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PAGINA 1 edit Incontro di civiltà ANDREA BAGNI Appena finita la peggiore campagna elettorale mai vista, sarebbe bello che quella che si sta per aprire sulla Costituzione fosse la campagna referendaria dei nonni. Dei nonni e dei nipoti. Delle narrazione e delle traduzioni. I “corpi intermedi” infatti sono diventati un casi- no. Sia quelli in carne e ossa della generazione che si è installata nella sfera del Politico: generazione maschile padrona delle tecniche, che tutto considera a disposizione delle media- zioni e delle manipolazioni; che ha smarrito i fondamenti e si affida i fondamentalismi, di laidi “laici devoti” con i loro crocefissi simboli non di religione ma di laicità (i primi a imbe- stialirsi dovrebbero essere i credenti veri) e le magliette di ministri che sono già loro una vignetta. Sia quelli istituzionali che dovrebbero essere rappresentativi, ridotti alle rappresen- tazioni di Matrix o Porta a Porta. Peraltro sempre più tristi, nello spazio vuoto fra ordinamenti e scuola reale, sono anche i nostri collegi docenti, incapaci di dare parola a quella vita che è viva altrove: sotto, nelle classi o fuori nelle piazze. Invece mi sembra che nonni e nipoti abbiano un’occasione, e ce la possano regalare. Quella di raccontarsi l’esperienza e il desiderio di altro: di un tempo che non appartiene a questa politica, mediocre gara televisiva di manifesti o di marketing – chi ha sorriso di più, chi ha fatto le battute migliori, chi era vestito meglio, chi ha dato più spettacolo. Il tempo costi- tuente della polis, come progetto e desiderio di una nuova vita personale e collettiva. Incon- tro di civiltà. Un altro tempo e un altro spazio. Quello delle piazze e delle aule. Lo spazio discorsivo che legge e scrive fra le righe del testo costituzionale. Ritrova il senso del giuridico nell’extra- giuridico, della politica nella dimensione della vita segnata dall’esperienza della guerra e del fascismo; nella resistenza che prefigura nelle sue pratiche il sogno di un altro paese che cerca di farsi programma. Per niente facile. Per i “corpi intermedi” come i nostri docenti, sempre un po’ disincantati sfiduciati depressi, potrebbe essere l’occasione di ritrovare un po’ di domande di fondo e di passioni vere. Perché quando vengono i partigiani a raccontare la Costituzione fanno effetto. Parlano di storie e di storia, di politica e di vita. Di amicizia fratellanza felicità. L’ascolto che ottengono è quasi miracoloso e anima la grammatica profonda della carta costituzionale. Il famoso compromesso fra cattolici liberali e marxisti era qualcosa di alto (non da bicamerale) nella rinuncia a portare una verità assoluta, la volontà di dio o la Rivoluzione nel mondo attraverso lo stato. Si trattava di creare le condizioni e i luoghi per cercare. Spazi interme- di come luoghi pubblici, organizzati (nei partiti magari) ma anche fluidi, per corpi veri, sessuati e “sporgenti” di utopia e desiderio. Si trattava di garantire le forme di una dinamica, di una ricerca collettiva. Di una felicità che sta nel movimento – nei movimenti – più che nell’ordine degli arrivi. Senza finalismi, verità rivelate da qualche testo sacro da raggiungere una volta per tutte, sotto qualche alta guida. Si tratta di inventarsi, felici di cercare. Poi ra- gazze e ragazzi penseranno alle traduzioni. Una bambina sull’articolo 3 della Costituzione dice, non si prendono in giro le persone, a me mi prendono in giro perché sono piccola ma non è giusto. Un’altra aggiunge, anche il mio cane l’han- no offeso perché è piccolino. È scritto nella Co- stituzione che non è giusto maestra? Sì, è scrit- to nella Costituzione. Si tratta di leggere, senti- re la storia e tradurre nella propria vita.

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Incontro di civiltàANDREA BAGNI

Appena finita la peggiore campagna elettorale mai vista, sarebbe bello che quella che sista per aprire sulla Costituzione fosse la campagna referendaria dei nonni. Dei nonni e deinipoti. Delle narrazione e delle traduzioni. I “corpi intermedi” infatti sono diventati un casi-no. Sia quelli in carne e ossa della generazione che si è installata nella sfera del Politico:generazione maschile padrona delle tecniche, che tutto considera a disposizione delle media-zioni e delle manipolazioni; che ha smarrito i fondamenti e si affida i fondamentalismi, dilaidi “laici devoti” con i loro crocefissi simboli non di religione ma di laicità (i primi a imbe-stialirsi dovrebbero essere i credenti veri) e le magliette di ministri che sono già loro unavignetta. Sia quelli istituzionali che dovrebbero essere rappresentativi, ridotti alle rappresen-tazioni di Matrix o Porta a Porta. Peraltro sempre più tristi, nello spazio vuoto fra ordinamentie scuola reale, sono anche i nostri collegi docenti, incapaci di dare parola a quella vita che èviva altrove: sotto, nelle classi o fuori nelle piazze.Invece mi sembra che nonni e nipoti abbiano un’occasione, e ce la possano regalare. Quella diraccontarsi l’esperienza e il desiderio di altro: di un tempo che non appartiene a questapolitica, mediocre gara televisiva di manifesti o di marketing – chi ha sorriso di più, chi hafatto le battute migliori, chi era vestito meglio, chi ha dato più spettacolo. Il tempo costi-tuente della polis, come progetto e desiderio di una nuova vita personale e collettiva. Incon-tro di civiltà.Un altro tempo e un altro spazio. Quello delle piazze e delle aule. Lo spazio discorsivo chelegge e scrive fra le righe del testo costituzionale. Ritrova il senso del giuridico nell’extra-giuridico, della politica nella dimensione della vita segnata dall’esperienza della guerra e delfascismo; nella resistenza che prefigura nelle sue pratiche il sogno di un altro paese che cercadi farsi programma. Per niente facile.Per i “corpi intermedi” come i nostri docenti, sempre un po’ disincantati sfiduciati depressi,potrebbe essere l’occasione di ritrovare un po’ di domande di fondo e di passioni vere. Perchéquando vengono i partigiani a raccontare la Costituzione fanno effetto. Parlano di storie e distoria, di politica e di vita. Di amicizia fratellanza felicità. L’ascolto che ottengono è quasimiracoloso e anima la grammatica profonda della carta costituzionale. Il famoso compromesso

fra cattolici liberali e marxisti era qualcosa di alto(non da bicamerale) nella rinuncia a portare unaverità assoluta, la volontà di dio o la Rivoluzionenel mondo attraverso lo stato. Si trattava di crearele condizioni e i luoghi per cercare. Spazi interme-di come luoghi pubblici, organizzati (nei partitimagari) ma anche fluidi, per corpi veri, sessuati e“sporgenti” di utopia e desiderio. Si trattava digarantire le forme di una dinamica, di una ricercacollettiva. Di una felicità che sta nel movimento –nei movimenti – più che nell’ordine degli arrivi.Senza finalismi, verità rivelate da qualche testosacro da raggiungere una volta per tutte, sottoqualche alta guida.Si tratta di inventarsi, felici di cercare. Poi ra-gazze e ragazzi penseranno alle traduzioni.Una bambina sull’articolo 3 della Costituzionedice, non si prendono in giro le persone, a me miprendono in giro perché sono piccola ma non ègiusto. Un’altra aggiunge, anche il mio cane l’han-no offeso perché è piccolino. È scritto nella Co-stituzione che non è giusto maestra? Sì, è scrit-to nella Costituzione. Si tratta di leggere, senti-re la storia e tradurre nella propria vita.

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[EV] WcReeV^a`

L’inguaribilemal di testPAOLO CHIAPPE

Che cosa sta succedendo nella

materialità della macchina

della scuola-università

italiana, cioè nelle sue

strutture organizzative

concrete, nelle regole scritte

e non scritte di selezione e

canalizzazione, nel

comportamento sociale dei

milioni di soggetti che

l’abitano e l’attraversano? Se

è difficile farsi un quadro

sintetico definitivo, si

possono individuare alcuni

fenomeni e anche episodi

emblematici

Un grande ricambio generazionale diinsegnanti dovrebbe, secondo logica, es-sere imminente per motivi anagrafici, in-vece l’inserimento dei “giovani insegnan-ti” è sempre più marcato dalla precarie-tà, dall’emigrazione interregionale e dalritardo (ci sono precari cinquantenni): masenza una seria prospettiva di stabilizza-zione per centinaia di migliaia di nuoviinsegnanti giovani, non si può pensare anessuna progettualità per il presente e ilfuturo della scuola pubblica.La questione precari, come sempre e an-cora più di sempre, non è una questionesindacale ma di struttura e di senso per ilsettore pubblico. Nella scuola e nella pub-blica aministrazione si gioca uno scontrodi avanguardia per lo statuto di tutta laforza lavoro: qui emerge infatti in modopiù trasparente il conflitto tra precarietàdel rapporto e qualità dei risultati.Lo spostamento di iscrizioni dopo la ter-za media verso i vari indirizzi liceali, so-prattuto gli scientifici, a scapito soprat-tutto dei tecnici lasciati senza prospetti-ve, è un modo che hanno le famiglie pervotare implicitamente contro la riformaMoratti. È un chiaro “no” a un destinosubalterno. Del resto la canalizzazioneprecocissima è messa sotto accusa ormaianche nel paese dove ha funzionato rela-tivamente “meglio” (mi riferisco al gradodi accettazione sociale), la Germania, enon si vede perché dovrebbe essere in-trodotta fuori tempo massimo da noi. Malo spostamento verso i licei è ben lonta-no dal manifestare una convincente con-sapevolezza sociale di obiettivi formati-vi, come dimostra la perdurante debolez-za dei nostri alunni nel settore matema-tico e scientifico e l’ulteriore crollo dellescelte di iscrizione universitaria in que-ste facoltà.

Tagli e sponsor

Gli istituti subiscono tagli finanziari checolpiscono sia il fondo per il funziona-mento amministrativo (molte scuole sonoinsolventi per la tassa sui rifiuti) sia ilfondo di istituto destinato a finanziare

la progettualità autonoma. Non esistonopoi più le indennità di trasferta a caricodel bilancio dello Stato. Gli effetti di que-st’ultima novità sui viaggi di istruzione(ma anche scambi culturali) al di fuoridel comune di servizio – almeno quelli in

territorio nazionale – saranno per il mo-mento modesti, perché gli insegnanti era-no già abituati a farsene carico come attodi volontariato, per un compenso men chesimbolico. Tuttavia sull’abolizione defi-nitiva dell’indennità sta scritto a letteredi bronzo: tu non conti nulla e quindi nonc’è nulla di importante che tu debba an-dare a fare fuori da quelle quattro mura.Secondo alcuni questo tipo di tagli po-trebbe dare alle scuole (ad alcune soprat-tutto, quelle con un bacino sociale piùabbiente) la spinta decisiva a far entraregli sponsor privati nel finanziamento enella gestione e a chiedere alle famigliemolto maggiori contributi per le attivitàaggiuntive.

La selezione degli utenti

Niente di strano quindi se assisteremo neiprossimi anni a un tentativo di una partedegli istituti autonomi di selezionarel’utenza secondo un progetto culturale esociale “ambizioso”. Il primo indizio chesi possa andare in questa pericolosa di-rezione viene da una scuola di Napolimolto richiesta, il liceo scientifico Vico,che ha messo in opera per primo la sele-zione in accesso mediante test.La selezione è un fatto materiale ma an-che ideologico: lo dimostra la curiosa vi-cenda della facoltà di ingegneria gestio-nale del Politecnico di Milano, che haadottato la “regola del venticinque”, hastabilito cioè che i voti di ogni sessionedi esame per ogni materia non possanoavere una media superiore al venticin-que. A parte l’ovvia illegalità di un simi-le criterio, che fa dipendere i risultati diun candidato da quelli di chi l’ha prece-duto, è interessante conoscere la moti-vazione di questo provvedimento inter-no: occorre far abbassare i voti, troppocresciuti negli ultimi anni, per poter se-lezionare i migliori.

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Il progetto deve essere cono-sciuto meglio di quanto sia reso possi-bile dagli slogan diffusi dalle forze po-litiche. Non è una lettura facile, ancheperché lo stile delle nuove disposizioniè spesso lontano dalla linearità e dallachiarezza che caratterizzano il testodella Carta del 1947.Ma andiamo alla sostanza. La riformainveste quattro capitoli: la cosiddettadevolution, la struttura del Parlamen-to, i rapporti fra i supremi organi digoverno (Parlamento, Governo, Presi-dente del Consiglio, Presidente dellaRepubblica), gli organi di garanzia.Contrariamente a quel che potrebbeapparire dall’enfasi posta sul progettoda chi soprattutto l’ha fortissimamen-te voluto, non è la parte sui rapportifra Stato e autonomie regionali e loca-li (la devolution) quella più incisiva néquella più pericolosa. In realtà i cam-biamenti più sostanziosi di questa par-te dell’assetto costituzionale sono sta-ti già fatti con la riforma entrata invigore nel 2001, e che questa ulterioreriforma in gran parte lascia intatta. Qui,oltre a correzioni marginali delle nor-me allora varate, si propongono soprat-tutto due innovazioni.La prima sarebbe l’introduzione di al-cune competenze legislative qualifica-te come “esclusive” delle Regioni in trematerie (assistenza e organizzazionesanitaria; organizzazione scolastica eparte dei programmi scolastici di inte-resse regionale; polizia amministrativa

regionale e locale), che però “esclusi-ve” non sono affatto. Infatti, mentrela materia “polizia amministrativa” (bendistinta da quella dell’ordine e dellasicurezza pubblica) è già ora, e reste-rebbe, di competenza delle Regioni, edunque nulla cambierebbe sostanzial-mente, per quanto riguarda sanità escuola il progetto non toglie allo Statola competenza a dettare “norme gene-rali” sulla tutela della salute e sull’istru-zione, né a stabilire i “livelli essenzia-li” delle prestazioni relative ai diritti,né a dettare i “principi fondamentali”in materia di istruzione. I giuristi po-trebbero discutere a lungo sul signifi-cato che avrebbe l’accostare a questecompetenze, che restano in capo alloStato, una competenza sedicente“esclusiva” delle Regioni, tenuto con-to anche che la Costituzione in vigoregià riconosce ampie competenze allestesse Regioni in queste stesse mate-rie.Forse dietro alla bandiera della “devo-luzione” possono nascondersi intenzio-ni – queste sì pericolose – di abbando-no da parte dello Stato del ruolo at-tualmente svolto nell’assicurare siste-mi nazionali di sanità e di istruzione.Ma, appunto, sarebbero intenzioni, cuinon corrisponderebbe il tenore testua-le delle nuove disposizioni. E alloraperché tanta insistenza sulle presuntenovità della “devoluzione”? La rispo-sta è che si tratta in larga parte, ap-punto, di una riforma-bandiera.

La riforma bandiera

Ad essa fa riscontro un’altra “bandie-ra” di segno eguale e contrario: la rein-troduzione nel progetto di un mecca-nismo di impugnazione delle leggi re-gionali davanti al Parlamento e di an-nullamento di queste per iniziativa delGoverno in caso di contrasto conl’“interesse nazionale”: meccanismo giàprevisto dalla Costituzione del 1947,mai applicato in concreto, formalmen-te abolito nel 2001, e che non v’è ra-gione di pensare che possa avere uneffetto positivo in futuro (anzi).La verità è che in questo campo il pro-blema vero non è più quello dei poterilegislativi o amministrativi da ricono-scere costituzionalmente alle Regionio agli enti locali, ma è quello dell’ap-plicazione concreta delle previsionidella Costituzione già in vigore, e del-l’assetto finanziario e fiscale, prefigu-rato da questa e sempre in attesa diattuazione. La riforma quindi non in-terviene sul terreno giusto, e anzi, inuna norma finale, “taglia le gambe”all’autonomia fiscale di Regioni, Pro-vince e Comuni, prevedendo che essanon possa mai condurre ad un aumen-to della pressione fiscale complessiva:il che significherebbe lasciare alla buo-na volontà dello Stato centrale la crea-zione di margini (presumibilmente mi-nimi) per l’esercizio di tale autonomia.Né si potrebbe sostenere che la riformacompleti il disegno dei poteri locali

Costituzione.Una riforma sbagliata e pericolosa

VALERIO ONIDA *

Il progetto di riforma della seconda parte della Costituzione,

approvato definitivamente dal Parlamento nel novembre 2005, non è ancora legge

(costituzionale) perché, essendo stato approvato con una maggioranza inferiore a due terzi, è

stato chiesto su di esso il referendum, che avrà luogo presumibilmente nel prossimo giugno.

Diverrà legge solo se la maggioranza dei votanti (qualunque ne sia il numero: non c’è il

cosiddetto quorum di validità del referendum) lo approverà.

Le sorti della riforma sono perciò interamente, ora, nelle mani dei cittadini

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precreando una vera “Camera delle Regio-ni” o delle autonomie locali. Il Senatoverrebbe infatti bensì ribattezzato “fe-derale”, ma resterebbe un’assembleaeletta direttamente da tutti i cittadinifra persone il cui unico legame con laRegione potrebbe limitarsi ad esserequello di risiedere anagraficamente nelrispettivo territorio, con la sola parte-cipazione senza diritto di voto di rap-presentanti delle Regioni e degli entilocali.“Federalismo” è dunque un’altra paro-la impropriamente usata dal progetto.Di ulteriore “federalizzazione” della Re-pubblica invero non si tratta affatto,in concreto: ancora una volta è solouna riforma di bandiera o di parole.

Il premierato forte

Molto diversa e più incisiva è la porta-ta del progetto in tema di struttura delParlamento e di rapporti fra gli organidi governo.All’attuale “bicameralismo paritario”succederebbe una distinzione fra i com-piti legislativi delle due Camere, fon-data sulla distinzione fra materie dicompetenza esclusiva dello Stato ematerie di competenza “concorrente”(Stato e Regioni). Si avrebbero cioè trediversi procedimenti legislativi – unoa preminenza della Camera dei depu-tati, uno a preminenza del Senato, unterzo bicamerale come oggi – più al-cune varianti, a seconda che l’oggettodelle leggi tocchi una o altra “mate-ria”. Ma gli addetti ai lavori sanno chequando si fa una legge (poniamo inmateria di scuola) non sarebbe facilené forse possibile tenere distinte “nor-me generali” (competenza statale,quindi della Camera), “principi fonda-mentali” vincolanti per l’esercizio deipoteri regionali (competenza concor-rente, quindi del Senato), “livelli es-senziali delle prestazioni” (competen-za bicamerale). Il procedimento legi-slativo sarebbe fonte di continue in-certezze, conflitti, innaturali separa-zioni fra oggetti. Il progetto, per dipiù, ipotizza meccanismi concordati disoluzione dei conflitti fra le Camere chepotrebbero non funzionare in concre-to e che comunque darebbero luogo asoluzioni “non sindacabili in alcunasede”: il che contrasterebbe palese-mente con la competenza generalespettante alla Corte costituzionale, digarantire l’osservanza di tutte le nor-me della Costituzione, e aprirebbe lastrada a contraddizioni fra ciò che sidecidesse in sede di procedimento le-

gislativo e ciò che continuerebbe adecidersi, in sede di giudizio costitu-zionale, nei conflitti fra Stato e Re-gioni. Dal bicameralismo “perfetto”,dunque, passeremmo ad un bicamera-lismo “impossibile”.

La vera anima della riforma

Fin qui si sono viste riforme imprati-cabili o pasticciate. Ma la vera anima(e l’anima pericolosa) della riforma stanel sistema di governo. Nel nostro equi-librato sistema parlamentare attuale lamaggioranza che esce dalle elezioniesprime il Governo sorretto dalla fidu-cia parlamentare, finché questa per-mane; il Presidente del Consiglio diri-ge la politica del Governo e ne è re-sponsabile, in un quadro in cui poterecollegiale del Governo e potere mono-cratico del Premier si integrano; il Capodello Stato esercita poteri di garanziae di equilibrio soprattutto intervenen-do sullo in sede di formazione del Go-verno e di scioglimento delle Camere.La riforma porterebbe a questo: il Pre-sidente del Consiglio, ribattezzato Pri-mo Ministro, sarebbe espresso diretta-mente dall’elettorato e non più dallamaggioranza parlamentare, che dovreb-be invece essere a lui “collegata” inbase alla legge elettorale. Non vi sa-rebbe più il voto di fiducia, ma solouna eventuale sfiducia a cui consegui-rebbero non solo le dimissioni del Go-verno ma anche lo scioglimento dellaCamera, la quale potrebbe evitarlo sol-tanto designando un nuovo Primo Mi-nistro, ma solo con i voti della stessamaggioranza originaria, e per prose-guire l’attuazione dell’originario pro-gramma di governo (il che, con Gover-ni di coalizione, risulterebbe pratica-mente impossibile). Il Primo Ministrosi assumerebbe la “esclusiva respon-sabilità” dello scioglimento della Ca-mera, sottraendo questo strumento alcontrollo del Capo dello Stato. Il Go-verno avrebbe il potere di condiziona-re il voto della maggioranza della Ca-mera minacciando lo scioglimento diquesta. In sostanza, non avremmo piùuna maggioranza che esprime un Go-verno e un Premier, ma un Premier checontrolla Governo e Parlamento tenen-do sotto controllo la “sua” maggioran-za. Un sistema che forse non dispiace-rebbe troppo ai fautori del “premiera-to forte” (dimentichi peraltro del fat-to che gli ultimi anni mostrano unarealtà molto lontana da quella di Go-verni instabili e deboli di ormai anticamemoria, e già invece sbilanciata a

tutto favore dell’esecutivo): ma cherischierebbe, in nome della presuntanecessità di “più Governo” , di farcipassare da esperienze che qualcunotacciava di “consenso senza governo”a esperienze perigliose di “governosenza consenso”. La estrema concen-trazione del potere politico contraste-rebbe con le esigenze di contrappesi edi equilibri propri di un sano sistemacostituzionale.

Gli organi di garanzia

A completamento di questo quadro,stanno le riforme che toccano organidi garanzia. Da un lato il Consiglio su-periore della magistratura si vedrebbesottrarre il potere di eleggere il pro-prio vice Presidente (il Presidente è ilCapo dello Stato): una “puntura di spil-lo” nella direzione di una riduzionedell’autonomia dell’organo garante del-l’indipendenza della magistratura. Dal-l’altro lato la Corte costituzionale ve-drebbe aumentare i propri componentidi elezione parlamentare, quindi di de-signazione dei partiti, da cinque a sette(fra Camera e Senato), e diminuire cor-rispondentemente da cinque a quattroi giudici eletti dalle magistrature equelli nominati del Capo dello Stato;mentre si aprirebbe anche ai Comunila possibilità di impugnare direttamen-te le leggi statali e regionali, con ri-schio di una inflazione del contenzio-so. Soprattutto la rottura dell’attualeequilibrio delle fonti di nomina deigiudici costituzionali potrebbe prelu-dere ad una riduzione dell’autonomiadella Corte dal sistema politico in sen-so stretto, e quindi ad un indebolimen-to del suo ruolo di garanzia.Ce n’è abbastanza per un giudizio lar-gamente negativo su questo progetto.Sul piano del metodo, poi, non si puòmancare di esprimere allarme di fron-te ad una riforma voluta, elaborata eapprovata dalla sola maggioranza digoverno (che ha così ripetuto e dimolto aggravato l’errore compiuto dalcentro sinistra quando varò a strettamaggioranza, alla fine della preceden-te legislatura, la riforma del titolo Vsulle Regioni, le Province e i Comuni,poi approvata dal referendum), al difuori di quel largo consenso che do-vrebbe sempre assistere la revisionedella Costituzione, che non è una leg-ge qualsiasi, espressione dell’indirizzopolitico di una maggioranza contingen-te, ma è la tavola delle regole e deiprincipi validi per tutti e dovrebbe re-stare patrimonio di tutti.

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La priorità assoluta: sconfiggereBerlusconi e ripristinare lademocrazia nel paese

Ogni ipotesi di politica scolastica con-forme ai principi costituzionali presup-pone la cacciata del governo Berlusco-ni e del berlusconismo; l’esperienza diquesti anni ci ha concretamente dimo-strato che non solo la Casa delle Liber-tà è pericolosa per la sopravvivenzadella democrazia del nostro Paese, mache tutte le forme di protesta che sisono sviluppate nel Paese non hannoimpedito alle destre di portare avantiil loro disegno eversivo; cacciare Ber-lusconi ed i suoi alleati è quindi oggiuna priorità assoluta che impone a tuttii democratici il massimo impegno uni-tario a sostegno dell’Unione.Il documento programmatico dell’Unio-ne elaborato in modo verticistico è permolti aspetti, anche per le politicheformative, vago e deludente; non riflet-te le esigenze che i movimenti di lottain questi anni hanno espresso e rap-presenta mediazioni e scelte non sem-pre accettabili e in taluni aspetti mol-to ambigue; tali considerazioni nonpossono però in modo assoluto giusti-ficare posizioni astensioniste.In occasione delle elezioni sarà pertan-to necessario votare e far votare perl’Unione; ma tale impegno non può si-gnificare condivisione delle scelte con-tenute nel programma e, tanto meno,delega ai vertici dei partiti.Il mondo della scuola deve pertantoriproporsi come forza protagonista diun processo riformatore che deve par-tire dalle scuole ed elaborare proprieproposte per una politica scolasticacondivisa.Sarà pertanto necessario un approfon-dimento ed una chiarificazione soprat-tutto sull’idea di scuola che si vuole re-alizzare; oggi difatti possiamo tutti quan-ti convenire che non vogliamo la scuola

della Moratti e che quindi vogliamo unapolitica alternativa a quella della Morat-ti; il NO alla Moratti è senza dubbio ne-cessario, ma non sufficiente.

Prima di tutto: abrogazioneimmediata delle leggi Moratti

Il documento programmatico dell’Unio-ne non assume in merito all’abrogazio-ne delle leggi Moratti una posizionechiara; in questi anni di opposizionealla politica della Moratti si è viluppa-ta nel Paese e nelle scuole una ampiamobilitazione con una chiara parolad’ordine: “abrogazione immediata del-le leggi Moratti”; con questa parolad’ordine si è realizzata nelle scuole unaforte resistenza che ha impedito finorauna piena attuazione delle leggi Mo-ratti; una politica scolastica alternati-va a quella delle destre presupponepertanto l’abrogazione immediata del-le leggi Moratti.Tali leggi difatti non sono emendabili;esse rappresentano difatti un’idea discuola che, coerente con l’idea di so-cietà classista delle destre, ha il com-pito di riprodurre la gerarchizzazionedei ruoli sociali esistenti nella società:una scuola cioè volta a mantenere eriprodurre le disuguaglianze sociali ele esclusioni; un’idea di scuola cioè checontrasta con il ruolo che la Costitu-zione assegna all’istruzione scolasticastatale, e cioè la scuola per l’uguaglian-za e la democrazia.Non sono pertanto possibili modificheparziali che sarebbero sempre internee quindi subalterne, alla logica del si-stema morattiano; l’orario scolastico“spezzatino”, la gerarchizzazione deiruoli all’interno del corpo docente, ilforte ridimensionamento del ruolo de-gli organi collegiali, la canalizzazioneprecoce, il sistema duale (scuola peralcuni e formazione professionale per

altri) ecc. sono tutte scelte che, se nonsaranno immediatamente abolite, nonpotranno consentire l’avvio di una po-litica alternativa; la discontinuità chesi afferma nel documento presupponel’abrogazione del “sistema” definito conle leggi Moratti.Alcune forze politiche (RifondazioneComunista, Verdi, PdCI) hanno assun-to l’impegno per l’immediata abrogazio-ne delle leggi Moratti; altre forze politi-che hanno assunto posizioni non chiare,altre (come la Margherita) rifiutano lalinea abrogativa; sarebbe veramente gra-ve se al 1 settembre 2006 un Ministrodell’Unione, non essendo intervenutal’abrogazione delle leggi Moratti, doves-se impartire istruzioni per la nomina ditutor, per il portfolio, ecc. cioè per dareapplicazione alle leggi Moratti!Finora l’impegno dei lavoratori dellascuola e dei coordinamenti di genitoried insegnanti costituiti nelle scuole han-no impedito la piena applicazione degliaspetti più devastanti della riforma Mo-ratti ma il 1 settembre 2006 si dovrannoancora applicare le leggi Moratti?È necessario precisare sin da ora che al1 di settembre del 2006 le leggi Morat-ti dovranno essere già abrogate; l’abro-gazione non crea nessun vuoto norma-tivo, perchè si può ripristinare la nor-mativa vigente prima della devastanteriforma Moratti; nè tornare alla norma-tiva previgente alle devastazioni mo-rattiane può significare “tornare indie-tro”; significa ripristinare il quadro nor-mativo esistente anteriormente al go-verno Berlusconi con la sola eccezionedella riforma dei cicli (L. n. 30/00),peraltro mai applicata; rimarrebberopertanto vigenti le norme sull’autono-mia scolastica ed il titolo V, riformeperaltro introdotte nella precedentelegislatura del centro-sinistra, ma moltodiscutibile.L’abrogazione immediata delle LeggiMoratti significa quindi creare le con-

Politica scolastica alternativaPER LA SCUOLA DELLA REPUBBLICA*

Considerazioni preliminari per una politica scolastica, condivisa

e partecipata nella prossima legislatura

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dizioni necessarie per una politica ri-formatrice e credibile.L’abrogazione immediata delle LeggiMoratti ha anche un significato politi-co e culturale che il mondo della scuo-la oggi attende: la scelta di una politi-ca scolastica non diversa, ma alterna-tiva a quella delle destre.

Quale idea di scuola? La scuoladella Costituzione

La politica scolastica dell’Unione devecaratterizzarsi per l’ampia partecipazio-ne del mondo della scuola che in que-sti anni ha saputo contrastare l’appli-cazione delle leggi Moratti.Il programma dell’Unione indica alcu-ne scelte e precisa alcuni obiettivi; nelcontempo alcune importanti realtà lo-cali hanno formulato una proposta dilegge di iniziativa popolare “per unabuona scuola”; esistono quindi propo-ste e scelte sulle quali discutere perpervenire a soluzioni condivise e co-struire tutti insieme un percorso rifor-matore unitario.Qualsiasi proposta di riforma presup-pone un’idea di scuola funzionale adun’idea di società; la scuola della Mo-ratti in tal senso è coerente con l’ideadi società classista delle destre e diconseguenza non è compatibile con lafunzione istituzionale che la Costitu-zione assegna alla scuola; per questastessa ragione nella consapevolezzadell’attualità della Costituzione l’ideadi scuola che l’Unione deve realizzarenon può che essere la scuola della Co-stituzione.La Costituzione difatti fissa i principifondamentali di un sistema scolasticovolto a realizzare lo sviluppo democra-tico del Paese; la scuola della Costitu-zione non è quindi un servizio indivi-duale, ma nemmeno un servizio socia-le; la scuola della Costituzione è un’isti-tuzione statale essenziale per la demo-crazia del nostro Paese; di conseguen-za la Costituzione afferma i seguentiprincipi:a) L’istruzione scolastica è una funzio-ne statale che lo Stato deve svolgeredirettamente e non può affidare ad al-tri; lo Stato deve quindi non solo det-tare le norme generali per l’istruzionescolastica che tutti (anche i privati)devono osservare, ma deve istituirescuole statali per ogni ordine e grado(articolo 33 della Costituzione).b) Istruzione scolastica e formazioneprofessionale hanno compiti e funzio-ni diverse; l’istruzione scolastica è uncompito essenziale dello Stato, la for-

mazione professionale è di competen-za delle Regioni (articoli 33 e 117 del-la Costituzione).c) L’istruzione non statale (privata o diEnti pubblici) è libera, ma ha una fun-zione aggiuntiva rispetto a quella sta-tale e non deve comportare “oneri perlo Stato” (articolo 33 della Costituzio-ne); sono pertanto in contrasto con laCostituzione sia l’idea di un Sistemascolastico Nazionale, comprensivo discuole statali e scuole non statali siaqualsiasi forma di finanziamento pub-blico a favore dell’istruzione statale.d) Pluralismo e libertà di insegnamen-to: la scuola statale non deve essereuna scuola governativa; deve essere lascuola di tutti e per tutti e quindi unascuola pluralista e governata, a tutti ilivelli, da organismi democratici senzaalcuna forma di gerarchizzazione inter-na, con riferimento anche alla necessi-tà di riconsiderare la figura e funzionidel dirigente scolastico. Ed in modoautonomo dagli esecutivi sia nazionalisia regionali e locali (articolo 33 Costi-tuzione).e) Laicità effettiva della scuola in coe-renza con il principio supremo dellalaicità dello Stato. Il sistema scolasti-co statale non solo deve garantire lapiena libertà di insegnamento ed il plu-ralismo culturale, ma deve di conse-guenza precludere ogni forma di com-mistione nella scuola tra attività estrutture didattiche e comportamentie/o funzioni religiose; in questo con-testo non è condivisibile la recente pro-nuncia del Consiglio di Stato che ricon-duce il Crocifisso, simbolo del cristia-nesimo al principio di laicità, e tuttele altre scelte volte a favorire l’inse-gnamento della religione cattolica nel-le scuole statali (articolo 33 Costitu-zione).f) Obbligo scolastico che per lo svilup-po democratico del Paese deve esseregratuito e gradualmente elevato fino a18 anni e per la sua funzione egualita-ria deve essere adempiuto in un siste-ma scolastico, ma unitario sia pure conindirizzi differenziati. (articolo 33 Co-stituzione).g) Effettività del diritto allo studio inmodo da consentire a tutti l’effettivopossibilità di accedere ai più alti livellidi istruzione, eliminando in primo luo-go le cause della dispersione scolasti-ca. (articoli 33 e 34 Costituzione)L’Associazione “Per la scuola della Re-pubblica“ si propone attraverso unampio confronto di approfondire i prin-cipi prima indicati e valutare quindi leproposte programmatiche dell’Unioneper dare il proprio contributo ad avvia-

re unitariamente e con un pieno coin-volgimento del mondo della scuola ilprocesso di riforma della prossima le-gislatura.

