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LA NUOVAFIGURAZIONEDAGLI ANNICINQUANTAAGLI ANNISETTANTANELLE COLLEZIONIBRESCIANE

135edizioni aab

aab - vicolo delle stelle 4 - brescia16 settembre - 25 ottobre 2006orario feriale e festivo 15.30 - 19.30lunedì chiuso

COMUNE DI BRESCIAPROVINCIA DI BRESCIAASSOCIAZIONE ARTISTI BRESCIANI

mostra a cura di Pia Ferrari e Sonia Paini

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PREMESSAPia Ferrari

La Nuova Figurazione italiana del dopoguerra, data la vastità del campo ela non omogeneità, risulta più una Weltanschauung che non un movimentoo un insieme di tendenze ed ambiti.Sulle questioni della figura, del racconto e della mimesi si svolse nella se-conda metà del Novecento un dibattito dai toni accesi ed a volte laceran-ti. Il tema iconico rappresentò il terreno di confronto fra due anime deldibattito artistico spesso sbrigativamente indicate come tradizione ed in-novazione, ma dalla metà degli anni Cinquanta la polemica tra astrazionee figura tendenzialmente si esaurì con la scoperta della possibilità d’esi-stenza di un’immagine sperimentale. La pittura non informale si mostrònelle più diverse possibilità di declinazione, in modo trasversale e nuovo.Nei primi anni Sessanta la polemica tra realismo ed astrattismo lasciò ilposto ai temi del rapporto tra arte, cultura e sistema urbano in tutti i suoiaspetti, dalle nuove realtà tecnologiche e di massa all’impatto con lo svi-luppo economico diffuso.Mostre tematiche e gallerie di tendenza si assunsero il compito di rappre-sentare e rapportarsi con l’attualità. La possibilità di una nuova figurazio-ne che superasse il realismo si espresse in modo critico, con impegno eti-co, civile ed estetico.Con uno sguardo a Bacon ed a Giacometti gli artisti italiani rappresenta-rono l’uomo metropolitano con gli accenti dell’intimismo o della desola-zione, con suggestioni visionarie o con attenzione ai miti della società dimassa, rappresentati con un sistema di visione che era già vicino a quellodello schermo.Nella mostra si è scelto di documentare nuclei di opere che testimoninodunque questi molteplici modi di reinterpretare il realismo e riscoprirel’oggetto in reazione o dialogando con la pittura informale.Accanto alle opere degli artisti del Realismo Esistenziale milanese, gene-ralmente identificato come uno degli elementi fondanti della Nuova Figu-razione, sono presenti anche i lavori di coloro, come Adami e Pozzati, chehanno dimostrato interesse nei confronti del recupero dell’elemento figu-rativo, intendendolo in termini nuovi e sperimentali, arrivando a tangenzecon la Pop Art e dimostrando parallelismi con le analoghe ricerche figura-tive britanniche. Altri autori qui presenti, al contrario, come Zigaina o Cas-sinari - e Carpi in questa sede proposto come maestro del gruppo dei rea-listi esistenziali milanesi e dunque come “principio” non tanto estetico

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quanto etico -, interpretano le premesse e l’anello di congiunzione da unaparte con le avanguardie, dall’altra col realismo del dopoguerra.La mostra ha anche lo scopo di documentare la ricchezza e la presenzaconsistente di opere della Nuova Figurazione nelle collezioni private bre-sciane e testimonia, insieme al versante parallelo del collezionismo di ope-re informali o non figurative, come gli anni Sessanta e Settanta siano statigli ultimi decenni che hanno visto un’espressione intensa del gusto del col-lezionismo nella nostra provincia.Alla fine degli anni Quaranta, quando a Brescia si erano costituite le duecollezioni Feroldi e Cavellini, di gusto prevalentemente novecentista la pri-ma e attenta all’astrattismo e all’informale la seconda, la querelle tra infor-male e figurazione era assai viva, mentre già a metà degli anni Cinquanta ilrealismo trovava aperture verso l’esistenzialismo. L’attenzione all’arte figu-rativa riguardava anche gallerie private, come la Galleria di Piazza Vecchia,diretta da Pio Gaudio, Minotauro e, negli anni Sessanta, Fant Cagnì e Sch-reiber.La collezione Gaudio1, donata ai Civici Musei ed ora collocata insieme al-le altre opere d’arte moderna e contemporanea, in attesa di una sedeespositiva permanente, nei depositi, testimonia in modo esauriente del gu-sto del suo autore e di alcuni aspetti ora un po’ dimenticati dell’arte ita-liana nei due decenni Cinquanta e Sessanta. Scorrendo l’inventario dei di-pinti moderni e contemporanei di proprietà dei Musei bresciani, la dona-zione Gaudio risulta essere anche uno dei nuclei più omogenei e forse ilsolo che documenta i vari aspetti dell’arte neo-figurativa e del RealismoEsistenziale. Negli anni Sessanta infatti l’unico acquisto comunale in questosenso fu la Testa grande di Giuseppe Guerreschi - qui esposta -, mentre trail 1962 e il 1968, pur con una certa limitatezza di mezzi, il Comune di Bre-scia riuscì a procurare per la propria Galleria d’arte moderna tele di AldoCarpi, litografie di Carrà, di Giò Pomodoro, di Mino Maccari e di LorenzoViani, un dipinto di Virgilio Guidi, 14 dipinti futuristi e 38 di Romolo Ro-mani, opere di Emilio Greco, Orfeo Tamburi, Antonietta Raphael Mafai, Ot-tone Rosai e Filippo De Pisis.Sul versante delle collezioni private le provenienze delle opere, anche diquelle qui esposte, sono spesso frutto del rapporto non mediato con gliartisti, o possono risalire alle gallerie locali Schreiber e Alberto Valerio e,principalmente, alle milanesi Bergamini, San Fedele e Pater.

