Claudia Bianchi - LOGICA E LINGUAGGIO NATURALE - UNA PROSPETTIVA PRAGMATICA

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1 Claudia Bianchi Facoltà di Filosofia Università Vita-Salute San Raffaele, Milano LOGICA E LINGUAGGIO NATURALE: UNA PROSPETTIVA PRAGMATICA 1. Congiunzione, disgiunzione, implicazione: alcuni esempi Questo contributo è dedicato a uno degli apporti più interessanti delle teorie pragmatiche allo studio del ragionamento e al suo legame cruciale con la logica 1 : la riflessione sull'interpretazione di particelle come "e", "o", "tutti", e così via, che sono la "traduzione" nelle lingue naturali di connettivi e operatori della logica. Il significato dei connettivi e degli operatori logici (come la congiunzione , la disgiunzione , l'implicazione →, il quantificatore universale , e il quantificatore esistenziale ) è infatti in una relazione a volte problematica con il significato delle loro controparti nel linguaggio naturale, "e", "o", "se… allora", "ogni", "qualche". Vediamo qualche esempio. In semantica è comune sostenere che il significato convenzionale della congiunzione "e" corrisponde a quello della costante logica - ed è pertanto esaurito dalle tavole di verità per questo simbolo logico. L’enunciato complesso (1) p e q, avrebbe dunque lo stesso significato (le stesse condizioni di verità) di (2) p q: (1) e (2) sono veri nelle stesse circostanze – e cioè quando p e q sono entrambi veri - e falsi in ogni altra circostanza. Questo comporta, fra l'altro, che (1) e (2) siano equivalenti ai loro enunciati simmetrici: (1) è equivalente a (3) q e p e (2) è equivalente a (4) q p. (1) e (3), e (2) e (4), rispettivamente, sarebbero infatti veri nelle stesse circostanze - avrebbero le stesse condizioni di verità (sono veri quando p e q sono entrambi veri): in logica la congiunzione è commutativa. Si esamini ora un esempio dello schema (1), l'enunciato "naturale" (5) Cesare ha corrotto un giudice ed è stato arrestato. Secondo l'analisi che abbiamo appena proposto, l'enunciato complesso (5) è vero se e solo se sono veri entrambi gli enunciati che lo compongono, e cioè gli enunciati (6) Cesare ha corrotto un giudice e (7) Cesare è stato arrestato. 1 Per un testo introduttivo sulla relazione fra logica e ragionamento, si veda Frixione 2007; per un'introduzione alla pragmatica, si veda Levinson 1983 e Bianchi 2003.

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Claudia Bianchi Facoltà di Filosofia Università Vita-Salute San Raffaele, Milano

LOGICA E LINGUAGGIO NATURALE: UNA PROSPETTIVA PRAGMATICA 1. Congiunzione, disgiunzione, implicazione: alcuni esempi Questo contributo è dedicato a uno degli apporti più interessanti delle teorie pragmatiche allo studio del ragionamento e al suo legame cruciale con la logica1: la riflessione sull'interpretazione di particelle come "e", "o", "tutti", e così via, che sono la "traduzione" nelle lingue naturali di connettivi e operatori della logica. Il significato dei connettivi e degli operatori logici (come la congiunzione ∧, la disgiunzione ∨, l'implicazione →, il quantificatore universale ∀, e il quantificatore esistenziale ∃) è infatti in una relazione a volte problematica con il significato delle loro controparti nel linguaggio naturale, "e", "o", "se… allora", "ogni", "qualche". Vediamo qualche esempio.

In semantica è comune sostenere che il significato convenzionale della congiunzione "e" corrisponde a quello della costante logica ∧ - ed è pertanto esaurito dalle tavole di verità per questo simbolo logico. L’enunciato complesso

(1) p e q, avrebbe dunque lo stesso significato (le stesse condizioni di verità) di

(2) p ∧ q: (1) e (2) sono veri nelle stesse circostanze – e cioè quando p e q sono entrambi veri - e falsi in ogni altra circostanza. Questo comporta, fra l'altro, che (1) e (2) siano equivalenti ai loro enunciati simmetrici: (1) è equivalente a

(3) q e p e (2) è equivalente a

(4) q ∧ p. (1) e (3), e (2) e (4), rispettivamente, sarebbero infatti veri nelle stesse circostanze - avrebbero le stesse condizioni di verità (sono veri quando p e q sono entrambi veri): in logica la congiunzione è commutativa.

