fonte: elaborazioni INEA su dati MIPAAF.

1.3 IProdottiAgroalimentariTradizionali(PAT)

I Prodotti Agroalimentari Tradizionali (PAT) sono prodotti di nicchia, risultato di attività svolte in aree meno favorite esterne ai poli dell’agroindustria intensiva e spesso a rischio di estinzione, che necessitano di metodi e tecniche tradizionali di conservazione e stagionatura riconosciute in deroga alla normativa comunitaria (Cfr. box 4). La particolare tutela di cui godono questi prodotti, a salvaguardia del patrimonio gastronomico e culturale italiano, deriva dal fatto che gli investimenti nella ristrutturazione dei luoghi di produzione e l’adeguamento alle norme igieni-co-sanitarie, previsti dal complesso e articolato quadro giuridico sulla sicurezza alimentare, non solo sarebbero stati insostenibili per i piccoli produttori che vi si dedicano ma soprattutto in contrasto con i metodi e le tecniche tradizionali di con-servazione e stagionatura, spesso uniche e non riproducibili altrove: si pensi, ad esempio, alla stagionatura dei formaggi in grotte, fosse o particolari recipienti.

Box4–Iprodottiagroalimentaritradizionali(PAT)• Sono individuati dalle Regioni, ai sensi del decreto legislativo n.173/98 e del d.m. 350/99.

• Sono iscritti nel registro nazionale istituito presso il MIPAAF con decreto ministeriale del 18 luglio 2000 e ag-giornato con decreti annuali.

• Sono stati riconosciuti “espressione del patrimonio culturale” dell’Italia con decreto ministeriale del 19 aprile 2008.

• Con decreto Mipaaf del 16 giugno 2010, relativo alla decima revisione dell’elenco nazionale dei PAT, sono stati riconosciuti 4.512 prodotti.

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

Spesso i PAT non hanno potenzialità tali da poter ambire al riconoscimento comunitario DOP o IGP - produzioni limitate in termini quantitativi e localizzate in aree territoriali molto ristrette, scarsa redditività, limiti merceologici alla commer-cializzazione, ecc. - ed incontrano molte riserve in sede di Unione Europea sulla possibilità di essere registrati come marchi collettivi pubblici quando contengono nomi geografici; l’origine geografica, come accennato, è prerogativa delle DOP/IGP o può essere comunicata con un marchio collettivo solo se privato.

L’elenco dei PAT relativo alla Basilicata conta 73 prodotti (Tab. 3), soprattutto trasformati, pari all’1,6% dell’intero paniere italiano (4.512)11e al 5,4% del paniere delle regioni del Sud e delle Isole (1.340 prodotti).

Tabella1.3-IprodottiagroalimentaritradizionalidellaBasilicataBevande analcoliche, distillati e li-quori

liquore al sambuco di Chiaromonte

Carni (e frattaglie) fresche e loro pre-parazione

Agnello delle dolomiti lucane, capocollo, carne podalica lucana, ge-latina di maiale, involtini di cotenna, lardo, ncandarata, pancetta, pezzente, prosciutto crudo, salsiccia, salsiccia a catena, soppressata, ungrattnoat

Formaggicaciocavallo, cacioricotta, caprino, casieddo o casieddu, falagone, manteca, mozzarella, padraccio, pecorino, pecorino misto, scamorza, toma, treccia dura

Prodotti ortofrutticoli (vegetali allo stato naturale o trasformati)

Fagiolo di Muro Lucano, fagiolo di San Gaudioso, fagiolo zeminelle, farina di germana “iermana”, farina di granone “quarantino”, farina di mischiglio, farina di carosella, lampascioni, lenticchia di Potenza, lupino del Pollino, ndussa, oliva da forno di Ferrandina, olive nere secche, patata rossa di Terranova del Pollino, peperoni cruschi, pomo-doro secco “cietta ‘icale di Tolve”, pomodori sott’olio, rafano, risciola

Paste fresche e prodotti della panet-teria, della biscotteria, della pastic-ceria e della confetteria

Biscotto a otto di Latronico, biscotti glassati, calzoni di ceci, carchio-la, cicerata, gelatina dolce di maiale, gugliaccio di San Costantino Albanese, la strazzata, migliaccio, mostaccioli, pane di germana “ger-mana”, picciddat castelluccese, pizza con i cingoli di maiale, pizza rustica (cazzola, scarcedda, cuzzola), polenta di Nemoli, raskaiell di legumi di fardella, ravioli, rosacatarra, sanguinaccio, shtridhla, tim-pallo rustico del Pollino, ù zuzumagliu

Prodotti di origine animale (miele, prodotti lattiero-caseari di vario tipo escluso burro)

miele lucano (r’miel), ricotta, ricotta forte, ricotta salata

Fonte: Elenco nazionale dei prodotti agroalimentare tradizionali, MIPAAF, decima revisione, 2010.

11 http://www.politicheagricole.it/ProdottiQualita/ProdottiTradizionali/default.htm

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Capitolo 1

Le specialità che presentano un peso maggiore nel paniere lucano (Fig. 2) sono i prodotti della panetteria e della pasticceria (31%), seguiti da prodotti orto-frutticoli (26%), carni e salumi (19%) e formaggi (18%).

Figura1.2-ProdottiagroalimentaritradizionalidellaBasilicatapercategoria

Fonte: elaborazioni INEA sull’Elenco nazionale dei prodotti agroalimentare tradizionali del MIPAAF, decima revisione, 2010.

Per alcuni di questi prodotti, ragioni soprattutto economiche (bassa red-ditività, carenza di materie prime di qualità, delocalizzazione, mancanza di no-torietà presso i consumatori, scomparsa di artisti - artigiani conoscitori unici di ricette) stanno incidendo sulla loro stessa esistenza; altri, invece, pur avendo una caratterizzazione territoriale legata ad aree piccolissime riescono a so-pravvivere posizionandosi in nicchie di mercato caratterizzate da estimatori. Altri prodotti, come soppressata, ricotta, miele, presentano potenzialità quali-quantitative tali da poter ambire al riconoscimento comunitario ma risentono in modo particolare della polverizzazione aziendale - criticità mutuata dall’intero settore agricolo italiano - e la massa critica è inficiata dalla scarsa rappre-

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

sentatività dell’associazionismo agricolo, dalla scarsa adesione delle aziende ai principi dell’autoregolamentazione delle norme di qualità e dalle inadeguatezze della contrattazione interprofessionale. Il riconoscimento comunitario, poi, rap-presenta una condizione necessaria ma non sufficiente, se non è adeguatamen-te supportata da una politica di promozione del prodotto stesso.

Nel caso di piccole produzioni con una vendita locale, è indispensabi-le cogliere le potenzialità del territorio e valorizzare la multifunzionalità delle aziende agricole attraverso iniziative utili anche a conoscere e visitare lo stesso e sviluppare offerte commerciali complementari con altri prodotti.

In ogni caso, occorrono interventi istituzionali volti a favorire, da un lato, il miglioramento strutturale, l’acquisizione di competenze e professionalità e lo sviluppo dell’associazionismo per favorire le sinergie potenziali tra gli ope-ratori delle filiere produttive, sviluppare progetti finalizzati e contenere i costi di produzione e, dall’altro, interventi volti a migliorare i rapporti con il mercato, quali l’attività informativa, la promozione, la tutela e l’attività di negoziazione e vendita.

La Regione Basilicata,l’azione dell’Alsia e dei Gal nell’ambito dell’attua-zione del Programma Leader negli ultimi anni, ha portato avanti diversi pro-getti con l’obiettivo di caratterizzare e valorizzare le produzioni agroalimentare lucane, puntando sui valori della naturalità, genuinità e tradizionalità e sullo strumento della rintracciabilità dei prodotti. In questo modo la Regione ha vo-luto rafforzare e comunicare il legame della qualità e della riconoscibilità dei prodotti con le aree di origine.

1.4 Iprodottitipiciamarchiocollettivo

Nella moderna distribuzione si registra, da alcuni anni, la crescita dei prodotti a marchio commerciale e a marchio collettivo, soprattutto prodotti or-tofrutticoli12 - specificatamente nei centri urbani di grandi dimensioni del Cen-tro Nord - con la creazione di linee di private label (marchio di insegna del distributore) e l’espansione di prodotti biologici e integrati. I produttori a mar-chio si concentrano nel Nord Italia, dove sono diffuse forme di associazionismo,

12 Nel comparto ortofrutticolo, in generale, vi è la mancanza di una politica di marca che sia realmente percepita e che possa ridurre la percezione di insicurezza che attualmente il consumatore associa all’ortofrutta. Ma, in generale, la vera marca per i prodotti privi di brand è la scelta qualitativa della catena distributiva, perché il consumatore identifica il prodotto con la catena stessa e quindi asse-gna al prodotto il marchio del retailer, che è una garanzia per favorire l’acquisto.

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Capitolo 1

mentre al Sud l’offerta appare poco strutturata, ad esclusione di poche realtà, dove spiccano, in particolare, alcune cooperative biologiche in Basilicata13.

Box5–Ilmarchiocollettivo

Si caratterizza per la separazione tra uso e titolarità del marchio e può essere:

1) marchio collettivo geografico (di natura privatistica) - può prevedere l’uso di toponimi (nazione, regione, provin-cia, città, monte, lago, fiume, podere); è assoggettato alle norme del Codice Civile e del codice della proprie-tà industriale (d. lgs. 30/05), in attuazione della Direttiva 89/104/CEE art. 15 punto 2 e del Regolamento (CE) n. 40/94 art. 64; è attribuito a soggetti rispettosi di un disciplinare; svolge funzione di garanzia di origine, natura e qualità; costituisce patrimonio comune di tutti i produttori di un determinato luogo, i quali hanno diritto a usarlo. Può essere:

marchio dei Consorzi di tutela dei prodotti tipici - è un marchio collettivo affidato in gestione, in seguito a legge nazionale, a Consorzi di tutela privati costituiti ai sensi dell’art. 2602 del c.c: i Consorzi svolgono funzioni di tutela, promozione, valorizzazione, informazione del consumatore e di cura generale degli interessi relativi alle denominazioni geografiche (DOP e IGP);

marchio d’area - marchio di Consorzio d’area promosso da soggetti privati (Associazioni di produttori, Consorzi di imprese, Unioni volontarie), localizzato in una zona delimitata per svolgere attività esterne di promozione e vendita dei prodotti delle imprese consorziate tramite un ufficio comune (art. 2612 c.c.);

marchio collettivo geografico (di natura pubblica) - esclude l’uso di toponimi; può essere istituito per legge; è attribuito a soggetti rispettosi di un disciplinare; svolge funzione di garanzia o di certificazione, attestando i caratteri qualitativi (igiene, sicurezza, elevati standard di qualità mercantile, rintracciabilità della materia prima) dei prodotti che se ne fregiano ma non l’origine territoriale della materia prima o la provenienza delle aziende di produzione, trasformazione e commercializzazione, dovendo essere aperto a tutte le imprese comunitarie ed extracomunitarie in regime di equivalenza. Può essere:

marchio regionale istituito con legge regionale anche per più categorie merceologiche di prodotto per valorizzare le produzioni agricole locali, in genere ottenute dai programmi di agricoltura integrata che utilizzano metodi e mezzi produttivi che riducono al minimo l’uso delle sostanze chimiche di sintesi e razionalizzano la fertiliz-zazione, nel rispetto dei principi ecologici, economici e tossicologici;

marchio istituito con provvedimenti delle Amministrazioni locali e di cui sono titolari le Camere di Commercio per valorizzare le produzioni agricole tipiche dei territori di Province, Comunità montane, Comuni, Enti parco e altri Enti locali;

marchio d’area - marchio di Consorzio d’area promosso da soggetti pubblico-privati.

Il marchio collettivo tende a unire il concetto di qualità insito nell’origine e nella natura del prodotto a quello di qualità indotta, ovvero legata alla marca (Box 5). Il marchio collettivo, infatti, è un marchio commerciale che funge da ombrello sotto il

13 La Basilicata è la prima regione in Italia per percentuale di superficie destinata alle colture biolo-giche, con il 20,7% della SAU (Superficie agricola utilizzata), pari a 112.289 ettari su 542.256 ettari totali, mentre, per estensione, si colloca alle spalle di Sicilia (206.546 ettari) e Puglia (140.176 ettari). Il numero delle aziende iscritte all’Albo regionale dei Produttori e Preparatori Biologici è di 3.352 unità (dati Sinab, 2011).

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

quale si raccolgono numerosi produttori di piccole dimensioni, spesso promosso da associazioni di produttori (consorzi, cooperative) e unioni volontarie che garantisco-no la corrispondenza tra il marchio (concesso agli associati) e le caratteristiche del prodotto, assicurando il mantenimento di standard rispondenti a un disciplinare di produzione appositamente predisposto.

Diverso è il caso del marchio collettivo pubblico; questo può essere istituito, ad esempio, con legge regionale, anche per più categorie merceologiche di prodotto, e attribuito a enti o associazioni (pubblici o privati) per identificare produzioni agricole locali. Il marchio regionale viene concesso in uso ai produttori locali, i quali aderisco-no agli obblighi e alle condizioni previste dalla stessa legge istitutiva e alle caratteri-stiche qualitative codificate nei disciplinari di produzione, appositamente predisposti.

Il marchio regionale, in particolare, è volto a consolidare l’immagine della Re-gione quale garante della qualità intrinseca del prodotto dovuta a determinati metodi produttivi o metodiche di lavorazione tradizionali dell’area, in modo da mantenere e incrementare i livelli di notorietà e di penetrazione sul mercato, acquisiti nelle zone di maggior interesse commerciale. La Regione, pertanto, non si limita all’attività le-gislativa ma si occupa del finanziamento totale o parziale dell’attività legata all’uso del marchio e interviene anche sugli aspetti organizzativi e gestionali con azioni di marketing collettivo. L’utilizzo del marchio regionale, inoltre, ha l’obiettivo di miglio-rare la remunerazione del prodotto a seguito di un’accresciuta notorietà nell’ambito dei consumatori a reddito medio-alto.

A livello locale risulta diffusa la De.C.O (Denominazione Comunale di Origine) ce attesta l’origine del prodotto e la sua composizione, rilasciata dai Comuni nell’am-bito dei principi sul decentramento amministrativo (legge 142/90) che conferisce loro la possibilità di disciplinare la valorizzazione delle attività agroalimentare tradizionali presenti sul loro territorio. Pur configurandosi come un marchio collettivo pubblico di cui viene concesso il diritto d’uso ai produttori che rispettano determinate regole, in realtà la De.C.O. rappresenta un semplice certificato di origine rilasciato dal Consi-glio comunale e non un marchio di qualità.

Negli ultimi anni, l’utilizzo dei marchi collettivi per la valorizzazione dei pro-dotti agricoli e alimentari ottenuti con tecniche di produzione integrata e dei marchi collettivi per la valorizzazione dei prodotti tipici, hanno segnato le strategie di valoriz-zazione dei prodotti di associazioni o cooperative di produttori e dei prodotti agricoli regionali.

La maggior parte delle Regioni ha emanato norme in cui si specifica che la Re-gione stessa è autorizzata a richiedere il brevetto all’Ufficio italiano brevetti e marchi per l’istituzione di marchi collettivi. Tuttavia, non sono molte le Regioni che hanno re-

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Capitolo 1

gistrato i marchi collettivi e, conseguentemente, emanato i regolamenti d’attuazione per la licenza d’uso; spesso, infatti, le funzioni amministrative relative alla gestione dei marchi collettivi istituiti con legge regionale, compreso il rilascio della licenza d’uso, sono svolte dalle Camere di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura (CCIAA).

Tra i marchi regionali più conosciuti si citano “Qc - Qualità controllata” in Emilia-Romagna, “Agriqualità” in Toscana e “Agricoltura Ambiente Qualità” in Friuli-Venezia Giulia, tutti finalizzati alla valorizzazione delle produzioni da agricoltura in-tegrata. Come accennato (Box 5), il sostegno pubblico a un marchio collettivo regio-nale i cui requisiti avessero tra gli effetti la limitazione della concessione in funzione dell’origine della materia prima o della provenienza delle aziende di produzione, tra-sformazione e commercializzazione, configurerebbe una violazione della normativa comunitaria in materia di concorrenza, in quanto il marchio sarebbe suscettibile di favorire indebitamente i prodotti regionali (dunque nazionali) a scapito dei prodotti provenienti da altri Stati membri. Così, la legge 15 aprile 1999, n.25, della Regione Toscana, approvata dopo una lunga concertazione con Bruxelles, ha dovuto prevede-re l’attribuzione del marchio collettivo “Prodotto da agricoltura integrata certificato dalla regione Toscana” per tutti i prodotti agricoli che risultino conformi al discipli-nare di qualità approvato indipendentemente dal luogo di origine; ne deriva che un produttore francese potrebbe chiedere di far certificare dalla Regione Toscana un salume prodotto in Francia. Secondo l’Unione Europea, pertanto, ogni imprenditore comunitario deve avere accesso al marchio collettivo senza limitazioni di carattere territoriale; la qualità del prodotto, inoltre, non deve dipendere dall’origine geografi-ca (questo legame, infatti, è tutelato esclusivamente dalle DOP/IGP, reg. CE 510/06), ovvero il marchio collettivo geografico pubblico non deve attestare una dipendenza delle caratteristiche qualitative del prodotto dal territorio d’origine.

La creazione del marchio collettivo finalizzato allo sviluppo dell’immagine col-lettiva del prodotto locale di qualità (prodotti tipici certificati), che in alcuni casi ha riguardato anche i prodotti della gastronomia attraverso il circuito della ristorazione collettiva, è di più recente diffusione e può essere promosso dalle Regioni e - come avviene frequentemente - dalle Camere di Commercio per il tramite degli Assesso-rati provinciali e comunali (INDIS, 2003). Anzi, a livello provinciale, spesso le Camere di Commercio sono titolari dei marchi collettivi pubblici.

Negli ultimi anni, in particolare, per promuovere i prodotti tipici di territori ru-rali delimitati e costruirne la notorietà presso i consumatori, si sono diffusi i marchi collettivi realizzati dai Consorzi d’area, costituiti tra soggetti pubblici (Province, Co-munità montane, Enti parco, ecc.) e imprese agricole di produzione e trasformazione

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

locali, soprattutto nelle aree dei Gruppi di azione locale nell’ambito dell’iniziativa co-munitaria Leader e nei territori all’interno dei Parchi Nazionali o Regionali. L’obiet-tivo, di più ampia portata rispetto alla sola valorizzazione e promozione dei prodotti tipici e di qualità certificati, è quello di innovare il sistema locale realizzando, attraver-so forme di partenariato misto pubblico-privato, servizi ricreativi, ricettivi, ambientali e professionali per dare visibilità al territorio e promuoverne lo sviluppo attraverso il marchio d’area.

Il marchio d’area è un marchio collettivo (cfr. Box 5) che rende immediata-mente riconoscibile tutto ciò che proviene dall’area e ne definisce la sua identità: prodotti della tradizione, artigianato locale, bellezze culturali e ambientali, strutture ricettive e ricreative. Riguardo alle produzioni agroalimentare locali, ne rafforza la qualità intrinseca, con la definizione di disciplinari di prodotto e la realizzazione di un sistema di controlli, a garanzia dei produttori e dei consumatori. Il Consorzio sup-porta i produttori che aderiscono al marchio d’area, svolgendo attività di promozione e vendita dei prodotti delle imprese consorziate per il tramite di un ufficio comune e realizzando azioni formative per creare professionalità. Il marchio d’area può anche interessare i prodotti di imprese consorziate che producono prodotti con metodo bio-logico ai sensi del reg. (CE) n. 834/07 in una zona delimitata.

È bene ricordare, a coronamento degli argomenti trattati in questo capitolo, che il marchio aziendale (brand) è la massima espressione sintetica di un insieme di valori che l’impresa vuole trasmettere al mercato e al consumatore; la percezio-ne che il consumatore ha del livello qualitativo del prodotto commercializzato con quel marchio rappresenta la “reputazione” di quel marchio e dunque la reputazione dell’impresa ad esso associata14. Questo vuol dire che il successo di un marchio indi-viduale di un bene indifferenziato di largo consumo oppure di un prodotto tipico non dipende tanto dalla qualità del bene del singolo produttore quanto dalla percezione che il consumatore ha della qualità del bene, ovvero dalla capacità del titolare del marchio - che è il produttore - di conquistare la fiducia del consumatore; come dire che un prodotto a marchio aziendale, supportato da adeguate strategie di marketing, è percepito come un prodotto di qualità perché il consumatore ha fiducia nell’azienda che lo produce. Invece, il successo di un marchio collettivo dipende dalla capacità del titolare (soggetto privato o pubblico) di garantire al consumatore la qualità di quei beni (prodotti tipici, prodotti da agricoltura integrata, prodotti biologici) da esso contraddistinti, perché il consumatore non conosce l’identità del singolo produttore.

14 Un prodotto viene reputato di marca non per il logo ma per l’opinione che il mercato ne ha e per lo status che conferisce al proprietario; il brand rappresenta non solo l’anima del prodotto ma lo specchio della reputazione aziendale nel mercato (Muzzarini, 2007).

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Capitolo 2

CAPITOLO 2

TERRITORIO, PRODOTTI, QUALITA’ E AGROBIODIVERSITA’

2.1 L’agrobiodiversità:patrimoniodellerisorsegenetichevegeta-lieanimalidiunterritorio

Uno dei caratteri distintivi dell’identità italiana, riconosciuto anche a livel-lo internazionale, è il grande e diversificato patrimonio culturale e paesaggistico del paese. Questa varietà si compone anche della complessità e della ricchezza dei beni agroalimentari e tradizionali tipici, frutto di vocazionalità territoriale, di condizioni geo-climatiche favorevoli, della sedimentazione di pratiche e tradizioni storiche e culturali millenarie. Le condizioni geomorfologiche, i differenti paesaggi agrari, le diverse modalità produttive e la grande cultura agricola del nostro paese hanno prodotto nel tempo l’estrema varietà – e la fama internazionale - dei nostri prodotti agroalimentari.

Negli anni l’agricoltura italiana ha subito profonde trasformazioni e innova-zioni, e l’introduzione di forme di produzione intensiva, specie a partire dal secondo dopoguerra, ha favorito il rapido diffondersi di cultivar e razze animali nuove. Molte varietà e razze locali sono state sostituite da altre caratterizzate da maggiore pro-duttività e adattabilità, in linea con le nuove esigenze dei mercati. Le progressive trasformazioni della società e dei consumi hanno determinato l’industrializzazione dei processi agricoli e un nuovo modello produttivo che ha avuto conseguenze e impatti sull’ambiente e sul territorio. In particolare le problematiche maggiori si sono concentrate sulla perdita di sistemi agricoli e forestali, sulla perdita di razze e cultivar locali, sulla rarefazione del patrimonio di conoscenze e culture rurali15. Nel giro di pochi anni si è assistito al preoccupante depauperamento dell’enorme

15 Si stima che solo nell’ultimo secolo più di ¾ di tutte le colture alimentari conosciute si sono estinte. Con queste si è perduto non solo il loro valore alimentare ma anche la loro influenza sulla cultura e sul paesaggio del quale facevano parte come elemento caratterizzante (documenti di accompagna-mento al Trattato Risorse Genetiche Vegetali - RGV sottoscritto in ambito FAO).

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

varietà di produzioni agricole locali e di Agrobiodiversità inteso come patrimonio delle risorse genetiche vegetali e animali utilizzate dall’uomo e da questo coltivate per diversi usi. La diversità biologica in agricoltura che è definita come un sottoin-sieme della diversità biologica generale16 non rappresenta dunque una tematica di stretta pertinenza ambientale ma riguarda strettamente anche il settore primario.

La perdita di agrobiodiversità si traduce anche nell’erosione genetica17, a livello di specie e cultivar locali, che colpisce i diversi agro ecosistemi, già forte-mente minacciati dal peso dell’antropizzazione, dell’inquinamento atmosferico, dei cambiamenti climatici, dell’agricoltura intensiva. L’allarme della perdita di diversi-tà biologica (naturale e agraria) viene messa a fuoco negli anni Novanta18 e con il tempo cresce nel mondo scientifico e nell’opinione pubblica mondiale19 e il 2010 è stato indicato dall’ONU come l’Anno internazionale della biodiversità con celebra-zioni in tutto il mondo finalizzate a stimolare l’inversione di tendenza rispetto alla perdita di patrimonio genetico mondiale.

L’emergenza “erosione genetica” è stata colta, già da alcuni anni, anche a livello di politiche centrali e locali e si assiste oggi ad una rinnovata attenzione per le razze e le cultivar autoctone che è dimostrata dal prolificare di azioni e sostegni finalizzati alla conservazione, salvaguardia e tutela del patrimonio genetico tipi-co20, alla reintroduzione di cultivar e razze locali che nel tempo si sono adattate all’ambiente in cui vivono21. Questo progressivo interesse coinvolge naturalmen-te anche le politiche pubbliche in campo agricolo e di sviluppo rurale. L’esigenza di tutela e conservazione della biodiversità – con marcata attenzione per quella

16 La biodiversità si compone di: diversità genetica, intesa come diversità dei geni entro una specie, diversità di specie, come numero delle specie presenti in un ambiente e diversità degli ecosistemi presenti sul pianeta (RRN - la biodiversità in Italia in http://www.reterurale.it/flex/cm/pages/Serve-BLOB.php/L/IT/IDPagina/411/UT/systemPrint).

17 Per erosione genetica si intende la perdita di diversità genetica all’interno e tra popolazioni di una stessa specie o la riduzione della base genetica di una specie.

18 Nel 1994 in Italia viene ratificata la Convenzione di Rio de Janeiro (legge n. 124/94), tra il 1996 e il 2008 si succedono vari tentativi di definire un Piano Nazionale sulla Biodiversità, nel 2008 viene deli-neata la Strategia Nazionale sulla Biodiversità, nel 2010 viene istituzionalizzata la costituzione di un gruppo di lavoro ad hoc per la compilazione delle linee guida del Piano Nazionale sulla Biodiversità di interesse Agricolo (PNBA) e a fine 2010 vengono stilate le prime linee guida per la conservazione dell’agrobiodiversità vegetale, animale e microbica.

19 La Convenzione sulla Diversità Biologica viene adottata a Nairobi nel maggio 1992.

20 Le più ricorrenti sono azioni di conservazione ex situ (banche del germoplasma) e in situ (in campo) di specie minacciate dall’estinzione.

21 Decreto Legislativo 29 ottobre 2009, n. 149 “ Attuazione della direttiva 2008/62/CE concernente de-roghe per l’ammissione di ecotipi e varietà agricole naturalmente adattate alle condizioni locali e regionali e minacciate di erosione genetica, nonché per la commercializzazione di sementi e di tuberi di patata a semina di tali ecotipi e varietà. (09G0166)”.

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Capitolo 2

agraria - riguarda prevalentemente aspetti di sostenibilità ambientale ma a que-sta è fortemente collegata la consistente rilevanza economica, sociale e culturale delle produzioni agricole e zootecniche tradizionali, testimoniata dall’interesse del consumatore verso prodotti a connotazione locale, capaci di innescare percorsi di sviluppo di piccole economie, con benefici territoriali diffusi.

Mantenere e tutelare l’agrobiodiversità riveste dunque un ruolo che non è solo e strettamente “ambientale” ma coinvolge diversi aspetti: fondamentale per la nutrizione e la salute (Sicurezza alimentare e nutrizionale, riduzione della di-pendenza esterna in campo alimentare, fonte di prodotti per uso medicinale, cibi migliori), per la generazione di nuovi redditi (Diversificazione di prodotti, opportuni-tà di reddito e di lavoro attraverso la riscoperta di tradizioni), per migliorare la fun-zionalità degli ecosistemi (riduzione dell’impatto di pratiche agricole, introduzione di processi di sostenibilità per i sistemi agrari, azione sulla conservazione, sulla fertilità e sulla salute dei suoli, conservazione della diversità delle specie). Infine, non si può prescindere dagli aspetti culturali: tutelare l’agrobiodiversità permette, attraverso la riscoperta della produzione di cultivar e razze tipiche, il mantenimen-to cultura/tradizioni/identità22.

2.2 LabiodiversitàagrariaelapoliticadiSvilupporurale

La conservazione e valorizzazione della biodiversità è uno dei principali obiettivi dell’Health Check della Politica Agricola Comune di recente approvazio-ne23. L’agricoltura, per i suoi aspetti produttivistici e di cura e tutela del territorio, gioca un ruolo strategico nella conservazione della biodiversità nel suo complesso, con particolare attenzione al patrimonio di biodiversità agraria, selvatica e di pae-saggio agroforestale, esercitando un’azione positiva sull’ambiente in generale e sul mantenimento dell’agrobiodiversità e confermando il legame stretto tra agricoltu-ra, ambiente, paesaggio e sviluppo rurale. Questo legame è ancor più evidente con l’affermarsi di nuovi modelli di sviluppo e produzione ecosostenibile basati sull’uso corretto delle risorse, sul recupero culturale delle tradizioni agricole che hanno

22 Negli ultimi anni, nel dibattito scientifico internazionale è stato riconosciuto il concetto di “diversità bioculturale” individuando la cultura e le lingue umane come componente fondamentale della bio-diversità.

23 Nel 2003 la PAC ha subito una profonda riforma che si è conclusa con l’adozione nel 2009 dei nuovi regolamenti a seguito dell’Health Check ( bilancio di salute della PAC) e che hanno individuato quattro sfide su cui concentrare gli sforzi della politica europea: biodiversità, energia pulita, lotta ai cambiamenti climatici, risparmio idrico e tutela delle acque.

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caratterizzato (e caratterizzano) la storia del nostro paese, sul rispetto di esigenze ambientali e sociali (ecocompatibili) e sulla esigenza di valorizzare le produzioni di qualità.

I modelli di sviluppo e produzione eco-sostenibile si stanno affermando an-che nelle aree più marginali, attraverso politiche di stimolo e promozione capaci di aggregare sistemi e produzioni territoriali per rilanciare non solo i prodotti ma l’intero sistema socioeconomico locale, con i suoi valori e le sue tradizioni24. Gli ul-timi anni, in particolare hanno visto la progressiva crescita di politiche integrate che favoriscono forme di agricoltura sostenibile orientate a determinare benefici per la biodiversità, evitare l’abbandono e la marginalizzazione di aree agricole, mantenere il presidio sul territorio, rivitalizzare le aree rurali.

Lo slogan del “made in Italy”, che, a partire dagli anni ‘50 riguardava sostan-zialmente il manifatturiero, viene utilizzato oggi, in maniera massiva anche per il settore primario; e se inizialmente riguardava alcuni prodotti di eccellenza e largo consumo (ad es. Parmigiano Reggiano, Grana Padano, Prosciutto di Parma, …) ne-gli anni ha progressivamente investito produzioni anche di piccola dimensione ma con una forte caratterizzazione e identificazione territoriale. Le politiche di qua-lità dei prodotti agroalimentari promosse dall’UE25 a partire dagli anni ‘90 hanno contribuito fortemente alla loro valorizzazione stimolando nei mercati – nei con-sumatori – la ricerca di ciò che viene altrimenti definito “tipicità”. Tra gli elementi di qualità dei prodotti agroalimentari nella percezione dei consumatori, infatti, la tipicità assume un ruolo fondamentale insieme alle caratteristiche commerciali e igienico sanitarie che, invece, vengono percepite come prerequisito imprescindibi-le. Ne deriva dunque che concetto di qualità e tipicità sono fortemente connessi26. I prodotti tipici, a loro volta, vengono percepiti come legati a territori di eccellenza dal punto di vista ambientale, paesaggistico, culturale, sintesi di territori e comunità in grado di esprimere valori materiali e immateriali positivi e riconoscibili facilmente dai consumatori. In altre parole, un’agricoltura che produce tipico produce qualità, conserva biodiversità, sviluppa il territorio e ne comunica i valori.

24 Si pensi ad esempio alle politiche di promozione dello sviluppo locale, in particolare al programma Leader che interviene nelle aree rurali con interventi integrati e multisettoriali.

25 Anche a livello nazionale sono state promosse azioni finalizzate alla tutela e al recupero di produ-zioni tradizionali con forti legami culturali. Si pensi all’Elenco Nazionali dei Prodotti Agroalimentari tradizionali elaborato dal Ministero delle Politiche Agricole con la collaborazione delle Regioni che riporta produzioni e ricette con regole tradizionali di almeno 25 anni (oggi è in vigore la X Edizione).

26 Si veda nota bibliografica al capitolo 1 (Maccioni, 2009).

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Capitolo 2

2.3 Letipicitàlucane:conservazionedell’agrobiodiversità,tradi-zione,valorizzazionedelterritorio

La Regione Basilicata si caratterizza dalla presenza di ecosistemi e agro-ecosistemi di elevato pregio, con territori ancora integri dal punto di vista ambien-tale e ad elevata biodiversità con presenza di risorse genetiche vegetali ed animali di interesse locale.

Le condizioni di relativo isolamento di alcune aree interne, determinato dalla scarsità di reti di comunicazione, hanno costituito microambienti nei quali nel tem-po sono state selezionate specie, varietà, ecotipi autoctoni caratteristici conservati da micro comunità. A questi, che oggi rischiano di essere persi, sono maggiormen-te dedicati gli interventi di sostegno della politica regionale (si veda PSR Basilicata 2007-13, Misura 214 Azione3).

L’agrobiodiversità che si osserva oggi nella regione, determinata da fattori culturali e dall’adattamento delle specie all’ambiente nel tempo, ha portato allo sviluppo di colture agrarie locali diversificate che necessitano di azioni di sostegno per costituire una base produttiva necessaria a promuovere il territorio attraverso prodotti della tradizione agraria e agroalimentare locale.

La politica regionale di sviluppo rurale, attraverso il suo strumento operativo (PSR 2007-13) prevede azioni specifiche in grado di preservare tale patrimonio di agrobiodiversità. Le azioni in questo campo sono concentrate in particolare nel-la Misura 214 “Pagamenti Agroambientali” che, con una dotazione di 214 Milio-ni di euro, prevede l’introduzione di metodi di produzione rispettosi dell’ambiente (agricoltura biologica e integrata), la conservazione delle risorse paesaggistiche e ambientali, la conservazione di risorse genetiche per la salvaguardia della biodiver-sità, interventi per mantenere l’agrobiodiversità.

A livello nazionale le politiche degli ultimi venti anni, che abbracciano e lega-no territorio, qualità dei prodotti, produzioni tipiche e agrobiodiversità locale hanno concentrato l’attenzione su diversi aspetti: - la pianificazione strategica dei territori e delle singole produzioni agroali-

mentare, quali ad esempio i distretti rurali e agroalimentari di qualità, ma anche tipologie meno formalizzate, sistemi aggregati come le strade (del vino, dell’olio, …), percorsi di turismo rurale;

- l’integrazione tra le filiere (marchi territoriali e regionali, panieri di prodotti agroalimentari tipici, filiera corta e collegamenti con la ristorazione locale, …) e all’interno delle singole filiere (OP, zonizzazioni produttive, strategie col-lettive… );

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- il marketing dei prodotti tipici (strategie di marketing delle produzioni tipiche locali) e di qualità;

- la distribuzione dei prodotti tipici locali, la comunicazione e il ruolo dell’im-magine del territorio e dei produttori;

- le campagne informative per orientare, in maniera consapevole, le scelte del consumatore su prodotti agroalimentari di qualità, prodotti biologici, prodotti tipici, turismo enogastronomico;

- la valorizzazione delle risorse e la cultura dell’alimentazione (aspetti cultu-rali del cibo e delle produzioni come strumenti per la valorizzazione dell’agri-coltura e del territorio);

- i nuovi modelli di produzione e sostenibilità e i sistemi agroalimentari e agro-forestali sostenibili;

- la qualità e l’innovazione agroalimentare, la salubrità e naturalità dei cibi.Il perseguimento di queste politiche acquista maggior vigore in una regione,

la Basilicata, in cui il settore primario riveste un’importanza rilevante di gran lunga superiore a quella della media nazionale (5,8% PIL regionale a fronte della media nazionale del 2%)27; una regione che è impegnata nella tutela della biodiversità agraria e nella valorizzazione delle produzioni tipiche di qualità come volano per lo sviluppo delle aree rurali e per il rilancio del settore primario locale.

2.4 Tuteladellabiodiversitàagrariaesviluppoproduzionitipichediqualità:alcuniesempiregionali

A sottolineare l’importanza della conservazione di cultivar e razze locali, il mantenimento della biodiversità agraria e il suo collegamento diretto con le produ-zioni tipiche di qualità si riportano alcuni esempi regionali capaci di esplicitare in maniera immediata il legame tra esigenze di tipo produttivo, ambientale e socioe-conomico.

Il collegamento tra tutela della biodiversità e valorizzazione di prodotti di qualità è immediato nei prodotti regionali a presidio Slow Food28. Dal 1986 la Fonda-zione Slow Food per la Biodiversità Onlus sostiene e promuove un’agricoltura so-stenibile, rispettosa dell’ambiente e delle tradizioni dei territori rurali. Per questo, tra le sue iniziative, ha istituito i Presìdi, degli esempi virtuosi di economie di nicchia

27 Dati Centro Studi Unioncamere di Basilicata. 28 I presidi Slow food in Basilicata sono: Caciocavallo podolico della Basilicata, Pezzente della monta-

gna Materana, Melanzana rossa di Rotonda ed oliva infornata di Ferrandina.

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Capitolo 2

di prodotti agroalimentari provenienti da piccole comunità territoriali e da piccoli produttori. In tutta Italia ve ne sono 177 di cui 4 in Basilicata. In genere, per i prodot-ti ortofrutticoli, si tratta di cultivar locali che si stavano estinguendo e che grazie al riconoscimento e tutela sono stati rilanciati allontanando il rischio di estinzione; la stessa attenzione Slow food la concentra sui “piatti” e sui prodotti della tradizione, che si stanno estinguendo per la perdita di conoscenze e procedimenti tramandati.

In Basilicata, in particolare, questo è avvenuto con la Melanzana Rossa di Rotonda che è tutelata come Presidio Slow Food, quale esempio di biodiversità da proteggere e conservare; è’ una varietà di origine etiopica (Solanum aethiopicum) che cresce solo nella Valle del Mercure, nel Parco Nazionale del Pollino. Per le sue particolarità (è poco versatile rispetto alle melanzane che solitamente si acquista-no nei mercati) e le difficoltà di commercializzazione la sua produzione si stava per-dendo, rimanendo circoscritta a poche famiglie che per tradizione ne conservavano la coltivazione. Grazie all’intervento di Slow Food la rilevanza data a questo prodotto è cresciuta e con essa la produzione. La Melanzana rossa di Rotonda viene prodotta e commercializzata, come prodotto fresco e trasformato ed è diventato il prodotto simbolo dell’area in cui si produce. Oggi la Melanzana Rossa è l’unica melanzana in Italia a fregiarsi del marchio Dop.

Altro esempio di legame diretto tra agrobiodiversità locale e produzioni di qualità in Basilicata è costituito dal Caciocavallo Podolico29. Il Presidio del Cacio-cavallo Podolico della Basilicata nasce per opera dell’Anfosc, l’associazione che riunisce i produttori di formaggio che allevano gli animali al pascolo. L’azione di sostegno e il riconoscimento del Presidio ha l’obiettivo di riattivare la filiera produt-tiva: incrementare l’allevamento della vacca di razza Podolica in Basilicata come razza dalla doppia attitudine, carne e latte; mettere a disposizione degli allevatori-produttori un caseificio e attrezzare le grotte per stagionare i caciocavalli. Ma per fare tutto questo occorre che le vacche Podoliche ottengano le quote latte necessa-rie per mettere a norma la produzione e la commercializzazione del caciocavallo, rendendo utile e profittevole l’allevamento.

Un altro esempio è dato dal pecorino di Filiano che deve la sua qualità al processo di trasformazione tradizionale, alla razza autoctona delle pecore utiliz-zate per la mungitura, alle rinomate qualità e varietà delle erbe del pascolo che conferiscono al prodotto le specifiche qualità organolettiche. La razza autoctona utilizzata per la produzione è la merinizzata che ha trovato canali di valorizzazione differenti anche per le sue carni (si veda ad esempio il conferimento del marchio

29 http://www.ssabasilicata.it/CANALI_TEMATICI/Educazione_alimentare/Menu3/Presidi/slow_0004.html

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d’area “Agnello delle dolomiti lucane”)30. La storia di tre Fagioli rinomati, il fagiolo di Sarconi (IGP dal 1996) prodotto nell’area della Val d’Agri, il fagiolo poverello e il bianco di Rotonda, prodotti nell’area del Parco Nazionale del Pollino completa-no questo brevissimo e non esaustivo panorama regionale che rende esplicito il collegamento tra conservazione delle varietà locali, promozione dell’agricoltura di qualità e sviluppo socioeconomico del territorio.

“I produttori delle eccellenze agroalimentari lucane, forti di una terra incon-taminata e di cibi genuini, hanno fissato la tradizione agricola ed eno-gastronomica sotto l’egida dei marchi europei di qualità e delle regole di precisi disciplinari di pro-duzione. Questo fa in modo che la scelta dei prodotti lucani sia anche una maniera per gustare al tempo stesso passato e futuro di una terra”31.

Questo è il messaggio di presentazione che l’ALSIA Agenzia Regionale per lo sviluppo Agricolo fa, sulla home page del sito www.alsia.it dei prodotti tipici lucani, caratterizzando le produzioni tipiche rispetto a valori quali la qualità, la genuinità, la valenza ambientale di una terra incontaminata, la capacità di veicolare anche la cultura e le tradizioni millenarie di una regione. Il collegamento con la biodiversi-tà agraria locale è molto stretto e l’ALSIA, da sempre molto attenta alle esigenze di conservazione e recupero dell’agrobiodiversità e del patrimonio locale, ha con-dotto diverse azioni finalizzate al recupero di ecotipi e varietà locali - fortemente caratterizzanti la cultura dei luoghi - soggetti ad erosione genetica che altrimenti sarebbero andate incontro all’estinzione. Due tra le azioni più significative riguar-dano il recupero dell’Arancia Staccia ed il repertorio di Agrobiodiversità del Pollino. La prima riguarda un progetto che prevede diversi interventi di tutela, recupero e valorizzazione di ecotipi locali, tra cui anche il pero e il percoco, condotti dall’Alsia di Metaponto – Azienda sperimentale Pantanello. Il progetto Valautocto, finanziato inizialmente dal Mipaaf e poi proseguito nell’ambito delle attività proprie dell’Alsia, ha permesso di recuperare 12 ecotipi32 alcuni dei quali con caratteristiche produt-tive e pomologiche interessanti e tra le quali, in campo agrumicolo, spicca appunto la varietà Staccia. La coltivazione degli agrumi in Basilicata ha origini molto antiche nelle valli dei fiumi Agri e Sinni c’è stata una diffusa coltivazione di aranci con la selezione di ecotipi locali molto utilizzati ancor oggi dalla popolazione in quanto fa-centi parte del patrimonio culturale e gastronomico locale. La Staccia è una varietà

30 Per una descrizione di questa esperienza si veda il successivo Capitolo 3

31 http://www.ssabasilicata.it/CANALI_TEMATICI/Educazione_alimentare/

32 Carmelo Mennone, atti del IV CONVEGNO NAZIONALE PIANTE MEDITERRANEE di Nova Siri (MT), 8-10 Ottobre 2009.

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Capitolo 2

molto particolare: ha una forma oblata e schiacciata ai due poli, una buccia grossa, senza semi ed ha un peso medio molto elevato intorno ai 300g per frutto. Quest’ul-tima caratteristica la rende poco attraente per il mercato che cerca pezzature più ridotte e per tale ragione questa varietà viene gradualmente rimpiazzata da al-tre più facilmente commercializzabili. Negli ultimi anni sono state censite sparute piante, appartenenti a diversi agricoltori e non vi era una coltivazione apprezzabile tanto che il rischio erosione genetica era diventato elevato. L’azione di tutela pro-mossa dall’Alsia ha visto, oltre ad azione di studi e analisi, la creazione di un campo catalogo presso l’azienda sperimentale del metapontino, unitamente ad azioni di valorizzazione economico-produttiva: dal 2006 si è attivato infatti un progetto per la creazione di un Consorzio, con lo scopo principale di richiedere la tutela e il ricono-scimento comunitario della DOP.

L’altro progetto interessante condotto dall’Alsia del Pollino ha previsto la re-alizzazione di un censimento sul patrimonio di agrobiodiversità del Parco Nazio-nale del Pollino, indagando in particolare sulle cultivar tipiche ancora presenti o a rischio di estinzione in un’ottica di conservazione, recupero e valorizzazione. Il lungo lavoro di ricerca e mappatura delle risorse genetiche di interesse agricolo del Parco Nazionale del Pollino33 ha riguardato agli alberi da frutto, le ortive e i cereali. Lo scopo del progetto è quello di favorire lo sviluppo agroalimentare, forestale e ru-rale, compresa una mappatura completa dei prodotti tipici del Parco. Il monitorag-gio della biodiversità di interesse agricolo, basato sull’applicazione del metodo ge-ografico e aggiornato con tecnologie informatiche34, ha consentito la produzione di una banca dati e di mappe che rappresenteranno uno strumento di localizzazione e monitoraggio di entità vegetali di grande valore per lo sviluppo rurale, in alcuni casi con elevato grado di vulnerabilità (in questi casi si prevede l’intervento con azioni di moltiplicazione e conservazione del germoplasma in aziende sperimentali o pres-so aziende custodi della rete di conservazione locale). La finalità socioeconomica è chiara: una volta effettuata la mappatura si prevede anche la sensibilizzazione della popolazione e la promozione dell’uso di cultivar autoctone, riscoprendone le caratteristiche e promuovendone la produzione. Il progetto, in definitiva, coniuga esigenze di conservazione e tutela con esigenze di sviluppo socioeconomico del-le aree interne in una logica che parte dalle specificità colturali e si traduce nel mantenimento di specificità culturali e di identità dei territori, valori oggi al centro dell’attenzione comune.

33 Per approfondimenti sul progetto di ricerca si veda il portale dedicato: www.biodiversitapollino.it

34 Il progetto ha visto la collaborazione del CNR sezione di Bari

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Capitolo 3

CAPITOLO 3

POLITICHE E PRODUZIONI DI QUALITA’ IN BASILICATA

3.1 Lepoliticheregionalidivalorizzazionedelleproduzionilocali

Il territorio rurale e le sue produzioni tipiche sono uno dei patrimoni più suggestivi della cultura di una regione, che rievocano un sapere fatto di tempo e di perizia. Per la Basilicata, territorio rurale ricco di aree vocate, la tutela e la promozione di questa ricchezza possono diventare una grande opportunità di sviluppo.

Nel corso degli ultimi anni l’attenzione della politica alla valorizzazione delle produzioni locali è cresciuta, sia a livello nazionale che comunitario, insie-me alla consapevolezza della necessità di promuovere il territorio attraverso le sue specificità, anche culinarie e gastronomiche.

In Basilicata, così come precedentemente evidenziato, nell’ultimo decen-nio si è attivato un percorso virtuoso che ha portato al riconoscimento di diversi prodotti certificati DOC, DOP e IGT, anche grazie all’azione dei Servizi di Sviluppo Agricolo e dell’ALSIA, attraverso una fase di coinvolgimento del tessuto produttivo locale, che ha consentito anche la rivalutazione di prodotti, quali ad esempio la melanzana rossa di Rotonda, a rischio di estinzione. Alla loro valorizzazione si è provveduto poi anche mediante l’utilizzo delle risorse finanziarie dedicate sia nel POR Feoga 2000/2006 che nel PSR 2007/2013, e negli aiuti di stato35, relative alla partecipazione volontaria ai sistemi di certificazione, tesi a garantire la traccia-bilità dei prodotti e la promozione dei prodotti tipici. Le risorse finanziarie spese con il POR Feoga 2000/2006, cioè 9.953 Meuro, poco superiore al 2% dell’intera dotazione finanziaria del programma (386.500 Meuro), non hanno inciso significa-tivamente sulla commercializzazione dei prodotti agricoli di qualità e “rimangono da attivare le linee di intervento finalizzate all’introduzione di marchi di qualità

35 L.R. n. 18/2008 – art. 16

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nazionali e comunitari dei prodotti agricoli”36. Nel PSR 2007/2013 la misura 132 che tende ad incentivare la partecipazione degli agricoltori a sistemi di qualità ali-mentare di incentivazione è stata inserita nell’ambito dei progetti integrati di filiera, allo scopo di valorizzare le produzioni tipiche in una logica integrata di sviluppo del comparto, lasciando comunque la possibilità di accedere ai finanziamenti anche a singoli imprenditori che vogliano implementare la qualità delle loro produzioni e garantirne la tracciabilità. Nell’ambito del PIF la dotazione finanziaria è di 8.469 Meuro.

In Basilicata sono presenti anche molti prodotti tradizionali che raccontano la storia di un territorio e tramandano gli usi e i costumi delle popolazioni che vi hanno vissuto. In applicazione del Decreto Ministeriale n. 350 dell’8 settembre 1999, il Dipartimento Agricoltura ha individuato, aggiornato annualmente e catalogato i prodotti agroalimentari tradizionali (PAT), alla cui pubblicizzazione si è provveduto, negli anni passati, mediante campagne informative e pubblicazioni divulgative che ne illustrano l’area di produzione, le principali caratteristiche sia organolettiche che merceologiche, nonché il periodo di produzione37. A tali produzioni tipiche e tradizionali, il Dipartimento Agricoltura ha prestato particolare attenzione nella fase di impostazione della progettazione integrata di filiera. Allo scopo di cogliere l’esigenza di quelle filiere che permettono di valorizzare l’agricoltura di qualità dei Parchi e tutti gli aspetti legati alle produzioni tipiche di un territorio (tradizione, cul-tura, salubrità, genuinità, artigianato) ha emanato un “Avviso Pubblico Esplorativo”, pubblicato il 29/12/2009, volto a vagliare la possibilità di un’aggregazione, su scala prettamente territoriale, di un paniere di prodotti appartenenti a comparti differenti ovvero di piccoli produzioni marginali i cui interessi non possono essere rappresen-tati all’interno delle filiere di comparto. Su tali premesse il Dipartimento Agricol-tura ha ritenuto utile indirizzare l’Avviso sia nelle aree Parco nazionali e regionali, con le filiere delle aree protette che puntano essenzialmente sulla qualità e sulla caratterizzazione dei prodotti, sia nelle filiere di prossimità, finalizzate ad avvicinare i produttori minori al mercato regionale con specifico riferimento ai centri turistici, ai capoluoghi di provincia ed ai centri di maggiore densità demografica. La risposta degli operatori dell’area ha evidenziato attenzione alla proposta e la presenza di momenti aggregativi dei produttori sul territorio. Sono emersi utili elementi alla programmazione degli interventi territoriali da realizzare, anche attraverso oppor-

36 Ernst&Young “Valutazione indipendente del POR Basilicata 2000/2006 - I risultati dell’aggiornamen-to della Valutazione intermedia del POR Basilicata” Giugno 2006

37 Regione Basilicata “Prodotti tradizionali lucani” Graficom Edizioni – Matera, 2008

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Capitolo 3

tune sinergie ed integrazioni fra gli strumenti di intervento, di natura comunitaria, nazionale, regionale e locale, che operano nell’area.

3.2 Progettiterritorialiperpromuovereevalorizzarelatipicità

L’esigenza di attivare percorsi virtuosi di valorizzazione delle produzioni, d’al-tronde, è presente da alcuni anni ed ha trovato sempre più spazio tra gli operatori che, supportati dall’Agenzia Lucana di Sviluppo e di Innovazione in Agricoltura (AL-SIA) e dagli Enti territoriali, hanno dato vita a due marchi d’area, denominati “Parco Nazionale del Pollino” e “Prodotti Tipici Alto Agri”. Il marchio d’area, così come definito dal decreto lgs. n. 480/92, è una declinazione del marchio collettivo che “serve a garantire l’origine, la natura o la qualità di prodotti o servizi” e può essere richiesto anche da enti e associazioni pubbliche, in quanto garanti di un interesse generale. In tale logica è nato, grazie alla proficua collaborazione tra ALSIA e l’Ente Parco Nazionale del Pollino, il marchio del Parco con l’obiettivo di valorizzazione dell’intero sistema territorio, unendo emergenze paesaggistiche, gastronomiche e culturali. Quella del Parco Nazionale del Pollino è infatti una buona pratica di valo-rizzazione integrata di un intero “sistema territorio”, che pone le basi per lo svilup-po locale entro le dinamiche delle attività di conservazione, tutela e valorizzazione del Parco. In questa logica è partito, nel 2001, il progetto dell’ALSIA che coinvolge cinque filiere: salumi, prodotti da forno, ortofrutta, prodotti lattiero-caseari, altre tipicità, alle quali è stato apposto il marchio Parco del Pollino, prevedendo la cer-tificazione dei prodotti e la redazione dei disciplinari di produzione a cui attenersi per ottenere il diritto di utilizzo del marchio stesso. Il CSQA è l’ente di Certificazione esterno cui il Parco si è affidato per l’ottenimento ed il mantenimento del marchio e che ha quindi l’onere di verificare la corrispondenza delle produzioni aziendali ai disciplinari del marchio.

Grazie ai progetti di promozione socio-economica, sono state valorizzate ti-picità già radicate nell’area: dal peperone di Senise alla melanzana rossa di Roton-da, dalle olive di varietà maiatica al miskiglio, dagli insaccati ai formaggi, dai fagioli alla farina Carosella, dai liquori a base di frutti spontanei al moscato di Saracena.

Il marchio del Pollino è stato gestito dalla segreteria commerciale “coo-perativa Co.Pollino” con un finanziato del Parco Nazionale del Pollino e del GAL A.L.L.B.A; la segreteria commerciale ha curato la promozione e la distribuzione nell’ambito del circuito breve, della rete delle strutture ricettive, agrituristiche e rivendite alimentari dell’area del Parco, dove è possibile acquistare e degustare i

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prodotti. I Consorzi di tutela del paniere di prodotti del Pollino hanno dato vita ad un sistema produttivo locale (L.R. n°1 del 2001) che coinvolgerà anche operatori turistici ed artigianali nella valorizzazione dei prodotti tipici del territorio.

Il marchio dei “Prodotti Tipici Alto Agri”, coordinato dall’ALSIA nel 2007, ha visto una fattiva azione di promozione anche della Comunità Montana Alto Agri e garantisce l’intero ciclo produttivo delle produzioni più rinomate dei 12 comuni fa-centi parte della Comunità Montana, attraverso la rintracciabilità delle cinque filie-re presenti: oli, salumi, ortofrutta, vitivinicoltura e lattiero casearia.

Grazie all’attività di animazione sul territorio, diversi produttori hanno ade-rito al marchio, e ciò ha consentito la commercializzazione di prodotti lattiero ca-seari, quali di scamorze, caciocavalli, semistagionato, Canestrato di Moliterno e “Casieddu”, del fagiolo IGP di Sarconi, etichettati con il marchio del paniere dei prodotti tipici dell’Alta Val d’Agri, nonché un’ampia gamma di salumi quali salsicce, soppressate, pancetta, guanciale, capocollo, prosciutto e cotechino. Anche l’olio extravergine di oliva di Montemurro “Alta Val d’Agri”, prodotto di nicchia apparte-nente alla cultura gastronomica locale, è stato interessato al progetto che prevede l‘imbottigliamento e l’etichettatura al fine di accrescerne il valore e la notorietà. Relativamente alla filiera ortofrutticola, la strategia percorsa è stata quella del per-fezionamento della filiera stessa, soprattutto in relazione al confezionamento, con l’individuazione del packging più appropriato per la commercializzazione. Inoltre è stata avviata la fase di riconoscimento del vino DOC Terra dell’Alto Agri.

Altri due marchi d’area sono stati proposti, ma non hanno ancora concluso l’iter di certificazione: il “Prodotti tipici del Lagonegrese” e il “Made in Vulture”, promossi rispettivamente dalla Comunità Montana Lagonegrese, Alsia, Gruppo di Azione Locale (GAL) Allba il primo e dal Distretto agroindustriale del Vulture il se-condo.

Anche alcuni GAL si sono cimentati con la tematica dei marchi di qualità, con un approccio partecipato e inclusivo. Si ricorda, ad esempio, il marchio geo-grafico collettivo dell’Agnello delle Dolomiti Lucane, di proprietà del GAL Basento Camastra creato, a seguito di un protocollo d’intesa siglato da vari enti, fra cui la Regione Basilicata e le Comunità montane “Alto Basento” e “Camastra Alto Sauro”, con lo scopo di valorizzare la razza ovina derivata merinos, presente sul territorio ed allevata allo stato prevalentemente brado, secondo quanto previsto dal relativo disciplinare. Le prime certificazioni del marchio hanno riguardato, nel 2008, circa 150 capi e 9 aziende di allevamento, nonché un macello, dimostrando l’interesse dei produttori alla valorizzazione della carne dell’agnello e alla sua giusta visibilità nel circuito dei mercati regionali e nazionali.

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Capitolo 3

Le Camere di Commercio Industria Artigianato Agricoltura (CCIAA) di Po-tenza e Matera, nel corso degli anni, hanno contribuito positivamente all’azione di valorizzazione delle produzioni di qualità, sia offrendo formazione in materia agli addetti, sia offrendo momenti di incontro tra gli imprenditori agricoli lucani ed i bu-yer, che operando sul territorio in progetti specifici di creazione di marchi di qualità (ad es. il marchio del Pollino).

Non sussiste, ad oggi, un marchio collettivo geografico della Basilicata. Ne-gli anni passati ci sono stati alcuni tentativi in tal senso; l’ultimo, nel 2008, è stato il marchio ombrello Orizzonti Lucani, che si poneva l’obiettivo di riunire i prodotti delle cinque filiere più rappresentative della Basilicata, zootecnia, olivicoltura, ce-realicoltura, vitivinicoltura e ortofrutticoltura, presentandoli con un’immagine uni-ca, coordinata e integrata nelle varie occasioni di promozione territoriale e agroali-mentare. La mancata predisposizione dei disciplinari di produzione e delle regole di adesione ha fatto sì che il progetto non andasse oltre la fase iniziale di promozione.

Nel 2010, con l’emanazione della L.R. n. 15 del 2010 Tutela e valorizzazione dei prodotti agricoli e agroalimentari di qualità, il legislatore si è posto l’obiettivo di individuare un marchio ombrello dei prodotti agricoli ed agroalimentari di Basi-licata, definendone le caratteristiche e le modalità di utilizzo da parte dei produt-tori. La legge regionale definisce un altro principio importante: l’individuazione del marchio, la disciplina delle modalità di adozione da parte dei produttori nonché lo schema di convenzione che regola i rapporti tra la Regione e i soggetti cui è rila-sciata la licenza d’uso del marchio sono attestati alla Giunta Regionale, che si pone quindi come soggetto coordinatore e attuatore delle iniziative legate all’utilizzazio-ne e alla diffusione del marchio. Ciò determina una modifica rispetto all’attuale as-setto delle competenze, che vede l’Agenzia di Promozione Territoriale (APT) quale soggetto preminente nella promozione della Basilicata, mentre la promotion delle produzioni agroalimentari risulta curata direttamente dal Dipartimento Agricoltura e dall’Agenzia Lucana di Sviluppo e di Innovazione in Agricoltura (ALSIA), essendo demandata a quest’ultima, nell’ambito del Piano triennale dei Servizi di Sviluppo Agricolo, l’orientamento delle imprese al mercato nel rispetto delle esigenze di tipicità, qualità e sanità delle produzioni. La norma rimanda ad un successivo prov-vedimento l’individuazione e la denominazione del marchio, provvedimento ad oggi non ancora emanato.