1 Risultano dono Gaudio, oltre le opere in mostra, anche Uccello ferito di Valerio Adami e Lo sbadi-glio di Giansisto Gasparini.

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Le cronache artistiche del versante figurativo nella Milano tra gli anni Cin-quanta e Settanta sono indagate in rassegne storiche importanti1 ed in re-centi esposizioni2 che testimoniano l’interesse per quei decenni, quandol’arte si intrecciò molto con la politica e l’ideologia. Il ruolo del capoluogo lombardo fu fondamentale per la prima fase dellevicende della Nuova Figurazione: da qui partì la reazione al realismo mi-metico, a quello impegnato e di ricerca dell’immediato dopoguerra,espresso nel “Fronte nuovo delle arti”, ed a quello sociale. Gli artisti natinei primi anni Trenta sentirono il bisogno di relazione con le avanguardieeuropee ed insieme la necessità di far entrare nell’opera anche la sugge-stione, l’illusorio, l’emozione e l’esistenza.Questi segni di critica sul versante artistico si mescolarono a dubbi politicigenerati dalle vicende ungheresi, da alleanze tra marxismo e istanze cattoli-che e dalla lettura dei testi esistenzialisti. Molte sono le testimonianze degliartisti in questo senso. «Vogliamo esprimere la nostra presenza attiva noncome militanti di una ideologia, portando avanti la nostra qualità di uomini»,scrivono insieme Ceretti, Guerreschi e Romagnoni in una autopresentazio-ne del ’56; e Ferroni nello stesso anno: «mi ero sforzato di seguire i detta-mi del realismo sociale, ma avevo subito sentito di non esserne convinto, av-vertivo qualcosa di falso e velleitario […]. Il nostro era un incontro più diinsofferenze che di clima culturale. Insofferenze, anzitutto politiche, svinco-larci da ogni forma di prevaricazione ideologica, ritrovare una verità scro-stata da ogni dogma e batterci contro i conformismi imperanti».I critici-artefici della nascita del realismo esistenziale, all’inizio Marco Val-secchi e Giorgio Kaisserlian, concentrarono la loro attenzione su aspetticomuni al gruppo dei giovani artisti, come la manifestazione del disagiodell’esistere, l’illustrazione di situazioni metropolitane - le fabbriche e leperiferie degradate divennero sigle evidenti del movimento -, il mondopoetico imbevuto di film francesi, da Alba tragica a Porto delle nebbie, cheValsecchi chiamava dell’«uomo senza soluzioni».

DAL REALISMO ESISTENZIALEALLA NUOVA FIGURAZIONEPia Ferrari

1 G. Mascherpa, Sei pittori a Milano, Milano 1970; E. Crispolti ed altri autori, Possibilità di relazione,Roma 1960; G. Mascherpa, Dal realismo esistenziale al nuovo racconto, Milano 1981. Da questi cata-loghi sono tratte le citazioni dei testi degli artisti.

2 Da Arte in Italia 1954-1966, a cura di M. Goldin, Conegliano Veneto, Palazzo Sarcinelli, 1995, allarecente Realismo Esistenziale 1954-1964, a cura di A. Montrasio e F. Arensi, Gemonio, Museo civicoFloriano Bodini, 2005.

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Quando a Milano lavoravano giàdue importanti fratelli maggiori delgruppo dei giovani allievi di Carpi aBrera, Giansisto Gasparini e FrancoFrancese, gli artisti che tra il ’54 e il’55 formarono il nucleo originariodel Realismo Esistenziale furonoGiuseppe Guerreschi, Bepi Roma-gnoni, Mino Ceretti, Giuseppe Ban-chieri, Tino Vaglieri e Floriano Bodi-ni. Gianfranco Ferroni si unì a loronel 1956, anno nel quale in Italia sivide la prima mostra di Giacometti,mentre nel ’54 alla Biennale di Ve-nezia era apparso Bacon e biso-gnerà aspettare il ’58 per la primamostra di Pollock alla Galleria d’ar-te moderna di Roma. Le parole diRomagnoni e poi quelle di Vaglieriillustrano l’elemento di coesionepiù evidente per il gruppo: «Sento