Salvare la Costituzione per salvarela scuola statale

Il sistema scolastico statale non solorischia di essere devastato dalle leggiMoratti, ma rischia di scomparire se larecente riforma costituzionale con ladevolution anche in materia scolasti-ca, approvata dalle destre, non saràrespinta con il referendum costituzio-nale del prossimo giugnoPurtroppo la precedente legislatura dicentro sinistra in una logica di scuolacome servizio sociale con la legge diparità, con una concezione aziendali-stica dell’autonomia ed infine con lariforma del titolo V della Costituzioneha aperto un varco culturale ed istitu-zionale moto pericoloso per la soprav-vivenza del sistema scolastico statale;peraltro il programma dell’Unione, sot-to questo profilo, non può essere con-diviso perché ripropone la scelta inco-stituzionale di un sistema scolastico na-zionale comprensivo di scuole stata-li e non statali (come se fossero fungi-bili le une alle altre) e quindi alterna-tivo al sistema scolastico statale pre-visto (articolo 33 Costituzione); si trat-ta di una scelta inaccettabile ancheperché indebolisce, anche sotto il pro-filo culturale, il forte impegno che ilmondo della scuola deve realizzare perla difesa della CostituzioneLa riforma costituzionale approvatadalle destre non solo con la devolutionin materia scolastica segna la fine delsistema scolastico statale e della suafunzione istituzionale, ma con il pre-mierato introduce una forma autorita-ria di governo del Paese assolutamenteincompatibile con i principi di plurali-smo e di partecipazione democraticache sono indispensabili per una scuoladi tutti e per tutti.Il mondo della scuola deve quindi im-pegnarsi non solo a votare e far votareNO nel referendum costituzionale delprossimo giugno, ma deve svolgere unruolo attivo per la difesa della Costitu-zione e dell’assetto democratico delnostro Paese; per salvare la scuola sta-tale oggi dobbiamo anzitutto salvarela Costituzione.

* Per la Scuola della Repubblica,tel. 06.3337437, telefax 06.3723742,[email protected], www.comune.bologna.it/iperbole/coscost

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Nel giugno del 1966 Enrico, so-prannominato il Faina, arrivò a Barbia-na portando la notizia che era stato re-spinto al termine del primo anno dellascuola superiore. Enrico aveva raggiuntola licenza media insieme ad un gruppodi ragazzi della scuola di Barbiana e,con alcuni di loro, si era iscritto al-l’istituto magistrale. Sulla scia del PrioreDon Lorenzo Milani, voleva fare il mae-stro.Prendendo spunto dalla sua bocciaturainiziò, giusto quarant’anni fa, il lavorodi scrittura collettiva che poi è diven-tato Lettera a una professoressa.Il “motivo occasionale”, che don Mila-ni aveva sempre visto all’origine dellostudio e della ricerca con la “tecnicaumile della scrittura collettiva”, que-sta volta riguardava direttamente lascuola italiana. Dopo L’obbedienza nonè più una virtù- Lettera ai Giudici”, unaltro straordinario evento culturale epolitico.Il lavoro iniziato dopo la disavventuradel Faina sfociò l’anno successivo,1967, nella pubblicazione del libro cheè diventato il manifesto del rifiuto diqualunque forma di selezione e dell’im-pegno per la trasmissione dei sapericritici.Dal 2002, per mantenere vivo il mes-saggio della scuola di Barbiana, il Co-mune di Vicchio, assieme agli enti rap-presentanti i territori dove don Milaniha operato, organizza, nel mese dimaggio, una marcia per il rilancio dellascuola per tutti e per ciascuno, per lagaranzia dei diritti di cittadinanza so-ciale di tutte le ragazze e di tutti i ra-gazzi, per un futuro democratico e ci-vile della nostra scuola pubblica.Le edizioni della marcia 2006 e di quellasuccessiva saranno dedicate interamen-

te ad attualizzare i messaggi contenutinel libro, soprattutto la rimozione del-le disuguaglianze del sapere in tuttol’arco della scuola dell’obbligo, a co-minciare dalla scuola materna.Non si tratta di una proposta di puramemoria, ma anzi di rilancio di un mes-saggio di speranza, di impegno cultu-rale e civile.Ci prepariamo così al quarantesimo an-niversario dell’uscita del libro e anchedella morte del Priore, che avvenne nelgiugno dello stesso anno, 1967.

La scuola italiana non fu più lastessa…

Dalla pubblicazione di Lettera a una pro-fessoressa, la scuola italiana non fu piùla stessa: un’intera generazione di stu-denti e insegnanti visse e praticò i va-lori della scuola per tutti. Questi valoridevono essere ancora oggi difesi e pra-ticati. Rileggere ed attualizzare la “Let-tera” serve, quindi, a ripensare e a ri-costruire il futuro, perché la scuola pertutti è e resta ancora il primo valoredemocratico dell’educazione e in parti-colare a rilanciare con forza l’obiettivoprioritario della “Lettera” che è quellodi portare tutti i ragazzi a un livelloculturale tale da renderli realmente so-vrani e partecipi della vita sociale nel-la società democratica; obiettivo chein tutti questi anni la scuola non haancora realizzato.Per queste ragioni, invitiamo gli stu-denti, le scuole, gli insegnanti, e i te-stimoni di significative esperienze edu-cative a misurarsi ancora con l’espe-rienza di questa lettura1.Li invitiamo quindi a testimoniare lapropria riflessione attraverso la produ-

zione di opere contenenti percorsi, ap-profondimenti, studi, racconti di espe-rienze che partano dal messaggio di donMilani. Con questo materiale vorrem-mo arricchire la marcia del prossimoanno di un filo rosso di lavori che dia-no ancora vita e futuro al pensiero edu-cativo democratico. Un filo che conti-nui a svolgersi nei mesi seguenti finoall’obiettivo di arrivare al 2007 con unpatrimonio di idee che ravvivino e ri-lancino il pensiero di don Milani comevera occasione del quarantennale: nonmemoria, ma speranza.

La produzione delle opere è del tuttolibera, e può partire da qualsiasi puntoo aspetto della Lettera. Ci piace, peròsuggerire come punto forte di impegnola partenza da queste quattro frasi-car-dine del libro, ancora oggi attuali inquesta fase di crisi della modernità edella globalizzazione.1. Perchè il sogno dell’eguaglianza nonresti un sogno vi proponiamo tre rifor-me.– Non bocciare.– A quelli che sembrano cretini darglila scuola a tempo pieno.– Agli svogliati basta dargli uno scopo.(Scuola di Barbiana, Lettera a una pro-fessoressa, Firenze, 1996, Libreria edi-trice fiorentina, p. 80).2. Solo i figlioli degli altri qualche vol-ta paiono cretini. I nostri no. Stando-gli accanto ci si accorge che non losono. E neppure svogliati. O per lo menosentiamo che sarà un momento, che glipasserà, che ci deve essere un rimedio.Allora è più onesto dire che tutti i ra-gazzi nascono eguali e se in seguitonon lo sono più è colpa nostra e dob-biamo rimediare. (op. cit., p. 61).3. La teoria del genio è un’invenzioneborghese. […]Così fa lei con l’italiano. Pierino ha ildono. Io no. Pierino non importa cheripensi a quel che scrive. […] Io possorassegnarmi e andare al bosco. Lei puòseguitare a oziare in cattedra a far se-gnini sul registro (op. cit., p. 125).4. Una scuola che seleziona distruggela cultura. Ai poveri toglie il mezzo diespressione. Ai ricchi toglie la cono-scenza delle cose. (op. cit., p. 105).

* Comitato organizzatore della marcia.

NOTA1. Il bando del concorso si può leggere sulsito (www.marciadibarbiana.it).Per ogni ulteriore informazione: Comune diVicchio, Ufficio Cultura, P.I., Servizi Sociali eCasa, via Garibaldi 1 50039 Vicchio (FI) tel.055-8439258, [email protected].

Lettera a una professoressa,quarant’anni dopoMASSIMO NUTINI*

Domenica 21 maggio 2006 si svolgerà la quinta marcia di

Barbina. Anche quest’anno, ci incammineremo “senza bandiere

e senza slogan, ognuno col suo passo” per dare più forza a un

movimento pluralista e democratico che esprime passione

civile per migliorare la nostra scuola. Quest’anno è stato

bandito un concorso che invita a rileggere Lettera a una

professoressa per promuovere la riflessione sul pensiero di don

Milani e la sua attualizzazione. Il concorso prevede la

pubblicazione di una sintesi di tutti i lavori pervenuti. E

alcune classi si recheranno a Barbiana, il giorno della marcia

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LE LE

GGI

Riteniamo quindi che bisogna es-sere coerenti, anche se scomodi, la que-stione del Crocifisso non è né una que-stione stravagante né, tanto meno, unamanifestazione di tardo anticlericalismo;è una questione di coerenza e di rispet-to dei principi costituzionali che nonpossono, nemmeno dal Consiglio di Sta-to, essere piegati alle esigenze dei buo-ni rapporti con le gerarchie cattoliche.Per queste ragioni la questione del cro-cifisso nelle aule scolastiche non si puòconsiderare chiusa dopo la sentenza delConsiglio di Stato; è una questioneancora più attuale perchè la sentenzadel Consiglio di Stato ripropone la que-stione di fondo della separazione traChiesa e Stato e quindi tra attività esimboli religiosi ed attività e strutturedi uno Stato che afferma di essere de-mocratico e pluralista, cioè laico.Il Consiglio di Stato, richiamandosi aduna norma regolamentare (articolo 118del Regio Decreto n. 965 del 1924), haaffermato che il crocifisso nelle aulescolastiche rappresenta «l’elevato fon-damento dei valori che delineano la lai-cità dell’attuale ordinamento dello Sta-to» e quindi sarebbe compatibile con ilprincipio supremo di laicità dello Stato.Ma, come afferma lo stesso Consiglio diStato, il principio supremo della laicitàdello Stato che si desume dai principicostituzionali comporta che lo Stato,affermando nella Costituzione tale prin-cipio, si è imposto di non “entrare nellefaccende interne della Chiesa cattolica edelle altre delle confessioni religiose”;nel contempo però lo stesso principiocomporta (ma il Consiglio di Stato se nedimentica) alle confessioni religiose deveessere preclusa ogni forma di ingerenzanella sfera statuale: simboli religiosi,funzioni religiose, ecc. non devono quindiriguardare l’attività dello Stato.

Il Consiglio di Stato ha ritenuto di po-ter conciliare il principio di laicità del-lo Stato con l’esposizione di simboli re-ligiosi, ricorrendo alla bizzarra soluzionedel crocifisso “bivalente”, cioè simbo-lo religioso per i credenti e simbolo “lai-co” per i non credenti ed attribuendoal crocifisso “laico” il valore simbolicodei principi fondamentali delle nostraCostituzione; si deve però osservareche, se la Costituzione nei suoi valorifondanti è riconducibile anche ai valo-ri del cristianesimo, non meno deter-minanti sono stati i valori del pensieroliberale e di quello socialista; se quin-di si vuole rappresentare nelle aulescolastiche un simbolo rappresentativodei valori fondanti della nostra Costitu-zione, non si può invocare come ancoraattuale una norma del 1924, applicativadel principio della religione di Stato, cheera la negazione del principio della lai-cità dello Stato; la Costituzione rappre-senta un segno di rottura con il passatoe le sue culture ed ha espresso valori diuguaglianza e di libertà di tutti, che nonpossono identificarsi con il simbolo, siapure importante, di una religione.Peraltro chi ha deciso che i valori fon-danti della Costituzione debbano esse-re simboleggiati nel crocifisso? Qual èla legge che nel nuovo ordinamentocostituzionale lo prevede? Nella Costi-tuzione non c’è alcun riferimento aisimboli ed alle tradizioni religiose; néuna norma regolamentare, applicativa

dello Statuto Albertino che riconosce-va la religione di Stato, può essere con-siderata in vigore nel nuovo ordinamen-to costituzionale che non ha più rico-nosciuto alcuna religione di Stato; sequindi si vogliono rappresentare nelleaule scolastiche i valori della Costitu-zione, si potrebbero molto più “laica-mente” affiggere i primi articoli dellaCostituzione; in tal modo si rispette-rebbe il principio dell’uguaglianza ditutte le confessioni religiose e si evi-terebbero commistioni tra sfera istitu-zionale e sfera religiosa; non ha sensoandare a ripescare una norma regola-mentare e non legislativa del 1924 chepresupponeva una religione di Stato cheoggi non esiste più.Il Consiglio di Stato non ha quindi chiu-so la questione; l’ha riproposta in ter-mini, sotto il profilo logico, assoluta-mente inaccettabili anche perchè nonha indicato alcuna norme di legge chepreveda l’obbligo dell’esposizione delcrocifisso nelle aule scolastiche; di con-seguenza, poiché un obbligo per le isti-tuzioni scolastiche può derivare soltan-to da una specifica norma di legge (e ilRegio Decreto del 1924 non è una leg-ge). Deve essere pacifico che non esi-ste alcun obbligo di esposizione delcrocifisso nelle aule scolastiche; la sen-tenza del Consiglio di Stato difattiesclude il divieto, ma non ammette unobbligo; né tutto ciò che non è vieta-to, può diventare obbligatorio.

Il crocifisso nelle aulescolastiche è un simbolodi laicità?CORRADO MAUCERI

A fronte della devastante politica scolastica della Moratti

insistere sulla questione del crocifisso nelle aule scolastiche

può apparire stravagante o una forma di tardo laicismo. Ma

con questi ragionamenti di molti “laici moderni” ci troviamo

con gli insegnanti di religione reclutati dalle curie ed immessi

nei ruoli dello Stato, con lo svuotamento del principio della

facoltatività dell’insegnamento della religione e con le sempre

più frequenti interferenze della gerarchia ecclesiastica nelle

scelte politiche del nostro Stato

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MANIFESTO PERL’AUTORIFORMA DELL’UNIVERSITÀ

Pubblichiamo il manifesto nazionale elaborato nel corso

dell’assemblea nazionale (Roma, 06 novembre 2005) degli

studenti universitari e dei ricercatori precari provenienti

dalle università di Trieste, Trento, Venezia, Padova, Bologna,

Pisa, Siena, Torino, Milano, Perugia, Napoli, Bari, Catania e

dai tre atenei romani

Dopo le settimane di mobilitazioni, occupazioni, blocchi della didattica, cortei e la grandemanifestazione del 25 ottobre 2005 che ha assediato il Parlamento, noi, studenti e studentes-se, precari e precarie dell’università e della conoscenza, ci siamo incontrati per discutere sulleprospettive del movimento.L’inaccettabile approvazione del Ddl non ha intaccato la nostra determinazione a voler prose-guire la mobilitazione. Fin da subito la protesta è esplosa a partire dal nostro disagio, inve-stendo l’assetto complessivo dell’università e della formazione. All’origine di tale disagio visono i processi di precarizzazione e di riforma, il cui centro focale è rappresentato dal 3+2 edal meccanismo dei crediti, introdotto dal centro-sinistra e peggiorato dal centro-destra.Per noi essere contro il Ddl vuol dire essere contro il processo di riforma che interessatol’università italiana negli ultimi anni.Le occupazioni e le mobilitazioni sono state, da subito, laboratori di sperimentazione dinuove e molteplici pratiche di conflitto e di scardinamento dell’università attuale e nellostesso tempo di immediata costruzione di un’altra università. A partire da qui abbiamo inizia-to a scrivere con i nostri conflitti l’autoriforma dell’università.Questo manifesto vuole raccogliere le pratiche e i differenti contenuti che sono patrimoniocomune delle mobilitazioni e rilanciarne la generalizzazione.

1. Ci siamo ripresi i nostri tempi e i nostri spazi, attraverso blocchi della didattica, scioperidella frequenza, occupazioni delle facoltà, autogestione di aule. Perché i nostri tempi di vitae di formazione sono radicalmente incompatibili con la gabbia dei ritmi che ci stanno impo-nendo. Il tempo dell’università deve adattarsi al nostro, ne pretendiamo dunque un altro:vogliamo una radicale diminuzione dei ritmi di studio e rifiutiamo l’obbligatorietà della fre-quenza.Vogliamo studiare con lentezza.

2. Ci stiamo riappropriando di ciò che ci viene tolto. Pratiche diffuse di autoriduzione delpasto in mensa, del costo dei trasporti, dei servizi culturali, degli affitti, occupazione deglienti per il diritto allo studio, diffusione libera dei saperi ostaggio di brevetti e copyright. Nelmercato della formazione, vogliono destinarci a un presente e a un futuro di precarietà. Recla-miamo reddito, servizi e casa, gratuità dell’accesso all’università e alla formazione, rimozionedi tutti i blocchi e gli sbarramenti al percorso universitario, abolizione della proprietà intellet-tuale, moltiplicazione delle borse di studio e dei posti alloggio sganciati da logiche meritocra-tiche, in opposizione radicale all’attuale Dpcm sul diritto allo studio. È necessario incentivarei finanziamenti pubblici destinati all’Università e alla Ricerca. Non è pensabile una finanziariache sottrae fondi all’intero mondo della cultura per destinarli alla guerra.Vogliamo studiare tutte e tutti.

3. Abbiamo iniziato a costruire un’altra didattica. Incontri, discussioni, convegni, seminariautogestiti, feste, riappropriazione di spazi di socialità e di relazione continuamente negatidalla riforma. La nostra formazione passa innanzitutto attraverso questi momenti. La produ-zione di saperi e relazioni è per sua stessa natura “anti-economica”, non misurabile in unità ditempo e in crediti formativi. Il sapere vivo non è riducibile a merce. È un processo collettivoe cooperativo radicalmente alternativo ai linguaggi e alla logica dell’università-azienda, indi-vidualista e competitiva. La parcellizzazione, frammentazione e dequalificazione dei saperinon produce altro che precarizzazione e controllo. Affermiamo l’autogestione e l’autogovernodella didattica e della ricerca, lo scardinamento del sistema dei crediti attraverso pratichediverse: tanto l’inflazione dei crediti, ossia il riconoscimento di tutte le attività formative e diricerca autogestite; quanto l’irruzione del sapere critico nei programmi didattici.Vogliamo costruire tutto il nostro sapere.

Non abbiamo altre riforme da attendere o governi da aspettare: il nostro tempo è qui econtinua adesso.

Le autoriformesi incontranoA Roma il 25 e 26 febbraio si è tenuto unappuntamento importante per cominciare adiscutere la possibilità e l’impostazione diun convegno che tenga insieme scuola euniversità. I nuclei proposti alla discussionesono stati principalmente due, intrecciati traloro.Il primo con uno sguardo all’attualità deldopo elezioni per dare voce – e gambe – aun bisogno profondo di chi è a scuola: unariforma “a levare”, cioè delegiferare rispettoagli orrori della Moratti, senza pretendere diriempire i vuoti.Il secondo con uno sguardo all’orizzonte disenso in cui collocarsi e quindi ricollocarescuola e università.Il tema è ancora tutto da articolare, con laconsapevolezza che le idee e le praticheavanzate in questi anni eccedono un’idea dimondo ridotto a pura economia e misuratosulla base della crescita del PIL; e possonocreativamente rimettere in discussioneconcetti come “sviluppo”, “povertà”,“ricchezza”, “bisogni”.E anche i tempi sono ancora da definire:senz’altro dopo le elezioni, probabilmentenel prossimo autunno.

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L E T T E R E

In Italia la(mano) destranon sa quelloche fa la(mano)...destra!«La Repubblica riconosce a tuttii cittadini il diritto al lavoro epromuove le condizioni cherendano effettivo questodiritto». [Costituzione italiana,articolo 4]

Un insensato articolo dellaFinanziaria 2003 mette inmobilità – pena licenziamento –i docenti fuori ruolo per motividi salute, utilizzati in altricompiti (biblioteche scolastiche,segreterie, Csa, Miur, Irre, ecc.).La mobilità – per stessaammissione del Ministerodell’Istruzione – è complessa edifficile, perciò di fatto in 3anni non viene attuata.Intanto i docenti fuori ruolo permotivi di salute si autorganizza-no, fanno ricorsi alla magistra-tura, tengono alta la vigilanza.Il 10 gennaio 2006 il Governoemana un decreto di misureurgenti per i trasferimenti e lastabilizzazione del personalefuori ruolo. E “dimentica” che cisono fuori ruolo per motivi diservizio (in altre amministrazio-ni) e fuori ruolo per motivi disalute. I docenti fuori ruolo permotivi di salute domandano aisindacati se il provvedimento siapplica anche a loro, e in chetermini.I sindacati interpellano ilMinistero dell’Istruzione cherisponde di non poter diramarechiarimenti sulla questione, siaper la vaghezza delle disposizio-ni, sia perchè di competenza delDipartimento della FunzionePubblica.Ora noi non ci meravigliamo piùche un Governo emani unanorma senza tener conto di tuttii possibili casi, né che unMinistero dichiari la suainsipienza ed incompetenza, néche non ci sia dialogo fra dueMinisteri dello stesso Governo.Noi ci meravigliamo che a frontedel licenziamento di 6.000persone, che si avvicina a grandipassi, i sindacati non informinotempestivamente gli interessati,ma debbano da questi esseresollecitati; che non sappiano farvalere sul Ministero le ragionidel mantenimento in servizio dipersonale qualificato; masoprattutto che non facciano

nulla per informare l’interacategoria, gli altri lavoratori,l’opinione pubblica.

Maria Teresa De Nardis,referente nazionale Coordina-mento Nazionale BibliotecariScolasticie-mail [email protected], sitohttp://conbs.altervista.org/

Insegnantidi DioNon solo sono stati assunti inruolo dopo essere stati reclutatidal Vaticano. Non solo potrannoandare ad insegnare anche altrematerie. Adesso, per giunta,percepiranno uno stipendiosuperiore a quello degli altridocenti. Si tratta degliinsegnanti di religione cattolicaa cui l’emendamento passatodefinitivamente alla Camera il 9febbraio ultimo scorso, inoccasione della conversione deldecreto-legge 250/05 sulla loroimmissione in ruolo, concederàdi percepire uno stipendio piùalto, con riconoscimentoretrattivo ai fini dell’anzianitàdel servizio svolto in qualità diincaricati annuali dall’ordinariodiocesano.Mentre per tutti gli altridocenti, all’atto dell’immissione

in ruolo, lo stipendio è adanzianità zero e solo unaminima parte degli anni didocenza svolti precedentementeandranno ad incrementare leretribuzioni, per gli insegnantidi religione cattolica nulla vaperduto. Così, gli anni diprecariato, solo per questiparticolari “insegnanti di Dio”sono completamente computatiai fini della carriera e dellaretribuzione. Amen.

Maria Mantello, vicepresidenteAssociazione nazionale dellibero pensiero Giordano Bruno([email protected])

Corano sìCorano nonelle scuole?Nella sua prima riunione laConsulta islamica si è divisa trachi chiede l’ora di Corano ascuola e chi preferisce la storiadelle religioni.Anche i politici sono intervenu-ti: La Russa si dichiara noncontrario a concedere l’orad’islamismo, ma solo incondizioni di reciprocità con ipaesi arabi, mentre D’Alema laconsidera espressione di libertà.Non è chiaro se libertà per igiovani o per le comunitàconfessionali.Nelle diatribe, che ne seguiran-no, fra favorevoli e contrari sirischia ancora una volta diperdere di vista il vero problemache non è quale e come religionea scuola, ma la presenza stessadi un insegnamento specificosui fatti e fenomeni religiosi,quasi che religioni e chiese nonsiano fatti antropologici, culturee strutture da studiare all’inter-no delle discipline scolastiche,che si occupano di storia, diletteratura, di cosmovisioni.Ad accrescere la confusione si èaggiunta una dichiarazione delcardinale Renato Martinofavorevole alla presenza delCorano a scuola.Non è chiaro a che titolo l’altoesponente della Curia romana siaintervenuto per dare il suoassenso, interferendo neirapporti tra stato italiano ecomunità islamiche italiane.

Associazione “Per la Scuola dellaRepubblica” ([email protected])Comitato Nazionale Scuola eCostituzione([email protected])

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TEMAWRITING

EsprimersiscrivendoSTEFANO VITALE

Le condizioni per la scrittura,

per l’espressione scritta sono

un fatto complesso che rinvia

ad un insieme di elementi

emotivi, relazionali,

organizzativi e materiali, ma

anche di natura più

strettamente linguistica e

formale che investono la

quotidianità dell’esercizio

della scrittura come piacere e,

al tempo stesso, faticosa

ricerca di una “forma del sé”

Gli insegnanti lo sanno bene: mol-to spesso si scrive perché “si deve”: lascrittura è dovuta, istituita. Ed i bambi-ni, i ragazzi finiscono per subire questo“taglio”. Ma c’è anche la scrittura che sicostruisce nell’esperienza, che istituisce.Si scrive per “rendere conto” a qualcunaltro (che giudica), ma la scrittura puòesprimere anche il desiderio di tentare dicontrollare la realtà, di assumersi delleresponsabilità, di capire noi stessi e glialtri. La scrittura è “dovere” che sta inrelazione al “potere” di altri, ma ancheuna possibilità.

La scrittura tra libertà e costrizione

Chi scrive, poi, deve accettare delle re-gole (da quelle strettamente grammati-cali, linguistiche, retoriche a quelle dicontesto, per così dire), ma raccontaredi sé e degli altri, della vita, delle coseche ci passano accanto è già un eserciziodi libertà e di educazione. Ci deve essereil rispetto per la lingua scritta e le sue

regole, ma può svilupparsi, grazie allescrittura, un processo di libertà fondatosull’ascolto di sé e degli altri. In questadirezione chi insegna a scrivere dovreb-be pensare che la cosa più importante è“dare voce” ai bambini. Ed ascoltare. Lascrittura è un atto di libertà, ma anchedi responsabilità. Il termine “responsa-bilità” rimanda al verbo “rispondere” chesignifica “ricambiare e rispondere ad unimpegno”. Impegno rinvia, a sua volta apegno (pignus) che significa pegno, ga-ranzia, testimonianza, ma anche “postain gioco”. Nella responsabilità è insita,dunque, una dimensione di relazione diascolto e di risposta a dei bisogni, alledomande dei bambini che ci sono affida-ti. Spesso, il nostro problema, è di capiretali domande (e la scrittura ci può aiuta-re per mettere a distanza i messaggi), maanche quello di scegliere quali messaggi,a nostra volta, restituire e rielaboraresenza giudicare. Allora, mi vien da dire,che per scrivere dobbiamo coltivarel’ascolto e la parola orale per capire lacentralità del dialogo come condizione

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della scrittura (si veda P. Marcato, G. Al-fieri, L. Musimeci, Ascoltare e parlare, LaMeridiana, 2004)

La scrittura si radica nel tempo

La scrittura è un percorso. I bambini, iragazzi hanno bisogno di strutturare ilproprio pensiero e “le parole per dirlo”:per non perdere i pezzi dell’esperienza neltempo. La scrittura si progetta, ma essastessa descrive un progetto. Che per suanatura si sviluppa nel tempo. Lo scriverede-scrive (scrive “intorno”) ma ri-scrive(scrive di nuovo) l’esperienza vissuta epensata. La pratica della scrittura può cosìaiutare a gestire l’ansia dell’attesa. Scri-vere è uno stare nel presente che spessoci appare monotono, ripetitivo, noioso;ma dovrebbe permette ai ragazzi di strut-turare proprio l’attesa per essere prontiad accogliere il nuovo. Si tratta così di“pensare per storie” ovvero di coltivarela capacità narrativa di ciascuno di noiche esula da regole stabilite, ma che fis-sa nuove regole. Leggere, raccontare (sto-rie, fiabe, racconti, ecc.) è condizioneessenziale per scrivere: abituano a coglie-re un percorso, a reggere l’attesa, appun-to. Ma anche a trovare soluzioni nuove esempre sapute. Tre spunti: G. Pontremo-li, Elogio delle azioni spregevoli, Ancoradel mediterraneo, 2004; B. Sidoti, Giochicon le storie, La Meridiana, 2001; T. Chia-rioni, Ti racconto una fiaba, Carocci, 2005.

La pratica della scrittura

La scrittura incide la pagina bianca e devevincere il blocco del vuoto. A questo dob-biamo guardare, innanzitutto. Il fatto èche la scuola poco s’interessa ai “bloc-chi” che impediscono a ciascuno unespressione pulita, disinvolta, originale.Si è troppo presi dall’idea che l’errore sia“sbagliato” e non un “altro modo di ra-gionare”. Spesso nei bambini emergonosentimenti quali il timore dell’errore, lafrustrazione di fronte a quanto prodotto,una certa dose di pigrizia mentale, la con-fusione di fronte al non saper cosa scri-vere o al dover scrivere qualcosa. Il de-nominatore comune di questi “blocchi” èriconducibile spesso alla mancanza diautostima ed alla paura del giudizio, col-legati ad una mancanza di fiducia versol’insegnante. Poi c’è l’ambivalenza del“modello” da imitare. Se da un lato è unaiuto che fornisce uno schema, supportaun lavoro critico, rende familiari generi,stili e soluzioni creative, dall’altra parteoccorre evitare che divenga un “modelloda imitare”, al quale adeguarsi, che puòprivare i ragazzi di quella freschezza edoriginalità, che sono componenti essen-ziali dell’espressione scritta. La verità è

che dobbiamo coltivare una lingua dellasemplicità, che va dritta al senso dellecose e non cadere nella “lingua scolasti-ca” fatta per dare l’impressione di direcose che poi non ci sono. E’ la lingua dellasoggezione, del conformismo perché chiscrive rassicura di essere null’altro che unoscolaro. La scuola dovrebbe insegnare avedere le cose coi propri occhi, ad averefiducia in se stessi e coltivare la dimen-sione fondamentale dello scrivere: il pia-cere.Ma non stiamo affatto teorizzando l’as-senza di ogni regola. Al contrario, il pa-radosso è proprio quello di imparare a“darsi delle regole”, a riconoscere le re-gole per potersi esprimere, per poter scri-vere. La regola circoscrive e dà spazio altempo stesso. Quel che ci pare importan-te è che questa regola venga propostaanche a partire da una dimensione ludicae sperimentale che va rivalutata fin den-tro questo campo. (E. Zamponi, I draghiLocopei, Einaudi, 1986 ; G. Staccioli e S.Signorini, Ludi linguistici, Il Capitel-lo,1996; Oulipo, La letteratura potenzia-le, Edizioni Clueb, 1973-1985). È un cir-colo virtuoso: il gioco s’appoggia sullaregola e la regola alimenta il gioco; fini-to il gioco resta la regola che può essereusata fuori dal gioco e resta il piacere delgioco che può essere reinvestito di nuo-vo. Ovviamente non c’è solo la regola delgioco, né solo le regole della “retorica” edella grammatica. Una delle cose più dif-ficili è infatti la “strutturazione del di-scorso” che richiede una capacità di pia-nificazione ed anticipazione che non sem-pre è sviluppata nei bambini e nei ragaz-zi (lo scrivere serve ad acquisire questacapacità e pertanto non può essere, lascrittura, la fonte di una paura e di unafrustrazione se deve sostenere il miglio-ramento dell’allievo). Anche qui è impor-tante essere chiari e semplici: proporreun quadro (introduzione-azione-conclu-sione) non significa esigere una dettagliassolutamente rigido dei passaggi. Perfavorire l’espressione dei ragazzi è utilericordare che scrivere è “fare vedere qual-cosa a qualcuno”, “condurre qualcuno inqualche luogo” e ricreare il gusto del-

l’ascoltare una storia (cosa che i ragazzisanno apprezzare). In questa direzionecredo sia utile pensare che il testo habisogno di un “pretesto”. Ci vuole unaspinta per iniziare, per sentirsi motivati,un quadro per sapere dove stare. Ed allo-ra ci si può sbizzarrire. Noi abbiamo in-ventato decine di giochi coi ragazzi conquest’idea del pre-testo: scrivere una let-tera ad un elettrodomestico, un breveracconto a partire da una fotografia, apartire da un vestito che tanto ci piace,la scrittura delle piante dove le caratteri-stiche di una pianta diventano quelle diun personaggio. Per questo tipo di sti-moli è sempre interessante di G. Mozzi,S. Brugnolo, Ricettario di scrittura creati-va, Zanichelli, 2002.