Si esamini ora un esempio dello schema (1), l'enunciato "naturale" (5) Cesare ha corrotto un giudice ed è stato arrestato.

Secondo l'analisi che abbiamo appena proposto, l'enunciato complesso (5) è vero se e solo se sono veri entrambi gli enunciati che lo compongono, e cioè gli enunciati

(6) Cesare ha corrotto un giudice e

(7) Cesare è stato arrestato.

1 Per un testo introduttivo sulla relazione fra logica e ragionamento, si veda Frixione 2007; per un'introduzione alla pragmatica, si veda Levinson 1983 e Bianchi 2003.

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Si confronti però (5) (della forma "p e q") con il suo enunciato simmetrico (della forma "q e p"):

(8) Cesare è stato arrestato e ha corrotto un giudice. È immediato notare che la congiunzione "e", a differenza della corrispondente costante logica ∧, sembra in (5) e (8) suggerire qualcosa in più rispetto a (2) e (4), e cioè l’ordine temporale dei due eventi che sono messi in correlazione. L'interpretazione naturale di (5) è infatti che Cesare ha prima corrotto un giudice e poi è stato arrestato, mentre quella di (8) è che Cesare è stato prima arrestato e poi ha corrotto un giudice. L'ascoltatore sembra inoltre legittimato a derivare l'esistenza di un legame causale fra p e q: in (5) l'ascoltatore è autorizzato a supporre che Cesare ha corrotto un giudice e di conseguenza è stato arrestato; in (8) che Cesare è stato arrestato e di conseguenza ha corrotto un giudice.

Si possono fare esempi simili per altri connettivi logici e per le loro controparti nei linguaggi naturali. Si consideri una disgiunzione, come

(9) p ∨ q. Il significato della disgiunzione in logica è fornito dalle tavole di verità: (9) è falso se sia p sia q sono falsi, e vero in ogni altro caso. Si esamini ora l'enunciato

(10) Marcello è a Salerno o è a Genova. Rispetto a (9), (10) sembra avere un significato addizionale: mentre (9) non dice nulla dello stato epistemico del parlante, chi afferma (10) viene generalmente interpretato come se non sapesse quale fra i due disgiunti p o q è vero. Oppure si analizzi il condizionale

(11) p → q: dal punto di vista logico un condizionale materiale è falso solo quando l'antecedente è vero e il conseguente falso, e vero in ogni altro caso. Si esamini allora l'enunciato

(12) Se Parigi è la capitale della Francia allora 2+2=4: si tratta di un condizionale vero, dal momento che il conseguente q ("2+2=4") è vero. E tuttavia (12) sarebbe considerato anomalo se venisse proferito in una conversazione: sembra infatti far parte del significato del "se... allora" ordinario non solo il fatto che l'antecedente abbia qualcosa a che fare con il conseguente, ma anche che accettare l'antecedente costituisca una buona ragione per accettare il conseguente.

Questo genere di esempi ha condotto molti filosofi del linguaggio ordinario (John Austin e Peter Strawson, in particolare) a negare che la semantica delle espressioni del linguaggio naturale possa essere espressa dalla logica, e ad affermare che i dispositivi formali e le loro controparti nel linguaggio naturale hanno significati diversi (cfr. Austin 1961 e Strawson 1952). Secondo Strawson, nell'esempio (5) la successione temporale fra i due eventi è parte del significato di "e", mentre non fa invece parte del significato dalla sua controparte logica (2); analogamente farebbe parte del significato di (10) che chi parla non sa se Marcello è a Salerno e non sa se Marcello è a Genova; e infine sarebbe parte del significato del "se... allora" ordinario il fatto che antecedente e conseguente sono pertinenti l'uno all'altro, e che l'accettazione dell'antecedente costituisce una buona ragione per l'accettazione del conseguente. Per Strawson, la semantica di "e", "o", "se... allora" è determinata dalla pratica linguistica, dall'uso – in accordo con l'insegnamento del padre di tutti i filosofi del linguaggio ordinario, Ludwig Wittgenstein (Wittgenstein 1953).