la necessità di superare l’espressionismo e di guardare le cose e gli uo-mini con occhi puliti, liberi da schemi, senza fughe nell’astrattismo, macon la comprensione pura e semplice della realtà»; «Il crescente inte-resse verso una problematica più aperta mi conduceva a gradi ad acco-gliere nuovamente l’oggetto, ma da un punto di vista diverso: cioè di par-tecipazione al dramma dell’uomo».Nei primi anni Sessanta in Francia ed in Italia il termine Nuova Figura-zione divenne quasi comprensivo di ogni forma di arte che avesse unrapporto con l’oggetto, subentrando di fatto come categoria più gene-rale al Realismo Esistenziale e caratterizzandosi con aperture versol’informale. Con qualche dubbio di alcuni artisti come Romagnoni, che inun suo, molto pubblicato, intervento scrisse: «non è difficile constatare co-me tutti parlino della nuova figurazione in termini contradditori senza cheesista un’interpretazione prevalente: per alcuni basta che appaiano sui qua-dri alcuni elementi riconoscibili della comune esperienza visiva, per altriche questi elementi vengano classificati in un qualsiasi antropomorfismo,per terzi che questo antropomorfismo venga indirizzato verso ragioni omotivazioni sociali o magico-religiose, o emblematiche ecc., per quarti ri-fiutando ogni esperienza mimetica, è l’assunzione dei più avanzati proto-colli della visibilità, per quinti la cattura immediata del tempo “in fieri”, persesti l’invettiva iconoclasta, per settimi la pura e semplice restaurazione odi alcuni o di tutti i valori, per ottavi il ritorno alle origini dell’avanguardia,per noni la giustificazione di passate battaglie e l’occasione di nuove e per

Giuseppe Guerreschi, Senza titolo, pastello sucarta, 1957. Brescia, collezione Carlo Paini,Galleria Lo Spazio

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decimi una trovata mercantile […]. Per nuova figurazione c’è insomma ungrande armadio dove si può rintracciare ogni cosa».Era l’epoca in cui il filosofo Enzo Paci elaborava il tema del “relazionismo”,basato sull’idea della possibilità e dove la ricerca della verità ha un carat-tere intersoggettivo e basato sulla prassi. Gli interessi letterari degli artistisi volsero agli “scrittori dello sguardo” francesi, ed in particolare per Mi-chel Butor che in Repertoire insistette sulla necessità di liberarsi dei sog-getti e dei personaggi, di mescolare gesti, fatti, oggetti e sogni, di sostituirelo sguardo alla consistenza, di far subentrare il fatto alla cosa. La concate-nazione e la relazione, come nei film di Fellini ed Antonioni, sostituirono larealtà in pittura. “Relazione” divenne la parola chiave di quegli anni e Pos-sibilità di relazione è il nome programmatico di una delle mostre più rile-vanti di quel periodo, curata nel 1960 dai critici Crispolti, Sanesi e Tadini.In uno dei testi introduttivi Crispolti scrisse dell’informale come grandeatto di realismo in quanto eco dell’inquietudine e della precarietà, defi-nendo la sua eredità “responsabilità del reale” e vedendola condivisa daimilanesi Ceretti, Vaglieri e Romagnoni, ma anche da artisti come Vacchi oScanavino che cominciavano a fare, appunto, una pittura definita “di rela-zione”, intesa variamente come narrazione, predominanza del gesto sullacosa o della cosa sul personaggio, pittura per concatenazione d’eventi efatti molteplici, senza fissità, in uno spazio mutevole. Per gli artisti del gruppo esistenziale il modo di accostarsi alle problema-tiche del “Nuovo Racconto” assunse toni diversi, ma d’altra parte già daqualche anno la loro visione dell’arte sembrava comunque non omogeneae si evidenziava in alleanze, viaggi, ricerche ed esposizioni divise in sotto-gruppi e in avvicinamenti ad altre realtà.L’andare verso strade diverse può essere sintetizzato nella focalizzazionedi un gruppo formato da Vaglieri, Romagnoni e Ceretti, che scelsero l’a-spetto gestuale della pittura in una sorta di “realismo informale”: si pre-sentarono insieme nel ’59 alla Galleria Bergamini, dove nella comune pre-sentazione insistettero sull’«aspetto molteplice delle cose, sul quadro co-me “somma di dati”, come risultato di componenti che sono i sentimenti,i concetti, la perplessità e lo slancio». Gli altri versanti erano rappresenta-ti dalle scelte di Guerreschi ed infine dal gruppo dei pittori toscani con Lu-porini, Ferroni e Banchieri - ed in seguito anche Giuseppe Martinelli -, cheesposero da Bergamini nel ’59 orientandosi verso una pittura bloccata elirica insieme, di carattere neometafisico.A conclusione, negli anni Settanta, come in una chiusura circolare, in unasituazione di ennesimo e totale ribaltamento dei parametri dell’arte, alcu-ni artisti della Nuova Figurazione sceglieranno di nuovo la strada di un for-te impegno sociale e politico: Arte contro è non a caso il titolo della mo-stra che più ebbe risonanza all’epoca, curata da Mario De Micheli nel 1970ad Arezzo.