La scrittura del sé

Giocare con la scrittura permette di recu-perare un rapporto con l’esperienza con-creta del mondo e di sé. Allora ricostruirei passaggi dell’esperienza, collocare i vis-suti in uno sfondo condiviso, ripensaregli scenari della quotidianità può essereuna pista in questo percorso di riappro-priazione dell’esperienza dello scrivere.Natalie Goldberg in Scrivere Zen (Astrola-bio, Roma, 1987) offre numerosi spuntioperativi per scrivere coi ragazzi ripar-tendo da se stessi. Osservare il mondo, lecose così come sono, o meglio come ciappaiono (e si pensi a descrizioni delpoeta Francis Ponge, di Georges Perec edi Calvino) aiuta a crescere.Recentemente Nicki Jakowska ha ribadi-to come la scrittura possa essere com-presa dal punto di vista della “scopertadi sé” (Scrivi e scopri te stesso, Mondado-ri, Milano, 2000). Da noi Duccio Deme-trio è tra gli autori che ha cercato di dareuna dignità alla scrittura autobiografica,nelle sue variegate forme, all’interno dellacomplessità dei processi pedagogici. Quiricordiamo un libro “minore” (Animare lamente, Il Capitello, Torino, 1999) in cuila scrittura appare come ricostruzione co-gnitiva ed emotiva dell’esperienza per ibambini.

TEMA WRITING

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TEMA WRITING

Stile elettricoMAURO DOGLIO

La comunicazione scritta

degli adolescenti nell’era del

telefonino

Una volta si scriveva utilizzandocarta e penna, si faceva molta attenzio-ne al fatto che le o risultassero belle ro-tonde e le aste ascendenti delle t fosserosimmetriche a quelle discendenti delle p.A scuola tutti scrivevano testi più o menolunghi e più o meno complessi e chi vo-leva teneva un diario (di solito segreto)o scriveva lettere che arrivavano al de-stinatario dopo qualche giorno. I più so-gnatori si avventuravano a scrivere poe-sie, magari in rima baciata.Oggi lo spazio della scrittura si è note-volmente ampliato e un adolescente ha adisposizione molti strumenti nuovi e po-tenti e, anche se può sembrare strano, ilprincipale strumento che usa per scrivereè il cellulare1. Si tratta di un oggetto ver-

molta punteggiatura. La scrittura di sms,come del resto quella delle mail, combi-na alcune caratteristiche della comuni-cazione orale con altre che appartengo-no alla comunicazione scritta e presup-pone quindi una grande cooperazione in-terpretativa da parte del destinatario;questa caratteristica può portare a ri-schiosi fraintendimenti. Sono stato testi-mone di un litigio tra una mia alunna e ilsuo fidanzato perché ad una richiesta dilei, lui aveva risposto con questo mes-saggino: «che vuoi?» lei se la prese per-ché percepì nella risposta un tono sprez-zante che lui spergiurava di non aver vo-luto utilizzare.L’esperienza fu utile per far capire che lascrittura, mancando degli aspetti nonverbali (mimica, tono della voce ecc) cheaiutano ad interpretare il senso di un te-sto, abbia bisogno di un maggiore rigoreformale. Un altro episodio interessanteavvenne a causa di un messaggio di que-sto tipo inviato da un ragazzo alla suafidanzata: «ciao sono al velvet bella francyè qui e ti saluta». La fidanzata non inter-pretò il “bella” come rivolto a lei stessa(e com’era nelle intenzioni del ragazzo)ma a Francy, di cui era gelosissima, e siirritò parecchio.

Contenuti

L’uso del messaggino è straordinariamentevario, dal punto di vista relazionale puòservire a comunicare conferme, è il casodi messaggi tipo: “tvtb”, o a esplorare ladisponibilità di un eventuale partner, oancora a dichiararsi senza esporsi trop-po.Dal punto del contenuto il messagginonon è certo in grado di veicolare concet-ti particolarmente complessi, ma facilitauna certa sintesi espressiva che alle vol-te ottiene risultati non disprezzabili. Unmio collega qualche anno fa fece un espe-rimento chiedendo ai suoi allievi di sin-tetizzare la storia di Geltrude de I pro-messi sposi nello spazio di un sms. Que-sto fu uno dei risultati più interessanti:«Gertru sa fin da gagna ke diventerà 1pinguino-cresce e scopre il sex maschilee s’innamora-il papi la becca e lei gli diceke è pronta div suora e entra in conv».Dove si osserva l’utilizzazione di paroledialettali (gagna significa piccola in pie-montese) slang (pinguino per suora bec-ca per sorprende), forme ortograficamentenon corrette come ke; uso di numeri persostituire parole con lo stesso suono 1per “un”.È interessante notare come questo stile“da telefonino” dilaghi anche in ambitiin cui non sarebbe strettamente richie-sto dallo strumento. Qualche tempo faarrivò a mia figlia una classica cartolinadi saluti da una località di villeggiatura,

satile, che raccoglie in sé una grandemolteplicità di funzioni; con il cellulareinfatti oggi è possibile: telefonare, foto-grafare, filmare, registrare, navigare ininternet, mandare e ricevere mail, gioca-re ai videogiochi, e scrivere. Si possonoscrivere promemoria o annotare cose dafare nell’agenda; ma il modo principaledi scrivere con il cellulare è certamenteil messaggino o sms; si chiama messag-gino perché di solito è breve. I motiviper cui è breve sono evidenti: in primoluogo si ha a disposizione solo un certonumero di caratteri (a meno di non sfo-rare in un altro messaggino), in secondoluogo un messaggio troppo lungo affati-cherebbe il ricevente, in terzo luogo per-ché di solito il messaggino non si mandastando comodamente seduti alla propriascrivania ma in situazioni in cui la nostraattenzione è divisa con qualcos’altro; sia-mo per strada, in un negozio, sull’auto-bus, in macchina mentre guidiamo (sì,anche se è pericolosissimo, qualcuno faanche questo).

Ma cos’hai capito?

Esiste uno stile particolare per la scrittu-ra degli sms, si tratta di uno stile com-presso, che utilizza abbreviazioni, formeparticolari, segni grafici e soprattutto non

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TEMA WRITING

tutta in maiuscolo: «CIAO KIKKA! TI RI-CORDI QND VENIVI ANKE TE?? PECCATO KENON CI 6 RITORNATA, POTEVAMO BECCAR-CI. BHE L’IMP È KE TI 6 DIVERTITA. CI SIVEDE A TO».

Internet: blog, chat, mail

Anche internet2 cambia le modalità di scrit-tura degli adolescenti, in particolare gra-zie ai blog, alle chat e alle e-mail.I blog sono degli spazi virtuali dove innu-merevoli persone (tra i quali moltissimiadolescenti) tengono un diario in pubbli-co. Raccontano i particolari più o menopiccanti della loro vita quotidiana, dal-l’estremo, commosso saluto all’affeziona-ta prima automobile: «Ciao ninì, con te hoimparato a guidare», al resoconto dell’ul-timo concerto a cui hanno partecipato. Ilblog è però un diario che trova spazio inun contesto virtuale e utilizza in pieno lepossibilità offerte da internet. Ci sono quin-di anche le foto dell’autore (fasi della miavita) e degli amici, le copertine dei cd pre-feriti, i link attraverso i quali si può acce-dere ad altri blog, oppure ai siti delle tra-smissioni seguite, c’è un elenco dei libri edelle citazioni più amate.Sottolineo l’importanza delle citazioni nellascrittura giovanile. Le citazioni rappresen-tano la principale connessione con l’uni-verso mediatico e della cultura anche alta,sono le particelle di testo più manipolabi-li, ostentabili, regalabili; vengono scrittedappertutto: astucci, cartelle, magliette,diari, agende. Vanno dal Piccolo principe aDante a Carmen Consoli.Le chat e le mail si caratterizzano per unostile simile a quello che abbiamo indivi-duato per il cellulare, un misto di scritturae parola orale e grafica. La loro caratteri-stica, che condividono con il messaggino,è di essere veloci; si chatta in tempo realee la mail arriva al destinatario pochi se-condi dopo essere stata mandata. La scrit-tura, da sempre un’azione piuttosto medi-tata e lenta, sta subendo una grande ac-celerazione che amplifica il carattere rela-zionale a discapito dell’aspetto di conte-nuto. In altre parole si tende a scriverepiù per segnalare “esisto” che per trasmet-tere concetti complessi.Considerazioni, anche di una certa profon-dità, si trovano alle in un’altra forma discrittura praticata da molti adolescenti: lapartecipazione a forum di discussione, doveè possibile esprimere il proprio parere sudiversi argomenti e di leggere poi i com-menti di altri su quello che è stato scritto.

Nel labirinto senza il filo

Ciò che caratterizza maggiormente la no-vità delle scritture di cui ci stiamo occu-pando sono: la velocità e la quantità.

Il computer permette di elaborare testicon velocità molto maggiore che in pas-sato: la procedura del taglia e incolla adesempio, che rappresenta lo strumentoprincipale di organizzazione di un testo,è facilissima e rapida scrivendo al com-puter (mentre è faticosa e complessa do-vendo riempire il foglio di carta di riman-di, frecce, cancellature, come si facevain altri tempi). Anche l’aspetto grafico ègestibile con molta facilità.Gli adolescenti di oggi sono abituati ascambi informativi velocissimi; la cosanon ha un peso trascurabile. Il fatto disapere che un messaggino o una mailvengono ricevuti immediatamente dopoessere stati inviati fa sì che ci si aspettiuna risposta immediata. Spesso si sento-no rimproveri di questo tipo: «ti ho squil-lato» oppure «ti ho mandato due mes-saggi e non mi hai risposto». La necessi-tà di essere veloci nel rispondere si asso-cia con la rapidità riscontrabile in tuttigli altri elementi del sistema (spot pub-blicitari, scene velocissime dei film d’azio-ne). Per me il simbolo di questa velocitàè l’impressionante mobilità del pollicedegli adolescenti quando scrivono un mes-saggino. La lentezza della scrittura tra-dizionale, associata a una richiesta di curaformale, di precisione terminologica estilistica (non a caso si parlava di “lavo-ro di lima”) fatica a trovare uno spazio inquesto tempo di accelerazione informa-tiva.

La quantità di informazione, poi, rappre-senta di per se stessa un problema. Chioggi si trova a fare una ricerca ha a di-sposizione una quantità di materiale pra-ticamente infinita, ma non sempre pos-siede le strutture concettuali per dare unordine a questo materiale. La ricchezza èperciò apparente: alla quantità di mate-riale reperibile non corrisponde quasi maila capacità di gerarchizzarlo e di orga-nizzarlo. Il risultato è quello che ogniinsegnante che abbia assegnato una ri-cerca ben conosce: una stampata da in-ternet che molte volte viene consegnatasenza neanche essere stata letta. Si trat-ta di un risultato analogo, anche se diproporzioni immensamente più grandi, aquanto Umberto Eco paventava nel suolibro Come si fa una tesi di laurea a pro-posito delle fotocopie. Eco raccomanda-va ai laureandi di non abusare delle foto-copie, perché c’era il rischio di conside-rarsi soddisfatti uscendo dalla bibliotecacon un enorme pacco di testi fotocopia-ti, mentre il lavoro a quel punto è ancoratutto da fare. Solo che oggi non sono piùsolo i laureandi a correre questo rischio,è tutta una generazione di studenti.

NOTE1. Maurizio Ferraris, Dove sei? Ontologia deltelefonino, Bompiani, Milano 2005.2. Calvo, Roncaglia, Ciotti, Zela, Internet 2004,Laterza, Roma-Bari 2004. Testo disponibile online al sito www.laterza.it.

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TEMA WRITING

Testi filosoficia scuolaFILIPPO TRASATTI

Note per una didattica del

testo filosofico

La filosofia è tuttora considerata ma-teria prevalentemente orale, anche se cisi affida talvolta, per ragioni di tempo, averifiche scritte sui contenuti. Negli ul-timi anni alcuni manuali hanno comin-ciato ad inserire sempre più spesso degliesercizi scritti di filosofia, ma nella pra-tica didattica comune l’esercitazione scrit-ta di filosofia sembra ancora per lo piùassente1.Quali le ragioni di questa impostazioneorale?Un equivoco su cui forse, rifacendosi almodello socratico, tale scelta si fonda èche si pensa che una pratica della filoso-fia scritta possa far venir meno il dialo-go; ma perché non dovrebbe esserci spa-zio per entrambe le attività? La scritturafilosofica non solo non limita il pensiero,ma ne consente al contrario un’attivitàcostruttiva quasi artigianale che è nega-ta per lo più nella nostra formazione filo-sofica. Altre motivazioni, forse meno no-bili, hanno a che fare con l’inerzia dellatradizione didattica e con la sacralità deltesto, che ha nel manuale il suo aspettopiù evidente. Quali che siano le ragionidi questa impostazione è chiaro però chenon è l’unica; negli altri paesi che hannouna tradizione di didattica della filoso-fia, come la Francia, il saggio finale dialcuni corsi di studio è la dissertazionefilosofica scritta.Ci sono diverse possibilità per una didat-tica del testo filosofico: lavorare sull’ar-gomentazione, oppure sulla costruzionedi testi analitici, oppure ancora sulla dis-sertazione. Qui mi limiterò a trattare quel-la parte specifica che chiamo la “via deigeneri”2.Un genere in letteratura si definisce perdiversi “tratti” dovuti a una tradizioneraramente codificati in modo rigido echiuso. Sono tratti che riguardano: temi/motivi; personaggi; stile.E i filosofi, utilizzano i generi? Sì ma senzadirlo a causa del peso della tradizione fi-losofica che risale a Platone e giunge finoa Hegel. La filosofia non ha un buon rap-porto con l’espressione e in particolarecon la scrittura, un rapporto necessarioquanto problematico. Non è il caso di ri-percorrere qui le vicende complesse del

rapporto tra filosofia e scrittura Piutto-sto è evidente che i filosofi hanno scrit-to in maniere diverse, usando stili assilontani tra loro e scegliendo generi filo-sofici diversi. «A seconda che si scelga ditrattare un tema sotto forma di saggio opamphlet, non si diranno le stesse cose,non se ne trarranno le stesse conclusio-ni. Il genere condiziona il pensiero»3.Spinoza cita Euclide perché vuol attuareuna “geometria filosofica”. Il dialogo ri-chiama inevitabilmente Platone. La let-tera in età antica Seneca o Cicerone, inetà moderna Voltaire e Montesquieu ecc.In questo percorso didattico, in generepropongo prima una fase di analisi, poiuna fase di produzione.Analisi. Possiamo in primo luogo costru-ire un catalogo dei generi partendo dal-l’analisi di brani tratti da alcuni testi clas-sici da noi selezionati per mostrare le dif-ferenze all’interno dello stesso genere. Quidi seguito mi limito ad alcuni esempi,tratti dai testi che spesso si trovano an-tologizzati nei libri di testo o a cui co-munque si può più facilmente far ricorso.Lettera: Seneca, Lettere a Lucilio; dialo-go: Platone, Fedone; poema filosofico:Parmenide, Sulla natura; meditazione:Cartesio, Meditazioni di filosofia prima;storia della filosofia: Aristotele, Meta-fisica, libro; confessione: Agostino, Con-fessioni; trattato: Aristotele, Sull’anima;racconto filosofico: Voltaire, Candide;reverie: Rousseau, Le passeggiate del so-gnatore; saggio: Montaigne, Saggi; dizio-nario: voci da L’Encyclopédie; aforisma:Leopardi Zibaldone; utopia: Campanella,La città del sole.Come si vede il catalogo è ricco. Si trattadi un lavoro che progredisce a mano a

mano che si affrontano e si definiscononuovi generi filosofici.Produzione. Una volta definite in modosemplice le regole del genere, si possonofar svolgere agli studenti alcuni esercizi,di cui mi limito a dare qui di seguito al-cuni esempi:1. cambiamento di genere: riscrivere informa dialogica una lettera filosofica oviceversa;2. scrittura di un dialogo sul modello pla-tonico e messa in scena teatrale;3. produzione di un breve dizionario filo-sofico, affidando a ciascuno studente unavoce diversa, ma seguendo tutti lo stes-so modello di redazione della voce;4. descrivere una nuova isola di utopia.Proprio quest’anno ho riproposto questolavoro in una classe seconda del mio liceoe alcuni dei testi prodotti sono disponibilisul sito di école, www.ecolenet.it.I risultati non sempre sono soddisfacen-ti, ma ciò dipende da due fattori: il pri-mo è l’esercizio di una scrittura brillante,non stereotipata; il secondo, in partico-lare in questo genere, la libertà immagi-nativa, cose queste che usualmente nonfanno parte (purtroppo) né della didatti-ca della filosofia, né della didattica toutcourt.

NOTE1. Esiste almeno una lodevole eccezione daricordare, ed è quella dei lavori di Trombino,www.ilgiardinodeipensieri.it.2. Rimando a due articoli che ho pubblicato incui questo argomento viene trattato in modopiù ampio: “Per una didattica della filosofiascritta” in Nuova secondaria, ottobre 2002; “Lavia argomentativa” in Comunicazione filosofi-ca, www.sfi.it.3. Olivier Reboul, Introduzione alla retorica,tr.it., Il Mulino, Bologna 1996, p. 183.

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TEMA WRITING

Bella scritturaROSALBA CONSERVA

Come ogni arte, la scrittura

ha dei vincoli, uno di questi è

la scelta dei caratteri

dell’alfabeto: la sua estetica,

la sua leggibilità.

L’educazione dello sguardo e

l’educazione del pensiero

sono (forse) inscindibili.

Qualcuno obietterà che

l’attenzione alle “piccole

cose” porta a sottovalutare il

valore del contenuto. Ma

succede che i vincoli formali,

una volta che diventano

automatismi, e cioè

apprendimento di livello

superiore, non solo

predispongono all’arte della

scrittura, ma liberano anche il

pensiero

Siamo nella scuola superiore, per laprecisione nel biennio di un istituto tec-nico. Gli studenti arrivano dalle medie chenon sanno l’italiano (altrimenti avrebbe-ro scelto il liceo), non sanno scrivere: nonsanno riassumere, né argomentare, néideare testi narrativi e così via (questo èil parere universale). Siccome ogni inse-gnante di italiano ha proprie idee su comequeste cose vanno fatte e sue proprieaspettative, e oltre a ciò un suo persona-le stile di scrittura, e siccome protocollirigidi in tale materia non esistono, vastoe variegato è il panorama delle scelte –di contenuto e di metodo.«Vaghe stelle dell’Orsa, io non credea…»:scomposizione del testo, analisi stilisti-ca, parafrasi… Parafrasare alla lettera?oppure cogliere il significato sorvolandosui dettagli? Nell’uno o nell’altro caso,come si insegna la procedura?, e qual èla procedura migliore? Risposte ce ne sa-rebbero, se non fosse che ogni tanto fa

capolino la domanda (legittima) che favacillare le altre: ma è davvero necessa-rio parafrasare? Non sarà forse che, inquesto modo, si uccide una poesia? Alladomanda segue un frenetico periodo distasi.Su fronti diversi, modernisti e conserva-tori affilano i loro argomenti.Tra i modernisti radicali annoveriamo chiconsegnerà nelle mani innocenti dei ra-gazzi il prodotto di molto pensiero: «Dim-mi adesso che ne pensi tu». Salvo poi anon sapere che farsene delle innocentirisposte: mi piace, non mi piace. O diutilizzare, divulgandole, le risposte piùim-pertinenti, e concorrere così a tenereaggiornato il dizionario delle barzelletteche circolano tra adulti (colti) e che dan-no alimento all’opinione comune (docu-mentata in dibattiti pubblici, in libri-de-nuncia sulla scuola) che gli studenti sonoun disastro – gli studenti di adesso, s’in-tende: ignoranti, fannulloni… (ah, la scuo-la che abbiamo frequentato noi… noi, cheabbiamo fatto una buona riuscita!).

Disegnare cornici

Preso come sei a porre argine al declinodella serietà degli studi (ammettiamo checiò sia vero), ti metti di impegno: spie-ghi, assegni i compiti, li porti a casa percorreggerli. In un tema non trovi lo spa-zio per le tue annotazioni: la pagina èfitta, senza margini. Un altro scrive leparole grandi e “larghe”, non solo le let-tere ma anche gli spazi bianchi tra leparole, e ampi sono margini sia a destrasia a sinistra: dieci frasi si adagiano co-mode in quattro pagine, e l’eccessiva sgra-natura del testo ti impedisce di coglier-ne il senso, la “tessitura”. Di un altro com-pito non riesci a stabilire se è giusto osbagliato perché non riesci a leggerlo: nonsai decifrare la scrittura.Siamo a inizio d’anno: l’allievo in que-stione ti spiega pazientemente che il cer-chio perfetto della o vale anche per la a,che quella ricorrente lineetta nuda e ver-ticale vale per la i e anche per la ti, che ilnumero delle linee curve (concave o con-vesse, a piacere) della emme e della enneè variabile, variabile o assente (assentenon del tutto: «vede?, qui c’è») è lo spa-zio bianco tra le parole, che la esse e lazeta lui le scrive uguale ecc. Stabilisci unaccordo con quell’allievo: non voglio cen-surare il tuo stile calligrafico, dammi tem-po di adattarmi. Già a metà anno fai menofatica, a fine anno avrai imparato: l’inte-sa è perfetta.Queste cose succedono a ogni insegnan-te: accade cioè che diventi l’interlocuto-re privilegiato e unico dei suoi studenti:li capisce, capisce i loro mutevoli statid’animo e capisce soprattutto preferen-ze, manie, misteri della loro scrittura.

Capita un giorno che l’insegnante sia il-luminato da un’idea rivoluzionaria: nondirò «Scrivi come ti pare, poi, se da gran-de diventerai uno scrittore, imparerai afar caso alle piccolezze», ma: «Ora ti in-segno le piccolezze – calligrafia, ortogra-fia, impaginazione ?, poi, se diventi unoscrittore, scrivi come ti pare».Gli torna in mente il periodo delle ele-mentari, quando disegnava le cornicette.A che diavolo serviva quell’inutile e in-genuo decoro? A tenere buoni i bambini,avrebbe detto ieri. Oggi che, grazie aBateson, qualcosa sa di processi mentalie di categorie logiche dell’apprendimen-to, sospetta che il disegnare la cornicedella pagina inducesse un deutero (in-consapevole) formidabile apprendimento:scrivere è un’arte. Come ogni arte, la scrit-tura ha dei vincoli, uno di questi è la scel-ta dei caratteri dell’alfabeto: la sua esteti-ca, la sua leggibilità. L’educazione dellosguardo e l’educazione del pensiero sono(forse) inscindibili. La cura dell’incorniciareuna pagina educava (tendeva ad educare)i bambini ad aver cura di ciò che dentro lacornice poi avrebbero scritto.

I vincoli formali

L’insegnante di italiano è – nel contesto-scuola – il massimo esperto di scrittura.Sarebbe allora imperdonabile che nonvalorizzi ciò che sa e che può (deve) tra-smettere ai suo allievi. Una occasionecome questa – cinque anni di contattoquasi quotidiano con un esperto di scrit-tura – ai ragazzi non capiterà mai piùnella vita. Allora, far leva sulla loro pre-disposizione, in quanto esseri viventi, acoltivare e ad apprezzare gli aspetti for-mali.Dicevo prima che negli istituti tecnici (deilicei non ho esperienza) i ragazzi vengo-no sapientemente convinti che alle me-die non hanno imparato niente. In veritàessi hanno imparato molto, ma siccomenon saprebbero dimostrarlo (per dimo-strarlo dovrebbero saper usare un meta-linguaggio), essi confidano nel parere deiloro insegnanti: fino ad ora abbiamo per-so tempo. Io invece dico (e lo penso dav-vero): voi avete alle spalle ben otto annidi scuola, sapete già riassumere, descri-vere, raccontare ecc.; adesso vi insegnocome si tiene la penna in mano. Questa èuna metafora, ovviamente, per dire checomincio con lo stabilire dei vincoli ecome vanno scelti e usati i “ferri del me-stiere”.C’è una particolare soddisfazione nel mi-surarsi con cose che sono alla nostra por-tata e nel riuscirvi! Il constatare che diquel piccolo dominio abbiamo (potrem-mo avere) pieno controllo. Dominare ilflusso dei pensieri e incanalarli in un te-sto scritto che li “raduca perfettamente”

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TEMA WRITING

non è da tutti, per meglio dire è il tuopunto di arrivo – se hai la scala solida.Tutti però possono avere cura delle for-me stabilite dalle convenzioni. Quandocioè si danno dei criteri e dei limiti sullabase dei quali e oltre i quali si può volarealto.Insegno perciò ai ragazzi a impaginareun testo, ad aver cura dell’ortografia edella calligrafia. Tra i compiti a casa c’è ilcopiato, c’è il dettato con e senza pun-teggiatura (uno dei genitori, detterà).Questo parallelamente a quelle che riten-go tre acquisizioni basilari: a) una rigo-rosa grammatica della frase, b) la pun-teggiatura, c) la parafrasi.Chi sa come funziona una bicicletta puònon saper andare in bicicletta. Chi cono-sce la grammatica di una lingua non im-para automaticamente a parlare e a scri-vere in quella lingua. Sono due livelli cheprobabilmente si integrano, e tuttaviasono distinti. Però… e se fosse che lariflessione grammaticale sia davvero ne-cessaria all’imparare a scrivere? E in qua-le ambito ha una immediata ricaduta?

L’ortografia è una grammatica

Parto da una premessa. Lo studio dellalingua è un aspetto dell’alfabetizzazionedi livello astratto e consapevole. Noi in-fatti, a scuola, insegnando la grammati-ca, spostiamo l’attenzione dal piano re-ferenziale, e cioè dall’uso “concreto” dellinguaggio, allo studio del linguaggio percome esso è fatto. Per esempio, posta lafrase “Nel giardino di mia zia è fiorito uncespuglio di rose rampicanti, e siamo adicembre”, ciò che diremo della zia e delsuo giardino non avrà alcuna rilevanza:usando il metalinguaggio, noi ragionere-mo sulle concordanze, sulla posizione delsoggetto, sulla punteggiatura (la virgolaprima della e), anche sulla ortografia.Intendo qui l’ortografia come “gramma-tica”. Poiché le convenzioni ortografichesono modi di rappresentare i costrutti lin-guistici – parole, sintagmi, intere frasi ?,un sistema di scrittura può essere consi-derato una grammatica, e cioè una de-scrizione di un linguaggio. Qui, nella con-sapevolezza del significato grammaticale(cioè descrittivo) della forma scritta del-la lingua, gli studenti trovano un facileaccesso a quella competenza formale, de-cisiva per il nostro tipo di istruzione. In-somma, nello stabilire una priorità per losviluppo di competenze grammaticali,direi che il fattore primario è l’ortografia.Con il metalinguaggio orale faremo og-getto di discorso le caratteristiche del-l’ortografia, ma è la cura dell’ortografiain sé e per sé a fare della lingua un og-getto di consapevolezza.Come l’ortografia, anche la punteggiatu-ra è una “grammatica”. Essendo la pun-

teggiatura un sistema convenzionale (in-ventato da noi) si può farla derivare dal-la lettura a voce alta (pausa breve: vir-gola; pausa lunga: punto, ecc.): un si-stema che funziona, ha un senso, e alleelementari può andare bene così. Ma nel-la scuola superiore è preferibile far deri-vare le regole della punteggiatura dalleconvenzioni di tipo strutturale: legarecioè la punteggiatura alla grammaticadella frase e del periodo. L’ho sperimen-tato a lungo, è un buon metodo: la pun-teggiatura come una “seconda descrizio-ne” della frase, che rafforza perciò il mo-dello di analisi strutturale della frase. Sic-come tutti scrivono almeno dalla terzaelementare, a un certo punto qualcunodeve rendere automatica la scrittura di“frasi ben fatte”. E da qui, dalle frasi benfatte anche nella punteggiatura potrà ve-nire la scoperta del suo uso poetico, cre-ativo: la virgola tra soggetto e predica-to, il discorso diretto senza le virgolet-te, il punto fermo prima del che relativoecc.Contestuali alla punteggiatura sono (nelmio metodo) l’insegnamento della gram-matica della frase (successione linearedei sintagmi, denominazione dei sintag-mi, individuazione – su base morfologi-ca – della relazione soggetto-predicatoecc.) e l’esercizio della parafrasi dei te-sti “difficili”. La parafrasi è infatti unastrategia utile per capire. Capire vuol direparafrasare. Dire cioè un dato contenutoin altro modo – con un breve riassunto oun discorso più ampio, con esemplifica-zioni, con due, tre descrizioni dello stes-so “oggetto” – come insegna Bateson –, o dirlo allo stesso identico modo, madopo aver fatto un lungo viaggio (anali-si, ricerca dei significati, dei sinonimi,riscrittura, lettura a voce alta ecc.) percapirlo in profondità.

Le pratiche e gli esercizi

Ma i ragazzi – i ragazzi di oggi! (cosìsbrigativi, così impazienti) – accettanodavvero di sottoporsi a pratiche tantonoiose? Qui contano molto l’autorevo-lezza, la determinazione, la coerenza del-

l’insegnante. Pur se affettivamente èdalla loro parte, non asseconderà (perquanto può) la loro tendenza a sottrarsiallo studio. Non accetterà, per esempio,uno scritto mal impaginato, oppure nondecifrabile (il compito si rifà. «Questopomeriggio devo andare in palestra, do-menica prossima ho le gare». «Vedi tu.Lo farai di notte»).Qualcuno obietterà che l’attenzione alle“piccole cose” porta a sottovalutare ilvalore del contenuto, che cioè un ragaz-zo esaurisca tutta quanta la sua atten-zione a fare bella figura con pagine tal-mente ben fatte – allo sguardo – da ap-parire come “quadri” (teniamo conto peròche in classe c’è un insegnante, il qualeha in mente un percorso, e che la didat-tica della scrittura fa parte di un pro-getto più ampio).Succede che i vincoli formali – la giustaspaziatura, la misura dei caratteri sia nel-la scrittura a mano sia al computer (peril computer io suggerisco il Garamond11), la punteggiatura, la revisione accu-rata della ortografia ?, una volta che di-ventano automatismi, e cioè apprendi-mento di livello superiore, non solo pre-dispongono all’arte della scrittura, maliberano anche il pensiero – e il pensie-ro, quale esso sarà, non possiamo, anzinon dobbiamo prevederlo né programmar-lo del tutto.Forse i miei studenti sono i soli ad arro-vellarsi sulla posizione di una virgola osull’uso di una maiuscola, sulla sceltadelle virgolette alte o basse, del trattinoo della sbarretta tra due parole, sulla deufonica: “uno ad uno” o “uno a uno”?Qui ci vuole una certa elasticità, contal’educazione all’ascolto: fate sempre unaprova di lettura a voce alta…Tante, tante prove di lettura a voce alta.Anche questo va insegnato. E chi lo inse-gna deve a sua volta esercitarsi a leggerea voce alta: fa parte dei suoi compiti acasa. Se l’indomani dovrò leggere ai ra-gazzi un sonetto di Petrarca mi preparo alpomeriggio leggendolo a voce alta e se-gnando a matita le pause (cosa che inse-gno a fare anche a loro); mi impegno menonel preparare la spiegazione della poesia:questo lo faremo insieme, in classe.