Anche il filosofo e linguista britannico Paul Grice (1913-1988) è un filosofo del linguaggio ordinario, che però prende su questo punto una posizione dissonante. Per Grice,

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infatti, bisogna distinguere ciò che fa parte del significato esplicito delle particelle logiche e ciò che viene solo lasciato intendere implicitamente dall'uso di quelle particelle, senza far parte del loro significato. È cioè necessario distinguere elementi dell'uso del linguaggio dovuti al significato ed elementi dovuti a fattori generali dell'interazione comunicativa. Certo non si può negare che sarebbero inappropriati – quando non francamente bizzarri - enunciati come (5), proferito in un contesto in cui Cesare fosse stato prima arrestato e solo poi avesse corrotto un giudice, o come (10), proferito da qualcuno che sapesse che Marcello è a Salerno, o ancora come (12): non bisogna però confondere enunciati inappropriati perché falsi (un fenomeno semantico) ed enunciati inappropriati per ragioni riconducibili invece a principi generali del discorso o del comportamento razionale. Pur nel contesto descritto, (5) non può essere considerato falso, mal formato, o privo di valore di verità: (5) deve essere giudicato vero ma fuorviante – vero malgrado "possa essere estremamente fuorviante e... la sua verità possa essere noiosissima mentre può essere molto importante il suo essere fuorviante".2

Grice ritiene allora che si possa identificare il significato delle particelle logiche e delle loro controparti "naturali", rendendo conto dei caratteri particolari del linguaggio naturale a livello puramente pragmatico. Se si assume questa prospettiva, la supposizione di una sequenza temporale fra i due eventi di (5) non fa parte del livello semantico, del suo significato letterale, ma è solo veicolata o comunicata implicitamente da (5); la supposizione deriva dall'aspettativa che, nelle loro conversazioni, i parlanti raccontino generalmente i fatti in modo ordinato, nella sequenza in cui si sono verificati. Una aspettativa, e non una convenzione semantica: essa infatti può essere abbandonata (cancellata) in qualunque momento senza che chi parla incorra in una contraddizione, come in

(13) Cesare ha corrotto un giudice ed è stato arrestato, ma non so in che ordine si sono prodotti i due eventi.

2. Implicature La tesi di Grice si fonda su una distinzione carica di conseguenze filosofiche: la distinzione fra conseguenza logica e implicatura – fra ciò che fa parte del significato delle particelle logiche (significato semantico) e ciò che viene lasciato intendere implicitamente dall'uso di quelle particelle senza far parte del loro significato letterale (significato pragmatico). In determinati contesti, usando un enunciato con un certo significato ("p e q") è possibile comunicare dei contenuti addizionali ("p e poi q") – senza che questi siano parte del significato convenzionale dell'enunciato usato: tali contenuti addizionali prendono appunto il nome di implicature.

In generale, le implicature conversazionali sono le proposizioni comunicate usando un enunciato in circostanze particolari, caratterizzate da un insieme di conoscenze condivise dagli interlocutori. Supponiamo che Claudia chieda a Marcello: "Vuoi una fetta di torta?" e che Marcello risponda:

(14) Sono a dieta. Apparentemente Marcello non sta rispondendo alla domanda di Claudia, ma nel particolare contesto descritto è naturale supporre che le stia comunicando di non volere una fetta di

2 Grice 1961, 1993, pp. 237-238.

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torta. Che cosa ci permette di inferire da (14) la proposizione NON VOGLIO UNA FETTA DI

TORTA? La tesi sottostante all'idea di implicatura è che anche i nostri scambi comunicativi più informali sono retti da complessi sistemi di aspettative attivati da ogni essere razionale nell'interazione con i propri simili: per agire con qualcuno è necessario coordinarsi, sforzarsi di agire in conformità a ciò che l'altro si aspetta ragionevolmente da noi. La comunicazione viene intesa allora come un’impresa razionale di cooperazione, governata da un principio di cooperazione: "il tuo contributo alla conversazione sia tale quale è richiesto, allo stadio in cui avviene, dallo scopo o orientamento accettato dallo scambio linguistico in cui sei impegnato".3