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Tra gli anni Cinquanta e gli anni Settanta la Biennale di Venezia è il luogodi riscontro, fondamentalmente fedele, della situazione artistica italiana nelsuo insieme; dunque vale la pena di ripercorrere alcune rassegne di queidecenni per ritrovare, nella varietà delle presenze, i diversi aspetti con cuila figurazione italiana si manifesta.Nel 1950, assieme a Carrà, che partecipa con una decina di opere, sonopresenti, fra gli altri artisti, Vespignani, Cassinari, Guttuso, Mafai, Morlotti,Pizzinato. La loro tendenza dichiarata è il ritorno al soggetto, ottenuto conuna ricerca formale basata su ragioni interne e soprattutto autonome.Esemplare resta l’opera Occupazione di terre incolte in Sicilia, che Guttusoaveva dipinto tra il ’49 e il ’50, cui fa eco anche la produzione coeva ed al-trettanto impegnata politicamente di Bruno Caruso. Il problema di unequilibrio tra forma e soggetto investe anche gli artisti delle nuove gene-razioni: Zigaina, ad esempio, presenta a Venezia i dipinti di soggetto conta-dino come Bracciante agricolo, Occupazione delle terre e Biciclette e falci, chesi configurano come ben risolto saggio di ritmi e richiami formali, tra cer-chi, direttrici diagonali, mezzelune. Anche alla Biennale successiva lo stes-so autore presenterà opere di denuncia.Nella Biennale del ’52 si vengono a definire nettamente le “famiglie stilisti-che” che raggruppano le diverse tendenze della figurazione. Cassinari, che hal’onore di una sala personale, rappresenta in un certo senso il punto di me-diazione di quegli artisti che, passati attraverso Corrente, non sono appro-dati definitivamente alla pittura figurativa: «non si era fatto apostolo della pit-tura engagée. La sua pittura di quegli anni, in effetti, era rappresentativa di unacultura artistica moderna diffusa, ancorata alla figurazione, ma intrisa di au-dacia compositiva, attinta con intelligenza da Picasso e da Modigliani.»1

Sempre nel ’52, in concomitanza con la Biennale, nasce la rivista «Reali-smo», che costituisce il luogo privilegiato di raccolta e di esposizione del-le ragioni ideologico-critiche dei sostenitori di questo movimento, cioè deifautori dell’impegno civile e dell’eteronomia dell’arte, dunque di artisti ecritici che pensano che l’arte debba schierarsi, prendere posizione. «Rea-lismo» restituisce un quadro preciso dell’evoluzione nella prassi artisticadi quest’epoca: dal realismo nazional-popolare dell’inizio degli anni ’50, al-

PRESENZE DELLA FIGURAZIONEALLA BIENNALE DI VENEZIASonia Paini

1 L. Vitali, Bruno Cassinari, in XXVI Biennale internazionale d’arte di Venezia, catalogo della mostra,Venezia 1952, p. 153.

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le progressive aperturedella seconda metà deldecennio.Negli articoli della rivi-sta sono messi in luceartisti come il lombar-do Franco Francese eRenzo Vespignani. Que-st’ultimo appartiene al“Gruppo del Portonac-cio”, così chiamato daun quartiere dell’estre-ma periferia romana. Itemi comuni della pro-duzione dei membridel gruppo sono ricor-

dati da Vespignani come case bombardate, ragazzi straccioni, prostitute,mendicanti, rottami di un’infanzia delusa, in accordo con la cultura cine-matografica neorealista. Negli anni del Neorealismo Franco Francese èconcentrato sulla rappresentazione del mondo contadino: ritiratosi nel-la campagna del Vercellese, dove trova una costante fonte di ispirazione,dipinge opere lontane da qualsiasi forma di idealizzazione, che si con-cretizzano in una vigorosa struttura in cui emergono accenti cromaticiespressionisti. Tra i neorealisti si colloca anche il friulano Zigaina. Mentretra gli anni ’50 e ’60 nasce e si articola il Realismo Esistenziale milanese,nel maggio 1960 vengono raccolte in una mostra intitolata Possibilità direlazione opere di Adami, Ceretti, Pozzati, Vacchi, Vaglieri, Romagnoni edaltri, nel tentativo di uno specifico avvicinamento all’oggetto.Alla XXX Biennale, inauguratasi poco dopo, se la tendenza dominante èancora quella di Cassinari e Guttuso, Francese e Zigaina propongono sag-gi di un realismo rielaborato; lo stesso Francese, come ricorda Arcangelinella presentazione della mostra, «pur essendo storicamente “un realista”,non cede mai all’ideologia, neppure negli anni in cui i suoi condizionamen-ti si sono fatti più forti»2.Alla XXXII Biennale, nel ’64, l’area di ricerca alternativa e attuale trova lar-go spazio. Questa tendenza, presto esemplificata con le definizioni di“Neodadaismo” e “Nuova Figurazione”, comprende artisti come Baj,Guerreschi, Rotella, Vacchi, Pozzati, Ferroni, Fieschi e Vaglieri. Ormai, supe-rato il Neocostruttivismo e l’arte programmata, si riaffermano la figura eil racconto, al punto che viene introdotto il termine “Nuova figurazioneinformale”.

2 F. Arcangeli, Franco Francese, in XXX Biennale internazionale d’arte di Venezia, catalogo della mostra,Venezia 1960, p. 121.