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TEMA WRITING

L’importanza deivincoliGUIDO ARMELLINI E MARIA LETIZIA GROSSI

Conversazione sulla scrittura

creativa in classe

Maria Letizia Grossi: La scuola è ancoraun luogo dove si scrive, di solito peròsecondo “generi letterari” tipicamentescolastici, quali il tema. Anche la modifi-ca della prima prova scritta di italianoall’esame di stato non ha introdotto unascrittura in cui l’elemento importante siagiocare con la lingua e utilizzarla peresprimere le proprie emozioni. Non in-tendo con ciò parlare di una scrittura“spontanea “, nel senso di fluvialmenteautobiografica e priva di regole, cometalvolta accade, soprattutto alle ragazze.Guido Armellini: Mi sarebbe piaciutointitolare questa conversazione: “Controla spontaneità”. Perché la prima cosa chespontaneamente ci viene in mente è quellache sta più in superficie nel nostro cer-vello: in realtà la spontaneità coincidecon la stereotipia. C’è un’affermazioni diCalvino in Lezioni americane che trovacorrispondenza nella mia esperienza inclasse: «Un’altra falsissima idea che pureha corso attualmente è l’equivalenza chesi stabilisce tra ispirazione, esplosione delsubconscio e liberazione; tra caso, auto-matismo e libertà. Ora, questa ispirazio-ne che consiste nell’ubbidire ciecamentea ogni impulso è in realtà una schiavitù.Il classico che scrive la sua tragedia os-servando un certo numero di regole checonosce è più libero del poeta che scrivequel che gli passa per la testa ed è schia-vo di altre regole che ignora»1. Per que-sto, proponendo esercizi di scrittura cre-ativa all’interno delle attività scolastiche,ho sempre indicato vincoli di vario gene-re. Ad esempio il tautogramma, cioè untesto in cui le parole inizino tutte conuna stessa lettera, o l’acrostico alfabeti-co (poesie con versi che inizino progres-sivamente con A, B, C eccetera), oppurepartire da un incipit dato. Per far sboc-ciare la creatività, bisogna spiazzare l’emi-sfero destro – analitico e catalogatorio –e dar voce a quello sinistro, più intuiti-vo. Se chiediamo di scrivere una poesia,nell’emisfero destro c’è il cassettino “pa-role poetiche”, da cui esse vengonoestratte e utilizzate per scrivere in poeti-chese. Se poniamo una richiesta “stupi-da”, una provocazione, costringiamo ad

un salto intuitivo in cui si crea il sensoda materiale insensato.Maria Letizia Grossi: So che in generetu inizi lavorando sui versi. Io ho propo-sto anche esercizi su racconti, sul tipodegli Esercizi di stile di Queneau, un te-sto dato che viene modificato utilizzan-do vari registri o figure retoriche.Guido Armellini: Certo, e anche i gio-chi suggeriti da Oulipo sono stimolanti.Tuttavia i racconti sono più difficili dascrivere, richiedono strategie più com-plicate, per questo chiedo di scrivereracconti brevissimi e molto vincolati. Unaltro vincolo è stabilire la cornice: “que-sto è un gioco”. In un simile ambito èprevisto che si possa mentire, così, es-sendo meno responsabili moralmente deicontenuti, si possono dire anche veritàimpossibili da tirar fuori in contesti“seri“. È una ripresa del concetto di let-teratura come ritorno del represso, ela-borato da Francesco Orlando. È molto im-portante poter riconoscere ed esprimerei cattivi sentimenti, che di solito sonomolto censurati anche dagli insegnantidi sinistra. La cornice del gioco consen-te di esprimere queste parti di sé poichépermette di prendere una distanza suffi-ciente a non averne paura o imbarazzo.Ci si può mettere nei panni degli altri,anche dei personaggi cattivi, dando cosìvisibilità a strati in ombra della propriapsiche. Poter dar voce ai sentimenti scon-venienti ci aiuta a riconoscerli e a ge-stirli meglio, permette al conflitto diemergere in forme non distruttive.Maria Letizia Grossi: La letteratura diper sé dà una cornice di invenzione. Misembra utile partire dalla lettura per ini-

ziare a scrivere. Leggendo dei testi effi-caci dal punto di vista comunicativo estrutturale, si scoprono i meccanismi, leregole nel momento in cui sono attuate.Guido Armellini: La letteratura è il gio-co per eccellenza, io la definisco il cam-po della scrittura in cui vige la regola: “questo è un gioco “. Anche nelle mie clas-si ho lavorato a partire da opere di nar-rativa, ad esempio abbiamo letto il pas-so in cui Zeno descrive Augusta e in se-guito ho chiesto ai ragazzi di mettersinei panni di Augusta che descrive Zeno.Però questo è già un lavoro piuttostocomplesso.Un elemento importante è consentire aragazzi e ragazze di produrre qualcosadi completo nella sua semplicità e bre-vità. In questo lavoro possono riuscirebene anche quelli che non studiano, per-ché il gioco consente di superare l’impo-tentia scribendi, la cattiva disposizionedi fronte alla scrittura. Il successo inquesto tipo di produzione, sancito dal-l’apprezzamento di tutta la classe dopola lettura pubblica, può, con un mecca-nismo di rinforzo, portare a scrivere me-glio anche in altri contesti, ad esempionel tema.Maria Letizia Grossi: La lingua scrittaha dei vincoli basilari, al di là di quelliimposti negli esercizi di scrittura creati-va, le regole ortografiche, grammaticalie sintattiche. Le esercitazioni creativene tengono conto?Guido Armellini: Negli esercizi sempli-ci è più facile che queste regole sianorispettate e mi sembra importante chelo si faccia. La cosa fondamentale è faretre livelli di valutazione e renderli espli-

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TEMA WRITING

Acrosticie tautogrammi

Un paio di esempi degli

esercizi vincolati

proposti da Guido

Armellini ed eseguiti da

suoi allievi. Altri testi si

trovano nel sito di école

(www.ecolenet.it).

Mamma mia, un mostro!(tautogramma in m)Una mattina di marzo, mentremeditavo mesto mesto sui monomi,la maestra di matematica mi misemolto malignamente un meno. Nonlo meritavo e la maledissi. Ma lamaestra muggì: «Massimo al muro!»Mentre mi mettevo al muro meditavola sua morte e, nel momento dimassima meschinità, misi sul muro ilmio motto: «Maestra Maria megera!»La maestra mi maltrattò, mi massacròle mani in maniera molto maligna perla mia microscopica marachella ed iomaturai nella mia mente il maestrici-dio. La mattina di un martedì dimaggio, le massacrai il muso damastino miope e le morsi le manimutilandogliele. Malauguratamentemi mandarono in manicomio!«Massimo è matto” mugugnava ilmedico con mia madre, ma iomormoravo mogio, mogio: «Sonomortificato, ma non matto, némalato; sono un minorenne dallamirabile mansuetudine».Ora mastico marijuana e meditomorbosamente sui monomi, ma nonmuta una mazza: la maestra mimetterebbe un meno.

La lezione di italiano(acrostico alfabetico dedicatoall’insegnante di italiano da Tania,una ragazzina del primo banco,bravissima, diligentissima, sempreintenta a prendere appunti).Assonnati, ascoltiamo / Blandamen-te/ Ciò che / Dice./ Elenca / Famosifilosofi, / Gesticolando: / Ha /Iniziato /Leggendo Locke, / Montesquieu... /Nooo! / Ora / Prende / Quel /Registro, / Sfoglia, scorre, / Trova! /Uno /Vaneggia: / Zitti

Dove si vede che, nella cornice delgioco, agli insegnanti si puòveramente esternare ciò che si pensadi loro… E non si può dire che GuidoArmellini non se la sia cercata.

MARIA LETIZIA GROSSI

citi: lo scrivente ha rispettato il vincolospecificato, il risultato è efficace, il te-sto è scritto in italiano corretto.Maria Letizia Grossi: Secondo la tuaesperienza, negli e nelle adolescenti dioggi esiste ancora un bisogno di scrit-tura come espressione di sé, per chiarir-si a sé stessi?Guido Armellini: Non è facile che que-sto bisogno emerga direttamente, è piùfrequente che venga fuori nella cornicedel gioco. C’è a volte un’atrofia nella per-cezione stessa di questo bisogno, i gio-vani devono scoprire che si può dire disé, senza censure, divertendo e diver-tendosi. Soprattutto per i maschi, che sipuò essere delicati senza suscitare scher-no.Maria Letizia Grossi: Io trovo che, neiconfronti della scrittura, ragazze e ra-gazzi si pongano in modo diverso.Guido Armellini: Le ragazze in generesono più faconde, più aperte, ma rischia-no spesso di esprimersi in modo stereo-tipato. Un gioco utile è quello di pro-porre uno scambio di punti di vista: “setu fossi una ragazza” per un maschio eviceversa. È un modo per aprirsi alla al-terità.Maria Letizia Grossi: A questo proposi-to penso che sia importante la dimen-sione dell’invenzione, la creazione di per-sonaggi e storie diversi dalla propria vitaquotidiana. In questo senso la letturapuò fornire stimoli forti.Guido Armellini: Sì, sono interessantidegli esercizi che abbiano come puntodi partenza testi letterari, per imitazio-ne o per capovolgimento o individuandoe adottando le norme di un genere.

Maria Letizia Grossi: L’imitazione dimodelli veicolati dai mass-media, Tv, ci-nema, videogiochi, fumetti, ma anche li-bri “giovanilistici” o di consumo, puòportare ai luoghi comuni, a non descri-vere ciò che si vede coi propri occhi, maattraverso appunto mediazioni prodotteprecedentemente.Guido Armellini: È assodato che questoveicoli una stereotipia, però i materialiassorbiti così dall’immaginario possonoessere rielaborati.Maria Letizia Grossi: Per esempio at-traverso l’ironia, che introduce una di-stanza e perciò permette maggior con-sapevolezza.Guido Armellini: L’ironia è uno strumen-to validissimo. Ricordo un ben riuscitoelogio antifrastico di Funari…L’importante è allargare il campo dellefruizioni dei ragazzi, non limitarsi allaTV. Non immaginare di potersi sottrarrealla sua fascinazione, ma attuare diversilivelli di fruizione, tra cui uno più con-sapevole, critico. Talvolta materiali ba-nali, nell’immaginario dei ragazzi, si ca-ricano di sentimenti ed emozioni tutt’al-tro che banali. Solo rispettando il loroimmaginario potremo sperare che loroaccettino autori e libri selezionati in baseai nostri criteri di valore. E comprendereche, quando uno scrittore “canonico”entra in una classe, si carica di signifi-cati diversi, scaturiti da fruizioni in granparte estranee a quelle tradizionalmen-te legate alla letteratura.

NOTA1. Italo Calvino, Lezioni americane, Garzanti,1988, pp. 119 - 120.

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TEMA WRITING

La scritturaè di tuttiMARISA NOTARNICOLA

La disposizione a scrivere può

essere coltivata e la scuola è

uno dei luoghi deputati. Ma

una pratica della scrittura si è

molto diffusa anche fuori

dalla scuola, dando luogo al

sorgere di corsi di scrittura

creativa tenuti da esperti o

scrittori, perché la scrittura è

di tutti. Il laboratorio di

scrittura creativa

Scrivere fa bene, ordina i pensieri,calma gli animi ed aiuta a comunicare. Ilfoglio di carta che lo riceve è molto pa-ziente al punto da aspettare che la manosi decida a consegnargli qualche emozio-ne, piccoli o grandi segreti, immense pas-sioni, dolori, rimpianti ed entusiasmi.Si desidera scrivere, ma si ha paura disbagliare, ci si sente dominati dalle re-gole della scrittura. Altre volte manca ilcoraggio di farlo, non è facile infatti sve-lare se stessi e le parti più intime di séanche se si sente il bisogno di esprimer-le, non è facile neppure mettersi in sin-tonia con se stessi ed attingere alle pro-prie risorse interne.

La scrittura è comunque un attoliberatorio,capace di dare corpo e vocealle proprie esperienze ed ai propri vis-suti, di esprimere la propria creatività.Secondo Julia Cameron (La via dell’arti-sta, Longanesi, Milano 1992, p. 42), «Ilproblema non è tanto insegnare a scri-vere in modo da sviluppare la creativitàdella mente, ma come abbandonarsi adessa». «Esistono dentro di noi pregiudi-zi ed un io censore che bloccano questamateria del nostro essere e le impedi-scono di far fluire la sua forza nella no-stra persona».

Creatività

Quando allora la creatività può fiorire?Quando ci si sente accettati, rotetti e siprova un senso di sicurezza.Uno spazio protetto in cui essa può espri-mersi è un laboratorio di scrittura crea-tiva.A scuola potrebbe essere uno spazio dif-ferente dall’aula, ma anche questa, al-l’occorrenza potrebbe trasformarsi e rom-pendo l’allineamento di banchi e catte-dra creare uno spazio diverso con ungrande tavolo formato da blocchi di ban-chi assemblati attorno a cui raccogliersiper poter scrivere.L’aula prenderebbe l’aspetto di una bot-tega artigianale dove si lavora con le pa-role che sono la materia stessa della lin-gua, uno spazio di condivisione di espe-rienze, vissuti,desideri, emozioni che at-traverso la scrittura prendono forma esignificati, un modo per ampliare e ri-plasmare la percezione di sé e delle cose,sgretolando barriere di consuetudini con-solidate.Non si richiede ai ragazzi alcuna presta-zione, né il consolidamento di compe-tenze linguistiche. Lo spirito che guidadeve essere un altro, la scrittura deve

allettare come un gioco o un divertimen-to, deve essere fine a se stessa, soddi-sfare le proprie aspirazioni ed aspettati-ve.L’insegnante, nell’ascoltare i racconti deisuoi allievi, deve trattarli come se fos-sero esseri viventi, ve elogiare le partipiù significative, le battute di dialogopiù incisive, i passaggi narrativi che man-dano avanti la storia in modo piacevoleed inatteso,dedicando cura ed assisten-za alle parti meno riuscite. Occorre in-coraggiare a leggere le storie scritte adalta voce, in modo che tutti ascoltino esi esprimano su ciò che di positivo vitrovano.Può accadere che a qualcuno riesca dif-ficile leggere il proprio racconto per ti-more di rivelare e mettere a nudo le par-ti più intime della propria persona. Inquesto caso occorre lasciare a ciascunoil tempo per superare gli ostacoli inter-ni e le proprie rigidità.

Rimuovere i blocchi

L’atto dello scrivere, nella scuola è sot-toposto da sempre a giudizi e valutazio-ni che spesso bloccano il fluire dei pen-sieri, ed interrompono il collegamentocon se stessi e la sintonia con il proprioritmo narrativo interno. Nel laboratoriodi scrittura creativa, ciò che conta inve-ce è il gesto e la comunicazione, dellaforma e dello stile ci si occuperà succes-sivamente, quando quest’ultimo si saràformato grazie ad una pratica costante.Quel che occorre fare all’inizio del lavo-ro è trasformare tutti i limiti imposti dallascrittura dalle convenzioni in altrettan-te libertà: non scrivere se non se ne havoglia; scrivere male, su qualunque sup-porto e con qualsiasi mezzo; scrivere esottrarsi alla lettura di quello che si èscritto al proprio gruppo di pari; perder-

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TEMA WRITING

si in quello che si scrive senza lasciarsiinvischiare dalla logica; non temere diimitare gli altri perché l’imitazione è unodei modi per andare alla ricerca della pro-pria voce, di un proprio modo di espri-mersi.

Scrittura come addestramento

«Scrivere è un po’ come un addestramen-to, come quando più si corre e meglio civiene. […] Qualche volta uno non ne havoglia e ogni passo costa fatica, ma lo sifa ugualmente. Non si può aspettare chevenga l’ispirazione, che all’improvvisovenga una gran voglia di correre […] mase si corre regolarmente si addestra lamente e nel bel mezzo della corsa, ad untratto si scopre che ci piace moltissimo.Anche la scrittura è così. Una volta checi siamo entrati dentro, ci si chiede checosa ci abbia trattenuto tanto a lungodal farlo». (Natalia Goldsberg, ScrivereZen, Ubaldini ed., Roma 1987, p. 29 ).In seguito però Goldsberg aggiunge «Farepratica di scrittura, non è solo una pre-stazione di esercizi, dobbiamo essere di-sposti a mettere in gioco tutta la nostraesistenza. È uno speco di energie limi-tarsi a seguire le regole senza metterci ilcuore». (p. 133).Il laboratorio di scrittura deve essere fre-quentato settimanalmente, per almeno dueore e per un periodo lungo di due o treanni. All’inizio bisogna scrivere per pocotempo, non più di quindici minuti. La ve-locità neutralizza il censore che ciascunosi porta dentro. La costrizione temporaleinduce ad esprimersi senza il filtro dellacoscienza. Si possono all’inizio esprimerepensieri in libertà, senza alcun nesso ap-parente, tradurre in parole sensazioni edimmagini così come si presentano allamente. Sarà evidente oltre al carattere diimmediatezza anche una sorta di radiogra-

fia della mente. Scrivere velocemente èanche un modo per superare ansie e bloc-chi e se questi esercitano la loro azionefrenante, prenderli ciascuno in esame.

Ritualità

La scrittura creativa deve diventare unapratica settimanale a scuola, ma la si puòesercitare in forma diaristica e praticarlaogni giorno, per una mezz’ora. Ritrovarsicon quella cadenza, garantisce la conti-nuità dell’esperienza che, ripetendosi,diventa rassicurante.Nelle pagine del giorno possono essereannotate insoddisfazioni, speranze, so-gni, azioni e l’appuntamento con se stessiè un momento di escursione, di gioco incui bisogna imparare ad «Ascoltare l’arti-sta-bambino presente in ciascuno. […]Ascoltare la sua voce che ha bisogno dipoco, di un po’ di gioia,di un po’ di di-vertimento […] per far vivere in manierapiù ludica il lavoro che si sta facendo».(Giulia Camon, La via dell’artista, Longa-nesi Milano1998).È importante, nel laboratorio di scritturacreativa a scuola, fornire stimoli, partireda una parola che «gettata nella mente acaso produce onde di superficie e di pro-fondità, provoca una serie infinita di re-azioni a catena coinvolgendo nella suacaduta, suoni, immagini, analogie, ricor-di». Rodari la Grammatica della fantasia,Einaudi, Torino 1992, p. 7.Una parola per gioco associativo ne ri-chiama altre a partire dalle quali si puòcostruire una storia, ma anche due paro-le estranee l’una all’altra e lontane di si-gnificato possono dare origine a storiestrampalate e fantastiche.Anche utilizzando il gioco delle personi-ficazioni, delle quali ci si serve inconsa-pevolmente nel quotidiano, ma che, nel-la infanzia, è il modo abituale per entra-

re in contatto gli oggetti del proprioambiente attribuendo loro atteggiamen-ti, sentimenti e movenze umane, può darevita a storie nelle quali essi aspettano diessere trasformati in personaggi. Bisognaallora aiutare i ragazzi a capire che nonbasta nominare gli oggetti per averne unaconoscenza, si può cogliere qualcosa didiverso da quello che se ne sa su di loro eaprendosi all’immaginazione ed immede-simandosi in essi, si può dare loro unavoce Di ciascuno si potrà capire alloraqualcosa di diverso da quello che di soli-to se ne sa, ascoltare la loro voce e farliparlare come se fossero esseri viventi.

Cercare pretesti. Creare attese

È importante, come atto preparatorio allavoro che si svolge, realizzare un’attesa,una tensione che spinga alla curiositàverso quello che viene dopo.Si possono creare occasioni e pretesti cheinvoglino alla scrittura: si può ascoltareuna musica scrivendo un breve brano in-centrato sulla suggestione che essa crea,sulle emozioni che suscita, si possonoritagliare immagini di personaggi da gior-nali e riviste che possono animarsi conl’osservazione dei loro atteggiamenti, deiloro sguardi per rilevare i loro pensieri inrapporto all’ambiente in cui sono inseri-ti. Si possono leggere racconti di autorivari e sollecitare i ragazzi con delle do-mande ad individuare le emozioni e i sen-timenti che guidano le azioni dei perso-naggi nelle varie situazioni, in modo cheimparino a rilevarli, si può richiedere lorodi scrivere brevi storie per “mostrare” erendere visibili le emozioni che guidanoazioni,pensieri,comportamenti. Si puòpartire dall’osservazione di stampe di luo-ghi del presente a cui esse rimandano.Natalie Goldberg afferma che «Se riuscia-mo a catturare la realtà che sta attorno anoi, non c’è bisogno d’altro per scrivere.[…] Ascoltare lo spazio che è attorno anoi, le cose che lo riempiono, il posto cheoccupano, i dettagli che danno solidità econcretezza alle cose». (Scrivere Zen, p. 58)Poiché la scrittura è anche memoria, ilrecupero di episodi trascorsi, di esperien-ze passate può essere sollecitato attra-verso la composizione di storie che uti-lizzano i ricordi di come le cose eranoconcepite dalla mente e dal cuore e se-guendo le tracce di un tono, una sfuma-tura di colore, una sensazione, far emer-gere esperienze dimenticate. Si può gio-care con il “tempo” divertendosi ad ac-corciarlo, attraverso l’ellissi, per raccon-tare storie in cui si tiene solo ciò che èessenziale, o dilatarlo con la creazionedi attese, flash back, anticipazioni, conelementi descrittivi o riflessivi e quan-t’altro, giacché in nessun altro modo èpossibile esserne padroni e signori.

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22Il piaceredi scrivereANNA SARFATTI *

Insegnare a scrivere e

trasmettere il piacere di

scrivere. Per quanto riguarda

la scrittura lavoro con i

bambini su questi obiettivi

intrecciati per i cinque anni

della scuola primaria, tutti i

giorni o quasi. E intanto mi

gusto la lettura di tutto

quello che mi portano, testi

che sbocciano all’improvviso

come fiori di campo ma che

spesso hanno avuto lunghi

tempi di maturazione

sotterranea

Cosa intendo per “piacere di scrivere”?Individuo il piacere quando scrivono senzache gli sia stato richiesto, spinti a farloda un bisogno o da un desiderio: questoavviene quando mi portano qualcosa fat-to a casa, che spesso presentano con ap-parente noncuranza, dicendo: «Non sa-pevo cosa fare e mi sono messo a scrive-re». Oppure quando, nel momento chededichiamo alla scrittura, scelgono lorocosa scrivere. «Posso scrivere quello chevoglio? – chiedono – Anche una poesia?Posso scrivere una lettera?».Di seguito riporto alcuni testi che rendo-no conto di questo piacere, colorito daelementi di trasgressività: sogni d’amo-re, di violenza, di coprolalia, di occulti-smo. Come sono approdati sui quadernidi scuola, sapendo che sarebbero statiletti dalla maestra, dai compagni e daigenitori?Confesso che non ho certezze metodolo-giche, posso solo indicare gli ingredientiprincipali che utilizzo consapevolmenteper stimolare i bambini scriventi a sen-tirsi scrittori.Un elemento che ritengo fondamentale èla totale accoglienza riservata a qualun-que loro prodotto, dimostrata in ognioccasione. Credo che a questo mi porti ilrapporto quotidiano con la scrittura, miaprima voce, che mi ha insegnato a cercar-mi dentro le parole che si svelano sul fo-glio. Mi è capitato più volte di condividerecon loro la sorpresa di leggere un propriotesto, non avendo la consapevolezza divolerlo/saperlo scrivere. Nel momento incui la scrittura diventa una forma di collo-quio con la parte più segreta di sé, occorregrande rispetto per quei testi.

Altro elemento è il tempo dedicato allalettura, almeno mezz’ora al giorno, va-riando molto le proposte. Un posto im-portantissimo è occupato dagli scritti deibambini, letti e commentati ad alta voce,alternati ai testi degli scrittori professio-nisti. Gli scrittori “di mestiere” sannocostruire storie più complesse, utilizza-no un vocabolario molto più ricco, sannoparlare di argomenti molto difficili; ma itesti dei bambini spesso sono più diver-tenti, parlano della loro vita quotidiana,delle piccole cose che a volte i grandinon vedono e non sanno.Accenno agli stimoli dati per coltivare lacreatività linguistica. I brani qui riporta-ti testimoniano ad esempio il lavoro sul-la poesia, sull’umorismo, sulla costruzio-ne di elenchi di nomi, sul parallelismotra lingue diverse. C’è lavoro dietro la loroapparente semplicità. Lavoro collettivoper comprendere, assimilare, esercitare elavoro individuale per richiamare, speri-mentare, produrre e quindi restituire aglialtri in forma più avanzata.Infine segnalo una particolare attenzio-ne per la maturazione della consapevo-lezza metalinguistica, che include unaforma di autocontrollo che il bambinoapplica ai suoi processi linguistici. Inpratica, tante volte ho chiesto ai bam-bini: Ti piace quello che hai scritto? Seiriuscito a dire quello che sentivi dentro?Cosa ti ha fatto venire in mente quelloche hai scritto? I commenti che faccia-mo con i compagni li hai pensati anchetu?... Credo che queste domande stimo-lino a riflettere su quanto si scrive e aindividuare un percorso autonomo di nar-razione.

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TEMA WRITING

Mi è difficile dire di più in poche righe,aggiungo solo che non di rado propongoloro racconti, poesie e filastrocche scrit-te da me, chiedendo commenti e consi-gli. Credo che anche questo concorra acreare tra noi un’intesa complice e pro-duttiva.

Poesia dedicata da un ragazzo allasua “amata”

Guardo la luna, mi ricordala nostra prima passeggiata e la nostraprima luna di miele.Vedo la prof.Ed il suo appuntalapis,mi ricorda quella volta che tu buttastil’appuntalapis per terra, io lo raccolsima tu mi afferrasti la mano emi baciasti.Mi incantai al tuo dolce sguardod’AMORE(Lucrezia e Marisabel, classe terza)

Lucrezia e Marisabel hanno scritto moltepoesie insieme, unite da un comune so-gno di amore.

Vorrei fare una cosa

Ora vi racconto una cosa. Io vorrei fareuna cosa molto molto bella al conigliodell’Irene. Vorrei che mi prestasse il co-niglio, poi lo vorrei portare al nonno delGozzi.Poi quando lo porto dal nonno del Gozzi,prende il coniglio per gli orecchi e per lezampe, poi lo tira e gli strappa il collo,dopo lo spella e gli leva gli orecchi, gli fagrondare il sangue, poi lo mette su untagliere grande e poi gli spezza un pezzoper uno, poi li mette in una pentola e poili mette in friser per congelarlo e poi dopolo mangia.Ecco cosa vorrei fare con il coniglio del-l’Irene.(Leonardo, classe terza)

Pipì e Popò

Era tanto tempo fa c’era un bambino chesi chiamava Poppolino e una bambina chesi chiamava Pisciolina che incontrò Pop-polino e chiacchieravano dei suoi amicimigliori. Ora vi dico come si chiamano:uno Ruttone, uno Caccolone, uno SediaElettrica, uno Inkiostrik, uno Sancio pan-za, uno Don Chisciotte, una di nome Jas-mine, una Pocahontas, una Cenerentola euna Ariel. Quando ne discuterono Piscioli-na aveva fatto la piscia sul capo di Poppo-lino e Poppolino fece la poppò sopra a Pi-sciolina e allora si sono messi a leticare esi separarono. Poi la mattina Pisciolina eraandata a trovare Poppolino e Pisciolina glidisse: “Vuoi fare pace con me?”

Poppolino: “E va bene, però che non suc-ceda mai più.”E allora Pisciolina voleva andare a Parigia trovare il suo nonno che si chiamavaCaccolone e la sua nonna che si chiama-va Omar. Lo so che è un nome da maschioperò la sua mamma gli ha dato un nomecosì! Poi si sposarono a Parigi in via deiSilvestri e vissero felici e contenti, manon ho detto una cosa: Pisciolina conti-nuava a pisciare sul capo di Poppolino ePoppolino continuava a fare la poppò sulcapo di Pisciolina.(Viola, classe terza)

I vasi magici

… Si chiuse la porta di scatto, erano in-trappolati. Ma, ad un certo punto, venneuna tartaruga e ai due bambini disse:«Prendete la mia coda e aprite uno deiquattro vasi magici... Ma state attentiperché uno dei quattro vasi vi farà ritor-nare all’uscita. Uno è quello della morte,uno è quello dell’invecchiamento, uno del-l’uscita e uno dell’invincibile Bioniche,cioè un robot». I ragazzi finirono in unagrotta… sentirono un rumore e…SPLASH!!! Il Bioniche col potere acquacomparve e disse: «Kabaqusa ab sabat?»(traduzione: Chi siete voi?) Il bambinorispose: «Siamo bambini e siamo rimastiintrappolati!» Il Bioniche rispose: «Ka-bama bu donamo boby so truberik indboting trubarù. Cikichiù bustasiusen tri-badu dimani, poski, trisubachi trabaranobisrenomus barbachiù don cosim lesvim».

(traduzione: Anch’io sono rimasto intrap-polato per miliardi di anni e non sonoriuscito a uscirne perché tanti anni fa,quando ero un uomo, avevo affittato que-sto castello e in una stanza vidi cinquevasi, ci misi una mano dentro… SLUP!!!Mi inghiottì. Dopo distrussero il vaso enon lo dovevano distruggere sennò di-ventavo un robot ed ora eccomi qua.)Si sentì BOOM!!! PATATRACK!!!. … Joensi alzò di scatto dal letto e si accorse cheera solo un sogno; andò in cucina perfare colazione e sulla tavola vide quattrovasi e disse: «secondo voi il sogno cheho fatto è vero?»Rimarrà sempre un mistero!FINE(Andrea, classe quinta)

Quando gli ho chiesto come gli fosserovenute in mente tutte quelle parole stra-ne mi ha risposto: «Non lo so, ogni tantomi passano per la testa e allora le ho scrit-te».Sospetto invece che questa idea sia statastimolata da un discorso sulla traduzionefatto qualche giorno prima con un’amicaargentina.

Concludo con un aneddoto. Alla vigilia diuna Fiera del Libro per Ragazzi di Bolo-gna annunciai ai bambini che il giornosuccessivo sarei mancata. Mi chiesero divenire con me, risposi che era impossibi-le, essendo la Fiera aperta solo agli ad-detti ai lavori, librai, editori, scrittori. Eloro: «Dai portaci, gli dici che siamo ungruppo di scrittori nani!».

