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COMMISSIONECULTURAASI 32 | LaManovella | novembre 2016 E nrico Bernardi fu il primo progettista e costruttore industria- le automobilistico operante in Italia. La produzione delle sue automobili ammontò a circa cento esemplari, costruiti fra il 1894 e il 1900, una quantità non esigua in quegli anni. Nel suo nome, si comprendono, per semplicità, i risultati delle attività di tre imprese diverse, succedutesi nel tempo: la Società Motori Bernardi, la Miari e Giusti & C. e la Società Italiana Bernardi. In tutte queste, Enrico Ber- nardi fu responsabile della progettazione e della direzione operati- va. Diversamente da altri costruttori, che svolsero la loro attività in quel tempo, Enrico Bernardi affrontò i problemi dell’automobile nella UN VIAGGIO STRAORDINARIO FRA IL MOTORISMO DELLA FINE DEL 19˚ SECOLO E L’INIZIO DEL 20˚, IN PARTICOLARE CONCENTRANDOSI SULLA FIGURA DI ENRICO BERNARDI, GRANDE PROGETTISTA di Lorenzo Morello le soluzioni tecniche di BERNARDI E LA TECNICA AUTOMOBILISTICA nel 1894 Il prof. Enrico Bernardi negli anni d’insegnamento all’Università di Padova. Uno dei primi motori a gas con meccanismo a biella e manovella, realizzato nel 1879.

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Enrico Bernardi fu il primo progettista e costruttore industria-le automobilistico operante in Italia. La produzione delle sue automobili ammontò a circa cento esemplari, costruiti fra il

1894 e il 1900, una quantità non esigua in quegli anni. Nel suo nome, si comprendono, per semplicità, i risultati delle attività di tre imprese diverse, succedutesi nel tempo: la Società Motori Bernardi, la Miari e Giusti & C. e la Società Italiana Bernardi. In tutte queste, Enrico Ber-nardi fu responsabile della progettazione e della direzione operati-va. Diversamente da altri costruttori, che svolsero la loro attività in quel tempo, Enrico Bernardi affrontò i problemi dell’automobile nella

UN VIAGGIO STRAORDINARIO FRA IL MOTORISMO DELLA FINE

DEL 19˚ SECOLO E L’INIZIO DEL 20˚, IN PARTICOLARE CONCENTRANDOSI SULLA FIGURA DI ENRICO BERNARDI,

GRANDE PROGETTISTA di Lorenzo Morello

le soluzioni tecniche di BERNARDIE LA TECNICA AUTOMOBILISTICA nel 1894

Il prof. Enrico Bernardi negli anni d’insegnamento all’Università di Padova.

Uno dei primi motori a gas con meccanismo a biella e manovella, realizzato nel 1879.

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loro interezza, risolvendoli tutti con soluzioni tecniche originali, senza nulla attingere dalle tecnologie già esistenti. La Bernardi del 1894, principale oggetto di quest’articolo, fu pro-dotta in circa sessanta unità.

L’ARCHITETTURA DEL VEICOLOBernardi analizzò e discusse, nei suoi scritti, i vantaggi e gli svantaggi delle varie architetture di veicolo a tre e quattro ruote, prendendo in considerazione sia la stabilità in curva, sia l’aderenza in accelerazione e frenata. Egli ritenne preferibile la soluzione a triciclo inverso, cioè con assale anteriore a due ruo-te sterzanti e un’unica ruota posteriore motrice; questa scelta permetteva, da un lato, di non dover ricorrere al differenziale, di difficile costruzione per la presenza d’ingranaggi conici, dall’al-tro, di migliorare, rispetto al triciclo convenzionale, la stabilità al ribaltamento.Le automobili prese a confronto avevano, invece, tutte quat-tro ruote, soluzione che si mostrò in seguito vincente, a prezzo, tuttavia, di complicazioni che verranno in seguito commentate.Con questa scelta, nella Bernardi fu possibile eliminare le so-spensioni delle ruote, poiché la soluzione a triciclo non presen-tava problemi di adattamento a terreni accidentati, come invece accadeva per i veicoli a quattro ruote.Il comfort era assicurato da ruote gommate, non presenti sulle concorrenti, e da una sospensione della carrozzeria sul telaio con molle, una trasversale, sotto la pedana, e due verticali, ai lati del sedile. Il telaio era completamente costruito in tubi d’ac-ciaio, su cui erano collegate ruote a raggi, montate su cuscinetti a sfere. Nelle altre automobili, il telaio era ancora costruito con travi di legno rinforzate con parti di ferro, con ruote di legno su bussole di bronzo, gomme piene, usuali sulle carrozze. Buona parte dei meccanismi era protetta da cofani di legno, non esi-stenti nelle automobili concorrenti.