Il principio di cooperazione si esplicita nelle massime conversazionali, che rispecchiano le aspettative che un soggetto può ragionevolmente intrattenere sulle mosse comunicative del suo interlocutore. Le massime sono raccolte in quattro gruppi. � Massime di quantità: 1. Dà un contributo tanto informativo quanto richiesto; 2. Non dare un contributo più informativo di quanto richiesto.

� Massime di qualità ("Tenta di dare un contributo che sia vero"): 1. Non affermare ciò che credi essere falso; 2. Non affermare ciò per cui non hai prove adeguate.

� Massima di relazione: Sii pertinente. � Massime di modo ("Sii perspicuo"): 1. Evita di esprimerti con oscurità; 2. Evita di essere ambiguo; 3. Sii breve; 4. Sii ordinato nell'esposizione.

3. Implicature generalizzate

All'interno della famiglia delle implicature conversazionali, Grice distingue fra implicature particolarizzate e generalizzate. La distinzione dipende dalla generalità delle circostanze che permettono a un parlante di comunicare contenuti addizionali senza dirli esplicitamente. A differenza di quello che succede per (14) – che richiede conoscenze condivise fra i due interlocutori (come "quando si è a dieta si evitano i cibi calorici"; "le torte sono cibi calorici"; "chi è a dieta evita di mangiare torte"; e così via) – è possibile comunicare certe implicature in maniera sostanzialmente indipendente dai dettagli del particolare contesto conversazionale: quelle così caratterizzate prendono il nome di implicature generalizzate. Esse costituiscono, a parere di Grice, il fenomeno più interessante dal punto di vista filosofico, in quanto permettono appunto di spiegare le differenze di significato fra costanti logiche e loro controparti nel linguaggio naturale.

Come detto nel § 2, è convinzione dei filosofi del linguaggio ordinario come Strawson che in un enunciato come (5) la successione temporale fra i due eventi faccia parte del significato di "e"; allo stesso modo farebbe parte del significato di (10) che chi parla non sa in quale delle due città è Marcello; e ancora farebbe parte del significato di

3 Grice 1975, 2003, p. 229.

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(15) Se Anna va alla festa, Marcello resterà a casa non solo che c'è un legame di contenuto fra antecedente e conseguente, ma anche che accettare l'antecedente costituisce una buona ragione per accettare il conseguente. Abbiamo visto che per Grice è invece cruciale tenere distinto ciò che fa parte del significato delle particelle logiche dai significati che vengono lasciati intendere dall'uso di quelle particelle "normalmente", in maniera cioè indipendentemente dal contesto particolare in cui le particelle vengono usate. Nell'analisi di Grice, dunque, la successione temporale fra i due eventi in (5) CESARE HA CORROTTO UN GIUDICE [PRIMA] E [POI] È STATO ARRESTATO è un'implicatura generalizzata: l'implicatura viene generata dall'aspettativa che il parlante rispetti la quarta massima di Modo, e sia cioè ordinato nell'esposizione. Se il parlante avesse saputo che Cesare era stato prima arrestato e solo poi aveva corrotto un giudice, lo avrebbe detto; è inoltre l'aspettativa che il parlante rispetti la massima di Relazione che permette di generare l'implicatura di relazione causale fra i due eventi: CESARE HA CORROTTO UN GIUDICE E [COME

CONSEGUENZA] CESARE È STATO ARRESTATO. Analogamente in (10) CHI PARLA NON SA SE MARCELLO È A SALERNO e CHI PARLA NON SA SE MARCELLO È A GENOVA sono implicature generalizzate generate dall'aspettativa che il parlante rispetti la prima massima di Quantità: se il parlante avesse saputo in quale città si trova Marcello, lo avrebbe detto. Nell'enunciato