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educazione società

Clotilde Pontecorvo esordiscesenza esitazioni con un altrettanto sem-plice e terribile risposta: «Prima di tuttosignifica occuparsi del futuro degli uo-mini e delle donne». Io ho l’impressio-ne di trovarmi come dinnanzi ad unasacra iscrizione del “Tempio della Pe-dagogia”. Lei prosegue: «Si tratta forsedi una “missione impossibile”, comediceva Freud, ma è fondamentale. A ri-schio di essere retorici, è su questotema che occorre concentrarci e nonsottovalutare che occuparsi d’educazio-ne è un bel mestiere, persino un po’privilegiato, pieno di sorprese e di ri-schi salutari. Pensiamo, ad esempio, alfatto che fare e studiare educazione,immaginare dispositivi pedagogici si-gnifica guardare al di là; andare al di làdel dato, una sorta di metafisica senzatrascendenza; andare oltre di ciò cheappare immodificabile ed entrare in unalogica di trasformazione. Lo so bene chepuò essere pericoloso e che dobbiamoessere attenti al presente; a ciò chesono i ragazzi, i bambini che abbiamodi fronte qui ed ora, ma senza quest’uto-pia credo non si possa proporre educa-zione o pedagogia. La cosa è tanto piùimportante se ci poniamo nell’ottica diguardare oltre senza preformare, senzaimporre. Aveva ragione Bateson quan-do diceva che i grandi insegnanti sonocoloro che creare le condizioni per l’agirelibero degli allievi senza interveniredirettamente, preoccupato com’era dievitare ogni fraintendimento su possi-bili manipolazioni.Penso che la questione centrale, nelnostro attuale contesto, sia quella del-la ricerca del senso dell’educazione. Puòsembrare una tautologia dire che il sen-so dell’educazione sta nella ricerca delsuo senso, ma è così perché l’educazio-ne, e le pedagogie che ne conseguono,è qualcosa d’indispensabile e necessa-rio. Cercare il senso, e ritorniamo altema di prima, significa non fermarsialle apparenze. C’è un concetto dellapsicologia di Jerome Bruner che ben lospecifica: il pensiero va al di là delleinformazioni che ci sono date. Pertan-to ritengo che oggi educare significhipiù che mai educare a pensare ed a far

pensare. La misura dell’educazione èdata proprio dalla relazione tra inse-gnante ed allievo nel quadro di unpensare”condiviso. Rendere possibile ilpensiero che si apre e si comprende inun contesto non è sempre facile nellavita: e la scuola, l’educazione sonoquindi essenziali in quanto spazio pro-tetto ove acquisire e sperimentare que-sta possibilità di pensiero.Certamente la questione riguarda an-che la formazione dei futuri insegnan-ti, degli educatori: noi all’Università,ad esempio, insegniamo in aule da 150/200 persone dove chi parla non vedebene in faccia i propri allievi, la rela-zione è limitata a quelli nella prima fila.Le condizioni di lavoro sono davverodure, ma non si deve smobilitare, nonci si deve scoraggiare».

Quali sono allora le tematiche “for-ti”, le parole-chiave per la ricerca pe-dagogica oggi?«Prima dicevo del senso: la scuola deveavere “un senso” per gli attori che lavivono e la praticano, ovvero occorrecapire perché la si fa, per chi e ciò simanifesta principalmente nella com-prensione reciproca, nella relazione.Troppo spesso a scuola non ci si curadi questa dimensione che è la chiavedi volta della motivazione ad appren-dere. Certo la società sembra andare indirezione opposta, c’è tanta confusio-ne; ma il “senso” di cui parlo sta nellamente degli attori della scuola e si con-cretizza nei gesti, nelle parole, nei di-scorsi quotidiani.Capire che cosa c’è nella mente dell’al-lievo, rendersi conto delle sue cono-scenze, tenere conto delle sue istanzee delle sue motivazioni culturali: que-sto mi pare centrale oggi. Nel libro Lacultura dell’educazione, Jerome Brunerparlando dei modelli della mente e del-la pedagogia, individua quattro essen-ziali processi d’apprendimento: appren-dere per imitazione: l’acquisizione diknow-how; imparare dall’esposizionedidattica: l’acquisizione di conoscenzeproposizionali; i bambini come pensa-tori: lo sviluppo attraverso lo scambiointersoggettivo; i bambini come sog-

A scuola sipuòsbagliare…STEFANO VITALE

Clotilde Pontecorvo insegna

oggi Psicopedagogia del

linguaggio e della

comunicazione all’Università

“La Sapienza” di Roma ed è,

dallo scorso anno, presidente

della Federazione Italiana dei

Cemea, succedendo così ad

Andrea Canevaro. La domanda

con la quale avviamo la

nostra intervista è semplice e

terribile al tempo stesso: che

cosa significa oggi occuparsi

di educazione e di pedagogia?

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getti intelligenti: la costruzione dellaconoscenza “obiettiva”. I primi duemodelli privilegiano ciò che gli adultipossono fare dall’esterno per promuo-vere l’apprendimento; gli altri due pon-gono l’accento su quanto e su quelloche il bambino può fare, pensa di faree su come l’apprendimento possa fon-darsi su tali stati intenzionali. I primidue hanno una lunga storia e tradizio-ne e tendono ad escludere gli altri due:ma accumulare competenze e conoscen-ze non basta. Il bambino deve poteressere consapevole dei suoi processi dipensiero e dei suoi modi d’organizza-zione dell’esperienza: l’insegnante do-vrebbe allora aiutarlo ad essere “piùmetacognitivo”. Il bambino ha già unasua conoscenza del mondo: questa varecuperata (e non solo come punto dipartenza), aiutata ad esprimersi, mi-gliorarsi.Ragionare in questi termini significaallora rimettere al centro delle “politi-che della scuola” i temi dell’intercultu-ra e della laicità quali pilastri della com-prensione della differenza. C’è un para-dosso sul quale occorre riflettere: piùla scuola è fondata su valori di compe-tizione, di produttività e di emargina-zione dei perdenti, più essa si omologae perde di senso. Più la scuola, al con-trario, è attenta alle differenze più essacresce, fa crescere ed assume signifi-cato. E molto dipende dagli insegnan-ti».

Ma gli insegnanti sembrano esseresempre meno disponibili a questi ra-gionamenti ed a queste scelte.«È vero, c’è il problema del restituireentusiasmo agli insegnanti che sonooramai ridotti al rango di impiegati.Questo è l’effetto di anni pesanti: se ladestra politica in Italia ha ottenuto unrisultato, al di là delle questioni legatealle più o meno credibili riforme, è quel-lo di aver tolto progettualità, pensie-ro, autonomia agli insegnanti. Ma, comedicevo prima, non ci si deve acconten-tare del dato e pensare che non ci sianulla da fare perché la realtà è quellache è… Occorre, invece, fare delle ana-lisi e rilanciare un pensiero “colletti-vo”, rimettersi insieme. Credo che ciòsia possibile non solo politicamente,cosa della quale non sono esperta nel-lo specifico, ma anche concettualmen-te e culturalmente in base all’idea cheil problema centrale della scuola è quel-lo della costruzione condivisa delle co-noscenze».

In effetti hai anticipato una doman-da per noi centrale: come leggere il

tema della trasmissione delle cono-scenze nell’epoca dell’esplosione deisaperi?«Non credo che il problema sia quellodella “trasmissione”, quanto sia quellodella “costruzione della conoscenza”.Non è la quantità delle conoscenze checonta, quanto la loro qualità che siesprime proprio nei modi del formarsidelle conoscenze che provocano così deisaper-fare, dei saper-essere. Come in-segnante non posso “pensare di costru-ire” tutte le conoscenze, devo fare del-le scelte, anche dolorose, ma le devofare. Qui sta la qualità: scegliere le coseessenziali. Il nodo è “come si scelgo-no” e come si presentano agli allieviqueste scelte, e poi come l’allievo ap-prende a ricostruire da solo, per contosuo, quelle conoscenze. Prendiamo laquestione delle tecnologie: io non micolloco tra gli “apocalittici” che temo-no le tecnologie, né tra coloro che gliattribuiscono un ruolo demiurgico edinsostituibile. Le tecniche, e le tecno-logie, sono sempre esistite e non van-no certo sottovalutate, ma non dimen-tichiamo che sono sempre legate ad unacomunità, ad un ambiente e che si tra-sferiscono più facilmente attraversol’imitazione e la cooperazione. Non han-no un “potere in sé”: quel che forsemanca è una riflessione critica. Ci silascia spaventare troppo facilmenteinvece di interrogarsi, da educatori eda insegnanti, su come si possa lavo-rare coi bambini usando questi strumen-ti. Non ci facciamo abbagliare: le cosesono più semplici se poniamo al centrodell’azione e della riflessione pedago-gica la questione della relazione tra parie con gli adulti. La buona o cattiva riu-scita dell’uso delle tecnologie continuaa dipendere da questo nodo. Come di-cevo prima, all’Università si sente mol-to la mancanza della relazione: qui èdifficile se non impossibile far valerela dimensione del gruppo. Ma è da quiche occorre ripartire».

Come vedi, allora, il futuro della scuo-la?«Abbiamo iniziato questa conversazio-ne parlando del futuro ed ora chiudia-mo il cerchio. Io vedo il futuro dellascuola fortemente condizionato da fat-ti strutturali sui quali occorre interve-nire con chiarezza e risolutezza. Separliamo di “condizioni” per l’appren-dimento non si può negare che moltoc’è da fare, specie adesso. Ma la scuolaha un futuro necessario: io la vedo comeil luogo dove i ragazzi e le ragazze “pos-sono sbagliare” e dove l’errore non hae non deve avere conseguenze negati-

ve. La scuola è un luogo di simulazionedella vita, uno spazio protetto; è unterreno di sperimentazione e di eserci-tazione dove le conseguenze sociali dieventuali difficoltà non devono averele stesse conseguenze che nella vita.Gli antropologi hanno spiegato che ognisocietà ha bisogno di “laboratori” dovei più giovani possano imparare a farecose semplici ed utili alla cultura. Sonostate fatte interessanti osservazioni incomunità nordafricane sugli apprendi-menti dei nuovi membri in attività diapprendistato guidate dalle madri odalle insegnanti: con le prime c’eramolta preoccupazione di sbagliare, an-che per ragioni di pressioni economi-che e di valori famigliari; con le inse-gnanti si poteva sbagliare e così speri-mentare il nuovo. La scuola ha questachance. La cornice, il frame di questapossibilità è data dal fatto che nondevono essere dominanti le regole del-l’efficienza e della produttività, ma delconfronto: a scuola si può pensare”.

Così si chiude la conversazione, chemi lascia sereno ed attonito al tempostesso, e mi fa ripensare ad una sto-ria zen, che vale la pena di riprende-re per intero.

Una tazza di tèNan-in, un maestro giapponese dell’eraMeiji (1868 – 1912) ricevette la visitadi un professore universitario che eraandato da lui per interrogarlo sullo Zen.Na-in servì il tè. Colmò la tazza del suoospite, e poi continuò a versare. Il pro-fessore guardò traboccare il tè, poi nonriuscì più a contenersi. «È ricolma. Nonc’è ne entra più». «Come questa tazza– disse Nan-in –, tu sei ricolmo delletue opinioni e congetture. Come possospiegarti lo Zen, se prima non vuoti latua tazza?» (101 storie Zen, Adelphi,p. 13, 1973).

Le tecniche, e letecnologie, sono sempreesistite e non vannocerto sottovalutate, manon dimentichiamo chesono sempre legate aduna comunità, ad unambiente e che sitrasferiscono piùfacilmente attraversol’imitazione e lacooperazione. Non hannoun “potere in sé”: quelche forse manca è unariflessione critica

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LE SOCIETÀ DELL’AVVENIRE

In quanto narrativa nata come reazio-ne all’impatto della società industriale suindividuo e società, la fantascienza ha nelsuo Dna il tema del “cambiamento”. Essas’interroga, sostanzialmente, su “comesarà l’uomo”. Domanda dalle infinite ri-sposte, anche perché la fantascienza, oscience fiction non si pone fini di previ-sione; lo scrittore di fantascienza non hanessuna sfera di cristallo in cui contem-plare ciò che avverrà poi ma deduce dalpresente un futuro plausibile. In tale ope-razione letteraria entrano la scienza (peresempio, le scoperte della fisica quanti-stica) e le nuove tecnologie: specie letelecomunicazioni, l’ingegneria genetica,la chimica. Ma la gamma di materie cuiattingere è amplissima: l’importante è chesi arrivi a una speculazione, a “immagi-nare” future applicazioni del tema scel-to, purché si rimanga nei binari d’unalogica scientifica condivisa. (È inevitabi-le che questo margine sia ampio; oltreun certo limite però non è più fantascien-za ma si entra, ad esempio, nel reame del“fantastico”).

L’uomo innestato

Semplificando molto, si può citare qual-che tema “esemplare”, ricordando che lascience fiction è anzitutto “narrativa” eper di più di origini “popolari” (benchénobilitata da alcuni nomi “illustri” daOrwell a Calvino fino a Primo Levi). In-somma le sue pagine dovranno conqui-stare il lettore non solo per l’idea fanta-tecnologica di fondo, ma anche per levicende raccontate, i personaggi, l’avven-tura, il mistero. Uno dei temi cardine ècertamente il cyborg: l’uomo “innestato”.Forse il primo a descrivere un cyborg fuEdgar A. Poe (in un suo sorprendente rac-conto L’uomo finito), ma la science fic-tion odierna pullula di personaggi coninnesti che ne potenziano facoltà fisichee mentali (nervi e muscoli artificiali; oc-chi e orecchi che recepiscono gamme piùampie; chip mentali che amplificano me-moria, intelligenza o funzionano comecellulari consentendo una sorta di tele-patia elettronica confinante in una sortadi Internet mentale: in questi “personag-gi” si uniscono le tecnologie del cyborg edelle future telecomunicazioni). D’altron-de il cyborg esiste già: denti artificiali,articolazioni ossee di titanio, oggi sonoroba corrente. Uno scrittore di fantascien-za ha detto: «Sapevo che il cyborg primao poi sarebbe nato, ma non immaginavodi ritrovarlo in mia nonna». O forse l’uo-

mo cambierà per un puro fattore evoluti-vo: allora avremo Superuomini dotati disuperpoteri, per esempio la telepatia “na-turale” (citerò per tutti Nascita del supe-ruomo di Theodore Sturgeon). Quanto allachimica, in una storia satirica di RobertSheckley, Pellegrinaggio alla Terra, unnuovo prodotto consente di innamorarsiperdutamente, ma “a tempo”, cioé fin-ché dura l’effetto del “medicinale” (conimmaginabile sconvolgimento dei prota-gonisti). Di sicuro i sentimenti – fra cuil’amore (e l’eros) – si riveleranno tut-t’altro che immutabili, contrariamente aquanto si pensa, anch’essi influenzati danuove tecnologie. Basti pensare cosahanno già significato allattamento arti-ficiale e contraccettivo e immaginare (severrà) cosa possa accadere con la pla-

centa artificiale. Quanto alla scienza, inStar Trek avveniva il “teletrasporto”istantaneo delle persone: studi sulle par-ticelle atomiche e sul fenomeno ancorainspiegato dell’entanglement (le proprie-tà d’una particella si trasferiscono istan-taneamente a un’altra simile, indipen-dentemente dalla distanza) lasciano sup-porre grosse novità, benché non immi-nenti. A una sola domanda la science fic-tion non risponde: l’umanità sarà piùfelice? Dalle storie in circolazione oggi,parrebbe di no. Ma cos’è in fondo la scien-ce fiction, se non una proiezione nel fu-turo del nostro presente?

*Pubblica science fiction fin dal 1962 e ha vintoil prestigioso Premio Urania nel 1990. Vive aBari.

La fantascienzae l’uomo di domaniVITTORIO CATANI *

Nelle parole di uno dei più significativi scrittori di

fantascienza italiani, la fantascienza appare come un progetto

di umanità futura, con i suoi sogni e le sue potenzialità a

tutt’oggi inesplicate e inespresse. E non si tratta soltanto del

cyborg…

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Dedicato aGiuseppe PontremoliTONI GULLUSCI

Nell’aprile del 2004 se n’è andato Giuseppe Pontremoli. Lo

vogliamo ricordare alle lettrici e ai lettori di école con la

narrazione di “Processioni, memorie eventi e movimenti”, una

giornata di storia e di storie che si è svolta al Liceo “Giordano

Bruno” di Torino

La sala si sta lentamente riem-piendo in un pomeriggio faticoso men-tre un video-blob di tg attira l’atten-zione. Prima di cominciare annuncio chedopo la conferenza si potrà assistereall’evento processo-processione, un’azio-ne teatrale che conclude le attività cheil nostro liceo, da questa mattina, stadedicando all’anniversario della mortesul rogo di Giordano Bruno, ucciso dall’Inquisizione romana in Campo dei Fio-ri nel 1600.Giordano Bruno è stato processato perle sue idee, i suoi libri sono stati messiall’indice, sono stati proibiti e bruciaticome il suo corpo, perché Giordano Bru-no aveva osato compiere l’azione spre-gevole di parlare, leggere e scrivere,scrivere libri, leggere libri e parlarneliberamente. Ho usato deliberatamen-te l’espressione “compiere l’azione spre-gevole” così come l’ho imparata da Giu-seppe Pontremoli, un amico che è ve-nuto a mancare troppo presto, una per-sona intelligente che vorrei farvi cono-scere almeno un po’: «Per farmi capiredevo però parlare del signor Tobia Cor-coran e del “Premiato Collegio Miner-va”. Ne parla Silvio D’Arzo in un rac-conto incompiuto della fine degli anniQuaranta, pubblicato postumo dalleedizioni Diabasis di Reggio Emilia nel1955, Una storia così. Il signor TobiaCorcoran dirigeva appunto il “PremiatoCollegio Minerva” e non aveva nulla distrano se non questo fatto: aveva intesta soltanto un’idea. Ed ecco qui lasua idea: “Uno studente dai sei anni inavanti non può compiere azione piùimmorale, malvagia, spregevole, peri-colosa, allarmante che leggere libri chenon siano i tre libri di testo. E a suavolta un maestro dai vent’anni in avantinon può compiere azione più infaman-te, allarmante, pericolosa, spregevole,malvagia, immorale che far leggere li-bri che non siano i tre libri di testo»1.Giuseppe Pontremoli era un maestrosensibile di scuola elementare, ma an-

che uno scrittore, un poeta, un uomodi pace, impegnato a costruire unascuola libera. Vorrei ricordarlo tenendovivo il suo insegnamento: continuare araccontare storie e a compiere azionispregevoli come il leggere per il piace-re di avventurarsi nell’ignoto della let-teratura e di se stessi, correndone tut-ti i rischi.Le azioni spregevoli spesso nella storiasono state punite con il rogo, oggi ilrogo è globale: si presenta come guerrapreventiva sul corpo degli uomini ecome omologazione informativa delleloro menti e dei loro cuori; si nascondenella forma dei mass media, dove ognicomunicazione an-nega nell’eccesso deimessaggi unidirezionali, in sostanzaveniamo continuamente mutilati (fisi-camente e psichicamente) di ogni pos-sibile risposta. Questa mattina il pro-fessor Piero Palmero, nella sua confe-renza, non a caso ha fatto dei collega-menti tra la nozione di vincolo (o delmago) in Giordano Bruno e No-logo dellaNaomi Klein, cioè sulla struttura del

messaggio persuasivo e pervasivo del-la pubblicità e, all’opposto la necessitàdella ricerca continua per essere liberie liberamente dialogare.Questa conferenza è la terza di un ci-clo2 finalizzato all’educazione circa l’usoe l’interpretazione delle nuove fontistoriche, documenti declassificati, fil-mografie, storie personali, internet, che“costringono” a rivedere quello che sisapeva, approfondendo le ragioni pri-me dei processi storici, sia dal puntodi vista di chi detiene i mezzi del pote-re, sia dalla parte di chi agisce comemoltitudine (nell’accezione di AntonioNegri).Tutto ciò s’inscrive nell’ambito di unprogetto didattico-metodologico checerca di dare qualche risposta a dueesigenze fondamentali: – far un po’ diluce su questi nostri tempi, attuali oappena trascorsi, cioè più scolastica-mente trovare il modo per affrontarequella parte del programma di storiache non si riesce mai a fare: la secondametà del Novecento – mettere gli stu-

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Un anno prima è meglio?MONICA ANDREUCCI

Era una tranquilla riunione genitori-educatori alla scuola

materna per organizzare la festa di Carnevale, ma è bastato

un cenno inconsapevole per cambiar discorso alla grande.

Così ci si è ritrovate in un bel dibattito sull’anticipo delle

elementari, esteso ai bimbi che compiono cinque anni entro

aprile, con opinioni e riflessioni sacrosante e varie.

Mascherine e buffet potevano aspettare

«Io sono assolutamente favorevole – Pina, mamma di una bimba proprio del-l’Ariete – anzi l’ho già iscritta. È sveglia, intelligente, sa già un po’ leggere e scrive-re. Un altro anno significherebbe farla annoiare quando, a 6 compiuti, dovesse aspet-tare in classe quelli più indietro». «Vero – le risponde Giusy, una delle maestrepresenti – i bambini oggi crescono più in fretta come per tua figlia che è già altissi-ma e vispa. Però noi non trattiamo tutti allo stesso modo, formando gruppi d’attivitàper capacità ed attitudine e non per sola età». «Perché parlare di noia e non piutto-sto di pazienza, tempo per riflettere e migliorare? – dice mamy Valerie – È giusto chei nostri figli si abituino a rispettare gli altri da subito, perfino imparando che esisto-no i “tempi morti”. Altrimenti ogni piccola difficoltà (e capita a tutti, prima o poi,anche ai geni) sarà fonte di stress». «C’è una idea sbagliata dello stare all’asilo(come qualcuno ancora lo chiama) – fa eco Marina, ausiliaria – cioè molti pensanoche qui si passi il tempo a giocare e basta. Invece il programma è pensato peradattarsi al ritmo di crescita ed alle abilità di ognuno, ed opportunamente si fannopure approfondimenti, momenti come di studio, direi. Il bello è che tutto scorre inallegria e serenità; quando finisco di riordinare mi piace partecipare e talvolta dise-gno con loro!». «Sì, la fantasia si libera tantissimo e la mia piccola alla materna sela gode con colori e pennelli – si aggancia Katia– anche a casa è tutto un paciugare,quanto ci divertiamo ogni volta che posso. Alle elementari spero la seguano anche inquesto». «Una grossa pecca, invece, è proprio qui – rivela Nadia, mamma ed inse-gnante alle medie – arrivano da noi ragazzi che per 5 anni non hanno quasi maiavuto una educazione artistica: “Disegnate quel che volete!” gli dicono, lasciandolia sé stessi e solo nei ritagli di tempo. Eppure basterebbe che le maestre desseropoche indicazioni e, soprattutto, li lasciassero poi descrivere e raccontare le operefatte. Attenzione che, se c’è per gli scritti e le operazioni, manca nei linguaggi nonverbali che a quell’età sono importantissimi. Mio figlio non l’ho iscritto, nel dub-bio». «A me piuttosto questa “corsa” pare una mania e basta –interviene Bruno, raropadre tra tante donne alle riunioni scolastiche – insomma un’ansia che troppe fami-glie hanno per dimostrare che il loro pargoletto è migliore degli altri. Siamo in unasocietà che va veloce, tutta prestazioni e pochi valori veri, perché non dirlo? Arriva-re prima, ma per poi cosa, insomma, per far penare i giovani dopo quando fatiche-ranno a trovar lavoro; i miei due pupi sono di novembre e gennaio, uno potrebbe giàfrequentare ma non lo farò “anticipare” nonostante sappia già fare qualche conto».«La penso così pure io – Laura, ragazza madre – vedo che il mio bimbo è vispo,curioso, attento ma ancora fatica a prendere i ritmi degli orari rigidi. Come mai,suggerisco, nei primi anni di quelle che chiamano “primarie” non si differenzia iltempo-scuola, entrando che so un’oretta dopo gli altri ed avendo più flessibilitànelle lezioni? Sono piccoli, anche a 6 anni è presto per inquadrarli». «Non consideriperò – continua Patrizia, tre volte mamma – che crescono in fretta, e per un bambinopure i pochi mesi estivi valgono molto. A me la Moratti è tornata utile: a settembrefinalmente vedrò risolta una situazione familiare che si trascinava». «Purtroppo qual-cuno ha problemi in casa e gli alunni, che non c’entrano, vengono strumentalizzati– Carla è psicologa oltre che genitrice – le leggi dimenticano facilmente i risvoltiumani dei provvedimenti e l’istruzione, come la salute, prima di essere toccate do-vrebbero godere di enorme riflessione. Questa Riforma ha avuto, come suo unicocriterio al di là delle belle parole, l’esclusivo contenimento della spesa pubblica».«Non facciamo politica per favore – modera Emilia, maestra elementare, che noncomprende quant’è politico tutto il discorso fatto finora – credo che piuttosto ci siada domandarsi perché escludere i bambini nati dopo. Anch’io ho una figlia di metàaprile cui non manca nulla intellettivamente, ed ho avuto i miei dubbi prima didecidere per il no. Poi mi son detta che, tuttosommato, quell’anno guadagnato lesarebbe costato qualcosa di unico, irripetibile: nessuno più, nella sua vita, le avreb-be dato tanti mesi di “spensieratezza educativa” tutti insieme».

denti nella condizione migliore per af-frontare attivamente le problematichestoriche, sia rispetto al contenuto cheal metodo, in sostanza metterli di frontealle difficoltà dell’interpretazione sto-rica e del Lavoro di ricerca. In questosenso Il progetto si chiama “L’altroNovecento” e converge in un sito webwww.progettonovecento.it che racco-glie-raccoglierà tutto il materiale cheviene e verrà prodotto dagli studentiin attività di ricerca e che sta emer-gendo da questo ciclo di conferenze.Per tutti questi motivi e riconoscendoin noi gli stessi intenti pedagogici diGiuseppe Pontremoli vorrei poterglidedicare questo nostro incontro.

Mimmo Candito, presidente italiano diReporter Senza Frontiere, ha iniziato ilsuo intervento su “Il giornalismo d’in-chiesta e l’esercizio del potere” conqueste parole: «Sono straordinariamen-te felice ed orgoglioso di poter mette-re insieme tre nomi che stanno alla basedi questo nostro incontro. Il nome diGiordano Bruno che, per chiunque siainteressato alla conoscenza critica è unnome sacro, scusate la retorica ma èun nome sacro. Il nome di GiuseppePontremoli, che non conosco, ma undocente che scrive l’Elogio delle azionispregevoli è certamente vicino al miomodo di intendere il rapporto di cono-scenza con la realtà. Poi il nome di Al-tiero Spinelli, se gli altri nomi in qual-che modo raccontano il percorso dellaconoscenza, Spinelli racconta il percor-so del progetto, della speranza, deldesiderio. Mi pare che legare insiemequesti tre nomi all’interno di questaconferenza sia un fatto che mi possarendere particolarmente orgoglioso efelice e sono grato a coloro che me nehanno dato la possibilità. Non imma-ginavo che in questa attività ci fossequesto usbergo, questo segno così for-te che potesse rappresentare ciò chevolevo dire: la sfida tra la riservatezzadel potere e il dovere del giornalismodi difendere il proprio ruolo di “caneda guardia” della società».

NOTE1. Elogio delle azioni spregevoli di GiuseppePontremoli, L’ancora del Mediterraneo, 2004,p. 32.2. Il progetto è stato ideato da Maurizio Cha-tel (del Liceo europeo “A. Spinelli”), organiz-zato con la collaborazione di Lilia Greco (del-l’Itis “E. Majorana”), di Piero Burzio e AntonioGullusci del Giordano Bruno e la partecipazio-ne degli studenti3. Mimmo Candito è docente di Teoria e tecni-che del linguaggio giornalistico all’Universitàdi Torino, è stato inviato speciale de La Stam-pa, ha vissuto in prima linea i drammi e i con-flitti delle guerre, dalla Cambogia all’Iraq.

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I CODICI DELLA SCUOLA

Far di contoRAFFAELE MANTEGAZZA

La dimensione quantitativa del reale appare e viene trattata quando si impara afar di conto. Ci sembra che le scienze umane si comportino nei confronti di questadimensione in modo schizofrenico, alternando una acritica accettazione di tuttoquanto la Nuova Religione della scienza propone a una svalutazione e una sfiduciaassolute nei confronti del numero e della misura; insegnare a contare significaproporre ai ragazzi e alle ragazze un modo di ordinare il reale: non l’unico, ma unmodo importante. Le farfalle possono essere oggetto di un linguaggio poetico, ma ilnaturalista che le vuole preservare dall’estinzione ha bisogno anche di statistiche,conteggi, percentuali e tabelle. La questione semmai è lo sfondo sul quale collocareil numero: perché devo imparare a contare? In che senso contare i bambini salvatidalla morte per fame da un progetto di Cooperazione internazionale è differente(qualitativamente differente) dal contare gli ebrei che entrano in una camera a gas?Il delirio di una tecnica scatenata e apparentemente senza etica (se non quella chesi è prodotta da sola) non si combatte con l’oscurantismo, ma collocando la scienzaquantitativa su sfondi di senso precisi. Ogni volta che si insegna una nozione scien-tifica o si presenta una conquista tecnologica senza domandare e domandarsi per-ché queste siano importanti (in ultima analisi: se queste giovino o meno al progres-so materiale di tutta l’umanità, l’animalità e la vegetalità sulla Terra), si contribui-sce a creare il presupposto per una insensibilità all’uso umano della scienza. Eovviamente, man mano che i ragazzi e le ragazze crescono, è interessante ed affa-scinante guidarli/e verso le terre delle aporie e delle contraddizioni che sono imma-nenti alla scienza soprattutto per quanto riguarda le nuove cosmologie e cosmogo-nie. Temi come quelli concernenti l’infinito e l’infinitesimale, l’origine e la finedell’Universo sono fortemente educativi proprio perché vanno a toccare la domandaesistenziale fondamentale “che cosa ci faccio io qui?”. Se piuttosto che di Universooccorrerebbe oramai parlare di pluri-versi, se l’ipotesi di universi paralle-li, da elegante metafora letterariadiventa una possibilità reale, è l’in-tero statuto della realtà e il ruolo del-l’uomo e della donna come osserva-tori ad andare in crisi. Non c’è alloraun solo Universo, e non solo il no-stro cosmo non è per nulla ordinatobensì caotico e procede sempre piùverso il caos con l’aumento dell’en-tropia, è la stessa categoria di ordi-ne ad andare in crisi; e non bastanemmeno la radicale definizione diorder from noise ereditata dall’episte-mologia della complessità, a rendereconto di ciò che ci circonda e ci com-prende; forse il destino dell’Universoè il noise from noise, il nonsenso dalnonsenso, e la nostra scienza con lesue dimensioni quantitative può ser-vire perlomeno a sentirci un po’ menosoli in un Universo insensato.

Si conclude conquesto intervento lariflessione sui codici

della scuola –leggere, scrivere, far

di conto –rideclinati al

presente

Non c’è un solo Universo,e non solo il nostro cosmonon è per nulla ordinatobensì caotico e procedesempre più verso il caoscon l’aumentodell’entropia, è la stessacategoria di ordine adandare in crisi; e nonbasta nemmeno la radicaledefinizione di order fromnoise ereditatadall’epistemologia dellacomplessità, a rendereconto di ciò che cicirconda e ci comprende

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«Quando parti, che lingua parli?». «Se parti, dovearrivi?». «Chi erano i Parti?»ı.Il modesto particolare che in Cina, al tempo dei Parti, sipotesse arrivare a piedi, e si possa ancora arrivare la Cina apiedi, non lo prendiamo nemmeno in considerazione – dice-vo ai ragazzi. Aggiunsi: – A prima vista come l’amore e sullascorta del consenso comune, le distanze fra le diverse lin-gue sembrerebbero enormi, addirittura invalicabili: come,non so, la distanza che mille anni fa, quando non si potevaviaggiare che a piedi o al massimo a cavallo o a dorso d’asi-no o di cammello, separava l’Europa dalla Cina. Eppure, traquel paese e il nostro Occidente esistevano rapporti che anoi, viziati a viaggiare in jet, riesce difficile immaginare.Importante tramite pare sia stato il popolo dei Parti: quellistessi che, per punirne l’avidità, uccisero il triunviro romanoMarco Licinio Crasso facendogli bere oro fuso –.«Quando parti, che lingua parli? Se parti, dove arrivi?» ri-chiesi ai ragazzi, e scrissi le due domande alla lavagna.«Quante lingue m’occorrono, pur d’arrivare la Cina a piedi?»– mi richiede un ragazzo.«Non tante!… Ti basta “la facoltà di parlare”, attributo co-mune della specie umana – rispondo –. Puoi esercitarti avedere la Cina lontana e a innamorartene, fin da bambino,con un caleidoscopio: un tubo di cartapesta con a un’estre-mità l’oculare e all’altra un certo numero di frammenti mul-ticolori, inseriti in un piccolo sistema di specchi che, a unaminima rotazione del tubo, danno luogo a tutta una serie diseducenti figurazioni.Scrive il poeta Giovanni Giudici nel suo Andare in Cina apiedi: «Ma affascinanti erano per me i caleidoscopi che mifabbricavo da bambino. Si prendevano due fogli di quader-no: uno lo si avvolgeva a forma di tubo e l’altro (provo arifarlo, ma non ci riesco) veniva confezionato a forma dilosanga. Dopo aver messo alla rinfusa nell’interno della lo-sanga opportunamente dilatata pezzettini di stagnola dacioccolatini, il tubo veniva inserito in un foro praticato auno dei vertici della losanga. I colori della stagnola, esaltatianche dalla straordinaria bianchezza dell’interno della lo-sanga esposta in controluce, si combinavano così in pae-saggi di fiaba: un prato, una montagna, una capanna, uncastello, un ponte con sotto il fiume, il mare, un sole alsorgere o al tramonto».