FRENI E STERZODue freni diversi agivano sulla sola ruota posteriore. Il primo fre-no è del tipo a corda, agisce sull’albero di uscita del cambio ed è dedicato al rallentamento della vettura; il secondo è del tipo a ceppo, agisce sulla copertura della ruota motrice ed è riservato alle frenate più energiche o per tenere arrestato il veicolo. Sistemi di frenatura simili erano presenti sulle automobili con-correnti. Si richiama, tuttavia, l’attenzione sull’originalità del freno a corda, nelle altre vetture sostituito da un freno a nastro; è la puleggia su cui si avvolge una fune, situata a destra nella figura; la puleggia simile a sinistra è la frizione, il cui funziona-mento sarà chiarito in seguito.Il freno a corda era costruito con una fune foderata di pelle che si avvolgeva sul tamburo. Poiché la fune aumenta la sua tensione per effetto dell’attrito esercitato dal tamburo, si crea un effetto di asservimento che permette di ridurre lo sforzo sul comando; servofreni di questo tipo furono applicati dalla con-correnza solo molti anni dopo.La stessa figura mostra accanto al freno un rubinetto che po-teva essere aperto, prima di una lunga discesa, per bagnare la corda, impedendone la bruciatura. I pedali, comandano il freno a ceppo. Il freno a corda è, invece, azionato dal comando combinato, che sarà descritto più avanti. Anche il meccanismo dello sterzo è unico nel suo genere. I tecni-ci che affrontarono per primi la progettazione delle automobili, dovettero trovare una soluzione al problema dell’ottenimento di una sterzatura corretta, tale da garantire che le due ruote ster-zanti di uno stesso assale fossero perpendicolari, nel loro piano medio, alla congiungente del punto di contatto con il suolo con il centro di curvatura della traiettoria desiderata.

Sopra, brevetto rilasciato a Enrico Bernardi nel 1882 dalla Prefettura di Padova,

dal titolo Motore a scoppio di Gas per le piccole industrie.

Qui a fianco, motore Pia, alimentato a benzina,

secondo il brevetto del 1882.

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Lo sterzo delle carrozze, del tipo a ralla, pur essendo corretto, era considerato inadatto a un’automobile perché riduceva la carreggiata dell’asse sterzante nel-le curve; questo inconveniente non era sentito nelle carrozze a causa della forza di tiro del cavallo, sempre orientata in modo da contrastare la forza centrifuga. La condizione per avere una sterzatura corretta, senza ri-durre la carreggiata, era stata definita da Ackerman già nel 1818 ed era ben nota a Bernardi, come pure il mec-canismo, brevettato da Jeantaud nel 1878, con cui detta condizione poteva essere ottenuta, anche se in modo solo approssimato. Bernardi ideò un suo meccanismo, per cui ottenne un brevetto; esso consiste in un rombo articolato, schematizzato nelle prime quattro figure di questa illustrazione. Nel brevetto si dimostra come la sterzatura ottenuta con questo meccanismo sia corretta in modo rigoroso. Nella Benz e nella Panhard & Levassor era applicato il sistema Jeantaud, corretto solo in modo approssimato, mentre nella Daimler era ancora presente uno sterzo a ralla, con gli inconvenienti conseguenti.

IL MOTOREIl motore monocilindrico a quattro tempi era accre-ditato di circa 2,5 CV a 785 giri/min. Per confronto, la Benz era dotata di un motore monocilindrico da 3 CV, la Daimler di un motore bicilindrico da 8 CV e la Panhard & Levassor di un motore bicilindrico di progettazione Daimler d 3,5 CV; pur non conoscendo i valori, le tre concorrenti dovevano essere più pesanti della Bernardi, raggiungendo velocità massime equivalenti.La testa era di tipo smontabile, mentre nei motori con-correnti era integrale col basamento; le valvole erano poste sulla testa, entrambe comandate da punterie, tra-mite bilancieri, mentre nei motori concorrenti erano in posizione laterale e, in tutti, la valvola di aspirazione era comandata dalla depressione nel cilindro, con evidente effetto negativo sul rendimento. Si dovette attendere circa dieci anni, perché si diffondessero le valvole d’a-spirazione comandate, e circa venti, per la disposizione a valvole in testa. Un problema molto sofferto nelle auto-mobili di quegli anni era quello dell’accensione. Sebbene il sistema più razionale, già presente nei primi motori a

scoppio di carattere sperimentale, fosse il sistema elettrico a scintilla, esso era considerato con diffidenza a causa della sua scarsa affidabilità e del costo indotto dall’uso di pile non ricaricabili di breve durata, le uniche allora esistenti. La Benz aveva scelto, tuttavia, questa strada, accettando le sgradite conseguenze. Un’alternativa era costituita dall’accensione a punto caldo, costituita da un perno metallico affacciato nella camera di combustione, che era reso incandescente, a motore fred-do, da una lampada che riscaldava la sua parte esterna e, a motore caldo, dal calore generato dal-

Il prof. Bernardi, la moglie e il figlio Lauro ritratti con la bicicletta a motore del 1893.