Relativamente all’APT, va ricordato che il Piano Turistico Regionale (PTR), di cui alla L.R. n. 34 del 1996, aveva suddiviso il territorio regionale in 5 aree pro-dotto, individuate quali uno degli elementi fondamentali di nuova metodologia di marketing turistico e territoriale. Il pacchetto turistico caratterizzava ciascuna aree

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prodotto ed era contraddistinto dalle sue peculiarità, sia storico architettoniche che legate alle produzioni agroalimentari. Alla Giunta regionale il PTR demandava l’emanazione delle norme istitutive dei “Marchi d’Area/prodotto”, che non hanno, però, mai visto la luce.

Anche il PTR attualmente in essere38 individua il turismo enogastronomico quale una delle moderne tendenze del turista del tempo presente, visto che “il turi-smo delle eccellenze produttive lucane contrassegna tutte le stagioni dell’anno, con picchi di presenze nei mesi di maggio e settembre, e ben integrato con altri turismi come quello rurale ad esempio, fa del prodotto tipico un veicolo per trasmettere al turista tutti i valori produttivi, culturali ed emozionali del luogo”39. Il PTR si pone quindi l’obiettivo di sostenere e promuovere, in una logica di forte integrazione, le produzioni in una prospettiva di completamento di un’offerta turistica più spic-catamente culturale. La realizzazione dei Programmi Integrati di Offerta Turistica (PIOT), che hanno visto sul territorio l’aggregazione di diversi soggetti pubblici e privati per la definizione delle linee programmatiche dello sviluppo turistico delle diverse aree, potrebbe essere un possibile strumento di valorizzazione dei prodotti agroalimentari.

Nella sostanza, ad oggi, il supporto promozionale regionale riguarda in mas-sima parte il finanziamento di sagre, manifestazioni locali e fiere a livello sia regio-nale che nazionale ed estero. Spesso, inoltre, gli interventi appaiono poco coordi-nati e finalizzati, evidenziando problematicità legate all’occasionalità del sostegno, peraltro finanziato attraverso il sistema del “contributo”, all’assenza di massa criti-ca nella copertura comunicativa, ad un’offerta insufficiente di servizi agli operatori, all’uso di modelli comunicativi tradizionali, per di più molto orientati al mercato locale e meccanismi amministrativi di sostegno lenti e di stampo fortemente pub-blicistico.

Manca inoltre un supporto specializzato di servizi in favore degli operatori, peraltro scarsamente associati ed organizzati: l’attuale sostegno promozionale è di carattere molto localistico e indirizzato prevalentemente alle produzioni a deno-minazione protetta che, come noto, costituiscono una parte assai marginale della PLV regionale, anche se assai importante sotto il profilo dell’immagine complessiva della regione.

La valorizzazione delle produzioni agroalimentari appare quindi un processo poco coordinato, che non manca di iniziative e norme di notevole valore, ma che

38 L.R. n.7/2008

39 Piano turistico regionale – L.R. n. 7/2008

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Capitolo 3

per la loro caratteristica di scarsa organicità rischiano di avere un impatto minimo sulle situazioni.

E’ il caso, ad esempio, della campagna di educazione alimentare, cui an-che la Basilicata ha aderito nel passato con iniziative rivolte principalmente alle scuole che, in alcuni anni, hanno dato vita a specifici programmi di informazione/formazione sulle produzioni tipiche e locali, sfociati in concorsi a premi per i ragazzi delle scuole medie. Negli ultimi anni queste iniziative sono state gestite anche da altri soggetti pubblici e/o privati, quali l’ordine dei dottori Agronomi e Forestali, le organizzazioni professionali, il Dipartimento Agricoltura, l’Alsia, i Gal, nella consa-pevolezza che la scuola è il miglior strumento per veicolare una diversa attenzione al cibo, alla sua stagionalità, alla tipicità delle produzioni locali. Anche i distretti agroalimentare di qualità del Metapontino e agroindustriale del Vulture pongono attenzione e alla valorizzazione delle produzioni, sia mediante azioni di accompa-gnamento dei produttori a fiere e mercati, sia mediante l’organizzazione di eventi seminariali e divulgativi.

Spesso, però, queste iniziative, seppur lodevoli, sono rimasti episodi isolati, non inseriti in una rete organica di interventi.

Va evidenziata, comunque, l’attenzione della Regione alla tematica, che si è concretizzata anche nella promulgazione della Legge regionale n. 27 del 2008, relativa all’Istituzione di Centri di Educazione Alimentare e Benessere alla Salute, educazione alimentare intesa come educazione al benessere e al miglioramento della qualità della vita nel rapporto col cibo visto anche come rispetto dell’am-biente e delle tradizioni di un popolo. Il Centro regionale di educazione alimentare e benessere alla salute, appositamente istituito, ha il compito di promuovere, “in collaborazione con il Dipartimento Sicurezza e Solidarietà Sociale della Regione, programmi annuali informativi/educativi che sappiano misurarsi con la comples-sità culturale del fenomeno cibo, che mirino a farlo conoscere e apprezzare e che aiutino i giovani a diventare consumatori consapevoli e critici, ma anche aperti al piacere e alla scoperta delle diverse esperienze gastronomiche meridionali”40. In tal senso la legge non può che valorizzare le produzioni lucane.

Un’altra norma regionale, relativa alla Disciplina della strada del vino, dell’olio e dei prodotti tipici agroalimentari41 , mira a valorizzare i territori a vocazio-ne vinicola con particolare riferimento ai luoghi delle produzioni qualitative, nonché le altre produzioni di qualità con particolare riguardo all’olio di oliva e in genere ai

40 L.R. n. 27/2008 – art. 6

41 L.R. n.7/2000

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prodotti tipici agroalimentare ed a favorire la conoscenza e la valorizzazione della cultura e delle tradizioni enoiche, oleiche, gastronomiche, dei borghi rurali, del pa-esaggio, dei territori della Basilicata. Questa norma, che nasce dietro la spinta di analoghe leggi promulgate a seguito della legge 27 luglio 1999, n. 268 “Disciplina delle strade del vino”, non ha trovato ancora applicazione.

Negli scorsi anni si è registrata anche una forte e nuova propensione all’in-ternazionalizzazione delle produzioni lucane, che mirava ad un deciso aumento già nel breve periodo della capacità di esportazione agroalimentare. Per agevolare tale processo, la legge finanziaria 2007 ha dato l’avvio a strumenti innovativi di soste-gno, come il credito d’imposta per l’internazionalizzazione42. Inoltre, sempre a li-vello nazionale, dopo la creazione di Buonitalia spa43 vi è stata una concentrazione notevole di risorse - 50 milioni di euro stanziati nel 2005 - verso programmi promo-zionali esteri. Parallelamente hanno perso rilievo i programmi interregionali mirati all’export finanziati attraverso l’articolo 2 della legge n. 499/99.

Da un lato, quindi, la politica nazionale per l’internazionalizzazione dell’agro-alimentare si basa su incentivi di carattere automatico diretti alle imprese – e qui va osservato come siano pochissime le imprese agricole o agroalimentari lucane strutturate in modo da beneficiare del credito d’imposta – dall’altro su una con-centrazione di risorse verso uno strumento operativo sotto forma di SpA (Buonita-lia) capace di intervenire a sostegno delle imprese in modo flessibile e dinamico. Quest’ultimo strumento ha visto, anche in Basilicata, il suo fallimento, non avendo trovato alcuna applicazione tra gli operatori lucani.

Per la Regione Basilicata l’obiettivo di esportare alcune produzioni di qualità può diventare veramente rilevante e determinare la costruzione di una vera filiera agroalimentare. Non può mancare, quindi, in una strategia articolata di politica agricola regionale, una rivisitazione dei meccanismi di supporto alla valorizzazio-ne e promozione, nella logica della creazione di una rete sia di operatori che di enti/agenzie, che riesca a garantire in modo integrato servizi e sostegno alle azien-de ed ai prodotti.

42 Commi 1088 e 1089

43 Decreto legislativo n. 99 del 2004.

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Capitolo 4

CAPITOLO 4

I PRODOTTI DI QUALITA’ IN BASILICATA: STORIA, IDENTITA’, TRADIZIONE E SVILUPPO

4.1 QualitàetipicitànelcontestoLucano

I sistemi di produzione dei prodotti a Denominazione di Origine Protetta (DOP) e ad Indicazione Geografica Protetta (IGP), caratterizzati dal forte legame tra prodotto e territorio, non dipendono da variabili unicamente economiche, ma risentono dell’influenza di altri elementi e relazioni con il contesto produttivo quali le filiere di produzione, i sistemi locali, i distretti ecc.. ovvero unità inserite in una rete di relazioni, in cui un ruolo importante deve essere svolto da soggetti associa-tivi e consorziati44.

Alla tipicità sono legati diversi effetti e condizionamenti di natura economica, primo fra tutti la correlazione tra vincoli di produzione e costi. Il rispetto del disci-plinare di produzione implica, a livello d’impresa e di filiera, un aggravio dei costi di produzione dovuti al rispetto di vincoli quali: il divieto o l’obbligo di impiego di determinati mezzi tecnici, l’esecuzione manuale di specifiche fasi produttive quali raccolta, selezione, o trasformazione, ed ancora i costi fissi e variabili legati ai si-stemi di controllo e di certificazione. Si comprende, quindi, come per un’impresa la produzione tipica certificata rappresenta un aumento della complessità di gestione ed un innalzamento dei costi che devono essere sostenuti da un reale sbocco di mercato45. In altre parole il produttore deve trovare la sua convenienza economica nel produrre prodotti di qualità con certificazione.

L’obiettivo di questo lavoro, viste le difficoltà che l’offerta di prodotti tipici lucani mostra negli ultimi anni, è quello di verificare lo stato attuale e le poten-zialità delle produzioni certificate della regione Basilicata (DOP/IGP/DOC/DOCG). L’analisi, inoltre, è finalizzata a comprendere qual è, e quale potrebbe essere l’im-

44 Fonte: NOMISMA (2001): VIII Rapporto sull’Agricoltura Italiana “Prodotti Tipici e Sviluppo Locale”

45 Fonte: NOMISMA (2001): VIII Rapporto sull’Agricoltura Italiana “Prodotti Tipici e Sviluppo Locale”

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patto socioeconomico di questi prodotti, l’attuale commerciale a livello nazionale ed estero, e quale contributo possano dare allo sviluppo del territorio, come fattori di attrattività e di qualificazione dell’offerta, capaci di valorizzare le aree rurali46.

Tabella4.1-Le“funzioni”economichedeimodellidiproduzionetipiciMinacce - Vincoli Opportunità

Impresa

Maggiori costi di produzione delle materie prime

Maggiori costi di trasformazione

Costi del sistema di controllo e certificazione e delle azioni di tutela

Costi di promozione, commercializzazione e tutela giuridica del prodotto

Nuovi segmenti di domande interna

Nuovi mercati geografici

Maggiori garanzie di reddito

Sfuggire alla concorrenza internazionale

Sistema

Nuovo approccio allo sviluppo locale

Necessità di coordinamento di filiera e di sistema economico locale

Condivisione territoriale di indirizzi e strategie

Limiti di spesa nei consumi delle famiglie

Sviluppo indotto economico

Sviluppo indotto occupazionale

Sinergie intersettoriali per lo sviluppo locale

Conservazione identità storico-culturale

Garanzia nella salubrità degli alimenti

Tutela della biodiversità

Fonte: VIII Rapporto Nomisma sull’Agricoltura Italiana

Per tale motivo l’indagine condotta sui prodotti certificati lucani è quali-quantitativa, evidenziando dati economici e strutturali, informazioni sulle prospet-tive di crescita e sulle criticità esistenti utilizzando come fonte i Consorzi di Tutela, i produttori e gli Organismi di Controllo.47 I risultati ottenuti forniscono anche spunti per delineare possibili linee strategiche e politiche a favore del rilancio e della va-lorizzazione dei territori a partire dalle loro produzioni di eccellenza.

L’analisi delinea la situazione attuale delle produzioni DOP/IGP della Basi-licata attraverso gli andamenti produttivi e commerciali degli ultimi cinque anni. Per ogni singolo prodotto a denominazione (Tab.4.1) i risultati dell’indagine sono sintetizzati sia nelle dinamiche produttive e di mercato, sia negli elementi di carat-terizzazione collegati alla storia ed al territorio di produzione.

46 Fonte: NOMIMSA (2001): VIII Rapporto sull’Agricoltura Italiana “Prodotti Tipici e Sviluppo Locale”

47 Fonte: NOMIMSA (2001): VIII Rapporto sull’Agricoltura Italiana “Prodotti Tipici e Sviluppo Locale”

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Capitolo 4

Tabella4.2-ElencodelleProduzioniLucaneaMarchioEuropeo

Prodotti DOP/IGP della Regione basilicata

DenominazioneNumero Regolamento

CEE/CE/UE

Data Pubblicazione

sulla GUCE/GUUE

Caciocavallo Silano DOPReg. CE n. 1263 del 01.07.96

Reg. CE n. 1204 del 04.07.03

GUCE L. 163 del 02.07.96

GUCE L. 168 del 05.97.03

Canestrato di Moliterno IGP Reg. UE n. 441 del 21.05.10 GUUE L. 126 del 22.05.10

Fagiolo di Sarconi IGP Reg. CE n. 1263 del 01.07.96 GUCE L. 163 del 02.07.96

Melanzana Rossa di Rotonda DOP Reg. UE n. 624 del 15.07.10 GUUE L. 182 del 16.07.10

Pane di Matera IGP Reg. CE n. 160 del 21.02.08 GUCE L. 48 del 22.02.08

Pecorino di Filiano DOP Reg. CE n. 1485 del 14.12.07 GUCE L. 330 del 15.12.07

Peperone di Senise IGP Reg. CE n. 1263 del 01.07.96 GUCE L. 163 del 02.07.96

Fagioli Bianchi di Rotonda DOP Reg. UE n. 240 dell’ 11.03.11 GUUE L. 66 del 12.03.11

Olio Extravergine di Oliva “Vulture” DOPDenominazioni in protezione transitoria (ai sensi dell’art. 5 del Reg. CE 510/2006) con D.M. 25/03/2005 pubblicato in G.U n. 78 del 5 aprile 2005 (Rettifica pubblicata in G.U. n. 142 del 21 giugno 2005).

Vini DOC/DOCG della Regione Basilicata

Denominazione Riconoscimento Pubblicazione G.U.

Aglianico del Vulture Superiore DOCG D.M. del 2/08/2010 G.U. del 13/08/2010 n. 188

Aglianico del Vulture DOC D.M. del 18/02/1971 - (Modificato dal D.M. 9 marzo 1987)

G. U. del 22/05/1971 n 129

Terre dell’Alta Val d’Agri DOC D.M. del 04.09.2003 G.U. del 15.09.2003 n. 214

Matera DOC D.M. del 06 /07/ 2005 G.U. del 15/07/2005 n. 163

Grottino di Roccanova DOC D.M. del 24/07/2009 G. U. del 10/08/2009 n. 184

Fonte: Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali

L’indagine ha interessato anche il sistema territoriale dei vini a Denomina-

zione di Origine Controllata (DOC) della Basilicata (Tab. 4.1), che rappresenta uno

dei settori produttivi più importanti tra quelli ad Indicazione Geografica. L’analisi è

stata condotta attraverso i dati ufficiali degli Organismi di Controllo e una indagine

sul campo che ha visto il coinvolgimento dei produttori48 delle filiere vitivinicole DOC

(viticoltori, vinificatori, imbottigliatori e distributori). L’indagine in campo è stata

48 Censiti nel “Repertorio Vini della Basilicata” 2010 - ALSIA

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

realizzata attraverso interviste strutturate, mediante questionari sottoposti ad un campione di aziende con una lunga tradizione nel settore vitivinicolo e che produ-cono e commercializzano vini DOC con un proprio marchio.

Si è scelto di coinvolgere direttamente gli operati del settore per raccogliere un loro giudizio, una sorta d’auto diagnosi e valutazione, sulla situazione attuale, Contributo utile per delineare i fabbisogni e le proposte di strategie che esprime il mondo della produzione, comprendere i principali ostacoli alla commercializza-zione dei vini di qualità e cogliere le opportunità di sviluppo che percepiscono gli imprenditori.

4.2 IProdottiortofrutticoliDOP/IGPdellaRegioneBasilicata

Il comparto ortofrutticolo della Basilicata comprende quattro prodotti certifi-cati: due IGP, i “Fagioli di Sarconi” e i “Peperoni di Senise”; due DOP, la “Melanzana Rossa di Rotonda e i “Fagioli Bianchi di Rotonda”.

In linea con le dinamiche del comparto ortofrutticolo nazionale, sul comples-so dei prodotti DOP/IGP anche quello lucano non ha un’elevata rilevanza economi-ca, a causa delle ridotte quantità di produzione. Ciò deriva dal fatto che i prodotti ortofrutticoli sono quelli maggiormente soggetti a minacce esterne (di tipo clima-tico e parassitario) che possono determinare in alcune annate casi di produzione certificata nulla a causa della scarsa qualità del raccolto. Altre volte la mancata certificazione o le esigue quantità di produzione certificata derivano dalla mancan-za di richiesta da parte del mercato di produzioni certificate49.

La struttura e l’economia del settore agricolo lucano sono estremamente deboli, i fattori più problematici sono: la frammentazione delle aziende agricole ed agroindustriali, l’invecchiamento della popolazione attiva in agricoltura, la limitata specializzazione degli addetti, le basse rese per ettaro e la mancanza di adeguate strutture di commercializzazione50.

Inoltre, il comparto agroalimentare ha dei tempi di risposta che sono, spes-so, più lenti rispetto a quella che è la rapidità di cambiamento del mercato, a causa anche dell’insufficiente innovazione tecnologica ed organizzativa di molte imprese

49 Fonte: Osservatorio Qualivita “Rapporto 2010 sulle produzioni agroalimentari italiane DOP IGP STG”

50 Fonte: Depino M. V. “Analisi di un comprensorio tipico dell’Appennino Meridionale: la montagna potentina e proposte progettuali verso la plurifunzionalità” - Quaderni del Consiglio Regionale della Basilicata (26/11/2009)

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Capitolo 4

agricole.51 Le principali criticità dei prodotti lucani a marchio comunitario sono, quasi sempre, legate alle difficoltà di vendita di questi prodotti, per la scarsa co-noscenza del territorio lucano e dei suoi prodotti, soprattutto per quelli di recen-te riconoscimento, e agli elevati costi di produzione, difficilmente sostenibili dalle aziende della filiera. Di conseguenza buona parte del prodotto viene venduto spes-so non marchiato, soprattutto nei territori di produzione.

I prodotti orticoli DOP/IGP della Basilicata arrivano sul mercato al consumo soprattutto attraverso i negozi tradizionali specializzati, la ristorazione tipica e la vendita diretta sul luogo di produzione. Attualmente appare molto difficile il rap-porto con il sistema distributivo, ed in particolare con la grande distribuzione, alla quale occorre garantire la fornitura di volumi di prodotto che le imprese lucane non sono in grado di garantire.

La produzione di tali eccellenze lucane, caratterizzata da volumi produtti-vi spesso limitati, a causa delle problematiche sopra citate, evidenzia, comunque, nell’ultimo anno delle positività legate ai due nuovi riconoscimenti (la melanzana di Rotonda ed il fagiolo bianco di Rotonda), che hanno registrato le prime produzioni ufficialmente DOP, e alla maggiore affermazione e conoscenza sul mercato delle altre produzioni orticole lucane già certificate da più tempo, legate tutte, comun-que, ad una produzione di nicchia, a causa della limitata disponibilità dei quanti-tativi prodotti, che potrebbero esprimere al meglio le proprie potenzialità, come produzioni remunerative a condizione che:• si proceda ad un potenziamento produttivo attraverso forme di aggregazione

tra aziende;• si definiscano standard qualitativi adeguati;• si individuino strategie di comunicazione e commercializzazione adeguate

che veicolino la qualità del prodotto e del territorio che lo produce;• si potenzino le forme di commercializzazione dirette (filiera corta), integrate

con una filiera del turismo, attraverso campagne di promozione di itinerari e percorsi enogastronomici;

• si creino occasioni di formazione per i diversi soggetti che operano nella filiera.Una strategia a tutto tondo per la valorizzazione della produzione, di cui be-

nefici anche il territorio nel suo complesso.

51 Fonte: Fortis M. – Mazzoni M. “Ricco menù di riconoscimenti” articolo tratto dal Dossier del Il Sole 24Ore del 04/10/2010

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

“FagiolidiSarconi”IGP

Questo rinomato prodotto, molto conosciuto in ambito enogastronomico viene coltivato in un’ampia zona dell’Alta Val d’Agri. La zona di produzione dei “Fagioli di Sar-coni” IGP ricade in un’area più vasta del comune di Sarconi (da cui prendono il nome, per l’antica tradizione legata alla coltivazione del prodotto in questo territorio).52 Le par-ticolari caratteristiche derivano dai metodi tradizionali di coltivazione nel rispetto del disciplinare di produzione e dalla zona di origine in cui vengono coltivati che, grazie alle particolari condizioni ambientali: clima, composizione dei terreni e abbondanti acque irrigue, permettono di produrre fagioli di qualità che sono unici per il tipico sapore dolce e per la tenerezza del prodotto che richiede brevi tempi di cottura (il che li rende parti-colarmente appetibili e digeribili). Sono ideali per zuppe, minestre e contorni.53

52 La zona di produzione dei fagioli ad Indicazione Geografica Protetta “Fagioli di Sarconi”, comprende i territori amministrativi dei seguenti Comuni della provincia di Potenza: Sarconi, Grumento Nova, Marsiconuovo, Marsicovetere, Moliterno, Montemurro, Paterno, San Martino d’Agri, Spinoso, Tra-mutola e Viggiano (Fonte: Disciplinare di Produzione dei Fagioli ad Indicazione Geografica Protetta “Fagioli di Sarconi”)

53 Fonte: www.sarconiweb.it

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Capitolo 4

La semina avviene tra aprile e luglio, a seconda delle varietà. I “Fagioli di Sarconi” IGP hanno forma ovale o tondeggiante con un colore che, a seconda degli ecotipi, varia dal giallo pallido al bianco con striature più scure.

Le antiche varietà di fagioli utilizzate oggi per la produzione dei “Fagioli di Sarconi” IGP sono solo gli ecotipi locali di cannellino e borlotto. Le varietà più diffu-se mantengono ancora oggi i tradizionali e pittoreschi nomi quali: fasuli risi, tova-gliedde, rampicanti, fasuli russi, verdolini, napolitanu vasciu, napulitani avuti, ciuoti o regina, tabacchino, munachedda, nasieddo, maruchedda, san michele, murused-du, truchisch, e cannellino rampicante54. La volontà di tutelare il patrimonio gene-tico degli ecotipi locali ha portato alla costituzione di una Banca dati del seme, nata grazie alla collaborazione tra l’ALSIA e l’Istituto del Germoplasma di Bari. Inoltre, la volontà di favorire la valorizzazione e la commercializzazione del prodotto tipi-co regionale e garantirne l’autenticità e l’origine ha portato, con la collaborazione scientifica dell’A.L.S.I.A. i produttori, la CIA, la Comunità Montana Alto Agri e l’am-ministrazione comunale di Sarconi, al riconoscimento dell’Indicazione Geografica Protetta (IGP) da parte dell’Unione Europea (G.U. CE del 2 luglio 1996).55

Lastoria

Il territorio di Sarconi, caratterizzato da sempre da un’economia prevalente-mente agricola, sin dai tempi passati ha sempre avuto tra le sue colture principali il fagiolo, coltivato per lo più in piccoli appezzamenti di terreno con una produzione destinata principalmente ai fabbisogni familiari.

La particolarità del territorio rendeva questi fagioli già in passato un prodotto di qualità, anche se erano conosciuti prevalentemente nel territorio di produzione, venivano utilizzati da alcuni commercianti extraregionali come merce di scambio.56 Gli ecotipi di fagioli, tradizionalmente conosciuti dalla popolazione del luogo con i nomi di “ciuoto” o “fagiolo regina”, “munachedda”, “marucchedda”, “tuvagliedde”, “tabacchini”, “verdolini”, “nasiedd” e “risi” rappresentano per i territori dell’Alta Valle d’Agri la cultura, la storia e le tradizioni di un popolo fortemente legato alle proprie origini. É un prodotto che prende origine dall’antica cultura contadina luca-na, che, attraverso un attento lavoro di riproduzione, utilizzando tradizionali tecni-

54 Fonte: www.sarconiweb.it

55 Fonte: www.sarconiweb.it

56 Fonte: www.sarconiweb.it

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

che di coltivazione e qualificati metodi di irrigazione, ha oggi incrementato e quali-ficato la produzione, offrendo un prodotto con caratteristiche uniche ed inimitabili che richiama i sapori e i profumi di una volta.

Ilterritorio

La zona di produzione dei “Fagioli di Sarconi” IGP, che comprende i comuni di Sarconi, Grumento Nova, Marsiconuovo, Marsicovetere, Moliterno, Montemurro, Paterno, San Martino d’Agri, Spinoso, Tramutola e Viggiano, è caratterizzata da condizioni ambientali tipicamente montano-mediterranee, con terreni situati al di

sopra dei 600 metri s.l.m., di origine alluvionale, pre-valentemente sabbiosi limo-argillosi, freschi, profondi e fertili con una buona capacità di ritenzione idrica e privi di calcare. Le precipitazioni nell’area di produzio-ne si concentrano nel periodo compreso tra ottobre e maggio e le temperature, che presentano una notevole escursione nel corso delle stagioni (estati fresche e in-verni rigidi), donano a questo prodotto caratteristiche di elevata qualità ed unicità, consentendo di mantenere

nei semi un alto contenuto in zuccheri semplici, allungando i tempi necessari per la loro trasformazione in amido e dandogli un tipico sapore dolce.57

Valenzegastronomiche

I “Fagioli di Sarconi” IGP sono legumi particolarmente ricchi di proteine e po-veri di grassi, ed anticamente erano uno degli alimenti più utilizzati tra i contadini di questi territori come alimento “povero”, alternativo alla carne. In cucina i “Fagioli di Sarconi” IGP sono particolarmente apprezzati perché avendo la buccia sottilissima “cuociono a prima acqua”, cioè rapidamente. Questo rende il prodotto cotto a pasta fluida e di gusto piacevole mantenendo inalterate alcune proprietà nutrizionali58. I Fagioli si caratterizzano, inoltre, per l’alto contenuto in fibre, di amido e in sali minerali. In particolare i diversi ecotipi commercializzati hanno un alto contenuto di ferro, calcio, fosforo e vitamine (B1, B2 e PP) che li rendono un alimento parti-

57 Fonte: Disciplinare di Produzione dei Fagioli ad Indicazione Geografica Protetta “Fagioli di Sarconi”

58 Fonte: www.sarconiweb.it

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Capitolo 4

colarmente energetico: allo stato secco 100 grammi di prodotto contengono 320 kilocalorie59. Sono ottimi per preparare zuppe, e possono essere impiegati come ingrediente di primi piatti (minestroni, pasta e risotti); il più tradizionale è “pasta e fasul”, ossia la tipica pasta con i fagioli; altri piatti tipici che si preparano con i “Fagioli di Sarconi” IGP sono: Fagioli con salciccia, Fagioli con cotica, Insalata di fagioli, Zuppa di fagioli, Pasta all’uovo e fagioli, Fagioli alla Sarconese (con salsiccia e peperoni di Senise).

Lasagra

Ogni anno il 18 e il 19 Agosto a Sarconi viene organizzata la “Sagra del Fagiolo di Sarconi”, un percorso enogastronomico accompagnato da mostre ed esposizioni di manufatti e prodotti tipici locali, per far rivivere usi, cultura e costumi legati alla tradizione. Dal 1982, in questa occasione, tutto il paese prende parte all’organizza-zione dell’evento per accogliere i visitatori in un suggestivo itinerario gastronomico attraverso i caratteristici vicoli del centro storico, permettendo di degustare i tipici “Fagioli di Sarconi” IGP preparati nei modi più svariati da alcuni ristoranti della zona. Il “Fagiolo di Sarconi” si presta, inoltre, anche a ricette più innovative quali: il gelato al fagiolo, la pizza al fagiolo e la marmellata al fagiolo60.

Laproduzione

La produzione dei “Fagioli di Sarconi” IGP si attiene ad un Disciplinare di Produzione (Proposto del Comitato promotore del Fagiolo di Sarconi) che per la coltivazione ammette soltanto pratiche agronomiche atte a conferire al prodotto le peculiari caratteristiche di tipicità. Per quanto concerne il rispetto dell’iter produt-tivo è demandato agli organi di controllo la verifica e l’accertamento degli aspetti morfologici dei baccelli e della granella, del contenuto in sostanza secca (50-55% a maturazione cerosa e 87-90% a maturazione fisiologica), dell’applicazione del di-sciplinare dalle aziende agricole; della tenuta di un albo dei produttori e dei relativi dati legati alla produzione61.

Il Consorzio di Tutela dei “Fagioli di Sarconi” IGP ha il compito di fornire ai

59 Fonte: www.fagiolidisarconi.it

60 Fonte: www.sarconiweb.it

61 Fonte: Disciplinare di Produzione dei Fagioli ad Indicazione Geografica Protetta “Fagioli di Sarconi”

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

produttori i servizi e l’assistenza necessari per attuare il relativo disciplinare, ge-stire il marchio ed i piani di regolamentazione e programmazione della produzione tutelata al fine di salvaguardarne il valore economico, commerciale e lo standard qualitativo e promuovere il prodotto62.

Le tecniche di coltivazione prevedono che la preparazione del terreno sia effet-tuata nel periodo tra aprile e maggio per il cannellino e borlotto; e nel periodo tra giu-gno e luglio per gli ecotipi locali nani e rampicanti. Successivamente, a scalare dalla terza decade di maggio fino a metà luglio si effettua la semina, seguita dalla raccolta, solo manuale, della tipologia verde ,con il baccello verde senza filo con i semi in via di formazione; della tipologia cerosa, con baccelli con striature e colorazione marcate ed evidenti, tipiche delle cultivar; e della tipologia secco dopo il disseccamento della pianta e del baccello63.

Negli ultimi anni il numero delle aziende di produzione dei “Fagioli di Sarconi” IGP ha subito una forte flessione (vedi Tab. 1), con una diminuzione dal 2005 al 2010 del -45%, anche se è rimasto più o meno stabile il numero dei confezionatori in quanto sono aumentate le aziende che detengono la filiera completa. Dalla campagna 2005-2006 alla campagna 2009-2010 sono stati prodotti e attestati 54.022 kg di “Fagioli di Sarconi” IGP confezionati in sacchetti, con una produzione che è però diminuita in que-sti anni del 24%, accompagnata ad un diminuzione della superficie di terreno destinata a questa produzione (del 52% dal 2005 al 2010) oltre che un decremento della resa me-dia (produzione per ettaro) che però risulta in ripresa per l’ultima annata di produzione 2009-2010. Il trend negativo legato ai dati produttivi presenta delle variabilità, infatti, dopo un primo incremento della produzione dalla campagna 2005-2006 alla campa-gna 2006-2007 del 23%, si è registrata una fase di brusco decremento nell’annata suc-cessiva, per risalire poi nell’annata 2008/2009, e in quella successiva 2009/2010.

Tale trend negativo ed altalenante è legato alle problematiche generali del comparto orticolo DOP/IGP che derivano dalla frammentarietà delle aziende agricole, quasi sempre a conduzione familiare, poco strutturate che presentano una cultura di impresa poco incline all’ attività concentrazione dell’offerta. Questo prodotto, inoltre, risente molto dell’andamento dei flussi turistici dell’area che, spesso, sono condizio-nati dalle precipitazioni nevose che caratterizzano gli impianti sciistici che circondano l’intera valle. Anche se negli ultimi anni si iniziano ad avere i primi riscontri a livello nazionale, con un incremento della presenza di tale prodotto certificato su mercati diversi da quello regionale.

62 Fonte: Disciplinare di Produzione dei Fagioli ad Indicazione Geografica Protetta “Fagioli di Sarconi”

63 Fonte: Disciplinare di Produzione dei Fagioli ad Indicazione Geografica Protetta “Fagioli di Sarconi”

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Capitolo 4

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

LaCommercializzazione

I fagioli ad Indicazione Geografica Protetta “Fagioli di Sarconi” possono es-sere immessi sul mercato come baccelli verdi, baccelli da sgusciare (a maturità cerosa), e granella a maturità (prodotto secco) in base alle caratteristiche tipiche di ogni ecotipo e varietà. I “Fagioli di Sarconi” IGP possono essere commercializzati allo stato di baccelli freschi in cassette di legno (dalla capacità massima di 15 kg), e allo stato di granella secca in confezioni di tessuto, cartacee o plastificate (di 250 o 500 g). Per entrambe le modalità deve essere apposto il logo (che presenta una forma ovale con lo sfondo verde chiaro, e contiene la scritta “Fagioli di Sarconi” sotto la quale è raffigurato un antico acquedotto con campi arati dai quali si sno-dano due corsi di acqua stilizzati a forma di coccarda, di colore blu cobalto, entro cui è inscritta la dicitura IGP. Sotto i corsi d’acqua vi sono due baccelli di colore “buccia d’uovo chiaro” raffigurati con il gambo in alto e disposti ad “X”, uno aperto con quattro semi visibili di colore viola scuro e l’altro chiuso con striature di colore rosso), a cui è vietata l’aggiunta di qualsiasi dicitura diversa da quelle previste dal disciplinare di produzione. Insieme al logo è consentito l’uso di indicazioni aggiunte che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali ed aziende agricole che non siano tali da trarre in inganno i consumatori64.

La commercializzazione dei “Fagioli di Sarconi” IGP (vedi Tab. 4.4) degli ul-timi anni si indirizza principalmente verso il mercato nazionale (95% del prodotto), infatti nell’ultimo anno la presenza del prodotto nel territorio italiano è andata au-mentando, oggi il 40% del prodotto raggiunge i mercati del nord, ed in particolare l’Emilia Romagna, la Lombardia e la Toscana, un 20% arriva al centro, principal-mente nel Lazio, ed il restante 40% rimane nel sud dell’Italia, in maniera partico-lare in Basilicata, ma è possibile trovarlo anche nei mercati di Puglia e Campania. Una minore quantità di prodotto viene canalizzata verso il mercato estero (il 5% con un trend costante negli anni) in maniera predominante nei paesi Europei quali Ger-mania, Svizzera e Irlanda, e in percentuale minore nei paesi extra-comunitari, quali il Giappone, inoltre, nell’ultimo anno piccole quantità di prodotto sono state espor-tate anche negli Emirati Arabi ed in particolare in alcuni territori di Dubai65. Tali dati evidenziano uno sviluppo positivo della commercializzazione, legata soprat-tutto agli ultimi due anni, in cui si è registrato un aumento anche della produzione. Dall’incidenza in percentuale dei differenti canali di vendita del “Fagioli di Sarconi”

64 Fonte: Disciplinare di Produzione dei Fagioli ad Indicazione Geografica Protetta “Fagioli di Sarconi”

65 Fonte: Consorzio per la Tutela dei “Fagioli di Sarconi” IGP

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Capitolo 4

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

IGP in Italia, emerge che la metà dei fagioli prodotti viene commercializzata attra-verso la vendita tradizionale al dettaglio, il 30% con vendita diretta, e il restante 20% viene suddiviso equamente tra i canali di vendita della grande distribuzione e della ristorazione, percentuali che negli anni sono rimaste costanti, ad indicare un certo assestamento del mercato.

Nell’ultimo anno i produttori per rispondere alle esigenze del mercato, che richiede prodotti sempre più veloci da preparare, hanno iniziato a sperimentare nuove offerte di mercato, con un prodotto già trasformato, infatti, oggi è possibile trovare sul mercato (dietro autorizzazione ministeriale) i “Legumi lessati al natura-le da Fagioli di Sarconi”, barattoli di fagioli già cotti, pronti da consumare e spesso già conditi secondo ricette tipiche, con un riscontro particolare nella ristorazione e nel dettaglio tradizionale. Questa nuova trasformazione del prodotto evidenzia la volontà di crescita dei produttori che, in seguito ad indagini di mercato e al riscon-tro di un nuovo tipo di domanda, hanno adeguato la produzione per creare nuove prospettive per la crescita del prodotto.

I “Fagioli di Sarconi” IGP possono essere trovati sul mercato a prezzi diversi in relazione alla tipologia del prodotto e ai diversi canali di vendita, come di seguito indicato nel dettaglio:

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Range di prezzo al consumo sul canale prevalente e nella confezione più diffusa

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Range di prezzo alla vendita diretta nella confezione più diffusa

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Fagiolo Rampicante 8,5 – 9 €/Kg

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Fonte: Consorzio per la Tutela dei “Fagioli di Sarconi” IGP

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Capitolo 4

La produzione oggi ancora contenuta rappresenta una delle principali cause che impediscono il passaggio da prodotto di nicchia a prodotto di qualità, a causa delle problema tiche generali del comparto orticolo DOP/IGP già indicate. D’altra parte le principali criticità, legate alla scarsa conoscenza del prodotto, e alla man-canza di un’adeguata valorizzazione a sostegno della produzione, stanno negli anni trovando un riscontro positivo grazie all’impegno dei diversi soggetti coinvolti (pro-duttori, operatori del settore ecc..). Ciò evidenzia la necessità costante di portare avanti efficaci attività di promozione e un’attenta analisi dei potenziali sbocchi di mercato e dei vari canali di commercializzazione, legati anche a percorsi di turismo gastronomico che permettano una sempre più diffusa conoscenza delle peculiarità del prodotto.

Un valore aggiunto al consolidamento di questa produzione potrà avvenire in futuro grazie all’istituzione del Parco Nazionale dell’Appennino Lucano Val D’Agri Lagonegrese, che punterà senz’altro alla valorizzazione delle produzioni agroa-limentari tipiche dell’area. Come ha fatto e continua a fare l’ALSIA e la Comunità Montana dell’Alto Agri con la creazione del marchio “Prodotti tipici Alto Agri” (di cinque filiere di produzione: salumi, olio, ortofrutta, vitivinicolo e lattiero-caseario) per la valorizzazione di un paniere di prodotti tipici certificati e controllati tra cui sono compresi anche i “Fagioli di Sarconi” IGP

LA CARTA D’IDENTITA’ DEI “FAGIOLI DI SARCONI” IGP

Registrazione Europea con Regolamento CE n. 1263 del 01/07/1996 pubblicato sulla GUCE L163 del 02/07/1996; L’Indicazione Geografica Protetta “Fagiolo di Sarconi” è riservata a diversi ecotipi di fagioli cannellino e borlotto.

ORGANISMO DI DIFESA Consorzio per la Tutela dei “Fagioli di Sarconi” IGP- Indirizzo: via Aldo Moro, 1 - Cap 85040 Città Sarconi (PZ) ORGANISMO DI CERTIFICAZIONE Agroqualità S.r.l. - Via Montebello, 8 - 00185 Roma

Zona di produzione: la coltura è praticata nei terreni irrigui dell’Alta Val d’Agri, che occupa una superficie di oltre 200 ettari. La zona di produzione comprende gli 11 comuni dei territori di Sarconi, Grumento Nova, Marsiconuovo, Marsico Vetere, Moliterno, Montemurro, Paterno, S. Martino d’Agri, Spiniso, Tramutola, Viggiano in provincia di Potenza.

Caratteristiche del prodotto: il “Fagiolo di Sarconi” è coltivato da secoli nella zona di origine. E’ un legume otte-nuto dalla coltivazione di ecotipi locali di cannellino e borlotto. Le particolari condizioni ambientali, le abbondanti acque irrigue i fertili terreni, che si estendono al disopra dei 600 m, le estati fresche e l’abbondanza e la freschezza delle acque di coltivazione, combinate con le tradizionali tecniche di coltivazione, consentono di ottenere un pro-dotto inconfondibile e di produrre fagioli di qualità diversa da quelle delle altre zone e di mantenere nei semi un alto contenuto in zuccheri semplici, allungando i tempi necessari per la loro trasformazione in amido, dandogli un tipico sapore dolce. Si presenta di forma ovale o tondeggiante e con colore che varia dal giallo pallido al bianco

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

con striature più scure. Per la produzione del fagiolo di Sarconi vengono utilizzati solo ecotipi locali di cannellino e borlotto, le varietà più diffuse mantengono ancora oggi i pittoreschi nomi tradizionale, quali: fasuli risi, tovagliedde rampicanti, fasuli russi, verdolini, napolitanau vasciu, napulitani avuti, ciuoti o regina, tabacchino, munachedda, nasieddo, maruchedda, san Michele, muruseddu, truchisch, cannellino rampicante. La semina avviene tra aprile e luglio secondo la varietà e per le cure di produzione sono ammesse solo pratiche agronomiche e trattamenti a base di rame, atte a conferire al prodotto le peculiari caratteristiche di tipicità. Per il cannellino ed il borlotto la semina avviene in aprile-maggio, per i tipi nano, mentre per il tipo rampicante avviene in giugno-luglio. La raccolta manuale varia a secondo del prodotto.

Come si produce:

Le tecniche di coltivazione devono attenersi alle modalità di seguito riportate:

CANNELLINO E BORLOTTO

Preparazione del terreno

• epoca: periodo aprile-maggio;

• modalità: da eseguirsi con l’ausilio di trattrice dotata di monovomere o bivomere su ampie superfici e moto-coltivatore su piccole aree ad una profondità compresa tra 30 e 50 cm, seguita da amminutamento delle zolle con frangizolle o fresa.

Semina

• quantità: 80-140 Kg/ha. Per Cannellino e Borlotto si deve usare seme selezionato ;

• epoca: scalare, dalla terza decade maggio fino a metà luglio;

• modalità: manualmente o con seminatrice meccanica, alla profondità di 4-7 cm;

• sesto d’impianto: a seconda il tipo di seminatrice adoperata, generalmente a file distanti da 50 a 70 cm e con i semi sulla fila a 7-8 cm ;

ECOTIPI LOCALI NANI E RAMPICANTI

Preparazione del terreno

• epoca: periodo giugno-luglio;

• modalità: da eseguirsi con l’ausilio di trattrice dotata di monovomere o bivomere su ampie superfici e di moto-coltivatore su piccole aree ad una profondità compresa tra 30 e 50 cm, seguita da amminutamento delle zolle con frangizolle o fresa.

Semina

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Capitolo 4

Sostegni: pertiche di castagno, canne, rete, filo di ferro

Concimazioni

• naturali: letamazione con 400-500 q.li/ha

• chimiche: 40-50 kg di azoto, occasionalmente e solo in ambienti freddi, somministrandolo alla semina per ovviare alle difficoltà di assorbimento del “rizobium” nelle prime fasi di crescita delle piante. 80-110 Kg /ha di perfosfato minerale in pre-semina e circa 100 Kg/ha di solfato di potassio in pre-semina.

Trattamenti

Tra i metodi di difesa sono da privilegiare quelli agronomici attraverso:

• uso di seme non infetto;

• distruzione dei residui colturali infetti;

• rotazione delle superfìci utilizzate.

I metodi chimici di difesa sono da evitare. In casi eccezionali si può intervenire con prodotti a base di rame e anticrittogamici per la concia dei semi.

Irrigazioni

• interventi irrigui: ripetuti, strettamente variabili in funzione del fabbisogno della pianta e in relazione all’anda-mento climatico e alle caratteristiche di giacitura del terreno;

• sistemi di irrigazione: per aspersione, per scorrimento e raramente a goccia.

Diserbo

• tipo: sarchiatura meccanica tra le file e manuale sulle file.

Solo in casi di elevati inerbimenti si può intervenire con prodotti chimici autorizzati per il fagiolo.

Raccolta

• verde: con il baccello verde senza filo con i semi in via di formazione;

• cerosa: con baccelli con striature e colorazione marcate ed

evidenti, tipiche delle cultivar;

• secco: dopo il disseccamento della pianta e del baccello.

• metodi di raccolta: manuale;

• resa a maturità cerosa:

- Cannellino, 7-8 t/ha

- Borlotto 9-10 t/ha

- Ecotipi 4-5 t/ha

• resa del seme a maturità secca: in media 2,0-2,5 t/ha per il Borlotto e per il Cannellino e 1-1,5 t/ha per gli ecotipi locali

Nella coltivazione dei fagioli ad Indicazione Geografica Protetta “Fagioli di Sarconi”, sono ammesse soltanto le pratiche agronomiche atte a conferire al prodotto le peculiari caratteristiche di tipicità.

Caratteristiche al consumo:

I fagioli ad Indicazione Geografica Protetta “Fagioli di Sarconi” possono essere immessi sul mercato con le se-guenti modalità:

- Baccelli verdi;

- Baccelli da sgusciare (maturità cerosa)

- Granella a maturità (prodotto secco)

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

e rispondenti alle caratteristiche tipiche di ogni ecotipo e varietà.

I fagioli ad Indicazione Geografica Protetta “Fagioli di Sarconi” allo stato di baccelli freschi da sgusciare devono es-sere commercializzati in cassette di legno, dove è apposto il logo allegato, dalla capacità massima di 15 kg. I fagioli ad Indicazione GeograficaProtetta “Fagioli di Sarconi” allo stato di granella secca devono essere commercializzati con lo stesso logo in confezioni (di tessuto, cartacee o plastificate) di 250 o 500 g.

Etichettatura

II logo, a forma di ovale con fondo verde chiaro, contiene la scritta “Fagioli di Sarconi” sotto cui è raffigurato un antico acquedotto con campi arati dai quali si snodano due corsi di acqua stilizzati a forma di coccarda, di colore blu cobalto, entro cui è inscritta la dicitura “IGP “. Le estremità della coccarda lambiscono due baccelli di colore “buccia d’uovo chiaro”: uno aperto con quattro semi visibili di colore viola scuro e l’altro chiuso con striature di colore rosso; i baccelli sono raffigurati con il gambo in alto e disposti ad “X”. Le scritte “Fagioli di Sarconi” e “IGP”, ottenute con il carattere tipografico “Palatino” sono di colore nero. Per facilitare l’impressione sugli imballaggi tramite timbri ad inchiostro, potrà anche essere utilizzato il logo monocromatico.

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Capitolo 4

“PeperonediSenise”IGP

Il “Peperone di Senise”, chiamato nel dialetto locale “Zafaran”, è uno dei prodotti più rappresentativi del panorama ortofrutticolo lucano ed ha ottenuto nel 1996 il riconoscimento IGP per tre varietà che differiscono tra loro per la forma della bacca: Appuntito, a Tronco e a Uncino.

Il “Peperone di Senise” è ottenuto dalla coltivazione del “capsicum annuum”, solanacea originaria delle Americhe dotata di un elevato potere di rusticità, ben adattatasi alle condizioni pedoclimatiche del territorio del senisese; rappresenta, infatti, un ecotipo localmente diffuso, non ascrivibile ad una cultivar ufficialmente riconosciuta, che si distingue dagli altri peperoni per un maggiore contenuto in sali e vitamina C ed un basso contenuto di acqua66.

Il suo legame con il territorio e le caratteristiche di tipicità lo differenziano da tutti gli altri ecotipi conosciuti, grazie alle particolari condizioni del terreno e dell’ambiente della zona di produzione, che ne hanno fatto un prodotto riconosciu-to a livello europeo per la sua unicità, dovuta alla sottigliezza della polpa ed alla capacità del peduncolo di non staccarsi dalla bacca neanche dopo l’essicazione.

66 Fonte: Sito ufficiale “A.S.S.A. - Associazione Sviluppo Storico Ambientale (Senise) www.assa-onlus.it

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Quest’ultima caratteristica ne permette la legatura: i peperoni vengono infilati con ago e filo creando le caratteristiche “serte”, cioè collane di peperoni trasformati con un processo si essiccazione naturale al sole.

Lastoria

Le caratteristiche qualitative del “Peperone di Senise” IGP risultano uniche grazie all’adattamento di «ecotipi» selezionati dai produttori nei secoli. Infatti, sin da quando questa solanacee arrivò a Senise, tra il 1500 e il 1600, i contadini ini-ziarono un lavoro di selezione che, in combinazione con le condizioni naturali del territorio, hanno portato al prodotto attuale.

Questa produzione, che trova nell’area del senisese il suo habitat ideale, cre-sce e si sviluppa, inizialmente, in un contesto agricolo in cui prevale l’autoconsumo. Col tempo diventa una coltura sempre più specializzata e orientata alla vendita e, quindi, capace di garantire un importante contributo al reddito agricolo.

L’antica coltivazione di questo peperone nel territorio di Senise è testimo-niata da numerose fonti bibliografiche. La produzione e la vendita della polvere di peperone vengono rinvenute in un articolo di Terra Lucana del 1926 a commento di una mostra frutticola tenutasi a Senise e nel libro di F. Bastanzio dal titolo “Se-nise nella luce della storia – Fonti e Materiali per la Storia Nostrana” (Arte Grafi-ca Andriola, Palo del Colle, 1950) che, agli inizi del ‘900, scriveva: “Altro introito è costituito dalla polvere del peperone: prima veniva essiccato e macinato con pic-cole mole a mano e la difficoltà del lavoro ne serbava l’uso in limiti ristrettissimi; ma da quando un intelligente agricoltore, il Signor Buongiorno, vi adibì le mole da grano mosse dall’acqua, il quantitativo è enormemente cresciuto e largamente si esporta…”. Inoltre da un manoscritto dello stesso periodo (inizio ‘900) si evince che la produzione del “Peperone di Senise” era così rilevante da essere “esportata in provincia, fuori e anche in America”67.

In passato la superficie coltivata raggiungeva i 200 ettari; negli anni ’70 a seguito della costruzione della diga di Monte Cotugno nell’area tradizionalmente coltivata a peperoni, le superfici irrigabili dell’area furono drasticamente ridimen-sionate, comprese quelle adibite alla coltivazione del peperone. Negli ultimi decen-ni l’impegno di un Comitato Promotore, delle associazioni di categoria (la CIA in particolare) e di alcuni soggetti istituzionali locali (ALSIA, Comune di Senise, Ente

67 Fonte: G. Castronuovo “La storia del peperone di Senise” tratto da Collana I prodotti agroalimentari certificati n. 3“I prodotti tipi della Basilicata – Peperone di Senise” – ALSIA (Anno 2010)

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Capitolo 4

Parco del Pollino, Regione ecc..), ha permesso il riconoscimento dell’Indicazione Geografica Protetta da parte dell’Unione Europea, e la nascita del Consorzio di Tu-tela “Peperone di Senise” IGP68

Ilterritorio

Il territorio di produzione del “Peperone di Senise” IGP si estende anche alle aree limitrofe al comune di Senise che comunque si affacciano per gran parte sulla Valle del Sinni69, comprendendo alcuni territori del Parco Nazionale del Pollino.

La zona di produzione è caratterizzata da condi-zioni ambientali e colturali tali da conferire ai peperoni le caratteristiche di qualità ed unicità, grazie a terreni di origine alluvionale di natura limi-sabbiosa e collina-ri, situati tra i 250 e i 340 metri di altitudine, che godono di un clima tipicamente mediterraneo, con precipita-zioni concentrate nel periodo invernale e con tempera-ture elevate nei mesi estivi di luglio-agosto70.

Il rinomato “Peperone di Senise” è un fonda-mentale elemento del paesaggio senisese: nel mese di agosto si assiste ad uno spettacolo unico, grazie alle rosse collane di peperoni esposte al sole per essere essiccate sui balconi delle abitazioni donando un tocco di colore e tradizione a tutto il paese71.

Valenzegastronomiche

Il “Peperone di Senise” IGP è utilizzato per numerosi piatti della tradizione lucana, e può essere utilizzato sia intero essiccato, che in “polvere” finissima, ot-tenuta dalla macinazione del frutto essiccato. La “polvere” viene utilizzata per la preparazione di molti salumi lucani, ai quali conferisce gusto e colore, oltre che per

68 Fonte: Sito Ufficiale del comune di Senise (www.comune.senise.pz.it)

69 Comprendendo i territori vocati dei comuni di Francavilla S.S., Chiaromonte, Valsinni, Colobraro, Tursi, Noepoli, San Giorgio Lucano; e sull’Agri, Sant’Arcangelo, Roccanova, Tursi, Montalbano Jonico e Craco (Fonte: Disciplinare di Produzione dei Peperoni ad Indicazione Geografica Protetta “Pepero-ni di Senise’’)

70 Fonte: Disciplinare di Produzione dei Peperoni ad Indicazione Geografica Protetta “Peperoni di Senise’’

71 Fonte: Sito Ufficiale del comune di Senise (www.comune.senise.pz.it)

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

condire minestre, paste o legumi. La ricetta più caratteristica in cui si gusta que-sto prodotto è quella dei peperoni “cruschi”, cioè croccanti, che vengono fritti per pochi secondi in olio extravergine di oliva, utilizzati solitamente come contorno per il baccalà, gli arrosti e le zuppe di verdure, e oggi anche come antipasti, contorni e stuzzichini per accompagnare aperitivi.

Lasagra

Ogni anno, nel mese di Agosto, nel caratteristico centro storico del paese di Senise si svolge una manifestazione popolare denominata “U Strittul ru Zafaran” (Il vicolo del Peperone), con l’intento di valorizzare e promuovere questo prodotto tipico del luogo. In questa occasione nel centro storico del paese, si rivivono le tra-dizioni e le usanze di un tempo, arricchendo i vicoli con le classiche “serte” (collane di peperoni) appese ai balconi che donano al paese un’immagine suggestiva. Pic-cole piazze vengono allestite per la degustazione del “Peperone di Senise” e di altri prodotti tipici della zona. Durante la manifestazione è inoltre possibile effettuare visite guidate nel centro storico, visitare mostre fotografiche, seguire spettacoli-itineranti, musica e balli popolari.

Laproduzione

La produzione viene effettuata seguendo il Disciplinare di Produzione a In-dicazione Geografica Protetta “Peperone di Senise”secondo cui nella coltivazione sono ammesse soltanto le pratiche agronomiche atte a conferire al prodotto le peculiari caratteristiche di tipicità. Il Disciplinare prevede, inoltre, che agli Organi di Controllo sia demandata la verifica e l’accertamento dell’applicazione del Di-sciplinare stesso da parte dalle aziende agricole, curando la tenuta di un albo dei produttori e la rilevazione di dati e informazioni atte a garantire la tracciabilità della produzione del “Peperone di Senise” IGP.

Le pratiche di coltivazione del“Peperone di Senise” IGP prevedono che la semina venga effettuata tra la terza decade di febbraio e la seconda decade di marzo (il seme utilizzato per la riproduzione deve provenire da piante madri sane, selezionate all’interno di campi ricadenti nei comuni previsti dal disciplinare di pro-duzione) ed il trapianto delle piantine tra la seconda decade di maggio e la prima

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Capitolo 4

decade di giugno. La raccolta, effettuata solo manualmente, inizia dalla prima de-cade di agosto quando le bacche raggiungono la tipica colorazione rosso porpora, a maturazione completa.

Dopo la raccolta, per la successiva fase di trasformazione, le bacche ven-gono disposte su teli di stoffa o su reti in locali ben areati e asciutti per due o tre giorni, lontano dalla luce. Successivamente, con ago e spago, si infilano ad uno ad uno, forando i peduncoli, in modo che le bacche si dispongano a spirale angolata, creando le caratteristiche “serte” che vengono poi esposte al sole, fino a quando il contenuto d’acqua dei peperoni si riduce al 10-12%, e successivamente riposte in locali arieggiati. Per essere trasformati in polvere, terminata la fase di essiccazio-ne, i peperoni subiscono un trattamento in forno per eliminare l’umidità residua ed agevolare la trasformazione in polvere attraverso la molitura72.

I dati delle ultime sei campagne di produzione evidenziano (Tab. n.1) che il numero dei produttori che conferiscono la produzione per l’IGP (che dopo un au-mento registrato dal 2005 al 2007 è diminuito negli anni successivi) è minore ri-spetto ai produttori idonei (aumenti negli anni), fatta eccezione per le annate di produzione 2005 e 2007 in cui tutti i produttori idonei hanno conferito la propria produzione per l’IGP. Lo stesso dato si evince anche per quanto concerne i tra-sformatori/confezionatori, infatti, ad eccezione del 2005 e 2006, il numero dei tra-sformatori/confezionatori con produzione certificata (rimasto più o meno costante) rappresentano una piccola parte rispetto agli idonei. Da un’analisi di tali dati si evince, da una parte che buona parte del“Peperone di Senise” prodotto non diventa IGP, ma viene utilizzato come produzione semplice (non certificata), e dall’altra le buone potenzialità di sviluppo del prodotto in termini quantitativi. I dati relativi alla produzione del “Peperone di Senise” IGP certificato e confezionato evidenziano che i quantitativi certificati, tra serte e macinato, dopo una fase di calo registrata tra il 2006 e il 2008, ha avuto una successiva fase di crescita nel 2009 e poi nel 2010 rad-doppiando la produzione certificata (con un aumento del numero di “serte” ed una riduzione delle confezioni di macinato), a testimonianza delle buone opportunità di sviluppo del prodotto e soprattutto all’azione dell’ALSIA e dell’Ente Parco del Polli-no che l’ha inserito nel proprio “paniere di prodotti tipici”.

72 Fonte: Disciplinare di Produzione dei Peperoni ad Indicazione Geografica Protetta “Peperoni di Senise’’

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Capitolo 4

Nonostante il trend positivo, le quantità certificate sono, comunque, quelle di un prodotto di nicchia a causa di una serie di criticità: le aziende che effettivamente producono prodotto certificato sono meno di quelle potenzialmente idonee (iscritte presso l’organismo di certificazione) a causa delle difficoltà legate alla standardiz-zazione dei processi produttivi; la produzione totale annuale del peperone è ben superiore a quella certificata come IGP, in quanto condizionata dalla variabilità e stagionalità del prodotto, che per essere certificato deve corrispondere ai precisi dettami del Disciplinare di Produzione; i vincoli produttivi imposti dal Disciplinare comportano una forte incidenza dei costi di produzione e di certificazione spesso non sostenibili dalle aziende.

LaCommercializzazione

Il “Peperone di Senise” IGP può essere immesso al consumo sia fresco che come prodotto trasformato nelle tipologie: Appuntito, Uncino e Tronco. Secondo quanto previsto dal Disciplinare di Produzione viene commercializzato fresco in cassette di legno della capacità di 12-15 Kg; o secco in “serte” della lunghezza di 1,5-2,0 metri e in “polvere” in contenitori di vetro opacizzato con capacità di 500g o 1000g o in bustine di carta plastificata con capacità di 50g e 100 g. Il prodotto immesso al consumo deve recare l’apposita etichetta numerata con la relativa de-nominazione e logo dell’IGP (a forma ovale con fondo giallo canarino, contenente la scritta “PEPERONI DI SENISE” e “IGP” di colore nero e due peperoni stilizzati di colore rosso ed arancione, disposti ad “S”, con il peperone superiore raffigurato con la punta in alto e il gambo in basso, mentre quello inferiore raffigurato con la punta in basso ed il gambo in alto), il numero di autorizzazione dell’organismo di controllo ed il numero di lotto, accanto al quale è consentito l’uso di indicazioni aggiuntive che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, aziende agricole e località dalle quali provengono i peperoni. E’ vietato, inoltre, usare assieme alla denominazione qualsiasi qualificazione aggiuntiva ivi compresi gli aggettivi: “superiore”, “extra”, “fine”, “scelto”, “selezionato” e similari73.