Ognuno interpreta a suo piacere quel che appare nella ma-gica lontananza e che, una volta scosso via da un colpettodi dita sul rudimentale congegno, mai più sarebbe riappar-so, fata morgana o una specie di lieta allucinazione simileforse a quella del ragazzo Rimbaud quando riusciva a vedere«una moschea al posto di una fabbrica».«Il caleidoscopio allunga la vita?» – si chiese una ragazza.«Perché allungarla, la vita… e non allargarla?» – si chieseun’altra ragazza».«”Prendere il punto di vita” era l’animazione costitutiva dellesarte, un modo di dire e di fare tipico – dissi io: – Venivasegnato con uno spillo esclamativo del tipo “Stai immobile,altrimenti ti pungo!”».«Per arrivare la Cina a piedi mentre cammina?… A che ser-ve?… Perché lo facevano? – fu la domanda conclusiva.«E le piccole scosse al caleidoscopio siamo noi, a esso similinel nostro continuo mutare d’umori e di età, trascorrenti dagioia a tristezza, in compagnia dell’irripetibile giocattolo,che potrebbe anche essere nato in Cina… Chi lo sa!…».Chilo sa, mentre lo dico e lo penso, quanti chilometri hofatto? Quanti chili ho perso? – e conclusi dicendo: «Il calei-doscopio funziona come un poema».Di certo, avevamo scoperto una lingua-cammello e una lin-gua-bacodaseta: molteplici rifrangenze, tessuto cangiante,correlata al popolo come entità fisica, alla nazione che inessa parla; e, in generale, all’umanità intera al di qua delledifferenziazioni storiche.Quando Marco Polo tornò dalla Cina a piedi, la gente diVenezia miscredeva al sogno che gli era avvenuto in mente.Lo prendevano per matto. Capeggiò una galera da Veneziacontro Genova. Fu fatto prigioniero e messo in galera a Ge-nova. Qui conobbe Rustichello che mise l’occhio nel calei-doscopio importato dalla Cina da Marco Polo, da lui conser-vato gelosamente come farebbe un bambino col giocattoloa cui è più attaccato. Così è nato Il Milione, l’unico numeroal mondo che è tutto un programma e un poema.

NOTA1. Parto, appartenente all’antica popolazione iranica dei Parti, è ancheil partorire un bambino e qualsiasi prodotto dell’ingegno, parto dellafantasia.

Arrivare la Cina a piediFILIPPO NIBBI

Congegnare la Fantastica

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MAESTRE E MAESTRI

Al liceo Gioberti di Tori-no, a metà degli anni Cinquan-ta, il suo Disegno storico erastato adottato da un giovanee brillante medievista, Giovan-ni Tabacco, che ci lasciò in pri-ma liceo perché chiamato al-l’Università di Trieste. Il pro-fessore di storia e filosofia chelo sostituì l’anno seguente –il filosofo cattolico Mario San-cipriano – non perdeva occa-sione di polemizzare con lasimpatia per la Riforma chetraspariva nelle pagine delmanuale. E quindi l’autore,anziché anonimo e lontano, ciapparve un uomo con convin-zioni e passioni, e sentimmo ifatti e le idee che narravacome ancora capaci di susci-tare adesioni e ripulse. Dal chesi potrebbe trarre un’indicazio-ne pedagogica su quanto siaformativo far vedere a scuolache i libri di testo non sono ildeposito di un Sapere indiscu-tibile e remoto ma, al contra-rio, hanno dietro un autorecon le sue scelte di vita e dipensiero.

Quelle di Giorgio Spini sonoripercorse in un bel libro au-tobiografico fatto del montag-

gio di documenti e di intervi-ste a cura del figlio Valdo: Lastrada della Liberazione. Dallariscoperta di Calvino al Frontedell’VIII Armata (Claudiana,Torino 2002). Figlio di un tec-nico delle ferrovie aderente alcristianesimo evangelico delRisveglio, ammiratore dellelibertà e del civismo inglesi,Giorgio Spini, nell’Italia con-cordataria, fascista e cattoli-ca, lesse i libri pubblicati dal-l’amico di Gobetti GiuseppeGangale, si legò al gruppo deigiovani neocalvinisti italianiche guardavano a Karl Barth ealla Chiesa confessante anti-nazista, approfondì la lezione«di Alexandre Vinet sulla se-parazione tra Stato e chiesa esul rifiuto di ogni commistio-ne tra potere politico ed evan-gelo. Dunque era un retaggiodi fede cristiana ma non di“religione”, al modo in cui siparla di “religione cattolica”o di “religione musulmana”.Anzi, era il retaggio di un lai-cismo assai duro».Insegnante di liceo già a 22anni, impegnato già nelle pri-me ricerche di storico, fu ri-chiamato nel ’41 e l’anno suc-cessivo aderì al Parito d’Azio-

ne, e al binomio “Giustizia eLibertà” della sua giovinezzarimase poi fedele in una vitalunga e operosa. «Ero un fi-glio del ghetto, vissuto nel-l’isolamento in cui dovevamovivere per forza, noi evange-lici, nell’Italia littoria e cat-tolica, assillati da un sensoquasi tormentoso della nostra“alterità”. Per la prima volta,potevo sentirmi simile ad al-tri miei connazionali. Il gior-no in cui la scelta politica sitradusse in partecipazione allalotta armata, quel senso diliberazione si accrebbe e – pa-radossalmente – divenne quasigioioso. C’era da rischiare lapelle, è vero, ma si rischiavainsieme al popolo, che adessopotevamo dire “nostro” senzariserva. Davanti a noi c’era lasperanza – l’illusione, si videpoi, ma allora non lo sospet-tavamo – di un’Italia radical-mente rinnovata, e liberata daisuoi vizi secolari […]».Passò il fronte dell’Italia divi-sa in due e nel ’44 fu distac-cato come sottotenente pres-so l’VIII Armata britannica,con la quale entrò ad agostonella Firenze liberata, e poiproseguì fino in Veneto.

Giorgio SpiniCESARE PIANCIOLA

Giorgio Spini, che si è spento il 14 gennaio

nella sua Firenze all’età di 89 anni, è stato,

direttamente nelle Università in cui ha

insegnato o indirettamente attraverso i suoi

libri, maestro di generazioni di studenti.

Quanti di noi hanno studiato al liceo sui tre

volumi del Disegno storico della civiltà,

pubblicato da Cremonese, e all’Università

hanno letto con il piacere che dà la scrittura

dei grandi storici la Storia dell’età moderna

(1515-1763), uscita da Einaudi nel 1965, non

possono che pensare a lui con gratitudine

Prima della guerra aveva co-nosciuto il pedagogista Erne-sto Codignola e l’ambientedella casa editrice La NuovaItalia, che operava «la traver-sata del Mar Rosso dall’attua-lismo gentiliano al liberal-so-cialismo di Calogero e di Ca-pitini». Subito dopo la guer-ra Codignola gli pubblicò daVallecchi il suo saggio su Co-simo I e il principato medi-ceo. Iniziò l’insegnamentouniversitario a Messina e loproseguì a Firenze e in varieuniversità degli Stati Uniti(uno dei suoi saggi maggioriè Autobiografia della giovaneAmerica: la storiografia ame-ricana dai Padri Pellegrini al-l’indipendenza, Einaudi 1968).Tra i tanti suoi libri ne ricor-diamo ancora uno: Le originidel socialismo. Da Utopia allabandiera rossa (Einaudi 1992)in cui ripercorre l’intreccio tramotivi etico-religiosi, politi-ci, sociali e tra dimensioniutopistiche e realistiche: uni-tà di istanze diverse che bi-sognerà tenere presente «se disocialismo si vorrà ancora par-lare». E che se ne dovesseancora parlare per Spini an-dava da sé.

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In ogni classe ce n’è qual-cuna in crisi. Così triste da fe-rirti quando la guardi.Intendiamoci, nelle prestazio-ni di scuola se la cavano bene,perfino troppo forse. Ci ten-gono e si mettono completa-mente in gioco: si espongo-no, sono fragili, senza distan-za dalle cose.Sembrano testimonial dellenuove malattie che ogni tan-to si affacciano sul mercato:attacchi di panico, DCA (di-sturbi del comportamento ali-mentare), disturbi dell’atten-zione e dell’iperattività (il fa-moso ADHD americano da ri-talin). Prima compare il nomedella malattia, poi di colpo cel’hanno tutte, portata con unacerta disinvoltura perché ilproblema ha già il suo postofra le sigle, appartiene a unaclassificazione e va bene.E però poi la sofferenza delleragazze esiste davvero e sivede bene, a prescindere dalnome, dall’intervento dei me-dici e dei farmaci, Zoloft, En,Xanax o psicoterapie varie – avolte davvero molto varie...Al ricevimento sento i geni-tori che mi raccontano, miafiglia ormai esce solo con noi,siamo felici perché è nostrafiglia e le vogliamo bene, maa sedici anni dovrebbe avereun po’ una sua vita, no? Quin-di cercano di fare qualcosa, atutti i livelli. Fanno bene. Ègià importante che ci si ac-corga che una ragazza stamale. Che la si veda, la si ri-conosca. Che qualcuno le dica,che c’è che non va Elena, co-raggio andrà tutto bene par-lami un po’.E tuttavia l’impressione è chesi cerchi più che altro di “ri-metterle in carreggiata”. Pron-te a riprendere il cammino. Lamarcia. Come in Deserto rossoquando il bambino domandase il fumo delle ciminiere uc-cide gli uccellini e la mamma(guarita dal disturbo) rispon-de, no perché gli uccellini losanno e di lì non ci passano.

Gli occhi di ElenaANDREA BAGNI

I pochi ragazzi delle mie classi, quasi tutte

femminili, danno l’impressione di galleggiare

sulla scuola. Si accontentano di navigare in

superficie senza farsi troppo male, il loro

sogno è il cinque e mezzo, mezzo punto poi

alla fine glielo regalano. Tranquilli ma privi di

passioni – e ti lamenti se sono tranquilli?, mi

dicono i colleghi del geometri: da loro è una

specie di guerra tutte le mattine.

Obiettivo tenere la classe, reggere le

posizioni. Come in trincea.

Però da qualche anno stanno male le ragazze

Come se tutto il gioco fossenell’adeguarsi. I maschi chesanno farlo con “sana” passi-vità, le ragazze che hanno bi-sogno di tenere la porta del-l’aula aperta per gli attacchidi panico.Ma poi le ragazze che soffro-no delle mie classi non sonoper niente quelle in affannolungo la carreggiata o banal-mente in corsa. Anzi. Impe-

gnate e sensibili frequentanodi più il fondo dei rapporti eanche della scuola. Scrivonospesso cose bellissime. Si ap-passionano a ciò che si legge,nella valutazione cercano larelazione con te che valuti –e magari ci tengono al votoalto, ma proprio all’interno diquel rapporto. Solo che sof-frono per qualunque delusio-ne, soprattutto per quelle che

pensano di dare agli altri, aigenitori agli insegnanti. Nonsi sentono mai all’altezza. Coni loro occhi bellissimi, quellecome Elena vengono lasciatedai ragazzi che galleggianoleggeri e vanno in mille pez-zi. I miei genitori non sonosoddisfatti, sono delusi, il mioragazzo non mi vuole più, nonsono bella non sono brava nonsono magra. Non sono.Forse non si vedono loro perprime. Oppure si vedono congli occhi di una cultura di pla-stica. Sono sensibili alla pro-fondità dell’esistenza e sonosensibili alla superficialitàdell’esistere. Alla fine soffro-no di essere troppo e di esse-re troppo poco; vivono profon-damente, profondamente ina-deguate. Sono belle di unabellezza che non si sa – cioèsono bellissime e fragilissime.Che gli si può dire? Dire forseniente, non c’è niente che nonsappiano, almeno di ciò chepuò dire un adulto. Siamosempre troppo dalla parte del-la ragione. Avrebbero bisognodi un mondo loro, come lorointenso. Attento sensibile.Niente cura la vita come lavita.In classe ho la tentazione diabbracciarle ogni tanto, acca-rezzarle sulla testa, sulleguance, come faccio con il miocane – mentre mi guarda e gliparlo. Ma quello è un privile-gio degli animali, mica si puòfare con gli umani. Eppuresono quei corpi di ragazze cheurlano, quegli occhi che pian-gono lenti, non è la loro ra-zionalità in crisi. Bisognereb-be fare lezione sempre con unbraccio sulle loro spalle, a con-tatto con la pelle. Per far pas-sare tutto insieme, parole ecalore – potessero passare cosìanche le conoscenze, sarebbe-ro profonde allora.Quando i pensieri fanno maleai corpi, i corpi dovrebbero dareun po’ di sollievo ai pensieri.Ma ci vuole coraggio e non èfacile per i corpi docenti.

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NUOVIARRIVI

La parola e lo sguardo, è il titolo del-la mostra, è stata un’idea della prof diitaliano, in tema con il programma discrittura: captare la realtà attraverso lesensazioni, osservare che cosa arriva allavista, all’orecchio, alla pelle, all’olfatto,al gusto. «Noi – ha detto – parliamo spes-so di sentimenti e di concetti, ma le ideee i sentimenti più nostri nascono da espe-rienze sensoriali. Impariamo ad ascolta-re i nostri sensi. Quando andremo a Sira-cusa per il teatro, per esempio, non spa-rate (si dice così?) solo foto di gruppo.Quelle sono sempre un bel ricordo ma fateanche esercizi di visione, scovate qual-che dettaglio, cercate di capire “come”vi piace e provate a inquadrarlo così comevi ha colpito. Fate più di uno scatto, alritorno sceglierete il migliore e scrivere-te la didascalia. Non più di trenta parole,per indicare quello che si vede in imma-gine e un’allusione a quanto non si vede.Insomma lavorate, poi vedremo se ci sia-mo capiti».

«Questo è il negozio di papiri».«Il cane a tra zampe».«Guarda la foto di Riccardo. Che è?»«Un pezzo della tunica».«Ah, il colore che ci aveva colpito. Manon c’è l’attrice».«Ho ingrandito solo un pezzo».«È proprio quel colore. Bellissimo».«Ho usato il filtro».«Che ci hai scritto?».«Cenere spenta di fratello, fratello spentoche non ha cenere, cenere nel cuore disorella, deserto, savana bruciata…».«Ammazza, che sei poeta?».«E tu che hai scritto?».

Riccardo

I lineamenti di Riccardo sono della mi-gliore confezione, con quella convergen-za armoniosa verso un punto invisibileche fa dire «Com’è bello questo ragaz-zo». Lui emerge dallo scuro della pelle

con la naturalezza dei belli veri, “umilein tanta gloria” di membra sciolte, di sor-riso bianchissimo, di mani lunghe versole quali gli oggetti paiono andare primadi essere chiamati, della testa che emer-ge in trionfo su altre teste. Un po’ troppomobile, forse, come governato da segre-ta inquietudine dell’organismo.Riccardo è un ragazzo felice, di una feli-cità fortuita e fortunata. Sarebbe basta-to poco perché fosse infelicità, esilio,solitudine, e invece eccolo in terza licea-le alle prese con la relatività di Einstein,la tragedia di Antigone, le eliche del DNA,le triadi di Hegel e le Avanguardie. Sututto questo lui spande un sorriso candi-do sia quando ascolta le spiegazioni siaquando interrogato ne restituisce fram-menti improbabili, tessere di un insiemeche non tiene, ignaro lui stesso del sensoe anche della necessità di un senso. Ric-cardo è nato da un amore africano fra duediplomatici, un incontro breve e intensofra due modi di vivere gli incontri. Il papàafricano è rimasto in Africa, dimentico oforse anche ignaro del cammino del suoseme, la mamma europea è tornata nelproprio continente con una vita in più. Equi al bivio, dove il dado gettato a sortepuò assegnare felicità o infelicità, acco-glienza o rifiuto, la sorte ha scelto a fa-vore di quel seme. Quella della mammaeuropea è una famiglia di concreto be-nessere e di solida cultura, una tribù este-sa di parentele e amicizie che estende eriproduce prestigio, potere, simpatia ebenevolenza non sempre disinteressate.In queste condizioni l’imprevisto è statoaccolto senza panico, perfino con unacerta orgogliosa civetteria. Una specie diaura dorata circonda e protegge Riccardosenza che lui lo sappia, valorizzandonela naturale eleganza, la cordiale docilità,l’innocenza di tutta la persona, come sela sua completa estraneità a quanto leg-ge e dice fosse un dettaglio trascurabile.«Una vera ingiustizia, si dice e si pensaanche agli scrutini».«Ma, obietta il preside, sono vere anche

tante altre ingiustizie di sofferenza, ri-getto, esclusione. Questa qui almeno sen-za togliere niente a nessuno aiuta un ra-gazzo. Ma vedrete, non vi farà fare bruttefigure, all’università mica farà lettere an-tiche, la famiglia lo sa che non è fattoper l’università. Quanto ha in educazionefisica?».«Dieci».«Vedete?».«Certo, come ballerino potrebbe andaredove vuole».«E perché no?».«Ma allora che c’entra il liceo classico?».«Ma la famiglia ha un certo orgoglio…».«Presunzione, piuttosto…».«Che ne pensa il professore di religione?».«È un bravissimo ragazzo».«Vedete? Ha seguito qualche corso ex-tracurriculare?».

Non è facile dirimere nella testa conside-razioni complicate e contraddittorie, mafuori della testa gli occhi captano qual-cosa che è benessere, felicità, fratellan-za.Fa bene guardare i ragazzi fuori dei ban-chi, quello sconforto che ci prende da-vanti all’ignoranza del “programma” siridimensiona quando ne scopriamo a tut-to tondo le risorse e la vitalità. Fuori deibanchi questi ragazzi sono e sanno mol-to più di noi, sono atleti, fotografi, mu-sicisti. E sono giovani, hanno risorse nuo-ve, capacità insospettate.Riccardo è felice eppure nel profondo del-l’organismo c’è un esilio ignoto a lui stes-so, una differenza che diventerà accetta-bile non con l’omologazione ma conl’esplorazione di altre differenze, con lascelta e la scoperta di affinità imprevi-ste. Sono i lavori in corso in ogni organi-smo in espansione, in ogni ragazzo checresce.«Vincerai il primo premio».«Magari. Voglio fare il fotografo».Magari a Siracusa, in uno dei prossimiviaggi, in una delle prossime Antigoni.

CenereLIDIA GARGIULO

Si muovono in festoso fervore su suole di gomma, sistemano le

foto alle pareti. La forza silenziosa dei lunghi passi, i piedi

insolitamente protagonisti. Tacciono le file dei banchi vuoti,

dove ogni giorno le membra in espansione fanno esercizi di

contenimento di corpo e di attenzione

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B R E V I

“Paesaggimigratori”Il Cies, “Vocidalsilenzio” el’Associazione Cittadini delMondo, con la collaborazionedel Comune e della Provincia diFerrara e della regione EmiliaRomagna, promuovono ilConvegno Nazionale “Culture eletteratura della migrazione”,giunto alla quinta edizione,Ferrara 7 – 8 aprile 2006).Quest’anno avrà per tema“Paesaggi migratori”– intesinon solo come luoghi dellospaesamento, ma anche comeinedito spazio critico nel qualeinterrogarsi.L’iniziativa è dedicata in modoparticolare agli studenti dellescuole superiori, presso le qualisono state avviate attività sullaletteratura della migrazione,nelle quali si sono svoltiincontri con scrittori migranti,interventi di educazioneinterculturale e di conoscenzadelle culture altre.

Per informazioni: Vocidalsilen-zio, tel. 335.6542434, [email protected],http://www.comune.fe.it/vocidalsilenzio.

ConflittiIl Centro Langer di Ferraraorganizza “Le possibilità delconflitto”, corso di ricerca sulconflitto e la sua gestionecostruttiva e nonviolenta.

Per informazioni: Centro didocumentazione “Alex Langer”,viale Cavour 142, Ferrara, tel.0532.204890,[email protected].

Liberiamo ibambinidall’incantesimodella tv«Oggi il grande problema è latelevisione, che invece dipresentare il mondo reale, glielopresenta finto. Il mondo virtualeincanta il bambino fin dai primianni di vita, e lo blocca: ilcorpo si ferma, il bambinoosserva e non dialoga, lafantasia non crea. Tante oredavanti alla Tv produconobambini ripetitori, incapaci di

pensiero critico e produttivo, Esoprattutto incapaci di giocare.Nei luoghi dove noi viviamo, inogni situazione, dobbiamooffrire ai nostri bambini lapossibilità di vivere questodiritto: liberarli dell’incantesimoper scoprire il mondo reale deirapporti umani e dei sentimen-ti». Ha detto Mario Lodiritirando il Premio Unicef - Dallaparte dei bambini il 3 marzo del2006.Mario Lodi e la cooperativa“Casa delle Arti e del Gioco” diDrizzona (Cremona) hannoredatto un appello-richiesta peruna riforma del sistematelevisivo che è stato inviato aRomano Prodi per sollecitare unconcreto impegno dell’Unione afavore di una programmazione diqualità. L’appello si può leggeree sottoscrivere nel sito della“Casa delle Arti e del Gioco”(www.casadelleartiedelgioco.it/mariolodi/).

Ragazzi efamiglie ingiocoCon l’incontro La relazionegenitori-figli nell’adolescenza sichiude a Torino il 4 maggio2006, il ciclo “Ragazzi efamiglie in gioco”. Il percorsoper la formazione educativa e lagenitorialità è stato organizzatodai Cemea del Piemonte incollaborazione con il CentroGioco Educativo e con il CentroServizi “La Sfera”.

Per informazioni, CEMEAPiemonte, via Sacchi 26 Torino,tel. 011.541225, fax011.541339, [email protected].

Lo straniero-educazioneNell’ambito del convegno“Controscuola. Riflessioni edesperienze pedagogiche”,organizzato a Roma il 4 e 5febbraio 2006, è stato presenta-to il sito internet “Lo straniero-educazione” un prolungamentodel sito della rivista Lo straniero(www.lostraniero.net), direttada Goffredo Fofi. Il sito sipropone come spazio telematicoper l’analisi e la discussionepedagogica attraverso cuitentare di ridefinire spazi efunzioni dell’educazione e comestrumento di scambio di

esperienze e pratiche educative.“Lo Straniero Educazione”riunisce un gruppo di operatorisociali e culturali accomunati daun’idea “forte” di educazione,intesa come fondamentaledimensione di raccordo tracultura e morale, tra individuo ecomunità.

Trecentoses-santagradi“Trecentosessantagradi”, lacollana didattica realizzata dalCesvi per favorire l’educazioneall’interculturalità, alla pace, alrispetto dell’ambiente, presentatredici unità didattiche per lascuola primaria.Schede informative, giochi diruolo, testimonianze, attivitàcreative per scoprire comegiocano i bambini del mondo,conoscere attraversogli occhi di una donna la vita inuna medina araba, comprenderela diversità attraverso illinguaggio non verbale o leattività di un villaggio dipescatori tailandesi persviluppare una coscienzacritica e responsabile e diventarecittadini del mondo piùconsapevoli.

Per informazioni: Cesvi, viaBroseta 68/a, 4128 Bergamo, tel.035.2058021, fax 035.260958,www.cesvi.org.

Non solo ospitiDal 28 aprile al 1 maggio 2006alla Casa-laboratorio di Cenci sisvolge “Non solo ospiti”,un percorso per confrontarsie discutere tra adulti chevivono ed operano incontesti educativi multiculturalisul tema dell’accoglienza edell’inclusione a scuola dibambine e bambini stranieri,attraverso le tecniche del teatrodell’Oppresso. L’iniziativa,riconosciuta dal Ministerodell’istruzione, è organizzata dalGruppo di progetto “Scuolainterculturale di formazione” delMovimento di CooperazioneEducativa.

Per informazioni: Casa-laboratorio di Cenci, strada diLuchiano 13, 05022 Amelia(Terni), tel. 0744.980330;Rossella Brodetti, 06.7015851,349.5652041; Marilena Muratori,338.4108559, [email protected],www.prospettiva.it/cenci.

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i n t e r n a z i o n a l e

Da quando è al governo la de-stra è la terza volta, in quattro anni,che la primavera francese è caratteriz-zata da consistenti movimenti di pro-testa. Nel 2003 a provocare le protestefu il decentramento scolastico e la ri-forma delle pensioni, nel 2005 fu la ri-forma della scuola, oggi è il CPE - Con-trat Première Embauche, il contratto diprimo impiego, che fino all’età di 26anni permette al padronato di licen-ziare i giovani lavoratori senza giusti-ficato motivo.Si tratta dell’ennesima misura neoliberi-sta che dovrebbe sbloccare il mercatodel lavoro, ma che in realtà aumenta lagamma dei lavori precari a cui sono de-stinati i giovani francesi all’uscita dascuole e università. Dello stesso pacchet-to di misure inoltre fa parte la possibili-tà di inviare in apprendistato precoce a14 anni (prima della scadenza dell’ob-bligo scolastico e della scuola media chein Francia terminano rispettivamente a16 e 15 anni).Con simili misure il governo voleva di-sinnescare le cause che in novembre ave-vano portato ai tumulti nelle periferie,ma sembra avere ottenuto l’effetto esat-tamente contrario. Già il 7 febbraio400.000 persone erano scese in manife-stazione in tutte le città della Francia.La cosa si è ripetuta esattamente unmese dopo con più intensità: il 7 marzo,nel quadro di una settimana di lotta, damezzo milione ad un milione di manife-stanti, per la metà studenti, sono scesiin piazza. Nel corso di queste agitazionia Parigi hanno sfilato 200.000 persone.È stato al termine di queste manifesta-zioni che gli universitari hanno decisodi occupare la Sorbona. E anche altreuniversità sono in agitazione.A Lione è stato occupato l’anfiteatro dellalocale università. Sono in sciopero altretre università parigine, le due di Aix-

Marsiglia, le due di Rennes, quelle diNantes, Angers, Brest, Le Havre, Rouen,Reims e Tolosa II. I corsi sono bloccatinelle tre università di Lilla, nelle due diGrenoble e in quelle di Clermont-Ferrand,Digione, Arras, Amiens, Tours, Poitiers,La Rochelle. In tutto sono 44 su un’ot-tantina le università ferme.Il rettore dell’università di Nantes hachiesto il ritiro della legge. Anche alcu-ni deputati della destra, oltre natural-mente a quelli della sinistra, hanno chie-sto il ritiro della legge: temono di per-dere le elezioni presidenziali. Infattisecondo i sondaggi il 55% dei francesiè contrario alla legge e solo il 26% èfavorevole, tra i giovani la contrarietàsale all’80%, nell’elettorato comunistaè all’81%, in quello socialista al 77%,ma anche un buon terzo dell’elettoratodella destra non l’approva.Il fronte dell’opposizione sociale costi-tuito dai sindacati CGT, CFDT, FSU,UNSA, Solidaires e persino dalla catto-lica CFTC e dalle organizzazioni studen-tesche UNEF, UNL, FIDL e Confedera-tion Etudiante, ha indetto ulteriorimanifestazioni.

Il contratto di primo impiego

Il CPE (Contrat Première Embauche) è ilcavallo di battaglia del primo ministro

francese De Villepin che pensa di au-mentare l’occupazione aumentando lalibertà di licenziare i neoassunti se leaziende ritengono. Esso costituisce unadattamento ai minori di 26 anni delcosiddetto Contrat Nouvelle Embauche,varato nel 2005 e contestato dalla si-nistra, con il medesimo periodo di pro-va di due anni.Il CPE è formalmente un contratto atempo indeterminato ma in realtà puòtrasformarsi di fatto in un contrattobiennale: il licenziamento nei primi dueanni non ha bisogno di giustificazioniné di preavviso. La differenza con glialtri lavoratori si ha sul diritto alla giu-sta causa, sul tempo di preavviso, sul-la durata del periodo di prova, e sul-l’indennità di licenziamento (quantità.,durata, contributi). Per attenuare laportata di queste differenze alcuni be-nefici sono concessi calcolando comeprova i periodi di stage e di formazio-ne in alternanza (apprendistato) o con-cedendo subito dopo un mese il dirittoalla formazione individuale.In Francia esistono altri tre contratti:quello a tempo indeterminato (CDI)garantito dal licenziamento solo congiusta causa e da un’indennità di li-cenziamento pari al 10% dello stipen-dio mensile moltiplicato per il numerodegli anni di servizio; il contratto atempo determinato (CDD) che non può

Primavera francesePINO PATRONCINI

Lo sgombero della Sorbona, occupata per la prima volta dopo

il maggio 1968, ha messo in luce il profondo disagio che

pervade il mondo studentesco ed educativo francese. La

mobilitazione degli studenti contro la precarietà

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eccedere i 18 mesi, il contratto di nuovaassunzione (CNE), simile al CPE, ma chesi applica solo nelle piccole aziende finoa 20 dipendenti.IL CPE si muove su una linea di precariz-zazione del lavoro che ha investito inquesti anni tutta l’Europa. In Germaniasono aumentati contratti a tempo de-terminato, il cui limite di tempo è statosoppresso nel 2004 e nelle piccole azien-de fino a 15 dipendenti il periodo di provapuò essere prolungato a piacere. In Au-stria nel 2003 sono scomparse le inden-nità di licenziamento che erano pari aun mese di anzianità per ogni anno diservizio e sono state sostituite da unpreleievo dell’1,5% sul salario che costi-tuisce un conto di sicurezza: i lavoratori

Andare a scuola aGerusalemme EstNel conflitto israelo-palestinese la questionedi Gerusalemme è cruciale. E a Gerusalemmecontinuano inesorabili la costruzione delmuro e “la deportazione silenziosa” deipalestinesi di Gerusalemme Est, così come ladefinisce Bet’selem, un’organizzazioneisraeliana per i diritti umani. In questodifficile contesto la Fondazione Ir Amin(www.ir-amim.org.il, tel. +972.54.6822876),che da anni si occupa di stabilire emigliorare le relazioni tra gli ebrei e ipalestinesi di Gerusalemme, ha reso noto,nel 2005, un rapporto secondo il quale14.500 bambini di Gerusalemme Est nonsono riconosciuti dalle autorità educative e aloro è interdetto l’accesso all’istruzionepresso le scuole pubbliche per mancanza diaule e spazi.Dai dati del rapporto, emerge che aGerusalemme Est vivono 79.000 bambini infascia di età scolare, ma soltanto 64.536sono registrati presso la Municipalità diGerusalemme e il Ministero dell’Istruzione,sia che frequentino le scuole pubbliche oprivate. Il rapporto rivela che in quattro annila percentuale di bambini che frequentevanole scuole è calata drasticamente dal 65% al55%. Il calo è dovuto alla mancanza di spazie di aule e alle difficoltà nel costruirne dinuove.Il rapporto chiede alla Municipalità diGerusalemme e al Ministero dell’Istruzione dicostruire immediatamente 1.000 nuove aulenelle scuole pubbliche di Gerusalemme Est edi provvedere a conferire un’indennità aigenitori palestinesi dei bambini tagliati fuoridall’istruzione pubblica che si sono vistiobbligati a pagare una scuola privata perpermettere ai propri figli quello che vieneuniversalmente e indiscutibilmentericonosciuto come un diritto fondamentaledell’umanità.