Il triciclo Bernardi del Museo Enrico Bernardi dell’Università di Padova.

La Benz Viktoria del 1894.

Il triciclo Bernardi del Museo Nazionale dell’Automobile di Torino. Il triciclo Bernardi del Museo Bonfanti Vimar di Romano di Ezzelino.

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la combustione. La combustione della mi-scela iniziava conseguen-temente per autoaccensione, quando la temperatura aveva raggiunto il valore appropriato, per effetto della compressione. Con questo sistema, scelto da Daimler, per la sua superiore affidabilità, e adottato anche da Panhard & Levassor, in quanto licenziatario del motore, era tuttavia impossibile regolare l’anticipo su valori appropriati alle condizioni di marcia.Anche Bernardi preferì un sistema non elettrico, sviluppandone però uno che non presentasse questo inconveniente, che chiamò accenditore.L’accenditore era costituito da una piccola cavità, fissata sulla testa del cilindro, chiusa da un tappo filettato, isolata dalla camera di combustione mediante una semplice valvola automatica a sportello; essa doveva impedire che la cavità dell’accenditore potesse essere inquinata dai prodotti della combustione.

La Daimler Riemenwagen del 1894.

Tavola esplicativa del brevetto del 1897, riguardante il cinematismo di comando dello sterzo.

Particolare del cambio, della frizione a corda (a sinistra) e del freno (a destra).

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La stessa cavità era posta in comunicazione con un condotto proveniente dal carburatore, che la alimentava con una miscela ricca. Al suo interno, era posta una rete di platino, con la nota proprietà di diventare incande-scente in modo spontaneo alla presenza di vapori di benzina.Durante la fase d’aspirazione, la depressione all’interno del cilindro at-tivava il passaggio della miscela che, a causa della rete di platino, si in-fiammava all’istante; in conseguenza, una fiamma a getto entrava nella camera, attraverso un foro posto sul suo tappo di chiusura, mostrato dal dettaglio in alto a destra. Questi gas combusti provocavano la rapida com-bustione della miscela introdotta nel cilindro attraverso la valvola di aspi-razione. A causa dell’estensione della fiamma uscente dall’accenditore, la combustione era quasi istantanea in confronto al tempo di spostamento del pistone; era quindi superfluo adattare l’anticipo di accensione, per la brevissima durata della combustione. Un secondo punto dolente dei mo-tori a scoppio dell’epoca risiedeva nel carburatore; i sistemi in uso erano numerosi. La Benz e la Panhard & Levassor impiegavano un carburatore

a superficie, in cui l’aria si carburava, percorrendo un cammino sufficien-temente lungo e tortuoso sulla superficie della benzina nel serbatoio. La Daimler aveva invece introdotto da poco un carburatore più semplice, in cui la benzina era fatta vaporizzare dall’impatto di un getto con un osta-colo lambito dall’aria aspirata. Nessuno di questi sistemi garantiva però la formazione di una miscela di tenore costante nelle varie condizioni di funzionamento; era necessario intervenire a mano su alcuni rubinetti per correggere, in base al rumore e all’odore dei fumi di scarico, le quantità d’aria e benzina in gioco. Esso è particolarmente evoluto, presentando al suo interno un tubo di Venturi che, come noto, è in grado di creare una miscela di tenore quasi costante nelle varie condizioni di funzionamento. Una vite di regolazione a spillo conico serviva esclusivamente per variare il rapporto di miscela a freddo o per compensare l’effetto di variazioni di temperatura o di quota. Nel condotto di aspirazione, era presente una reticella per impedire il ritorno di fiamma ed un lamierino elicoidale per attivare la turbolenza della miscela ed accelerare la combustione. Come può rilevarsi dalla stessa sezione, non era presente la valvola a farfalla di regolazione della portata. Il motore funzionava, pertanto, sempre al suo valore di coppia massima, come, peraltro nei motori concorrenti. Il regi-me di rotazione del motore era controllato da un regolatore centrifugo, tale regolatore, al raggiungimento dello spostamento massimo delle sue masse centrifughe (una delle quali è visibile in figura, nella posizione di minimo), imprimeva uno spostamento assiale alla camma, in modo da non aprire le valvole, interrompendo così la combustione. Il motore riprendeva a funzionare quando aveva rallentato, insieme al veicolo, tanto da riatti-