Giovanni Cappelli, Figura, olio su tela,1974.Brescia, collezione privata

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Altre possibilità di figurazione sono rappresentate da Fieschi, il quale tie-ne a sottolineare la sua eccentricità e indipendenza rispetto a schemi e ca-tegorizzazioni, pur essendosi «tante volte trovato in compagnie estraneedi bonaccioni figurativi»3.Verso la fine degli anni ’60, alcuni pittori realisti come Vespignani e Zigainasi aprono alle tematiche dell’isolamento esistenziale dell’individuo con-temporaneo, che erano state proprie dell’informale, e insieme assimilanodall’informale le soluzioni linguistiche. Zigaina impasta il colore materica-mente e stravolge le figure ricordando Bacon, ma risente, in questo stes-so periodo, anche delle sequenze multiple della pittura pop, come Pozza-ti, mentre la raffinatezza del colore sembra contraddire il disagio espres-so da personaggi larvali.L’aggressività cromatica e la nettezza fotografica o la ripetizione serialedelle immagini dei mass media sono, in effetti, elementi che finiscono conl’influenzare anche tutto un settore della pittura figurativa, dalle opere diGuerreschi alla produzione di Caruso, che non può definirsi comunquepop né per tematica né per atteggiamento mentale. Per larga parte deglianni ’60 in tutta quest’area pittorica i soggetti dei dipinti traggono spessospunto dai motivi dell’immaginario di massa. La differenza tra la pittura ci-vilmente impegnata e la Pop Art viene individuata pertanto dalla criticanon tanto a livello di tematica, quanto in un atteggiamento polemico, con-testatario, per questo realista, verso l’orizzonte dei consumi massificati. Te-matiche più propriamente politiche riesploderanno alla fine del decennioin concomitanza con il Sessantotto.

3 G. Fieschi, Appunti per una contestazione radicale, in M. De Micheli, Arte contro. 1945-1970. Dalrealismo alla contestazione, Milano 1970, p. 313.

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SCHEDEPia Ferrari

Aldo Carpi(Milano, 1886-1973)

Nato a Milano nel 1886, dopo un pe-riodo di apprendistato presso il pittoreStefano Bersani, nel 1906 entra all’Ac-cademia di Brera e segue i corsi di Cat-taneo e Tallone. Sono suoi compagni dicorso Achille Funi e Carlo Carrà. Parte-cipa dal 1910 alle rassegne nazionali diBrera e della Permanente e nel 1912esordisce alla Biennale Internazionaled’Arte di Venezia. Alla Biennale di Vene-zia, poi, parteciperà sempre, con esclu-sione delle edizioni del 1940 e del 1950,sino al 1952. Negli anni Venti ha rappor-ti sia con i futuristi che con gli artisti diNovecento. Nel 1930 vince il concorsoper la cattedra di pittura all’Accademiadi Brera. Nel gennaio 1944 viene de-portato a Mauthausen, poi a Gusen.Rientrato a Milano, nel 1945, viene ac-clamato direttore dell’Accademia diBrera. Al suo insegnamento si formanomolti artisti di varie tendenze, da Mor-lotti a Cassinari, a Sassu, a Baj, ai realistiesistenziali. Nel 1956 il Comune di Mi-lano gli conferisce la medaglia d’oro permeriti culturali e nel 1972 gli dedica unamostra antologica alla Rotonda di viaBesana. Scompare a Milano nel 1973.

Aldo Carpi è presente in questa mo-stra non certo come esponente dellaNuova Figurazione, ma come incipit adintroduzione degli artisti del RealismoEsistenziale che nelle aule di Brera fu-rono suoi allievi nel dopoguerra e cheda lui certamente recepirono l’ideadell’arte come impegno e testimo-

nianza: Banchieri, Ceretti, Guerreschi,Romagnoni e Vaglieri.Questo il ricordo di Guerreschi: «ABrera sotto la paterna tolleranza ecomprensione di Aldo Carpi si restava alavorare con fanatismo e ostinazione,finché il bidello Otello non ci buttavafuori»; e questo di Banchieri: «Era il pri-mo giorno che frequentavo Brera [...];mi indicarono l’aula del professor Car-pi. Entrai: dentro c’erano tutti, dico Ro-magnoni, Guerreschi, Vaglieri e Ceretti,mi parve di conoscerli da tempo»1.

Bepi Romagnoni(Milano, 1930-mare di Sardegna, 1964)

Frequenta a Brera i corsi di Carpi etra il ’54 e il ’55 fonda con Ceretti, Va-glieri, Guerreschi, Banchieri e Bodini ilgruppo dei Realisti Esistenziali.Espone alle gallerie San Fedele e Ber-gamini e al Salone dell’Annunciata aMilano.Nel ’60 partecipa alla mostra Possibilitàdi relazione alla Galleria Attico di Ro-ma, considerata l’esordio della NuovaFigurazione italiana.Dal ’61 affianca alla produzione graficae pittorica anche lavori con collages difotografie da rotocalchi. Nel ’62 parte-cipa alla Biennale di Venezia e nel ’64espone a Documenta III di Kassel.Muore durante un’immersione subac-quea in Sardegna a soli trentaquattroanni.