(16) O piove o Claudia è andata a Genova, è ancora l'aspettativa del rispetto della massima di Quantità che permette di derivare come implicatura la lettura esclusiva della disgiunzione (NON SI DÀ IL CASO CHE PIOVE E CLAUDIA È ANDATA A GENOVA); inoltre, l'aspettativa del rispetto della massima di Relazione permette all'ascoltatore di inferire che entrambi i disgiunti sono pertinenti in quel contesto, e che quindi se Claudia non è andata a Genova è perché piove. Analogamente, in (15) l'inferenza di una relazione fra la partecipazione alla festa da parte di Anna e il restare a casa di Marcello è frutto della supposizione che il parlante sia pertinente; è sempre l'aspettativa di pertinenza che fa giudicare anomalo il proferimento di (11).

Fra le implicature generalizzate è possibile circoscrivere ulteriormente un gruppo di inferenze di particolare interesse: le implicature scalari – quelle implicature derivate dall'aspettativa del rispetto da parte del parlante della prima massima di Quantità. In questo caso gli esempi rilevanti coinvolgono i quantificatori. Proferendo l'enunciato

(17) Alcuni filosofi sono divertenti chi parla veicola implicitamente la proposizione

(18) Non tutti i filosofi sono divertenti: chi ascolta può riconoscere l'implicatura fondandosi sull'aspettativa che il parlante sia tanto informativo quanto richiesto. Infatti, se chi parla pensasse che

(19) Tutti i filosofi sono divertenti avrebbe dovuto dirlo: dal momento che il parlante ha usato (17) - un enunciato meno informativo – l'ascoltatore deve supporre che l'enunciato più informativo (19) non potesse essere usato. Eppure si noti che la verità di (17) è del tutto compatibile con la verità di (19). Chi parla può infatti affermare senza contraddirsi

(20) Alcuni filosofi sono divertenti, anzi tutti lo sono: è possibile cioè cancellare l'implicatura, bloccare la sua derivazione da parte dell'ascoltatore. Inoltre la verità di (19) implica la verità di (17) (ma naturalmente non viceversa): se tutti i filosofi sono divertenti, allora a fortiori alcuni lo saranno – "alcuni" è semanticamente

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compatibile con "tutti". La negazione di (19) non fa dunque parte del significato di (17) ma è solo una proposizione comunicata implicitamente: un'implicatura generalizzata scalare.

Queste implicature vengono chiamate scalari in quanto le espressioni "tutti, la maggior parte, molti, alcuni, pochi" sono poste su una sorta di scala lessicale: un insieme di alternative della stessa categoria grammaticale ordinate per informatività o forza semantica (Levinson 1983, 1985 p. 142). Le osservazioni su "tutti" e "alcuni" valgono per altri esempi, che corrispondono ad altrettante scale lessicali. Chi proferisce

(21) Marcello fuma spesso la pipa quando lavora lascia intendere che Marcello non fuma sempre la pipa quando lavora. La scala linguistica di valori lessicali è "sempre, spesso, a volte": l'affermazione del valore meno informativo ("spesso") genera l'implicatura della negazione del valore più informativo ("sempre"). Chi proferisce

(22) Marcello è un filosofo o un poeta lascia intendere che Marcello non è entrambe le cose (un filosofo e un poeta). Anche la congiunzione "e" e la disgiunzione "o" sono poste su una scala lessicale: il parlante ha usato "o" laddove poteva usare l'espressione più informativa "e"; deve quindi volere che l'ascoltatore inferisca che "e" non è appropriato. 4. Conclusione Questo contributo era dedicato all'analisi delle relazioni fra il significato dei connettivi logici e quello delle loro controparti nel linguaggio naturale. Abbiamo visto che, a differenza di molti filosofi del linguaggio ordinario, Grice ritiene possibile applicare ai linguaggi naturali gli strumenti della semantica formale, identificando il significato degli operatori logici e delle loro traduzioni nel linguaggio naturale. È così possibile fornire una soluzione elegante e di grande generalità: mantenere una semantica minimale e rendere conto dei caratteri particolari del linguaggio naturale a livello puramente pragmatico, appellandosi ai principi generali che governano le interazioni comunicative e, più in generale, tutte le interazioni collaborative. Bibliografia

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