vare il regolatore. Questo sistema di regolazione discontinuo permetteva di eliminare le perdite di pompaggio, a costo di qualche implicazione ne-gativa sul comfort di guida. Alcune delle canalizzazioni dell’olio, provvedono alla lubrificazione degli accoppiamenti del motore. Tutte provenivano da un unico serbatoio di olio, che travasava nei canali una quantità d’olio determinata in sede di progetto in funzione della rotazione del motore. Nei motori della concor-renza non esisteva alcun automatismo e l’olio raggiungeva per caduta i punti di utilizzo solo se si aveva l’accortezza di aprire i rubinetti di lubrifi-cazione, che dovevano essere poi richiusi all’arresto del motore.

TRASMISSIONE E COMANDIAnche il cambio era argomento di dibattito fra i tecnici dell’automobile; si contrapponevano due scuole: quella del cambio a ingranaggi a treni scorrevoli e quella del cambio a cinghie, molto ingombrante ma prediletto dai costruttori tedeschi. Essi ritenevano che l’uso combinato di frizione e

acceleratore e la maestria, indispensabile per manovrare il cambio sen-za sonore grattate, avrebbero dissuaso molti potenziali clienti dall’uso dell’automobile.Bernardi optò saggiamente per la soluzione a ingranaggi, attrezzando la sua automobile di tre marce avanti e di una retromarcia, forse la prima applicata a un’automobile; il cambio, con ruote dentate in bronzo. L’albe-ro d’ingresso del cambio è comandato da una frizione a corda, visibile in secondo piano, sul lato destro della stessa figura; per essa vale quanto è stato detto per il freno. La trasmissione è completata dalla catena per il comando della ruota motrice. La manovra degli inconsueti comandi della vettura, si presenta più sem-plice di quanto si possa pensare. I comandi sono cinque:• lo sterzo,• i pedali del freno a ceppo,• la leva del cambio di velocità, incernierata sul piantone,• la leva combinata, posta sul fianco destro del sedile,• la leva di sblocco della retromarcia, a fianco del piantone.

Il volante ha un uso simile a quello a noi noto; data la sua posizione, è con-trollato abitualmente con la mano sinistra del guidatore, seduto sul lato destro, mentre la mano destra è utilizzata per l’azionamento della leva combinata. I due pedali comandano il freno a ceppi, usato per le frenate di emergenza e per lo stazionamento del veicolo; il pedale di comando si blocca nella posizione raggiunta, automaticamente per mezzo di un not-tolino, ed è sbloccato premendo il secondo pedale.

La Panhard & Levassor P2D del 1894.

Testa del motore: in alto, il carburatore, a destra il tappo della camera dell’accenditore; sotto il carburatore,

le due valvole con comando a bilanciere.

A sinistra, rombo articolato per il

comando dello sterzo.A destra, schema

dell’accenditore e fotografia dell’ugello

(in alto); schema del carburatore a

getto e del condotto di aspirazione (in basso).

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La leva del cambio di velocità, da muoversi con la mano sinistra, innesta le va-rie marce in modo sequenziale, ruotandola su di un piano orizzontale; se, nella posizione di folle, si tiene spostata, con la gamba destra, la leva di sblocco a ritorno automatico, s’inserisce la retromarcia per tutto il tempo in cui si man-tiene il contatto. La leva combinata deve essere spostata avanti e indietro; essa comanda contemporaneamente il regolatore di velocità del motore, la frizione ed il freno a corda. Nella posizione di riposo la leva è circa verticale: la frizione è libera e il regola-tore di velocità è posto al minimo. Spostando la leva all’indietro, partendo dalla posizione di riposo, si chiude inizialmente la frizione; continuando tale sposta-mento, si agisce sulla velocità concessa dal regolatore, che aumenterà dal mi-nimo, a circa 150 giri/min, fino al valore desiderato. In terza marcia è possibile raggiungere circa 35 km/h alla massima velocità di rotazione del motore.Se, viceversa, dalla posizione di riposo si spinge la leva in avanti, si comanda il freno a corda, dopo aver disinnestato la frizione. Questo tipo di comando combi-nato era particolarmente apprezzato, perché impediva l’accidentale arresto del motore all’arrestarsi del veicolo.Quasi immediatamente il triciclo fu affiancato da una più comoda automobile a quattro ruote. Ne furono prodotte quaranta, di cui, purtroppo, non esistono esemplari superstiti.La vettura a quattro ruote fu realizzata in diverse versioni, su una base a due posti più due; il motopropulsore fu ripreso dal triciclo, come pure il comando combinato e il cinematismo di sterzo. A differenza del triciclo furono introdotti, ovviamente, il differenziale e un sistema di sospensioni a balestre semiellittiche, di cui due posteriori longitudinali e una sola anteriore, posta trasversalmente. Anche telaio e ruote erano di tipo ciclistico, come nel triciclo.