In Romagnoni, che è stata la figura trai-nante soprattutto dal punto di vista

1 Per questa citazione e le seguenti si veda la nota 1 a pag. 5.

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teorico del Realismo Esistenziale mila-nese, le esigenze mimetiche, fin dagliinizi, si sono coniugate col Surrealismo,con l’opera di Matta e di Wols, nellanecessità di ridefinire l’immagine e diframmentarla per suggerimenti ed ac-cenni, come nel linguaggio cinemato-grafico dell’École du regard che procedeper flash back. Nella sua opera pittori-ca il segno e il grumo di materia hannouna funzione vitale ed il soggetto delquadro diviene l’aggregarsi e il disag-gregarsi della forma, il suo addensa-mento e la sua rarefazione.Scardinare la stabilità è la parola d’ordi-ne di Romagnoni, che in questa esigen-za è vicino ai pittori Vaglieri e Ceretti,con i quali parteciperà alla mostra Pos-sibilità di relazione. Nei dipinti e nellagrafica - formalmente molto vicini - dal-la seconda metà degli anni Cinquanta laforma è avvenimento, la lettura deve av-venire come per una pagina scritta oper la sequenza di un film, con un’im-mediatezza favorita dalla bicromia deibianchi e dei neri. La trama del raccon-to di Romagnoni è l’andare il venire, ilprendere e il deporre, l’emergere el’aggirarsi. In questo senso, della crona-ca e del bisogno di testimonianza civiledei primi anni Cinquanta rimane solo lalacerazione della cosa e dell’uomo.Leggendo gli scritti di Romagnoni vie-ne da pensare al ruolo di Boccioni nel-l’ambito futurista, quando elabora inmodo avanzato il problema del dina-mismo e del rapporto forma, spazio etempo. In un suo intervento infattiscrive: «Entrando in una stanza scono-sciuta gli oggetti avranno un aspettonuovo. A volte mi chiedo quando do-vessi uscirne, se la porta sta alle miespalle o alla mia sinistra»; ed in un al-tro: «Si dovrebbe arrivare a costituireun organismo espirante e pulsante inuna serie di connessioni i cui significa-ti siano continuamente precisati espostati nello stesso momento; sianocome differenziati perché possanomodificarsi […]. Bisogna quindi che le

cose nel quadro siano mosse dalla nar-razione […]. Un uomo ascolta le pul-sazioni del proprio cuore, avverte ilcircolare del sangue, sente il dilatarsidei polmoni: è seduto in un prato, masubito dopo può essere preso e tor-turato crudelmente. Egli avverte laprecarietà del suo benessere, delle suepulsazioni ragionevoli: in un attimo ilcuore può impazzire. Il precario siidentifica con la mutevolezza dellospazio che non è dato prima che av-venga il fatto, ma si costituisce nel fat-to, basta un piccolo spostamento checambia dimensioni e significato.»

Tino Vaglieri(Trieste, 1929-Milano, 2000)

Risiede a Roma fino al trasferimento,da adolescente, a Milano. Nel 1949 siiscrive all’Accademia di Brera ai corsidi Carpi e in seguito dà origine algruppo dei realisti esistenziali.Partecipa alla Biennale di Venezia del1960 e successivamente alle principalimostre sulla Nuova Figurazione ed al-la rassegna romana Possibilità di relazio-ne con Romagnoni e Ceretti. Dagli an-ni Settanta prosegue isolatamente lasua attività artistica.Nel 2004 gli viene dedicata un’impor-tante antologica a Milano, presso laFondazione Stelline ed alla Bibliotecadell’Accademia di Brera.

Fin dal suo esordio nel gruppo dei rea-listi esistenziali Vaglieri dichiara il suointeresse per due temi cui tutto som-mato resterà fedele per l’intera vitad’artista, l’uomo e la storia, giustifican-do la sua adesione al gruppo come ne-cessità di superare l’espressionismo,con «comprensione pura e semplicedella realtà». Che la realtà non sia peròper lui cosa oggettiva, già si rende evi-dente qualche anno dopo, quando, nel’58, artista emergente del gruppo conpersonali a Milano e Roma e vincitore