L’attività di commercializzazione del “Peperone di Senise” IGP, secondo un’analisi degli ultimi sei anni (dal 2005 al 2010), si concentra in modo particolare sul mercato nazionale che fino al 2008 rappresentava l’80% dell’incidenza del mer-cato complessivo, anche se con il passare degli anni la commercializzazione verso

73 Fonte: Disciplinare di Produzione dei Peperoni ad Indicazione Geografica Protetta “Peperoni di Senise’’

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Capitolo 4

Tabella3-Rangediprezzopercanaledivenditadel“PeperonediSenise”IGPPREZZO 2005 2006 2007 2008 2009 2010

Range di prezzo alla produzione per il pro-dotto finito IVA com-presa) franco partenza dall’azienda di produ-zione nella confezione più diffusa

Stato Verde: Euro 0,80 Kg Cassette da Kg 10

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Stato Secco: Euro 10,00 Kg Collane da Mt. 2 x 1Kg

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Stato Secco: Euro 11,80 Kg Collane da Mt. 2 x 1Kg

Stato Secco: Euro 11,80 Kg Collane da Mt. 2 x 1Kg

Trasformato Fritto: Confe-zione da Gr 20 Euro 1,80

Trasformato Fritto: Confe-zione da Gr 20 Euro 1,80

Trasformato Fritto: Confe-zione da Gr 20 Euro 1,80

Range di prezzo al con-sumo sul canale preva-lente nella confezione più diffusa

Stato Verde: Euro 1,20 Kg Cassette da Kg 10

Stato Verde: Euro 1,30 Kg Cassette da Kg 10

Stato Verde: Euro 1,50 Kg Cassette da Kg 10

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Stato Verde: Euro 1,50 Kg Cassette da Kg 10

Stato Verde: Euro 1,50 Kg Cassette da Kg 10

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Stato Secco: Euro 12,00 Kg Collane da Mt. 2 x 1Kg

Stato Secco: Euro 12,00 Kg Collane da Mt. 2 x 1Kg

Stato Secco: Euro 15,00 Kg Collane da Mt. 2 x 1Kg

Stato Secco: Euro 15,00 Kg Collane da Mt. 2 x 1Kg

Stato Secco: Euro 15,00 Kg Collane da Mt. 2 x 1Kg

Trasformato Fritto: Confe-zione da Gr 20 Euro 2,10

Trasformato Fritto: Confe-zione da Gr 20 Euro 2,10

Trasformato Fritto: Confe-zione da Gr 20 Euro 2,10

Range di prezzo alla vendita diretta nella confezione più diffusa

Stato Verde: Euro 1,20 Kg Cassette da Kg 10

Stato Verde: Euro 1,30 Kg Cassette da Kg 10

Stato Verde: Euro 1,50 Kg Cassette da Kg 10

Stato Verde: Euro 1,50 Kg Cassette da Kg 10

Stato Verde: Euro 1,50 Kg Cassette da Kg 10

Stato Verde: Euro 1,50 Kg Cassette da Kg 10

Stato Secco: Euro 12,00 Kg Collane da Mt. 2 x 1Kg

Stato Secco: Euro 12,00 Kg Collane da Mt. 2 x 1Kg

Stato Secco: Euro 12,00 Kg Collane da Mt. 2 x 1Kg

Stato Secco: Euro 15,00 Kg Collane da Mt. 2 x 1Kg

Stato Secco: Euro 15,00 Kg Collane da Mt. 2 x 1Kg

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Trasformato Fritto: Confe-zione da Gr 20 Euro 2,50

Trasformato Fritto: Confe-zione da Gr 20 Euro 2,50

Trasformato Fritto: Confe-zione da Gr 20 Euro 2,50

Fonte: Consorzio di Tutela “Peperone di Senise”

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il mercato estero è andata pian piano aumentando, fino a raggiungere il 30% nel 2010. Tale mercato fino al 2008 era indirizzato unicamente ai paesi europei, ma dal 2009 inizia ad avere una certa incidenza anche il mercato dei paesi extra U.E., inci-denza che nel 2010 aumenta fino a raggiungere il 33% delle esportazioni.

Per quanto concerne il mercato interno, dall’analisi dei differenti canali di vendita emerge che quasi tutta la produzione del “Peperone di Senise” IGP viene commercializzata attraverso la vendita diretta (80%), seguita dalla Distribuzione Moderna (15%), e dalla ristorazione (5%) in percentuale minore, con un trend che appare costante negli anni ad indicare un certo assestamento del mercato.

Prendendo in esame i vari range di prezzo del “Peperone di Senise” IGP (Tab. n. 4.7) in base ai differenti canali di vendita e alle varie tipologie di confezionamento si evidenzia un aumento costante dei prezzi dal 2005 al 2009, con un successivo assestamento al 2010.

Inoltre, dal 2008 ha avuto inizio la commercializzazione del caratteristico Pe-perone “crusco” cioè già fritto e croccante, venduto in confezioni salva freschezza, come possibile snake. Questo prodotto non venduto come“Peperone di Senise” IGP, in quanto tale trasformazione al momento non è prevista dal Disciplinare di Pro-duzione, rispondendo ad una evoluzione delle domanda di mercato, ha puntato ad accrescere la visibilità e la conoscenza del prodotto attraverso una della ricetta più caratteristiche, registrando un buon riscontro sul mercato.

LA CARTA DI IDENTITA’ DEL “PEPERONE DI SENISE” IGP

Registrazione Europea con Regolamento CE n. 1263del 01/07/1996 pubblicato sulla GUCE L 163 del 02/07/1996

ORGANISMO DI DIFESA Consorzio di Tutela Peperone di Senise - Corso Garibaldi, 283 - 85038 Senise (PZ)

ORGANISMO DI CERTIFICAZIONE IS tituto ME diterraneo CERT ificazione ITALIA Corso Meridionale, 6 – 80143 Napoli-

Zona di produzione

Le zone di produzione del “Peperone di Senise” sono individuate nelle aree limitrofe al comune di Senise che comunque si affacciano per gran parte sulla Valle del Sinni: Francavilla S.S., Chiaromonte, Valsinni, Colobraro, Tursi, Noepoli, San Giorgio Lucano; e sull’Agri: Sant’Arcangelo, Roccanova, Tursi, Montalbano Jonico e Craco.

La zona di produzione è così delimitata:

- a partire dall’inserzione del Frida col fiume Sinni, si individuano per Francavilla sul Sinni, le aree golenali comprese fra la S.S. Sinnica e l’argine sulla sponda destra del Sinni fino al Rubbio;

- per Chiaromonte, i terreni golenali a partire dal fosso “Armirosse” e compresi tra la stradella comunale “Chiaro-monte-Sinnica” e l’argine sulla sponda sinistra del fiume Sinni, nonché i terreni golenali siti sulla destra del torrente Serrapotamo in località “Ischitella” di Chiaromonte;

- per Senise, il territorio si identifica con le aree servite dagli impianti irrigui del consorzio di bonifica “Alta Val d’Agri”

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Capitolo 4

(aree golenali di recupero sulla sponda destra e sinistra del fiume Sinni impianto Sicileo, Visciglio, Massanova, Piano delle maniche, Codicino, Piano delle Rose), nonché le aree pianeggianti in destra e sinistra del torrente Serrapotamo;

- per Noepoli, le aree golenali site sulla sinistra del fiume Sarmento in località Pantano di Noepoli e Piano delle Rose;

- per San Giorgio Lucano, le aree golenali site sulla sinistra del fiume Sarmento in località “Rosaneto” e Piano delle Rose;

- per Valsinni, sono interessati i terreni golenali posti sulla sponda destra del fiume Sinni;

- per Colobraro, i terreni golenali in destra del fiume Sirini;

- per il comune di Tursi, i terreni golenali pianeggianti posti sulla destra del fiume Agri e precisamente i “Giardini Monte e i Giardini di Marone”, e quelli in destra del fiume Sinni fino all’altezza tra l’incrocio tra la S.S. Sirinica e la diramazione per Tursi;

- per Montalbano Jonico, i terreni golenali lungo la sponda sinistra del fiume Agri che a partire dai “Giardini di Isca”, percorrendo tuta la S.S.Val d’Agri 103, arrivano alla c.da Sant’Elena;

- per Craco, sono indicati i terreni pianeggianti che costeggiano la S.P.76 Craco-Peschiera dall’incrocio con la S.S.103 fino al Km 8;

- per Roccanova, i terreni pianeggianti in destra e sinistra della fiumarella di Roccanova;

- per Sant’Arcangelo, i terreni golenali compresi tra fondovalle dell’Agri e la sponda destra del fiume omonimo

Caratteristiche del prodotto

La denominazione “Peperoni di Senise” è riservata a tre tipi morfologici:

• Tipo “APPUNTITO”

• Tipo “TRONCO”

• Tipo “UNCINO”

facenti parte della medesima popolazione prevista dal disciplinare di produzione. Si precisa che quello “appuntito” è il Tipo prevalente. I peperoni ad indicazione geografica protetta “Peperone di Senise” devono rispondere alle seguenti caratteristiche:

Tipo “APPUNTITO”

caratteristiche del peduncolo: peduncolo ben saldo alla bacca tale da non staccarsi nemmeno ad essiccazione avvenuta; forma della bacca: leggermente deformata con costole poco evidenti; apice stilare: a punta; lunghezza della bacca: da 10 a 17 cm.; diametro basale: da 3,5 a 5 cm.; spessore della polpa: da 1,5 a 2,2 mm; colore a maturità commerciale: verde, rosso porpora, sapore dolce.

Tipo “UNCINO”

caratteristiche del peduncolo: peduncolo ben saldo alla bacca tale da non staccarsi nemmeno ad essiccazione avvenuta; forma della bacca: leggermente deformata con costole poco evidenti; apice stilare: ricurvo ad uncino; lunghezza della bacca: da 11 a 16 cm.; diametro basale: da 3,5 a 5,2 cm.; spessore della polpa: da 1,5 a 2,2 mm; colore a maturità com-merciale: verde, rosso porpora, sapore dolce.

Tipo “TRONCO”

caratteristiche del peduncolo: peduncolo ben saldo alla bacca tale da non staccarsi nemmeno ad essiccazione avvenuta; forma della bacca: a forma di cono leggermente deformata, con costole molto evidenti, generalmente, in numero di tre di cui una più sviluppata e ricurva nella parte apicale; apice stilare: tronco (a naso di cane); lunghezza della bacca: da 9 a 14 cm.; diametro basale: da 3,0 a 5,1 cm., spessore della polpa: da 1,5 a 2,0 mm.; colore a maturità commerciale: verde, rosso porpora, sapore dolce.

Il prodotto secco si deve presentare:

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

In “SERTE” o “COLLANE” di lunghezza variabile da 1,5 a 2,0 m, con le bacche (in possesso degli stessi lineamenti morfo-logici di quelle freschi) disposte a spirale angolata, l’ima rispetto alla successiva, di circa 120°, contenuto in acqua non superiore al 10-12% e colorazione rosso vinaccia.

In “POLVERE “ a grana finissima ottenuta dalla macina dei peperoni secchi previo trattamento in forno per eliminare il residuo di umidità.

Come si produce

Il seme utilizzato per la riproduzione deve provenire da piante madri sane, selezionate all’interno di campi ricadenti nei comuni citati indicati dal Disciplinare di Produzione e sopra indicati.

La tecnica di semina e le pratiche di coltivazione e di trasformazione del prodotto devono far riferimento alle modalità di seguito indicate.

SEMINA

epoca: terza decade di febbraio - seconda decade di marzo;

modalità di semina:

- manualmente a spaglio su semenzai a letto “freddo” o “caldo”;

- meccanicamente in contenitori alveolari;

TRAPIANTO

epoca: seconda decade di maggio - prima decade di giugno;

modalità di trapianto:

- in solchetti preventivamente aperti;

- in buche effettuate con cavicchio in legno;

dimensione delle piantine: piantine alla 3°- 5° foglia con altezza di 10-15 cm.

Sesto d’impianto:

- fila semplice: 25-30 cm lungo la fila e 70-80 cm tra le file;

- fila binata: 35 cm lungo la fila, 35 cm tra le due file binate, 120 cm tra due bine;

- rasole: 35 cm lungo la fila e 40 tra le file.

TRATTAMENTI sono esclusi i trattamenti a calendario

IRRIGAZIONI interventi irrigui in numero variabile a seconda dell’andamento climatico;

sistemi di irrigazione: ascorrimento, ad aspersione e a goccia

RACCOLTA epoca di raccolta a partire dalla prima decade di agosto quando le bacche raggiungono la tipica colorazione rosso porpora;

metodi di raccolta: trattandosi di una specie a maturazione scalare la raccolta viene effettuata manualmente.

PRATICA DI TRASFORMAZIONE

1. Il prodotto deve essere raccolto a maturazione completa.

2. Le bacche devono essere disposte su teli di stoffa o su reti in locali asciutti e ben areati, per almeno 2-3 giorni, lontano dalla luce.

3. I peduncoli devono essere infilati in serie con spago fine facendo in modo che le bacche si dispongano a spirale an-golata, l’una rispetto alla successiva, di circa 120°. Così facendo si otterranno le caratteristiche “collane” o “serte”.

4. Le serte devono essere esposte al sole e rimanervi fino a quando il contenuto in acqua non si attesta sul 10-12%. Successivamente dovranno essere riposte in locali arieggiati.

5. I peperoni, terminata la fase di essiccazione, devono subire un trattamento in forno per eliminare il residuo di umidità

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Capitolo 4

per agevolare la successiva molitura.

6. Il prodotto deve essere trasformato in polvere mediante molitura.

Caratteristiche al consumo

Il Peperone di Senise IGP è caratterizzato da uno spessore sottile e da un basso contenuto in acqua del pericarpo che con-sentono una rapida essiccazione: questa viene praticata secondo il metodo naturale di esposizione diretta ai raggi solari. Il peperone di Senise è immesso al consumo sia fresco che come prodotto trasformato. Il prodotto fresco corrisponde ai tipi “appuntito”, “tronco” e “uncino”.

I “Peperoni di Senise” dovranno essere commercializzati con le seguenti modalità:

Stato Fresco: in cassette di legno della capacità di 12-15 Kg.

Stato Secco: in serte (collane) della lunghezza di 1,5-2,0 m.

Trasformati: in contenitori di vetro, opacizzato, con capacità di 500 e 1000 g o in bustine di carta plastificata, con finestrel-la trasparente, con capacità di 50 e 100 g.

Il marchio, a forma di ovale con fondo giallo canarino, deve contiene la scritta “PEPERONI DI SENISE” e “IGP” di colore nero e due peperoni stilizzati di colore rosso ed arancione, disposti ad “S”. Il peperone superiore è raffigurato con la punta in alto e il gambo in basso, mentre quello inferiore è raffigurato con la punta in basso ed il gambo in alto.

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

“MelanzanaRossadiRotonda”DOP

La “Melanzana Rossa di Rotonda” (Solanum aethiopicum) è una pianta ru-stica coltivata in quasi tutti gli orti di Rotonda, ma poco conosciuta fuori dai suoi confini. E’ molto diversa dalla melanzana comune (Solanum melongena): ha, infatti, un profumo intenso simile a quello del fico d’India con un gusto piccante, ed un gra-devole retrogusto amarognolo. Anche la forma è molto caratteristica, simile a quella di un pomodoro, con le dimensioni di una mela ed un colore arancio, caratterizzato dalla presenza di venature brunastre/verdastre sulla bacca, tanto che nel linguaggio dialettale del territorio viene chiamata “merlingiana a pummadora” (melanzana a pomodoro)74.

Una delle principali caratteristiche di questo frutto dalla polpa carnosa, che lo differenzia dallo standard qualitativo delle altre melanzane, è il basso contenuto di acido clorogenico (responsabile dell’imbrunimento della bacca), che consente a que-sto prodotto di mantenere la polpa bianca anche dopo molto tempo dal taglio delle bacche. Queste caratteristiche rendono unica la “Melanzana Rossa di Rotonda DOP e la differenziano in maniera evidente da tutte le altre, visto che la sua coltivazione è stata accertata in Italia esclusivamente nella zona dei comuni di Rotonda, Viggianel-lo, Castelluccio Superiore e Castelluccio Inferiore, in provincia di Potenza75.

74 Fonte: Lisi P.F. “La Melanzana Rossa di Rotonda” tratto da Basilicata - Naturale Tipico ma soprat-tutto Lucano (a cura dell’Alsia in collaborazione con Origini)

75 Fonte: Disciplinare di Produzione della Denominazione d’Origine Protetta “Melanzana Rossa di Ro-tonda”.

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Capitolo 4

Le piantine della “Melanzana Rossa di Rotonda DOP vengono poste a dimora a maggio e il raccolto inizia a luglio e prosegue fino ai primi freddi di fine novembre.

La “Melanzana Rossa di Rotonda è l’unica varietà di melanzana in Italia ad aver ottenuto, al momento, il riconoscimento DOP da parte del Comunità Europea con il Regolamento Europeo n. 624 del 15 Luglio 2010 (pubblicato sulla GUUE L.182 del 16 luglio 2010). In passato questa melanzana ha rischiato di estinguersi, ma l’attività di valorizzazione, portata avanti dai produttori e da alcuni enti istituzionali, e in primo luogo dall’ALSIA e dall’Ente Parco del Pollino, ne ha promosso il consu-mo e la coltivazione, permettendole di raggiungere l’ambito riconoscimento, a cui si affianca anche quello del Presidio Slow Food dal 2002. La melanzana DOP è uno dei prodotti che fanno di Rotonda un piccolo centro dell’orticoltura tradizionale di qualità, inserita nel contesto ambientale del Parco Nazionale del Pollino, luogo in cui si coltivano, grazie ad una lunga tradizione, anche i “Fagioli Bianchi di Rotonda” DOP.

Lastoria

La “Melanzana Rossa di Rotonda DOP di origine africana, viene classifica-ta nel 1992 durante una missione di esplorazione e raccolta curata dall’ALSIA e dall’Istituto del germoplasma del C.N.R. di Bari. Questa particolare melanzana a forma di pomodoro (Solanim aethiopicum) è giunta a Rotonda dall’Africa Tropicale,76 portata da alcuni cittadini di Rotonda reduci delle guerre coloniali italiane.77 Da al-lora la Melanzana Rossa si è diffusa nel territorio della Valle del Mercure grazie alla sua rusticità e alla sua versatilità in cucina, diventando parte integrante della dieta quotidiana dei contadini78.

Nel corso degli anni il suo adattamento all’ambiente ne ha favorito la diffusione, di-stinguendola non solo dalle altre melanzane ma anche da quelle dei territori africani da cui ha origine, che sono di colore arancione, sen-

76 Come dimostra una ricerca condotta nel 1995 dal G. Langhetti basata sulle testimonianze dei novan-tenni locali

77 Fonte: www.melanzanarossa.org

78 Fonte: Portale Istituzionale delle due DOP - www.biancoerossadop.it

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

za striature e di forma più allungata79. Recentemente il ruolo della Melanzana Rossa di Rotonda nella comunità

locale viene descritto da Maruzza Fittipaldi Mainieri in “Memoria e sentimento: usi, costumi e tradizioni della gente del Pollino” (Moliterno, 2000) in cui i ricordi per-sonali dell’autrice descrivono la melanzana rossa che “…….splendeva rigogliosa in tutti gli orti del mio paese, o rosseggiava, simile a serti di fiori, appesa sotto le tettoie delle case di campagna. ….. Il simbolo della povertà della nostra terra ma anche il simbolo della volontà e della tenacia della nostra gente contadina che, con amore, ha strappato all’avara terra gli ortaggi più adatti alla sua durezza al suo clima, portandoli sull’umile desco o sulle tavole più raffinate, per gustare i sapori e insieme la memoria del passato”.

IlTerritorio

In Basilicata, nel cuore del Parco Nazionale del Pol-lino il suggestivo paesaggio incontaminato è il territorio che dona alla “Melanzana Rossa di Rotonda” DOP le sue caratteristiche principali, caratterizzato da terreni di buona qualità, dalla mitezza del clima e dalla purezza delle acque provenienti da sorgenti situate nel Parco stesso. La melan-zana DOP è coltivata in Italiaunicamente in alcune aziende del comune di Rotonda, al confine con la Calabria80.

I territori di origine alluvionale su cui viene coltivata sono situati nel bacino della Valle del Mercure di origine lacustre (risalente al periodo dell’era quaternaria) con terreni di origine sabbiosa e limo argillosa, freschi, profondi e fertili, con una buona ritenzione idrica. Il clima è sostanzialmente mite e le piogge abbondanti, nel periodo che va da ottobre a maggio, creano quel microclima che ne ha favorito la diffusione conferendole le caratteristiche di unicità81.

79 Fonte: Disciplinare di Produzione della Denominazione d’Origine Protetta “Melanzana Rossa di Ro-tonda”

80 Il territorio di produzione comprende i comuni di Rotonda, Viggianello, Castelluccio Superiore e Castelluccio Inferiore, situati nella zona del massiccio del Pollino (Fonte: Disciplinare di Produzione della Denominazione d’Origine Protetta “Melanzana Rossa di Rotonda”)

81 Fonte: Disciplinare di Produzione della Denominazione d’Origine Protetta “Melanzana Rossa di Ro-tonda”

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Capitolo 4

LaSagra

Intorno alla seconda metà di Agosto a Rotonda si svolge ogni anno la Sagra della “Melanzana Rossa di Rotonda”, che propone un percorso gastronomico-cul-turale attraverso i sapori di gustose ricette a base di questo ortaggio tipico del terri-torio. Questo appuntamento che ogni anno richiama migliaia di persone a Rotonda, nel Parco Nazionale del Pollino, ne testimonia la sempre maggiore affermazione nel mondo della ristorazione tipica sia a livello locale che extraregionale82.

ValenzeGastronomiche

La “Melanzana Rossa di Rotonda” a piena maturazione presenta un retro-gusto piccante a tratti amarognolo e spesso viene utilizzata in cucina ancora acer-ba83.

La “Melanzana Rossa di Rotonda” di solito viene consumata sott’olio o sotto aceto, sia come antipasto che come contorno, e può essere apprezzata anche in ricette originali come sulla pizza, grigliata, nei dolci o come gelato. Inoltre, ricette tipiche del territorio vedono la melanzana utilizzata per frittate, “ciambotta”, pol-pette, parmigiana, e spesso in abbinamento con i tipici “Fagioli Bianchi di Rotonda” DOP.

LaProduzione

Per quanto concerne la produzione della “Melanzana Rossa di Rotonda” DOP, secondo quanto previsto dal Disciplinare di Produzione, ogni fase del proces-so produttivo deve essere monitorata per garantire l’applicazione delle tecniche di produzione e la tracciabilità del prodotto.

La raccolta delle bacche inizia nel mese di luglio di ogni anno e termina entro il mese di novembre e deve essere effettuata a mano con forbice asportando una piccola porzione di peduncolo. La produzione massima in coltura specializzata è fissata in 60 tonnellate ad ettaro. Tutte le fasi dalla produzione alla trasformazione devono essere effettuate nei territori di produzione (Rotonda, Viggianello, Castel-

82 Fonte: Disciplinare di Produzione della Denominazione d’Origine Protetta “Melanzana Rossa di Ro-tonda” - Disciplinare di Produzione della Denominazione d’Origine Protetta “Fagioli Bianchi di Ro-tonda”

83 Fonte: Portale Istituzionale delle due DOP - www.biancoerossadop.it

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

luccio Superiore e Castelluccio Inferiore) per evitare che il trasporto e le eccessive manipolazioni possano produrre ammaccature delle bacche e rottura del pedunco-lo alterando le qualità organolettiche del prodotto84.

La “Melanzana Rossa di Rotonda” visto il recentissimo riconoscimento uffi-ciale da parte della Comunità Europea, arrivato nel luglio 2010, risente oggi del fi-siologico periodo di assestamento legato al rispetto dei vincoli produttivi imposti dal Disciplinare di Produzione. Si registra, infatti, una fase di avvio della produzione DOP in cui la superficie interessata dalle denunce di produzione è il 24% della superficie totale registrata, con una produzione certificata che rappresenta ancora una piccola parte rispetto alla produzione effettiva totale (vedi Tab. n. 1). Tale dato evidenzia, comunque, le buone potenzialità del prodotto, in quanto, il completo utilizzo, per la produzione DOP, della superficie registrata evidenzia una produzione certificabile, se rispondente agli standard produttivi, di 350 volte superiore all’attuale.

Tabellan.1:N°aziendecertificatecheproducononelrispettodeldisciplinarediproduzionedellaDOP

N° aziende agricole che producono secondo disciplinare

Anno 2009 2010

N. Aziende totali di filiera 6 6

Di cui:

Conduttori 4 4

Trasformatori/Confezionatori 2 2

Superficie e quantità prodotte

Superficie totale di produzione regi-strata (in Ettari)

0,86 0,86

Superficie interessata dalle denunce di produzione (in Ettari)

n.d. 0,21

Quantità prodotte (in Kg) n.d. 7.000

Quantità prodotte e certificate (in Kg) n.d. 20

Fonte: Organismo di Certificazione

Un’analisi della produzione potenziale evidenzia una superficie coltivata nell’area della DOP, secondo le tecniche di produzione tradizionali, che si aggira intorno ai 50.000 m.q. dislocati sui vari appezzamenti, che rappresentano una no-tevole possibilità di sviluppo. Infatti, per la produzione 2011 si stima un aumento

84 Fonte: Disciplinare di Produzione della Denominazione d’Origine Protetta “Melanzana Rossa di Ro-tonda”

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Capitolo 4

degli ettari coltivabili (fino ad arrivare a 15.400 m.q.) ed una produzione potenziale di 90 tonnellate85.

Ad oggi, le criticità legate ad una produzione esigua evidenziano la presenza di micro imprese, poco strutturate e quasi sempre a gestione familiare, ed una scarsa conoscenza del prodotto.

LaCommercializzazione

La “Melanzana Rossa di Rotonda” DOP nel momento in cui viene immessa al consumo allo stato fresco deve avere lunghezza e larghezza fino a otto centimetri, con peso fino a 200 grammi; un colore verde arancio chiaro con tenui sfumatu-re verdognole ad inizio maturazione e successivamente arancione vivo tendente al rosso lucido a maturazione completata; un aspetto compatto, sano e pulito con una polpa carnosa, priva di odore e/o sapore estranei86.

La “Melanzana Rossa di Rotonda” DOP può essere commercializzata fresca presso mercati generali, grossisti, e dettaglio oppure trasformata e confezionata sottoforma di precotti, sott’oli e conserve87.

Secondo quanto previsto dal disciplinare di produzione, la “Melanzana Rossa di Rotonda” DOP deve essere posta in vendita in contenitori realizzati con materiale di origine vegetale, con cartone, con retine di plastica riciclabile o altro materiale riciclabile consentito dalle normative comunitarie. Le confezioni di retina di plastica riciclabile con le quali il prodotto viene immesso al consumo non possono superare il peso di 1 Kg. Sulle etichette apposte sulle confezioni devono essere riportate, la denominazione con il relativo logo (a forma ovale con contorno di colore arancio, con al centro un ovale concentrico di colore salmone recante l’immagine di una melanzana rossa; nell’area intermedia tra le due elissi è riportata la dicitura “ Me-lanzana Rossa di Rotonda” con il testo distribuito lungo la curvatura dell’ovale, e ai piedi dell’immagine è riportata la dicitura “Denominazione di Origine Protetta), il nome o la ragione sociale dell’azienda confezionatrice o produttrice e la quantità di prodotto effettivamente contenuta nella confezione (espressa in conformità delle norme vigenti). Inoltre è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione aggiuntiva,

85 Fonte:ALSIA

86 Fonte: Disciplinare di Produzione della Denominazione d’Origine Protetta “Melanzana Rossa di Ro-tonda”

87 Fonte: www. ssabasilicata.it

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

compresi gli aggettivi: tipo, gusto, uso, selezionato, scelto e similari88.Ad oggi, vista la recente fase di avvio delle produzione a marchio DOP è pre-

maturo fare delle valutazioni sui metodi di commercializzazione, i canali distributivi e paesi di destinazione.

Il dato attualmente rilevabile è che il prodotto viene distribuito principalmen-te nell’area di produzione e in alcune regioni italiane, attraverso i canali della ven-dita diretta e del dettaglio tradizionale, nei negozi specializzati e nella ristorazione, con piccole percentuali della produzione destinate all’autoconsumo e alla trasfor-mazione in azienda (vedi Tabella n. 2)89.

Tabellan.2-Mercatididestinazioneeincidenzacanalidistributividella“Melan-zanaRossadiRotonda”DOP

Mercati di destinazione della produzione IGP

Anno 2010

Mercato Interno 100%

Mercato Estero 0%

Mercato Interno

Vendita Diretta (all’ingrosso al commerciante) 50%

Vendita al Dettaglio 30%

Autoconsumo 5%

Trasformata in azienda 5%

Fonte: ALSIA

Inoltre, una parte della produzione viene utilizzata per la promozione e la vendita del prodotto in occasione di fiere e sagre90.

Per quanto attiene alle attività di marketing, le aziende aderenti alla DOP mettono in campo azioni informative sul prodotto: attraverso diversi canali di co-municazione dell’ALSIA e del Parco Nazionale del Pollino (che ha inserito la melan-zana rossa nel suo paniere di prodotti tipici e sul catalogo commerciale “Prodotti del Pollino”), con la presenza sui diversi canali media e attraverso siti internet de-dicati. Inoltre, le aziende ricercano delle opportunità di contatto diretto con il con-sumatore, attraverso la partecipazione a sagre e fiere del settore91.

L’analisi del prezzo medio di vendita della “Melanzana Rossa di Rotonda”

88 Fonte: Disciplinare di Produzione della Denominazione d’Origine Protetta “Melanzana Rossa di Ro-tonda”

89 Fonte: ALSIA

90 Fonte: ALSIA

91 Fonte: ALSIA

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Capitolo 4

DOP evidenzia che oggi è possibile trovarla sul mercato solo fresca, in reti di plasti-ca da 1 Kg, con un costo che si aggira tra 1,20/1,50 €/Kg92.

Un ulteriore dato rilevabile, in direzione dello sviluppo di questo prodotto e del suo territorio, è l’impegno e lo sforzo del sistema locale in direzione del rico-noscimento. Impegno che finora ha visto in prima linea l’ALSIA ora con la locale azienda dimostrativa, il Parco Nazionale del Pollino che ha impostato e coordinato le fasi di certificazione e sviluppa azioni di promozione, e i produttori locali che hanno costituito una specifica Associazione di filiera per le produzioni orticole ed una Cooperativa (il Co.pollino) che ha supportato e gestito le iniziative di commer-cializzazione. Inoltre, un’azione di partnership tra l’Ente Parco del Pollino e l’Alsia ha portato, oggi, alla creazione di un portale web93 per la commercializzazione e-commerce dei prodotti tipici agroalimentari del Pollino oltre i confini regionali.

Emerge l’esigenza di intervenire nella realizzazione di attività di valorizza-zione del prodotto come opportunità di sviluppo del territorio, attraverso un’analisi degli attuali sbocchi di mercato e dei vari canali distributivi, con la creazione di panieri di offerte commerciali complementari con altri prodotti tipici del territorio da integrare nei pacchetti di turismo rurale e ambientale che, nell’area protetta del Pollino, sono in fase di forte rilancio attraverso la politiche di sviluppo messe in atto dalla Regione Basilicata e dall’APT.

92 Fonte: ALSIA

93 www. prodottipollino.it: La genuinità in un click! E’ il portale e-commerce dei prodotti tipici del Parco Nazionale del Pollino che raggruppa le aziende produttrici e i prodotti della tradizione agricola e gastronomica dell’area (tra cui i prodotti certificati: “Melanzana Rossa di Rotonda” DOP, “Fagioli Bianchi di Rotonda” DOP e “Peperone di Senise” IGP). Un “mercato” virtuale dove poter conoscere le genuinità del Pollino e acquistarle on line in “Negozi elettronici”, e dove ogni produttore dell’Area può esporre la propria produzione in “Vetrine Elettroniche”. Il tutto accompagnato da caratteristiche ricette tipiche.

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

CARTA DI IDENTITA’ DELLA “MELANZANA DI ROTONDA” DOP

Registrazione Europea con Regolamento UE n. 624del 15/07/2010 pubblicato sulla GUUE L. 182 del 16/07/2010.

ORGANISMO DI DIFESA Comitato Promotore per il riconoscimento della Melanzana Rossa di Rotonda DOP - C/da Piano Incoronata c/o AASD ALSIA “Pollino” - Rotonda (PZ) 85048 –

ORGANISMO DI CERTIFICAZIONE CSQA Certificazioni Srl Via San Gaetano 74 - 36016 Thiene (VI) - Italy

Zona di Produzione

La zona di produzione e condizionamento della DOP “Melanzana Rossa di Rotonda” comprende l’intero territorio dei seguenti comuni della provincia di Potenza: Rotonda, Viggianello, Castelluccio Superiore, Castelluccio Inferiore.

Caratteristiche del Prodotto

La denominazione d’origine protetta (DOP) “Melanzana Rossa di Rotonda” si ottiene con l’ecotipo Melanzana Rossa di Rotonda riconducibile alla specie Solanum aethiopicum, comunemente nota come Melanzana Rossa.

La Melanzana Rossa di Rotonda, all’atto dell’immissione al consumo allo stato fresco deve avere le seguenti caratteristiche:

- pezzatura della bacca: lunghezza fino a cm. 8, larghezza fino a cm. 8 con peso fino a 200 g;

- colore e sovracolore, verde arancio chiaro con tenui sfumature verdognole ad inizio maturazione e successiva-mente arancione vivo tendente al rosso lucido;

- bacca intera di aspetto fresco, sana;

- polpa caratterizzata da una consistenza carnosa e dalla caratteristica di non annerire dopo il taglio;

- pulita, praticamente esente da sostanze estranee visibili;

- priva di odore e/o sapore estranei;

- priva di umidità esterna anormale.

Come si Produce

La produzione prevede le seguenti fasi:

• Preparazione del terreno: le operazioni colturali devono prevedere aratura ad una profondità di circa 30-35 cm precedente l’impianto. Seguiranno poi le operazioni di preparazione del terreno per il trapianto.

• Trapianto: si esegue dal 10 Maggio al 30 Giugno di ogni anno.

• Sesto d’impianto: i sesti e le distanze di piantagione devono essere quelli in uso tradizionale nella zona, con una densità d’impianto comunque non superiore a n. 18.000 piante ad ettaro.

• Modalità di trapianto: le piantine vengono trapiantate in solchetti preventivamente aperti.

• Materiale di propagazione: utilizzo di piantine con 3-5 foglie con un altezza compresa tra 10-15 cm. Le pian-tine utilizzate vengono riprodotte nell’area di produzione individuata dal disciplinare.

• Irrigazione: vengono utilizzati i seguenti metodi di irrigazione: a scorrimento, a goccia e microirrigazione.

• Concimazione: nel caso di concimazione si utilizza sostanza organica: letame maturo oppure si fa ricorso ad altra sostanza organica compostata o alla pratica del sovescio. Il livello di concimazione minerale non deve superare le seguenti unità fertilizzanti per ettaro: U.F. 100 Azoto; U.F. 100 Fosforo; U.F. 120 Potassio.

• Difesa: nel rispetto sia della tecnica di coltivazione tradizionale che di quelle a basso impatto ambientale sono consentite per i trattamenti fitosanitari tutti i principi attivi comunemente ammessi nella coltivazione integrata delle colture agrarie. Non è ammesso l’utilizzo del diserbo.

• Raccolta: la raccolta delle bacche deve essere effettuata a mano con forbici asportando una piccola porzione di peduncolo. La raccolta delle bacche inizia dal 1 luglio di ogni anno e termina entro il 30 di novembre. La produzione massima in coltura specializzata è fissata in 60 tonnellate ad ettaro.

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Capitolo 4

• Seme: il seme utilizzato per la riproduzione deve provenire da piante madri sane selezionate all’interno di campi ricadenti nei comuni previsti dal disciplinare.

• Tutte le fasi del condizionamento, dalla preparazione fino al confezionamento ed alla conservazione del prodotto, sono effettuate all’interno del territorio stabilito dal disciplinare per evitare che il trasporto e le eccessive manipolazioni possano produrre ammaccature delle bacche e rottura del peduncolo alterando irri-mediabilmente le qualità organolettiche del prodotto.

Caratteristiche al consumo

L’immissione al consumo della DOP Melanzana Rossa di Rotonda deve avvenire secondo le seguenti modalità: il prodotto fresco deve essere posto in vendita in contenitori realizzati con materiale di origine vegetale, con cartone, con retine di plastica riciclabile o altro materiale riciclabile, consentito dalle normative comunitarie.

Le confezioni di retina di plastica riciclabile con le quali la “Melanzana Rossa di Rotonda” DOP viene immessa al consumo non possono superare il peso di 1 Kg.

Sulle etichette apposte sulle confezioni devono essere riportate, a caratteri di stampa chiari e leggibili, le seguenti indicazioni:

- “Melanzana Rossa di Rotonda e “denominazione d’origine protetta o il suo acronimo DOP con caratteri supe-riori a quelli usati per le altre indicazioni.

- il nome, la ragione sociale e l’indirizzo dell’azienda confezionatrice o produttrice;

- la quantità di prodotto effettivamente contenuta nella confezione, espressa in conformità delle norme vigenti;

- il logo.

Il logo di forma ellittica ha un bordo formato esternamente da una doppia linea concentrica di color salmone, internamente da una linea di colore salmone. Il bordo ha fondo bianco, nella parte superiore di questo bordo è riportata la dicitura “Melanzana Rossa” nella parte inferiore la dicitura “di Rotonda”. Nella forma ellittica interna dal fondo rosa salmone chiaro è raffigurata l’immagine stilizzata di una melanzana rossa dal corpo sfumato con colori variabili dal rosso all’arancio e con il gambo sfumato dal verde scuro al verde chiaro. Alla base del logo è riportata la dicitura “Denominazione di Origine Protetta”.

Fonte: Disciplinare Di Produzione Della Denominazione D’origine Protetta “Melanzana Rossa Di Rotonda”

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“FagioliBianchidiRotonda”DOP

La denominazione d’origine protetta (DOP) “Fagioli Bianchi di Rotonda” si ottiene con gli ecotipi Fagiolo Bianco e Tondino o Poverello Bianco riconducibili alla specie Phaseolus Vulgaris L.. Può ottenere il riconoscimento come “Fagiolo Bianco di Rotonda” DOP solo il prodotto appartenente alle categorie Extra e Prima. Questi Fagioli si presentano con un baccello ceroso di colore bianco tendente al giallo chiaro o all’avorio e con una granella secca di forma tonda ovale di colore bianco priva di venature94.

La pianta cresce molto velocemente e può raggiunger anche i due metri e sessanta di altezza. Il recentissimo riconoscimento DOP da parte dell’Unione Eu-

94 Fonte: Disciplinare di Produzione della Denominazione d’Origine Protetta “Fagioli Bianchi di Rotonda”

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Capitolo 4

ropea di questo prodotto nasce in seguito ad un progetto di caratterizzazione ge-netica, avviato dall’Azienda Agricola Sperimentale Dimostrativa ”Pollino”, al fine di conservare e valorizzare delle colture caratteristiche del territorio, assieme al patrimonio storico-culturale ad esse legato. Nasce cosi nel 2004, su iniziativa del comune di Rotonda e con il contributo e la consulenza dell’ALSIA, un Comitato uni-co per la registrazione dei “Fagioli Bianchi di Rotonda” DOP e la “Melanzana Rossa di Rotonda DOP composto dagli agricoltori della Valle del Mercure. Nel 2006 il Co-mitato Promotore presenta la domanda di registrazione delle due DOP al Ministero che nel 2008 accorda la protezione transitoria che porterà poi a Marzo 2011 al ri-conoscimento dei “Fagioli Bianchi di Rotonda” quale prodotto a Denominazione di Origine Protetta95.

LaStoria

I “Fagioli Bianchi di Rotonda”DOP hanno rappresentato per l’area del Pollino una forte valenza storico e culturale, in passato venivano utilizzati con particolare frequenza nell’alimentazione quotidiana dei contadini per l’alto contenuto proteico della granella ed il basso costo al consumo e venivano denominati la “carne dei poveri”.

La coltivazione dei fagioli nell’area della Valle del Mercure ha una lunga tra-dizione, come riportato nella pubblicazione del “Regno delle due Sicilie descritto e illustrato” (F. Cirelli 1852) in cui veniva descritto lo Stato dell’agricoltura, e, in un articolo del 2 settembre 1860 dell’«Eco di Basilicata Calabria Campania» in cui ve-nivano descritte le qualità di questi “Fagioli Bianchi di Rotonda” apprezzati persino da Giuseppe Garibaldi che di ritorno dalla Sicilia, si fermò a Rotonda per dormire e mangiare, e gustò i fagioli bianchi, rimanendone così piacevolmente colpito da portarsene una piccola quantità da seminare poi nella sua Caprera96.

La coltivazione di questi fagioli, presente in passato solo nei piccoli orti fami-liari dove ogni agricoltore custodiva gelosamente la coltivazione degli ecotipi locali, ha subito un forte impulso a partire dagli anni ’80 con la diffusione dell’irrigazione,

95 Fonte: “La Melanzana Rossa e i Fagioli Bianchi. Le due DOP di Rotonda” – pubblicazione realizzata nell’ambito del POR Basilicata 2000-2006 a cura dell’ALSIA

96 Fonte: Disciplinare di Produzione della Denominazione d’Origine Protetta “Fagioli Bianchi di Roton-da”

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che ha portato alla produzione del legume non solo secco ma anche fresco97.Anche le tecniche utilizzate per la coltivazione dei “Fagioli Bianchi di Roton-

da” sono state tramandate nel corso degli anni con una serie di operazioni ese-guite interamente a mano, come la raccolta e la realizzazione delle strutture per il sostegno dei fagioli rampicanti, fatte con pali di castagno, con un sistema unico utilizzato esclusivamente dai produttori della valle del Mercure e diverso da tutti gli altri sistemi utilizzati in Italia. Una tecnica che consente una buona aerazione delle piante evitando, così, la formazione di umidità tra i filari che è la responsabile dell’imbrunimento e delle macchie sul baccello che, in questi territori rimane, in-vece, bianco e molto delicato98.

IlTerritorio

La zona di produzione dei“Fagioli Bianchi di Roton-da” DOP include l’intero territorio delimitato dal compren-sorio irriguo del versante lucano della Valle del Mercure comprendente i comuni di: Rotonda, Viggianello, Castel-luccio Superiore e Castelluccio Inferiore, territorio molto ricco di acqua proveniente da sorgenti situati nel Parco Nazionale del Pollino. I terreni destinati alla coltivazione di tale eccellenza lucana, di origine alluvionale, sabbiosi e limo-argillosi, donano a tale prodotto le sue caratteristiche di unicità: la grande capacità di immagazzinare acqua favorisce l’accumulo di amido che riduce lo spes-sore del tegumento (molto sottile anche grazie al basso contenuto di calcare del terreno); l’abbondanza di azoto e zolfo nel suolo coltivato donano l’alto contenuto proteico della granella secca; e la trascurabile quantità di calcio garantisce minore durezza ai semi99.

Nel periodo di produzione il clima è mite: con piogge abbondanti che per-mettono di produrre semi che assorbono meno acqua rispetto a piante allevate in ambienti caldi e secchi e con escursioni termiche tra giorno e notte che favorisco-no la fecondazione dei baccelli ed il numero dei grani. Le alte temperature estive, che aumentano il contenuto di zuccheri semplici nei semi, favoriscono invece una

97 Fonte: “La Melanzana Rossa e i Fagioli Bianchi. Le due DOP di Rotonda” – pubblicazione realizzata nell’ambito del POR Basilicata 2000-2006 a cura dell’ALSIA

98 Fonte: Disciplinare di Produzione della Denominazione d’Origine Protetta “Fagioli Bianchi di Rotonda”

99 Disciplinare di Produzione della Denominazione d’Origine Protetta “Fagioli Bianchi di Rotonda”

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Capitolo 4

lenta maturazione del fagiolo rendendolo unico ed inimitabile100. Infatti già nel 1875 l’agronomo Tenore sosteneva a proposito del particolare microclima dell’area “…la mitidezza del clima, la posizione dei terreni e la loro buona qualità offrono i fattori più sicuri della produzione …”101.

LaSagra

Con il riconoscimento delle due DOP è nata la prima edizione della mani-festazione “Il Bianco e la Rossa”, evento che (nel periodo estivo) ha celebrato le due eccellenze agroalimentari della Valle del Mercure: la Melanzana e il Fagiolo. Non una semplice sagra, ma un evento che ha consentito ai visitatori: di avere un contatto diretto con gli agricoltori, attraverso visite guidate ai campi di Melanzana Rossa e di Fagiolo Bianco e di poterli degustare nella tante ricette del posto. La manifestazione ha subito un’evoluzione positiva rispetto al passato, quando veniva organizzata dagli operatori locali della ristorazione, e ha visto la partecipazione e il coinvolgimento anche delle istituzioni locali102.

ValenzeGastronomiche

I “Fagioli Bianchi di Rotonda” si caratterizzano per un elevato contenuto pro-teico ed un tegumento sottile che permette tempi di cotture brevi e tenerezza del frutto. Dei “Fagioli Bianchi di Rotonda” negli anni si sono tramandate ricette e piatti tipici tramandati, quali: “Scarola e fagioli bianchi”, “Cavoli e fagioli bianchi” ”Patate e fagioli” “Minestra impastata”, “Fagioli e scorza (cotica di maiale)” “Lagane e fa-gioli (pasta fatta in casa)”. Oggi questi piatti (consumati ancora in famiglia) vengono proposti negli agriturismi, nella ristorazione locale e durante le sagre.

100 Fonte: Disciplinare di Produzione della Denominazione d’Origine Protetta “Fagioli Bianchi di Roton-da”

101 Fonte: “La Melanzana Rossa e i Fagioli Bianchi. Le due DOP di Rotonda” – pubblicazione realizzata nell’ambito del POR Basilicata 2000-2006 a cura dell’ALSIA

102 Fonte: Portale delle due DOP - www.biancoerossadop.it

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LaProduzione

Il processo produttivo dei “Fagioli Bianchi di Rotonda” DOP prevede: la fase di semina, che va dal 20 Aprile al 10 Luglio (con semi provenienti da campi situati nel territorio di produzione) e viene eseguita a mano o con seminatrice, con un investimento massimo per ettaro di 110.000 piantine; le operazioni colturali, che si caratterizzano per la marcata presenza dell’uomo nel processo produttivo, pre-vedendo una serie di operazioni eseguite interamente a mano, dalla realizzazione della struttura di sostegno dei fagioli rampicanti (realizzata con appositi tutori fatti a mano esclusivamente con pali di castagno secondo una tecnica tramandata da generazioni, attraverso un sistema unico e particolare, utilizzato solo dai produt-tori di questi luoghi, che posiziona le piante rampicanti dei fagioli con il sistema a “postarella” o a “rete” per conservare una buona areazione evitando il formarsi dell’umidità, responsabile della presenza di striature sul prodotto, e lasciando il fagiolo perfettamente bianco), alla scerba tura, alla raccolta che per la produzione cerosa inizia il 1 agosto di ogni anno e termina entro il 30 ottobre (la produzione massima è di 13 tonnellate ad ettaro) e per la produzione secca inizia il 15 settem-bre e termina entro il 30 novembre (con una produzione massima di 2,5 tonnellate ad ettaro); ed il confezionamento, che avviene nella stessa zona di produzione per evitare che il trasporto e le eccessive manipolazioni possano incidere negativa-mente sul prodotto, alterando la colorazione, producendo lesioni e schiacciamenti del baccello stesso e della granella (visto il tegumento molto sottile), o provocando l’insorgenza di muffe che altererebbero irrimediabilmente il prodotto.103

I dati oggi a disposizione relativi alla produzione riguardano una DOP che sta muovendo i primi passi nella produzione certificata (riconosciuta nel 2011 ed in pro-tezione transitoria dal 2008), ed evidenziano un numero delle aziende di produzione (conduttori) iscritte più o meno stabile, a cui si affianca il numero delle aziende che effettuano la produzione certificata DOP che, dopo un decremento consistente registrato nel 2009, ha visto una ripresa nel 2010, a cui è corrisposto un aumento della relativa produzione DOP che (dal 2009 al 2010) si è triplicata, a testimonianza di una buona fase di avvio, legata alla forte volontà dei produttori di raggiungere l’obiettivo della DOP. Rispetto al 2008 (anno di inizio della protezione transitoria) il numero delle aziende effettivamente produttrici ed il numero dei confezionatori ha subito una leggera diminuzione a causa, molto probabilmente, delle difficoltà lega-te ad una produzione certificata che necessità, spesso, di adeguamenti nei processi

103 Fonte: Disciplinare di Produzione della Denominazione d’Origine Protetta “Fagioli Bianchi di Roton-da”

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Capitolo 4

aziendali (soprattutto nelle aziende di piccola dimensione) con un aumento dei costi di produzione (a causa dei costi di certificazione). Inoltre, tale aumento dei costi produttivi determina un prezzo di vendita del prodotto più elevato, il che crea delle difficoltà nella commercializzazione di un prodotto DOP recentemente registrato ed ancora poco conosciuto dal mercato.

Tabellan.2-N°aziendecertificateequantitàdiproduzionedei“FagioliBianchidiRotonda”DOP

N° aziende agricole che producono secondo disciplinare

ANNO 2008 2009 2010

Totale aziende conduttrici 8 9 8

Conduttori che hanno effettuato produzione DOP 8 2 6

Trasformatori/Confezionatori 4 1 2

Superficie e quantità prodotte

Superficie totale di produzione registrata (in Ettari) 9,17 6,11* 6,11*

Quantità prodotte e certificate (in Kg) 2.466 600** 1.962**

* Il dato riguarda la superficie iscritta sul numero dei conduttori iscritti

** Il dato comprende il quantitativo totale prodotto tra fresco e secco

Fonte: Organismo di Certificazione

LaCommercializzazione

Il Disciplinare di Produzione dei “Fagioli Bianchi di Rotonda” DOP prevede che possano essere immessi al consumo come prodotto fresco (da agosto ad otto-bre), in confezioni sigillate con retine del peso fino a un massimo di 10 Kg o in cas-sette del peso fino a un massimo di Kg 15, e, come prodotto secco (tutto l’anno), in confezioni sigillate con scatole di cartone, sacchi di iuta o altro materiale riciclabile del peso fino ad un massimo di Kg 5. Le etichette apposte sulle confezioni devono riportare la denominazione con il relativo logo (a forma ellittica, raffigurante un chicco di fagiolo con contorno di colore “verde oliva” con sfumatura bianca, all’in-terno del quale è riportata la dicitura “D.O.P. DENOMINAZIONE DI ORIGINE PRO-TETTA” di colore “verde oliva”; sotto la scritta è riportato lo stemma del Comune di Rotonda, rappresentato da una torre merlata di colore “verde oliva pallido” pog-giata su tre monti di colore “verde oliva”, e, all’interno del monte centrale è ripor-tata una forma allungata ed ondulata di colore “verde oliva pallido” raffigurante un corso d’acqua. Nella parte sottostante è inserito un semi cerchio di colore “verde

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oliva” con cornice interna di colore bianco, riportante la dicitura “FAGIOLI BIANCHI DI ROTONDA” di colore “verde oliva”) e indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali, marchi privati dell’azienda confezionatrice o produttrice, (non aventi significato laudativo tali da non trarre in inganno l’acquirente) e la quantità di pro-dotto effettivamente contenuta nella confezione (espressa in conformità delle nor-me vigenti), ed è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione aggiuntiva compresi gli aggettivi: tipo, gusto, uso, selezionato, scelto e similari104.

Come già detto, il recentissimo riconoscimento DOP rende difficile effettuare delle valutazioni commerciali sulla produzione certificata, per lo più la distribuzio-ne commerciale del prodotto comprende l’area di produzione e il territorio regio-nale, con piccole “esportazioni” anche in altre regioni italiane come la Toscana. Inoltre, i canali commerciali prevalenti sono la vendita diretta per il prodotto fresco, ed il dettaglio tradizionale, con negozi specializzati, e la ristorazione per il prodotto secco (vedi Tab. n. 2).

Tabellan.2:Mercatididestinazioneeincidenzadeicanalidistributividei“FagioliBianchidiRotonda”DOP

Mercati di destinazione della produzione IGP

Anno 2010

Mercato Interno 100%

Mercato Estero 0%

Mercato Interno

Fagiolo Bianco Locale - Fresco

Vendita Diretta 80%

Distributori 20%

Fagiolo Bianco Locale - Secco

Ristorazione (locale) 60%

Negozi specializzati 30%

Promozione/Sagre 10%

Fagiolo Poverello - Secco

Vendita Diretta 20%

Negozi specializzati 50%

Distribuzione Moderna 25%

Promozione/Sagre 5%Fonte: ALSIA

104 Fonte: Disciplinare di Produzione della Denominazione d’Origine Protetta “Fagioli Bianchi di Rotonda”

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Capitolo 4

Il prezzo medio di vendita si aggira tra 1,70/2,00 €/Kg per il fagiolo bianco fresco e tra i 4,50/5,00€/Kg per il prodotto secco. Maggiore è il prezzo del fagiolo poverello bianco secco che va dai 5,50€/Kg ai 6,50€/Kg105.

Ad oggi le attività di marketing che le aziende aderenti alla DOP mettono in campo riguardano la creazione di opportunità di contatto con il consumatore, attra-verso sagre e manifestazioni, e attività di informazione sul prodotto, con il sostegno dell’ALSIA, grazie anche a diverse pubblicazioni (Collana “I Prodotti agroalimentari Certificati”, articoli di ricerca e approfondimento su pubblicazioni periodiche: “Agri-foglio”, “Quaderni” ecc.) e del Parco Nazionale del Pollino che ha inserito i fagioli nel suo paniere di prodotti tipici e sul catalogo commerciale “Prodotti del Pollino”. Ulteriori canali di promozione sono legati alla partecipazione a trasmissioni tele-visive e all’utilizzo del web attraverso un sito internet dedicato al prodotto, dove e possibile reperire informazioni e curiosità legate a tale produzione DOP e, un porta-le e-commerce, creato in collaborazione tra l’ALSIA e il Parco Nazionale del Pollino, dove è possibile anche acquistare il prodotto on-line106.

CARTA DI IDENTITA’ DEI “FAGIOLI BIANCHI DI ROTONDA” DOP

Registrazione Europea con Regolamento UE n. 240 dell’11/03/2011, pubblicato sulla GUUE L. 66 del 12/03/2011.

ORGANISMO DI DIFESA Comitato promotore per il riconoscimento dei Fagioli Bianchi di Rotonda D.O.P. - C/da Piano Incoronata c/o AASD ALSIA “Pollino” - Rotonda (PZ) 85048 – Tel. 0973/667545 – Fax. 0973/667621

ORGANISMO DI CERTIFICAZIONE Camera di Commercio di Potenza - Azienda Speciale Forim Corso XVIII Agosto, 34 – 85100 Potenza

La zona di produzione della DOP “Fagioli Bianchi di Rotonda” include l’intero territorio delimitato dal com-prensorio irriguo del versante lucano della Valle del Mercure comprendente i seguenti comuni della provincia di Potenza: Rotonda, Viggianello, Castelluccio Superiore, Castelluccio Inferiore.

Caratteristiche del Prodotto

I “Fagioli Bianchi di Rotonda” all’atto dell’immissione al consumo come baccello ceroso devono avere le seguenti caratteristiche:

- Baccello: lunghezza fino a massimo di cm. 20, larghezza fino a un massimo di mm. 20;

- Colore bianco tendente al giallo chiaro o all’avorio;

- Baccello ceroso di aspetto fresco, sano e turgido;

- Pulito, praticamente esente da sostanze estranee visibili;

- Privo di odore e/o sapore estranei;

- rivo di umidità esterna anormale;

- Tenore di umidità non deve essere inferiore a 60 %;

105 Fonte: ALSIA

106 Fonte: ALSIA

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- Contenuto proteico uguale o superiore a 9.0 (% sul tal quale ).

I “Fagioli Bianchi di Rotonda” all’atto dell’immissione al consumo come granella secca devono avere le seguenti caratteristiche :

- Seme: lunghezza fino a un massimo di mm 18, larghezza fino a un massimo di mm 15;

- Assenza di venature;

- Colore bianco

- Media brillantezza;

- Forma cubica o tonda;

- Peso di 100 semi:fino a un massimo di gr 90;

- Granella pulita, praticamente esente da sostanze estranee visibili;

- Granella priva di odore e/o sapore estranei;

- Granella priva di umidità esterna anormale;

- Tenore di umidità non inferiore a 10 %;

- Contenuto proteico uguale o superiore 24 (% su s.s).

Come si Produce

La tecnica di produzione del prodotto è la seguente:

Preparazione del terreno. le operazioni colturali devono prevedere aratura ad una profondità di circa 30-35 cm. precedente l’impianto. Seguiranno poi le operazioni di preparazione del letto di semina.

Semina: si esegue dal 20 Aprile al 10 Luglio di ogni anno.

Sesto: i sesti e le distanze di semina, devono essere quelli in uso tradizionale nella zona, con un investimento massimo per ettaro di 110.000 piantine.

Modalità di semina: la semina viene effettuata a mano o con seminatrice ad una profondità di 3-5 cm a fila continua o a postarella;

Seme: il seme utilizzato per la riproduzione deve provenire dai campi ricadenti nei comuni di cui all’art.3 con una quantità non superiore a 100 kg per ettaro.

Tutori: Per il sostegno dei fagioli vengono utilizzati tutori di legno e rete.

Irrigazione: devono essere utilizzati i seguenti metodi di irrigazione: a scorrimento, a goccia e microirrigazione;

Concimazione: nel caso di concimazione si utilizza sostanza organica, letame maturo, oppure si fa ricorso ad altra sostanza organica composta o alla pratica del sovescio. Il livello di concimazione minerale non deve superare le seguenti unità fertilizzanti per ettaro:

U.F. 130 Azoto;

U.F. 100 Fosforo;

U.F. 120 Potassio;

Difesa: nel rispetto sia della tecnica di coltivazione tradizionale che di quelle a basso impatto ambientale sono consentiti per i trattamenti fitosanitari tutti i principi attivi ammessi nella coltivazione integrata delle colture agra-rie. Non è ammesso l’utilizzo del diserbo.

Raccolta: la raccolta va eseguita manualmente ed i fagioli vengono riposti in contenitori di legno o di plastica. La raccolta della produzione cerosa inizia dal 1 agosto di ogni anno e termina entro il 30 ottobre. La produzione massima è di 13 tonnellate ad ettaro. La raccolta della produzione secca inizia dal 15 settembre e termina entro il 30 novembre. La produzione massima è di 2,5 tonnellate ad ettaro.