NOTE BIOGRAFICHE Enrico Bernardi fu uno studioso eclettico dotato di ambizioni e capacità imprenditoriali; affrontò tutti i problemi tecnici connessi allo sviluppo dell’automobile, risolvendoli con soluzioni originali. Probabilmente a cau-sa del mercato locale, non ancora pronto a ricevere il nuovo prodotto, non fu ripagato dal successo che altri poterono cogliere in nazioni più ricche ed evolute. Nacque a Verona nel 1841. Già durante l’adolescenza dimostrò interesse per la progettazione dei veicoli, costruendo un carrello per lo studio della traiettoria ottimale delle ruote di un veicolo in curva. Nel 1856, a soli quin-dici anni, presentò all’Esposizione Veronese d’Agricoltura, Industria e Belle Arti, un modello di locomotiva e uno di motore, entrambi a vapore, che presentavano novità interessanti nei meccanismi di distribuzione e inver-sione del moto; i suoi elaborati furono premiati con una menzione d’onore. Si laureò in matematica, a Padova, nel 1863. Negli anni successivi iniziò la carriera dell’insegnamento, ricevendo nel 1870 l’incarico di professore di Fisica e Meccanica, presso l’Istituto Tecnico di Vicenza; qui svolse un interessante studio sull’eclisse solare, che gli permise di ottenere l’invito ad associarsi all’Istituto Veneto di Scienze, Lettere e Arti. In questi anni iniziò i suoi studi sui motori a combustione interna, che ge-nerarono un trattato sul modo di utilizzare il calore per produrre lavoro meccanico e il progetto di un nuovo motore a gas, funzionante secondo il sistema ideato anni prima da Barsanti e Matteucci. Nel 1876, lasciò l’in-segnamento per occuparsi della direzione delle officine Mori, operanti a Vicenza nel campo del macchinario, con reparti di lavorazione meccani-ca e fonderia. Realizzò un motore atmosferico a gas, già con meccanismo a biella e manovella, invece che ad arpionismo come allora usuale. Nel 1879, vinse il concorso per la cattedra di Macchine idrauliche, termiche

e agricole presso l’Università di Padova. Il tema dominante delle sue ricerche in quegli anni fu lo sviluppo di un motore leggero, veloce ed economico, utile a rendere più produttive le attività delle piccole industrie. Gli studi e le ricerche successivi si concentrarono su un motore a benzina espressamente pensato per la locomozione, brevettato nel 1889. Ap-plicò questo motore a una bicicletta, il veicolo allora più diffuso. Già nel 1893, si vide circolare a Padova la sua bicicletta sospinta da un rimorchio motorizzato.La prima automobile fu costruita dalla Società Motori Bernardi nel 1894; que-sta impresa confluì, con nuovi capitali, nella Società Miari e Giusti di Padova, con lo scopo di fabbricare motori e au-tomobili; essa fu trasformata in seguito in Accomandita Miari e Giusti e, quindi, in Società Italiana Bernardi. Neppure l’ultima di queste imprese industriali poté generare l’utile atteso e fu posta in liquidazione nel giugno del 1901. Enrico Bernardi ebbe occasione d’incontrare Giovanni Agnelli a Verona nel 1892; da questo contatto, nacque, anni dopo, un rapporto di consulenza per la Fiat; non si ha documentazione del suo contribu-to, ma si può presumere che esso influì sullo sviluppo tecnico delle prime auto-mobili Fiat. Per meglio svolgere questa consulenza, Bernardi si stabilì a Torino, dove morì nel 1917. A Padova, nell’Isti-tuto di Macchine da lui fondato, è stato costituito il Museo Enrico Bernardi, che custodisce cimeli, fotografie, scritti pub-blicati e inediti. Presso questa istituzione sono esposti molti esemplari di motori Bernardi e una vettura; tutti sono ancora in grado di funzionare.

Fotografia della vettura Bernardi a quattro ruote.

Particolare del regolatore centrifugo della velocità e della lubrificazione.

Particolare dei rotismi del cambio a tre marce, con retromarcia.