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del premio San Fedele, esprime la ne-cessità di virare dai temi consueti delprimo Realismo Esistenziale. Dopo leindagini sulle viscere urbane, intese co-me tubature e condotti sotterranei,cercherà significati più espliciti e di rot-tura, che provochino la reazione dellospettatore, quasi una forma di aggres-sione per immagini, con scene di ucci-sioni e torture dipinte con materia-co-lore pulsante ed in contrazione. La ri-sultanza viene definita dall’autore“informale impuro” e dal critico DeMicheli “tensione allo spasimo”.Nel ’60 è con Ceretti e Romagnoniuno dei più attenti alle novità della pit-tura di relazione ed indaga sul rappor-to tra le cose e la realtà, trasformandoi suoi quadri in «luogo d’azione e di si-tuazione e quindi luogo di rapporti, do-ve la molteplicità del reale trova unasintesi, dove le cose si possano aggiun-gere alle cose in modo organico pernarrare momento dopo momento sen-za soluzione di continuità».Dunque nelle opere degli anni ’60, do-po la mostra Possibilità di relazione, ilsuo racconto diviene una mescolanzatra narrazione e materia, mentre ognipunto del quadro diviene oggetto.In questo senso l’iconografia dei dipin-ti degli anni Sessanta e dei primi anniSettanta, nonostante la complessità el’uso di elementi simbolici, divienecomprensibile se si pensa alla sua ne-cessità di non definire le possibilità divisione, di far scorrere le immagini tra-sformandole in processo, di far succe-dere un oggetto ad un altro, ma anchead una situazione o ad un gesto. La co-sa - un piatto ad esempio - può di-storcersi come un braccio, la città di-latarsi come un respiro, la sensazioneavvenire dentro o fuori. Gli oggettiquotidiani provocheranno ossessioni ereazioni che sono fisiche, come la ri-bellione nei confronti degli strumentidi lavoro. Tenaglie e chiavi inglesi appa-riranno nella loro durezza cromaticarispetto al movimento che le genera,

la contaminazione con i prodotti dellaciviltà dei consumi sarà accompagnatadai colori insopportabili e rumorosiche avvolgono le situazioni metropoli-tane e, comunque, il gesto pittoricosarà duro a ricordare contraddizionisociali non sanate e l’impossibilità diripiegarsi su se stessi in soluzioni esi-stenziali: «La mia esaltazione esisten-ziale non arriverà mai al punto di af-fermare che la storia non esiste, cheesiste solo l’esistenza», scriverà Vaglie-ri, cosciente che la storia è contraddi-zione sociale, violenza che con violen-za gestuale va rappresentata.

Mino Ceretti(Milano, 1930)

Si forma all’Accademia di Brera; dallametà degli anni ’50 partecipa alla co-stituzione del gruppo del RealismoEsistenziale stringendo un rapportointenso soprattutto con Romagnoni eVaglieri, espone alle gallerie San Fede-le e Bergamini e partecipa alla Qua-driennale romana del ’59. Negli anniSettanta dipinge serie di nature morte.Negli anni Ottanta e Novanta è pre-sente nelle principali rassegne che ri-guardano la Nuova Figurazione e laPop Art italiana. È stato docente al-l’Accademia Albertina di Torino e al-l’Accademia di Brera. Attualmente vi-ve e lavora a Milano.

Il percorso di Ceretti, dalle prime mo-stre con Romagnoni e Guerreschi,quando dipinge lo squallore del pae-saggio urbano caratterizzato dall’ango-scia resa da agglomerati materici, è ric-co di ricerche, mutazioni e varie espe-rienze, descritte con inquietudine etensione.I suoi racconti, incentrati sulla rifles-sione riguardo al destino dell’uomo,sono popolati di segni che si riferisco-no, in modi quasi informali, a sensazio-ni di minaccia, di aggressione, di vio-

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lenza e di perdita dell’identità, cui allu-de evidentemente l’immagine fram-mentata. Fin dal ’58 l’autore parla delquadro come di uno schermo su cuiproiettare la propria esperienza e laserie dei Ritratti mancati, incentrati sultema dell’individuo violato, non più in-tegro, presentano sulla superficie dellatela figure frantumate, spezzate, comenel Picasso di Guernica, cui Ceretti di-chiara di ispirarsi. Anche l’oggetto è in-quietante quanto l’uomo e viene rap-presentato nel momento della suascomparsa, come nel ciclo dei Paesag-gi residui. I dipinti di Ceretti sono for-se tra i più complessi e tormentati traquelli del Realismo Esistenziale, nono-stante le tonalità accese e vivaci.Il quadro, come lui stesso scrive, «èuna somma di dati […]. Dai sentimen-ti ai concetti, dalle perplessità agli slan-ci, tutto concorre alla possibilità del fa-re, essere nella cosa, viverla interior-mente». Riferimento, questo, che, in-sieme ad alcuni temi riscontrabili in ti-toli come Segni quotidiani, rivela l’inte-resse per lo strutturalismo linguistico,col quale è in comune l’interesse per irapporti fra le cose.

Giuseppe Guerreschi(Milano, 1929-1985)

Si iscrive nel ’50 al corso di pittura aBrera con Aldo Carpi e, diplomatosi, faparte da subito del gruppo dei realistiesistenziali alternando l’attività pittori-ca a quella di disegnatore. Negli anni trail ’58 e il ’60 partecipa alle mostre delgruppo romano “Il Pro e il Contro”.Dal ’65 inizia a lavorare a Caponero inLiguria, dando inizio alle serie più im-portanti, come i Ritratti, Judaica, i Profe-ti, la Petite suite du Père Lachaise, i Fogliprivati, la Vietnam suite e le Figure fem-minili, serie quasi sempre accompagna-te da scritti che ne illustrano la genesi.Ha partecipato alla Biennale di Veneziatra il ’58 e il ’72 e le sue opere sono

presenti in molti musei europei edamericani.Ha affiancato all’attività di pittorequella di incisore.