Si muovono i liceali.Manifestazioni a sorpresa deglistudenti della secondariasuperioreSicuramente la presenza studentesca è stata rilevante nelle manife-stazioni contro il CPE: circa il 50% dei manifestanti erano studenti.Prevaleva tuttavia la componente universitaria, come è dimostratodall’ondata di occupazioni degli atenei francesi portata alla ribalta alivello planetario dal violento sgombero della Sorbona. Secondol’UNEF, lo storico “sindacato” degli studenti francesi, le universitàbloccate sono 50 su 84.Ma il 14 marzo hanno sfilato circa 40.000 studenti liceali, un po’ una

sorpresa. Fin dall’inizio delle agitazioni nella contestazione erano presenti le due principaliassociazioni studentesche della scuola secondaria, UNL e FIDL. La mobilitazione più grossa èstata quella del 18 marzo (più di un milione di persone) preceduta da una mobilitazione solostudentesca giovedì 16, ma il fatto che pezzi separati di movimento abbiano sentito ilbisogno di scendere in piazza ancora prima testimonia la forte tensione che esiste tra igiovani intorno all’argomento.E pensare che il nostro capo del governo va dicendo in campagna elettorale che la Franciastarebbe imitando in campo scolastico e di mercato del lavoro le misure intraprese in Italia.In effetti la anticipazione della formazione in apprendistato a 14 anni, contenuta nello stessopacchetto che contiene il CPE, assomiglia molto alla scelta precoce tra scuola e formazioneprofessionale che la Moratti vorrebbe imporre ai ragazzi italiani della stessa età. Ma si vedeanche quali reazioni provocano queste scelte.

licenziati possono o prelevare da questoconto o indebitarsi sulla pensione. InSpagna è stato semplificato il licenzia-mento e nel 2003 è stato abolito il ma-ximum per licenziamento abusivo. InOlanda nel 1993 il tempo determinato èstato portato fino a 5 anni mentre per ilicenziamenti ci sono due vie: o un ac-cordo amministrativo pubblico o attra-verso la verifica di un tribunale che de-termina anche l’ammontare dell’inden-nità. Nel Regno Unito l’arrivo dei laburi-sti ha prodotto piccoli miglioramenti: icontratti a tempo determinato non sonopiù sine die, ma limitati a 4 anni e ilperiodo di prova è stato portato da 2 a 1anno, ma il regime resta sempre moltoflessibile.

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` SPAGNA

Una legge, la LOCE, con tutte le ca-ratteristiche delle riforme di destra: ca-nalizzazione precoce (a 12 anni!), segre-gazione scolastica in base ai risultati, fi-nanziamento alle scuole materne private(quelle dell’obbligo in Spagna erano giàfinanziate!), opzionalità tra insegnamentodella religione cattolica e studio del fat-to religioso (sic!), assunzione in ruolo deidocenti di religione nominati dai vesco-vi, bocciatura obbligatoria con solo dueinsufficienze, presidi non più elettivi,doppio esame di passaggio all’universi-tà.Il primo passaggio alla Camera dei depu-tati, a metà dicembre, è stato un verosuccesso per Zapatero: il testo è statoapprovato col voto contrario (134 voti)del solo Partido Popular. Ma nei 184 votia favore non c’erano solo quelli dei so-cialisti del PSOE e della Esquerra Repub-blicana (ERC- Sinistra repubblicana diCatalogna) che fa parte della maggioran-za governativa. C’erano anche quelli delcattolico PNV-EA (il partito nazionalistabasco), della Coaliciòn Canaria, che pureaveva governato col PP e aveva approva-to la LOCE, di Convergencia i Uniòn, ilpartito catalano anch’esso già al gover-no col PP.Si sono astenuti in 7, alla sinistra delPSOE: Izquierda Unida, il BNG (il blocconazionale gagliego), la Chunta Aragone-sa e Nafarroa Bai (partito dei baschi di

verno è di ricontrattualizzare, seppur atempo indeterminato, gli insegnanti cheil PP aveva voluto far diventare “funcio-narios” (di ruolo diremmo noi), anche senominati dai vescovi (come da noi!). Mala partita riguarda anche la collocazionedelle ore di religione, che l’ala più estre-ma dello schieramento politico e sinda-cale vorrebbe fuori dall’orario ( forte an-che di un parere della corte costituziona-le) e che comunque per gli studenti nonsaranno più ridotte ad una scelta tra uninsegnamento confessionale e un inse-gnamento laico, ma sempre della religio-ne, come era previsto nella legge delladestra.Ad ogni modo, pur in un confronto cosìduro, Zapatero e i suoi sono riusciti a ria-prire il dialogo con l’opposizione sia didestra che di sinistra senza blindare lalegge, ma anzi aprendola a ben 163 emen-damenti parziali o trasversali.Naturalmente questo è costato anchequalche compromesso: sul piano dellebocciature la facoltà di promuovere contre insufficienze è stata rimessa ai consi-gli di classe e il ritiro del finanziamentoalle scuole materne private complemen-to per la gratuità del tutto, sarebbe ri-sultato troppo impopolare dal momentoche queste costituiscono la maggioranzadel sistema. Anche la soluzione sugli esa-mi finali non piace agli studenti, i qualisperavano di tornare al passaggio all’uni-versità senza esami terminali (c’eranoperò pur sempre quelli piuttosto ardui diammissione alle singole facoltà, che laLOCE non aboliva ed aggiungeva all’esa-me terminale): la soluzione della LOE con-siste in un esame terminale nazionale cheha anche il valore di graduatoria per l’ac-cesso alle facoltà universitarie. I dirigentiscolastici verranno invece eletti da unacommissione mista in cui prevarrannoampiamente i rappresentanti degli inse-gnanti e dei genitori rispetto a quellidell’amministrazione. Sono invece aboli-ti del tutto i percorsi segreganti e le scelteprecoci: l’unica “concessione” fatta riguar-da la possibilità che a 16 anni, età limiteper l’obbligo scolastico, anche chi nonha terminato con profitto i quattro annidi scuola media (ESO) possa andare inpercorsi di avviamento al lavoro.Sul piano sindacale la legge ha l’appog-gio della UGT, l’appoggio critico delleComisiones Obreras, mentre sono controi settori di sindacalismo radicale, comela STES, la CGT, e il sindacato degli stu-denti. L’apprezzamento di UGT e CC.OO.si fonda anche sul fatto che la legge of-fre garanzie sul lavoro degli insegnanti edegli operatori scolastici, prevede un fi-nanziamento congruo nella legge stessae pone al centro l’attenzione alla diversi-tà, imponendo anche alle scuole privateconvenzionate e finanziate l’accettazio-ne degli alunni figli di immigrati.

Navarra). Hanno votato invece a favore idue deputati di Iniciativa per Catalunya-Verdes che insieme ai tre deputati di IUformano il gruppo parlamentare Izquier-daVerde. L’astensione di IU, che è avve-nuta dopo che la stessa IU aveva votatoa favore di numerosi emendamenti appro-vati, esprime dubbi e perplessità soprat-tutto sul controllo sulle scuole private esulla mancata esclusione della religionedall’orario scolastico.

L’insegnamento della religione

Insomma Zapatero e la sua ministra del-l’educazione hanno isolato il PP ed han-no ottenuto un voto politicamente am-pio che consente al governo di dire chequesta è davvero la legge della maggio-ranza degli spagnoli.Un risultato tutt’altro che scontato, se sipensa che a metà novembre l’opposizio-ne conservatrice aveva portato in piazzaun milione di persone mobilitate dallegerarchie ecclesiastiche con il pretestodella possibile esclusione dell’insegna-mento religioso dalle scuole e col ricattonei confronti degli insegnanti di religio-ne obbligati a fare da raccoglitori di ade-sioni alla manifestazione. Uno dei punticritici che differenziano la nuova leggedalla vecchia è infatti la partita dell’in-segnamento di religione: l’idea del go-

La scuola di ZapateroPINO PATRONCINI

Ad aprile dovrebbe essere approvata

definitivamente la LOCE, la nuova legge sulla scuola

che Maria Jesus San Segundo, ministra

dell’educazione del governo Zapatero, ha varato a

tempo di record per stoppare l’attuazione della

LOCE, la legge che il Partido Popular aveva appena

approvato e messo in attuazione. Pur in un

confronto duro, Zapatero e i suoi sono riusciti a

riaprire il dialogo con l’opposizione sia di destra

che di sinistra senza blindare la legge, ma anzi aprendola a

ben 163 emendamenti parziali o trasversali. E se andassimo a

scuola da Zapatero?

i n t e r n a z i o n a l e

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de rerum natura

Sono grata dell’invito a scrive-

re su una rivista di insegnanti perchédei miei – francesi e inglesi – ho unottimo ricordo. Sono anche un po’ sor-presa. Faccio la cronista della ricercascientifica su giornali, riviste e soprat-tutto in radio, non insegno. L’insegna-mento è un rapporto tra le persone incui imparano anche a conoscersi. Noigiornalisti tutt’al più diamo informa-zioni mentre intratteniamo lettori,ascoltatori, spettatori. Non sappiamochi siano. Forse ci accomuna il tentati-vo di condividere curiosità, divertimen-to e addirittura passione per gli sforziintellettuali altrui. Nel caso della scien-za, è un privilegio, è fatta da gentesimpatica, ed è l’impresa culturale piùaudace e ficcanaso, e meno provincialeche ci sia. Non si occupa soltanto degliesseri umani e delle relazioni che han-no tra loro e con l’ambiente, ma del-l’universo intero dai microbi alle ga-lassie.

Non credo che esista una ricetta unicaper parlarne, posso dire la mia e i suoilimiti. Devo “coprire” tutte le discipli-ne fondamentali – niente medicina,niente tecnologia se non quella usataper la ricerca – e di ognuna so pochis-simo, ovviamente. Quindi mi vienespontanea la posizione dell’ignoranzae presumo sia quella di tutti i non ad-

detti a una specifica disciplina. Non acaso, la rubrica radiofonica ha nel tito-lo “le oche”. Come gli ochetti tonti mavolonterosi che appena nati seguivanol’etologo austriaco Konrad Lorenz perriceverne l’imprinting e capire da luicom’è il mondo, seguo i ricercatori nelloro lavoro quotidiano. Li guardo dalbasso, evitando accuratamente di pren-derli troppo sul serio, anche quando sidiscutono concetti “tosti”. Uso i truc-chi della retorica: analogie, metafore,metonimie, anacoluti forieri di doppisensi. Fanno rizzare le orecchie, comeil suono inatteso dei termini tecnici, ilnome interminabile di un batterio mi-croscopico, la galassia detta “canniba-le” perché ne sta assorbendo un’altra,le onde gravitazionali e il gravitone. Houn debole per le particelle in one e inino, i geni Sonic Hedgehog e LunaticFringe, e in generale per i giochi del

linguaggio. Magari aveva ragione Witt-genstein: sono loro a suscitare asso-ciazioni inedite e a ricaricare il pensie-ro come un orologio (lui lo diceva me-glio).Anche in radio ci sono vincoli di tem-po, moduli di tot minuti. Non perchécorrispondano a un “tempo di atten-zione” al parlato, a una media ottenu-ta sperimentalmente. Quella è una fa-vola messa in giro dai pubblicitari. Pre-feriscono trasmissioni a fette, per infi-larci più spot. Così hanno fatto una sta-tistica su tutte le radio d’Italia e “sco-perto” che l’attenzione degli ascolta-tori calava dopo il quarto minuto. Lastatistica è viziata dal fatto che la mag-gioranza delle radio sono dette in ger-go “wah wah”, in pratica trasmettonoper 23 ore al giorno brani musicali espot inframmezzati da un chiacchieric-cio che oltre i 4 minuti dà sui nervi.

Parlare di scienzaSYLVIE COYAUD *

La scienza scopre più cose sotto il cielo di quante ne

troveremo mai in letteratura o in filosofia. Fare scienza

significa inventarsi le avventure della materia animata e

inanimata con una fantasia sbrigliata per poi metterle di

giorno alla prova della realtà

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Casa-laboratorio diCenciL’educazione e l’arte come intervento nellanaturaDa 20 anni la Casa laboratorio di Cencipromuove da aprile a giugno “Campi scuola perclassi di ogni età”: 5 giorni di esperienzeresidenziali per entrare in un tempo regolatodall’ascolto dei nostri bisogni, dall’alternarsi digiorno e notte e dallo scorrere degli astri nelcielo, alla ricerca di intrecci tra processocreativo e processo educativo con le animatricie gli animatori dell’Associazione educativaDulcamara Silvia Bombara, tel. 0744.982249, e-mail [email protected].

Tempo e presenzaUna proposta di ecologia teatrale di JairoCuesta e Jim Slowiak (1 - 5 giugno 2006). Perrisvegliare le forze vitali e la capacità di entrarein contatto con gli altri attraverso eserciziindividuali e di gruppo, canzoni, danze, testi,azioni.

Il pifferaio magico. Topi di campagna e topidi cittàÈ una proposta residenziale (due giorni e unanotte) rivolta a gruppi di bambini dai cinque aisette anni di scuole materne o delle prime classielementari accompagnati dai loro insegnanti.Per informazioni e prenotazioni: MargheritaVagaggini, tel. 0744.402283, [email protected],[email protected].

Casa-laboratorio di Cenci, strada di Luchiano13, 05022 Amelia (Terni), tel. 0744.980330,e-mail [email protected];www.prospettiva.it/cenci.

Invece milioni di persone ascoltavanocon grande concentrazione “Il novan-tesimo minuto”, a sentire i radiofonicicommerciali, una simile rubrica sareb-be adatta solo a un popolo di Kaspa-rov, perché richiede di tenere a mentele mosse di centinaia di giocatori di-stribuiti su una dozzina di scacchierediverse. Con il solo input del parlato lamente riesce a fare questo ed altro (acondizione di usare la voce con un’am-pia gamma di toni). Il cervello adole-scente, poi, è nel momento dello svi-luppo in cui è avido di stimoli e grati-ficato dal senso di padronanza che vie-ne dal sapere il nome esatto delle cose.Si pensi a come gli adolescenti maneg-giano, sicuri e disinvolti, il gergo mu-sicale o calcistico.

Territorio e paesaggio

Anni fa, in un saggio di Freeman Dy-son – il fisico eletto dai suoi pari aoccuppare il posto di Einstein a Prin-ceton, alla morte di quest’ultimo, ètutto dire – ho letto «La scienza è ilterritorio dei miei giorni, la fantascien-za il paesaggio dei miei sogni». Mi hadato una chiave in più. Dice che lascienza scopre più cose sotto il cielodi quante ne troveremo mai in lettera-tura o in filosofia. E anche che farescienza significa inventarsi le avven-ture della materia animata e inanimatacon una fantasia sbrigliata per poi met-terle di giorno alla prova della realtà.

Tento, mica ci riesco sempre, di pre-sentare insieme il territorio e il pae-saggio.Ma non so come farlo quando mi rivol-go ai bambini. Ci provo perché da qual-che mese scrivo per Baribal, un mensi-le ideato per lettori di 6-12 anni. Inpoche righe e senza le risorse del vo-cabolario, vorrei far passare le idee chemi sembrano essenziali. Ne butto lì unpo’: le conoscenze non sono verità,cambiano quelle precedenti e sarannocambiate dalle prossime. Il sapere èdiverso dal credere. so dov’è Marte, cre-do al Paradiso, mettiamo, e su Marteposso mandare un robottino a perlu-strarlo, in Paradiso no. La matematica,così inventiva nonostante l’apparenza,ci farà sorridere un giorno delle leggidi Newton o di Maxwell come sorridia-mo di quelle che facevano girare il Soleattorno alla Terra. Viste dalla scienza,diventano familiari le cose più alieneperché siamo intessuti delle stesse forzee della stessa materia. Su Titano, pio-ve metano eppure le sue nuvole sonouguali alle nostre. Non sono un mosce-rino della frutta, eppure dorme anchelui 8 ore a notte, il suo cervello ne habisogno come il mio.

Divulgazione e insegnamento

I media non servono a insegnare. (Sem-mai esigete che non disinformino e scri-vete al direttore per denunciare ognimio strafalcione. Non lo dico per ma-

sochismo, ma così s’accorge che qual-cuno legge o ascolta anche argomentiscientifici e magari dà loro più di spa-zio.) E nemmeno a sapere davvero discienza. Per questo bisogna esercitarlae avere la matematica come secondalingua madre, oltre all’inglese. D’altron-de sarebbe strano il contrario, visto checi vogliono anni di studi specializzatiprima di mettersi a far ricerca. Ancheper suonare il violino, certo. Ma diver-samente dalla musica per la quale ser-ve solo l’udito, moltissima ricerca èinaccessibile a chi non pratica proprioquella precisa disciplina. All’inizio m’il-ludevo che con la giusta tecnica comu-nicativa tutto si poteva divulgare, per-sino i vari metodi per quantizzare lagravità. Non è vero. In compenso tuttosi può insegnare.

* Giornalista. Si occupa di divulgazione scien-tifica. Collabora con Radio Popolare; scrive suBaribal; conduce la trasmissione quotidiana “Ilvolo delle oche”, su Radio 24.

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Un exhibit: succederà qualcosa cuisi dovrà trovare una spiegazione. Lo“scienziato”, mostra ai bambini due pal-loncini diversamente gonfi collegati daun tubo che all’inizio è piegato in mododa impedire il passaggio dell’aria; quan-do si apre la comunicazione il palloncinorosso meno gonfio si sgonfia ulteriormentementre quello giallo più gonfio si gonfiaancora di più1. (Chi legge dovrebbe pro-vare a formulare una propria spiegazionedi quanto accaduto).La conversazione, in cui gli adulti pre-senti si sono dati la regola di garantire lacomunicazione ma di non esprimersi nelmerito della spiegazione del fenomeno,dura due ore senza interruzioni. Faccia-mo scorrere velocemente il film per fer-marci su qualche dettaglio significativo.Deborah: «È successo così perché quellogiallo era più... cioè più stretto perchéera più gonfio e allora non è riuscito amandare tutta l’aria nell’altro palloncino,invece quello rosso c’è riuscito perché cen’aveva di meno».Se chi legge ha pensato che la faccendaha a che fare con la pressione, quella diDeborah gli sembrerà una spiegazione“alla rovescia” (meno aria - più spinta),

ma è una descrizione perfettamente coe-rente con ciò che è effettivamente suc-cesso. Quando i fatti non vanno d’accor-do con la teoria, che fa il vero scienzia-to: modifica la teoria o la descrizione deifatti?C’è un elemento strano, ovvero l’uso deltermine “stretto”; gli adulti non lo rac-colgono e perdono un’occasione per com-prendere l’idea di Deborah: se “stretto”fosse riferito allo spessore del materiale,se significasse sottile e quindi teso...?Jacopo: «Perché quando te gonfi un pal-loncino, se lo fai diventar grande, lo la-sci, va piano quindi l’aria è meno poten-te invece se lo gonfi poco, lo lasci e vamolto più veloce e quindi l’aria del pal-loncino rosso era più potente di quellogiallo, quindi s’è sgonfiato facilmente el’aria di quello rosso è andata in quellogiallo».Jacopo accetta come contesto la descri-zione precedente di Deborah e fa un pas-so in avanti verso la spiegazione, intro-ducendo nello spazio della comunicazio-ne qualcosa che proviene dalla sua me-moria: probabilmente altre volte ha gio-cato con i palloncini gonfiandoli e poilasciandoli andare ottenendo un volo “a

reazione”; e ha notato qualcosa di altret-tanto “strano” (forse ci pensa ora): i pal-loncini più si gonfiano e meno veloci vo-lano.Jacopo nel suo intervento costruisce unapertinenza tra due fenomeni osservati,ovvero li inserisce in una storia comune(i bambini «pensano per storie»2). Lo fasulla base di una analogia tra le due si-tuazioni che riguarda gli oggetti (pallon-cini) ma anche qualcosa del loro compor-tamento (lo spingere fuori l’aria) che hamolto a che fare con la spiegazione che ilgruppo sta costruendo; questo nonostantele differenze, che sono molto evidenti alivello di ciò che accade e che può colpi-re l’attenzione di un bambino che gioca(palloncini che volano a reazione rispet-to a un leggero cambiamento di volumedi due palloncini collegati).Jacopo mette in relazione due variazioniosservate (più gonfio - meno veloce nelvolo) tramite una variabile supposta (la“potenza dell’aria”). Sposta poi questarelazione nel contesto attuale: l’aria cheesce qui non ha come effetto spingere areazione, ma gonfiare l’altro palloncino.Gaia: «Secondo me l’aria di quello rossoè andata a finire in quello giallo perchéquello giallo era più grosso e l’aria chec’era dentro ha fatto più fatica ad andaredentro quello rosso».Questo intervento, che arriva dopo qual-che passaggio, non aggiunge nulla di nuo-vo al nucleo di spiegazione fin qui elabo-rato, ma lo riformula. È importante per-ché mostra come i bambini si ascoltino.

Competizione e co-costruzione

Gli adulti in una discussione scientificamettono in campo una propria idea permetterla in competizione, per cercareconsenso o conferme da un’autorità; insostanza giocano un gioco retorico. Ibambini giocano invece il gioco della co-costruzione di conoscenza, utilizzandoquello che dicono gli altri. Ciò non signi-fica che sono sempre convergenti, ma cheil conflitto, se c’è, fa progredire la cono-scenza, o perché, costringendo ad argo-mentare, fornisce occasioni di revisionecritica, o perché offre alternative.In questo caso il gruppo di bambini sco-prirà perché i palloncini si comportanocosì (e che c’entra l’essere “stretti”).

* Insegnante. Circolo Bateson, Roma.

NOTE1. L’esperienza si è svolta nella 3a C della Scuolaelementare statale “Giovanni XXIII” di CusanoMilanino (MI) nell’anno scolastico 2002-2003,con l’insegnante Ilaria Oltolini.2. Il riferimento è a Gregory Bateson.

Scienziati che sgonfianopallonciniMARCELLO SALA *

Un gruppo di bambini pensa collettivamente a costruire un

modello, a elaborare una teoria: una comunità scientifica... E

alla fine inventa la pressione

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Signor Presidente della Repubblica,Ci rivolgiamo a Lei a seguito delle no-tizie relative alla nuova dottrina nu-cleare in preparazione negli Stati Uni-ti. Il documento ufficiale “Doctrine forJoint Nuclear Operations”, Dottrinadelle operazioni nucleari interforze, delmarzo 2005, prevede che gli Stati Uni-ti potranno d’ora innanzi ricorrere adattacchi nucleari preventivi (“pre-emp-tive strikes”) per diversi motivi, fra iquali i seguenti (op.cit., III-1- d):- per ottenere la rapida conclusionefavorevole di una guerra;- per permettere il successo di opera-zioni americani o multinazionali;- per dimostrare la capacità e la deter-minazione degli USA ad utilizzare learmi nucleari, col fine di dissuadere gliavversari dal fare ricorso ad armi di di-struzione di massa (nucleari, chimiche,o biologiche);- contro tutti gli avversari che abbianointenzione di utilizzare armi di distru-zione di massa contro gli USA, truppemultinazionali, o forze alleate degliStati Uniti.In quanto scienziati ci sentiamo chia-mati in causa dalla questione delle arminucleari. E proviamo una grande inquie-tudine per questa nuova dottrina che,se vedrà la luce, aumenterà considere-

Sviluppo insostenibileCesvi e Fondazione Cariplo, in collaborazione SlowFood e Pandora hanno realizzato Processo allosviluppo insostenibile un progetto di educazioneambientale per sensibilizzare studenti e insegnantidelle scuole superiori sull’importanza di comporta-menti quotidiani più consapevoli e sui risvolti chepossono avere sul futuro dell’ambiente.Il percorso, che prevede due interventi in classesui temi della caccia, della pesca e della deforesta-zione e la distribuzione di materiale didattico (illibro Gli alberi fanno piovere. Esperienze sullosviluppo sostenibile e l’omonima mostra fotografi-ca), si conclude con un dibattimento sostenuto daun’accusa di magistrati-educatori, con gli insegnatinel ruolo di testimoni e gli studenti-avvocati,scelti da una giuria popolare formata dagli alunni.

Per informazioni: Cesvi, via Broseta 68/a, 4128Bergamo, tel. 035.2058021, fax 035.260958,www.cesvi.org.

Campi scuolaI Cemea di Napoli organizzano a Procida da aprile agiugno campi scuola di 3 o 5 giorni.

Per informazioni, Cemea di Napoli, tel. 081.406197– 340.3520381, fax 081.5785293;e-mail [email protected].

Scienziatiper la pacee contro le arminucleari

Pubblichiamo un appello di

scienziati – primi firmatari

Daniel Iagolnitzer, André

Landesman, Christophe Soulé

– che da mesi circola in

Francia (http://

physics.ucsd.edu/petition/).

L’iniziativa ha tratto

ispirazione da un’analoga

petizione di Kim Griest e

Jorge Hirsch lanciata

precedentemente negli Stati

Uniti

volmente le situazioni nelle quali gliUSA si sentiranno autorizzati all’uso diarmi nucleari.Noi le domandiamo di:- convincere, attraverso tutti i mezzidiplomatici a sua disposizione, le au-torità degli Stati Uniti a rinunciare aquesta nuova dottrina;- confermare pubblicamente che la Fran-cia non utilizzerà le sue armi atomichecontro un avversario non nucleare, eche essa intende conformarsi a tutti gliimpegni presi con la firma del trattatodi non proliferazione.Questa nuova dottrina nucleare ameri-cana pare ignorare il fatto che le arminucleari si situano su di una scala radi-calmente differente da quella delle al-tre armi di distruzione di massa (chi-miche e biologiche) e delle armi con-venzionali. Inoltre, prevedere il loroutilizzo preventivo contro avversari nonnucleari, siano essi Stati o gruppi or-ganizzati, rappresenta l’imbocco di unastrada pericolosa. Cancellare la distin-zione netta che ad oggi esiste fra arminucleari e non nucleari, vuol dire au-mentare i rischi di una proliferazionedelle armi nucleari. Un principio fon-damentale del trattato di non prolife-razione nucleare è che in cambio dellarinuncia a questo tipo di armi da partedegli altri stati, le potenze nucleari, frale quali la Francia, si impegnano «aperseguire in buona fede negoziati sumisure efficaci relative alla cessazionedella corsa agli armamenti nucleari en-tro una data prossima e al disarmo nu-cleare, e su un trattato di disarmo ge-nerale e completo, sotto un controllointernazionale stretto ed efficace» (Ar-ticolo VI).Noi temiamo che il fallimento dell’ulti-ma conferenza esaminatrice di tale trat-tato nel maggio 2005, ed i progettiattuali degli USA, conducano, al con-

trario, ad accelerare la proliferazione,e al disastro planetario.Certi che lei vorrà reagire rapidamentee favorevolmente alla nostra richiesta,e adoperarsi in modo da evitare unatale evoluzione, la preghiamo di accet-tare, Signor Presidente della Repubbli-ca, l’espressione dei nostri sentimentirispettosi.

Traduzione dal francese di Stefano Serafini.

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media

C’è un collegamento

tra la tua attività di inse-gnante e quella di scritto-re?Fare l’insegnante può influi-re poco o niente sull’attivi-tà di scrittore, se non si vi-vono con i propri alunni tut-te le occasioni che la scuolaoffre per inventare esperien-ze non solo di cultura, maanche di vita. Dalla lezionecurricolare al laboratorio diteatro, dal viaggio di istru-zione alla visione di un film,dalla discussione alla solu-zione di problemi personalie interpersonali, l’insegnan-te e gli alunni compiono lostesso viaggio di esplorazio-ne di sé e del mondo. In que-sto modo, l’insegnante-scrit-tore ha la possibilità di ren-dere i propri libri veri, viven-do due volte ciò che lo hagià tanto gratificato. C’è unritorno per gli alunni? No.Non vogliono uno scrittore-insegnante, ma un insegnan-te che tra le altre cose scri-ve anche libri. Quasi un suohobby. Glielo lasciano volen-tieri. Più che la vita nelleparole, a loro interessa lavita nei fatti e il loro inse-gnante deve essere di mate-ria concreta, non libresca. I

libri se li deve scrivere acasa, non a scuola.

Non c’è il rischio, per un in-segnante-scrittore di diven-tare troppo pedagogico?Pedagogia noiosa? Non soche cosa sia. Appartiene for-se a chi si barrica dietro lacattedra, ama più se stessoche gli allievi, crede nei prin-cipi assoluti, vuole modellare(crimine!) invece di stimo-lare il modellarsi da sé, èterrorizzato dall’adolescen-za, ha le capacità comuni-cative di una patata, educapunendo... Detesto i librinoiosi e i libri con una faci-le morale, i libri dell’adultoche ha un dovere da com-piere nei confronti dei ragaz-zi… Purtroppo, ci sono sta-ti anni in cui ho pubblicatosolo cambiando la trama insenso più “educativo”, per-ché così volevano le caseeditrici. Ora, al contrario, sipubblicano libri nei quali iragazzi sono macchiette datelefilm, e mi spiace. Per ladignità dei ragazzi.

Che cosa pensi del prolife-rare di corsi e progetti discrittura creativa nellescuole elementari e medie?

Non c’è il rischio di far di-ventare secondaria la cor-rettezza formale della scrit-tura in nome di una “liber-tà” della creazione?Per comporre una filastroc-ca si opera selezione lessi-cale, si cercano soluzioni dipunteggiatura, si esaminanosinonimi, si valutano sfuma-ture di frase; e una storia si

sviluppa solo se si tiene su-bito conto della sua struttu-ra, dell’efficacia del registro,dell’incisività del discorso…I formalisti puri spesso apro-no una polemica per chiude-re una porta sulla stanzadella loro immaginazione,così spoglia. Nelle scuoleelementari si lavora ancoramolto per stimolare la crea-

L’insegnante scrittoreFRANCESCA CAPELLI

Scrittore, autore di testi teatrali, insegnante di scuola media. È

Aquilino, autore di libri come Koatti (Salani, 2004), dedicato agli

emarginati di una periferia cittadina, e la trilogia fantasy dei Cavalieri

Audaci: Cacciatori di orchi, Mondi impossibili, Il tempo degli orcoidi

(tutti pubblicati da Fabbri, rispettivamente nel 2003, 2004, 2005). Il

suo sito è www.aquilino.biz

«Detesto i libri noiosi ei libri con una facilemorale, i libridell’adulto che ha undovere da compiere neiconfronti dei ragazzi…Ci sono stati anni in cuiho pubblicato solocambiando la trama insenso più “educativo”,perché così volevano lecase editrici»

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tività, ma nella scuola me-dia tutto viene appiattito,banalizzato e frullato perottenere un beverone privodi gusto e dal colore pocoinvitante.

Perché la scuola non riescea far appassionare i ragaz-zi alla lettura? Come tro-vare un equilibro tra obbli-ghi ministeriali e il diverti-mento che un libro devedare?Molti insegnanti non leggo-no. Né libri per adulti, né li-bri per ragazzi. Non conosco-

no le case editrici, non co-noscono gli autori. Si affi-dano agli editori specializ-zati nella scolastica e adot-tano libri di narrativa spes-so orripilanti, frutto di unartigianato di scarso valore.Impongono riassunti este-nuanti, schede a livello uni-versitario e alla fine concor-dano con i genitori: i ragaz-zi non leggono. Da qui, tut-ti i mali: i ragazzi non san-no scrivere, non sanno pen-sare, non sanno parlare, nonsanno concentrarsi… Orga-nizzo la biblioteca di classe,

stimolo ed esorto, ma nonobbligo a leggere chi nonvuole; aumento gli stimoli,proponendo anche libri peradulti; animo la lettura… Maè giusto che ciò che a meriempie la vita (leggere escrivere) ad altri non dicagranché. Ci sono tanti altrilinguaggi. Anche quello delsilenzio. C’è il mondo, da leg-gere ogni giorno. Che ognu-no legga se stesso e gli al-tri, che esplori. Forse scopri-rà che ci sono libri nei qualipuò ritrovare tutte le suescoperte.