Il confezionamento del prodotto deve essere effettuato all’interno della zona dal disciplinare di produzione, per

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Capitolo 4

evitare che il trasporto e le eccessive manipolazioni possano pregiudicare la colorazione del baccello ceroso, quest’ultimo particolarmente delicato perché facilmente soggetto all’imbrunimento e alla formazione sul tegumen-to esterno di macchie brunastre, con il conseguente appassimento e perdita di turgidità. Inoltre la non corretta ma-nipolazione può produrre lesioni e schiacciamenti del baccello stesso e della granella caratterizzata, quest’ultima, da un tegumento molto sottile, e soprattutto provocare l’insorgenza di muffe che altererebbero irrimediabilmente il colore e l’integrità della forma del seme.

Caratteristiche al consumo

L’immissione al consumo della DOP “Fagioli Bianchi di Rotonda” deve avvenire secondo le seguenti modalità:

Il prodotto fresco deve essere posto in vendita nelle seguenti confezioni sigillate:

- retine del peso fino a un massimo di 10 Kg.

- cassette del peso fino a un massimo di Kg 15.

Il prodotto secco deve essere posto in vendita nelle seguenti confezioni sigillate: scatole di cartone, sacchi di iuta o altro materiale riciclabile del peso fino ad un massimo di Kg.5.

Sulle etichette apposte sulle confezioni devono essere riportate, a caratteri di stampa chiari e leggibili,le seguenti indicazioni:

- “Fagioli Bianchi di Rotonda e “denominazione di origine protetta e il suo acronimo DOP con caratteri superiori a quelli usati per le altre indicazioni;

- il nome, la ragione sociale e l’indirizzo dell’azienda confezionatrice o produttrice;

- la quantità di prodotto effettivamente contenuta nella confezione, espressa in conformità delle norme vigenti;

- il logo del prodotto sotto riportato.

Il logo è di forma ellittica schiacciata lungo l’asse minore destro, raffigurante un chicco di fagiolo con contorno di colore “verde oliva” e contorno interno concentrico di colore bianco ed ombreggiatura esterna. Il riempimento interno è di colore “verde oliva pallido” e presenta una sfumatura bianca.

In prossimità del fuoco posizionato sull’asse minore destro, è riportata una piccola forma convessa di colore “verde oliva”.

All’interno del fagiolo, disposta su quattro righe, è riportata la dicitura DOP “DENOMINAZIONE DI ORIGINE PRO-TETTA” di colore “verde oliva”. Sotto la scritta è riportato lo stemma del Comune di Rotonda, rappresentato da una torre merlata di colore “verde oliva pallido” con sfumature “verde oliva”, con finestra e portone posizionati sull’asse centrale di colore “verde oliva”. La torre è poggiata su 3 triangoli isosceli raffiguranti tre monti di colore “verde oliva”. All’interno del triangolo centrale, è riportata una forma allungata ed ondulata di colore “verde oliva pallido” raffigurante un corso d’acqua. Nella parte sottostante è inserita una forma geometrica raffigurante un semi cerchio di colore “verde oliva” con cornice interna di colore bianco, riportante all’interno la dicitura “FAGIOLI BIANCHI DI ROTONDA” di colore “verde oliva”.

Fonte: Disciplinare Di Produzione Della Denominazione D’origine Protetta “Fagioli Bianchi Di Rotonda”

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Prodottiortofrutticolodop/igpdellaregionebasilicata:analisiswotPUNTI DI FORZA PUNTI DI DEBOLEZZA

Tutte le fasi di produzioni e di confezionamento dei pro-dotti DOP/IGP sono oggetto di attenti ed accurati con-trolli che assicurano il pieno rispetto di tutte le regole previste dal Disciplinare di Produzione

Presenza di micro imprese poco strutturate e quasi sem-pre a conduzione familiare, a cui si affianca un difficile ricambio generazionale e una limitata specializzazione degli addetti

Tipicità ed inimitabilità del prodotto sono legate ai tra-dizionali metodi di coltivazione, al clima, ai terreni e alle acque irrigue dei territori di produzione che rendono que-sti prodotti unici e di elevata qualità

Esigui quantitativi della produzione certificata a causa: degli elevati costi della produzione (legati ai costi di certificazione e ai vincoli produttivi imposti dai Discipli-nari di Produzione), della scarsa redditività del prodotto e delle variabilità climatiche e stagionalità dei prodotti

Crescita della filiera di produzione, aumento della produ-zione certificata e del riconoscimento sul mercato, anche grazie ad una diversificazione del prodotto da commer-cializzare in risposta all’evoluzione della domanda del mercato (PEPERONE DI SENISE IGP)

Difficoltà nell’attività di commercializzazione del prodot-to, che si sviluppa principalmente all’interno degli stessi confini regionali, a causa della mancanza di notorietà del territorio lucano e dei relativi prodotti certificati lucani, che rendono difficoltosa la penetrazione dei mercati oltre il bacino territoriale di produzione. Criticità che per alcuni prodotti che ormai da molti anni detengono il riconoscimento europeo (“Peperone di Senise” IGP e “Fagioli di Sarconi”IGP) è in fase di miglioramento, regi-strando una piccola presenza anche sui mercati nazionali ed internazionali

Attività dei Consorzi di Tutela che puntano alla valorizza-zione e alla promozione di questi prodotti

Organizzazione di Sagre annuali per la valorizzazione e la commercializzazione dei prodotti, che incentivando un turismo gastronomico e culturale nei luoghi di pro-duzione

Produzione in fase di avvio legata ad un recente ricono-scimento europeo che necessita di un fisiologico periodo di adeguamento agli standard produttivi (MELANZANA ROSSA DI ROTONDA DOP e FAGIOLI BIANCHI DI RO-TONDA DOP)

OPPORTUNITA’ CRITICITA’

Creare attività di valorizzazione del prodotto attraverso la promozione di itinerari e percorsi di turismo enoga-stronomico, quali mezzo di legame e conoscenza del ter-ritorio al fine di permettere una remunerazione adeguata dei produttori

Difficili rapporti con il sistema distributivo ed in partico-lare con la grande distribuzione, alla quale occorre ga-rantire la fornitura di grandi volumi, che i produttori non sono in grado di sostenere, con un’imposizione di prezzi troppo bassi, che non coprirebbero i costi delle fasi di lavoro dalla raccolta (manuale) al confezionamentoIndividuare adeguati canali di commercializzazione, at-

traverso l’analisi delle varie opportunità di collocamento nel mercato, dando maggiore visibilità ai prodotti, anche attraverso la partecipazione a fiere ed eventi del settore

Creare panieri di offerte commerciali complementari dei diversi prodotti tipici del territorio lucano

Investire nella formazione degli operatori della filiera favorendone il ricambio generazionale

Prevedere erogazione di finanziamenti pubblici per il so-stegno e la valorizzazione delle produzioni

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Capitolo 4

Procedere ad un potenziamento produttivo attraverso forme di aggregazione tra aziende

Mancanza di un’adeguata politica di comunicazione a sostegno del prodotto, principale causa di freno del pas-saggio da prodotto di nicchia a prodotto di qualitàIndividuare strategie di promozione adeguate che mirino

ad evidenziare le specificità dei prodotti, quale opportu-nità di competitività, strettamente legate all’unicità dei territori di produzione

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4.3FormaggiDOP/IGPdellaRegioneBasilicata

Il comparto dei formaggi DOP/IGP della regione Basilicata conta due for-maggi DOP: il “Pecorino di Filiano” e il “Caciocavallo Silano” e un IGP, il “Canestra-to di Moliterno” (unico formaggio IGP dello scenario nazionale).

Il riconoscimento comunitario dei formaggi lucani oltre ad offrire garanzie sul processo produttivo, quali origine del latte, localizzazione e tradizionalità del processo produttivo, testimonia lo storico legame tra il territorio lucano, la tradi-zionale attività pastorizia, la conseguente caratterizzazione del paesaggio agrario. Il comparto dei Formaggi DOP/IGP della Basilicata, come per gli altri prodotti cer-tificati, ha registrato negli ultimi anni qualche momento di difficoltà per la rilevante polverizzazione aziendale e gli esigui volumi di produzione certificata che rendono difficile attivare efficaci strategie di produzione e di commercializzazione. Il quadro strutturale del comparto mostra una situazione in cui i formaggi certificati lucani, nonostante le potenzialità, rappresentano una realtà di produzione di nicchia, con aziende in cui la produzione media si attesta ancora su quantitativi molto limitati.

L’analisi dei dati e delle informazioni raccolte anche attraverso interviste, evidenzia la presenza di criticità legate alla mancanza di organicità della filiera ovi-caprina di produzione, (quindi relativamente alla produzione del “Pecorino di Filiano” DOP e del “Canestrato di Moliterno” IGP) a causa di difficoltà economiche e commerciali e una cultura di impresa poco incline alla proceduralizzazione azien-dale e all’introduzione di innovazioni di processo e di prodotto, legata a metodi di gestione spesso tradizionali (basso ricambio generazionale e scarsa propensione all’innovazione), accompagnati, in alcuni casi, da inadeguatezze strutturali delle aziende di produzione della filiera, non solo verso gli standard produttivi e normativi imposti dal Disciplinare di Produzione ma in molti casi allo stesso adeguamento alle norme igienico-sanitarie imposte dalle normative vigenti. In tale contesto la re-cente fase di avvio di produzioni certificate necessita di un fisiologico periodo di ro-daggio, superato il quale, è obiettivo dei Consorzi di Tutela interessati incrementare il numero delle aziende della filiera presenti nelle aree di produzione aumentando i quantitativi di produzione per soddisfare una domanda maggiore, che superi anche i confini dei territori di produzione e della regione.

La commercializzazione il più delle volte si basa su rapporti personali, sul passa parola, sulla vendita diretta in azienda o in fiere/mercati (anche extra regio-nali) e sagre; anche se negli ultimi anni alcuni produttori hanno attivato canali di commercializzazione con distributori e canali di commercializzazione a distanza (e-commerce) proprio mediante contatti avviati attraverso la partecipazione a fiere

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Capitolo 4

e manifestazioni del settore.Di fatto, si presenta una situazione in cui vi è una scarsa commercializzazio-

ne del prodotto certificato (a causa del prezzo più alto) ed una buona commercializ-zazione dello stesso prodotto non certificato, soprattutto nel territorio di produzio-ne, che sconta un minor costo.

Si registra, inoltre, uno scarso interesse dei numerosi caseificiverso la pro-duzione certificata, che preferiscono indirizzarsi sulla produzione e vendita di tra-sformati del latte utilizzando materia prima che sconta un prezzo del latte più bas-so.

Diversa è la situazione che emerge per il “Caciocavallo Silano” DOP, che,, non è un formaggio legato alla produzione lucana, ma comprende un’area di pro-duzione più vasta (conta ben quattro regioni dell’area meridionale: Campania, Pu-glia, Basilicata, Calabria e Molise) nella quale la produzione della Basilicata rap-presenta una piccola quota. La filiera di questo specifico comparto utilizza come principale canale di vendita la GDO. Le problematiche legate al prodotto risultano differenti rispetto al resto del comparto DOP/IGP lucano, in quanto si registra una maggiore produzione e visibilità derivante da un’organizzazione produttiva più este-sa e radicata da diversi anni e con canali di distribuzione attivati da tempo. I conno-tati strutturali delle aziende di produzione assumono un livello quasi industrializ-zato, con una produzione ovviamente maggiore, anche se in calo negli ultimi anni, a causa di quelle che sono le problematiche generali del mercato e del comparto dei formaggi DOP/IGP.

Per poter contenere ed affrontare le difficoltà emerge, quindi, l’esigenza di elaborare in ambito regionale azioni per rafforzare il sistema di qualità del territo-rio che coinvolgano le aziende attraverso le filiere di produzione e gli Enti locali. Le azioni dovrebbero mirare alla valorizzazione dei prodotti, quali fattori di sviluppo del territorio, legandoli ad un turismo enogastronomico e culturale, e alla definizione e ricerca di nuovi mercati e nuovi canali di commercializzazione, mediante model-li organizzativi che, migliorando le tecniche produttive e la gestione commerciale dell’offerta, possano raggiungere nuovi mercati extraregionali.

I presupposti per un rilancio di queste produzioni, che possono pas-sare da produzioni di nicchia a produzioni di qualità, sono rappresentati da po-litiche pubbliche di sostegno al settore che favoriscano il ricambio gene-razionale nei diversi settori di produzione della filiera, di investimenti nella formazione degli operatori, di investimenti nella ristrutturazione ed am-modernamento dei luoghi di produzione, della rete infrastrutturale del ter-ritorio, di servizi tecnici che favoriscano il trasferimento delle innovazioni.

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“CanestratoDiMoliterno”IGP

Il “Canestrato di Moliterno” dopo un lungo iter durato quasi dieci anni ha ottenuto nel maggio 2010 il riconoscimento IGP (Indicazione Geografica Protetta) da parte dell’Unione europea. Una storia che ha avuto inizio nel 2001, anno in cui nacque il Consorzio di Tutela del Pecorino “Canestrato di Moliterno”, e che, oggi, ha portato al riconoscimento dell’unico formaggio IGP esistente in Italia.

La peculiarità di questo formaggio è determinata dalla fase di stagionatura, che deve obbligatoriamente avvenire nei tipici “fondaci” di Moliterno, localiche, gra-zie alla presenza di un particolare micro clima conferiscono quelle caratteristiche organolettiche che fanno unico questo prodotto.

Il “Canestrato di Moliterno” IGP viene prodotto con latte crudo di pecora e capra, allevate prevalentemente a pascolo brado, con un area di produzione che comprende 60 Comuni della Basilicata, situati in provincia di Potenza e di Matera in territorio compreso fra due mari che bagnano la regione, lo Ionio e il Tirreno e che coincide con gli antichi percorsi della transumanza.

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Capitolo 4

Secondo la tradizione il “Canestrato di Moliterno” IGP viene distinto in base alla stagionatura in: primitivo se la stagionatura non supera i 6 mesi; stagionato se la stagionatura non supera i 12 mesi; ed extra se la stagionatura supera un anno. Il primitivo ha un sapore tendenzialmente dolce e delicato che, con il protrarsi della stagionatura diventa più forte ed aromatico, con un sapore piccante. La crosta è di colore giallo più o meno intenso nel primitivo e tende quasi al bruno nello stagio-nato, a causa dei trattamenti subiti durante la stagionatura con olio di oliva e aceto di vino, fino a diventare nero ardesia se trattato con emulsione di acqua e nerofumo. Al taglio la pasta appare con una struttura compatta ed un’occhiatura irregolare di colore bianco o leggermente paglierino per il primitivo che diventa più intenso per il Canestrato stagionato ed extra107.

Il “Canestrato di Moliterno” è un prodotto tipico del territorio legato alla tra-dizionale attività pastorizia del luogo e al fenomeno antico della transumanza.

LaStoria

Dediti da sempre all’attività pastorizia e casearia, i moliternesi, fin dal ‘700, periodo a cui risalgono le prime testimonianze storiche, fecero della cura del pe-corino un’attività primaria.108 Ma ancor prima, tracce dell’antica attività casearia dell’area sono testimoniate da alcuni oggetti risalenti al IV secolo a.C. rinvenuti durante lavori di scavo nella vicina “GRUMENTUM”: una formaggetta in terracotta avente la striatura tipica dell’attuale canestrato, ed una grattugia in bronzo.

Secondo alcuni storici lucani (Racioppi) il nome di Moliterno risale al radicale “mulctrum”, da “mulgere” (mungere), da cui appunto “mulcternum” che signifi-cherebbe “luogo dove si fa il latte, cioè dove si munge l’armento e si coagula il lat-te”. Sembra, dunque, che gli abitanti di questo piccolo centro lucano fossero anche dei veri maestri nell’arte di “curar pecorini” aiutati, oltre che dalla buona tecnica utilizzata, dal particolare clima molto favorevole alla stagionatura109.

A questo proposito, c’era addirittura chi, nel sottolineare la bontà di tale produ-zione, finiva per sminuire l’opera dell’uomo, dando tutto il merito alla qualità dell’aria

107 Fonte: Disciplinare di Produzione per il Formaggio Pecorino ad Indicazione Geografica Protetta “Ca-nestarto di Moliterno”

108 Fonte: Disciplinare di Produzione per il Formaggio Pecorino ad Indicazione Geografica Protetta “Ca-nestarto di Moliterno”

109 Fonte: Proposta di Disciplinare di Produzione per il formaggio pecorino ad Indicazione Geografica Protetta “Canestrato di Moliterno Stagionato in Fondaco”

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“di cui speciali germi agiscono sulla fermentazione del formaggio” (Bianculli)110.Fin dall’antichità, quindi, la cittadina di Moliterno, un piccolo comune lucano

della provincia di Potenza, situato oltre 800 mt s.l.m. nell’Appennino lucano a ca-vallo fra la Campania e la Basilicata, a dominio della Valle dell’Agri, era famosa per essere un luogo di produzione e stagionatura di formaggi pecorini. Ed è a partire dal ‘700 che la cura del pecorino si trasformò per gli abitanti di Moliterno in un’atti-vità commerciale, tale da assicurare al prodotto una rinomanza che valicò i confini nazionali e raggiunse le coste del nord America, e che contribuì alla fama di questo piccolo comune.111 È documentato che già all’inizio del ‘900 il Canestrato era ven-duto nelle grandi città italiane e varcava l’oceano raggiungendo New York, Buenos Aires e Rio de Janerio, dove vi era una rilevante presenza di lucani.

Il formaggio giungeva a Moliterno dagli allevamenti circostanti e dai paesi vicini o dagli allevatori del materano che durante il periodo estivo portavano le loro greggi sui pascoli dell’Appennino attraverso i tradizionali sentieri della transuman-za. Il formaggio veniva venduto ai commercianti di Moliterno per essere curato e commercializzato. Erano gli stessi moliternesi che si occupavano della raccolta: “….lunghe carovane di muli da Moliterno, nel periodo invernale e primaverile, scen-dono alle marine in cerca del prezioso carico di pecorino fresco……. da quattro a sei giorni dura il loro viaggio di andata e ritorno, fra innumerevoli insidie tese dagli uomini e dalla natura oltre il pericolo della malaria” (Padre Daniele Murno)112.

Una volta a Moliterno, i formaggi venivano conservati in un apposito magaz-zino, detto “funn’cu” (fòndaco), di solito posto a piano terra o seminterrato con il pavimento leggermente inclinato, per permettere lo scolo della salamoia. Questi fòndaci, che dovevano essere ben ventilati, erano costituiti da più locali, divisi tra di loro solo da ampie arcate, tanto da dare l’idea di un unico grande ambiente. Suc-cessivamente iniziava il lavoro di “cura” del formaggio, che era molto impegnativo e delicato. Il pecorino dopo qualche settimana di riposo, passava in un secondo ambiente, dove veniva lavato con acqua tiepida e strofinato leggermente con uno straccio, o meglio, col “vrungu”, un mazzetto di erba ruvida a stelo. In seguito, dopo averlo fatto sgocciolare, si passava all’operazione di salatura, spalmando il sale, fino a che ci si accorgeva che il pecorino “non ne voleva più”. Si rimetteva quindi il

110 Fonte: Disciplinare di Produzione per il Formaggio Pecorino ad Indicazione Geografica Protetta “Ca-nestarto di Moliterno”

111 Fonte: Disciplinare di Produzione per il Formaggio Pecorino ad Indicazione Geografica Protetta “Ca-nestarto di Moliterno”

112 Fonte: Proposta di Disciplinare di Produzione per il formaggio pecorino ad Indicazione Geografica Protetta “Canestrato di Moliterno Stagionato in Fondaco”

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formaggio nella “fuscedda”, un tipico cestello di giunco (canestro, da cui il nome di canestrato per la tipica rigatura che conferiva alla crosta) intrecciato dagli artigiani locali. Cominciava, così, il lungo periodo della stagionatura, durante il quale veniva eseguito il “ritocco”, che consisteva nell’aggiungere del sale alle parti del pecorino meno salate che erano rimaste scoperte e che si presentavano, per questo motivo, di un colore più scuro rispetto alle altre. Si eseguiva inoltre “la levigatura”, che ser-viva ad eliminare le asperità, con una specie di pietra pomice che veniva unta con il burro fuoriuscito dal formaggio stesso. Le forme stagionate pronte per il consumo venivano in parte venduti in loco, e soprattutto a Salerno, e in parte spedite in Ame-rica. Le spedizioni avvenivano dal molo Beverello del porto di Napoli, chiamato an-che molo Moliterno per l’assidua presenza di moliternesi impegnati nel commercio del pecorino. Il mercato americano all’epoca era molto importante e si riforniva due volte l’anno: a marzo, quando si spediva il formaggio primitivo, non ancora maturo, da mangiare fresco; e ad agosto quando si spediva il formaggio stagionato. Quest’ultimo, prima della spedizione, veniva lavato con acqua di fuliggine, cioè “con acqua bollita per una mezz’ora col nerofumo raschiato dai camini, e riportata a temperatura corporea” (Padre Daniele Murno). L’uso della fuliggine, secondo alcu-ni storici lucani come il Racioppi, aveva due motivazioni tecnico-scientifiche: la pri-ma è che, “coprendo i formaggi con una crosta nerognola, se ne vieta il contatto con l’aria e in parte si neutralizza la forza troppo piccante del nostro sal di miniera”; la seconda è che “le fuliggini contengono una resina amarissima, la quale, spandendo un forte odore empireumatico, allontana gli insetti da sé” (Padre Daniele Murno)113.

Durante l’inverno si stagionava a Moliterno il formaggio più grasso e ricco di burro prodotto nelle zone costiere; mentre, durante il periodo estivo si stagionava quello prodotto in montagna, meno grasso e più aromatico. Il primo, considerato molto più pregiato, veniva destinato all’esportazione, ed il secondo, sempre di buo-na qualità ma meno apprezzato, veniva destinato ai fattori e ai pastori addetti alla custodia delle greggi114.

Nel 1906, un solo produttore tra quelli iscritti nell’elenco degli Esportatori dei prodotti della Basilicata esportò circa 1300 quintali di formaggio stagionato. Il prezzo medio del prodotto in Italia oscillava da 150 a 170 lire; il formaggio destinato al mercato americano raggiungeva un prezzo che si aggirava dalle 300 alle 400 lire il quintale.115

113 Fonte: Sito Ufficiale del “Canestrato di Moliterno” (www.canestratodimoliterno.info)

114 Fonte: Rocco A.”Moliterno, già nel nome emergono riti antichi” tratto da Agrifoglio n. 8 – Marzo/Aprile 2005 (ALSIA)

115 Fonte: Proposta di Disciplinare di Produzione per il formaggio pecorino ad Indicazione Geografica Protetta “Canestrato di Moliterno Stagionato in Fondaco”

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IlTerritorio

L’area geografica di produzione del “Canestrato di Mo-literno” è costituita dai territori di 60 comuni della regione Basilicata, di cui 46 in provincia di Potenza e 14 in provincia di Matera.116 Il territorio, in gran parte coperto da superfici boscate, grazie ad una morfologia dolce ha permesso una dif-fusa presenza dell’uomo, dedito soprattutto ad attività agrosilvo-pastorali.

La particolarità del “Canestrato di Moliterno” IGP deriva da due fondamenta-li fattori legati alla zona di produzione: la razza ovina propria del territorio di origine e la particolare tecnica di stagionatura117.

Un primo ruolo fondamentale viene svolto, dalle razze ovi caprine che produ-cono il latte, donandogli quelle caratteristiche qualitative che incidono sulla qualità finale del formaggio. La razza ovina più diffusa sul territorio è la «Gentile di Luca-nia», una razza molto rustica, merinizzata, risultante dall’incrocio iniziato nel XV secolo tra le razze locali e gli arieti Merinos spagnoli, ben adattata alle condizioni climatiche ed orografiche della zona. Questo tipo di incrocio, nato dall’esigenza di coniugare una buona produzione laniera con un’attitudine alla produzione di carne, ha portato alla selezione di una razza con questa duplice attitudine produttiva, ma con una scarsa produzione di latte, di eccellente qualità. Il ciclo produttivo delle razze allevate, unito all’obiettivo di sfruttare al meglio il pascolo montano, ha poi portato alla formazione di allevamenti misti, di ovini e caprini, per l’attitudine delle razze caprine lucane a produrre buone quantità di latte di elevata qualità118.

Il secondo fattore, determinante per la peculiarità principale di questo pro-dotto, risiede nella fase di stagionatura, che deve avvenire obbligatoriamente (se-condo quanto previsto dal disciplinare di produzione) nelle caratteristiche cantine

116 Secondo quanto previsto dal Disciplinare di Produzione, il territorio di produzione del Canestrato di Moliterno IGP comprende i territori di: Armento, Brienza, Calvello, Calvera, Carbone, Castelluccio Inferiore, Castelluccio Superiore, Castelsaraceno, Castronuovo Sant’Andrea, Cersosimo, Chiaro-monte, Corleto Perticara, Episcopia, Fardella, Francavilla in Sinni, Gallicchio, Grumento Nova, Guar-dia Perticara, Lagonegro, Latronico, Lauria, Marsiconuovo, Marsicovetere, Missanello, Moliterno, Montemurro, Nemoli, Noepoli, Paterno, Rivello, Roccanova, Rotonda, San Chirico Raparo, San Co-stantino Albanese, San Martino d’Agri, San Paolo Albanese, San Severino Lucano, Sant’Arcangelo, Sarconi, Senise, Spinoso, Teana, Terranova del Pollino, Tramutola, Viggianello, Viggiano, in provincia di Potenza; ed i territori di: Accettura, Aliano, Bernalda, Craco, Cirigliano, Ferrandina, Gorgoglione, Montalbano Jonico, Montescaglioso, Pisticci, Pomarico, Scanzano Jonico, Stigliano, Tursi, in provin-cia di Matera

117 Fonte: Disciplinare di Produzione per il Formaggio Pecorino ad Indicazione Geografica Protetta “Ca-nestarto di Moliterno”

118 Fonte: Disciplinare di Produzione per il Formaggio Pecorino ad Indicazione Geografica Protetta “Ca-nestarto di Moliterno”

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Capitolo 4

(fòndaci) del comune di Moliterno, utilizzate ancora oggi dai produttori, il cui am-biente è determinante nella dinamica del ciclo di stagionatura che in queste strut-ture è strettamente correlato alle particolari condizioni ambientali e microclimati-che. I “fondaci”,119 infatti, devono avere dei requisiti obbligatori: altimetria superiore a 700 m s.l.m.; spessore delle murature uguale o superiore a 40 cm; presenza di almeno due aperture che permettano l’aerazione; almeno due lati perimetrali del locale interrati120.

Infine, anche il fattore umano ha contribuito a rendere unico il “Canestrato di Moliterno”, con caratteristiche qualitative particolari tale da distinguerlo netta-mente da qualsiasi altra produzione di formaggio. Infatti, la caseificazione della IGP avviene, ancora oggi, con gli stessi metodi artigianali adoperati in passato e trasmessi di generazione in generazione121.

ValenzeGastronomiche

Il “Canestrato di Moliterno” IGP, visto l’evolversi del sapore in base ai diversi gradi di stagionatura, può essere degustato come formaggio da tavola nella fase di prima stagionatura, abbinato anche a verdure crude e frutta secca, o come grattu-giato, nella tipologia più stagionata, sui piatti tipici della cucina contadina lucana, come i ravioli ripieni di ricotta “i cavuzuni”, o i fusilli, detti “maccaruni” o’ “firricied-du”. Il “Canestrato di Moliterno” IGP extra, stagionato per almeno un anno, è un

119 Il “Fòndaco”, è ambiente molto fresco e ben aerato, situato di solito nelle zone storiche del paese, nella tipologia di seminterrato. La rilevante diffusione, in questo territorio, di questa tipologia co-struttiva, è in parte dovuta alla natura stessa del territorio che ne favorisce la realizzazione, senza quasi nessun impatto con l’ambiente. Dal punto di vista architettonico i “fòndaci” hanno forma sem-plice, quadrata o rettangolare, con il pavimento in leggera pendenza per facilitare lo smaltimento dell’acqua, il soffitto è realizzato con travi di legno e sulle pareti libere si ricavano delle finestrature per permettere il ricambio dell’aria e la ventilazione. Il “fòndaco”, di solito, è composto da un unico grande ambiente, diviso da arcate (il numero delle arcate è proporzionale alla grandezza del fonda-co; normalmente sono due o tre) al fine di suddividere il prodotto nelle varie fasi della stagionatura, in modo tale che il prodotto fresco non stia a contatto con quello in fase più avanzata di affinamento. I materiali edili utilizzati per la sua costruzione, che corrispondono a quelli usati nelle opere edili del tempo, sono: pietrame locale per la costruzione delle murature, legno di castagno o abete per la realizzazione delle strutture portanti e “mattoni rossi” di cotto o selciato per il pavimento. Gli intonaci, quando vi erano, si realizzavano con malta di calce a granulometria grossa, che da alle superfici un aspetto ruvido e spugnoso e permette alle murature di respirare. (Fonte: Sito Ufficiale del Canestrato di Moliterno: www.canestratodimoliterno.info)

120 Fonte: Disciplinare di Produzione per il Formaggio Pecorino ad Indicazione Geografica Protetta “Ca-nestarto di Moliterno”

121 Fonte: Disciplinare di Produzione per il Formaggio Pecorino ad Indicazione Geografica Protetta “Ca-nestarto di Moliterno”

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

formaggio che merita una particolare attenzione se degustato con miele lucano o se accompagnato da un vino rosso strutturato122.

LaSagra

Da quasi trent’anni, nel mese di agosto, a Moliterno si tiene la Sagra del “Canestrato di Moliterno” che ha come scenario la Villa Comunale e i caratteristici “Fondaci”. La ventinovesima Sagra del “Canestrato di Moliterno” del 9 e 10 agosto 2010 è stata la prima dopo il riconoscimento ufficiale dell’Indicazione Geografica Protetta di questo prodotto e ha rappresentato un’importante occasione di pro-mozione per produttori e stagionatori. L’evento è accompagnato da manifestazioni e convegni legati alle tematiche di sviluppo del prodotto, il tutto nello scenario di una mostra mercato dei prodotti tipici, in un clima di festosità locale. La sagra rappresenta anche l’occasione per premiare la migliore produzione di Canestrato dell’anno, sulla base del giudizio di un Panel di degustatori.

LaProduzione

Secondo quanto previsto dal Disciplinare di Produzione per il Formaggio Pe-corino ad Indicazione Geografica Protetta «Canestrato di Moliterno» il latte da im-piegare per la produzione IGP deve provenire da pecore di razza “Gentile di Puglia e di Lucania”, “Leccese”, “Sarda”, “Comisana” e loro incroci, per la parte ovina, e da capre di razza “Garganica”, “Maltese”, “Jonica”, “Camosciata” e loro incroci, per la parte caprina. Ovini e caprini devono essere alimentati a pascolo, da foraggi freschi e comunque da fieni prodotti nell’area di produzione. Inoltre ogni fase del processo produttivo deve essere monitorata e documentata, garantendo la traccia-bilità della produzione e la rintracciabilità del prodotto, attraverso appositi elenchi gestiti dall’organismo di controllo che consentono di individuare per ogni partita di formaggi gli allevatori (ed il relativo latte destinato alla produzione), i produttori e/o trasformatori, gli stagionatori e confezionatori. Gli elenchi assicurano inoltre la tenuta di registri di produzione per la relativa denuncia alla struttura di controllo123.

122 Fonte: Lisi P.F. “Il Canestrato di Moliterno IGP” tratto da Basilicata - Naturale Tipico ma soprattutto Lucano (a cura dell’ALSIA realizzato in collaborazione con Origine

123 Fonte: Disciplinare di Produzione per il Formaggio Pecorino ad Indicazione Geografica Protetta “Ca-nestarto di Moliterno”

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Capitolo 4

Il “Canestrato di Moliterno” IGP può essere prodotto tutto l’anno, ma il suo apice produttivo si riscontra nel periodo che va dall’autunno all’inizio dell’estate, per consentire al bestiame di alimentarsi nel periodo di massima disponibilità fo-raggiera dei pascoli naturali di primavera consentendogli di produrre una maggiore quantità di latte di migliore qualità. L’Indicazione Geografica Protetta “Canestrato di Moliterno” è riservata ai formaggi ovi-caprini a pasta dura, prodotti con latte di pecora intero (in quantità non inferiore al 70% e non superiore al 90%), e latte di capra intero (in quantità non inferiore al 10% e non superiore al 30%). Se derivante da una o più mungiture il latte deve essere trasformato al massimo entro 48 ore dalla prima mungitura. Il latte destinato alla trasformazione può essere utilizzato crudo o sottoposto a termizzazione; la coagulazione del latte deve essere ottenuta per via pressamica aggiungendo del caglio124 di agnello o di capretto in pasta (si effettua ad una temperatura compresa tra i 36 e i 40°C, in un tempo massimo di 35 minuti), ricavato artigianalmente da animali allevati nell’area di produzione del “Canestrato di Moliterno” IGP. La cagliata viene poi rotta, fino ad ottenere grumi delle dimensioni del chicco di riso, estratta dal siero e messa in canestri di giunco (o di altro materiale autorizzato per l’uso alimentare, che conferisca comunque alla crosta la tipica striatura del Canestrato) e viene pressata e lavorata con le mani al fine di farne uscire il siero. Le forme vengono poi immerse nel siero (a temperatura non superiore a 90°C) per una rapidissima cottura (massimo tre minuti) al fine di favorire la formazione della crosta. La fase successiva di salatura (sia a secco che in salamoia) e di asciugatura avviene presso l’azienda trasformatrice e dura dai trenta ai quaranta giorni dalla messa in forma. Infine, la stagionatura (che inizia dal trentunesimo al quarantunesimo giorno dalla messa in forma) deve avvenire

124 Il caglio utilizzato per la coagulazione del latte si ricava dallo stomaco di capretti o agnelli lattanti. Le modalità di preparazione sono le seguenti:

a. i capretti o gli agnelli vanno allevati in appositi ricoveri affinché non vengano a contatto con ali-menti e ricevano solo il latte materno;

b. all’età compresa tra 25 e 45 giorni si procede alla mattazione prelevando i caglioli che vanno gonfiati e posti ad asciugare per un periodo che varia da 10 a 15 giorni con eventuale successiva aggiunta di latte intero e crudo di capra o pecora;

c. i caglioli asciutti possono eventualmente essere riposti, con eventuale aggiunta di sale, stratificati in cassette che ne permettono lo sgrondo per circa 15 giorni;

d. una volta asciutti, i cagli vengono raccolti, puliti togliendo le parti di grasso e impurità, tagliati e successivamente macinati;

e. alla pasta ottenuta, vengono aggiunti da 100 a 200 grammi di sale per chilogrammo di pasta;

f. il caglio così ottenuto viene conservato in barattoli di vetro ben chiusi in luogo fresco e al riparo dalla luce. (Fonte: Disciplinare di Produzione per il Formaggio Pecorino ad Indicazione Geografica Protetta “Canestarto di Moliterno”)

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

unicamente nei “fondaci” del territorio del comune di Moliterno, durante la quale il “Canestrato” viene trattato unicamente con olio di oliva (che può essere emulsiona-to con aceto di vino) o con acqua di fuliggine. Nasce così il “Canestrato di Moliterno” IGP , che si presenta di forma cilindrica, con un diametro di circa 20 centimetri e un’altezza tra i 10 e 15 centimetri e con un peso che può variare dai 2 ai 5 Kg125.

Il “Canestrato di Moliterno” IGP ha ottenuto il riconoscimento ufficiale da parte dell’Unione Europea nel maggio 2010, pertanto, in questo primo anno di pro-duzione, ufficialmente IGP. il Consorzio di Tutela e le aziende della filiera, composte da tre allevatori, tre caseificatori e due stagionatori, hanno mosso i primi passi verso le prime produzioni certificate.

Tabellan.1:N°aziendeaderentiallafilieradiproduzionedel“CanestratodiMo-literno“IGP.

Aziende aderenti alla filiera di produzione del “CANESTRATO DI MOLITERNO” IGP

Anno 2010

Allevatori 3*

Caseifici 3

Stagionatori 2

Quantità di produzione certificata

Latte controllato (in Litri) 13.115

Prodotto certificato 1.130 Forme 3.053 Kg

*Di cui 2 hanno conferito produzione

Fonte: Organismo di Certificazione

Nella fase di protezione transitoria, le aziende, grazie ad un progetto pilota ALSIA, hanno portato avanti una piccola produzione, legata ad una fase di adegua-mento di alcuni produttori della filiera, in attesa del riconoscimento effettivo. E’ stato così possibile verificare che le maggiori criticità, legate a questa produzione, derivano dalla necessità di adeguamento delle aziende a quelli che sono gli stan-dard produttivi e normativi imposti dal Disciplinare di Produzione, il più delle volte legate ad una cultura di impresa poco incline alla proceduralizzazione delle atti-vità e dall’incremento dei costi della produzione certificata (costi di certificazione, costi di acquisto delle materie prime conformi, e già citati, costi di adeguamento

125 Fonte: Disciplinare di Produzione per il Formaggio Pecorino ad Indicazione Geografica Protetta “Ca-nestarto di Moliterno”

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Capitolo 4

aziendale). Tali problematicità, che come già delineato, derivano da un fisiologico periodo di rodaggio della produzione certificata, vista oggi la presenza sul mercato delle prime forme di prodotto IGP, anche se in quantitativi non eccessivi, mostrano i primi segni di miglioramento. Si evidenzia, quindi, la volontà e l’impegno dei pro-duttori e del Consorzio di Tutela; l’obiettivo è quello di incrementare il numero delle aziende aderenti alla filiera di produzione IGP (tra quelle presenti nei 60 comuni di produzione) per poter accrescere i quantitativi prodotti, al fine di soddisfare una maggior domanda di mercato.

LaCommercializzazione

Il “Canestrato di Moliterno” può essere immesso al consumo come IGP solo dopo una stagionatura di almeno sessanta giorni, senza l’aggiunta di alcuna quali-ficazione (compresi gli aggettivi fine, scelto, selezionato e similari) diversa da quelle previste dal Disciplinare e già citate: primitivo, stagionato ed extra. Il “Canestrato di Moliterno” IGP all’atto dell’immissione sul mercato deve recare sulle forme idonee e certificate l’apposito contrassegno marchiato a fuoco e previsto dal Disciplinare di Produzione, a garanzia della rispondenza alle specifiche prescrizioni di produ-zione.126 Ogni forma, al fine di garantire la tracciabilità del prodotto, è identificata con una placca di caseina con impresso il marchio del Consorzio (tre torri con tre punte) ed un numero univoco, a cui si unisce la marchiatura a caldo da parte del Consorzio su una delle facce della forma. Il condizionamento e il porzionamento del prodotto devono avvenire, obbligatoriamente, nella stessa zona di produzione, al fine di garantirne la tracciabilità e il controllo.

Per quanto concerne la commercializzazione ed il mercato di vendita del prodotto, ad oggi, visto il recente riconoscimento, non parliamo di andamenti e ruo-lo di mercato. Possiamo però affermare che in generale il “Canestrato di Moliterno” è un prodotto conosciuto sul mercato (tanto da essere oggetto di imitazioni), spesso anche indipendentemente dal marchio IGP, e rappresenta uno dei quei prodotti di nicchia, per cui, il più delle volte la domanda supera l’offerta. Infatti, una delle principali problematicità legate alla commercializzazione deriva dalla non elevata disponibilità di prodotto. Dell’85% della produzione destinata al mercato italiano, il 50% arriva sul mercato attraverso il canale distributivo, principalmente con la vendita nel dettaglio tradizionale, con un’equa suddivisione tra i territori del nord

126 Fonte: Disciplinare di Produzione per il Formaggio Pecorino ad Indicazione Geografica Protetta “Ca-nestarto di Moliterno”

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

e del centro Italia. Il restante 35% viene, invece, commercializzato principalmente attraverso la vendita diretta nel caseificio di produzione, rimanendo legato soprat-tutto al mercato regionale, con la vendita a privati, ristoranti/agriturismi locali e negozi tipici del territorio.

Il 15% della produzione viene esportata, raggiungendo in percentuale minore i paesi appartenenti all’Unione Europea (5%) e in percentuale maggiore i paesi Ex-tra Comunitari (10%) (Australia, America, ecc..) verso i quali si riscontrano difficoltà nella commercializzazione a causa delle maggiori incombenze burocratiche. e ,127

Il prezzo indicativo di vendita del prodotto sul mercato si differenzia in base ai diversi canali di distribuzione e come indicato in tabella, si aggira tra i 12€ e i 14,50€ al chilo come prezzo di acquisto del distributore, ma sul mercato, come prezzo al pubblico, è possibile trovarlo dai i 14€ ai i15€/Kg se si acquista diretta-mente nel caseificio di produzione, fino ad arrivare ai 42€/Kg come prezzo al con-sumo al pubblico nei vari luoghi di acquisto.

Tabellan.3:Rangediprezzopercanalidivenditadel“CanestratodiMoliterno”IGP

Range - Anno 2010

Range di prezzo alla produzione per il prodotto finito IVA compresa nella confezione più diffusa franco partenza dall’azienda di produzione

Dai 12 ai 14,50 €/Kg

Range di prezzo al consumo sul canale prevalente e nella confezione più diffusa

Fino ai 42 €/Kg

Range di prezzo alla vendita diretta Dai 14 ai 15 €/Kg

Fonte: Consorzio per la Tutela del Pecorino Canestrato di Moliterno

127 Fonte: Consorzio di Tutela del Pecorino Canestrato di Moliterno

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Capitolo 4

CARTA DI IDENTITA’ DEL “CANESTRATO DI MOLITERNO” IGP

Registrazione Europea con Regolamento UE n. 441 del 21/05/2010 pubblicato sulla GUUE L. 126 a del 22/05/2010.

ORGANISMO DI DIFESA Consorzio per la tutela del Pecorino “Canestrato di Moliterno” Indirizzo: Via Roma - Cap 85047 Moliterno (PZ)

ORGANISMO DI CERTIFICAZIONE IS tituto ME diterraneo CERT ificazione ITALIA Corso Meridionale, 6 – 80143 Napoli -

Zona di produzione: Il latte destinato alla produzione del «Canestrato di Moliterno» deve provenire da ovini e caprini di aziende agricole ubicate nei territori amministrativi dei seguenti comuni:

in provincia di Potenza: Armento, Brienza, Calvello, Calvera, Carbone, Castelluccio Inf, Castelluccio Sup., Castelsa-raceno, Castronuovo SA., Cersosimo, Chiaromonte, Corleto Perticara, Episcopia, Fardella, Francavilla sul Sinni, Gal-licchio, Grumento Nova, Guardia Perticara, Lagonegro, Latronico, Laurenzana, Lauria, Marsiconuovo, Marsicovetere, Missanello, Moliterno, Montemurro, Nemoli, Noepoli, Paterno, Rivello, Roccanova, Rotonda, San Chirico Raparo, San Costantino Albanese, San Severino Lucano, Sant’Arcangelo, Sarconi, Senise, Spinoso, Teana, Terranova del Pollino, Tramutola, Viggianello, Viggiano.

In Provincia di Matera i comuni di: Accettura, Aliano, Bernalda, Craco, Cirigliano, Ferrandina, Gorgoglione, Mon-talbano Jonico, Montescaglioso, Pisticci, Pomarico, Scanzano Jonico, Stigliano, Tursi.

Nella stessa zona deve avvenire anche la produzione del «Canestrato di Moliterno». La stagionatura deve avvenire esclusivamente nei fondaci della zona tradizionalmente vocata ovvero nel territorio amministrativo del comune di Moliterno (Potenza).

Caratteristiche del prodotto:

Il “Canestrato di Moliterno Stagionato in Fondaco” è un formaggio ovi-caprino a pasta dura e può essere immes-so al consumo dopo almeno 60 giorni di stagionatura e presenta le seguenti caratteristiche:

- la forma cilindrica a facce piane con scalzo più o meno convesso;

- la dimensionie ha un diametro delle facce da 15 a 25 cm., con altezza dello scalzo da 10 a 15 cm.;

- il peso:variabile da 2,1 a 5,5 kg. in relazione alle dimensioni della forma;

- la crosta è di colore giallo più o meno intenso nella tipologia primitivo fino al bruno nella tipologia stagionato; il colore della crosta può dipendere dai trattamenti subiti durante la stagionatura fino al nero ardesia se la crosta è stata trattata con l’emulsione di acqua, nerofumo, olio di oliva e aceto di vino,

- la pasta ha una struttura compatta con occhiatura non regolarmente distribuita; al taglio il colore si presenta bianco o leggermente paglierino per la tipologia primitivo; di colore paglierino più o meno intenso per la tipo-logia stagionato ed extra;

- il sapore è tendenzialmente dolce e delicato all’inizio della stagionatura, con il protrarsi della stessa, evolve verso caratteristiche organolettiche più accentuate e piccanti.

Può essere gustato come formaggio da tavola per la tipologia primitivo; o come formaggio da tavola o da grattugia per le tipologie stagionato ed extra. Condizionamento e porzionamento devono avvenire nella stessa area di produzione del “Canestrato di Moliterno”, così come definita dal disciplinare di produzione, al fine di garantire la qualità la trac-ciabilità ed il controllo.

Il processo produttivo

Il latte destinato alla trasformazione in «Canestrato di Moliterno» deve provenire da allevamenti la cui alimentazione è costituita principalmente dal pascolo, da foraggi freschi e comunque da fieni prodotti nell’area prevista dal discipli-

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

nare. È consentita l’integrazione alimentare solo con granelle di cereali quali avena, orzo, grano, mais e di leguminose quali fava, favino e cece. È vietato l’utilizzo di prodotti derivati di origine animale e di insilati. Il latte che non viene trasformato immediatamente dopo la mungitura, deve essere refrigerato nel rispetto dei valori minimi previsti dalle vigenti disposizioni legislative in materia. Il latte proveniente da una o più mungiture deve essere trasformato al mas-simo entro 48 ore dalla prima mungitura. Il latte da impiegare per la produzione del «Canestrato di Moliterno» deve provenire da pecore di razza «Gentile di Puglia», «Gentile di Lucania», «Leccese», «Sarda», «Comisana» e loro incroci, per la parte ovina, e da capre di razza «Garganica», «Maltese», «Jonica», «Camosciata» e loro incroci, per la parte caprina, allevate nei territori previsti dal disciplinare. Il processo tecnologico e lo standard produttivo del «Canestrato di Moliterno» prevede che la produzione del «Canestrato di Moliterno» è consentita tutto l’anno. Il latte destinato alla trasformazione può essere utilizzato crudo o può essere sottoposto a termizzazione; quello sottoposto a termizzazione viene successivamente inoculato con colture di fermenti lattici naturali o con colture autoctone selezionate. La coagu-lazione del latte è ottenuta per via presamica aggiungendo caglio, di agnello o di capretto in pasta, e si effettua alla temperatura compresa tra 36 e 40°C in un tempo massimo di 35 minuti. Il caglio può essere ricavato artigianalmente da animali allevati nell’area di produzione del “Canestrato di Moliterno” e preparato secondo quanto previsto dal disciplinare.

La cagliata così ottenuta viene rotta fino ad ottenere grumi delle dimensioni del chicco di riso; dopo pochi minuti di riposo, essa viene estratta dal siero e messa in canestri di giunco o di altro materiale autorizzato per l’uso alimentare, purché conferiscano comunque alla crosta la tipica striatura del canestrato, ove viene pressata e lavorata con le mani per favorire la fuoriuscita del siero; le forme possono essere immerse nel siero a temperatura non superiore a 90°C per un tempo non superiore a 3 minuti per una rapidissima cottura al fine di favorire lo spurgo del siero e la formazione della crosta.

La salatura delle forme può essere effettuata sia a secco che in salamoia; nel primo caso essa si protrae fino a dieci giorni dalla messa in forma, variabili secondo il peso e le dimensioni della forma, con aggiunta diretta di sale; nel secondo caso con immersione in salamoia satura per 10-12 ore per kg di formaggio pesato al momento della messa in forma.

L’asciugatura viene effettuata presso l’azienda trasformatrice e dura da trenta a quaranta giorni dalla messa in forma.

La stagionatura deve avvenire esclusivamente nei fondaci della zona tradizionalmente vocata ovvero nel territorio amministrativo del comune di Moliterno (Potenza), in quanto il regime climatico di questo comune è determinante nella dinamica del ciclo di stagionatura. La stessa è strettamente collegata alle particolari condizioni ambientali e microclimatiche che si ritrovano nei fondaci assicurate dal possesso delle seguenti caratteristiche minime:

- altimetria dei fondaci superiore a 700 m s.l.m.;

- spessore delle murature uguale o superiore a 40 cm;

- presenza di almeno due aperture che permettano l’aerazione;

- almeno due lati perimetrali del locale interrati.

La stagionatura inizia dal trentunesimo al quarantunesimo giorno dalla messa in forma. Durante questa fase è consentito trattare il «Canestrato di Moliterno» con solo olio di oliva o con lo stesso emulsionato ad aceto di vino; e altresì e con acqua di fuliggine ossia con acqua bollita per 25/30 minuti col nerofumo raschiato dai camini a legna e riportata a temperatura ambiente.

Processo produttivo del caglio artigianale

Il caglio utilizzato per la coagulazione del latte si ricava dallo stomaco di capretti o agnelli lattanti degli animali di cui sopra. Le modalità di preparazione sono le seguenti:

1) i capretti o gli agnelli vanno allevati in appositi ricoveri affinché non vengano a contatto con alimenti e ricevano solo

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Capitolo 4

il latte materno; 2) all’età di 25 – 45 giorni si procede alla mattazione prelevando i caglioli che vanno gonfiati e posti ad asciugare per un periodo che varia da 10 a 15 giorni con eventuale successiva aggiunta di latte intero e crudo di capra o pecora; 3) i caglioli asciutti possono eventualmente essere riposti, con eventuale aggiunta di sale, stratificati in cassette che ne permettono lo sgrondo per circa 15 giorni; 4) una volta asciutti, i cagli vengono raccolti, puliti togliendo le parti di grasso e impurità, tagliati e successivamente macinati; 5) alla pasta ottenuta, vengono aggiunti da 100 a 200 grammi di sale per chilogrammo di pasta; 6) il caglio così ottenuto viene conservato in barattoli di vetro ben chiusi in luogo fresco e al riparo dalla luce.

Etichettatura

L’indicazione geografica è ammessa per il solo prodotto con stagionatura di almeno 60 giorni ed è vietata l’aggiunta di qualsiasi altra qualificazione diversa da quelle previste dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi fine, scelto, selezionato e similari. Ai fini del disciplinare sono invece ammesse le seguenti diciture:

primitivo: riservata al prodotto avente stagionatura fino a 6 mesi;

stagionato: riservata al prodotto avente stagionatura oltre 6 mesi e fino a 12;

extra: riservata al prodotto avente stagionatura oltre 12 mesi.

Il prodotto deve essere immesso al consumo munito di apposito marchio a fuoco, rappresentato da due cerchi concen-trici contenenti, il primo, la scritta «CANESTRATO DI MOLITERNO», ed il secondo, un castello con tre torri, simbolo del comune di Moliterno, del diametro di 15 cm. su una delle facce della forma, apposto dal Consorzio per la tutela del pecorino «Canestrato di Moliterno» (sotto il controllo dell’organismo di cui all’art. 10 del regolamento CE n. 510/2006 ) secondo le modalità indicate nel piano di controllo approvato dal Ministero delle politiche agricole e forestali, sulle forme idonee e certificate.

Fonte: DISCIPLINARE DI PRODUZIONE PER IL FORMAGGIO PECORINO AD INDICAZIONE GEOGRAFICA PROTETTA

«“CANESTRATO DI MOLITERNO”

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

“PecorinoDiFiliano”DOP

Il “Pecorino di Filiano” è uno dei formaggi caratteristici della Basilicata. E’ un formaggio a pasta dura, ottenuto con latte intero di pecore di razza Gentile di Lucania e di Puglia, Leccese, Comisana, Sarda.

L’iter per il riconoscimento della Denominazione di Origine Protetta del “Pe-corino di Filiano” si è concluso con la pubblicazione del regolamento CE n.1485 del 2007 sulla Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea n. 330 del 15 dicembre 2007 che ne ha ratificato l’iscrizione nel registro delle DOP, al fine di tutelarlo in ambito euro-peo e renderlo riconoscibile sul mercato attraverso un marchio impresso sulla cro-sta garantendone la qualità e la provenienza. Il “Pecorino di Filiano” è la prima DOP interamente lucana, ottenuta esclusivamente da latte di pecora dei territori della Basilicata nord-occidentale, ricchi di storia, biodiversità e tradizione, caratterizzati da terreni vulcanici e da pascoli naturali ricchi di essenze aromatiche spontanee. Si caratterizza per un sapore dolce e delicato che diventa sempre più accentuato con

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Capitolo 4

il protrarsi della stagionatura.128 Il “Pecorino di Filiano” viene prodotto tutto l’an-no, ma la produzione aumenta in primavera e all’inizio dell’estate, quando gli ovini possono alimentarsi dai pascoli primaverili di montagna, nel periodo di massima disponibilità di essenze foraggere129.

LaStoria

Il “Pecorino di Filiano” è un formaggio di antica tradizione, legata all’am-biente, alle caratteristiche del latte prodotto e alle condizioni di allevamento tipiche della zona di produzione.

Il formaggio deve il suo nome al comune in cui si produce, Filiano, piccolo centro situato nella dorsale montuosa dell’Appennino Nord-Occidentale lucano, tra Rionero e Potenza, il cui toponimo “Filiano” deriverebbe, secondo un’ipotesi oggi accreditata, dalla fiorente attività di “filatura della lana”, conseguente all’alleva-mento degli ovini. La produzione di questo formaggio ha origini antichissime. Nel territorio, infatti, vi sono tracce di popolazioni indigene dedite alla caccia, ma anche all’allevamento di ovini e caprini fin dal Mesolitico (12.000 a. C.). Nella valle di Vital-ba e nelle zone montuose circostanti si registra la presenza di vaste masserie agri-cole fin dalla prima conquista romana (IV° sec. a.C.), come attestato dalla presenza di numerosi tratturi utilizzati per la transumanza e che portavano direttamente alla via Erculea, che univa le antiche città romane di Venosa e di Grumento. Successi-vamente, durante le età Sveva e Angioina (fine XII° – XV° sec.) la zona assume un ruolo produttivo molto importante nell’economia del Regno di Napoli per i prodotti caseari. A partire dal XVI° sec., i Doria, grandi feudatari della zona, a seguito di una donazione dell’Imperatore Carlo V dei territori circostanti il Monte Vulture (in gran parte coincidente oggi con la delimitazione territoriale di produzione del “Pecorino di Filiano”), organizzarono delle vere e proprie masserie specializzate nell’alleva-mento degli ovini e delle strutture produttive per la trasformazione del latte e della lana. Nei registri dell’azienda di famiglia era documentato che il patrimonio ovino di Filiano raggiungeva punte di 10.000 capi, che dalla piana del fiume Ofanto si tra-sferivano in estate sulle alture della Valle di Vitalba. Attività simili si sono ripetute anche nei secoli successivi, fino alle moderne aziende agricole dei primi del ‘900, di

128 Fonte: www.prolocofiliano.it

129 Fonte: Disciplinare di Produzione della Denominazione di Origine Protetta “Pecorino di Filiano”

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

cui si riscontrano ancora le strutture sul territorio.130

Per lungo tempo questo formaggio fu destinato all’autoconsumo, venduto nelle fiere e destinato alle tavole dei “signori”. Soltanto in anni più recenti è iniziata una fase di valorizzazione e di promozione del prodotto, e nel 1997 è stato costituito il Consorzio per la Tutela del “Pecorino di Filiano” DOP con l’obiettivo di conservare il tradizionale sistema di produzione.

IlTerritorio

Il “Pecorino di Filiano” si produce in una vasta area, compresa tra il massiccio del Monte Vulture e la Montagna Grande di Muro Lucano, che ha per centro la caratteristica valle di Vitalba nel territorio del Comune di Filiano.131 La pro-duzione del latte, la sua trasformazione e la stagionatura del formaggio ottenuto avvengono in un territorio caratterizzato da terreni vulcanici e da pascoli naturali che, secondo quanto stabilito dal Disci-plinare di Produzione, comprende l’intero territorio amministrativo di 30 comuni132.

La continuità storica nella produzione del formaggio si deve certamente alle caratteristiche ambientali ottimali del territorio, ricchissimo di pascoli a foraggere ed erbe spontanee aromatiche che sono alla base dell’alimentazione degli ovini: loglio, trifoglio, poa, festuche, avena selvatica, origano, timo, finocchietto selvatico, malva. A ciò si aggiunge la particolarità delle acque che sgorgano ricche di sali minerali dalle falde vulcaniche del Vulture che donano a questo formaggio le sue caratteristiche di unicità ed inimitabilità133.

La stagionatura di questo formaggio avviene in grotte naturali, ben visibili in molte aree della zona di produzione, o in locali artificiali interrati diffusi nella zona, che conferiscono al “Pecorino di Filiano” caratteristiche di grande pregio134.

130 Fonte: www.prolocofiliano.it

131 Fonte: www.prolocofiliano.it

132 Atella, Avigliano, Balvano, Baragiano, Barile, Bella, Cancellara, Castelgrande, Filiano, Forenza, Gi-nestra, Maschito, Melfi, Muro Lucano, Pescopagano, Picerno, Pietragalla, Pignola, Potenza, Ra-polla, Rapone, Rionero in Vulture, Ripacandida, Ruoti, Ruvo del Monte, San Fele, Savoia di Lucania, Tito, Vaglio di Basilicata, Vietri di Potenza (Fonte: Disciplinare di Produzione della Denominazione di Origine Protetta “Pecorino di Filiano”)

133 Fonte: Disciplinare di Produzione della Denominazione di Origine Protetta “Pecorino di Filiano”

134 Fonte: Disciplinare di Produzione della Denominazione di Origine Protetta “Pecorino di Filiano”

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Capitolo 4

ValenzeGastronomiche

Il “Pecorino di Filiano” viene servito principalmente come formaggio da tavola, tuttavia è indispensabile in alcune preparazioni di piatti tipici lucani, grattugiato sulla pasta di grano duro fatta in casa condita con il ragù di carne di pecora o nelle zuppe con ceci e fagioli. Il prodotto può essere inoltre accompagnato da frutta e verdura fresche o servito con miele. Il “Pecorino di Filiano” si presenta all’aspetto esterno con una crosta rigata (recante i caratteristici segni della fuscella) che va dal giallo dorato al bruno scuro nelle forme più stagionate (effetto provocato dal trattamento con olio extra vergine di oliva prodotto in Basilicata e aceto di vino, tramite uno sfregamento superficiale effettuato a mano) e all’interno con pasta dura ed omogenea che varia dal bianco dei pecorini giovani al paglierino di quelli più stagionati, con delle rare oc-chiature. È caratteristico per un forte odore di pecora e di erba, ed ha un gusto friabile e granuloso, a volte piccante. Per mantenere inalterate le caratteristiche organoletti-che del prodotto, se porzionato, va conservato in un posto umido (in ogni caso è bene avvolgerlo per preservarne l’aroma e conservarlo in frigorifero).

LaSagra

Dal 1972, il Comune di Filiano e, dopo la sua costituzione, il Consorzio per la Tutela del “Pecorino di Filiano” DOP organizzano ogni anno, tra fine agosto e inizio di settembre, una sagra per la valorizzazione e la commercializzazione del prodot-to: un’occasione per far conoscere questo formaggio e farlo gustare con diversi abbinamenti. La Sagra prevede anche una mostra mercato del formaggio pecorino e dei prodotti lattiero caseari dislocata per le vie del paese, lungo i “sentieri dei sa-pori” tracciati per far degustare il “Pecorino di Filiano” e altri prodotti gastronomici locali.

In occasione della sagra sono organizzati, dal Consorzio di Tutela, seminari e convegni informativi e formativi nei comuni dell’area di produzione del “Pecorino di Filiano”, per sensibilizzare i produttori dell’area, al fine di incrementare il numero delle aziende all’interno del Consorzio e la produzione certificata.

LaProduzione

Il formaggio “Pecorino di Filiano” DOP si produce tutto l’anno secondo quan-to previsto dal Disciplinare tecnico di Produzione. Il latte prodotto viene trasformato

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

in genere in piccoli caseifici artigianali seguendo tecniche di produzione tramanda-te da generazioni. Una delle caratteristiche del “Pecorino di Filiano” DOP è quella della stagionatura nelle grotte naturali o in idonei locali interrati135.

La prova dell’origine è ulteriormente confermata dagli specifici adempimenti ai quali si sottopongono gli allevatori produttori di latte, i produttori di formaggio, gli stagionatori e i porzionatori (se soggetti diversi dagli stagionatori) per garantire la rintracciabilità del prodotto in ogni fase del processo, mediante verifiche documen-tali e visite ispettive da parte dell’organismo di controllo autorizzato.

Al fine di consentire la tracciabilità del prodotto sono stati istituiti presso l’Organismo di Controllo: il registro degli allevatori, all’interno del quale vengono registrati i dati sul latte destinato alla produzione; il registro dei produttori; il regi-stro degli stagionatori; il registro dei porzionatori, se soggetti diversi dagli stagio-natori136.

Negli ultimi anni il numero delle aziende della filiera legata alla produzione del “Pecorino di Filiano” DOP ha avuto un piccolo incremento, registrato in seguito al riconoscimento della DOP da parte dell’Unione Europea nel 2007.

135 Fonte: Disciplinare di Produzione della Denominazione di Origine Protetta “Pecorino di Filiano”

136 Fonte: Disciplinare di Produzione della Denominazione di Origine Protetta “Pecorino di Filiano”

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Capitolo 4

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Fonte: Consorzio per la Tutela del “Pecorino di Filiano” DOP

Il numero degli allevamenti dell’area che per condizioni strutturali e igieni-co-sanitarie sono in grado di applicare il Disciplinare è ancora limitato (vedi Tabella n.1). Tuttavia, negli ultimi anni si registra anche un graduale aumento delle azien-de iscritte al Consorzio di Tutela. Per questo prodotto la produzione certificata è ancora molto al di sotto delle aspettative e delle potenzialità dell’area. Secondo i dati raccolti la produzione effettuata nel rispetto del disciplinare negli ultimi anni si attesta tra i 25 e i 45 quintali.137 Nel 2008 ne risultano certificati 10,72 quintali.138 Nell’ultimo anno tale produzione si è drasticamente ridotta, a causa di problemi legati alla mancanza di caglio prodotto nel rispetto del disciplinare, ma in seguito ad accordi presi tra il Consorzio di Tutela e l’APA (Associazione Provinciale Alleva-tori) di Potenza al fine di incrementare la produzione di tale caglio, la produzione del “Pecorino di Filiano” DOP dovrebbe tornare alla normalità a partire da Maggio 2011 (il periodo di pausa prolungata è legato anche alla modifica dell’organismo di certificazione avvenuta tra Febbraio e Aprile 2011).

Da indagini svolte dall’ALSIA le criticità legate alla produzione di questo for-maggio DOP sono collegabili soprattutto alla tipologia di allevamenti ovini dell’area, quasi sempre di ridotte dimensioni con una conduzione prevalentemente a pasco-lo. Questa situazione non ha finora consentito a questi allevamenti di adeguare le

137 Fonte: Consorzio per la Tutela del “Pecorino di Filiano” DOP

138 Fonte: Organismo di Certificazione

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N° aziende socie del consorzio di tutela

N° aziende socie del consorzio di tutela

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Capitolo 4

strutture dal punto di vista igienico-sanitario e quindi di rispettare il Disciplinare. Inoltre forti criticità derivano, secondo il Consorzio, dall’incidenza dei costi legati alla certificazione che i produttori, gli allevatori e i trasportatori devono sostenere; altro limite allo sviluppo di queste produzioni è dato dallo scarso ricambio genera-zionale che caratterizza gli allevamenti dell’area.

LaCommercializzazione

Il formaggio “Pecorino di Filiano” DOP all’atto della sua immissione al con-sumo deve recare sulla crosta il contrassegno indicato dal disciplinare (rappre-sentato da un’elisse posta in posizione orizzontale, all’interno della quale si riporta la scritta “Pecorino di Filiano” e al centro la lettera “F” stilizzata con una piccole stella accanto) marchiato a fuoco sulle forme, garantendo così la rispondenza del prodotto alla specifiche prescrizioni del disciplinare di produzione139.

L’attività di commercializzazione del “Pecorino di Filiano” DOP, di cui analiz-ziamo le dinamiche di mercato degli ultimi quattro anni (cioè a partire dalla regi-strazione da parte dell’Unione Europea), si indirizza principalmente verso il merca-to nazionale, utilizzando come principale canale di distribuzione la vendita diretta presso i caseifici di produzione che si attesta intorno al 60%, seguita da un 20% destinata al canale di vendita tradizionale ed un altro 20% destinato alla ristorazio-ne. Nulla è l’incidenza della vendita attraverso la distribuzione moderna.

Quindi, a parte la quota di produzione indirizzata a negozi tradizionali e risto-ranti, la vendita diretta è il canale più diffuso. La commercializzazione del prodotto sui marcati esteri (autorizzata a partire dal 2008 successivamente alla registrazio-ne DOP da parte della Comunità Europea) si attesta sul 25% della produzione com-plessiva (dato costante negli ultimi anni) e si indirizza in maniera prioritaria verso l’Unione Europea (15%) e in percentuale minore nei paesi extra Unione Europea (10%). La distribuzione avviene attraverso la ristorazione tipica italiana e lucana all’estero.

139 Fonte: Disciplinare di Produzione della Denominazione di Origine Protetta “Pecorino di Filiano”

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Capitolo 4

Il “Pecorino di Filiano” DOP ha dunque un mercato geografico di riferimento che, salvo rare eccezioni, corrisponde più che altro al territorio di produzione (o regionale), in cui è più facile reperire il prodotto; per quanto attiene il resto del territorio nazionale è possibile trovarlo nei negozi specializzati e nei ristoranti con cucina tipica. Inoltre può essere trovato sul mercato a prezzi differenti secondo i diversi canali di vendita, che sono rimasti pressoché invariati negli anni, come di seguito indicato nel dettaglio:

Tabellan.3:Rangediprezzopercanalidivenditadel“PecorinodiFiliano”DOPRange - Anno 2005 2006 2007 2008 2009 2010

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Fonte: Consorzio per la Tutela del “Pecorino di Filiano” DOP

Le principali criticità che si riscontrano nella fase di commercializzazione sono legate alla mancanza di organicità della filiera, a costi di produzione elevati, alla scarsa conoscenza dei prodotti certificati lucani da parte dei consumatori, ai limitati canali di sbocco. Per poter contenere ed affrontare tali difficoltà emerge l’esigenza di un’azione specifica del Consorzio di Tutela, degli allevatori e dei casei-fici, per consolidare e ampliare la filiera, adeguare le strutture produttive cogliendo le opportunità che presenta la politica agricola regionale, promuovendo attività di valorizzazione del prodotto quale mezzo di legame e sviluppo del territorio.

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

CARTA DI IDENTITA’ DEL “PECORINO DI FILIANO” DOP

Registrazione Europea con Regolamento CE n.1485 del 14.12.2007 pubblicato sulla GUCE L. 330 del 15.12.2007.

ORGANISMO DI DIFESA Consorzio per la Tutela del “Pecorino di Filiano” DOP Sede legale 85020 Filiano (PZ)

ORGANISMO DI CERTIFICAZIONE D.Q.A. – Dipartimento Qualità Agroalimentare - Via G. Tomassetti, 9 - 00161 Roma

Zona di produzione

Il “Pecorino di Filiano” è prodotto in provincia di Potenza, nell’area Nord -Occidentale della Basilicata, nella fascia appenninica che dal Monte Vulture arriva al Monte Lifoi fino ad arretrare alla Montagna Grande di Muro Lucano. Il territorio, caratterizzato da terreni vulcanici e da pascoli naturali ricchi di essenze spontanee aromatiche, comprende l’intero territorio amministrativo dei comuni di: Atella, Avigliano, Balvano, Baragiano, Barile, Bella, Cancellara, Castel-grande, Filiano, Forenza, Ginestra, Maschito, Melfi, Muro Lucano, Pescopagano, Picerno, Pietragalla, Pignola, Potenza, Rapolla, Rapone, Rionero in Vulture, Ripacandida, Ruoti, Ruvo del Monte, San Fele, Savoia di Lucania, Tito, Vaglio di Basilicata, Vietri di Potenza.

Caratteristiche del Prodotto

Il formaggio “Pecorino di Filiano” all’atto del consumo il prodotto deve avere le seguenti caratteristiche:

- la forma deve essere cilindrica a facce piane con scalzo diritto o leggermente convesso;

- la dimensione delle forme deve rispettare il diametro delle facce da 15 a 30 cm e l’altezza dello scalzo da 8 a 18 cm;

- il peso deve essere compreso da 2,5 a 5 Kg in relazione alle dimensioni della forma;

- il colore della crosta recante i caratteristici segni della fuscella si presenta dal giallo dorato al bruno scuro nelle forme più stagionate e trattate superficialmente con olio extra vergine di oliva prodotto in Basilicata e aceto di vino, tramite uno sfregamento superficiale effettuato a mano;

- la pasta mostra una struttura di consistenza compatta con presenza di minute occhiature non regolarmente distribuite;

- il colore della pasta varia dal bianco nei pecorini giovani al paglierino in quelli più stagionati;

- il sapore che inizialmente è dolce e delicato diviene leggermente piccante quando il formaggio ha raggiunto il periodo minimo di stagionatura, diventando più accentuato con il protrarsi della stessa;

- il grasso sulla sostanza secca non deve essere inferiore al 30%.

Come si Produce

Descrizione del processo produttivo

Il “Pecorino di Filiano”, formaggio a pasta dura, è ottenuto con latte intero di pecore di razza Gentile di Puglia e di Lucania, Leccese, Comisana, Sarda e loro incroci, proveniente da allevamenti ubicati nell’areale di cui al presente di-sciplinare. Il latte destinato alla produzione del formaggio “Pecorino di Filiano” deve provenire da una o due mungiture, in genere quella serale e quella del mattino successivo. La lavorazione del latte deve essere eseguita entro 24 ore dall’effettuazione della prima mungitura. E’ consentita la refrigerazione del latte nel rispetto dei valori minimi previsti dalle vigenti disposizioni legislative in materia. Il latte destinato alla trasformazione in “Pecorino di Filiano” deve derivare da allevamenti la cui alimentazione è costituita principalmente dal pascolo, foraggi freschi e da fieni di ottima qualità prodotti nell’area descritta. L’integrazione è consentita solo con granella di cereali e leguminose prodotti nella stessa area di cui al presente disciplinare. Nell’alimentazione è vietato l’utilizzo di prodotti derivati di origine animale,

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Capitolo 4

di insilati e di piante o parti di piante (semi) di trigonella, tapioca, e manioca. Nel contempo è vietato utilizzare alimenti di origine animale o vegetale di qualsiasi tipo geneticamente modificati.

Caratteristiche del processo produttivo

Il “Pecorino di Filiano” è ottenuto nel rispetto di apposite prescrizioni relative al ciclo produttivo:

a) il latte crudo, opportunamente filtrato con appositi stacci e/o filtri (da lavare dopo ogni filtraggio con acqua calda e prodotti consentiti per assicurare una adeguata igiene del latte) in tela quando munto a mano, è riscaldato tradizionalmente in caldaie, fino alla temperatura massima di 40°C, col fuoco a legna o mediante altre forme di energia; quindi alla temperatura di 36-40°C viene aggiunto caglio di capretto o agnello in pasta, prodotto ricavato artigianalmente da animali allevati nell’area di produzione indicata dal disciplinare;

b) il caglio artigianale deve essere preparato con la tecnica stabilita dal disciplinare;

c) formatasi la cagliata, deve essere rotta in modo energico, con l’ausilio di un mestolo di legno, detto “scuopo-lo” o “ruotalo” recante una protuberanza all’apice, fino ad ottenere grami delle dimensioni di un chicco di riso;

d) dopo pochi minuti di riposo sotto siero la cagliata viene estratta e inserita in forma nelle caratteristiche “fuscelle” di giunco dette “fusced” o in altro materiale idoneo per prodotti alimentari con la caratteristica sagomatura tipo giunco;

e) la cagliata viene “fragata”mediante pressatura con le mani per favorire la fuoriuscita del siero. Le forme ottenute vengono immesse nella scotta a temperatura non superiore a 90°C fino ad un massimo di 15 minuti;

f) la salatura viene effettuata sia a secco che in salamoia (nel primo caso si protrae per diversi giorni, variabili secondo le dimensioni della forma, con aggiunta diretta di sale; nell’altro caso il formaggio permane immerso in salamoia satura per 10-12 ore per Kg della forma);

g) il formaggio va messo a maturare nelle caratteristiche grotte in tufo o in idonei locali per la stagionatura dei formaggi ad una temperatura di 12-14°C e un’umidità relativa del 70-85%per almeno 180 giorni.

A partire dal 20 giorno di maturazione la crosta dei pecorini può essere curata con olio extravergine di oliva prodotto in Basilicata e aceto di vino. Il formaggio “Pecorino di Filiano” si produce tutto l’anno.

La stagionatura avviene, come nel passato, in grotte naturali in tufo che conferiscono al prodotto la freschezza e le caratteristiche organolettiche di grande pregio.

Come si conserva

L’ideale è un posto umido, possibilmente una cantina. In ogni caso è bene avvolgerlo per preservarne l’aroma e con-servarlo in frigorifero.

Etichettatura

Il formaggio “Pecorino di Filiano” deve recare apposto, all’atto della sua immissione al consumo, il contrassegno di cui al presente disciplinare costituito da un marchio a fuoco rappresentato da una figura ovale posta in posizione orizzon-tale, all’interno del quale è riportata la scritta “Pecorino di Filiano” e, al centro, la lettera “F” stilizzata con una piccole stella accanto, che garantisce la rispondenza del prodotto alla specifiche prescrizioni del disciplinare di produzione. Questo sigillo si stampa a fuoco sulle forme e riporta una stella.

Fonte: disciplinare di produzione della denominazione di origine protetta “pecorino di filiano”

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

“CaciocavalloSilano”Dop

Il “Caciocavallo Silano” DOP è un formaggio semiduro a pasta filata prodotto con latte di vaccino ottenuto da vacche di diverse razze. La forma, che può essere ovale o troncoconica, varia in base alle diverse aree geografiche di produzione. Pre-senta una crosta sottile e liscia di un colore paglierino intenso, che può presentare delle leggere insenature dovute ai legacci e può avere un peso compreso fra 1 e 2, 5 kg. La pasta al suo interno è compatta ed omogenea con una lievissima occhiatura, di colore bianco o giallo paglierino, con sapore dolce quando il formaggio è fresco o piccante a stagionatura avanzata.

La sua originalità è stata tutelata e salvaguardata con l’ambito riconosci-mento di Denominazione di Origine Protetta (DOP) che garantisce le caratteristiche di salubrità e genuinità del vero “Caciocavallo Silano”, nel rispetto del disciplinare di produzione che prevede: l’utilizzo di latte proveniente da bovini di un delimitato

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Capitolo 4

territorio; il rispetto del processo di lavorazione, legato alla tradizione casearia me-ridionale; l’apposizione di un fregio a fuoco rappresentante un pino dell’altopiano della Sila che attesta l’autenticità del prodotto. Nel 1993, per iniziativa di alcuni pro-duttori, è nato il Consorzio di Tutela Formaggio “Caciocavallo Silano” con lo scopo di tutelare la produzione attraverso una verifica costante dei livelli qualitativi del prodotto ed un’adeguata campagna di informazione per far conoscere le peculiarità del prodotto e difendere il consumatore dalla presenza di numerosi “falsi” proposti in commercio venduti con la generica denominazione “Caciocavallo” e realizzati in realtà con latte e/o cagliata di importazione140.

LaStoria

Il “Caciocavallo Silano” DOP è tra i più antichi e caratteristici formaggi a pa-sta filata del Mezzogiorno d’Italia, considerato che già Ippocrate descriveva la tec-nica usata dei Greci nella preparazione dello stesso nel 500 a.C. Successivamente altri autori latini hanno trattato dei formaggi nelle proprie opere, come Columella e Plinio che esaltava le caratteristiche e la qualità del “butirro”, antenato del cacioca-vallo. La tesi più accreditata sull’origine della denominazione “caciocavallo” risale alla consuetudine di appendere le forme di formaggio a cavallo di pertiche di legno, in coppie, vicino ai focolari. La denominazione “Silano” deriva dalle antiche origini del prodotto, legate all’altopiano della Sila141.

IlTerritorio

La zona di produzione di questo formaggio è una delle aree più vaste tra tutte quelle interessate dalla produzione di formaggi a denominazione di origine, presentando una gran-de variabilità morfologica del territorio. Infatti, la zona di pro-venienza del latte, di trasformazione e di produzione del for-maggio “Caciocavallo Silano” comprende territori delle regioni Calabria, Campania, Molise, Puglia e Basilicata. Per quanto concerne la Regione Basilicata, questi territori comprendono le due province di Matera e Potenza con

140 Fonte: Sito Ufficiale del “Caciocavallo Silano” DOP (www.caciocavallosilano.net)

141 Fonte: Sito Ufficiale del “Caciocavallo Silano” DOP (www.caciocavallosilano.net)

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

una diffusione tale da abbracciare quasi l’intero territorio regionale142.

ValenzeGastronomiche

Il “Caciocavallo Silano” può essere consumato come formaggio da tavola o utilizzato come ingrediente per ricette tipiche dell’Italia meridionale. Per mantene-re inalterate le caratteristiche organolettiche il prodotto va conservato nel proprio incarto d’acquisto o in carta argentata in frigorifero o comunque in ambienti freschi ed asciutti. Il vero “Caciocavallo Silano” è ricco di vitamine, sali minerali e proteine, ed è particolarmente indicato, per via delle sue spiccate qualità nutritive, nelle diete dei più piccoli, di chi pratica sport e di chi è un po’ avanti nell’età143.

LaProduzione

Il “Caciocavallo Silano” si attiene ad un Disciplinare di Produzione della De-nominazione di Origine Protetta che ne garantisce le caratteristiche e l’indiscussa peculiarità e qualità del prodotto. Tale Disciplinare prevede che il formaggio possa essere prodotto esclusivamente con latte di vacca, intero, crudo o eventualmen-te termizzato (con l’obbligo di indicarlo in etichetta), di non più di quattro munte consecutive dei due giorni precedenti a quello della caseificazione, proveniente da allevamenti ubicati nella zona geografica di produzione (vedi nota 3), ottenuto nel rispetto di processi tecnologici e standard produttivi. La modellazione della forma si ottiene con movimenti energici delle mani, comprimendo la pasta in modo tale da

142 Per quanto concerne la Regione Basilicata, i territori relativi alla zona di provenienza del latte, di trasformazione e di elaborazione del formaggio “Caciocavallo Silano” sono delimitati nel modo se-guente:

Provincia di Matera: l’intero territorio dei comuni sottoelencati: Accettura, Bernalda, Calciano, Ciri-gliano, Ferrandina, Garaguso, Gorgoglione, Irsina, Matera, Montescaglioso, Oliveto Lucano, Pisticci, Policoro, Pomarico, Rotondella, Salandra, Scanzano Jonico, S. Giorgio Lucano, S. Mauro Forte, Sti-gliano, Tricarico, Tursi.

Provincia di Potenza: l’intero territorio dei comuni sottoelencati: Lavello, Montemilone, Melfi, Ri-onero, Venosa, Palazzo S. Gervasio, Atella, Forenza, Banzi, Genzano di Lucania, Acerenza, Oppido Lucano, Filiano, S. Fele, Ruvo del Monte, Rapone, Pescopagano, Castelgrande, Muro Lucano, Bella, Avigliano, Ruoti, Baragiano, Balvano, Potenza, Picerno, Tito, Pignola, Brindisi di Montagna, Vaglio di Basilicata, Tolve, Albano di Lucania, Pietrapertosa, Laurenzana, Corleto Perticara, Anzi, Abriola, Calvello, Brienza, Marsiconuovo, Marsicovetere, Paterno, Tramutola, Viggiano, Grumeto Nova, Mo-literno, Lagonegro, Castelsaraceno, Lauria, Trecchina, Maratea, San’Arcangelo (Fonte: Disciplinare di Produzione della Denominazione di Origine Protetta “Caciocavallo Silano”)

143 Fonte: Disciplinare di Produzione della Denominazione di Origine Protetta “Caciocavallo Silano”

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Capitolo 4

avere la superficie esterna liscia, senza sfilature né pieghe, e la parte interna senza vuoti. La chiusura della pasta, all’apice di ogni singolo pezzo, si esegue immer-gendo la parte velocemente in acqua bollente e completando l’operazione a mano, dando alla pasta la forma opportuna. In seguito le forme vengono immerse prima in acqua di raffreddamento e poi in salamoia (per un periodo di tempo variabile in relazione al peso, ma comunque non inferiore a 6 ore). Infine, le forme tolte dalla salamoia vengono legate a coppia con appositi legacci e sospese con delle pertiche al fine di ottenere la stagionatura che ha una durata minima di 30 giorni, che può protrarsi anche più a lungo.

Il “Caciocavallo Silano” DOP rappresenta una quota di mercato nazionale pari allo 0,4% dei formaggi DOP.144 Negli ultimi anni, dal 2005 al 2010, il numero delle aziende consorziate per l’intera area ha subito una diminuzione a cui si è af-fiancato anche quello delle aziende dell’area lucana (rimaste stabili negli ultimi due anni), che rappresentano il 14% delle aziende consorziate, percentuale confermata anche in relazione al numero delle aziende di produzione dell’intera area.

Per quanto attiene la produzione del “Caciocavallo Silano” DOP la Basili-cata rappresenta al 2010 il 20% della produzione complessiva dell’intera area, re-gistrando una flessione negativa negli anni. Infatti, nel 2005 la produzione lucana rappresentava il 45% di quella complessiva, scesa poi al 39% (2007) e al 30% nel 2008 e nel 2009. Prendendo come riferimento le ultime sei annate produttive si evidenzia un trend negativo di questa produzione DOP che investe l’intera area pro-duttiva, registrando per i produttori lucani un significativo calo produttivo nel 2006 con una buona ripresa nel 2007, un nuovo calo produttivo nel 2008 con una piccola ripresa nel 2009, ed un ulteriore e significativo decremento produttivo nel 2010 che quasi dimezza la produzione rispetto al 2009, registrando un calo del 42% (dati che risultano essere più o meno in linea con il trend produttivo dell’intera area). Tali dati, visto il numero più o meno costante degli allevatori e dei caseificatori/stagio-natori lucani, evidenziano, quindi, un calo della produzione DOP delle varie aziende aderenti alla filiera lucana, legato soprattutto ad un generale periodo di crisi del settore e del mercato in genere.

144 Fonte: Sito Regione Campania (www.agricoltura.regione.campania.it)

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

TabellaN.1-Aziendeequantitàdiproduzionedel“CaciocavalloSilano”DOP–Basilicata

Anno 2005 2006 2007 2008 2009 2010

N° aziende che producono secondo il disciplinare utilizzando il marchio DOP in Basilicata

Produttori - Caseifici 3 3 4 4 4 4

Allevatori N.P. N.P. N.P. 16 14 13

Stagionatori 3 3 4 4 4 4

Quantità prodotte e certifi-cate in Basilicata (in Kg)

514.961 44.317 398.413 231.802 253.019 146.780

Quantità prodotte e certifi-cate in Basilicata (numero di pezzi)

267.281 22.151 188.690 109.042 122.137 67.170

Fonte : Organismo di Certificazione

0

200000

400000

600000

2005 2006 2007 2008 2009 2010

Quantità prodotte e certificate

Quantità prodotte e certificate (in Kg) Basilicata

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Capitolo 4

TabellaN.2-Aziendeequantitàdiproduzionedel“CaciocavalloSilano”DOP-Interaareadiproduzione

Anno 2005 2006 2007 2008 2009 2010

N° aziende che producono secondo il disciplinare utilizzando il marchio DOP

N° aziende socie del consorzio di tute-la (Basilicata)

6 6 3 3 4 4

N° aziende socie del consorzio di tute-la (Intera Area di produzione)

41 39 32 32 32 27

N° aziende che producono secondo il disciplinare utilizzando il marchio DOP - Intera Area di produzione

N° aziende di produzione trasforma-tori/stagionatori Intera area di produ-zione

41 39 28 28 28 27

Quantità prodotte e certificate (in Kg) Intera area di produzione

1.119.516 1.042.717 1.004.630 749.784 814.059 737.740

Fonte: Elaborazione INEA dati Regione Basilicata, Consorzio di Tutela Formaggio “Caciocavallo Silano” DOP e Rap-

porto Qualivita 2010

LaCommercializzazione

Il “Caciocavallo Silano” DOP è immesso in commercio tutto l’anno e può es-sere commercializzato in forme intere o porzionato in pezzi, tranci e fette preconfe-zionate sottovuoto o in atmosfera protetta. All’atto della sua immissione al consu-mo deve recare, impresso termicamente, il contrassegno previsto dal Disciplinare e un numero di identificazione attribuito dal Consorzio di Tutela Formaggio “Cacio-cavallo Silano” ad ogni produttore inserito nel sistema di controllo. Tale contrasse-gno viene stampato sulle etichette apposte ad ogni singola forma, unitamente agli estremi del Regolamento comunitario con cui è stata registrata la denominazione stessa ed al numero di identificazione attribuito al singolo produttore. Inoltre viene indicato il colore del contrassegno, unitamente alla sua localizzazione145.

Per quanto concerne i mercati di destinazione del “Caciocavallo Silano” DOP si evince che quasi tutta la produzione lucana viene commercializzata all’interno dei confini nazionali, eccetto un 5% esportato unicamente verso i paesi dell’Unione Eu-ropea (dato in linea con l’intera area). Da un’analisi, dei diversi canali di commercia-

145 Fonte: Disciplinare di Produzione della Denominazione di Origine Protetta “Caciocavallo Silano”

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

lizzazione del mercato interno, emerge che il prodotto viene venduto principalmente presso la grande distribuzione organizzata ed i supermercati che cumulativamente assorbono circa il 70% della produzione. La vendita diretta presso i caseifici di pro-duzione rappresenta il 15% del totale della domanda mentre il restante 15% riguar-da la ristorazione. Questi dati sono più o meno in linea con le dinamiche dell’intera area di produzione, anche se su tutto l’areale la vendita diretta presso i caseifici rappresenta solo il 3% a vantaggio di quella che transita attraverso la G.D.O.

Tabellan.3-Mercatididestinazioneeincidenzadeicanalidistributividel“Cacio-cavalloSilano”DOP–Basilicata

Anno 2005 2006 2007 2008 2009 2010

Mercato Interno 95% 95% 95% 95% 95% 95%

Mercato Estero 5% 5% 5% 5% 5% 5%

Mercato Interno

Vendita Diretta 15% 15% 15% 15% 15% 15%

Dettaglio Tradizionale 0% 0% 0% 0% 0% 0%

Distribuzione Moderna 70% 70% 70% 70% 70% 70%

Ristorazione 15% 15% 15% 15% 15% 15%

Mercato Estero

Unione Europea 100% 100% 100% 100% 100% 100%

Paesi extra-UE 0% 0% 0% 0% 0% 0%

Fonte: Elaborazione INEA su dati Regione Basilicata - Consorzio di Tutela Formaggio “Caciocavallo Silano” DOP

Una delle principali difficoltà dei produttori lucani legata alla commercia-lizzazione è rappresentata dal fattore logistico e di trasporto. Infatti, i produttori della Basilicata per rifornire le G.D.O. sono costretti ad usufruire di trasportatori certificati extra regionali, con un aumento dei costi di trasporto. Inoltre, il vincolo di

0,15

0

0,7

0,15

Incidenza sui canali di vendita

Vendita Diretta

Dettaglio Tradizionale

Distribuzione Moderna

Ristorazione

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139

Capitolo 4

trasportare obbligatoriamente quantità minime di prodotto (soglie oltre le quali non si può scendere) se da un lato comporta, di conseguenza, l’indirizzarsi verso il mer-cato della grossa distribuzione che acquista quantità elevate di prodotto, dall’altro costringe i produttori ad accettare prezzi di vendita imposti che spesso non coprono i costi di produzione del prodotto certificato. Problematiche che potrebbero essere superate da scelte imprenditoriali orientate ad aggregare l’offerta per realizzare economie di scala. Dall’indagine effettuata emerge, inoltre, che i produttori lucani lamentano la carenza di politiche regionali volte alla promozione e valorizzazione del prodotto, in quanto il più delle volte la commercializzazione si basa su rapporti personali. Le principali azioni di promozione vengono portate avanti dai singoli pro-duttori, che partecipano ad eventi promozionali (fiere e progetti di promozione che avvicinino il prodotto al consumatore, come attività promozionali con stand degu-stativi su navi di crociera ecc..) facendo degustare il prodotto e dando indicazioni su dove poterlo trovare (iniziative che hanno dato dei riscontri positivi sul fatturato). Il prodotto può essere trovato sul mercato a prezzi diversi in base ai vari canali di ven-dita (come indicato nella Tab. n. 4), registrando un trend più o meno costante negli anni, che ha evidenziato piccoli aumenti di prezzo nel 2007 e nel 2010, soprattutto come prezzo al consumo.

Tabellan.4-Rangediprezzopercanalidivenditadel“CaciocavalloSilano”DOP–Basilicata

Range - Anno 2005 2006 2007 2008 2009 2010

Range di prezzo alla produzione per il pro-dotto finito IVAcompresa (al Kg 60-90 gg stagionatura, confezione da 1,5 Kg)

9,00 €/kg

9,00 €/Kg

9,20 €/Kg

9,20 €/Kg

9,20 €/Kg

9,30 €/Kg

Range di prezzo al consumo sul canale prevalente nella confezione più diffusa (al Kg 60-90 gg stagionatura, confezione da 1,5 Kg)

14,00 €/Kg

14,00 €/Kg

14,00 €/Kg

14,00 €/Kg

14,00 €/Kg

14,50 €/Kg

Range di prezzo alla vendita diretta nella confezione più diffusa (al Kg 60-90 gg sta-gionatura, confezione da 1,5 Kg)

12,00 €/Kg

12,00 €/Kg

12,00 €/Kg

12,00 €/Kg

12,00 €/Kg

12,10 €/Kg

Fonte: Consorzio di Tutela Formaggio “Caciocavallo Silano” DOP

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

CARTA DI IDENTITA’ DEL “CACIOCAVALLO SILANO” DOP

Registrazione Europea con Regolamento CE 1236 del 01/07/1996 pubblicato sulla GUCE L 163 del 02/07/1996

ORGANISMO DI DIFESA Consorzio di Tutela Formaggio Caciocavallo Silano DOP - Via Forgitelle - Località Camiglia-tello Silano – 87058 Spezzano della Sila (CS)

ORGANISMO DI CERTIFICAZIONE IS tituto ME diterraneo CERT ificazione ITALIA Corso Meridionale, 6 – 80143 Napoli

La zona di produzione

La zona di provenienza del latte, di trasformazione e di elaborazione del formaggio Caciocavallo Silano comprende territori delle regioni Calabria, Campania, Molise, Puglia e Basilicata. Per quanto concerne la Regione Basilicata, i territori relativi alla zona di provenienza del latte, di trasformazione e di elaborazione del formaggio “Caciocavallo Silano” sono delimitati nel modo seguente:

Provincia di Matera - l’intero territorio dei comuni sottoelencati: Accettura, Bernalda, Calciano, Cirigliano, Ferrandina, Garaguso, Gorgoglione, Irsina, Matera, Montescaglioso, Oliveto Lucano, Pisticci, Policoro, Pomarico, Rotondella, Sa-landra, Scanzano Jonico, S. Giorgio Lucano, S. Mauro Forte, Stigliano, Tricarico, Tursi.

Provincia di Potenza - l’intero territorio dei comuni sottoelencati: Lavello, Montemilone, Melfi, Rionero, Venosa, Palaz-zo S. Gervasio, Atella, Forenza, Banzi, Genzano di Lucania, Acerenza, Oppido Lucano, Filiano, S. Fele, Ruvo del Monte, Rapone, Pescopagano, Castelgrande, Muro Lucano, Bella, Avigliano, Ruoti, Baragiano, Balvano, Potenza, Picerno, Tito, Pignola, Brindisi di Montagna, Vaglio di Basilicata, Tolve, Albano di Lucania, Pietrapertosa, Laurenzana, Corleto Per-ticara, Anzi, Abriola, Calvello, Brienza, Marsiconuovo, Marsicovetere, Paterno, Tramutola, Viggiano, Grumeto Nova, Moliterno, Lagonegro, Castelsaraceno, Lauria, Trecchina, Maratea, San’Arcangelo.

Caratteristiche del prodotto

Le caratteristiche del Caciocavallo si possono brevemente riassumere nei seguenti punti:

·- forma: tipicamente a pera ovale o troncoconica, con testina o senza, nel rispetto delle consuetudini locali, con presenza di insenature dipendenti dalla posizione dei legacci;

·- peso: compreso tra 1 kg e 2,500 kg;

·- crosta: sottile, liscia, di marcato colore paglierino; la superficie può presentare leggere insenature dovute ai legacci collocate in relazione alle modalità di legatura;

·- pasta: è cruda e filata, omogenea, compatta con lievissima occhiatura, di colore bianco o giallo paglierino più carico all’esterno e meno carico all’interno, se stagionato a lungo la pasta si presenta friabile, scagliosa di un colore bianco o giallo oro, omogenea e compatta o con lievissima occhiatura;

·- sapore: aromatico, piacevole, fusibile in bocca, normalmente delicato e tendenzialmente dolce quando il for-maggio è giovane, fino a divenire piccante a maturazione avanzata.

Come si produce

Il Caciocavallo Silano è un formaggio semiduro a pasta filata prodotto esclusivamente con latte di vacca, intero, crudo o eventualmente termizzato fino a 58°C per 30 secondi in caseificio, con l’obbligo di indicarlo in etichetta, di non più di quattro munte consecutive dei due giorni precedenti a quello della caseificazione, proveniente da allevamenti ubicati nella zona geografica di cui all’art. 2, ottenuto nel rispetto del processo tecnologico in quanto rispondente allo standard produttivo seguente: il latte da impiegare per la produzione del formaggio deve essere coagulato alla temperatura di 36-38°C usando caglio in pasta di vitello o di capretto. È consentito l’impiego di siero innesto naturale preparato nella stessa struttura di trasformazione del latte. Quando la cagliata ha raggiunto la consistenza voluta, dopo alcuni minuti,

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Capitolo 4

si procede alla rottura della stessa fino a che i grumi abbiano raggiunto le dimensioni di una nocciola. Inizia quindi la fase di maturazione della cagliata, che consiste in una fermentazione lattica la cui durata varia in media dalla 4 alle 10 ore e può protrarsi ulteriormente in relazione all’acidità del latte lavorato, alla temperatura, alla massa o ad altri fattori. La maturazione della pasta è completata quando la stessa è nelle condizioni di essere filata ed il controllo sui tempi di maturazione si effettua mediante prelievi, a brevi intervalli, di piccole parti della pasta stessa che vengono immerse in acqua quasi bollente per provare se si allunga in fibre elastiche, lucide, continue e resistenti: cioè “fila”. Segue un’operazione caratteristica consistente nella formazione di una specie di cordone che viene plasmato fino a raggiungere la forma voluta. La modellazione della forma si ottiene con movimenti energici delle mani per cui la pasta si comprime in modo tale da avere la superficie esterna liscia, senza sfilature né pieghe, e la parte interna senza vuoti. Si procede, quindi, alla chiusura della pasta all’apice di ogni singolo pezzo, immergendo la parte velocemente in acqua bollente e completando l’operazione a mano. Infine, si dà alla pasta la forma opportuna e si procede alla formazione della testina. Le forme così plasmate vengono immerse prima in acqua di raffreddamento e poi in salamoia. La salatura avviene per immersione per un periodo di tempo variabile in relazione al peso, ma comunque non inferiore a 6 ore. Tolte dalla salamoia le forme vengono legate a coppia con appositi legacci e sospese con delle pertiche al fine di ottenere la stagionatura. La durata minima del periodo di stagionatura è di 30 giorni, ma può protrarsi più a lungo. E’ consentito l’utilizzo di trattamenti delle forme, superficiali, esterni e trasparenti, privi di coloranti con il rispetto del colore della crosta. Il grasso della sostanza secca non può essere inferiore al 38%.

Caratteristiche al consumo

Il “Caciocavallo Silano” può essere consumato, se è giovane, come formaggio da tavola o utilizzato come ingrediente per tantissime ricette tipiche locali dell’Italia meridionale. Grazie alle sue qualità nutritive, è particolarmente adatto alle diete dei bambini, degli anziani e degli sportivi. Si abbina perfettamente molto bene con vini bianchi secchi dal profumo floreale, abbastanza morbidi, freschi e di media struttura.

Il “Caciocavallo Silano”, che viene venduto in forme intere o in pezzi preconfezionati, va conservato, ancora avvolto nell’incarto d’acquisto o in carta argentata, in luogo fresco e asciutto o in frigorifero.

Etichettatura

Il formaggio a denominazione di origine Caciocavallo Silano deve recare apposto all’atto della sua immissione al consumo impresso termicamente, su ogni forma, con figurazione lineare o puntiforme, il contrassegno, che costituisce parte integrante del presente disciplinare e l’indicazione di un numero di identificazione attribuito dal Consorzio di tutela formaggio Caciocavallo Silano, previa autorizzazione alla vigilanza, ad ogni produttore inserito nel sistema di controllo. Tale contrassegno, unitamente agli estremi del Regolamento comunitario con cui è stata registrata la denominazione stessa e del numero di identificazione, attribuito al singolo produttore, dovrà essere stampigliato sulle etichette apposte ad ogni singola forma.

Fonte: DISCIPLINARE DI PRODUZIONE DELLA DENOMINAZIONE DI ORIGINE PROTETTA ”CACIOCAVALLO SILANO”

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

FORMAGGI DOP/IGP DELLA REGIONE BASILICATA: ANALISI SWOT

PUNTI DI FORZA PUNTI DI DEBOLEZZA

La certificazione DOP/IGP dei formaggi lucani offre ga-ranzie sul processo produttivo: qualità dei territori di produzione e delle tecniche di allevamento, origine certa del latte, localizzazione e tradizionalità del processo pro-duttivo, forte legame con il territorio che dona ai prodotti tipicità ed inimitabilità

Rilevante polverizzazione aziendale con la presenza nella filiera di aziende medio-piccole, poco strutturate, quasi sempre a conduzione familiare, con l’oggettiva difficoltà alla standardizzazione di processi produttivi, e con quantitativi medi molto limitati(CANESTRATO DI MOLITERNO IGP - PECORINO DI FILIANO DOP)

Esigui volumi di produzione che rendono difficile ricerca-re canali di commercializzazione che si rivolgano a mer-cati diversi dal territorio di produzione (CANESTRATO DI MOLITERNO IGP - PECORINO DI FILIANO DOP)

Prodotti conosciuti sul mercato (tanto da essere oggetto di imitazioni), spesso anche indipendentemente dal mar-chio IGP, rappresentano prodotti di nicchia, per cui, il più delle volte, la domanda supera l’offerta (CANESTRATO DI MOLITERNO IGP)

Sviluppo dell’attività di commercializzazione quasi tutta all’interno dei confini della stessa regione di produzione, basata il più delle volte su rapporti personali piuttosto che su strategie di mercato, e concentrata, oggi, preva-lentemente sulla vendita diretta in azienda, tipica delle piccole produzioni, legata anche alle ridotte dimensioni aziendali (CANESTRATO DI MOLITERNO IGP - PECORINO DI FILIANO DOP)

Graduale aumento negli ultimi anni delle aziende iscrit-te ai Consorzi di Tutela, il che ha portato ad un leggero incremento della produzione certificata, rimasta comun-que al di sotto delle aspettative e delle potenzialità dell’area (PECORINO FILIANO DOP)

Mancanza di organicità della filiera ovi-caprina legata a metodi di allevamento spesso tradizionali (a causa di uno scarso ricambio generazionale) accompagnati, in al-cuni casi, da inadeguatezze strutturali delle aziende di produzione che non permettono il rispetto degli standard normativi e produttivi imposti dal Disciplinare di Produ-zione (CANESTRATO DI MOLITERNO IGP - PECORINO DI FILIANO DOP)

Organizzazione di Sagre per la valorizzazione e la com-mercializzazione, che favorisce un turismo gastronomico nei luoghi di produzione (CANESTRATO DI MOLITERNO IGP - PECORINO DI FILIANO DOP)

Difficoltà economiche che, spesso, incidono sulla man-cata produzione:

- scarsa redditività del prodotto

- carenza di materia prima di qualità (per una man-canza di interesse degli allevatori ad adeguare la produzione ai disciplinari, a causa di difficoltà nella vendita del latte al giusto prezzo)

- quantità ridotte di prodotto

- limiti alla commercializzazione

- incremento dei costi di produzione (legati a costi di certificazione, costi di acquisto delle materie prime conformi e costi di adeguamento aziendale)

Produzione consistente (anche se in calo negli ultimi anni, a causa di quelle che sono le problematiche gene-rali del mercato e del comparto dei formaggi DOP/IGP) e visibilità del prodotto derivante da un’organizzazione produttiva più estesa e radicata da diversi anni, legata ad una produzione non solo lucana, che comprende ben quattro regioni dell’area meridionale (CACIOCAVALLO SILANO DOP)

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Capitolo 4

OPPORTUNITA’ CRITICITA’

Elaborazione di azioni che rafforzino il sistema di qua-lità del territorio coinvolgendo le aziende, le filiere, le associazioni e gli Enti locali, nella creazione di attività di valorizzazione dei prodotti, quale fattore di sviluppo del territorio, attraverso un turismo enogastronomico e culturale

Difficili rapporti con il sistema distributivo ed in parti-colare con la grande distribuzione, alla quale occorre garantire la fornitura di grandi volumi di produzione certificata e standardizzata che i produttori non sono in grado di sostenere (CANESTRATO DI MOLITERNO IGP - PECORINO DI FILIANO DOP)

Sviluppo di panieri ed offerte commerciali complementa-ri con altri prodotti tipici del territorio

Mancanza di un’adeguata politica di comunicazione a sostegno del prodotto, principale causa di freno del pas-saggio da prodotto di nicchia a prodotto di qualitàDefinizione e ricerca di nuovi mercati e nuovi canali di

commercializzazione.

Favorire il ricambio generazionale nei diversi settori di produzione della filiera.

Scarsa conoscenza sul mercato extra regionale della regione Basilicata e dei suoi prodotti, il che comporta difficoltà nella commercializzazione, e determina la non convenienza delle aziende del territorio ad incrementare la produzione certificata.

Volontà dei Consorzi di Tutela di coinvolgere il maggior numero di aziende presenti nell’area dei comuni di pro-duzione, al fine di far crescere la filiera produttiva, ed aumentare i quantitativi di produzione per soddisfare una domanda maggiore.

Concorrenza sleale delle imitazioni dei vari pecorini “tipo Moliterno” prodotti in tutta Italia che no corrispondono all’originale IGP (CANESTRATO DI MOLITERNO IGP)

Difficoltà a commercializzare con le GDO perché impon-gono dei prezzi di vendita troppo bassi, che non coprono spesso i costi di produzione del prodotto certificato (CA-CIOCAVALLO SILANO DOP)

Investire nella formazione degli operatori (stimolando cambiamenti culturali che portino dall’idea del formag-gio fatto in casa, all’idea del prodotto certificato che rispetti standard e procedure), nella ristrutturazione ed ammodernamento dei luoghi di produzione e nella rete infrastrutturale del territorio. (CANESTRATO DI MOLI-TERNO IGP - PECORINO DI FILIANO DOP)

Forte incidenza dei costi di trasporto. Una delle princi-pali difficoltà, è rappresentata dal fattore logistico e di trasporto, a causa della mancanza di trasportatori cer-tificati nella regione Basilicata i produttori lucani sono costretti a rivolgersi fuori regione, il che comporta un aumento dei costi di trasporto ed il vincolo di trasportare quantità minime di prodotto indirizzando forzatamente la commercializzazione verso la GDO. (CACIOCAVALLO SILANO DOP)

Collegare i vari segmenti di produzione della filiera ri-conoscendo a tutti il giusto valore aggiunto, derivante dalla maggiore remunerazione dei prodotti certificati.

Avviare, anche su base locale, azioni di comunicazione finalizzate a mostrare le caratteristiche qualitative dei prodotti, aumentando il grado di conoscenza delle loro specificità al fine di portare il consumatore ad accettare un prezzo legato ad una maggiore qualità del prodotto

Carenza di azioni volte alla promozione e valorizzazio-ne del prodotto, in quanto le principali attività di pro-mozione vengono portate avanti dai singoli produttori, che partecipano ad eventi promozionali (ad esempio su navi di crociera), facendo degustare il prodotto, e dando indicazioni su dove poterlo trovare (il che ha dato dei riscontri positivi con incrementi di fatturato). (CACIOCA-VALLO SILANO DOP)

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

4.4 “PanediMatera”IGP

Il “Pane di Matera” IGP ha un ruolo particolarmente significativo per la città lucana di cui porta il nome. Il suo sapore, le sue caratteristiche e la particolare forma, sono una sintesi degli elementi peculiari che compongono questo prodotto: l’ambiente, il territorio, l’acqua, i grani, l’aria, la tradizione e il saper fare degli uo-mini, che creano un prodotto unico146.

L’originalità del “Pane di Matera”, che ha alle spalle una tradizione che risale al Regno di Napoli, nasce dall’impiego di antiche varietà di grano duro, germinato e cresciuto nella zona del territorio materano, da cui si ricava la semola utilizzata per ottenere il “Pane di Matera” a Indicazione Geografica Protetta (IGP). Come previsto dal Disciplinare di Produzione sono queste antiche varietà locali, Senatore Cappelli, Duro Lucano, Capeiti e Appulo, la base indispensabile per realizzare questo pane

146 Fonte: Sito Ufficiale Consorzio di Tutela del “Pane di Matera” (www.consorziopanedimatera.com)

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Capitolo 4

dal gusto tipico ed unico, le cui caratteristiche sono legate alla croccantezza della crosta con un odore di bruciato e alla mollica compatta dal colore giallo paglierino, porosa e molto difforme. Ma anche la sua originale conformazione desta grande attenzione e curiosità, soprattutto da parte dei turisti che lo vedono per la prima volta, grazie alla particolare lavorazione a mano, tramandata nei secoli dai maestri fornai, che gli permette di assumere specifiche forme: alto per chi ama il giusto compromesso tra crosta e mollica; e a cornetto, con una crosta spessa, per chi ama il gusto croccante. Le forme possono avere una pezzatura tra 1 e 2 chilogram-mi.147 Inoltre, ciò che dona a questo pane un gusto unico è la particolare prepara-zione del lievito madre naturale ottenuto con farina e polpa di frutta fresca matura, tenuta prima a macerare in acqua, che conferisce al pane un profumo inimitabile.

Per tutelare e valorizzare questo prodotto un gruppo di giovani produttori e imprenditori, panificatori da generazioni, con il sostegno dell’ALSIA e della Camera di Commercio di Matera, hanno costituito il Consorzio di Tutela del “Pane di Mate-ra” IGP e, attraverso un rigoroso disciplinare di produzione, che interessa l’intera filiera dalla coltivazione dei grani tradizionali alla tecnica di produzione finale, han-no ridato una nuova vitalità al prodotto nella sua più genuina originalità148.

LaStoria

La storia del “Pane di Matera” IGP, prodotto dai panificatori materani secondo un antico metodo di lavorazione, è raccontata da secoli di tradizione e cultura della civiltà contadina del luogo. Emerge, infatti, da antichi libri e documenti che la città di Matera nel Cinquecento, grazie all’eccellente grano prodotto sul proprio territorio, avesse un ruolo importante nei commerci, e che nel secolo XVII rifornisse tutto il Regno di Napoli, come risulta da un manoscritto del letterato Tommaso Stigliani. Nella seconda parte del 1800 circa la metà dei circa 50.000 quintali di grano prodotti erano esportati.149 Nel novecento, grazie alle tecniche innovative di produzione, si registrò un buon incremento produttivo di grano, tanto che nel 1932, durante la cosiddetta «Battaglia del grano», la produzione raggiunse circa un milione di quintali con un’esportazione di 600.000 quin-tali. In questo periodo un notevole contributo fu dato dalla selezione dei frumenti, grazie alla quale la pregiata varietà Cappelli ebbe un forte impulso150.

147 Fonte: Radogna F.: “Il pane dei Sassi” tratto da ORIGINE Maggio - Giugno 2008

148 Fonte: Fonte: Sito Ufficiale Consorzio di Tutela del “Pane di Matera” (www.consorziopanedimatera.com)

149 Fonte: Radogna F.: “Il pane dei Sassi” tratto da ORIGINE Maggio - Giugno 2008

150 Fonte: Radogna F.: “Il pane dei Sassi” tratto da ORIGINE Maggio - Giugno 2008

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Legata a tale produzione anche l’industria molitoria fu fiorente, nel 1857, infatti, nella città di Matera risultavano esserci quattro “maestri di centimoli”, cioè quattro mulini e, nel 1884 nacque il primo mulino industriale con circa 50 operai151. Per quanto riguarda invece i forni, nel 1857 lo studioso P.A. Ridola censiva nella città la presenza di undici forni a legna,152 che negli anni cinquanta (1950), negli antichi rioni Sassi (dove abitava la quasi totalità della popolazione), arrivano ad essere circa una quindicina.153. La tradizione del pane «fatto in casa» tra le massaie materane ha resistito all’incirca fino all’ultimo ventennio del 900. Il tradizionale rito settimanale di panificazione che si svolgeva nelle case-grotte dei Sassi di Matera era scandito da specifiche tappe: la sera si preparava l’impasto, con farina e acqua tiepida (utilizzando la pasta lievitata messa da parte dalla precedente panificazio-ne), che veniva poi posto in un contenitore di argilla e fatto lievitare tutta la notte; e la mattina seguente la massaia procedeva alla lavorazione dell’impasto, che av-veniva su un asse in legno, con l’aggiunta di altra farina, acqua e sale, premendo a pugni chiusi sulla pasta e manipolando per circa un’ora. La pasta, così lavorata, era messa a lievitare per 2-3 ore sotto una coperta di lana sul letto matrimoniale. La massa lievitata era poi divisa in pezzi, che variavano dai 3 ai 5 chili e, che veni-vano marchiati con un timbro di legno duro, su cui erano incise le iniziali del capo famiglia, per poter essere riconosciuti dopo la cottura. Successivamente passava il fornaio a prelevarli per cuocerli in forni scavati nella roccia, con legname tipico del territorio che conferiva al pane un profumo inimitabile.154 Il pane rivestiva nell’eco-nomia contadina notevole importanza ed era un alimento fondamentale dell’ali-mentazione quotidiana, tanto da essere spesso circondato da un’aura di sacralità.

IlTerritorio

La storia del “Pane di Matera” ha un ruolo significativo nella storia della città di cui porta il nome. Il sapore, la forma, che ricorda il paesaggio della Murgia Ma-terana, e le caratteristiche organolettiche sono una sintesi degli elementi peculiari

151 Fonte: Disciplinare di Produzione del “Pane di Matera” ad Indicazione Geografica Protetta – Scheda Riepilogativa del Riconoscimento in Protezione transitoria

152 Fonte: Disciplinare di Produzione del “Pane di Matera” ad Indicazione Geografica Protetta – Scheda Riepilogativa del Riconoscimento in Protezione transitoria

153 Fonte: Radogna F.: “Il pane dei Sassi” tratto da ORIGINE Maggio - Giugno 2008

154 Fonte: Radogna F.: “Il pane dei Sassi” tratto da ORIGINE Maggio - Giugno 2008

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Capitolo 4

dell’ambiente di questo territorio,155 che influisce sulla com-posizione qualitativa dei prodotti utilizzati per la panificazio-ne, come, le semole ottenute dai frumenti coltivati sulla col-lina materana, storicamente caratterizzata dalla coltivazione di cereali.156 Alcuni studi archeologici svolti nel Metapontino (dall’équipe coordinata da Joseph C. Carter dell’Università di Austin del Texas) riportano che nel periodo arcaico i cereali erano la principale coltura del territorio. E sino alla Riforma Agraria degli anni 50 il territorio materano è stato caratterizzato da un sistema di tipo feudale con la pre-senza di latifondi e un’agricoltura prettamente estensiva, di cui sono testimonian-za gli insediamenti rurali e le antiche masserie fortificate che si trovano nell’area del materano. Le caratteristiche del terreno prevalentemente argilloso, con esigue quantità di calcio e abbondanti quantità di potassio, ed un clima con temperature rigide in inverno e calde in estate costituiscono l’ambiente ideale per la coltivazione del frumento, in modo particolare per quello duro, che quindi in questi territori ha trovato, da sempre, le migliori condizioni di coltivazione: da qui la centralità che hanno avuto il pane e la pasta nella realtà socio-economica materana.157 Inoltre le essenze legnose tipiche del territorio, utilizzate nei tradizionali forni per la cottura, sono elementi legati indissolubilmente al territorio che incidono profondamente sulle caratteristiche organolettiche del “Pane di Matera” IGP158.

ValenzeGastronomiche

Nella tradizione materana il pane era un elemento fondamentale per l’ali-mentazione e a fine pasto non doveva essere assolutamente gettato, il suo riutilizzo ha dato origine a un piatto della tradizione, la «Cialledda cool» (Cialla calda), un piatto a base di pane raffermo che si prepara con acqua calda, olio extravergine di oliva, pomodori, aglio, cipolla, patate, due o tre olive, sale, origano e, a piacere altre verdure (praticamente tutto ciò che si aveva a disposizione in casa per condire e creare un piatto unico con cui saziarsi). Nel periodo più caldo questo piatto veniva sostituito dalla «Cialledda» fredda, che si prepara sempre con del pane raffermo,

155 Fonte: Fonte: Sito Ufficiale Consorzio di Tutela del “Pane di Matera” (www.consorziopanedimatera.com)

156 Fonte: Disciplinare di Produzione del “Pane di Matera” ad Indicazione Geografica Protetta – Scheda Riepilogativa del Riconoscimento in Protezione transitoria

157 Fonte: Radogna F.: “Il pane dei Sassi” tratto da ORIGINE Maggio - Giugno 2008

158 Fonte: Disciplinare di Produzione del “Pane di Matera” ad Indicazione Geografica Protetta

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bagnato con acqua fredda, e poi condito con pomodoro, olio e origano. Il “Pane di Matera” si accompagna bene alla cucina tipica materana, ed esprime la sua unicità nella tradizionale “Feddarauss” (bruschetta), pane tostato condito con pomodoro olio ed origano; inoltre si presta ad essere consumato anche da solo o in abbina-mento con salumi e formaggi159.

LaProduzione

Il “Pane di Matera” IGP viene prodotto esclusivamente con semola rimacina-ta di grano duro proveniente dal territorio materano ed è il frutto di un’antichissima cultura e di una tradizione oggi sempre più viva.160

I principali aspetti che caratterizzano la produzione del “Pane di Matera” IGP sono legati: - alla filiera produttiva composta da agricoltori (coltivazione e raccolto del grano),

molitori (stoccaggio termoventilato e molitura) e panificatori (lavorazione e pro-duzione);

- al controllo dei terreni destinati alla coltivazione del grano destinato alla panifi-cazione;

- alla selezione dei semi di grani della Collina Materana e all’utilizzo dell’antica e pregiata varietà di grano duro Cappelli (prodotto esclusivamente sulla collina materana);

- alla molitura, con la creazione della giusta miscela; e infine alla panificazione effettuata nel rispetto del disciplinare di produzio-

ne IGP e delle tradizionali modalità di lavorazione161. Secondo quanto previsto dal Disciplinare di Produzione ogni fase del pro-

cesso produttivo deve essere monitorata, per garantire la tracciabilità del prodotto, attraverso l’iscrizione in appositi registri (gestiti dall’organismo di controllo) delle particelle catastali sulle quali avviene la coltivazione del grano, dei molini e dei pro-duttori, con la tenuta di registri di produzione e la relativa denuncia dei quantitativi prodotti nel rispetto del Disciplinare di Produzione e del relativo piano di controllo.

La grande particolarità del “Pane di Matera” IGP è legata alla modalità di preparazione del lievito madre, all’opera e alla creatività dell’uomo che ha saputo

159 Fonte: Rosati M.: Atlante Qualivita 2010 – I prodotti Agroalimentari italiani DOP IGP STG

160 Fonte: Sito Ufficiale Consorzio di Tutela del “Pane di Matera” (www.consorziopanedimatera.com)

161 Fonte: Sito Ufficiale Consorzio di Tutela del “Pane di Matera” (www.consorziopanedimatera.com)

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Capitolo 4

combinare i fattori ambientali con esigenze di vita e di cultura, facendo del “Pane di Matera” un prodotto espressione di un’intera civiltà, oltre che un’importante ri-sorsa economica.

Il processo produttivo ha inizio con la preparazione del lievito madre, otte-nuto con farina e polpa di frutta fresca matura stagionale macerata in acqua (che conferisce al pane un profumo differente a seconda delle stagioni e della frutta utilizzata). Il lievito può essere riutilizzato al massimo per 3 rinnovi, mediante l’uti-lizzo di parte dell’impasto originario, precedentemente lievitato, in aggiunta ad un altro impasto di semola ed acqua da far lievitare per la panificazione successiva. A tale scopo, al termine della lievitazione del pane, una parte dell’impasto viene conservata a 3-5 °C per la produzione successiva. In seguito, con l’impasto di sem-plici elementi naturali quali: la semola di grano duro, il sale e l’acqua, si ottiene un composto che, lasciato lievitare, viene modellato a mano dagli esperti panificatori fino ad ottenere delle forme che, dopo un’ulteriore lievitazione su tavole in legno coperte da teli in cotone, passano alla fase di cottura in forni a legna o in forni a riscaldamento indiretto. Il tempo della cottura varia in base alla dimensione delle forme: per quelle da 1 Kg varia dalle due ore dei forni a legna all’ora e mezza di quelli alimentati a riscaldamento indiretto; per le forme da 2 Kg va dalle due ore e mezza dei forni a legna alle due ore dei forni a riscaldamento indiretto162.

Nonostante il riconoscimento IGP sia avvenuto nel Febbraio 2008, le prime produzioni effettive sono iniziate a Febbraio 2010 a causa di una serie di proble-maticità legate alla produzione delle vecchie varietà di grani duri locali, quali il “Cappelli”, (di difficile coltivazione per l’altezza delle sue spighe, che favoriscono l’allettamento, e per la minor resa rispetto ad altre varietà di grano) da utilizzare obbligatoriamente, secondo quanto previsto dal disciplinare di produzione.