Qui a lato:Banlieue(fotoFrancoisMillet). Nellapaginaaccanto:Aquilino. Inbasso: lacopertina diKoatti,un’illustrazionedi MarcoPetrella eun’illustrazionedi Francescadi Chiara perMondo dimostri(Bompiani,2005)

BIBLIOGRAFIAAquilino è autore di oltre 20 libri.Ecco i titoli più famosi: Mondo dimostri (Bompiani, 2005); Passio-ne pallone (con Nicola Cinquetti,Bruno Mondadori, 2003), Billinodi tutti i colori (Emme Edizioni,2003), Pace e tocco terra (autorivari, Lapis 2003), Lettera dal de-serto futuro (Messaggero di Pado-va, 2002), La pecora volante, (La-pis, 2002), Che ci fanno 36 pin-guini in Africa? (E.Elle, 2001), Bilùche mangia il mondo (Signum/IlCapitello, 2001), Rotella (BrunoMondadori, 2001), Nella tana del-la donna medusa (Messaggero diPadova, 2000), “Gobbo il Re stor-ta la Regina” (in Teatro per ragaz-zi, Erga 1999), Il fantasma del-l’isola di casa (Piemme, 1994, Pre-mio “Il battello a vapore”).

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Will Eisner, maestro indiscusso e innovatore del fumetto del XX seco-lo, ebreo americano, figlio di immigrati (il padre è un pittore austriaco, lamadre è rumena) fuggiti dall’Europa dei pogrom, è morto nel gennaio del2005 all’età di 87 anni. Will cresce nei quartieri più poveri di New York,scoprendo precocemente la propria passione per il disegno. Nel ’36 esordiscecon due serie di sua creazione, poi apre uno studio con l’amico Jerry Iger,insegnando il mestiere a giovani di belle speranze come Bob Kane e JackKirby (futuri creatori, rispettivamente, di Batman e di moltissimi personaggidella Marvel, da Capitan America ai Fantastici Quattro).Eisner divenne celebre per la creazione del personaggio di Spirit nel 1940, ildetective mascherato.Il termine “fumetto” è in effetti inadeguato a descrivere buona parte dellasua opera e lui stesso ha proposto di sostituirlo con l’espressione “arte se-quenziale”, un’espressione con la quale esprime l’intenzione di portare ungenere minore al livello di un’arte, al pari del cinema o della pittura. Ineffetti leggendo le sue tavole si ha la chiara visione di un’arte del disegnoeccellente, di una capacità peculiare di caratterizzazione di personaggi edegli ambienti.Padre del graphic novel, il romanzo a fumetti, con la pubblicazione di Con-tratto con Dio, Eisner ha utilizzato l’arte sequenziale nei campi più diversi,dai manuali tecnici, all’istruzione nelle scuole, perché lo considerava il mez-zo migliore per avvicinare ad argomenti importanti un gran numero di letto-ri poco adusi al testo letterario. È stato un grande sperimentatore nel lin-guaggio del fumetto. Nella premessa al suo ultimo lavoro, Il complotto. Lastoria segreta dei protocolli dei Savi di Sion (The Plot: the Secret Story of theProtocols of the Elders of Zion), uscito postumo nell’anno della sua morte,scrive: «Per tutta la mia carriera ho sempre raccontato storie usando l’artedel fumetto. Ora che quest’arte è universalmente accettata anche nell’ambi-to della letteratura popolare, si presenta l’opportunità di contrastare questapropaganda con un linguaggio più accessibile. La mia speranza è che questolavoro possa contribuire a distruggere questo inganno terrificante».Eisner racconta in modo ricco e documentato la storia della costruzione edella diffusione di un documento fondamentale dell’antisemitismo europeo emondiale, appunto i “Protocolli dei Savi anziani di Sion”, un falso costruitoda una spia russa Golovinskij, esperto nella fabbricazione di documenti falsi,che lo copia da uno scrittore francese sconosciuto, Maurice Joly. Una storiaincredibile, con personaggi grotteschi e ridicoli, se non fosse che questodocumento ebbe una circolazione straordinaria e servì per un certo periododa puntello all’antisemitismo mondiale.La necessità di documentare puntigliosamente questa storia, rende il fumet-to più statico, a volte anche troppo didascalico, ma i personaggi sono comesempre straordinari.

BIBLIOGRAFIA MINIMAContratto con Dio (1978), Editrice PuntoZero, 2001.Graphic storytelling Narrare per immagini, Vittorio Pavesio Productions, 1996.Le regole del gioco (2001), Kappa edizioni, 2001.Contratto con Dio, Editrice PuntoZero, 2001.Archivi di Spirit, Kappa edizioni, 2003.Eisner-Miller, Conversazione sul fumetto, Kappa edizioni, 2005.http://www.willeisner.com/index.html.

Will Eisner, Ilcomplotto. La storiasegreta dei protocollidei Savi di Sion,Einaudi tascabili,Torino 2005, pp. 148,b/n bros., 15,00 euro

Eisner e l’artesequenzialeFILIPPO TRASATTI

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il libro

Nel suo precedente libro,Il dramma del bambino dota-to e la ricerca del vero sé(2004), Alice Miller, psicona-lista svizzera, aveva posto alcentro della sua attenzione ilbambino perfetto: consen-ziente, studioso, affettuoso.Praticamente, un bambino-genitore: preoccupante sog-getto il cui problema risali-rebbe nella mancata disponi-bilità dei genitori rispetto aisuoi bisogni primari, fin daiprimissimi giorni di vita. Ilbambino asseconda il genito-re sino alla negazione del pro-prio sé. Il bambino sta fer-mo, zitto, seduto, composto:ha rinunciato alla propria vi-talità. E si mette in moto uncomplesso quanto violento“meccanismo di rimozione”della propria dolorosa espe-rienza. Ma, diceva l’autrice,«ognuno di noi ha dentro disé un cantuccio, a lui stessocelato, in cui si trova l’appa-rato scenico del dramma dellasua infanzia». L’intervento psi-coterapeutico dovrebbe cosìfondarsi sulla eliminazionedella rimozione dei sentimen-ti dell’infanzia. Ogni bambinoha il legittimo bisogno di es-sere guardato, capito, presosul serio e rispettato. Un’im-magine di Winnicot illustra lasituazione: la madre guarda ilbambino che tiene in braccio,il piccolo guarda la madre involto e vi si ritrova… – a pat-to che la madre guardi davve-ro quel bambino indifeso nel-la sua unicità, e non osserviinvece le proprie attese e pa-ure, i progetti che imbastisceper il figlio, che proietta su dilui.

La “pedagogia nera”

In questo libro Alice Miller ri-prende questa cornice e si oc-cupa di un altro aspetto dellaviolenza del mondo adultoverso i bambini: chi da picco-lo è stato maltrattato e abu-sato dai genitori può amarlisolo a patto di rimuovere leproprie autentiche emozioni.

Si tratta del quarto comanda-mento («onora il padre e lamadre») che entra in gioco eche va fatto saltare. La suafunzione (rimozione del dolo-re e affermazione dell’autori-tà) va anche oltre l’esperien-za individuale ed investe lastessa natura della nostra so-cietà. Il bambino maltrattatodiventa, per reazione e rimo-zione, molto più tolleranteverso la violenza e quindi nonsolo più manipolabile, ma an-che più “disponibile” a com-piere egli stesso atti violenti.Ma accade proprio che il cor-po, rivoltandosi contro la ne-gazione dei traumi infantiliirrisolti, si ammali gravemen-te. Così come è accaduto an-che a personaggi noti ed im-portanti di cui Miller si occu-pa nel libro – Joyce, Cechov,Dostoevskij, Kafka, Rimbaud,Proust, Mishima – che rendo-no il libro affascinante anchesotto il profilo letterario. Mil-ler qui ci spiega quale sia il“cantuccio” in cui si nascon-de l’esperienza della propriainfanzia: il corpo che ci rive-la, anche senza il nostro ra-zionale intervento, quale siail peso e la portata degli ef-fetti di un’educazione violen-ta. Rivivere l’esperienza delleemozioni negate, grazie al-l’aiuto ed alla presenza di un“testimone consapevole” (lopsicoterapeuta, il genitore,l’insegnante…) che raccolgail bisogno del sofferente, con-sente di riconoscere la veritàdi quei messaggi, di uscire dalcircolo vizioso dell’autoingan-no e rispondere agli appelli delcorpo liberandolo dai sintomi.Alice Miller lancia una volta

di più il suo anatema controla “pedagogia nera” ovvero lapedagogia della violenza cherientra in un modello di edu-cazione, di scuola che ancoracontinua a vivere nelle nostrecase, nelle nostre scuole. Unascuola ed una famiglia basatasul controllo, sulla disciplinae sul disciplinamento. Le vio-lenze subite nei processi edu-cativi vengono automatica-mente trasposte nell’esseregenitori, nell’essere insegnan-ti: devono essere intercetta-te, ricordate (le violenze su-bite, anche le micro violenzecome l’imposizione di tacere,il non poter manifestare lapropria affettività) tematizza-te, messe in evidenza, quindimesse in crisi.Naturalmente oggi è viva an-che una concezione molto di-

Il corpo e la moraleSTEFANO VITALE

Il legame tra il corpo e la morale è forte e

liberarsi dalla violenza della morale significa

vivere e percepire liberamente le proprie

emozioni senza umiliarsi né umiliare

Alice Miller,La rivolta delcorpo. I danni diun’educazioneviolenta, RaffaelloCortina Editore,Milano, 2005,pp. 138, euro 13,50

versa del ruolo positivo delcorpo, anche come manifesta-zione dell’affettività, ma il li-bro della Miller ci serve permettere in crisi la “pedagogianera” che non è solo quella piùevidente, dalla pedofilia alceffone “educativo”, ma anchequella subdola della violenzadella parola. Ma è un libro che“ci mette in crisi” come edu-catori e come adulti, prima ditutto per ripensare le nostreazioni violente, spesso inte-riorizzate sino a non essere piùvisibili a noi stessi, ma poianche nel senso di evitare dicadere, leggendolo, in sensi dicolpa che riproducono il mec-canismo della potenziale rimo-zione.Perché il senso di colpa è unacatena del Dominio da cui li-berarsi.

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libri sulla scuolaM. Lodi, A. Alario, M.Baguzzi, A.M. Furini, M.Rossi, G. M. Scaravelli,Non più soli neldisagio,Franco Angeli, Milano2005, pp. 174, euro 14

In modo sempre più frequenteil disagio si manifesta nellascuola non solo nelle forme tra-dizionali di comportamenti ag-gressivi o di chiusura, di eva-sione o abbandono, ma anchenelle forme di una “normopatia”che cela anche ansie da presta-zioni efficaci e competitive, sol-lecitate da richieste sociali sem-pre più pressanti. Per moltotempo la scuola ha ignorato ciòche esula dall’aspetto più stret-tamente cognitivo ed ha inter-pretato il suo ruolo pedagogicoin senso meramente restrittivo,svalutando le valenze positivedell’ascolto e della comprensio-ne, come possibili e diversemodalità della relazione docen-te-discente. Oggi che anche lerecenti disposizioni legislativerichiamano con forza l’attenzio-ne sulle competenze definite intermini di “sapere”, “saperfare”, “essere” i concetti di pro-gettualità, valore e scelte indu-cono a considerare la personanella sua integrale complessità.Il disagio nella scuola, non puòessere più ignorato, né estro-messo e demandato, ma deveessere riconosciuto ed accoltonelle forme in cui si presenta,ripensato e rielaborato nella ri-cerca di soluzioni accettabili. Èquesta l’esperienza di un ITC diMantova che, partita negli anniNovanta e proseguita nel tem-po, viene proposta nel presentevolume, in forma narrata, daglistessi studenti che ne sono sta-ti i protagonisti. L’iniziativa edil contributo di un gruppo didocenti diversi per formazionee convinzione è stata suppor-tata, in una logica di collabora-zione, dall’equipe dell’USSL diMantova che ha fornito i pre-supposti teorici ed il sostegnopsicologico nel corso del lavo-ro. La creazione di un “Punto diascolto” trasformatosi in CIC(Centro di informazione econsulenza)e successivamentein Ciao (Centro di informazio-ne, accoglienza ed orientamen-to), sorto nella scuola, ha con-sentito di poter accogliere ildisagio e riconoscerlo come unarichiesta di aiuto, di poter espri-mere vissuti, emozioni, soffe-renze e frustrazioni riportando-li ad una situazione di tollera-

bilità e accettazione e, nellaesperienza della narrazione, diricerca della possibilità di solu-zioni e di modelli relazionali piùsoddisfacenti.

MARISA NOTARNICOLA

Francesca Di Mari ePaola Bisesti,Creattività. Manualeper stimolare lacreatività negliadolescenti, LaMeridiana, Molfetta(Ba) 2006, pp. 184,euro 15

Un libro che parla di rivoluzio-ne e creatività. Un manuale chenasce da anni di ricerca sul cam-po e da un punto di vista sul-l’adolescenza orientato al pen-siero positivo. Una serie di trac-ce per lavorare concretamenteper sviluppare la creatività ascuola e nell’extrascuola. Ci vuo-le coraggio per proporre creati-vità proprio adesso in Italia. Cene vuole tanto se si pensa allacondizione soggettiva dei for-matori e degli insegnanti in par-ticolare che dovrebbero aiutaregli adolescenti a scoprirla in sépiù che ad impararla. Eppure inquesti anni bui, attraversati pri-ma dal burocratismo ipervaluta-zionista di Berlinguer poi dallacialtroneria privatistica dellaMoratti, è proprio di creativitàche si ha bisogno. Lo sannobene coloro che hanno parteci-pato per anni alle iniziative pro-poste dalla Cooperativa Prospet-tive di Como. Ed è proprio daquesta esperienza che viene Cre-attività il libro di Francesca DiMari, sociologa, Paola Misesti,pedagogista. Le autrici nel Ma-nuale per stimolare la creativitànegli adolescenti si misurano conil compito difficilissimo di darespunti concreti per realizzarel’obiettivo. Le 184 pagine deltesto aiutano a superare i bloc-chi percettivi, emotivi, ambien-tali e culturali che limitano lacreatività e presentano un re-pertorio di “Strade creative”,proposte strutturate per avvia-re attività con gli adolescentinelle diverse aree dell’“Autocon-sapevolezza emozionale”, della“Curiosità” (desiderio di saperee di conoscere), della “Compren-sione” (dare significato ed es-sere parte del tutto), della “Ri-voluzione” (protagonismo), del-la “Generazione” (produzione diidee), della “Scelta”, del-l’”Ambiguità” (vivere la com-

plessità cambiamento/ ansia/incertezza).

GIANPAOLO ROSSO

Ada Lonni, Fra muri echeck points. Storie dibambini, di scuole e dispazi negati aGerusalemme est,L’Harmattan Italia,collana EMMA – EuropaMediterraneo mondoarabo, Torino 2006,pp. 240, euro 24,00

«Quanti bambini, uno sulle spalledell’altro, sono necessari per rag-giungere la sommità delle murache circondano la città vecchia?Quanti bambini, sulle spalle unodell’altro, sono invece necessariper raggiungere la sommità delMuro, quello con la M maiusco-la, che Israele sta costruendo,appena un po’ più in là?». Percercare di capire quello che staaccadendo in Palestina può es-sere utile leggere le storie deibambini e delle bambine che fre-quentano la scuola materna a Ge-rusalemme Est, delle loro mae-stre e delle loro mamme.Nella Gerusalemme araba ci sonooltre cento piccole scuole fre-quentate da 7.000 bambine ebambini “privilegiati”, perché lamaggioranza dei bambini e dellebambine palestinesi non ha lapossibilità di andare alla scuolamaterna e spesso nemmeno allascuola elementare.Nella città santa nulla è preve-dibile. Anche per i più piccoli nonesistono giornate rassicuranti.Basta pensare a quanto può es-sere complicato da muri e checkpoints il percorso da casa a scuolaper la maggior parte della popo-

La rivista bimestrale, la lettera bimestrale,il sito (www.ecolenet.it), il cd rom annuale.

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lazione araba di Gerusalemmeche ha meno di 15 anni (il 41%).Molte famiglie espulse dalla cit-tà vecchia vivono nelle borgatee sulle colline circostanti.Già dai titoli dei capitoli – “Ag-grappati alle mura della città vec-chia”, “Respinti di là dal muro”.“La battaglia per gli asili” – siintuiscono le difficoltà quotidia-ne narrate dalle bambine e daibambini e quanto le loro storiepersonali si intreccino con quel-le personali e collettive degliadulti, soprattutto maestre emamme (perché quella degli asiliè anche una sfida di genere), che,nell’incertezza del presente e delfuturo continuano tenacementea costruire e ricostruire la Pale-stina.Due interessanti appendici com-pletano con dati il racconto del-le storie: l’“Indagine sulle scuo-le per l’infanzia a GerusalemmeEst – curata dagli educatori edalle educatrici dell’Early Chil-dhood Resource Centre (alcunidei quali hanno partecipato inItalia a un ciclo di formazioneattuato da Reggio Children, l’as-sociazione nata per gestire gliscambi pedagogici fra le istitu-zioni per l’infanzia del comunedi Reggio Emilia e insegnanti ededucatori di tutto il mondo) – e“Banca dati” – nella quale l’au-trice e Rosita Di Peri hanno rac-colto una cronologia sinteticasulla storia della Palestina dal1800 a oggi, tabelle statistiche,carte e mappe.Il libro nasce dall’esperienza di“Bambini e infanzia in Palesti-na”, un progetto dell’Arci di Bo-logna, finanziato dalla RegioneEmilia Romagna, per sostenerel’infanzia nel campo profughi diShu’fat.

CELESTE GROSSI

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libri per la scuolaGiulio Giorello, Dinessuna chiesa,Raffaello Cortinaeditore, 2005, pp. 79,euro 7,50

Leggo il pamphlet di Giulio Gio-rello sulla libertà del laico dopoaver condiviso quanto questidiceva al convegno “Culturalaica e laicità delle istituzioni,cascami dell’800 o risorsa perla società multiculturale?” te-nutosi a Torino per iniziativadella Consulta torinese per laLaicità delle Istituzioni il 20novembre 2005. Lo leggo dopole segnalazioni sulla stampa na-zionale secondo cui l’attualePapa ha incoraggiato i cattoli-ci al martirio per portare Cristonel mondo e dopo che il Presi-dente della Confindustria Mon-tezemolo ha dipinto l’Italiacome un paese senza etica. Con-traddizioni che fanno riflettere:da una parte non mi sembra chei cattolici stiano votandosi almartirio e dall’altra che l’Italia,sede del papato e con la mag-gioranza cattolica, sia sorrettada un profondo senso etico.Come non entusiasmarsi dunquedavanti alle tante guide esem-plificatrici che Giulio Girellosciorina per spiegarci che il con-trario di relativismo (tanto ma-linteso e aborrito dal Papa) èassolutismo, secondo cui la li-bertà dell’agire umano è vissu-to come peso intollerabile tan-to da innalzare a virtù “la te-starda smania di proibire”?La lettura non è semplice: tan-te citazioni di pensatori di ierie di oggi, tutte così correlatee congruenti da lasciarci a boc-ca aperta senza tuttavia sen-tirci condannati a condividere,proprio come si conviene al re-lativista che, per dirla con Gio-rello, è «un tipo bizzarro che sibatte perché ogni difesa siaconcessa a chiunque, anche achi è contro il relativismo».Il capitolo più originale è quel-lo intitolato “Tolleranza e in-differenza”. Tolleranza è unconcetto più datato di quantosi creda (Thomas Jefferson,1781) mentre si trova l’indiffe-renza nella diatriba tra Rifor-ma e Controriforma: si invitavaa non discriminare i cristiani fraloro distinguendo le questionidi dottrina da quelle di culto edell’organizzazione ecclesiale.Niente di più congruente del-l’affermazione «non si può esi-gere ampia libertà per sé senzaconcederla agli altri».Un libretto (75 pagine) tutto

da meditare. Il limite? Lo harilevato Gian Enrico Rusconi diLa Stampa: manchiamo di unmezzo comunicativo che facciabreccia sulla maggioranza, sullabase. Solo con questi requisitie un’ampia divulgazione di que-ste idee potremo passare consuccesso i concetti di laicità peruna società più giusta, libera,democratica.

FRANCO CALVETTI

Luisa Mattia, La scelta,Sinnos Editrice, Perugia,2005, pp. 112 pagine,euro 8

Sono almeno due le chiavi di let-tura possibili per questo bellis-simo libro per ragazzi di LuisaMattia. La prima è “sociale”. An-tonio, detto Totò, ha 14 anni evive a Palermo. Suo fratello mag-giore è un picciotto della mafiae gli vengono affidati incarichidi poco conto, nei quali coinvol-ge anche Antonio. Questi vieneincaricato di distruggere il tea-trino di un puparo, che con i suoispettacoli di strada disturba lospaccio. Totò obbedisce, ma re-sta turbato dalla reazione nonviolenta dell’uomo. E quando sco-pre il fratello è implicato in unomicidio, apre gli occhi su ciòche la mafia è davvero e “tradi-sce” la sua famiglia per obbedirealla propria coscienza. Sullo sfon-do, un’analisi lucida e puntualedelle modalità di reclutamentodella mafia, del rapporto tra que-st’ultima e l’ambiente sociale si-ciliano.Ma c’è anche un’interpretazione“esistenziale” del racconto, me-tafora dell’uomo “condannato” allibero arbitrio e non comodamen-te schiavo di un destino decisoda altri. «Anche un ragazzo di14 anni è in grado di compierescelte importanti», dice l’autri-ce. «È una possibilità che si hasempre, soprattutto da giovani,benché molti adulti sostenganoil contrario». E qui sta l’univer-salità di questo libro, che è mol-to di più di un semplice affrescosociale e nel quale ogni ragazzopotrà riconoscersi, con la sensa-zione che «stia parlando di me,a me».Il resto è felice registro stilisti-co, ricerca non ammiccante diuna lingua viva e capace di vei-colare senso. L’autrice, che daanni conduce nelle scuole diRoma un progetto di scritturacollettiva (www.luisamattia.it),ha saputo dare ai suoi personaggiun linguaggio credibile, che non

è un italiano medio, neutro eimpeccabile, ma neppure un gra-melot alla Camilleri o, peggio, unsiciliano caricaturale figlio dege-nerato del neorealismo. Dietro,c’è la tradizione della musicapopolare siciliana e la presenza,discreta e non ostentata, dei“grandi” dell’isola, da Verga aTomasi di Lampedusa.

FRANCESCA CAPELLI

Francesco DeBartolomeis, Latridimensionalitànell’artecontemporanea,Hopefulmonster, Torino2004, pp. 212, euro 24

Chi meglio di Francesco De Bar-tolomeis ha registrato, fatto co-noscere, promosso iniziative nel-la realtà artistica torinese? Giàdagli anni Settanta cambia, pernoi studenti, la percezione del-l’insegnamento di Pedagogia al-l’Università di Torino, costituen-do nella sede di via Maria Vitto-ria, i Laboratori dove inizia unapratica pedagogica volta all’ac-quisizione di un “metodo attivodel conoscere”. La sede ospita la-boratori di fotografia, ceramica,falegnameria, arti grafiche coin-volgendo l’amico Piero Simondo,pittore egli stesso e professoreall’Università alla cattedra diMetodologia e didattica degli au-diovisivi, ed esperti nelle diver-se arti. Il mio ricordo è ancoravivo perché l’interesse per l’arteera sostenuto, arricchito, da unapratica pedagogica che trovavanell’arte il suo punto di forza.Discorsi che oggi sono alla por-tata di tutti , ma che in queglianni avevano un fascino, per noifuturi educatori e maestri, deltutto particolare. Mi auguro chequalcuno con cura possa e vo-glia riprendere a studiare la for-mazione educativa di quegli annitorinesi.Con il libro La tridimensionalitànell’arte contemporanea, De Bar-tolomeis indaga l’arte e le espe-rienze che ne fanno gli artisti.Nonostante si precisi che non sivuole fare una storia della pro-duzione tridimensionale nell’ar-te contemporanea, il pedagogi-sta e conoscitore d’arte ci offreun primo e largo sguardo sulleproposte dell’arte contempora-nea e successivamente presentale esperienze del mondo artisticotorinese. Partendo dalla consta-tazione che le sperimentazionidel primo decennio del XX seco-lo hanno avviato una svolta pro-

fonda sui concetti, i termini pro-pri della rappresentazione tridi-mensionale, l’autore analizza congli artisti che hanno segnatoquesta trasformazione i materiali,le operazioni, le tecniche con lequali si è superata l’antica deno-minazione di scultura a favore diuna concezione che abbraccia unsignificato più profondo dellamateria nello spazio plastico. Èquesto nuovo “plasticare” cheapproda a installazioni e conta-minazioni con altre espressioniartistiche – la fotografia, il vi-deo, il design, la performance –la conseguenza della profondatrasformazione che artisti comePicasso, Boccioni, Duchamp, soloper fare alcuni esempi, avevanoiniziato attuando un allontana-mento dalla morfologia figurati-va per percorrere la strada del-l’astrattismo.Nella seconda parte il libro cioffre una panoramica del mondoartistico piemontese contempo-raneo: in particolare raccontaTorino, città “osservatorio e la-boratorio internazionale” giàdalla metà degli anni Cinquan-ta, crocevia di grandi eventi ar-tistici. Nel capitolo “Incontri”,una carrellata di esperienze ar-tistiche (Lucio Fontana, SandroCherchi, Gino Gorza, Bruno Mar-tinazzi, Mario Merz, LeonardoMosso, Piero Fogliati, Laura Ca-stagno, Marisa Merz, Mario Sur-bone, Michelangelo Pistoletto,Gilberto Zorio, Giovanni Ansel-mo, Gian Carlo Pacini, Marco Ga-stini, Riccardo Cordero, Piero Gi-lardi, Marina Sasso, Luigi Mainol-fi, Claudio Rotta Loria). Di cia-scuno presenta una fotografia dellavoro con una scheda biografi-ca e tematica.Offrendoci questi materiali, DeBartolomeis, insieme agli artistici invita a nuove avventure, per-chè come egli dice nella conclu-sione intitolata “Disorientamen-to che rinnova”: «il disorienta-mento ci apporta conoscenze ealtre ne promette se continuia-mo nello sforzo» perché la co-noscenza comprende ogni tipo diproduzione insieme all’illimitatavarietà di emozioni e di sensa-zioni che l’accompagnano. Lacapacità di aprire squarci di com-prensione nelle diverse esperien-ze artistiche, di suggerire nuovicanali di lettura alle produzionepiù diverse, ci permette di muo-verci un po’ meno disorientati nelmondo dell’arte.Dono interessante per tutti co-loro che si occupano di arte, chefanno arte e che guardano l’arte.

PIERA CARBONE

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Walter Benjamin dice-va che la narrazione è «unaforma artigianale di comuni-cazione» che vive nella sferadella singolarità, che non miraa trasmettere informazioni, néil puro in sé delle cose acca-dute, ma che s’intreccia conla vita del narratore. Si riferi-va al libro di Nikolaj Leskov Ilviaggiatore incantato dove ilprotagonista racconta storieed avventure dall’inizio allafine come in una spirale sen-za scampo, in un gioco di as-sociazioni e rimandi. Raccon-tare è vagabondare, non resta-re fermi: difficile star chiusinei confini delle proprie cer-tezze se si sceglie di viaggia-re con le storie. Certo, la real-tà e la fantasia s’intrecciano:il viaggiatore incantato incan-ta perché strabilia con le sueavventure: prigioniero dei tar-tari, consigliere d’un nobile,insegue l’amore e la vodka,compie un delitto. Ma ci sonoavventure “diverse”: si trattadi quelle storie che racconta-no d’una crescita, un cambia-mento che attraversa l’intimo,il sé. Lo stesso Benjamin loracconta in Infanzia berline-se. Ma ad altri tre libri stopensando: molto diversi traloro, ma uniti dalla presenzadi un motivo centrale: l’usci-ta dolorosa dall’infanzia. Ilprimo è Il grande amico Me-aulnes di Henry Alain-Fournier(Garzanti, tradotto dal poetaGiuliano Gramigna). Il raccon-to, presentato come “già ac-caduto” è ambientato nelladimessa campagna francesedove “appare” appunto Ago-stino Meaulnes, coi suoi di-ciassette anni e la voglia discoprire il mondo, infrangerele regole ma anche amare esognare. Il romanzo è un innoa quel mondo parallelo che èla mente degli adolescenti alleprese coi segreti della terra sindentro al quotidiano. Non c’èspazio per l’eccezionale, l’in-solito abita già nel qui ed orae lo avvolge anche quando ilromanzo assume contorni po-

etici e fantastici, in un atmo-sfera tra lo spleen ed il popo-lare. Il protagonista inseguel’immagine di un amore im-provviso e potente che lo spin-ge verso nuovi incontri, chelo mette a confronto con ilgioco anche crudele della vita.L’autore morì al fronte nellaGrande Guerra, mentre Il gran-de amico Meaulnes è la storiadi una fuga non verso ciò cheè geograficamente distante,l’esterno, bensì verso l’inter-no, verso il sé. Quel sé che sispezza nel romanzo di JosephKessel Il leone (Bompiani). Laprotagonista è Patricia, figliadel direttore del Parco di Am-boseli in Kenia. Lei, occiden-tale, sa “parlare” a suo modocon King, il grande leone del-la savana. Qui non si tratta dicercare Moby Dick: il mito èancora una volta ad un passoe Patricia gioca con lui senzapaura. Lei lo ha allevato sinda piccolo ed ora è ancora il

suo compagno. Ma Oriunda, ilgiovane guerriero Masai, ha unaltro punto vista. Per lui il le-one è la prova da affrontareper guadagnare la sua adulti-tà: egli rischia la vita e Kingviene ucciso e con lui l’infan-zia di Patricia . Quel che perlei era un gioco, per il guer-riero è un rito del destino chesi deve compiere. Oriunda ri-schia la sua vita, anche permostrarsi grande dinnanzi aPatricia, che non capisce e nonaccetta. Un racconto intenso,semplice ma teso che proprioper questo coglie nel segno.Come Paddy Clarke ah ah ah!di Roddy Doyle (Guanda). Pa-trick, detto Paddy è un ragaz-zino di dieci anni che vive aBarrytown , cittadina inven-tata dell’Irlanda. Vive sognan-do di George Best, calciatoregeniale e ribelle, stella delloUnited, cercando di capirecome funziona il mondo deigrandi mentre ha già il suo

Il dolore del crescereSTEFANO VITALE

daffare col mondo dei suoicoetanei a scuola, in cortile,in strada. Dove regole e liber-tà, prove di coraggio, fughe eritorni fanno parte del cresce-re. Libro di fango e ginocchiagraffiate, come direbbe Atti-lio Bertolucci, di sudore e bot-te, ma anche caldi abbracci emelanconiche serate di piog-gia. Libro che è una bibbiadell’essere bambino con gliocchi aperti sul mondo di tut-ti i giorni: quando le ore inu-tili sono le più importanti.Libro dove il linguaggio ser-rato e secco dello slang ci re-stituisce una storia viva checi prende per mano e ci fa es-sere “presenti”. Davvero Dic-kens non è passato invano.Poi, come accade spesso nel-la recente letteratura britan-nica anche il rapporto coi ge-nitori è uno degli assi del rac-conto: gente povera, travoltadal neoliberalismo tacherblai-riano, che litiga, ama, scappada se stessa ma resiste con lesue stesse fragilità personalie sociali. Paddy è così alleprese con genitori che si se-parano, affetti che mutano,scenari d’abbandono e di lot-ta. In questi racconti non c’ènulla di banale e di retorico: iragazzi sono come sono. Cat-tivi e crudeli, teneri e simpa-tici senza finzioni. In questestorie “succede” davvero qual-cosa e siamo lontanissimi daquella letteratura addomesti-cata carica di buoni sentimen-ti e di buone azioni, dove iragazzi ritornano casa chieden-do scusa e promettendo di nondisubbidire mai più ai genito-ri. Dove alla fine tutti sonoamici e fanno una bella festa.Niente affatto: le cose non van-no sempre per il verso giusto.E restano sospese, ti fanno“pensare” e ti fanno venire vo-glia di rimettere le cose a po-sto, nella realtà. Perché ciascu-no conosce quella storia dovetutto è possibile, anche il do-lore del crescere, del vedersidiverso, di colpo, senza poterpiù tornare indietro.

Edvard Munch, Puberty, 1895Nasjonalgalleriet, Oslo