Per risolvere tale criticità i membri del Consorzio sono intervenuti diretta-mente sulla filiera, creando un accordo tra il Consorzio di Tutela del “Pane di Ma-tera” IGP e un Consorzio di agricoltori della provincia materana che è entrato a far parte della filiera produttiva e del Consorzio di Tutela, impegnandosi a produrre grano “Cappelli” nelle quantità necessarie alla produzione IGP. Tale produzione è iniziata a Febbraio 2010 con l’utilizzo esclusivo di grani lucani. Attualmente la pro-duzione non esprime ancora a pieno le sue potenzialità ed è obiettivo del Consorzio quadruplicarla nel giro di due anni, con un incremento del 20% annuo, rimanendo legati ad una produzione tradizionale ed artigianale. Per tale motivo un consisten-te aumento produttivo è legato esclusivamente ad un incremento del numero dei

162 Fonte: Disciplinare di Produzione del “Pane di Matera” ad Indicazione Geografica Protetta

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panificatori aderenti alla produzione IGP (che oggi sono quattro), non potendo la produzione di ogni singolo panificatore superare, anche in pieno regime di molto l’attuale. È, quindi, obiettivo del Consorzio di Tutela incrementare il numero dei pa-nificatori, Infatti, è già al vaglio del Consorzio una nuova richiesta di adesione, che porterà con molta probabilità ad avere il quinto produttore di “Pane di Matera” IGP.

Tabellan.1-N°aziendecertificateeproduzionedel“PanediMatera”IGPAnno 2008 2009 2010

N° aziende che producono secondo il disciplinare di produzione IGP

Molino n.d. 1 1

Trasformatori - Panificatori n.d. 4 4

N° aziende che detengono la filiera completa, ho più passaggi di filiera

n.d. 0 0

Quantità di farina controllata per produzione IGP (in Kg) n.d. n.d. 156.700

Quantità prodotte e certificate (in numero di pezzi) n.d. n.d. 23.465

Fonte: Organismo di Certificazione

Tabellan.2-N°aziendeaderentialConsorziodiTuteladel“PanediMatera”IGPAnno 2008 2009 2010

N° aziende socie del Consorzio di Tutela 5 6 6

Fonte: Consorzio di Tutela “Pane di Matera” IGP

LaCommercializzazione

Il confezionamento è un aspetto importante per preservare la conservabilità del prodotto. Il disciplinare prevede che il confezionamento venga effettuato con un microforato plastico, in parte colorato ed in parte trasparente al fine di rendere visibile il prodotto, o con della carta multistrato che sia finestrata, sempre per per-mettere la visibilità del prodotto. Su ogni confezione, inoltre, deve essere apposta un’etichetta che dovrà avere le diciture “Indicazione Geografica Protetta” e “Pane di Matera”, a cui dovrà affiancarsi il logotipo, da utilizzare in modo inscindibile con l’IGP. Viene consentita l’aggiunta della dicitura “pane cotto in forno a legna” se il prodotto è stato cotto in forno a legna .163

La commercializzazione del “Pane di Matera” IGP, oggi, prevede due canali di vendita, uno legato alla vendita diretta presso i panificatori per un 40% della

163 Fonte: Disciplinare di Produzione del “Pane di Matera” ad Indicazione Geografica Protetta

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Capitolo 4

produzione e l’altro (per il restante 60%) ad una rete distributiva capillare, gestita da un unico soggetto distributore, che si rivolge unicamente a gastronomie specia-lizzate e alla ristorazione. Tale distributore gestisce anche una vendita on-line del prodotto. I canali distributivi corrispondono oggi a precise politiche di produzione, in quanto obiettivo del Consorzio di Tutela è quello di non scindere la produzione dalla tradizione artigianale della lavorazione a mano, non rendendo, quindi, possi-bile una commercializzazione in quantità industriali. Pertanto, l’unica opportunità per lo sviluppo del prodotto è legata, oggi, ad un aumento dei produttori. Per que-sto oggi diventa quasi impossibile rivolgersi a canali diversi da quelli già in essere, quali la distribuzione moderna, per quantità di produzione non sostenibile e costi imposti eccessivamente bassi.

Tabellan.3-Mercatididestinazioneeincidenzadeicanalidistributividel“PanediMatera”IGP

Mercati di destinazione della produzione IGP

Anno 2010

Mercato Interno 100%

Mercato Estero 0%

Distribuzione

Vendita Diretta 40%

Distributore (Gastronomie e Ristorazione)

60%

Mercato Interno

Centro-Nord 60%

Sud 0%

Basilicata 0%

Matera 40%

Fonte: Consorzio di Tutela “Pane di Matera” IGP – Società Distributrice

Il mercato prevalente per quanto riguarda la vendita diretta è rappresentato dalla città di Matera e si indirizza al centro e al nord Italia per quanto concerne il canale gestito dal distributore. Oggi è possibile trovare il “Pane di Matera” IGP in botteghe di prodotti tipici e ristoranti presenti in Abruzzo, Emilia Romagna, Veneto, Piemonte, Lombardia, Lazio, Marche, Molise, Toscana. E’ interessante notare che nel sud dell’Italia e nella stessa Basilicata, esclusa la città di Matera, risulta difficile trovare sul mercato del “Pane di Matera” IGP, in quanto, secondo quanto dichiarato

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dal Consorzio di Tutela e dall’azienda distributrice, al momento in questi territori non c’è richiesta.

L’obiettivo del Consorzio per la Tutela del “Pane di Matera” IGP, oggi, è quel-lo di valorizzare il prodotto insieme a produttori, imprenditori e istituzioni locali. Con un impegno già assunto negli anni il Consorzio, con l’ALSIA e la CCIAA ha cercato di promuovere e dare visibilità al prodotto attraverso azioni di marketing (partecipazione a manifestazioni dedicate al Made in Italy, campagne fieristiche, fiere agroalimentari annuali sul territorio nazionale, degustazioni ed eventi cultu-rali locali). Buone opportunità di sviluppo per questo prodotto sono legate, sempre a parere del Consorzio di Tutela, al clima di collaborazione fra i diversi enti pubblici territoriali (Regione, ALSIA, APT, CCIAA, ecc.) ed il Consorzio.

Un’analisi del prezzo sul mercato di questo prodotto evidenzia range di prez-zo (vedi Tab. n. 4) che si differenziano in base ai differenti canali di vendita. Emerge una netta differenza tra il costo del prodotto alla vendita diretta e quello alla distri-buzione (maggiorato a causa dei costi di trasporto e di logistica distributiva) a cui viene applicato un ulteriore rincaro da parte del rivenditore ultimo.

Tabellan.4-Rangediprezzopercanalidivenditadel“PanediMatera”IGPRange - Anno 2010

Range di prezzo per il prodotto finito IVA compresa nella confezione più diffusa franco partenza dall’azienda di distribuzione

dai 4,30€/Kg ai 4,90€/Kg

Range di prezzo alla vendita diretta nella confezione più diffusa

3,40€/Kg

Fonte: Consorzio di Tutela “Pane di Matera” IGP – Società Distributrice

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Capitolo 4

CARTA DI IDENTITA’ DEL “PANE DI MATERA” IGP

Registrazione Europea con Regolamento CE n. 160 del 21/02/2008 pubblicato su GUCE del 22/02/2008

ORGANISMO DI DIFESA Consorzio di Tutela del Pane di Matera

Indirizzo: Via De Amicis, 54 - 75100 Matera (MT) -

ORGANISMO DI CERTIFICAZIONE IStitutoMEditerraneoCERTificazione ITALIA Corso Meridionale, 6 - 80143 Na-poli-

Zona di produzione

La zona di produzione del “Pane di Matera” è quella che comprende tutto il territorio della provincia di Matera.

Caratteristiche del Prodotto

La particolare forma e la fragrante crosta che racchiude un cuore paglierino, è il primo colpo d’occhio che, assieme al gusto ed al sapore, caratterizzano il “Pane di Matera”. La scelta di vecchie varietà di grano, che conservano, nel loro patrimonio genetico, caratteristiche non presenti in altre, dà luogo a farine che determino un prodotto finale con un gusto irresistibile ed un sapore unico che lo contraddistinguono. Il tradizionale processo di lavorazione insieme all’uso del lievito madre, prodotto con frutta fresca, aggiunge ulteriori e particolari sensazioni di gusto.

La conservabilità del pane, così ottenuto, può raggiungere i 7 giorni di tempo per le pezzatura da 1 kg ed i 9 giorni per la pezzatura da 2 kg, mantenendo integre ed inalterate le caratteristiche di tipicità del “Pane di Matera”.

Il “Pane di Matera” all’atto dell’immissione al consumo deve rispondere alle seguenti caratteristiche:

Forma: a cornetto oppure a pane alto;

Pezzatura: da 1 o 2 Kg.;

Spessore: della crosta di almeno 3 mm;

Mollica di colore: giallo paglierino con caratteristica porosità tipica e molto difforme (con pori, all’interno del pane, del diametro variabile da 2-3 mm. fino anche a 60 mm.);

Umidità: non superiore al 33%.

Come si produce

Il “Pane di Matera” IGP è ottenuto mediante un antico sistema di lavorazione, tipicamente utilizzato dai panificatori del Materano. Tale sistema prevede l’utilizzo esclusivo di semola di grano duro (triticum durum) con determinate caratteristi-che qualitative. Di cui almeno il 20% deve provenire da ecotipi locali e vecchie varietà quali Cappelli, Duro Lucano, Ca-peiti, Appulo coltivate nel territorio della provincia di Matera che traggono le loro caratteristiche dalle particolari condi-zioni climatiche e organolettiche del terreno. Non è ammessa semola derivante da organismi geneticamente modificati.

Per ottenere il vero ”Pane di Matera” è necessario attenersi rigorosamente al processo di produzione di seguito descritto.

Preparazione del lievito madre (lievito naturale): con 1 kg di farina W 300 e250 gr di polpa di frutta fresca matura tenuta prima a macerare in acqua (250-300 cl) preparare un impasto elastico; posizionarlo in un cilindro di juta alto e stretto ed attendere che si raddoppi di volume per un tempo compreso tra 10 e 12 ore, a 26-30 °C rimuovere l’impasto aggiungendo farina in quantità pari al peso ottenuto più il 40% di acqua; ripetere detti rinnovi per svariate volte fino all’ottenimento di un impasto che lieviti in 3-4 ore.

Il lievito madre può essere utilizzato al massimo per tre rinnovi. Il rinnovo consiste nell’utilizzare parte dell’impa-sto originario, precedentemente lievitato, in aggiunta ad un altro impasto di semola ed acqua da far lievitare per la panificazione successiva. Le quantità percentuali di lievito e di semola, in relazione all’impasto, sono comprese, rispettivamente, tra 7-8% e 45-47%. I tre rinnovi consentono di aumentare la massa fermentata mediante l’aggiunta di acqua e semola rimacinata di grano duro, nella percentuale del 15-25% rispetto al quantitativo di semola rimacinata

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

di grano duro da impastare. Al termine della lievitazione un’aliquota dell’impasto (dall’1,2 all’1,8% in funzione delle temperature dell’ambiente) viene conservata a 3-5 °C per la produzione successiva. Nella preparazione dell’impasto è consentito l’utilizzo di lievito compresso (saccaromices cerevisiae) in quantità che non superi l’1%.

Processo di produzione del Pane

Ingredienti:

1. Semola di grano duro 100 kg;2. Lievito madre 20-30 kg; 3. Sale 2.5-3 kg; 4. Acqua 75-85 lt.

Gli ingredienti vengono messi nell’impastatrice e lavorati per un tempo compreso tra 25-35 minuti. Il tempo può variare a seconda della quantità dell’impasto. Dopo l’impasto, occorre lasciare lievitare il pastone in vasca per 25-35 minuti, avendo l’accortezza di coprirlo con tele di cotone o lana. Ciò consente di ottenere lievitazione e temperatura omogenee.

Successivamente si procede a costituire ed a pesare le preforme di 1,2 kg e di 2,4 kg per ottenere, rispettivamente, un prodotto finale di 1 e 2 kg, con valori che possono variare in un intervallo del 10%. Queste preforme, previa una prima modellatura da eseguirsi manualmente, vengono lasciate riposare per 25-35 minuti su tavole di legno, ricoprendole con una tela di cotone.

Dopo la lievitazione finale le preforme si mettono a cottura in forni a legna oppure a gas. Il tempo di cottura varia in relazione alla pezzatura. Più precisamente, per le forme da 1 kg il tempo di cottura è di due ore nel forno a legna e di 1 ora e 30 minuti nei forni a riscaldamento indiretto. Per le forme da 2 kg, il tempo di cottura è fissato nei limiti di 2 ore e 30 minuti nel forno a legna e di 2 ore nei forni a riscaldamento indiretto. È ammessa una tolleranza del 5% dei tempi di cottura indicati. Nel forno a legna, dopo un’ora e mezza di cottura, si apre la bocca per un tempo di 10-30 minuti in modo che fuoriesca il vapore; successivamente si richiude e si lascia cuocere per un’altra mezz’ora. Nei forni a gas, invece, dopo un’ora si aprono le valvole di sfogo per la fuoriuscita del vapore. Si richiude il forno per un’altra mezz’ora con le valvole aperte. Nel caso in cui si utilizzi il forno a legna, occorre impiegare essenze legnose autoctone.

Il prodotto così ottenuto, grazie agli ingredienti utilizzati ed alla specificità del processo di lavorazione, si caratterizza per un colore giallo, una porosità tipica e molto difforme (con pori, all’interno del pane, del diametro variabile da 2-3 mm fino anche a 60 mm), un sapore ed un odore estremamente caratteristici

Caratteristiche al consumo

La conservabilità del pane, così ottenuto, può raggiungere i 7 giorni di tempo per le pezzatura da 1 Kg ed i 9 giorni per la pezzatura da 2 kg. Al fine di poter mantenere integre ed inalterate le caratteristiche di tipicità del “Pane di Matera” un ruolo fondamentale viene rivestito dal confezionamento che deve essere effettuato (secondo disciplinare) o con microforato plastico, in parte colorato ed in parte trasparente per dare visibilità al prodotto, o con carta multistrato finestrata, anch’essa atta ad evidenziare il pane e garantire la conservabilità per un periodo di almeno una settimana.

Etichettatura

Sulle etichette da apporre sulle confezioni dovranno comparire le diciture “Indicazione Geografica Protetta” e “Pane di Matera”. Dovrà altresì comparire il logotipo, specifico ed univoco, da utilizzare in modo inscindibile con l’IGP. Il simbolo grafico è composto da un’icona orizzontale ovale il cui contorno superiore è delineato dalla dicitura: “PANE DI MATERA”. Il contorno inferiore è delineato dalla dicitura: INDICAZIONE GEOGRAFICA PROTETTA. All’interno dell’icona vengono raffigurati, in primo piano, due fasci di grano duro legati singolarmente, di colore giallo, e, dietro, in prospet-tiva, la Civita di Matera con il campanile della Cattedrale sullo sfondo.All’indicazione Geografica Protetta ‘Pane di Matera’ è consentita, se il prodotto è stato cotto in forno a legna, l’aggiunta della dicitura ‘pane cotto in forno a legna.

Fonte: DISCIPLINARE DI PRODUZIONE DEL «PANE DI MATERA» AD INDICAZIONE GEOGRAFICA PROTETTA

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Capitolo 4

ANALISI SWOT: PANE DI MATERA IGPPUNTI DI FORZA PUNTI DI DEBOLEZZA

Tutte le fasi di produzioni e di confezionamento del pro-dotto IGP sono oggetto di attenti ed accurati controlli che assicurano, con la certificazione, il pieno rispetto di tutte le regole previste dal Disciplinare di Produzione .

Quantità di produzione non elevate, in quanto al mo-mento la produzione non esprime ancora a pieno le sue potenzialità. Volontà del Consorzio è di mantenere una lavorazione artigianale e di non industrializzare la produzione, di conseguenza un aumento produttivo è legato esclusivamente ad un incremento del numero dei panificatori aderenti alla produzione IGP. Ma ad oggi si registra una scarsa adesione dei panificatori locali al Consorzio di Tutela e alla produzione IGP, per elevato costo della materia prima certificata e del relativo pro-dotto IGP, e un grande riscontro sul mercato locale del prodotto anche non certificato, il che non incentiva una produzione certificata.

Tipicità ed inimitabilità del prodotto legate alle semole (ottenute dai frumenti coltivati sulla collina materana, storicamente caratterizzata dalla coltivazione di cereali), al lievito madre, ai metodi tradizionali di produzione nel rispetto del Disciplinare

Azioni di valorizzazione e promozione portate avanti dal Consorzio di Tutela che ha cercato negli ultimi anni di dare visibilità al prodotto attraverso azioni di marketing, con partecipazioni a fiere e manifestazioni del settore.

Presenza di una società di distribuzione che gestisce l’intera rete commerciale, esclusa la vendita diretta dei singoli panificatori

Incremento dei costi di produzione per l’IGP dovuti a:

- costi di certificazione,

- lunghi tempi di preparazione del prodotto legati alla produzione artigianale

- elevati costi di acquisto delle materie prime

Qualità e forte legame con il territorio del “Pane di Ma-tera” IGP per scelta del Consorzio di Tutela di produrlo esclusivamente con semola rimacinata di grano duro proveniente dal territorio materano.

OPPORTUNITA’ CRITICITA’

Attività del Consorzio di Tutela indirizzata alla valorizza-zione del prodotto, e alla ricerca di una collaborazione tra produttori e istituzioni locali (Regione, Provincia, APT CCIAA ecc.)

Ritardo della fase di avvio della produzione IGP per la mancanza della semola indicata dal Disciplinare di Pro-duzione (che prevede che il 20% della composizione della semola, derivi da ecotipi di grano locali e di vec-chie varietà, come il Cappelli, il Duro Lucano, il Capeiti e l’Appulo) difficili da reperire. Successiva stipula di un accordo tra il Consorzio di Tutela ed un Consorzio di agri-coltori lucani al fine di garantire una quantità di grano Cappelli adeguata alla produzione IGP.

Aumento negli ultimi anni del valore turistico della città di Matera a cui si affianca un’attività di valorizzazione del prodotto locale.

Impossibilità, oggi, a rivolgersi verso canali commerciali diversi da quelli in essere per mancanza di quantitativi elevati di prodotto IGP.

Richiesta d’iscrizione del “Pane di Matera” IGP nella Lista Italiana del Patrimonio Culturale Immateriale Une-sco.

Difficili rapporti con la grande distribuzione organizzata alla quale occorre garantire la fornitura di grandi volumi che, oggi la filiera non è in grado di sostenere, (vista la lavorazione artigianale e l’esiguo numero dei produttori) ed imposizione di prezzi troppo bassi.

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

(DenominazioneinProtezioneTransitoria)

4.5 OlioExtraverginediOliva“VULTURE”DOP

La Basilicata ha una forte tradizione legata alla coltura dell’olivo, diffusa principalmente in tre aree, rappresentate dalle Colline Materane, dalle Colline dell’Alto Agri e dai territori del Vulture.

L’Olio extravergine di oliva del Vulture è stato riconosciuto nel 2005 come DOP in Protezione Transitoria e ha visto a maggio 2011 la pubblicazione sulla Gaz-zetta Ufficiale Europea della domanda di riconoscimento come DOP, che lo por-terà a novembre 2011 (salvo eventuali opposizioni da parte di altri stati membri) all’iscrizione nel registro ufficiale europeo delle DOP. Per la produzione ci si attiene al Disciplinare di Produzione dell’Olio Extravergine di Oliva “Vulture” a Denomina-zione di Origine Protetta, attendendo il riconoscimento europeo definitivo. L’olio extravergine di oliva del “Vulture” ha sempre avuto una grande rilevanza nella sto-ria economica e sociale di questo territorio, da sempre coltivato insieme alla vite (di Aglianico). Vino ed olio rappresentano il caratteristico connubio ambientale ed

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Capitolo 4

agronomico di questo territorio164. Il valore aggiunto di questo prodotto è legato alle caratteristiche del territorio ma anche e soprattutto alla tradizione della comunità del Vulture165.

L’Olio “Vulture” DOP è ottenuto dalla frangitura di olive della varietà “Oglia-rola del Vulture” (per almeno il 70%), a cui possono unirsi altre cultivar presen-ti negli oliveti in misura non superiore al 30% come “Coratina”, “Cima di Melfi”, “Palmarola”, “Provenzale”, “Leccino”, “Frantoio”, “Cannellino”, e “Rotondella”. E’ prodotto nei territori dei comuni di Melfi, Rapolla, Barile, Rionero, Atella, Ripacan-dida, Maschito, Ginestra e Venosa, ed è caratterizzato da un colore giallo ambrato dai riflessi verdi, un profumo fruttato di oliva e pomodoro medio/forte, delle note erbacee (di erba tagliata) e da un sapore fruttato di oliva matura, dal gusto dolce mandorlato, leggermente amaro con una nota di piccante166.

LaStoria

La coltivazione dell’olivo nel mezzogiorno è stata diffusa dai commercianti fenici fin dal 1500 a.C., fornendo all’uomo un nutrimento essenziale e creando sulle colline di origine vulcanica e argillosa un paesaggio di particolare bellezza. L’olivo caratterizza il territorio della Basilicata, le tradizioni e la cultura, ed è da sempre uno dei prodotti simbolo del territorio, come testimoniano i vari reperti archeologici (olive, foglie, noccioli) risalenti al VI secolo a.C. rinvenuti nel Metapontino. La coltu-ra è poi andata espandendosi su tutto il territorio regionale, diffondendosi nell’area del Vulture dove la raccolta e il lavoro di spremitura delle olive si tramandano da secoli, caratterizzando l’identità paesaggistica ed ambientale del territorio167. L’Olio Extravergine di Oliva “Vulture”DOP possiede singolari qualità organolettiche che lo differenziano nettamente da altri oli, dovute in particolare alla secolare dedizione degli olivicoltori e frantoiani del Vulture, che hanno saputo legare questa produzio-ne alle particolari condizioni pedoclimatiche della zona168.

164 Fonte: Disciplinare di Produzione dell’Olio Extravergine di Oliva “Vulture” a Denominazione di Origi-ne Protetta

165 Fonte: Albis R.: “Cooperativa Rapolla Fiorente” tratto da Mondo Basilicata N. 11–12 del 2007 Spe-ciale “Il Made in Basilicata 3”

166 Fonte: Disciplinare di Produzione dell’Olio Extravergine di Oliva “Vulture” a Denominazione di Origi-ne Protetta

167 Fonte: “La via dell’oro giallo” – di Innbasilicata.it (articolo tratto da www.vacanzefaidate.it)

168 Fonte: Disciplinare di Produzione dell’Olio Extravergine di Oliva “Vulture” a Denominazione di Origi-ne Protetta

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

IlTerritorio

Il territorio del Vulture è caratterizzato da diversi elementi capaci di conferire al prodotto DOP le sue specifiche caratteristiche: la presenza di una varietà di olivo predominante denominata “Ogliarola del Vulture”; terreni di origine vulcanica; microclima costan-te; tecniche tradizionali di coltivazione, raccolta, produzione e trasformazione delle olive169.

I terreni sui quali sono coltivati gli olivi sono situati alle pendici del Monte Vulture, un vulcano inattivo che li rende ricchi di potassio, fosforo, calcio e magnesio, che conferiscono alle olive e all’olio prodotto delle caratteristiche di grande qualità e tipicità. I terreni coltivati ad oliveti in pendenza, raggiungono la zona limite dove per altimetria e condizioni climatiche è consentita la sopravvivenza dell’olivo, con un clima più piovoso e freddo delle altre zone olivicole che determina una maggiore quantità di polifenoli nell’olio.170

LaProduzione

Il Disciplinare di Produzione dell’Olio Extravergine di Oliva “Vulture” DOP prevede norme precise per migliorare la qualità del prodotto, come l’alleva-mento a vaso a due o più branche, la coltivazione superficiale del terreno per l’eliminazione delle erbe infestanti senza l’uso di diserbanti, la raccolta a mano (con l’ausilio di agevolatrici), l’uso delle reti (il disciplinare prevede che le olive cadute naturalmente sul terreno non possono essere utilizzate e vieta l’utilizzo di reti permanenti), il trasporto delle olive al frantoio entro la giornata in conte-nitori fessurati e la conservazione delle olive nel frantoio prima della molitura che non può superare le 24 ore. Trasformazione ed imbottigliamento devono av-venire nel territorio di produzione. Durante la fase di produzione la tracciabilità del prodotto viene garantita da una serie di adempimenti dei produttori inseriti in un apposito elenco che garantiscono al consumatore l’effettiva azione dell’or-ganismo di controllo. Le olive raccolte per la produzione della DOP vengono identificate nei contenitori, trasportate, ricevute e stoccate separatamente nel frantoio in attesa della molitura. Annualmente l’olivicoltore comunica all’orga-

169 Fonte: “Olio della Lucania” (articolo tratto da www.cirigliano.org)

170 Fonte: Disciplinare di Produzione dell’Olio Extravergine di Oliva “Vulture” a Denominazione di Origi-ne Protetta

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Capitolo 4

nismo di controllo la quantità di olive prodotte ed il frantoio presso il quale sono state conferite171.

L’organo di riferimento per la certificazione dell’Olio Extravergine di Oliva “Vulture” DOP è la Camera di Commercio di Potenza, affiancato da una struttura tecnica che effettua le verifiche di conformità del processo e del prodotto. Prima di poter applicare il marchio sull’etichetta commerciale bisogna superare le verifiche ispettive ed i test organolettici e chimico-fisici sul prodotto realizzati da laboratori accreditati172.

La denominazione transitoria del prodotto è stata riconosciuta nell’aprile 2005 e, valutando le prime due campagne come fase di rodaggio, si è presa in esa-me la produzione a partire dalla campagna 2007. Il dato emerso (vedi Tab. n. 1) è che dal 2007 al 2010 la produzione di olio è cresciuta di quasi quattro volte, con una produzione complessiva di Olio di circa 600 quintali, dato legato all’aumento delle aziende che aderiscono alla filiera di produzione. Nell’ultimo anno la produzione di olive è aumentata del 15%, grazie anche all’aumento degli olivicoltori, ma la produzione di olio è diminuita di quasi il 9% a causa di un calo nella resa media del prodotto, in diminuzione costante dal 2008 ad oggi.

Il trend positivo legato alla produzione dovrebbe essere uno stimolo per l’at-tuazione di misure volte a consolidare metodi di produzione di qualità ed inten-sificare le campagne di promozione del prodotto, aumentando il valore aggiunto della produzione DOP e migliorandone gli sbocchi di mercato; ciò portebbe ad un aumento della produzione, soprattutto per quanto concerne la produzione della materia prima.

171 Fonte: Disciplinare di Produzione dell’Olio Extravergine di Oliva “Vulture” a Denominazione di Origi-ne Protetta

172 Fonte: Albis R.: “Cooperativa Rapolla Fiorente” tratto da Mondo Basilicata N. 11–12 del 2007 Specia-le “Il Made in Basilicata 3”

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Capitolo 4

Da un’indagine effettuata con i produttori è emerso che una forte criticità per il futuro di questo prodotto è rappresentata dalla presenza oggi in Italia di 40 Olii Extravergine di Oliva DOP che rappresentano una forte concorrenza sul mercato. Le specificità di questo prodotto e un’adeguata stategia di differenziazione stretta-mente legata all’unicità del territorio rappresentano, quindi, gli elementi più impor-tanti su cui puntare per restare competitivi. Oggi, infatti, alcune aziende puntano su una produzione di Bio-DOP che gli permetta di differenziarsi sul mercato.

È inoltre necessario aggregare la base produttiva, favorire il ricambio ge-nerazionale, favorire il trasferimento di innovazione e definire interventi diretti alle filiere produttive e alle singole aziende collegate e trasformare l’attuale filiera in un sistema produttivo territoriale di qualità.

LaCommercializzazione

L’Olio Extravergine di Oliva “Vulture” DOP all’atto dell’immissione al consu-mo deve essere accompagnato da una specifica etichetta indicante il nome «Vultu-re» e dalla dicitura ”Olio Extravergine di Oliva a Denominazione di Origine Protetta”. L’etichetta deve inoltre indicare: il nome e cognome del produttore o la ragione sociale e la sede dello stabilimento di imbottigliamento; la quantità di olio contenu-ta nel recipiente; la dicitura «Olio imbottigliato dal produttore all’origine», oppure «Olio imbottigliato nella zona di produzione» nel caso in cui l’imbottigliamento sia effettuato da terzi; la campagna olearia di produzione; la data di scadenza; il lotto di produzione. E’ consentita la menzione che faccia riferimento ad olio ottenuto con metodo biologico. Il prodotto può anche essere confezionato in bustine monodose, soprattutto per la ristorazione, sulle quali devono, comunque, essere riportate le stesse indicazioni previste per le bottiglie.173

La fase di commercializzazione di questo olio DOP ha visto come canale di-stributivo prioritario la vendita diretta in azienda o nei frantoi (il 60%) fino al 2008 (pratica considerata dai consumatori sinonimo di garanzia della qualità e genuinità del prodotto) registrando, negli anni successivi, delle Variazioni (legate probabil-mente all’ingresso sul mercato della nuova etichetta del Vulture) che hanno por-tato ad un decremento della vendita diretta (45%) a favore di altri canali di vendita quali il dettaglio tradizionale (per il 45%) e la ristorazione (per il restante 10%) (vedi Tab. n 2). Nel 2010 la commercializzazione vede l’ingresso tra i canali distributivi

173 Fonte: Disciplinare di Produzione dell’Olio Extravergine di Oliva “Vulture” a Denominazione di Origi-ne Protetta

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

delle GDO (15%) presenti soprattutto nei territori del nord Italia. Nell’ultimo anno il prodotto ha raggiunto una certa espansione sul mercato, con una commercializ-zazione che per il 60% raggiunge le regioni del nord dell’Italia e che per il restante 40% rimane nel sud, quasi tutto in Basilicata, arrivando sul mercato attraverso, so-prattutto, la vendita diretta ed il dettaglio tradizionale. Il mercato principale rimane quello nazionale (l’unico in cui al momento è riconosciuta la DOP, in quanto la denominazione risulta essere in protezione transitoria), ma si registrano dei piccoli contatti anche con il mercato estero.

Tabellan.2-Mercatididestinazioneeincidenzadeicanalidistributividell’OlioExtraverginediOliva“Vulture”DOP

Mercati di destinazione della produzione IGP

Anno 2006 2007 2008 2009 2010

Mercato Interno 90% 90% 90% 90% 90%

Mercato Estero 10% 10% 10% 10% 10%

Mercato Interno

Vendita Diretta 60% 60% 60% 45% 40%

Dettaglio Tradizionale 25% 25% 25% 45% 40%

Distribuzione Moderna 0% 0% 0% 0% 15%

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Mercato Estero

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Fonte: Aziende produttrici(I dati sull’attività di commercializzazione presi in esame partono dall’anno 2006, successivamente alla protezione transitoria DOP. Viene analizzano anche il mercato estero, anche se, oggi, il riconoscimento della denominazione transitoria a livello nazionale consente la commercializzazione riconosciuta come DOP solo sul territorio nazionale)

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Capitolo 4

Il mercato dell’olio del “Vulture” DOP, come già si è accennato, risente oggi della forte concorrenza di olii DOP italiani prodotti in aree più ampie e con una tra-dizione commerciale di vecchia data rispetto ad un territorio piccolo come quello lucano. Le imprese lucane operanti nel settore si sentono fortemente minacciate da una concorrenza sleale: sul mercato vengono, spesso, immessi quantitativi di olio venduto come un extravergine italiano, in realtà prodotto in altri paesi e vendu-to a prezzi minore più bassi174.

Ulteriori criticità, che caratterizzano le produzioni lucane in genere, derivano dai limitati quantitativi di prodotto per la mancanza di organicità della filiera so-prattutto per la difficoltà degli olivicoltori a produrre secondo certificazione, il che si ripercuote negativamente anche sull’organizzazione commerciale del prodotto, rendendo difficoltà la copertura del mercato, in particolare per la grande distribu-zione alla quale occorre garantire la fornitura di grandi volumi, oggi per i produttori difficili da sostenere.

I produttori lamentano, inoltre, una scarsa conoscenza sul mercato regiona-le nazionale ed estero della regione Basilicata, ed una politica con pochi elementi di continuità a sostegno dei produttori per la partecipazione a fiere ed eventi di set-tore (le partecipazioni sporadiche e non sistematiche negli anni non danno risultati positivi).

Tra i punti di forza per lo sviluppo della filiera si evidenzia la nascita nel 2009 di un consorzio di 12 aziende, appartenenti alla filiera produttiva dell’Olio Extraver-gine di Oliva “Vulture” DOP con l’obiettivo di far confluire tutta la produzione verso un’unica etichetta ed un solo confezionatore che si occupi della gestione di tutto ciò che concerne la valorizzazione e la commercializzazione del prodotto, per permet-tere una maggiore forza commerciale, ed una maggiore valorizzazione del prodotto e del territorio di produzione.

I vari range di prezzo dell’Olio Extravergine di Oliva “Vulture” DOP, in base ai differenti canali di vendita, evidenziano un aumento costante del prezzo di vendita del prodotto, soprattutto come prezzo finale di acquisto del consumatore sul mer-cato nel dettaglio tradizionale e nelle GDO, in cui il prodotto può arrivare anche a costare intorno ai 12,50 €/l.

174 Fonte: “Olio della Lucania” (articolo tratto da www.cirigliano.org)

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

Tabellan.3:Rangediprezzopercanalidivenditadell’OlioExtraverginediOliva“Vulture”DOP

Range - Anno 2006 2007 2008 2009 2010

Range di prezzo alla produzione per il prodotto finito IVA compresa nella confezione più diffusa

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Da 5€/l a 6,5 €/l

Range di prezzo al consumo sul ca-nale prevalente enella confezione più diffusa

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Da 5€/l a 6,5€/l

Da 5€/l a 8€/l

Range di prezzo alla vendita diretta nella confezionepiù diffusa

n.p. 5€/l Da 5€/l a 6 €/l

Da 5€/l a 6,5 €/l

Da 5€/l a 7€/l

Fonte: Aziende produttrici

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Capitolo 4

CARTA DI IDENTITA’ DELL’ OLIO EXTRAVERGINE “VULTURE” DOP

Protezione transitoria, accordata a livello nazionale, con D.M. 25/03/2005 pubbl. in Gazz. Uff. n. 78 del 5 aprile 2005 (Ultima modifica: Rettifica pubblicata in Gazz. Uff. n. 142 del 21 giugno 2005).

ORGANISMO DI DIFESA Comitato Promotore Coop. Rapolla Fiorente “D.O.P. Vulture”Zona Industriale - c/o Oleificio Cooperativa Rapolla Fiorente 85027 Rapolla (PZ)

ORGANISMO DI CERTIFICAZIONE Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Potenza

C.so XVIII Agosto, 34 – 85100 Potenza

Zona di produzione:

Le olive destinate alla produzione dell’Olio Extravergine di Oliva “Vulture” DOP devono essere prodotte e trasformate nell’intero territorio amministrativo dei comuni di: Melfi, Rapolla, Barile, Rionero in Vulture, Atella, Ripacandida, Ma-schito, Ginestra e Venosa.

Caratteristiche del Prodotto:

L’Olio Extravergine di Oliva “Vulture” DOP è ottenuto dalla frangitura delle seguenti varietà di olivo presenti negli oliveti: per almeno il 70% cultivar “Ogliarola del Vulture”; possono concorrere altresì le seguenti varietà: “Coratina”, “Cima di Melfi”, “Palmarola”, “Provenzale”, “Leccino”, “Frantoio”, “Cannellino” e “Rotondella”, presenti negli oliveti in misura non superiore al 30%, da sole o congiuntamente.

Le caratteristiche fisico-chimiche dell’Olio Extravergine di Oliva “Vulture” DOP al momento del confezionamento do-vranno essere le seguenti:

a) Acidità espressa in acido oleico = o < 0,5 %;

b) Indice di perossidi (mEq di O2/Kg): < = 11;

c) K232: < = 2,0;

d) Polifenoli totali: = >150.

Valutazioni organolettiche

a) Colore: giallo ambrato con riflessi verdi;

b) Odore/flavour: fruttato di oliva di intensità moderata/forte; fruttato di pomodoro di intensità moderata; nota er-bacea di erba tagliata di intensità moderata; amaro di intensità debole/moderata; piccante di intensità debole/moderata.

c) Sapore: fruttato medio di oliva matura dal gusto dolce mandorlato, leggermente amaro con una lieve nota di piccante.

Come si Produce:

Coltivazione

La coltivazione degli oliveti destinati alla produzione dell’Olio Extravergine di Oliva “Vulture” DOP deve essere quella tradizionale, tipica della zona, tale da conferire all’olio le specifiche, caratteristiche qualitative ed in particolare i sesti di impianto e le forme di allevamento sono quelli tradizionali in uso nella zona di produzione. Per i nuovi impianti i sesti consentiti saranno i seguenti: 5 x 5; 5 x 6; 6 x 6; 6 x 7; 7 x 7, mentre sarà conservata la tipica forma di allevamento a vaso basso.

La potatura deve essere manuale con la possibilità di utilizzare attrezzi pneumatici che agevolano le operazioni. La di-fesa fitosanitaria consentita contro la mosca delle olive “Dacus oleae” e la tignola “Prais oleae” è attuata nel rispetto dei disciplinari per la lotta integrata della Regione Basilicata. La lotta alle infestanti deve essere effettuata solo con le lavorazioni meccaniche ed è vietato l’uso del diserbo chimico. La produzione massima di olive non può superare le otto tonnellate per ettaro. La resa massima in olio non deve superare il 20% del peso del prodotto conferito. La raccolta deve essere effettuata a partire dall’inizio dell’invaiatura, fino al 31 di dicembre. La raccolta deve essere eseguita ma-

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nualmente tramite brucatura e pettinatura, o meccanicamente con agevolatrici e scuotitori: in ogni caso devono essere utilizzate le reti per agevolare la raccolta. Tuttavia è vietata la raccolta delle olive cadute naturalmente sul terreno e quella sulle reti permanenti. E’ vietato altresì l’uso di cascolanti. Il trasporto delle olive al frantoio deve avvenire nella stessa giornata di raccolta in cassette di plastica fessurate contenenti fino a Kg 25 di olive oppure in bins (cassoni di plastica fessurati contenenti fino a 400 kg di olive), per permettere la circolazione dell’aria ed evitare danni alle drupe. La fase di conservazione delle olive nel frantoio deve essere limitata il più possibile, non superare le 24 ore e deve avvenire in modo da garantire l’aereazione delle olive.

Metodo di ottenimento

La zona di trasformazione delle olive e di imbottigliamento dell’olio comprende il territorio indicato per la produzione. Per la molitura delle olive e l’estrazione dell’olio sono ammessi solo processi meccanici e fisici; è vietato ricorrere a prodotti ad azione chimica, biochimica e meccanica, quali l’uso del talco, non è consentita la doppia centrifugazione della pasta di olive senza interruzione, denominato metodo del ripasso. La gramolatura dovrà essere effettuata alla temperatura massima di 27°C per una durata di 40 minuti al massimo. Tutte le gramolatrici devono essere fornite di adeguato termometro per la rilevazione della temperatura della pasta di olive. L’olio deve essere conservato nella zona di produzione, in locali poco illuminati, in serbatoi di acciaio inox o posture interrate rivestite in acciaio inox, piastrelle in gres porcellanato, vetro o vernice epossidica. La temperatura di conservazione non deve superare i 18° C e non deve scendere al di sotto di 10° C. L’imbottigliamento deve avvenire nella zona di produzione per garantire il controllo, la rintracciabilità e per mantenere inalterate le qualità del prodotto, considerato che le condizioni climatiche del luogo di condizionamento ed il trasporto del prodotto allo stato sfuso possono modificare le caratteristiche organolettiche del prodotto, che durante il trasporto può facilmente assorbire odori e sapori alterando quelle caratteristiche peculiari. E’ consentito l’ottenimento dell’olio extravergine “Vulture” DOP con metodo biologico.

Etichettatura e logotipo

Sulle etichette devono essere chiaramente indicati:

– il nome “Vulture”, mentre al rigo sottostante “olio extravergine di oliva a denominazione di origine protetta”, oppure “olio extravergine di oliva DOP”;

– il nome e cognome del produttore o la ragione sociale e la sede dello stabilimento di imbottigliamento;

– la quantità di olio contenuta nel recipiente;

– la dicitura “Olio imbottigliato dal produttore all’origine”, oppure “olio imbottigliato nella zona di produzione”, nel caso in cui l’imbottigliamento sia effettuato da terzi;

– la campagna olearia di produzione;

– la data di scadenza;

– il lotto di produzione.

E’ vietato aggiungere alla denominazione di origine protetta qualsiasi termine relativo a menzioni geografiche diverse da quella espressamente prevista. E’ possibile l’utilizzo di indicazioni relative alle aziende, ragioni sociali, marchi privati, purché non siano tali da trarre in inganno il consumatore: la dimensione dei caratteri deve essere dimezzata rispetto ai caratteri della denominazione “Vulture”. E’ consentita la menzione che fa riferimento all’olio ottenuto con metodo biologico. Il prodotto confezionato in bustine monodose deve presentare: la denominazione protetta, il lotto, la campagna di produzione e una numerazione progressiva attribuita dall’Organismo di controllo.

Caratteristiche al consumo:

La commercializzazione deve avvenire in contenitori di vetro o di banda stagnata di capacità non superiore a cinque litri. Inoltre, il prodotto può essere confezionato in bustine monodose.

Fonte: DISCIPLINARE DI PRODUZIONE DELL’OLIO EXTRAVERGINE DI OLIVA “VULTURE” A DENOMINAZIONE DI ORI-

GINE PROTETTA

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Capitolo 4

OLIO EXTRA VERGINE DI OLIVA DEL “VULTURE” DOP (in protezione transitoria): ANALISI SWOT

PUNTI DI FORZA PUNTI DI DEBOLEZZA

Tutte le fasi di produzioni e di confezionamento del pro-dotto DOP sono oggetto di attenti ed accurati controlli che assicurano, con la certificazione, il rispetto delle regole previste dal Disciplinare di Produzione

Frammentarietà delle aziende, poco strutturate, quasi sempre a conduzione familiare, caratterizzate da uno scarso ricambio generazionale

Le singolari qualità organolettiche dell’olio extravergine di oliva del “Vulture” DOP lo differenziano dagli altri oli, traendo dalle particolari condizioni pedoclimatiche del-la zona di produzione le caratteristiche che lo rendono unico, a cui si unisce la sapienza degli operatori che lo producono, legata ad una lunga tradizione di coltivazio-ne e trasformazione

Quantitativi di prodotto limitati (anche se in aumento) soprattutto per quanto concerne la materia prima, a cau-sa della scarsa redditività del prodotto, in quanto spes-so, le olive prodotte nel rispetto degli standard qualita-tivi imposti dal Disciplinare di Produzione, non trovano mercato a causa del prezzo elevato

Incremento negli ultimi anni della produzione certificata (sia di olive che di olio) cresciuta di quasi quatto volte, con un aumento dell’Olio Extravergine di Oliva “Vul-ture” DOP prodotto di quasi 200 quintali, ed una resa produttiva più o meno costante. Tale dato è legato ad un aumento delle aziende della filiera di produzione, che registra un ulteriore incremento di olivicoltori e superfi-cie registrata per l’anno 2010, con buone potenzialità di crescita della produzione futura

Difficoltà nella commercializzazione (che non stimola le aziende ad intraprendere una produzione di qualità certi-ficata), a causa della mancanza di notorietà del prodotto e del territorio di produzione presso i consumatori, delle quantità ridotte di prodotto e del prezzo elevato

Creazione nel 2009 di un Consorzio (di 12 aziende ap-partenenti alla filiera produttiva dell’Olio Extravergine di Oliva “Vulture” DOP) con l’obiettivo di far confluire tutta la produzione verso un unico confezionatore che si occu-pi della valorizzazione e della commercializzazione del prodotto, con la creazione di un’unica etichetta che sia espressione del territorio ed abbia una maggiore forza commerciale

Consumo del prodotto principalmente all’interno dei confini dello stesso territorio di produzione, con attività di commercializzazione che il più delle volte si basa su rapporti personali, limitativa per affrontare il mercato

OPPORTUNITA’ CRITICITA’

L’incremento della produzione DOP degli ultimi anni deve essere uno stimolo per l’attuazione di misure volte a sostenere e migliorare tale produzione, promuovendo la qualità del prodotto, e migliorando gli sbocchi di mer-cato

Politiche regionali con pochi elementi di continuità a sostegno dei produttori per la partecipazione a fiere ed eventi del settore oleario sporadiche e non sistemati-che negli anni, che per tale motivo non danno risultati positivi.

Buone possibilità di incremento della produzione derive-rebbero da una maggiore aggregazione della base pro-duttiva, introducendo innovazione nel settore e definen-do interventi diretti alle filiere produttive e alle singole aziende collegate in una rete di qualità sul territorio.

Costante minaccia di una concorrenza sleale per la pre-senza sul mercato di olio venduto come extravergine ita-liano, in realtà prodotto in altri paesi, con minore qualità e quindi venduto a prezzo minore

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

Elaborare strategie che coinvolgano la filiere produttiva e le singole aziende, le associazioni e gli Enti locali, al fine di individuare azioni di promozione e valorizzazione del prodotto che mirino ad evidenziarne le specificità, quale fattore di competitività, attraverso un’adeguata strategia di differenziazione del prodotto strettamente legata all’unicità del territorio

Presenza sul mercato di altri 40 Olii Extravergine di Oliva DOP italiani, che rappresentano una forte concorrenza, in quanto prodotti in aree più ampie, con una radicata tradizione commerciale ed un riconoscimento datato, rispetto ad un territorio piccolo e poco conosciuto come quello lucano con un olio di recente riconoscimento.

Individuare strategie di sviluppo del settore, con attività di valorizzazione del prodotto e del territorio, realizzan-do itinerari eno-gastronomici e culturali che permettano la fruizione turistica delle risorse storico ambientali dei luoghi di produzione

Difficili rapporti con il sistema distributivo ed in partico-lare con la grande distribuzione organizzata, alla quale occorre garantire la fornitura di grandi volumi di pro-duzione standardizzata e certificata a prezzi difficili da sostenere per i produttori

Creare panieri ed offerte commerciali integrate con altri prodotti tipici del territorio per far si che i prodotti con una produzione maggiore ed un maggior riscontro sul mercato possano rappresentare un fattore di forza per gli altri (es. olio e vino)

Scarsa conoscenza nel mercato extra regionale del ter-ritorio lucano e dei prodotti agroalimentari certificati lucani.

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Capitolo 4

4.6IViniaDenominazionediOrigineControllatadellaRegioneBasilicata

La viticoltura riveste in Basilicata una notevole importanza sul piano economi-co, ambientale, sociale e culturale. Il settore vitivinicolo lucano, seppure quantitati-vamente contenuto rispetto alle produzioni nazionali, a livello regionale rappresenta un elemento trainante nei confronti delle altre produzioni agricole, grazie, anche, al crescente riconoscimento riscosso a livello nazionale ed internazionale dei prodotti enologici ed in particolare dall’Aglianico. La viticoltura rappresenta da sempre in Ba-silicata un’attività molto diffusa, anche se l’analisi condotta sul comparto vitivinicolo lucano ha evidenziato luci ed ombre di questo settore, confermando la presenza di una produzione qualificata, in cui le prime fasi della filiera produttiva appaiono for-temente integrate (il processo di vinificazione è svolto in prevalenza dai viticoltori), a cui si affiancano forme di commercializzazione spesso inadeguate e prospettive di mercato incerte175.

Il comparto vitivinicolo vanta in Basilicata una produzione al 2009 di 6.650.900 bottiglie, provenienti da 88 aziende176 che trasformano l’uva e sono presenti sul mer-cato con un proprio marchio. La superficie investita a vigneti DOC nel 2009 è pari complessivamente a circa1.260 ettari177. Negli ultimi sette anni si è assistito ad un incremento costante delle aziende produttrici con un proprio marchio: dal 2003 al 2007 il loro numero è aumentato del 100%, e, dal 2007 al 2010, vi è stato un ulteriore aumento dell’11%178. Nonostante ciò, la Basilicata è la regione italiana (esclusa la Valle d’Aosta) con la minore produzione di vini a denominazione (lo 0,2% del totale nazionale). Il peso economico dei vini di qualità sull’economia regionale non è elevato, ed il loro consumo è prevalentemente rivolto al mercato regionale179. Il panorama della viticoltura di qualità della regione sembra però in una fase di sviluppo positivo visto che al tradizionale Aglianico (oggi ufficialmente anche DOCG), negli ultimi 10 anni si sono aggiunti altri riconoscimenti di vini DOC (“Terre dell’Alta Val d’Agri”, “Ma-tera” e “Grottino di Roccanova”).

Tali riconoscimenti hanno determinato un incremento delle strutture produt-tive e delle superfici a vite: infatti, dal 2005 al 2009 le aziende iscritte agli Albi dei

175 Fonte:“Piano Operativo di ristrutturazione e riconversione dei vigneti per la Produzione di uve da vino” – Regione Basilicata D.G.R. 236/2001

176 Fonte: “Repertorio Vini della Basilicata 2010” (ALSIA)

177 Fonte: Ettari iscritti presso Albo Vigneti DOC

178 Fonte: Elaborazione INEA su dati “Repertorio Vini della Basilicata 2010” (ALSIA)

179 Fonte: “Aspetti strutturali e di mercato nel comparto dei vini Doc-Docg” ISMEA Anno 2008

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

vigneti DOC sono aumentate del 22% e le superfici iscritte del 22,6%. Tali aumenti non sono legati solo alla presenza di nuovi vini certificati, ma anche ad uno sviluppo delle strutture produttive dell’“Aglianico del Vulture”. Tale trend positivo non trova però riscontro sugli aumenti di produzione: se si considerano gli ettolitri di vino DOC prodotti in Basilicata, secondo i dati forniti dagli organismi di Controllo, nel periodo esaminato si registra, una diminuzione del -16,9%. Un trend negativo che deriva da una serie di problematiche legate al comparto vitivinicolo nazionale a cui si affianca-no per il comparto lucano una certa frammentazione e polverizzazione delle aziende, quasi sempre a conduzione familiare con sistemi produttivi tradizionali.

La distribuzione territoriale delle aziende vitivinicole evidenzia una concentra-zione nell’area del Vulture, ove operano 541 aziende vitivinicole, di cui 60 sono presen-ti sul mercato con un proprio marchio e 139 etichette, con una produzione annua di 3.717.200 bottiglie. Le altre DOC della provincia di Potenza, rappresentano delle pro-duzioni minori, e mostrano negli anni una situazione di stabilità, con cinque aziende nell’area dell’Alta Val d’Agri che commercializzano 6 etichette, per un totale di 94.000 bottiglie l’anno e 3 imprese nella zona di Roccanova con 13 etichette e una produzione di 140.500 bottiglie l’anno. Occorre ricordare che il Grottino ha trasformato nel 2009 la sua certificazione da Indicazione Geografica Tipica a Denominazione di Origine Con-trollata e, quindi, le prime bottiglie di bianchi e di rosati con il marchio DOC sono state immesse sul mercato a maggio 2010 e i rossi ad ottobre 2010. Nella provincia di Matera si è registrato, invece, negli ultimi cinque anni un incremento delle aziende vitivinico-le, a seguito del riconoscimento della DOC nel 2005, che ha portato, oggi, a tredici le aziende produttrici, di cui 6 sono presenti sul mercato con un proprio marchio e com-mercializzano 13 etichette per un totale di circa 83.600 bottiglie l’anno180.

Queste nuove DOC (“Matera”, “Terre dell’Alta Val D’Agri” e “Grottino di Rocca-nova”), che stanno iniziando il loro percorso di produzione certificata, necessitano di una fase di rodaggio, per l’organizzazione produttiva, e di un fisiologico periodo di af-fermazione nel mercato, che deve essere supportato da un’adeguata programmazione commerciale. Il periodo di evoluzione ed affermazione di questi vini DOC è, però, legato ad una fase delicata che sta vivendo negli ultimi anni il settore vitivinicolo nazionale, caratterizzato da una situazione di stallo dei consumi interni, che induce i produttori, in particolare di quei vini con una maggiore tradizione produttiva, quali l’”Aglianico del Vulture”, a rivolgersi ai mercati internazionali, caratterizzati si da una domanda in cre-scita di vini di qualità ma che, rispetto ad una elevata offerta di marchi e denominazioni alimenta una forte concorrenza dei prezzi. Occorre, quindi, affrontare nuove sfide di

180 Fonte: “Repertorio Vini della Basilicata 2010” (ALSIA)

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Capitolo 4

mercato, puntando al miglioramento qualitativo e alla diversificazione delle produzio-ni DOC, per continuare ad essere competitivi e guadagnare nuovi spazi di mercato, anche attraverso una maggiore valorizzazione del territorio lucano, ancora oggi poco conosciuto come territorio a vocazione vitivinicola. Emerge l’esigenza di supportare le aziende sia nella fase del trasferimento di innovazione (ricerca, formazione e servizi) che riguarda il ciclo produttivo, sia finalizzando le campagne di promozione ai mercati da raggiungere.

A fronte di una internazionalizzazione dei mercati, è ormai diffusa tra i produttori la consapevolezza che i maggiori spazi di sviluppo per queste produzioni DOC siano si-tuati all’estero; l’export, infatti, rappresenta, per i produttori, uno dei principali sbocchi di ampliamento del mercato, ed il miglior approccio a tale mercato è rappresentato dalla partecipazione a fiere ed eventi di settore (prime fra tutte il Vinitaly), al fine di consolidare o aprire nuovi mercati.

Per quanto attiene la commercializzazione, un elemento che accomuna tutte le aziende produttrici delle quattro DOC lucane, è rappresentato dalla forte inciden-za della vendita diretta che, risulta uno dei principali canali di distribuzione, utilizzato da tutte le aziende intervistate. Infatti, le aziende vendono soprattutto direttamente ai consumatori, alla ristorazione e al dettaglio tradizionale, con una quota minore di pro-duzione indirizzata a grossisti o ad altri intermediari. Tale fenomeno è legato, con molta probabilità, alle ridotte dimensioni aziendali, che rendono più conveniente l’esclusività del rapporto personale. Uno dei principali strumenti di marketing legato alla vendita diretta è rappresentato dall’accoglienza dei consumatori nelle proprie cantine, con visite guidate ed eventi degustativi, durante i quali alla degustazione del prodotto si accompagna un coinvolgimento emozionale, legato al racconto della storia dei luoghi e dei tradizionali metodi di produzione. Questo rappresenta per i produttori uno dei più efficaci canali di promozione, per cui emerge la necessità di creare strategie di sviluppo del settore legate alla creazione di circuiti eno-turistici, con la realizzazione di itinerari eno-gastronomici e culturali che permettano la fruizione turistica, delle risorse stori-co ambientali, dei territori legati alle produzioni vitivinicole. E’ inoltre importante agire con iniziative volte a sensibilizzare il settore della ristorazione locale al consumo e alla promozione dei vini DOC del territorio, anche attraverso una specifica azione pubblica di sostegno.181

181 In tal senso qualcosa è stato fatto con la stipula del “Patto diVino”, proposto dell’assessorato all’Agricoltura della regione Basilicata per accrescere l’offerta dei vini di Basilicata nei menù, nelle cantine e sui tavoli degli agriturismi del territorio. Tale patto siglato il 19 dicembre 2010 in occasione del Matera Wine Festival ha come obiettivo quello di stringere un accordo tra i produttori vitivinicoli con i Consorzi di Tutela D.O.C., gli agriturismi e i ristoranti lucani

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

In base alla segmentazione del mercato (che suddivide i vini per prezzo e ca-ratteristiche specifiche)182, la produzione DOC lucana (secondo quanto dichiarato dalle aziende campione) rientra per la gran parte nella tipologia Ultra Premium (vino riconoscibile per struttura complessa e caratteri specifici, difficile da imitare, tipico e realizzato con uva di pregio) e Super Premium (vitigno ben caratterizzato, marca nota, capacità d’invecchiamento); con piccole produzioni Icon (la più pre-stigiosa tipologia di vino, con una lunga storia vitivinicola, immagine consolidata nel tempo, complessità di struttura, capacità di invecchiamento, alti riconoscimenti e vino da collezione) e Premium (caratteri individuabili e riconoscibilità del vino, buona struttura, tipicità legata all’uvaggio o alla varietà)183 solo per l’“Aglianico del Vulture” DOC.

Queste tipologie fanno parte della categoria di vini Originali in cui i caratteri distintivi del vino vengono scelti dal produttore e sono strettamente legati alle ca-ratteristiche del vigneto, evidenziando quindi gli elevati livelli qualitativi184.

Di seguito indichiamo i range di prezzo generici delle diverse tipologie in re-lazione, anche, ai diversi canali commerciali presi come riferimento nell’attività di analisi successiva delle singole schede:

182 La qualità di un vino può essere molto variegata anche all’interno di una stessa classe di pregio per le caratteristiche specifiche che ogni vino possiede. La qualità del vino nasce dall’interazione tra di-versi elementi, quali l’ambiente naturale, il vitigno e il fattore umano. Il principale fattore di qualità di un vino è legato alla fase di coltivazione del vigneto, esistono, infatti, anche nella produzione di una stessa azienda, vigneti di eccellenza che: per ubicazione, per anzianità e per resa donano delle par-tite di uva particolarmente pregiate, che in seguito ad attente fasi di vinificazione e invecchiamento producono vini utilizzati dai produttori come prodotti di punta (con caratteristiche organolettiche che evidenzino un buon equilibrio delle varie componenti). Ogni singola azienda, per scelte produttive, può decidere di creare vini di diverse caratteristiche, utilizzando differenti partite di uva e modalità di vinificazione e invecchiamento che, nel rispetto del disciplinare, siano più o meno lunghe ed one-rose, creando così vini che per caratteristiche organolettiche risultano essere differenti, con prezzi e riconoscibilità sul mercato differenti.

Un’attenta analisi del rapporto tra le caratteristiche qualitative, materiali ed immateriali, di un vino ed il suo prezzo, condotta dalla Rabobank nel 2003 (Coöperatieve Centrale Raiffeisen-Boerenleen-bank B.A.) ha portato ad una segmentazione qualitativa dei vini sul mercato per range di prezzo e requisiti ricercati dal consumatore, individuando sei tipologie di vino: Icon, Ultra Premium, Super Premium, Premium, Popular Premium e Basic (Fonte: Analisi Rabobank 2003).

Questa “imprecisa” categoria d’identificazione dei vini di qualità trova oggi riscontro in tutti i mercati, con una suddividendo dei vini per fasce di prezzo e caratteristiche qualitative: “basic”, più economico e senza particolari caratteristiche; “premium”, prodotti di pregio e di prezzo superiore (suddivisi in varie categorie) e “icon”, di grandissimo pregio ed elevatissimo prezzo (fonte: “La filiera del Vino” – Qualità in Campo a cura di Confagricoltura).

183 Le caratteristiche delle varie tipologie sono elaborate dall’analisi Rabobank del 2003

184 Fonte: “La valorizzazione dei vini di montagna” - Maurizio Sorbini - Università di Bologna (Jerzu, 18 novembre 2006)

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Capitolo 4

Tipologia vino Prezzi Cantina Bottiglia Prezzi Consumo Bottiglia

Icon >30 € >120 €

Ultra Premium 5 € - 30 € 18 € - 120 €

Super Premium 2,5 € - 5 € 8 € - 18 €

Premium 1,7 € - 2,5 € 5 € - 8 €

Popular Premium 1,2 € - 1,7 € 3 € - 5 €

Basic <1,2 € <3 €

Fonte: “La valorizzazione dei vini di montagna” - Maurizio Sorbini - Università di Bologna (Jerzu, 18 novembre 2006)

Il principale punto di forza delle produzioni DOC lucane è rappresentato, quindi, dalla qualità del prodotto, dalla vocazione dei territori di riferimento alla produzione di ottime uve da destinare alla trasformazione in vini di qualità, nonchè dall’interesse sempre maggiore degli operatori del settore a valorizzare tale pro-dotto, che può contribuire al rilancio dell’economia locale e allo sviluppo dell’oc-cupazione nei territori rurali, condizionati quasi ovunque dallo scarso ricambio generazionale, e dal debole sviluppo della componente imprenditoriale che risente dell’attuale precarietà dei servizi di sviluppo regionali.

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CartinadelleareediproduzioneDOCdellaregioneBasilicata

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Capitolo 4

“AglianicodelVulture”Doc

Sulle pendici di un vulcano spento ormai da millenni, il Vulture, situato a nord della Basilicata, il vitigno Aglianico ha sviluppato caratteristiche di grande pregio, riconosciute con l’“Aglianico del Vulture” DOC dal 1971, un vino ottenuto dalla vinificazione in purezza delle uve dei vigneti ubicati ai piedi dell’Antico Vulcano. In questa zona l’Aglianico DOC viene coltivato dai 200 ai 700 metri di altitudine, con due tipologie di vino: il Vecchio, che prevede un invecchiamento minimo di tre anni (di cui due in botti di legno), e il Riserva di cinque anni (di cui sempre due in botti di legno). Il suo grado alcolico va dagli 11,5 ai 12,5 gradi e non può essere messo in commercio prima del 1° novembre dell’anno successivo a quello di produzione delle uve, ed è preferibile consumarlo a partire dal terzo anno di età.

Dalla vendemmia 2010 in seguito al riconoscimento con D.M. del 2 agosto 2010 e del relativo Disciplinare pubblicato sulla GU n° 188 del 13/08/2010, l’Agliani-

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

co del Vulture già riconosciuto come DOC (secondo il Disciplinare di Produzione ap-provato con D.P.R. del 18 febbraio 1971 e successive modifiche), può fregiarsi della Denominazione di Origine Controllata e Garantita (DOCG) con le tipologie “Aglianico del Vulture Superiore” e “Aglianico del Vulture Superiore Riserva”185.

L’“Aglianico del Vulture Superiore” DOCG dovrà avere una gradazione alco-lica complessiva minima naturale di 13,50%. Tale vino potrà essere immesso al consumo non prima del 1° novembre del terzo anno successivo a quello di produ-zione delle uve, dopo un periodo di affinamento obbligatorio di almeno 12 mesi in contenitori di legno e almeno 12 mesi in bottiglia per la tipologia “superiore” e non prima del 1° novembre del quinto anno successivo a quello di produzione delle uve, dopo un periodo di affinamento di almeno 24 mesi in contenitori in legno e alme-no 24 in bottiglia per la qualificazione “Riserva”186. Le caratteristiche che rendono unico questo vino sono: il colore rosso rubino intenso tendente al granato, con ri-flessi aranciati dovuti all’invecchiamento; il profumo tipico, gradevole ed intenso; il sapore secco, giustamente tannico, sapido, persistente; armonico e vellutato, con un lieve sentore di legno in seguito ad un periodo di affinamento in recipienti di legno187.

LaStoria

L’”Aglianico del Vulture” rappresenta un biotipo della vasta popolazione degli Aglianici differenziatisi, nel corso dei millenni, in una zona di vastissima estensione che comprendeva la Basilicata, la Campania, la Puglia, la Calabria, il Lazio e parte del Molise.

Il vitigno Aglianico ha origini remote e si ritiene si stato portato nel sud dell’ Italia, con il nome di Hellenica, dai greci tra il VII-VI secolo a.C., al tempo della nascita delle loro colonie e, si tratterebbe dello stesso vitigno che i romani chia-mavano “Vitis Ellenica”, usato per migliorare la qualità del Falerno, un vino molto amato dai poeti dell’epoca188. L’origine del suo nome è incerta secondo alcuni sto-rici è ispirato all’antica città di Elea (Eleanico), sulla costa tirrenica della Lucania, secondo altri è una semplice alterazione della parola Ellenico. Il nome originario

185 L’attività di indagine è stata svolta prima di tale periodo, per tale motivo la pubblicazione tratterà solo notizie, informazioni e dati relativi alla produzione DOC

186 Fonte: Disciplinare di Produzione dei vini a DOCG “Aglianico del Vulture Superiore”

187 Fonte: www.ssabasilicata.it/ CANALI_TEMATICI/Educazione_alimentare/Menu3/Vini

188 Fonte: www.ilvulture.it

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Capitolo 4

fu cambiato nell’attuale Aglianico durante la dominazione degli Aragonesi tra la fine del XV secolo e l’inizio del XVI. Alcune fonti storiche certificano l’antichità di questo vitigno con la presenza dei resti di un torchio dell’ età romana ritrovati nella zona di Rionero in Vulture e di una moneta di bronzo raffigurante il divino Dionisio il cui culto fu poi ricondotto a Bacco, coniata nella zona di Venosa nel IV secolo a.C.. Una delle testimonianze storico-letterarie sulla storia di questo vitigno sono state lasciate da Quinto Orazio Flacco, scrittore e poeta latino originario di Venosa che esaltò le bellezze della sua terra e il vino che vi si produceva189. Inoltre, nel XIII secolo la corte di Carlo d’Angiò faceva largo uso dei vini di Melfi e delle altre loca-lità poste alle falde del monte Vulture. Infatti, secondo il Carlucci, insigne studioso lucano e primo direttore della scuola Enologica di Avellino, fra i documenti relativi alla denominazione degli d’Angiò nel Mezzogiorno d’Italia esiste una lettera in cui Carlo I dava ordine ai Baroni di Basilicata di procurargli 400 “salme” del miglior vino “rubeo” di Melfi, di quel “buon vino rosso del Vulture” e trasportaglielo al Ca-stello di Lagopesole: quel buon vino era l’Aglianico.

IlTerritorio

L’Aglianico viene coltivato in un territorio, che include 15 comuni190, in cui la presenza di molte sorgenti minerali d’acqua e l’antichissimo vulcano spento, rappresentano ele-menti caratteristici che indubbiamente si riflettono sul vino che qui si produce, conferendogli caratteristiche di gusto rare ed inimitabili, e donando a questi territori della Basilicata un paesaggio unico e risorse agro-ambientali di grande qualità. Il terreno vulcanico sul quale si coltiva questo vitigno autoctono della Basilicata, per la sua conformazione ricca di potas-

sio, presenta le condizioni ottimali per la coltivazione della vite191.

189 Fonte: www.attoadivenire.com/category

190 Rionero in Vulture, Barile, Rampolla, Ripacandida, Ginestra, Maschito, Forenza, Acerenza, Melfi, Atella, Venosa, Lavello, Palazzo San Gervasio, Banzi, Genzano di Lucania (Fonte: Disciplinare di Produzione “Denominazione di Origine Controllata del Vino Aglianico del Vulture”)

191 Fonte: www.vinobasilicata.it

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

LaSagra

L’”Aglianica” è l’evento che si svolge annualmente nel periodo estivo in uno dei comuni coinvolti nella produzione dell’”Aglianico del Vulture” DOC, dove, oltre alla degustazione dei vini, vengono offerti assaggi di prodotti tipici del Vulture, come salumi, miele, formaggi e olio. Nel corso della manifestazione vengono organizzati seminari guidati da esperti di livello nazionale. Tale evento è accompagnato da altre manifestazioni ed iniziative volte alla promozione, alla divulgazione e alla degusta-zione dei prodotti tipici lucani, che si propongono di promuovere l’enogastronomia lucana avvicinando il consumatore al produttore. Tra i diversi eventi citiamo “Can-tine Aperte” che si svolge in tutta Italia nell’ultima domenica di maggio, in cui le cantine socie del Movimento Turismo del Vino aprono le proprie porte al pubblico, favorendo un contatto diretto con gli appassionati del vino.

ValenzeGastronimiche

Il vino “Aglianico del Vulture” DOC ha un colore rosso rubino granato, un profumo fragrante, con sentore di fragola e di lampone, un sapore asciutto, sapido ed armonico (con una percentuale alcolica del 11,5-12,5%). Il vino “Aglianico del Vulture” DOC è ottimo con carni, arrosti e formaggi molto stagionati192.

LaProduzione

L’ “Aglianico del Vulture” DOC è ottenuto esclusivamente dalle uve prove-nienti dal vitigno Aglianico. La produzione viene effettuata seguendo il Disciplinare di Produzione della Denominazione di Origine Controllata “Aglianico del Vulture” che, prevede una resa massima di uva non superiore ai 100 q.li per ettaro di vigneto in coltura specializzata e in rapporto alla effettiva superficie coperta dalla vite. A detto limite, anche in annate eccezionalmente favorevoli, la resa dovrà essere ri-portata attraverso una accurata cernita delle uve, purché la produzione non superi del 20% il limite medesimo. La resa massima delle uve in vino non deve essere superiore al 70%193.

192 Fonte: www.ilvulture.it

193 Fonte: Disciplinare di Produzione “Denominazione di Origine Controllata del Vino Aglianico del Vul-ture”

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Capitolo 4

Ad oggi le aziende che producono e commercializzano il vino “Aglianico del Vulture” DOC con un proprio marchio sono 60, per un totale di 139 etichette, su un territorio di 15 comuni,194 con una produzione annua di 3.717.200 bottiglie195.

L’analisi del settore vitivinicolo dell’area dell’“Aglianico del Vulture” DOC ha evidenziato che le aziende produttrici sono per lo più di piccola o media dimensione e che la loro produzione non è dedicata esclusivamente all’“Aglianico del Vulture” DOC, ma che parte dei vigneti producono anche del vino IGT Basilicata.

La gran parte delle aziende che commercializzano il vino “Aglianico del Vul-ture” DOC con un proprio marchio producono anche l’uva (a volte acquistano la materia prima da altri viticoltori dell’area) e la trasformano, detenendo, quindi, la filiera completa.

Negli ultimi cinque anni le iscrizioni dei produttori presso l’Albo Vigneti han-no avuto una crescita costante, registrando, dal 2005 al 2009, un incremento di oltre il 18%, con un relativo aumento della superficie vitata iscritta del 17,7%. I risultati produttivi, però, sono di segno opposto e fanno registrare, nel periodo esaminato, un’inversione di tendenza: le denunce di produzione, infatti, hanno subito comples-sivamente un decremento di circa il 43%, con un trend variabile nell’arco dei cinque anni presi in esame. Tale situazione ha comportato di conseguenza che dal 2005 al 2009 anche la produzione di vino “Aglianico del Vulture” DOC sia diminuita di circa il 19,4%, con un trend più o meno costante, con un piccolo aumento della produzione solo nel 2008.

194 Rionero in Vulture, Barile, Rampolla, Ripacandida, Ginestra, Maschito, Forenza, Acerenza, Melfi, Atella, Venosa, Lavello, Palazzo San Gervasio, Banzi, Genzano di Lucania (Fonte: Disciplinare di Produzione “Denominazione di Origine Controllata del Vino Aglianico del Vulture”)

195 Fonte: “Repertorio Vini della Basilicata 2010” (ALSIA)

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Capitolo 4

Tale trend negativo è legato (come delineato con maggior approfondimento nel paragrafo introduttivo dei vini a denominazione lucani) alla fase delicata che at-traversa il settore vitivinicolo nazionale, caratterizzato da un mercato ormai saturo a cui si aggiungono criticità specifiche del territorio vitivinicolo lucano: (frammen-tarietà delle aziende agricole, piccole e poco strutturate, con una scarsa cultura di impresa). Dalla nostra indagine emerge che obiettivo dei produttori è quello di affrontare le nuove sfide di mercato puntando ad un miglioramento qualitativo e quantitativo della produzione DOC e ad attività di valorizzazione del prodotto e del territorio.

LaCommercializzazione

Il vino “Aglianico del Vulture” DOC viene immesso sul mercato con una gra-dazione alcolica complessiva minima di 11,5 gradi e un’acidità totale minima del 5 per mille196. L’“Aglianico” è un vino noto per le sue peculiarità e, una delle più au-torevoli recensioni, quella di Eric Asimov del settembre 2008 sul New York Times, parla dell’ “Aglianico del Vulture” DOC come di un vino ancora sottovalutato, e con buone potenzialità di sviluppo al confronto con altri vitigni del mondo. Un passo avanti verso tale sviluppo potrebbe essere rappresentato dal riconoscimento della DOCG197.

L’indagine in campo, in merito alla fase di commercializzazione ha evidenzia-to che la maggior parte delle aziende del territorio commercializza dalle due alle cinque etichette DOC, e che solo una piccola percentuale commercializza una sola etichetta DOC.

Per quanto concerne i vari canali di distribuzione adottati dalle varie aziende che producono e commercializzano l’“Aglianico del Vulture” DOC è interessante registrare che la vendita diretta rappresenta uno dei principali canali di vendita, uti-lizzato dall’ 87,5% delle aziende prese in esame, unitamente all’utilizzo di agenti di rappresentanza (69,7% delle aziende) e di distributori territoriali o ad ampio raggio (43,7%). Solo il 12,5% delle aziende adotta quale strategia di distribuzione esclu-sivamente rappresentanti o distributori, in quanto, le dimensioni aziendali rendo-no più conveniente l’esclusività del rapporto personale. Quindi, a parte la quota di produzione indirizzata ai grossisti o ad altri intermediari, nel campione di aziende

196 Fonte: Disciplinare di Produzione “Denominazione di Origine Controllata del Vino Aglianico del Vul-ture

197 Fonte: “Repertorio Vini della Basilicata 2010 (ALSIA)

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

prese in esame l’81% vende direttamente al consumatore e al settore Ho.Re.Ca (Hotel, Ristoranti Caffè-bar e Catering.) il 56% vende anche verso vinerie, negozi tradizionali e gastronomie. Il canale gestito dai distributori si rivolge soprattutto verso le vinerie, i negozi tradizionali e le gastronomie, e solo per il 37,5% alla gran-de distribuzione organizzata per lo più del territorio regionale. Emerge, infatti, un atteggiamento piuttosto critico dei produttori verso la distribuzione moderna (GD e GDO), per una monopolizzazione del mercato che impone prezzi insostenibili e spesso comporta una svalutazione del prodotto.

Molti produttori (tra quelli più affermati) organizzano l’accoglienza degli utenti nelle proprie cantine, appositamente ristrutturate, per far assaggiare i pro-dotti tipici aziendali lucani, predisponendo visite guidate nell’area durante le quali alla degustazione del prodotto viene legato un coinvolgimento emozionale attraver-so il racconto della storia del vino e visite guidate e per valorizzare le risorse natu-rali del territorio dell’Aglianico198. Quest’approccio rappresenta uno dei più efficaci canali di vendita, per cui si afferma sempre più la strategia di collegare l’offerta agroalimentare al turismo enogastronomico per accrescere la competitività delle produzioni e del territorio.

Se si analizza la destinazione geografica dell’“Aglianico del Vulture” DOC commercializzato negli ultimi anni (vedi Tab. n. 2) si evidenzia che le esportazio-ni (che rappresentano da ¼ ad 1/3 della produzione totale) hanno registrato un decremento fino al periodo 2007/2008 (-6%), per poi recuperare quote di mercato dal 2009. La maggior parte del prodotto è esportato nei paesi dell’Unione Europea con una quota che negli ultimi due anni ha raggiunto il 67% delle esportazioni. In una graduatoria dei principali paesi di destinazione dell’“Aglianico del Vulture” DOC troviamo ai primi posti gli USA, in cui l’esportazione è rimasta più o meno costante con un numero di aziende stabile, la Germania e la Svizzera, verso le quali si è regi-strata una crescita delle esportazioni dovuta ad un aumento delle aziende esporta-trici. Seguono l’Austria e il Giappone, nei quali negli ultimi anni si è avuto un piccolo incremento delle esportazioni, e il Belgio, il cui dato è più o meno costante. Infine troviamo il Regno Unito, seguito in posizione marginale da Canada e California.

198 Tali attività vengono organizzate anche con azioni sinergiche di promozione tra i produttori unitisi nel Consorzio di Valorizzazione “Qui Vulture”. Tale Consorzio svolge oggi una funzione di collante e di aggregazione tra le aziende, con l’obbiettivo di trarre dall’unione tra i vari produttori il vantaggio di essere degli interlocutori più forti: nelle azioni di valorizzazione, nei rapporti con i fornitori, con i buyer e con le istituzioni.

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Capitolo 4

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

In media più del 70% del vino “Aglianico del Vulture” DOC rimane nei confini nazionali; esaminando più nel dettaglio la distribuzione territoriale nazionale tra le tre principali aree geografiche del nostro Paese, emerge che circa il 61% rimane nel sud Italia, di cui il 36% circa nella stessa regione Basilicata; il 16% raggiunge i mercati del centro Italia e il restante 23% arriva al nord dell’Italia.

Sembra, inoltre, diffusa tra i produttori la consapevolezza che, a fronte di una internazionalizzazione dei mercati, in futuro i maggiori spazi di sviluppo saranno situati all’estero; infatti l’export rappresenta per i produttori uno dei principali sboc-chi di ampliamento del mercato, ed il miglior approccio a tale mercato è rappresen-tato dalla partecipazione a fiere ed eventi di settore (prime fra tutte il Vinitaly), che il più delle volte danno buoni riscontri per la successiva fase di commercializzazione.

Gli elevati costi di produzione, inoltre, condizionano fortemente il prezzo di vendita e spesso sono dovuti alla mancanza di un indotto del settore, per cui alcuni produttori lamentano la necessità di doversi rivolgere fuori regione per acquistare bottiglie, tappi ed etichette di una certa qualità.

I risultati dell’indagine in campo condotta dall’INEA mettono in evidenza che la produzione dell’“Aglianico del Vulture” DOC rientra prevalentemente nella tipo-logia Ultra Premium, a cui fanno seguito le tipologie Super Premium ed Icon, la più prestigiosa tra le tipologia di vino. Inoltre queste tipologie di vino rientrano nella categoria dei vini Originali con caratteristiche strettamente legate alle specificità del vigneto,199 presenti sul mercato con range di prezzo diversificati, in base alla tipologia e ai differenti canali di vendita, come si evidenzia nella successiva tabella:

199 Fonte: “La valorizzazione dei vini di montagna” - Maurizio Sorbini - Università di Bologna (Jerzu, 18 novembre 2006)

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Capitolo 4

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Fonte: Indagine INEA sulle Aziende Produttrici

Una piccola quantità della produzione rientra nella categoria Premium destinata al segmento di mercato dei vini commerciali, con origine determinata del vitigno, caratteristi-che individuabili e attese dal consumatore)200 e si attesta su un range di prezzo superiore ai 2,5€ nella vendita diretta in azienda, fino ad arrivare ad un range che si aggira tra i 5€ e gli 8€ come prezzo al consumo finale nei canali di vendita prevalenti.

La grande qualità di questo vino è ben conosciuta sia a livello nazionale che inter-nazionale, infatti, numerosi sono i riconoscimenti ricevuti negli ultimi anni, che hanno con-tribuito a far conoscere questo vino nel mondo. Nel 2010, infatti, l’“Aglianico del Vulture” DOC ha ricevuto 10 “Gran Menzioni” e una “Medaglia d’Oro” al Vinitaly e ben 3 ambiti “tre bicchieri” del Gambero Rosso. Recentissimi sono inoltre i riconoscimenti che tale vino a ot-tenuto al 19° Concorso Enologico internazionale del Vinitaly 2001 con ben 10 Gran Menzioni.

200 Fonte: “La valorizzazione dei vini di montagna” - Maurizio Sorbini - Università di Bologna (Jerzu, 18 no-vembre 2006)

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

CARTA DI IDENTITA’ DELL’”AGLIANICO DEL VULTURE” DOC

Riconosciuto con D.M. del 18/02/1971 pubblicato sulla G.U. n. 129 del 22/05/1971. Modificato dal D.M. 9 marzo 1987

ORGANISMO DI DIFESA

Consorzio di tutela “Vino Aglianico del Vulture DOC” Palazzo Giustino Fortunato, Via XX Settembre (c/o Consorzio di Viticoltori di Barile) – 85028 Rionero in Vulture (PZ)

Consorzio di Valorizzazione “Qui Vulture” c/o ALSIA AASD Incoronata – S.S. Monticchio Laghi Km 2,1 – 85025 Melfi

ORGANISMO DI CERTIFICAZIONE Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Potenza, Corso XVIII Agosto, 34 – 85100 Potenza

Zona di Produzione

I comuni interessati alla produzione dell’”Aglianico del Vulture” sono Rionero in Vulture, Barile, Rapolla, Ripacandida, Ginestra, Maschito, Forenza, Acerenza, Melfi, Atella, Venosa, Lavello, Palazzo San Gervasio, Banzi, Genzano di Luca-nia, Montemilone escluse le tre isole amministrative di Sant’Ilario, Riparossa e Macchia del comune di Atella

Caratteristiche del Prodotto

Il vino “Aglianico del Vulture” deve essere ottenuto dalle uve provenienti dal vitigno Aglianico.

Il vino “Aglianico del Vulture” all’atto dell’immissione al consumo deve rispondere alle seguenti caratteristiche:

colore: rosso rubino più o meno intenso o granato vivace, con riflessi arancione dopo l’invecchiamento;

odore: vinoso con profumo delicato caratteristico e che migliora con l’invecchiamento;

sapore: asciutto, sapido, fresco, armonico, giustamente tannico, che tende al vellutato con l’invecchiamento. Può anche essere leggermente amabile e in tal caso il contenuto zuccherino non deve superare i 10° per litro;

gradazione alcolica complessiva minima: 11,5;

acidità totale minima: 5 per mille;

estratto secco minimo: 22 per mille.

La denominazione di origine “Aglianico del Vulture” può essere utilizzata per designare il vino spumante naturale ottenuto con i mosti o vini che rispondono alle condizioni previste dal disciplinare. La preparazione del vino “Aglianico del Vulture” spumante deve avvenire entro il territorio previsto nel disciplinare.

Come si Produce

Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione del vino “Aglianico del Vulture” devono essere quelle tradizionali della zona e, comunque, atte a conferire alle uve e al vino derivato le specifiche caratteristiche di qualità. Sono pertanto da considerarsi idonei unicamente i vigneti ubicati su terreni collinari di origine prevalentemen-te vulcanica o comunque di buona costituzione, situati a un’altitudine tra i 200 e i 700 metri s.l.m. I sesti di impianto, le forme di allevamento e i sistemi di potatura devono essere quelli generalmente usati o comunque atti a non mo-dificare le caratteristiche delle uve e del vino. E’ vietata ogni pratica di forzatura. La resa massima di uva ammessa per la produzione del vino “Aglianico del Vulture” non deve essere superiore i 100 q. li per ettaro di vigneto in coltura specializzata, in rapporto alla effettiva superficie coperta dalla vite. A detto limite, anche in annate eccezionalmente favorevoli, la resa dovrà essere riportata attraverso una accurata cernita delle uve, purchè la produzione non superi del 20% il limite medesimo. La resa massima delle uve in vino non deve essere superiore al 70%.

La operazioni di vinificazioni, ivi compreso l’invecchiamento obbligatorio, devono essere effettuate nell’interno della zona di produzione delimitata dal disciplinare. Le uve destinate alla vinificazione devono assicurare al vino “Aglianico del Vulture” una gradazione alcolica complessiva minima naturale di 11.5 gradi. Nella vinificazione e nell’invecchia-mento obbligatorie sono ammesse soltanto le pratiche enologiche locali, leali e costanti, atte a conferire al vino le

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Capitolo 4

sue peculiari caratteristiche. Per avere diritto alla denominazione di origine controllata, il vino “Aglianico del Vulture” non può essere immesso al consumo prima del 1° novembre dell’anno successivo a quello di produzione delle uve.

Caratteristiche al Consumo

Potrà portare in etichetta la qualifica di “vecchio”, il vino “Aglianico del Vulture”, ottenuto da uve aventi gradazione alcolica complessiva minima naturale di gradi 12, invecchiato per almeno tre anni, di cui due in botti di legno; potrà portare, invece, in etichetta la qualifica di “riserva” se invecchiato di almeno cinque anni, di cui sempre due in botti di legno. In entrambi i casi il vino dovrà essere immesso al consumo con una gradazione alcolica complessiva minima di 12.5 gradi e un’acidità totale minima del 5 per mille. Il periodo d’invecchiamento decorre dal 1° novembre dell’anno di produzione delle uve.

Alla denominazione è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quelle previste nel presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi : “extra”, “superiore”, “fine”, “scelto”, “selezionato”e similari. E’ tuttavia consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimenti a nomi, ragioni sociali, marchi privati non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno l’acquirente. E’ consentito, altresì, l’uso di indicazioni geografiche e toponomastiche che facciano riferimento a comuni, frazioni, aree, fattorie, zone e località, compresi nella zona delimitata dal disciplinare di produzione, da cui effettivamente provengono le uve da cui il vino così qualificato è stato ottenuto. Sulle bottiglie o altri recipienti contenenti vino “Aglianico del Vulture” può figurare l’indicazione dell’annata di produzione delle uve purchè veritiera e documentabile.

Fonte: DISCIPLINARE DI PRODUZIONE DELLA DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA DEL VINO “AGLIANICO

DEL VULTURE”

CARTA DI IDENTITA’ DELL’”AGLIANICO DEL VULTURE” DOCG

Riconosciuto con decreto del 2/08/2010 - Gazzetta Ufficiale del 13/08/2010, n 188

ORGANISMO DI DIFESA Consorzio di tutela “Vino Aglianico del Vulture DOC” Palazzo Giustino Fortunato, Via XX Settembre (c/o Consorzio di Viticoltori di Barile) – 85028 Rionero in Vulture (PZ)

Consorzio di Valorizzazione “Qui Vulture” c/o ALSIA AASD Incoronata – S.S. Monticchio Laghi Km 2,1 – 85025 Melfi

ORGANISMO DI CERTIFICAZIONE Camera di Commercio di Potenza, Corso XVIII Agosto, 34 – 85100 Potenza

Zona di Produzione

La zona di produzione comprende I’intero territorio dei cornuni di Rionero in Vulture, Barile, Rapolla, Ripacandida, Gi-nestra, Maschito, Forenza, Acerenza, Melfi, Atella, Venosa, Lavello, Palazzo San Gervasio, Banzi, Genzano di Lucania, .esclude le tre isole amministrative di Sant’llario, Riparossa e Macchia del comune di Atella.

Caratteristiche del Prodotto

Il vino a Denominazione di origine controllata e garantita “Aglianico del Vulture Superiore” all’atto dell’immissione al consumo deve rispondere alle seguenti caratteristiche:

colore: rosso rubino intenso tendente al granato;

odore: tipico, gradevole ed intenso;

sapore: secco, giustamente tannico, sapido, persistente; equilibrato con l’invecchiaménto, in relazione alla conserva-zione in recipienti di legno il sapore dei vini può rilevare lieve sentore di legno:

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 13’50;

acidità totale minima: 4,5 g/l;

estratto non riduttore minimo: 26 g/l

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

Il vino a Denominazione di origine controllata e garantita “Aglianico del Vulure Superiore” Riserva all’atto dell’immis-sione al consumo deve rispondere alle seguenti caratteristiche:

colore: rosso rubino intenso tendente al granato, con l’invecchiamento può assumere riflessi aranciati;

odore: tipico, gradevole ed intenso;

sapore: secco, giustamente tannico, sapido persistente, equilibrato ed armonico con l’invecchiamento; in relazione alla conservazione in recipienti di legno il sapore dei vini può rilevare lieve sentore di legno;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 13’50 %;

acidità totale minima: 4,5 g/l;

estratto non riduttore minimo: 26 g/l

È in facoltà del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, con proprio decreto, di modificare i limiti sopra indicati per l’acidità totale e l’estratto non riduttore minimo’

Come si Produce

Le condizioni ambientali e di coltura dei vigneti destinati alla produzione dei vini devono essere quelle tradizionali della zona e, comunque. atte a conferire alle uve e al vino derivato le specifiche caratteristiche di qualità.

Sono pertanto da considerarsi idonei unicamente i vigneti ubicati su terreni collinari di origine prevalentemente vul-canica e comunque di buona costituzione, situati ad un’altitudine tra i 200 e i 700 metri s.l.m. iscritti in apposito Albo.

I sesti di impianto e le forme di allevamento consentiti sono quelli già usati nella zona (alberello o spalliera semplice) e comunque atti a non modificare le caratteristiche delle uve e del vino. l sesti di impianto sono adeguati alle forme di allevamento. La potatura deve essere effettuata in relazione ai sistemi di allevamento della vite.

Per i nuovi impianti e reimpianti la densità dei ceppi per ettaro,calcolata sul sesto d’impianto non può essere inferiore a 3.350 in coltura specializzata.

È vietata ogni pratica di forzatura e I’irrigazione di soccorso

La resa massima di uva ammessa per la produzione del vino a Denominazione di Origine Controllata e Garantita “Aglianìco del Vulture

Superiore” non deve essere superiore a tonnellate 8 per ettaro di vigneto in coltura specializzata.

Fermo restando il limite massimo sopra indicato, la resa per ettaro di vigneto in coltura promiscua deve essere calco-lata in rapporto alla effettiva superficie coperta dalla vite.

Nelle annate favorevoli i quantitativi di uva ottenuti e da destinare alla produzione del vino Denominazione di Origine Controllata e Garantita “Aglianico del Vulture Superiore” devono essere riportati nei limiti di cui sopra, purché la produzione globale non superi del 20% i limiti medesimi, fermo restando i limiti resa uva/vino per il quantitativo di cui trattasi.

Per i nuovi impianti è consentita la produzione dei vini solo a partire dalla primavera del 5° anno successivo all’anno di impianto.

Le uve destinate alla vinificazione devono assicurare ai vini il titolo alcolometrico volumico naturale minimo di 13%

Le operazioni di vinificazione, di invecchiamento obbligatorio e di imbottigliamento devono essere effettuate nell’am-bito della zona di produzione.

La resa massima delle uve in vino non deve essere superiore al

65%, pari a 52 hl per ettaro. Qualora tale resa superi la percentuale sopra indicata, ma non oltre il 70%, I’eccedenza non ha diritto alla denominazione di origine controllata e garantita; oltre detto limite percentuale decade il diritto alla denominazione di origine controllata e garantita per tutto il prodotto.

Nella vinificazione e nell’invecchiamento obbligatorio sono ammesse soltanto pratiche enologiche leali e costanti, atte a conferire al vino le sue peculiari caratteristiche.

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Capitolo 4

Caratteristiche al Consumo

Il vino a Denominazione di origine controllata e garantita “Aglianico del Vulture Superiore” non può essere immesso al consumo prima del 1° novembre del terzo anno successivo a quello di produzione delle uve, dopo un periodo di invecchiamento obbligatorio di almeno 12 mesi in contenitori di legno e almeno 12 mesi in bottiglia.

Il vino a Denominazione di origine controllata e garantita “Aglianico del Vulture Superiore” può fregiarsi della qualifica-zione “Risenva” solo se immesso al consumo a partire dal 1°novembre del quinto anno successivo a quello di produzio-ne delle uve, dopo un periodo di invecchiamento di almeno 24 mesi in contenitori n legno e almeno 24 mesi in bottiglia.

Nella presentazione e designazione dei .vini è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione aggiuntiva diversa da quelle previste dal disciplinare, ivi compresi gli aggettivi “extra, fine,scelto, selezionato e similari”.

La menzione “vigna” seguita dal relativo toponimo e consentita alle condizioni previste dalla legge.

E’ consentito I’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi aziendali, ragioni sociali e marchi privati non aventi significato laudativo e tali da non trarre in inganno I’acquirente.

È consentito, altresì, I’uso di una delle indicazioni geografiche aggiuntive riferite ad unità amministrative, contrade o frazioni (riportate in allegato nel disciplinare). Per tali vini è obbligatoria I’indicazione in etichetta dell’annata di produzione delle uve.

Fonte: DISCIPLINARE DI PRODUZIONE DELLA DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA E GARANTITA “AGLIA-

NICO DEL VULTURE SUPERIORE”

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

“Matera”Doc

Il “Matera” è uno dei più giovani vini DOC lucani, porta il nome del-la città dei Sassi, ma anche dell’intera provincia. I suoi vigneti si trovano ad un massimo di 700 metri e si estendono dalla costa jonica, all’antica Magna Grecia, fino alla Murgia, con le sue gravine e chiese rupestri. Con un progetto specifico di assistenza promosso dall’ALSIA e l’iniziativa di alcuni imprenditori del settore, questo vino ha avuto il riconoscimento DOC nel luglio del 2005, con sei tipologie di produzione, tre rossi e tre bianchi, di cui uno spumante: “Matera Rosso”, “Matera Primitivo”, “Matera Moro”, “Matera Greco”, “Matera Bianco” e “Matera Spumante” (fermentazione naturale in bottiglia). La DOC nasce per riprendere e mettere in risalto le antiche tradizioni culturali che col tempo rischiavano di scomparire: Matera e il suo territorio, infatti, van-tano una storia di produzione vitivinicola davvero rilevante. Dal 1500 in poi la presenza attestata di vigneti (si producevano già 4.000 ettolitri di vino ricon-ducibile all’attuale tipologia del primitivo) dimostra una naturale vocazione. Del resto, l’immagine tipica delle cantine nei Sassi di Matera coincide con la condivisione culturale della produzione a tutti i livelli sociali; anche nei com-plessi rupestri monastici (molti dei quali risalgono al periodo compreso tra

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Capitolo 4

l’VIII e il XI secolo) sono tuttora visibili aree scolpite dedicate alla produzione enologica201.

Si tratta di una DOC che ricopre ancora superfici modeste, ma che negli ultimi anni ha registrato un crescente interesse, dimostrato dall’adesione al disci-plinare DOC di nuove aziende e dall’impianto di nuovi vigneti.

LaStoria

Enotria, terra degli Enotri ma anche terra del vino, è il nome che gli antichi greci diedero al Sud Italia, ed in particolare alle colonie ioniche del Metapontino a testimonianza della vocazione vitivinicola della regione. Quella del vino materano è una storia che inizia intorno al 1300 a.C., e che trova importanti testimonianze nei documenti della storiografia, come la relazione del Gaudioso, richiestagli nel 1735 da Carlo III di Borbone, nella quale si osservano le buone qualità del vino di Matera, di Montescaglioso, Ferrandina, Irsina, Miglionico, Tricarico, Tursi, Pisticci, Pomarico, Grassano, Accettura, Cirigliano, Colobraro, Gorgoglione e del feudo di Stigliano (comprendente anche i territori di Garaguso, Oliveto e Calciano), e nella ricerca archeologica, con il ritrovamento a Metaponto, nella zona di Pantanello, di piante di vite e resti lignei di “Vitis vinifera”, presente in tutta l’area fin dal IV secolo a.C. Si potrebbe affermare, dunque, che la provincia di Matera produce vino fin dal-la comparsa della civiltà in queste terre202..

La produzione e la cultura del vino rappresentano per Matera e la sua pro-vincia la storia dei popoli che hanno abitato questa terra e che hanno fatto del vino un elemento unificatore delle diverse culture succedutesi nei secoli. Ciò è testimo-niato dalla presenza a Matera (segnalata nel Catasto dei Beni Culturali ed Ambien-tali) di 96 cantine di cui ben 53 nel rione Casalnuovo del Sasso Caveoso, un nucleo abitativo rupestre scavato da gruppi di etnia serbo/croata nel XV secolo203.

IlTerritorio

Il Disciplinare di Produzione del Vino a Denominazione di Origine Controllata “Matera” è articolato nelle sei tipologie citate

201 Fonte: www.doc.matera.it

202 Fonte: www.vinomateradoc.it

203 Fonte: www.vinomateradoc.it

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

perché il territorio su cui insiste è vasto ed eterogeneo per condizioni di clima, ter-reni e varietà coltivate. Si va da una viticoltura sul livello del mare con clima caldo, a quella della collina interna, che arriva anche fino a 700 metri sul livello del mare.

Tra i vitigni storici si ricorda il Primitivo, di cui è attestata la presenza dal 1500 in poi; il Greco Bianco, segnalato sul territorio anche prima del precedente, il Sangiovese, vitigno più diffuso e la Malvasia bianca della Basilicata, unico vero au-toctono della regione. Dunque dagli autoctoni agli internazionali, la DOC “Matera” è una realtà enologica variegata come la terra da cui trae origine. Passando per colline d’argilla e valli scavate da fiumi e torrenti si può individuare un percorso ide-ale sulle tracce della produzione del vino “Matera” DOC204 che potrebbe arricchire l’offerta turistica provinciale.

ValenzeGastronomiche

Il vino “Matera” DOC nelle tipologie Primitivo, Moro e Rosso, ha un colore rosso rubino che può essere brillante o più cupo con riflessi violacei in base alle diverse tipologie, con un odore intenso e persistente con sensazioni di frutti rossi e note erbacee, con un gusto ampio, caldo e strutturato: si abbina bene con primi piatti, carni rosse alla brace, selvaggina e formaggi di media e lunga stagionatu-ra205. Le tipologie Greco e Bianco sono caratterizzate, invece, da un colore paglie-rino, ed un profumo intenso, fruttato ed erbaceo, con un gusto tipico e secco e si abbacinano bene con antipasti, formaggi molli, minestre in brodo e piatti a base di pesce o di carne bianca lessa.

LaSagra

Nato nel 2008 il “Matera Wine Festival” è un evento organizzato dal Consorzio di Tutela Vini “Matera” DOC e realizzato in questi anni a settembre, giugno e dicembre per creare occasioni di promozione. Durante la manifestazione è possibile degustare i vini delle aziende che aderiscono al Consorzio insieme agli altri vini DOC della Ba-silicata (“Aglianico del Vulture”, “Grottino di Roccanova” e “Terre dell’Alta Val D’Agri”) con stand degustativi dei vari prodotti tipici lucani. Durante la manifestazione vengo-no organizzati convegni ed incontri per creare dei momenti di confronto tra territori

204 Fonte: Palese C. “Matera DOC, ritorno dal passato” tratto da ORIGINE – Marzo/Aprile 2009

205 Fonte: www.dragonevini.it – www.cerrolongo.it

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Capitolo 4

e imprenditori sulle prospettive e problematiche del settore. Il tutto in una cornice di eventi musicali e di intrattenimento collegati alla cultura e alle tradizioni locali.

LaProduzione

L’obiettivo che si pone oggi il Consorzio del “Matera” DOC è quello di tutelare e salvaguardare un vino che rappresenta un patrimonio storico e culturale, oltre che un prodotto di qualità. Come già detto la produzione del vino “Matera” DOC è diversificata in sei diverse tipologie, differenziate per processi produttivi ed uve im-piegate nella vinificazione206. Si va dal “Primitivo”, che impiega principalmente uva primitivo, al “Rosso”, realizzato con uva sangiovese unita ad aglianico e primitivo, al “Moro”, che utilizza uva cabernet con aggiunta di primitivo e merlot. Ed ancora al bianco “Greco”, che impiega principalmente uva di vitigno greco, ed al “Bian-co”, realizzato con malvasia e greco. Infine, lo “Spumante”, nella miscela simile al “bianco”, ma con un diverso processo di vinificazione.

L’analisi del settore vitivinicolo dell’area del “Matera” DOC ha evidenziato che le aziende produttrici sono per lo più di piccola o media dimensione, quasi tutte ditte individuali o società di persone, e che la loro produzione non è dedicata esclu-sivamente al “Matera” DOC, ma anche alla produzione di IGT “Basilicata”.

Delle 13 aziende iscritte all’albo vigneti del “Matera” DOC nel 2009, 7 produ-cono soltanto l’uva, senza trasformarla, 6 producono il vino e lo commercializzano con un proprio marchio (per un totale di 13 etichette “Matera” DOC: 6 di Primitivo, 1 di Rosso, 4 di Moro, e 2 di Greco)207, e di quest’ultime 5 detengono la filiera com-pleta, dalla fase di produzione dell’uva (di cui solo il 25% acquista uva anche da terzi), alla fase di commercializzazione per lo più con vendita diretta in azienda o con punto vendita dedicato.

Dal 2005, anno di riconoscimento della DOC, al 2009 il numero dei viticoltori iscritti all’Albo Vigneti ha visto una costante crescita, con un relativo aumento della su-perficie vitata, passata da 9,70 a 53,88 ettari, determinando un incremento produttivo del “Matera” DOC. I dati relativi alle quantità di produzione partono dal 2007, in quanto le prime sostanziali produzioni DOC riconosciute sono apparse sul mercato nel 2008, con il debutto sulla scena internazionale al Vinitaly, dove sono state presentate le pri-me etichette autorizzate al commercio estero. Le quantità di uva prodotta hanno avuto un trend di crescita costante, con un aumento di oltre il 70% dal 2007 al 2009.

206 Fonte: Palese C. “Matera DOC, ritorno dal passato” tratto da ORIGINE – Marzo/Aprile 2009

207 Fonte: “Repertorio Vini della Basilicata” 2010 (ALSIA)

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Capitolo 4

Tale trend positivo evidenzia la forte volontà dei produttori della filiera del “Matera” DOC di crescere ed affermarsi sul mercato. In questa fase le aziende puntano ad un miglioramento qualitativo e quantitativo della propria produzione DOC, con investimenti nelle strutture aziendali. L’indagine in campo ha fatto emer-gere un contesto in cui i produttori, un tempo per lo più solo viticoltori, in seguito al riconoscimento della DOC hanno adeguato i vigneti per la produzione certificata diventando anche trasformatori attraverso un adeguamento delle cantine e degli strumenti di produzione e prioritario curando la fase di commercializzazione con particolare attenzione ai mercati internazionali, più esigenti verso la qualità e la tipicità dei prodotti.

LaCommercializzazione

Il “Matera” DOC ha presentato nel 2008 al Vinitaly le prime etichette auto-rizzate al commercio estero. Ad oggi le aziende produttrici con un proprio marchio sono sei, e commercializzano 13 etichette per un totale di circa 83.600 bottiglie l’anno208.

Il vino “Matera” DOC viene immesso sul mercato con una gradazione alco-lica che varia dagli 11 ai 13 gradi in base alle differenti tipologie. L’immissione al consumo delle tipologie «Matera» Rosso, «Matera» Primitivo e «Matera» Moro può avvenire solo dopo un periodo di maturazione obbligatorio di 12 mesi a partire dal 1° novembre dell’anno di produzione delle uve. Nella presentazione dei vini “Mate-ra” DOC è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quelle preceden-temente indicate, ivi compresi gli aggettivi extra, fine, scelto, selezionato, sinonimi e similari. È consentito, unicamente, l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali e marchi privati tali da non trarre in inganno il consumato-re. Viene consentito (a norma di legge) il riferimento alle indicazioni geografiche o toponomastiche di unità amministrative (frazioni, aree, zone, località), dalle quali provengono le uve. Per questi vini l’indicazione in etichetta dell’annata di produ-zione delle uve è obbligatoria209. Tutte le tipologie “Matera” DOC possono essere immesse al consumo in recipienti fino a 10 litri, e per tutti i vini i recipienti devono essere di vetro210.

208 Fonte: “Repertorio Vini della Basilicata” 2010 (ALSIA)

209 Fonte: Disciplinare di Produzione del Vino a Denominazione di Origine Controllata “MATERA”

210 Fonte: Disciplinare di Produzione del Vino a Denominazione di Origine Controllata “MATERA”

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

Dalle interviste realizzate, prendendo in esame i diversi canali di distribu-zione adottati dalle varie aziende che producono e commercializzano il “Matera” DOC, la vendita diretta è uno dei principali canali di vendita, utilizzato dal 100% delle aziende prese in esame, unitamente all’utilizzo di agenti di rappresentanza (60% delle aziende) e di distributori territoriali o ad ampio raggio (40%). Se si esclu-de una minima quota di produzione indirizzata ai grossisti e ad altri intermediari, le aziende vendono direttamente, soprattutto, ai consumatori, al settore Ho.Re.Ca (Hotel, Ristoranti, Caffè-bar e Catering.) e al dettaglio tradizionale. Il canale gestito dai distributori si rivolge alla grande distribuzione organizzata del territorio, ma emerge uno scarso interesse da parte dei produttori verso tale forma di vendita per un atteggiamento piuttosto critico verso la distribuzione moderna che, a loro pa-rere, monopolizza il mercato e impone prezzi insostenibili per i produttori, troppo bassi per coprire i costi di produzione. Uno dei più efficaci canali di vendita, regi-strati finora per questo vino è legato all’organizzazione di eventi degustativi e visite guidate, con l’accoglienza degli utenti nelle proprie cantine.

Dall’esame della destinazione geografica dei mercati è emerso che negli ul-timi anni il 70% del “Matera” DOC è rimasto nei confini nazionali ed il restante 30% esportato all’estero ed indirizzato quasi esclusivamente verso i paesi dell’Unione Europea (80%). Per quanto attiene al mercato estero, da un’analisi più approfondita emerge che negli ultimi due anni i principali paesi di destinazione del “Matera” DOC sono stati nell’ordine: Germania, Spagna, Gran Bretagna e Svezia, Svizzera e USA, Canada e Austria.

Inoltre, un’analisi della distribuzione territoriale nelle tre principali aree ge-ografiche del nostro Paese, evidenzia che il 70% di questo vino DOC rimanere nel sud Italia, di cui il 60% circa nella stessa Basilicata; il 20% raggiungere i mercati del centro Italia e il restante 10% nel nord dell’Italia.

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Capitolo 4

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

Sempre dall’indagine condotta sui produttori emerge una forte volontà delle aziende di migliorare ed investire nel prossimo futuro nel marketing e nella pro-mozione del prodotto. Negli ultimi anni, la crisi del mercato, le difficoltà nel trovare nuovi sbocchi commerciali e la concorrenza di altre DOC hanno determinato delle difficoltà nella commercializzazione, per cui a volte il vino DOC prodotto è rimasto invenduto e pur di essere smaltito è stato declassato, con un evidente danno eco-nomico per i produttori, per la filiera e per il territorio.

Il 70% delle etichette del “Matera” DOC sono riconosciute come tipologia Ultra Premium e il 30% come tipologia Super Premium211 che rientrano nella seg-mentazione dei vini di pregio. Questo determina la presenza sul mercato con range di prezzo che si differenziano in base alla tipologia e ai differenti canali di vendita, come si evidenzia nella successiva tabella:

Tabellan.3:Rangediprezzopertipologiaecanaledivenditadel“Matera”DOCRange - Anno 2006/2007 2007/2008 2008/2009 2009/2010

TIPOLOGIA ULTRA PREMIUM

Range di prezzo alla produzione per il prodotto finito IVA compresa nella confezione più diffusa

tra i 5€ e i 15€ tra i 5€ e i 15€ tra i 5€ e i 15€ tra i 5€ e i 15€

Range di prezzo al consumo sul cana-le prevalente e nella confezione più diffusa

tra i 18€ e i 50€

tra i 18€ e i 50€

tra i 18€ e i 50€

tra i 18€ e i 50€

SUPER PREMIUM

Range di prezzo alla produzione per il prodotto finito IVA compresa nella confezione più diffusa

tra i 2,5€ a 5€ tra i 2,5€ a 5€ tra i 2,5€ a 5€ tra i 2,5€ a 5€

Range di prezzo al consumo sul cana-le prevalente e nella confezione più diffusa

tra i 10€ e i 18€

tra i 10€ e i 18€

tra i 10€ e i 18€

tra i 10€ e i 18€

Fonte: Indagine INEA sulle Aziende Produttrici

211 Dato elaborato secondo quanto dichiarato dalle aziende campione in riferimento alla propria produ-zione

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Capitolo 4

CARTA DI IDENTITA’ DEL VINO “ MATERA” DOC

Riconosciuto con D.M. del 06/07/2005 pubblicato sulla G.U. n. 163 del 15/07/2005

ORGANISMO DI TUTELA Consorzio di Tutela Vini “Matera” Doc, Via Lucana, 23 – 75100 Matera

ORGANISMO DI CERTIFICAZIONE Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Potenza

Corso XVIII Agosto, 34 – 85100 Potenza

Zona di produzione

La zona di produzione dei vini a denominazione di origine controllata «Matera» comprende l’intero territorio ammini-strativo della provincia di Matera.

Caratteristiche del Prodotto

La denominazione di origine controllata «Matera» è riservata ai vini che rispondono alle condizioni ed ai requisiti stabiliti dal presente disciplinare di produzione per le seguenti tipologie:

«Matera» Rosso;

«Matera» Primitivo;

«Matera» Moro;

«Matera» Greco;

«Matera» Bianco;

«Matera» Spumante.

I vini all’atto dell’immissione al consumo, devono rispondere alle seguenti caratteristiche:

«Matera» Rosso:

colore: rosso rubino;

profumo: complesso, fruttato;

sapore: armonico, tipico;

titolo alcoolometrico volumico totale minimo: 12.00% vol.;

«Matera» Primitivo:

colore: rosso rubino tendente al violaceo ed al granato con l’invecchiamento;

profumo: intenso, persistente caratteristico;

sapore: secco, pieno, armonico tendente al vellutato;

titolo alcoolometrico volumico totale minimo: 13,00% vol.;

«Matera» Moro:

colore: rosso rubino intenso;

profumo: intenso, persistente;

sapore: secco, pieno, armonico tendente al vellutato;

titolo alcoolometrico volumico totale minimo: 12.00% vol.;

«Matera» Greco:

colore: giallo paglierino;

profumo: caratteristico, intenso, persistente;

sapore: tipico, caratteristico;

titolo alcoolometrico volumico totale minimo: 11.00% vol.;

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

«Matera» Bianco:

colore: giallo paglierino;

profumo: intenso, fruttato;

sapore: tipico, secco, sapido;

titolo alcoolometrico volumico totale minimo: 11.00% vol.;

«Matera» Spumante:

spuma: fine, persistente;

colore: giallo paglierino;

profumo: fruttato, tipico, gradevole;

sapore: tipico, caratteristico;

titolo alcoolometrico volumico totale minimo: 12.50% vol.;

In relazione all’eventuale conservazione in recipienti di legno il sapore dei vini può rilevare lieve sentore di legno.

Come si Produce

I vini devono essere ottenuti dalle uve prodotte dai vigneti aventi, nell’ambito aziendale, la seguente composizione ampelografica:

«Matera» Rosso: Sangiovese: minimo 60%; Aglianico: minimo 10%; Primitivo: minimo 10%, possono concorrere alla produzione di detto vino altri vitigni a bacca nera, non aromatici, idonei alla coltivazione nella regione Basilicata, fino ad un massimo del 20%.

«Matera» Primitivo: Primitivo: minimo 90%, possono concorrere alla produzione di detto vino altri vitigni a bacca nera, non aromatici, idonei alla coltivazione nella regione Basilicata, fino ad un massimo del 10%.

«Matera» Moro: Cabernet Sauvignion: minimo 60%; Primitivo: minimo 20%; Merlot: minimo 10%, possono concorre-re alla produzione di detto vino altri vitigni a bacca nera, non aromatici, idonei alla coltivazione nella regione Basilicata, fino ad un massimo del 10%.

«Matera» Greco: Greco bianco: minimo 85%, possono concorrere alla produzione di detto vino altri vitigni a bacca bianca non aromatici, idonei alla coltivazione nella regione Basilicata, fino ad un massimo del 15%.

«Matera» Bianco: Malvasia bianca di Basilicata: minimo 70%; Greco bianco: minimo 10%, possono concorrere alla produzione di detto vino altri vitigni a bacca bianca non aromatici, idonei alla coltivazione nella Regione Basilicata, fino ad un massimo del 20%.

«Matera» Spumante: Malvasia bianca di Basilicata: minimo 70%; Greco: minimo 10%, possono concorrere alla produzione di detto vino altri vitigni a bacca bianca non aromatici, idonei alla coltivazione nella regione Basilicata, fino ad un massimo del 20%.

Le condizioni ambientali dei vigneti destinati alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata «Matera» devono essere quelle normali della zona atte a conferire alle uve le specifiche caratteristiche di qualità. I vigneti devono trovarsi sui terreni ritenuti idonei per le produzioni della denominazione di origine stabiliti dal disciplinare di produzione.

Densità di impianto: per i nuovi impianti ed i reimpianti la densità dei ceppi per ettaro non può essere inferiore a 3.300 in coltura specializzata, sia per le uve a bacca bianca che per le uve a bacca nera.

Forme di allevamento e sesti di impianto: i sesti di impianto, le forme di allevamento ed i sistemi di potatura consentiti sono quelli già usati nella zona. Per i nuovi impianti sono consentite solo forme di allevamento riconducibili alla spalliera semplice.

Forzature ed irrigazione: è vietata ogni pratica di forzatura ed è consentita l’irrigazione di soccorso.

La produzione massima di uva ad ettaro e il titolo alcoolometrico volumico naturale minimo sono i seguenti:

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Capitolo 4

Tipologia Produzione uva Tonnellate/ettaro

Titolo alcoolometrico volumico naturale minimo % vol.

“Matera” Rosso 10 11,50

“Matera” Primitivo 10 12,50

“Matera” Moro 10 11,50

“Matera” Greco 10 10,50

“Matera” Bianco 10 10,50

“Matera” Spumante 10 12,00

Anche in annate eccezionalmente favorevoli, la resa dovrà essere riportata nei limiti di cui sopra purché la produzione globale non superi del 20% i limiti medesimi. L’esubero potrà essere destinato, se ne sussistono i requisiti, all’otte-nimento della I.G.T. Basilicata. Per i vigneti in coltura promiscua la produzione massima di uva a ettaro deve essere rapportata alla superficie effettivamente impegnata nella vite.

Norme per la vinificazione

Le operazioni di vinificazione devono essere effettuate nell’ambito del territorio amministrativo della regione Basilica-ta. Le operazioni di imbottigliamento devono essere realizzate nella stessa area di vinificazione. La spumantizzazione deve essere effettuata all’interno della zona di vinificazione. La spumantizzazione per la produzione del vino a denomi-nazione di origine controllata «Matera» spumante deve essere effettuata con fermentazione in bottiglia o con metodo classico, ai sensi del regolamento CE n. 1493/99. È consentito l’arricchimento dei mosti e dei vini nei limiti stabiliti dalle norme comunitarie e nazionali.

Resa uva/vino e vino/ha.

La resa massima dell’uva in vino e la produzione massima di vino per ettaro, comprese le aggiunte per le elaborazioni dei vini spumanti, sono le seguenti:

Tipologia Resa uva/vino

“Matera” Rosso 70

“Matera”Primitivo 70

“Matera” Moro 70

“Matera” Greco 70

“Matera” Bianco 70

“Matera” Spumante 70

Ai limiti suddetti è ammessa una tolleranza massima del 5%, senza che abbia diritto alla rivendicazione a denomi-nazione di origine controllata. Oltre detto limite decade il diritto alla denominazione di origine controllata per tutta la partita.

Caratteristiche al Consumo

L’immissione al consumo delle tipologie «Matera» Rosso, «Matera» Primitivo, «Matera» Moro può avvenire solo dopo un periodo di maturazione obbligatorio di 12 mesi a partire dal 1° novembre dell’anno di produzione delle uve.

Nella designazione e presentazione dei vini è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quelle previ-ste dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi extra, fine, scelto, selezionato, sinonimi e similari. È tuttavia

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali e marchi privati non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno il consumatore. È consentito, a norma di legge, il riferimento alle indicazioni geografiche o toponomastiche di unità amministrative, o frazioni, aree, zone, località, dalle quali provengono le uve.

Per i vini a denominazione di origine controllata «Matera» Rosso, «Matera» Primitivo, «Matera» Moro, l’indicazione in etichetta dell’annata di produzione delle uve è obbligatoria. I vini possono essere immessi al consumo in recipienti di volume nominale fino a 10 litri in recipienti di vetro. Per la tappatura valgono le norme comunitarie e nazionali in vigore.

Fonte: DISCIPLINARE DI PRODUZIONE DEL VINO A DENOMINAZIONE DI ORIGINE CONTROLLATA «MATERA»

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Capitolo 4

“Terredell’altaValD’agri”Doc

Il territorio di produzione della DOC “Terre dell’Alta Val d’Agri” non è molto esteso ed è compreso nei limiti dei Comuni di Grumento Nova, Moliterno e Vig-giano. Luoghi in cui in estate, nel periodo di piena maturazione delle uve, il clima, caratterizzato da fortissime escursioni termiche, esalta la qualità di vitigni interna-zionali come il Merlot e il Cabernet Sauvignon e gli autoctoni della Basilicata quali la Malvasia, che danno vita alla seconda DOC lucana, “Terre dell’Alta Val d’Agri”, che proviene dai vigneti che dal fondo valle (600 mt.s.l.m.) arrivano fino ad un mas-simo di 800 metri s.l.m..

Il fitto labirinto di filari nella piana ai piedi della collina su cui sorge Viggiano diede origine ad un detto, ancora oggi usato “Perdersi nelle vigne di Viggiano” ad indicare quanto estesi e intricati si presentassero al visitatore questi campi quando la piana era quasi esclusivamente coltivata a vite e non c’erano tante strade, un

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

paesaggio che nel mese di ottobre si presenta lussureggiante e provvido di frutti212.Il vino DOC “Terre dell’Alta Val d’Agri”, riconosciuto a Denominazione di Ori-

gine Controllate nel 2003, è prodotto in tre tipologie: i rossi, che si suddividono in “Rosso” e “Rosso Riserva” ed il “Rosato”.

La sinergia tra gli enti locali dell’Alta Val d’Agri, l’Alsia, le Organizzazioni pro-fessionali, i Comuni di Grumento Nova, Moliterno, Viggiano, e gli operatori vitivini-coli della zona ha permesso nel novembre 2001 di creare il Comitato promotore per il riconoscimento della Denominazione di Origine Controllata che dopo due anni di costante lavoro ha portato nel 2003 al riconoscimento della DOC “Terre dell’Alta Val d’Agri” è alla costituzione del Consorzio di Tutela, con lo scopo di tutelare, valoriz-zare e promuovere questo marchio DOC lucano213.

LaStoria

L’Alta Valle dell’Agri, nella Basilicata centro-occidentale, offre ai visitatori un paesaggio caratterizzato da una forte tradizione vitivinicola, come testimoniato da numerosi scritti del passato. Ad esempio lo storico viaggiatore Giuseppe Antonini nel volume “La Lucania” del 1747, relativamente al territorio di Viggiano scrive: “è molto ben coltivato, specialmente le vigne sono da quei contadini tenute con tal proprietà, che fanno invidia a quelle di Toscana”. In questi territori il vino era utilizzato sia per accompagnare il cibo, sia come bevanda dissetante nelle giornate di duro lavoro e veniva considerato quasi un alimento, tanto che lo si dava anche ai bambini (tarallucci e vino) o ai pulcini con la mollica di pane raffermo214.

Durante i lavori estivi era quindi indispensabile avere a portata di mano del vino fresco e il recipiente usato per questo scopo era lo “iascaridd” (o anche “ia-scaredda”), una fiasca costruita dagli stessi contadini con un unico pezzo di legno di ciliegio. Si portava a tracolla, con una cinghia di cuoio, e si beveva a “cannella”, attraverso una cannula di legno che si teneva ad una ventina di centimetri dalle labbra e che permetteva di bere le quantità giuste, senza sprechi o versamenti.215

212 Fonte: Laguardia A. – Pisani F. “Dallo iascaridd ai calici di Terre dell’Alta Val D’Agri a DOC” tratto da Agrifoglio n. 28 - Luglio/Agosto 2008 (ALSIA)

213 Fonte. www.terredellaltavaldagri.it

214 Fonte: Laguardia A. – Pisani F. “Dallo iascaridd ai calici di Terre dell’Alta Val D’Agri a DOC” tratto da Agrifoglio n. 28 - Luglio/Agosto 2008

215 Fonte: Laguardia A. – Pisani F. “Dallo iascaridd ai calici di Terre dell’Alta Val D’Agri a DOC” tratto da Agrifoglio n. 28 - Luglio/Agosto 2008

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Capitolo 4

IlTerritorio

L’Alta Val d’Agri è un territorio che si snoda tra colline, valli e campi coltivati, immersi in un ambiente avvolto in uno scenario di grande valore paesaggistico. Il periodo primave-rile si presenta con i colori verdi delle distese coltivate, ed il periodo estivo con il giallo ed il marrone delle coltivazioni di frumento e dei campi arati. I tre comuni di produzione del vino DOC sono: Grumen-to Nova che sviluppa la sua sagoma su una collina al centro della Valle, moderno insediamento dello storico sito di Grumentum, città prima Enotria e poi, dal III sec. a.c., Romana; Moliterno situata alle spalle di Grumento, con la sua rocca (cono-sciuto per il famoso Pecorino Canestrato di Moliterno IGP), ed infine Viggiano dove è possibile visitare la Basilica Pontificia dedicata alla Madonna del Sacro Monte216.

Il vino “Terre dell’Alta Val d’Agri” DOC possiede caratteristiche proprie che derivano dal territorio di produzione; terreni alluvionali, ricchi di sabbia ed argilla con poco limo e che dotano il vino di struttura, pienezza e colore. Il clima monta-no dovuto alle quote altimetriche (600/800 m. slm) legato al calore del territorio meridionale crea un ambiente fresco ma assolato che porta a maturazione le uve in condizioni ideali, garantendo quel poco di acqua necessaria in piena estate per dare inizio alla fase di maturazione. Infine le escursioni termiche elevatissime tra il giorno e la notte da agosto e fino alla maturazione delle uve nella seconda metà di ottobre, sono le condizioni che creano quelle peculiarità che donano al vino le sue caratteristiche di unicità e tipicità217.

ValenzeGastronomiche

Il vino “Terre dell’Alta Val d’Agri” DOC è da sempre legato alla tradizione eno-gastronomica del territorio. I “Rossi” (“Rosso” e “Rosso Riserva”) accompagnano bene i piatti tipici locali: dai primi con sughi di carne o con funghi, ai secondi di carne alla brace o lessa. Ottimo è anche l’abbinamento con i formaggi stagionati. La tipologia “Rosato”, invece, si accosta bene ad antipasti di salumi, a minestre a base di verdure e a legumi.

216 Fonte: www.terredellaltavaldagri.it

217 Fonte: www.terredellaltavaldagri.it

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

LaSagra

La prima domenica di ottobre a Viggiano, in occasione della vendemmia, si celebra la “Festa dell’uva”, dedicata alla Madonna di Pompei, che viene celebrata con una processione che dalla chiesetta rurale attraversa le stradine tra le vigne, come segno benaugurale per la successiva vendemmia. Questa festa è caduta in oblio per diverso tempo, ed è stata rivalutata a partire dagli anni ’70, diventando, oggi, un’occasione per recuperare la tradizione, la storia e l’ identità di questa co-munità da sempre legata alla coltivazione della vite e alla produzione del vino. Con il riconoscimento della DOC “Terre dell’Alta Val d’Agri” la Festa è diventata un’op-portunità di promozione per questo prodotto218.

LaProduzione

Il Disciplinare di Produzione del vino “Terre dell’Alta Val d’Agri” stabilisce la resa massima di uva ammessa che non deve essere superiore alle 12 tonnellate per ettaro di vigneto in rapporto all’effettiva superficie coperta dalla vite, stabilisce, inoltre, la vinificazione, l’invecchiamento, e l’affinamento in bottiglia obbligatorio.

Il vino è realizzato in tre tipologie di rossi, composti da uve Merlot, Cabernet Sauvignon e altre uve a bacca rossa che si suddividono in: “Rosso”, che può subire un invecchiamento di minimo un anno, “Rosso Riserva”, che invecchia in due anni, il “Rosato” contraddistinto dal colore chiaro e dal sapore delicato, che prevede ol-tre all’utilizzo del Merlot e del Cabernet Sauvignon anche quello della Malvasia di Basilicata e altri vitigni a bacca bianca o rossa non aromatici.

L’analisi del settore vitivinicolo dell’area di produzione del vino “Terre dell’Al-ta Val d’Agri” DOC ha evidenziato, che le aziende produttrici sono di piccola dimen-sione, tutte ditte individuali.

Prendendo in esame gli ultimi cinque anni di produzione, si registra un au-mento degli iscritti all’Albo Vigneti con una crescita del 33%, ed un relativo aumento della superficie vitata iscritta del 11%. Tale incremento non rispecchia, però, la si-tuazione produttiva, infatti, dopo l’incremento produttivo che si è registrato dal 2005 al 2007 (dovuto con molta probabilità al riconoscimento della DOC), si registra negli ultimi anni (2008 – 2009) una diminuzione della produzione che si attesta intorno al -52%.

218 Fonte: Laguardia A. – Pisani F. “Dallo iascaridd ai calici di Terre dell’Alta Val D’Agri a DOC” tratto da Agrifoglio n. 28 - Luglio/Agosto 2008

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207

Capitolo 4

Tale trend negativo deriva da una serie di criticità, legate a difficoltà nella creazione di un sistema produttivo del territorio, a causa della piccola dimensione delle aziende agricole, poco strutturate, non sempre in grado di sostenere gli ele-vati costi di produzione (dovuti ad una standardizzazione di processi produttivi im-posti da un Disciplinare di Produzione). Infatti, delle quattro aziende iscritte all’Albo Vigneti del “Terre dell’Alta Val d’Agri” DOC negli ultimi anni, solo una effettua de-nuncia di produzione e possiede la filiera completa, dalla produzione dell’uva, alla trasformazione, all’imbottigliamento e alla commercializzazione. Le altre aziende (pur essendo iscritte all’albo non rivendicano la produzione DOC ed utilizzano pro-babilmente le proprie uve per produrre vino IGT o vino da tavola di elevata qualità) eseguono la fase di imbottigliamento (presso terzi) e commercializzano con un pro-prio marchio. Per il futuro, queste aziende puntano ad un miglioramento qualitativo e quantitativo di questa produzione DOC e intendono investire nel prossimo futuro in un miglioramento delle strutture aziendali e delle tecnologie di trasformazione.

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Capitolo 4

LaCommercializzazione

Il “Terre dell’Alta Val d’Agri” DOC è la seconda DOC lucana, riconosciuta nel 2003. Oggi le aziende che commercializzano questo vino sono cinque, per un totale di 6 etichette e 94.000 bottiglie all’anno219.

L’immissione al consumo dei vini a Denominazione di Origine Controllata “Terre dell’Alta Val d’Agri” varia in base alla tipologia: il “Rosso” può essere im-messo solo dopo il periodo di invecchiamento obbligatorio previsto di 12 mesi con decorrenza dal 1° dicembre successivo alla vendemmia, aumentato di un periodo di 3 mesi di affinamento obbligatorio in bottiglia; il “Rosso Riserva” solo dopo il periodo di invecchiamento obbligatorio previsto di 24 mesi (di cui 6 in legno) con decorrenza dal 1° dicembre successivo alla vendemmia, aumentato di un periodo di quattro mesi di affinamento obbligatorio in bottiglia, ed il “Rosato” dopo il 1° marzo dell’anno successivo a quello della vendemmia.

Nella presentazione di tali vini è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quelle precedentemente indicate, ivi compresi gli aggettivi extra, fine, scelto, selezionato, (sinonimi e similari). E’ consentito l’uso di indicazioni che fac-ciano riferimento a nomi, a ragioni sociali e a marchi privati non aventi significato laudativo e che non traggano in inganno il consumatore. E’, invece, obbligatoria l’indicazione dell’annata di produzione delle uve. Viene, inoltre, consentito il rife-rimento ad indicazioni geografiche o toponomastiche di unità amministrative (fra-zioni, aree, zone, località) dalle quali provengono le uve. Per quanto attiene il con-fezionamento, i vini “Terre dell’Alta Val d’Agri” DOC, esclusa la tipologia “Rosso”, possono essere immessi al consumo in recipienti di volume nominale fino a 5 litri, e per tutti i vini i recipienti devono essere di vetro220.

L’analisi effettuata sulla commercializzazione del vino “Terre dell’Alta Val d’Agri” DOC ha dato modo di evidenziare che la maggior parte delle aziende com-mercializza una sola etichetta e che una percentuale minore commercializza cin-que etichette, di cui due sono dedicate al “Terre dell’Alta Val d’Agri” DOC, e le re-stanti al vino IGT Basilicata.

La vendita diretta è il principale canale di distribuzione, infatti, il 75% delle aziende (prese in esame) lo utilizza come unico canale di distribuzione, e il restante 25% lo utilizza come canale di distribuzione unitamente all’utilizzo di agenti. Le aziende vendono soprattutto direttamente ai consumatori, al settore Ho.Re.Ca (Ho-

219 Fonte: “Repertorio Vini della Basilicata” 2010 (ALSIA)

220 Fonte: Disciplinare di Produzione dei Vini a Denominazione di Origine Controllata “Terre dell’Alta Val d’Agri”

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

tel, Ristoranti, Caffè-bar e Catering.) e in parte anche a vinerie, gastronomie e ne-gozi tradizionali. Alla vendita diretta la metà delle aziende di commercializzazione abbina l’organizzazione di eventi degustativi oltre che per il settore Ho.Re.Ca o per la stampa specializzata, anche per semplici consumatori diretti, con l’accoglienza degli utenti nelle proprie cantine.

Per quanto riguarda la destinazione geografica dei mercati, dall’analisi ef-fettuata è emerso che negli ultimi anni il 95% del “Terre dell’Alta Val d’Agri” DOC è rimasto nei confini nazionali e che solo il 5% è stato esportato all’estero, regi-strando un decremento delle quantità di vino esportato che negli anni precedenti era del 20% e, nel 2007/2008 si attestava intorno al 7%. Tale esportazione si rivolge unicamente ai paesi U.E..

Esaminando più nel dettaglio la distribuzione territoriale nazionale, delle tre principali aree geografiche del nostro Paese, emerge che negli ultimi sei anni il vino presente nel sud Italia è andato aumentando a scapito del centro e del nord: nel 2009/2010 l’86% di questo vino DOC è rimasto nel sud Italia di cui il 75% nella stessa Basilicata (con un trend in crescita negli anni dovuto all’inserimento sul mercato di nuove aziende che commercializzano quasi esclusivamente nel sud Ita-lia ed in modo particolare in Basilicata); il 6% raggiunge i mercati del centro Italia e il restante 8% arriva al nord.

Un’indagine più approfondita del mercato estero evidenzia che negli ultimi anni i paesi interessati dall’esportazione dell’ “Terre dell’Alta Val d’Agri” DOC sono la Germania e la Svizzera. Tra gli obiettivi di miglioramento vi è la volontà da parte di tutte le aziende intervistate di incrementare il mercato nazionale; sembra inoltre diffusa nelle aziende la consapevolezza che, a fronte di una internazionalizzazione dei mercati, occorre ricercare spazi di sviluppo utilizzando la partecipazione a fiere ed eventi internazionali.

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Capitolo 4

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

Al fine di incrementare e migliorare la fase di commercializzazione del vino “Terre dell’Alta Val d’Agri” DOC tutte le aziende intervistate intendono investire, nel prossimo futuro, nel miglioramento ed incremento della produzione (con il miglio-ramento delle tecnologie e delle attività infrastrutturale) del marketing, della pro-mozione del prodotto e del territorio che lo produce.

Il 60% delle etichette del “Terre dell’Alta Val d’Agri” DOC fanno parte della tipologia Ultra Premium ed il restante 40% della tipologia Super Premium221. En-trambe le tipologie fanno parte della categoria di vini Originali, evidenziando, quin-di, gli elevati livelli qualitativi del prodotto certificato che, in base alla segmentazio-ne del mercato, è presente con dei range di prezzo che si differenziano in base alla tipologia e ai differenti canali di vendita, come si evince dalla successiva tabella:

Tabellan.3-Rangediprezzopertipologiaecanalidivenditadel“Terredell’AltaVald’Agri”DOC

Range - Anno 2005/2006 2006/2007 2007/2008 2008/2009 2009/2010

TIPOLOGIA ULTRA PREMIUM

Range di prezzo alla produzione per il prodotto finito IVA compresa nella confezione più diffusa

tra i 5€ e i 15€

tra i 5€ e i 15€

tra i 5€ e i 15€

tra i 5€ e i 15€

tra i 5€ e i 15€

Range di prezzo al consumo sul ca-nale prevalente e nella confezione più diffusa

tra i 18€ e i 50€

tra i 18€ e i 50€

tra i 18€ e i 50€

tra i 18€ e i 50€

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SUPER PREMIUM

Range di prezzo alla produzione per il prodotto finito IVA compresa nella confezione più diffusa

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Range di prezzo al consumo sul ca-nale prevalente e nella confezione più diffusa

tra i 10€ e i 18€

tra i 10€ e i 18€

tra i 10€ e i 18€

tra i 10€ e i 18€

tra i 10€ e i 18€

Fonte: Indagine INEA sulle Aziende Produttrici

221 Dato elaborato secondo quanto dichiarato dalle aziende campione in riferimento alla propria produzione

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Capitolo 4

CARTA DI IDENTITA’ DEI VINI “TERRE DELL’ALTA VAL D’AGRI” DOC

Riconoscimento con D.M. del 04/09/2003 pubblicato sulla GU n. 214 del 15/09/2003

ORGANISMO DI DIFESA Consorzio di Tutela “Terre dell’Alta Val d’Agri” Doc

Via Grumentina, 118 c/o AASD ALSIA Bosco Galdo – 85050 Villa d’Agri - Marsicovetere (PZ)

ORGANISMO DI CERTIFICAZIONE

Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Potenza

Corso XVIII Agosto, 34 – 85100 Potenza

Zona di ProduZione

Le uve destinate alla produzione dei vini a denominazione di origine controllata «Terre dell’Alta Val D’Agri», devono provenire dai vigneti ubicati nella provincia di Potenza nei territori dei comuni di Viggiano - Grumento Nova - Moliterno. E possono essere prodotte in vigneti coltivati fino alla quota massima di 800 mt s.l.m.

La zona di produzione del vino a denominazione di origine controllata «Terre dell’Alta Val D’Agri» Rosso, Rosso Riserva, Rosato, comprende gli interi territori comunali di Viggiano, Grumento Nova e Moliterno.

CaratteristiChe del Prodotto

I vini all’atto dell’immissione al consumo, devono rispondere alle seguenti caratteristiche:

«Terre dell’Alta Val D’Agri» Rosso e Rosso Riserva:

colore: rosso rubino tendente al granato;

profumo: gradevole, fruttato;

sapore: armonico, rotondo, tipico, caratteristico; titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol. e 12,50% vol.

«Terre dell’Alta Val D’Agri» Rosato:

colore: rosato;

profumo: caratteristico, gradevole;

sapore: tipico, caratteristico;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50 % vol.;

I vini a denominazione di origine controllata «Terre dell’Alta Val D’Agri» elaborati secondo pratiche tradizionali in recipienti di legno, possono essere caratterizzati da lieve sentore di legno.

Come si ProduCe

Base ampelografica

I vini di cui devono essere ottenuti dalle uve prodotte dai vigneti aventi, nell’ambito aziendale, la seguente composi-zione ampelografia:

«Terre dell’Alta Val D’Agri» Rosso: Merlot: minimo 50%; Cabernet Sauvignon: minimo 30%; possono concorrere alla produzione di detto vino altri vitigni a bacca rossa, idonei alla coltivazione per la provincia di Potenza, fino ad un massimo del 20%;

«Terre dell’Alta Val D’Agri» Rosato: Merlot: minimo 50%; Cabernet Sauvignon: minimo 20%; Malvasia di Basili-cata: minimo 10%; possono concorrere alla produzione di detto vino altri vitigni a bacca rossa e a bacca bianca, non aromatici, idonei alla coltivazione per la provincia di Potenza, fino ad un massimo del 20%.

Norme per la viticoltura

I vigneti devono essere ubicati su terreni ritenuti idonei per le produzioni della denominazione di origine controllata. Sono esclusi i terreni eccessivamente umidi o insufficientemente soleggiati o adiacenti a fiumi, laghi naturali e/o artificiali.

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

Densità di impianto

Per i nuovi impianti ed i reimpianti la densità dei ceppi per ettaro non può essere inferiore a 3.000 in coltura specia-lizzata.

Forme di allevamento e sesti di impianto

I sesti di impianto, le forme di allevamento ed i sistemi di potatura consentiti sono quelli usati nella zona e comunque riconducibili alla spalliera semplice.

Forzature ed irrigazione

È vietata ogni pratica di forzatura. E’ consentita l’irrigazione di soccorso.

La produzione massima di uva ad ettaro e il titolo alcolometrico volumico minimo naturale sono le seguenti:

Terre dell’Alta Val D’Agri Rosso e Rosso Riserva:12 tonnellate per ettaro; 12,00% titolo alcolimetrico volumico naturale minimo;

Terre dell’Alta Val D’Agri Rosato:12 tonnellate per ettaro; 11,00% titolo alcolimetrico volumico naturale minimo.

Fermi restando i limiti sopra indicati, la resa per ettaro in coltura promiscua deve essere calcolata in rapporto dell’ef-fettiva superficie coperta dalla vite.

Norme per la vinificazione

Le operazioni di vinificazione, ivi compresi l’invecchiamento obbligatorio, l’affinamento in bottiglia obbligatorio, devo-no essere effettuate nell’area della zona di produzione della denominazione di origine controllata «Terre dell’Alta Val D’Agri» o nella provincia di Potenza.

Elaborazione

Le diverse tipologie «Terre dell’Alta Val D’Agri» Rosso e Rosso Riserva; «Terre dell’Alta Val D’Agri» Rosato devono essere elaborate in conformita’ alle norme comunitarie e nazionali.

Resa uva/vino e vino/ha

La resa massima dell’uva in vino e la produzione massima di vino per ettaro, sono le seguenti:

Terre dell’Alta Val D’Agri Rosso e Riserva: 70%;

Terre dell’Alta Val D’Agri Rosato: 70%.

I seguenti vini devono essere sottoposti ai seguente periodo di invecchiamento:

Terre dell’Alta Val D’Agri Rosso; invecchiamento 12 mesi; decorrenza dal 1° dicembre successivo alla vendemmia;

Terre dell’Alta Val D’Agri Rosso Riserva; invecchiamento 24 mesi di cui 6 in legno; decorrenza dal 1° dicembre successivo alla vendemmia.

L’immissione al consumo dei vini a denominazione di origine controllata «Terre dell’Alta Val D’Agri» nella tipologia «Rosso», può avvenire solo dopo il periodo di invecchiamento obbligatorio previsto, aumentato di un periodo di 3 mesi di affinamento obbligatorio in bottiglia.

L’immissione al consumo dei vini a denominazione di origine controllata «Terre dell’Alta Val D’Agri» Rosso Riserva, può avvenire solo dopo il periodo di invecchiamento obbligatorio previsto, aumentato di un periodo di quattro mesi di affinamento obbligatorio in bottiglia.

L’immissione al consumo per la tipologia «Terre dell’Alta Val D’Agri» Rosato deve avvenire dopo il 1° marzo dell’anno successivo a quello della vendemmia.

Caratteristiche al Consumo

I vini delle tipologia «Terre dell’Alta Val D’Agri» DOC esclusa la tipologia Rosso possono essere immessi al consumo in recipienti di volume nominale fino a 5 litri. Per il vino rosso e Rosso Riserva e’ obbligatorio l’uso di tappi in sughero raso bocca. Per il vino Rosso e rosato e’ consentito l’uso di tappi raso bocca in materiale previsto dalla normativa vigente.

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Capitolo 4

Per le bottiglie fino a litri 0,375 (per le tipologie rosso e rosato) e’ consentito anche l’uso del tappo a vite. Per tutti i vini i recipienti devono essere di vetro.

Nella designazione e presentazione dei vini «Terre dell’Alta Val D’Agri» Rosso e Rosso Riserva; «Terre dell’Alta Val D’Agri» Rosato è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quelle previste dal presente disciplinare, ivi compresi gli aggettivi extra, fine, scelto, selezionato, sinonimi e similari. E’ tuttavia consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali e marchi privati non aventi significato laudativo e non idonei a trarre in inganno il consumatore.

E’ consentito il riferimento alle indicazioni geografiche o toponomastiche di unità amministrative, o frazioni, aree, zone, località, dalle quali provengono le uve. Per vini «Terre dell’Alta Val D’Agri» Rosso e Rosso Riserva; «Terre dell’Alta Val D’Agri» Rosato l’indicazione dell’annata di produzione delle uve e’ obbligatoria.

Fonte: disciplinare di produzione dei vini a denominazione di origine controllata «terre dell’alta val d’agri»

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

“GrottinodiRoccanova”Doc

Il “Grottino di Roccanova” è un vino DOC della regione Basilicata di recente rico-noscimento. Più che di una nuova produzione enologica, si tratta della “promozione” di un vino già IGT dal 2000 che è stato riconosciuto a Denominazione di Origine Controllata nel 2009, introducendo nel Disciplinare di Produzione l’obbligatorietà ad utilizzare nella vinificazione solo uva proveniente dai vitigni ricadenti nei territori di produzione, Roccano-va, Castronuovo di Sant’Andrea e Sant’Arcangelo, ed indicati nella base ampelografica222. La forte tradizione legata alla produzione di questo vino da parte della comunità locale e un’azione sinergica che ha coinvolto gli enti territoriali, i vitivinicoltori della zona e l’as-sistenza dell’ALSIA hanno contribuito nell’aprile del 2006 a promuovere il “Comitato pro-motore per la DOC” che ha portato nel 2009 all’ottenimento dell’ambito riconoscimento e alla nascita del Consorzio di Tutela “Grottino di Roccanova” DOC. Con il passaggio alla DOC, il “Grottino di Roccanova” ha mantenuto il suo nome originario legato alle carat-teristiche grotte scavate nella roccia arenaria, uniche nel loro genere e tipiche di queste

222 Fonte: “Reperorio vini della Basilicata” 2001 (ALSIA)

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Capitolo 4

zone, nelle quali il vino viene fatto invecchiare a temperatura e umidità costanti223.Del “Grottino di Roccanova” DOC si producono quattro tipologie di vino: il “Rosso”,

il “Rosso Riserva”, il “Rosato” ed il “ Bianco”.

LaStoria

Nell’area di produzione del “Grottino di Roccanova” DOC la storia del vino è un’arte antica, come dimostrato dai numerosi reperti archeologici rinvenuti in questi territori, quali contenitori per il consumo e la conservazione del vino, a te-stimonianza che già in tempi remoti si consumava molto vino e se ne produceva altrettanto. Molto antica in questo paese è anche la presenza delle caratteristi-che cantine; infatti, in un censimento del 1807, ne vennero contate ben 104, le più antiche risalgono al 1700. Oggi di queste cantine se ne contano circa 350. Questo caratteristico locale unico nel suo genere, chiamato cantina nella lingua italiana e detto “a grutt” (a grotta) nel dialetto del posto, è caratterizzato da cunicoli scavati nelle “tempe” arenarie sotto il centro abitato, e ha il grnde pregio di mantenere inalterate le caratteristiche del vino224.

IlTerritorio

Il “Grottino di Roccanova” è un vino tipico della Basilicata, e in particolare del territorio del medio Agri, una zona collinare, che porta il nome di quei luoghi preziosi per la conservazione del vino, le caratteristiche grotte – cantine (“a grutt”) scavate nella roccia di tufo, sparse lungo la periferia dei comuni dove si produce il DOC225.

Da antica data Roccanova è conosciuto come il paese del vino e ad indicare la rinomata attività vitivinicola di questo piccolo paese tutte le contrade dell’agro comunale sono ricche di vigneti e un cartello al suo ingresso cita “Benvenuti a Roccanova città del vino”226.

223 Fonte: www.roccanova.ue

224 Fonte: “Il vino di Roccanova tra storia e leggenda” - sito Ufficiale del Comune di Roccanova (www.comune.roccanova.pz.it)

225 Secondo il Disciplinare di produzione la zona atta a produrre il “Grottino di Roccanova” DOC comprende oltre al comune di Roccanova, anche Castronuovo di Sant’Andrea e Sant’Arcangelo in provincia di Potenza

226 Fonte: “Il vino di Roccanova tra storia e leggenda” - sito Ufficiale del Comune di Roccanova (www.comune.roccanova.pz.it)

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

ValenzeGastronomiche

Il “Grottino di Roccanova” DOC normalmente non supera i 13 gradi alcolici e si serve a temperatura di 18°C. Presenta un caratteristico colore rosso rubino, che con l’invecchiamento diventa più intenso e con delle lievi sfumature violacee, ha sapore asciutto, morbido, leggermente tannico che tende al vellutato con l’invec-chiamento, ed un odore vinoso gradevole. La qualità “Rosso” si abbina bene a piatti di carne, meglio se arrosti o selvaggina, mentre il “Bianco” e il “Rosato” sono molto apprezzati nei menù a base di pesce e con gli antipasti.

LaSagra

La Sagra del “Grottino di Roccanova” è legata al giorno della festa religiosa dell’Immacolata, l’otto dicembre, in cui si festeggia la Madonna “Spertusavotte”. Si tratta di una festa tradizionale, legata al primo travaso del vino e alla benedizione delle grotte arenarie a cui il “Grottino di Roccanova” deve le sue qualità organolet-tiche227.

LaProduzione

Il vino “Grottino di Roccanova” DOC viene prodotto secondo quanto stabili-to dal Disciplinare di Produzione della Denominazione di Origine Controllata che prevede una resa di uva di 8 tonnellate per ettaro, ed una resa massima dell’uva in vino del 70%. Le operazioni di vinificazione ed imbottigliamento devono essere realizzate nell’area di produzione dei territori indicati dal disciplinare.

I vitigni utilizzati per la produzione delle quattro tipologie del “Grottino di Roccanova” DOC sono: Sangiovese, Cabernet Sauvignon, Montepulciano e Malvasia nera di Basilicata per il “Rosso”, il “Rosso Riserva” e per il “Rosato”; la Malvasia bianca di Basilicata, insieme ad altri vitigni a bacca bianca non aromatici, per la tipologia “Bianco”228.

L’analisi del settore vitivinicolo dell’area del “Grottino di Roccanova” DOC ha evidenziato che le aziende produttrici sono per lo più di piccola o media dimensio-

227 Fonte: De Stefano E. “Grottino di Roccanova, ecco la quarta DOC lucana” tratto da Agrifoglio n. 32 – Marzo/Aprile 2009

228 Fonte: Disciplinare di Produzione dei Vini a Denominazione di Origine Controllata “Grottino di Roc-canova”

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Capitolo 4

ne, quasi tutte ditte individuali, con una produzione dedicata per il 60% al “Grottino di Roccanova” DOC, e per la restante parte all’IGT “Basilicata”. Ad oggi le aziende iscritte all’Albo Vigneti sono 4, di cui 3 vitivinicole, che vendono con un proprio mar-chio, e una viticola, per una superficie totale di circa undici ettari, ed una produzio-ne di 433 hl di vino.

Il “Grottino di Roccanova” ha ottenuto il riconoscimento DOC con il D.M. del 24/07/2009 Pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale 10/08/2009, per tale motivo i dati re-lativi alla produzione (Tab. n. 1) hanno come riferimento solo l’anno 2009.

Le tre aziende che detengono un proprio marchio nella produzione del “Grottino di Roccanova” DOC commercializzano dalle 2 alle 5 etichette DOC, e dalle 10.000 alle 50.000 bottiglie229.

Tabellan.1-Aziendeeproduzionedel“GrottinodiRoccanova”DOCAnno 2009

Situazione Albo Vigneti

Iscrizioni Albo Vigneti 4

Superfici Iscritte (Ha) 10,83

Prod.ne max ottenibili (prod.ni potenziali) (resa 100 q.li per Ha)

Uva q.li 956,4

Vino q.li 669

Situazione Produttiva Vendemmie Annuali

Denunce di produzione 4

Superficie vitata interessata dalla denuncia(Ha) 10,83

Produzioni qualificate D.O.C.

Uva (q.li) 623

Vino (hl) 433,6

Fonte: Organismo di Certificazione

In questa prima fase di vita della DOC le aziende puntano ad un migliora-mento qualitativo e quantitativo della propria produzione, con l’obbiettivo di inve-stire, in un prossimo futuro nell’adeguamento delle strutture aziendali, delle vigne e, visto che curano anche la vendita diretta, anche, in azioni di marketing e promo-zione del prodotto.

229 Fonte: “Repertorio Vini della Regione Basilicata 2010” (ALSIA)

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

LaCommercializzazione

Le prime bottiglie del vino “Grottino di Roccanova” con il marchio DOC, del bianco e del rosato, sono state immesse sul mercato a maggio 2010; ad ottobre 2010, invece, le prime bottiglie del “Rosso” DOC.

L’immissione al consumo dei vini “Grottino di Roccanova” a Denomina-zione di Origine Controllata può avvenire dopo un periodo di maturazione ob-bligatorio in grotta che varia a seconda delle diverse tipologie: per la tipologia “Rosso” è di 9 mesi, per il “Rosso Riserva” di 36 mesi, e per il “Bianco” ed il “Rosato” di 5 mesi, tutti a partire dal 1° novembre dell’anno di produzione delle uve230.

Nella designazione e presentazione dei vini “Grottino di Roccanova” DOC è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa dalle tipologie in-dicate nel disciplinare, compresi gli aggettivi extra, fine, scelto, selezionato (sinonimi e similari). E’ consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali e marchi privati, ed è obbligatorio indicare sull’etichet-ta l’annata di produzione delle uve. Tutte le tipologie di questo vino possono essere immesse al consumo in recipienti con un volume nominale fino a 10 litri (esclusa la dama231) obbligatoriamente in vetro232.

L’analisi relativa alla commercializzazione prende come riferimento l’anno di riconoscimento della DOC, ed evidenzia che i canali di vendita adot-tati per la commercializzano del “Grottino di Roccanova” DOC si indirizzano principalmente verso l’utilizzo di distributori territoriali o ad ampio raggio, seguito dalla vendita diretta. I canali distributivi si indirizzano principalmente alla distribuzione moderna, al settore Ho.Re.Ca (Hotel, Ristoranti, Caffè-bar e Catering), a vinerie e gastronomie. Un efficace canale di vendita è rappre-sentato anche dall’organizzazione di eventi degustativi e visite guidate, nelle cantine di produzione, rivolte a settori specializzati, al settore Ho.Re.Ca e a clienti interessati.

Passando ad esaminare la destinazione geografica dei mercati di com-mercializzazione del “Grottino di Roccanova” DOC emerge che l’80% del pro-dotto rimane sul territorio italiano; ed il restante 20% viene commercializzato

230 Fonte: Disciplinare di Produzione dei Vini a Denominazione di Origine Controllata “Grottino di Roc-canova”

231 Contenitore in vetro da 5 litri rivestito in paglia

232 Fonte: Disciplinare di Produzione dei Vini a Denominazione di Origine Controllata “Grottino di Roc-canova”

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221

Capitolo 4

sui mercati esteri, indirizzato soprattutto verso i paesi dell’Unione Europea (75%). Un’analisi più dettagliata sulla distribuzione territoriale del mercato italiano vede il 50% del prodotto destinato ai mercati del sud, il 37,5% al nord ed il restante 12,5% ai territori del centro Italia.

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

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Capitolo 4

Tra gli obiettivi che gli imprenditori del settore evidenziano per il futuro, emerge la volontà di puntare ad un miglioramento qualitativo e quantitativo, di in-crementare le vendite sul mercato nazionale (vista la giovane età della DOC) ma soprattutto, di incrementare le vendite verso l’estero, per la consapevolezza che, a fronte di una internazionalizzazione dei mercati, l’estero presenta una buone po-tenzialità di sviluppo, grazie alla riscontrata esistenza di una forte attenzione della domanda verso la qualità e la tipicità.

La gran parte della produzione del “Grottino di Roccanova” DOC è ricono-sciuta come tipologia Ultra Premium233 (vino riconoscibile per struttura complessa e caratteri specifici, difficile da imitare), presente sul mercato con prezzi differenti in base ai diversi canali di vendita, come si evidenzia nella successiva tabella:

Tabellan.3-Rangediprezzoper tipologiaecanalidivenditadel“GrottinodiRoccanova”DOC

Range - Anno 2009/2010

TIPOLOGIA ULTRA PREMIUM

Range di prezzo alla produzione per il prodotto finito (IVA compresa) nella confezione più diffusa

tra i 5€ e i 15€

Range di prezzo al consumo sul canale prevalente e nella confezione più diffusa

tra i 10€ e 18€

Fonte: Campione di Aziende Produttrici

233 Informazione elaborata secondo quanto dichiarato dalle aziende campione in riferimento alla pro-pria produzione

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

CARTA DI IDENTITA’ DEI VINI “GROTTINO DI ROCCANOVA” DOC

Riconosciuto con D.M. del 24/07/2009 pubblicato sulla G.U. n. 184 del 10/08/2009

ORGANISMO DI TUTELA

Consorzio di Tutela “Grottino di Roccanova”, Piazza del Popolo c/o Comune di Roccanova – 85036 Roccanova (PZ)

ORGANISMO DI CERTIFICAZIONE

Camera di Commercio Industria Artigianato e Agricoltura di Potenza Corso XVIII Agosto, 34 – 85100 Potenza

Zona di Produzione

La zona di produzione del vino a denominazione di origine controllata “Grottino di Roccanova” comprende gli interi territori amministrativi dei comuni di Roccanova, Castronuovo Sant’Andrea, Sant’Arcangelo in provincia di Potenza

Caratteristiche del Prodotto

La denominazione di origine controllata “Grottino di Roccanova” è riservata per le seguenti tipologie: “Rosso”, “Rosso Riserva”, “Rosato” e“ Bianco”. Tali vini devono corrispondere alle seguenti caratteristiche:

“Grottino di Roccanova” Rosso:

colore: rosso rubino;

profumo: intenso, persistente;

sapore: tipico, caratteristico, secco;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 12,00% vol.

“Grottino di Roccanova” Rosso Riserva:

colore: rosso rubino tendente al granato;

profumo: intenso, persistente;

sapore: tipico, caratteristico, secco;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 13,00% vol.

“Grottino di Roccanova” Bianco:

colore: giallo paglierino,

profumo: intenso, fruttato;

sapore: tipico, secco;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,00% vol.

“Grottino di Roccanova” Rosato:

colore: rosato;

profumo: intenso, fruttato;

sapore: frasco, equilibrato, secco;

titolo alcolometrico volumico totale minimo: 11,50% vol.

In relazione all’eventuale conservazione in recipienti di legno il sapore dei vini può rilevare un lieve sentore di legno.

I vini devono essere ottenuti dalle uve prodotte nei vigneti dei territori stabiliti dal disciplinare, con la seguente com-posizione ampelografia:

“Grottino di Roccanova” Rosso: Sangiovese dal 60 all’85%; Cabernet Sauvignon dal 5 al 30%; Malvasia Nera di Basilicata dal 5 al 30%; Montepulciano dal 5 al 30%; altri vitigni a bacca nera, non aromatici, idonei alla coltivazione in Basilicata, fino ad un massimo del 10%.

“Grottino di Roccanova” Rosso Riserva: Sangiovese dal 60 all’ 85%; Cabernet Sauvignon dal 5 al 30%; Malvasia Nera

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Capitolo 4

di Basilicata dal 5 al 30%; Montepulciano dal 5 al 30%; altri vitigni a bacca nera, non aromatici, idonei alla coltivazione in Basilicata, fino ad un massimo del 10%.

“Grottino di Roccanova” Bianco: Malvasia bianca di Basilicata minimo 80%; altri vitigni a bacca bianca non aromatici, idonei alla coltivazione in Basilicata, fino ad un massimo del 20%.

“Grottino di Roccanova” Rosato: Sangiovese dal 60 all’85%; Cabernet Sauvignon dal 5 al 30%; Malvasia Nera di Basilicata dal 5 al 30%; Montepulciano dal 5 al 30%; altri vitigni a bacca nera non aromatici, idonei alla coltivazione in Basilicata, fino ad un massimo del 10%.

Come si produce

Norme per la viticoltura

Densità di impianto

Per i nuovi impianti ed i reimpianti la densità dei ceppi per ettaro non può essere inferiore a 3.300 in coltura specializ-zata, sia per i vitigni a bacca bianca che per i vitigni a bacca nera

Forme di allevamento e sesti di impianto

I sesti di impianto, le forme di allevamento ed i sistemi di potatura consentiti sono quelli già usati nella zona. Per i nuovi impianti sono consentite solo forme di allevamento riconducibili alla spalliera semplice.

E’ consentita l’irrigazione di soccorso

E’ vietata ogni pratica di forzatura

La produzione massima di uva ad ettaro è la seguente:

TIPOLOGIA Produzione uva

Tonnellate/Ettaro

“Grottino di Roccanova” Rosato 8

“Grottino di Roccanova” Rosso Riserva 8

“Grottino di Roccanova” Bianco 8

“Grottino di Roccanova” Rosato 8

Anche in annate eccezionalmente favorevoli la resa dovrà essere riportata in tali limiti, purchè la produzione globale non superi del 20% questi limiti. L’esubero potrà essere destinato, se ne sussistono i requisiti, all’ottenimento dell’IGT Basilicata. Qualora la produzione superi detto limite di tolleranza, l’intera partita non potrà essere rivendicata a DOC “Grottino di Roccanova”. Per i vigneti a coltura promiscua la produzione massima di uva a ettaro deve essere rappor-tata alla superficie effettivamente impegnata nella vite.

Norme per la vinificazione

Le operazioni di vinificazione devono essere effettuate nell’ambito del territorio amministrativo della regione Basilica-ta, e le operazioni di imbottigliamento devono essere realizzate nella stessa area di vinificazione.

Resa uva/vino e vino/uva

La resa massima di uva in vino è la seguente:

TIPOLOGIA Resa uva/vino %

“Grottino di Roccanova” Rosato 70

“Grottino di Roccanova” Rosso Riserva 70

“Grottino di Roccanova” Bianco 70

“Grottino di Roccanova” Rosato 70

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

Caratteristiche al consumo

L’immissione al consumo dei vini a denominazione di origine controllata “Grottino di Roccanova” può avvenire nella tipologia.

“Rosso” solo dopo il periodo di maturazione obbligatorio di 9 mesi a partire dal 1° novembre dell’anno di produzione delle uve;

“Rosso Riserva” solo dopo il periodo di maturazione in grotta obbligatorio di 36 mesi a partire dal 1° novembre dell’an-no di produzione delle uve;

“Bianco” solo dopo il periodo di maturazione obbligatorio di 5 mesi a partire dal 1° novembre dell’anno di produzione delle uve;

“Rosato” solo dopo il periodo di maturazione obbligatorio di 5 mesi a partire dal 1° novembre dell’anno di produzione delle uve;

Presentazione e confezionamento

Nella presentazione dei vini è vietata l’aggiunta di qualsiasi qualificazione diversa da quelle previste dal disciplinare, compresi gli aggettivi extra, fine, scelto, selezionato, o sinonimi simili. E’ consentito l’uso di indicazioni che facciano riferimento a nomi, ragioni sociali e marchi privati non aventi significato laudativo e tali da non trarre in inganno il con-sumatore. Nella designazione e presentazione di questo vino DOC è consentito fare riferimento al nome delle seguenti frazioni: Marchese, Calvello, Calderaro, Cersinto, Capolevigne, Muragna, Alzagamba, sant’iorio, Cerasa, Montagnola, Nice, Norce, Rosano, Sanpaolo, Viridario, spadarea, Terzo e Orsoleo. Inoltre è obbligatoria l’indicazione in etichetta dell’annata di produzione delle uve è obbligatoria.

Le tipologie di vini a cui da disciplinare e riconosciuta la denominazione di origine controllata, e cioè: “Rosso”, “Rosso Riserva”, “Rosato” e“ Bianco”, possono essere immessi al consumo in recipienti di volume nominale fino a 10 litri, escluda la dama. Per la tappatura del vino valgono le norme comunitarie e nazionali in vigore. Per tutte le tipologie di vini i recipienti possono essere solo in vetro.

Fonte: Disciplinare di Produzione dei Vini a Denominazione di Origine Controllata “Grottino di Roccanova”

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Capitolo 4

VINIADENOMINAZIONEDIORIGINECONTROLLATADELLAREGIONEBASILICA-TA:ANALISISWOT

PUNTI DI FORZA PUNTI DI DEBOLEZZA

Vocazione dei territori di riferimento alla produzione di uve con caratteristiche organolettiche uniche, tipiche ed inimitabili da destinare alla trasformazione di vini di qualità

Necessità di un adeguamento tecnologico ed infra-strutturale delle aziende che attuano la trasformazione (MATERA DOC – TERRE DELL’ALTA VAL d’AGRI DOC – GROTTINO DI ROCCANOVA DOC)

Forte connubio tra vigna e cantina, le prime fasi della filiera produttiva appaiono fortemente integrate, in quanto il processo di vinificazione è svolto in prevalenza dai viticoltori

Frammentarietà della struttura produttiva del compar-to enologico lucano di qualità con aziende, per lo più medio-piccole, quasi sempre a conduzione familiare, non sempre in grado di sostenere gli elevati costi di produzione, a cui si affianca uno scarso sviluppo della componente imprenditoriale.

Incremento negli ultimi anni delle strutture produttive e delle superfici iscritte agli Albi dei vigneti DOC

Tutte le fasi di produzione sono oggetto di accurati con-trolli che assicurano, il pieno rispetto di tutte le regole previste dal Disciplinare di Produzione della DOC

Decremento negli ultimi anni degli ettolitri di vino DOC prodotti nella regione Basilicata

Presenza di vigneti autoctoni e di vigneti alloctoni da destinare alla produzione enologica di qualità

Elevati costi di produzione (dovuti ai costi di certificazio-ne e ai costi di produzione legati al rispetto degli stan-dard qualitativi imposti dal Disciplinare) condizionano fortemente il prezzo di vendita, rendendo difficoltosa la commercializzazione e la ricerca di nuovi sbocchi di mercato

Adeguamento tecnologico ed infrastrutturale delle im-prese che attuano la trasformazione (AGLIANICO DEL VULTURE DOC)

Forte sensibilità dei produttori a ricercare la qualità del prodotto, al fine di rispondere alle aspettative di qualità dei consumatori

Presenza di imprese fortemente orientate allo sviluppo di nuovi canali commerciali, soprattutto esteri

Mancanza di un indotto del settore nel territorio di pro-duzione legato alla produzione di bottiglie tappi ed eti-chette di qualità

Forte volontà delle aziende vitivinicole lucane al poten-ziamento del marketing e della comunicazione, al fine di incrementare la commercializzazione

Carenza di progettualità e strategie commerciali con l’utilizzo di forme di commercializzazione spesso inade-guate

Presenza di aziende di punta trainanti per il territorio e la produzione

Consumo prevalente dei vini DOC lucani all’interno dei confini della regione stessa.

Viticoltura di qualità lucana in una fase di sviluppo, con l’incremento negli anni del riconoscimento di nuovi vini DOC

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

Elevati livelli qualitativi del prodotto, in quanto le tipo-logie di vini DOC prodotti nella regione Basilicata fanno parte della categoria dei vini Originali(rientrando nelle tipologie Icon, Super Premium e Premium), in cui i carat-teri del vino vengono scelti dal produttore in base alle caratteristiche del vigneto

L’attività di commercializzazione prevalente è rappresen-tata dalla vendita diretta (fenomeno legato con molta probabilità, alle dimensioni aziendali per lo più medio-piccole), limitativa per affrontare il mercato.

OPPORTUNITA’ CRITICITA’

Prevedere strategie di sviluppo del settore con attività di valorizzazione del prodotto e del territorio, basate sulla creazione di eventi culturali e promozionali, con la re-alizzazione di itinerari eno-gastronomici e culturali che permettano la fruizione turistica, delle risorse storico ambientali dei territori legati alle produzioni vitivinicole

Fase delicata del settore vitivinicolo, caratterizzato da una situazione di stallo dei consumi interni, con un mer-cato ormai saturo, il che porta l’esigenza, per i produt-tori, di rivolgersi ai mercati internazionali, caratterizzati da una domanda di qualità e tipicità dei prodotti, in cui però proliferano marchi e denominazioni con una forte concorrenza dei prezzi

Produzioni massime ottenibili non ancora raggiunte (dati dell’Albo Vigneti), possibilità di incrementare la produ-zione

Supporto dei soggetti istituzionali preposti nella fase di promozione e commercializzazione, attraverso una mag-giore valorizzazione dei territori lucani, con un adeguato marketing territoriale e con politiche di programmazione del settore

Difficoltà nella commercializzazione estera a causa di barriere burocratiche e logistiche che creano un aumen-to dei costi, che le aziende medio-piccole del territorio lucano faticano a sostenere, con un relativo aumento del prezzo del prodotto che diventa poco concorrenziale

Agire con iniziative volte a sensibilizzare il settore del-la ristorazione locale al consumo e alla promozione dei vini DOC del territorio, anche attraverso una forte azione pubblica, come avvenuto con la stipula del “Patto diVi-no” (siglato il 19 dicembre 2010 in occasione del Matera Wine Festival) proposto dell’assessorato all’Agricoltura della regione Basilicata per accrescere l’offerta dei vini di Basilicata nei menù, nelle cantine e sui tavoli degli agriturismi del territorio attraverso un accordo tra i pro-duttori vitivinicoli, con i Consorzi di Tutela DOC, gli agri-turismi e i ristoranti lucani.

Mancanza di un’adeguata politica di marketing e promo-zione dei territori di produzione a sostegno del prodotto, una delle principali difficoltà legate alla commercializ-zazione derivano dalla scarsa conoscenza del territorio della regione Basilicata e, di conseguenza dei vini DOC di questa regione.

Consolidare ed aprire nuovi mercati con la partecipa-zione a fiere ed eventi del settore che permettono una maggiore visibilità e conoscenza del prodotto

Difficili rapporti con la grande distribuzione organizzata, alla quale occorre garantire la fornitura di grandi volumi a prezzi non sostenibili dai produttori, comportando a volte una svalutazione di immagine del prodotto

Opportunità di innovare il prodotto e dare maggiore prestigio al territorio con il riconoscimento della DOCG (AGLIANICO DEL VULTURE DOC)

Forte inflazione sul mercato di vini a Denominazione di Origine Controllata, anche a prezzo inferiore, il che com-porta un’elevata concorrenza.

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

Italiano - Marzo-Aprile 2009 – Edizione L’Informatore Agrario, VeronaPENCARELLI t., forlani f. (2006): Il marketing dei prodotti tipici nella prospettiva

dell’economia delle esperienze, Paper, International Congress “Marketing Trends”, Venezia 20-21 gennaio.

RADOGNA F.: Il pane dei Sassi in ORIGINE Il Sapore del Territorio Italiano - Maggio - Giugno 2008 – Edizione L’Informatore Agrario, Verona

REGIONE BASILICATA: D.G.R. 236/2001 Piano Operativo di ristrutturazione e ricon-versione dei vigneti per la Produzione di uve da vino, Potenza

REGIONE BASILICATA - Dipartimento Attività Produttive - Agenzia di Promozione Turistica “Piano turistico regionale – L.R. n. 7/2008”, Potenza, Novembre 2008

REGIONE BASILICATA “Prodotti tradizionali lucani”, Graficom Edizioni, Matera, 2008RISORSE DELLA LUCANIA: Olio della Lucania - Articolo tratto da www.cirigliano.org ROCCO A.: Moliterno, già nel nome emergono riti antichi in Agrifoglio n. 8 – Marzo/

Aprile 2005, a cura dell’Agenzia Lucana di Sviluppo e Innovazione in Agricol-tura (ALSIA) – Edito da Altrimedia S.r.l., Matera/Roma

ROSATI M. (2010): Atlante Qualivita – I prodotti Agroalimentari italiani DOP IGP STG – Edizioni Qualivita, Siena

RRN: La Biodiversità in Italia. Mediterraneo, evoluzione di un’antica ricchezza (http://www.reterurale.it/flex/cm/pages/ServeBLOB.php/L/IT/IDPagina/4119

Disciplinaridiproduzione

Disciplinare di Produzione dell’Olio Extravergine di Oliva “Vulture” a Denominazio-ne di Origine Protetta – denominazione in protezione transitoria ai sensi del D.M. 25/03/2005 - (pubbl. Gazz. Uff. n. 78 del 5/04/2005 - Rettifica pubblicata in Gazz. Uff. n. 142 del 21/06/2005).

Disciplinare di Produzione del “Pane di Matera” ad Indicazione Geografica Protetta - riconoscimento ai sensi del Reg. CE n. 160 DEL 21/2/2008 (pubbl. GUUE del 22/02/2008)

Disciplinare di Produzione del “Pane di Matera” ad Indicazione Geografica Protetta – Scheda Riepilogativa del Riconoscimento in Protezione transitoria (pubbl. GUCE del 9/06/2007)

Disciplinare di Produzione dei Fagioli ad Indicazione Geografica Protetta “Fagioli di Sarconi” – riconoscimento ai sensi del Reg. CE n. 1263 del 01/07/1996 (pubbl. GUCE L. 163 del 02/07/1996)

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bibliografia

Disciplinare di Produzione dei Peperoni ad Indicazione Geografica Protetta “Pepe-roni di Senise’’ – riconoscimento ai sensi del Reg. CE 1263 del 01/07/1996 (pubbl. GUCE L. 163 del 02/07/1996)

Disciplinare di Produzione della Denominazione di Origine Protetta “Caciocavallo Silano” – riconoscimento ai sensi del Reg. CE n. 1263 del 01/07/1996 (pubbl. GUCE L. 163 del 02/07/1996)

Disciplinare di Produzione della Denominazione d’Origine Protetta “Fagioli Bianchi di Rotonda” – denominazione in protezione transitoria ai sensi del D.M. del 2/04/2008 (pubbl. Gazz. Uff. n. 89 del 15/04/2008)

Disciplinare di Produzione della Denominazione d’Origine Protetta “Melanzana Rossa di Rotonda” – riconoscimento ai sensi del Reg. UE n. 624 del 15/07/10 (pubbl. GUUE L. 182 del 16/07/10

Disciplinare di Produzione della Denominazione di Origine Protetta “Pecorino di Filiano” – riconoscimento ai sensi del Reg. CE n. 1485 del 14/12/07 (pubbl. GUCE L. 330 del 15/12/07

Disciplinare di Produzione Denominazione di Origine Controllata del Vino “Aglianico del Vulture” – riconoscimento ai sensi del DPR del 18 Febbraio 1971 - Modi-ficato dal D.M. 9 marzo 1987

Disciplinare di Produzione dei Vini a Denominazione di Origine Controllata “Ter-re dell’Alta Val d’Agri” - riconoscimento ai sensi del D.M. 04.09.2003 (pubb. Gazz. Uff. n. 214 del 15/09/2003)

Disciplinare di Produzione dei Vini a Denominazione di Origine Controllata “Grottino di Roccanova” - riconoscimento ai sensi del D.M. 24/07/2009 (Pubbl. Gazz. Uff. n. 184 del 10/08/2009)

Disciplinare di Produzione del Vino a Denominazione di Origine Controllata “Ma-tera” - riconoscimento ai sensi del D.M. 06/07/2005 (pubbl. Gazz. Uff. n. 163 del 15/07/2005 )

Disciplinare di Produzione per il Formaggio Pecorino ad Indicazione Geografica Protetta “Canestarto di Moliterno” – riconoscimento ai sensi del Reg. UE n. 441/2010 (pubbl. GUUE del 22/05/2010)

Proposta di Disciplinare di Produzione per il formaggio pecorino ad Indicazione Geografica Protetta “Canestrato di Moliterno Stagionato in Fondaco”

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sitografia

Sitografia:

Portale delle due DOP “Melanzana Rossa di Rotonda” e “Fagioli Bianchi di Roton-da”: www.biancoerossadop.it

Portale Regionale dei Servizi di Sviluppo in Agricoltura: www.ssabasilicata.itSito A.S.S.A. Associazione Sviluppo Storico Ambientale (Senise) – ONLUS:

www.assa-onlus.itSito aziende produttrici “Matera” DOC: www.dragonevini.it – www.cerrolongo.itSito “Caciocavallo Silano” DOP: www.caciocavallosilano.netSito “Canestrato di Moliterno”: www.canestratodimoliterno.infoSito Cirigliano: www.cirigliano.org Sito Comune di Roccanova: www.comune.roccanova.pz.itSito Comune di Senise: www.comune.senise.pz.itSito Consorzio di Tutela del “Pane di Matera”: www.consorziopanedimatera.comSito Consorzio di Tutela Vini “Matera” DOC: www.doc.matera.itSito e-commerce: www.attoadivenire.comSito “Fagioli di Sarconi” IGP: www.fagiolidisarconi.itSito informativo: www.vacanzefaidate.itSito ISMEA: www.ismea.itSito “Matera” DOC: www.vinomateradoc.itSito “Melanzana di Rotonda” DOP: www.melanzanarossa.orgSito Ministero delle Politiche Agricole Alimentari e Forestali:

www.politicheagricole.itSito Proloco Filiano: www.prolocofiliano.itSito promozione Sarconi: www.sarconiweb.itSito Regione Campania: www.agricoltura.regione.campania.it Sito Roccanova: www.roccanova.ueSito “Terre dell’Alta Val D’Agri” DOC: www.terredellaltavaldagri.itSito territorio del Vulture: www.ilvulture.itSito vini Basilicata: www. vinobasilicata.it

BibliografiafotoSchedeProdotto:

Immagine tratta da articolo “L’Olio Extravergine DOP del Vulture” - Naturale Tipico ma soprattutto Lucano, a cura dell’Agenzia Lucana di Sviluppo e Innovazione in Agricoltura (ALSIA), iniziativa editoriale realizzata in collaborazione con ORIGINE

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agrobiodiversità e produzioni di qualità in basiliCata

- Il sapore del territorio italiano, Edizioni L’Informatore Agrario - Verona. (Pag. 5)Immagini tratte da articolo “I fagioli di Sarconi IGP” - Naturale Tipico ma soprat-tutto Lucano - a cura dell’Agenzia Lucana di Sviluppo e Innovazione in Agricoltura (ALSIA), iniziativa editoriale realizzata in collaborazione con ORIGINE - Il sapore del territorio italiano, Edizioni L’Informatore Agrario - Verona. (pag. 17)Immagine tratta da articolo “I fagioli di Rotonda” - Naturale Tipico ma soprattutto Lucano, a cura dell’Agenzia Lucana di Sviluppo e Innovazione in Agricoltura (ALSIA), iniziativa editoriale realizzata in collaborazione con ORIGINE - Il sapore del territo-rio italiano, Edizioni L’Informatore Agrario - Verona. (Pag. 22)ORIGINE – Il Sapore del Territorio Italiano - n. 3 Maggio/Giugno 2008 – Edi-zione L’Informatore Agrario (Verona) – Pag. 34 e 36 (http://www.informatorea-grario.it/ita/riviste/origine/08Or03/pane.pdf)Gazzetta del Mezzogiorno del 15 marzo 2010 foto tratta da articolo di E. Oliva “Il pane di Matera IGP patrimonio dell’umanità”

SitografiafotoSchedeProdotto:

http://www.agraria.org/prodottitipici/caciocavallosilanocaprinotrentino.htmhttp://www.caciocavallosilano.net/http://www.naturalmentebuono.it/silano.html http://www.alimentapress.com/2009/06/05/il-caciocavallo-silano-dop- ve-ro-prodotto-italiano/ http://www.comune.santangeloascala.av.it/index.php?action=index&p=214http://www.leiweb.it/cucina/scuola-di-cucina/prodottitipici/09_g_guida-formaggi-italiani_11.shtmlhttp://www.agricoltura.regione.campania.it/Tipici/caciosil-new.htmlhttp://www.pizzimenti.it/negozio/index.php?main_page=product_info&products_id=188http://www.bravoitalygourmet.it/it/dett_prodotto/MTMzMC1mYWRhNDA,/cacioca-vallo_silano_dop.htmlhttp://www.lucianopignataro.it/a/il-canestrato-di-moliterno-raccontato-da-federi-co-valicenti/13405/http://www.canestratodimoliterno.info/comunicazione_brochure_istituzionale.htmlhttp://www.conipiediperterra.com/tag/slow-food-presidihttp://www.basilicatanet.com/ita/web/item.asp?nav=canestratodimoliterno

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sitografia

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http://www.cesp.it/sez_2007_11_3011_39_38/sportello_agricoltura/tutela-dei-pro-dotti-della-provincia-di-matera/pane-di-matera-igphttp://www.vacanzeinbasilicata.it/Sapori-Lucani/Prodotti-Tipici/Pane-di-Matera-IGP.asphttp://www.ilmiotg.it/08/index.php?option=com_content&view=article&id=2559:il-pane-di-matera-igp-su-raiuno&catid=36:comunicati-stampa&Itemid=85http://www.consiglio.basilicata.it/consiglionew/files/docs/16/57/98/DOCUMENT_FILE_165798.pdfhttp://www.vacanzefaidate.com/community/1022 (articolo di Innbasilicata.it “Le vie dell’oro giallo”)http://www.oleificimasturzo.it/azienda.htmlhttp://www.ssabasilicata.it/CANALI_TEMATICI/Educazione_alimentare/Menu4/Dop/dop_0003.htmlhttp://www.ssabasilicata.it/CANALI_TEMATICI/Educazione_alimentare/Menu4/Dop/dop_0002.htmlhttp://www.ssabasilicata.it/CANALI_TEMATICI/Educazione_alimentare/Menu3/dop_igp.htmlhttp://www.ssabasilicata.it/CANALI_TEMATICI/Educazione_alimentare/Menu4/Dop/dop_0001.htmlhttp://www.ssabasilicata.it/CANALI_TEMATICI/Educazione_alimentare/Menu4/Dop/dop_0006.htmlhttp://www.ssabasilicata.it/CANALI_TEMATICI/Educazione_alimentare/Menu4/Dop/dop_0007.htmlhttp://www.ssabasilicata.it/CANALI_TEMATICI/Educazione_alimentare/Menu4/Dop/dop_0011.htmlhttp://www.ssabasilicata.it/CANALI_TEMATICI/Educazione_alimentare/Menu4/Dop/dop_0004.htmlhttp://www.ssabasilicata.it/CANALI_TEMATICI/Educazione_alimentare/Menu4/Dop/dop_0005.htmlhttp://www.ssabasilicata.it/CANALI_TEMATICI/Educazione_alimentare/Menu4/Protezione/protezione_0004.html

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