Nell’ambito del Realismo EsistenzialeGuerreschi è stato avvicinato dallacritica soprattutto allo scultore Bodi-ni, per l’urgenza di dichiarare in mo-do netto la propria protesta civile,con forme che non temono l’urlo e,almeno inizialmente, l’espressionismolegato ad un’attenzione per l’uomosia nel segno della denuncia e dellacompassione, sia in quello d’un di-chiarato amore per la materia ed ilgesto. Dalla metà degli anni Cinquan-ta, dopo il periodo a Brera caratteriz-zato da una produzione grafica da luidefinita “tra Balthus ed il postcubi-smo”, si sente debitore, per forma-zione, a Gasparini ed attento al lavo-ro di Ben Shahn e Dubuffet, mentreavverte una certa lontananza dagli al-tri artisti del gruppo.In quegli anni dipinge, «per ragioni chemi riguardano innanzitutto come uo-mo, come pittore poi», scenari urbanicosparsi di volantini, pagine di poesia,macerie e case nuove, segnaletichestradali, che saranno l’ambiente dovesi muoverà in seguito un’umanità co-struita con arti meccanici e grumi pit-torici come succhi corporei.Il bisogno di ridurre il più possibile ildivario tra pittura e realtà lo porta aricercare di lì a poco i segni della vio-lenza, “nel fuori e nel dentro”, mentrela necessità di testimoniare il propriotempo con l’arte, pur nella lontananzadal realismo sociale, lo porta a rappre-sentare figure emblematiche, creaturesezionate non per crudeltà fisiologicané smania d’indagini anatomiche, maper cercare possibilità di rinascita e ri-costruzione precaria dopo la tortura ela sofferenza.I frammenti corporei, come ha scrittosu di lui Giovanni Arpino, «mangiano illoro stesso realismo, si divorano gli uni

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con gli altri»; e lo stesso Guerreschi intermini autocritici noterà riguardo aquesto aspetto il prevalere nei suoi per-sonaggi «di una carica che turba prove-niente dall’immagine stessa e non dall’e-sterno», giustificandola con un «bisognodi una pittura che mi comprometta co-me uomo in maniera totale».Col passare degli anni le immagini diGuerreschi, vere e proprie icone dellapittura degli anni Sessanta e Settanta,sono divenute insieme manifesto poped espressione di ritmo vitale e mor-te insieme. I colori squillanti e crudigiocando sulla tela hanno permessoquesto duplice segnale attraverso l’in-tercambiabilità e l’equivalenza di og-getti e figure, come a voler dire chepittura e mondo si equivalgono.

Giuseppe Banchieri(Milano, 1927-Ronchi di Massa Carrara,1994)

Studia pittura a Firenze e poi a Milanocome allievo di Aldo Carpi. Dalla metàdegli anni ’50 è uno degli esponentiprincipali del Realismo Esistenziale mi-lanese, vince il premio San Fedele nel1957 ed espone prima alla Galleria Pa-ter, poi alla Galleria Bergamini. Parteci-pa ad edizioni della Biennale di Veneziae della Quadriennale di Roma fino aglianni Settanta.È presente a Brescia con esposizionipresso la Galleria Schreiber negli an-ni Ottanta e la Galleria dell’Officinanel 1995.

La pittura di Banchieri, caratterizzatainizialmente dai toni cupi del realismo,approda in poco tempo al versante esi-stenziale con la tendenza a mettere inluce aspetti segreti della natura e dellecose, attraverso segni inquieti, impre-

ziositi da gamme di grigi e luci polvero-se. L’interesse per un lavoro lontano daaspetti retorici è evidente in queste suedichiarazioni della metà degli anni Cin-quanta: «Noi non volevamo fare arteattraverso quadri manifesto o dichiara-zioni programmatiche, ma attraversouna ricostruzione dell’uomo, esterna einteriore insieme»2. Viene accomunatodal critico De Micheli, in occasione del-la mostra alla Galleria Pater nel ’56, aifrancesi dei gruppi “Homme Témoin” e“Ruche”, come Rebeyrolle e Minaux,testimoni del vuoto e dello sconfortodel mondo, per temi quali le periferieed i prati nebbiosi.In seguito abbandonerà i soggetti ur-bani per rivolgersi alla natura ed alpaesaggio della sua giovinezza, quelloviareggino, come l’amico Luporini, pri-vilegiando il segno grafico che negli an-ni Settanta arricchirà con l’uso di col-lages e, negli anni Ottanta, con l’intro-duzione di colori acidi. La sua pitturapiù recente è fatta di ricordi, attraver-sata da coacervi di oggetti, senza figu-re umane, solcata da una luce diffusasui muri, sulle venature dei legni, suirami essiccati, sui fiori appassiti, sui bu-crani, dove tutto si è fermato e le co-se giacciono ferme nel silenzio, inscansioni razionali, come a seguire unordine logico dei ricordi.Soprattutto dagli anni Ottanta gli og-getti domestici vengono osservati conuna sorta di quiete pietrificata, rag-giungendo una fissità dell’immagineche si ricollega ad una forma di meta-realismo. Queste caratteristiche eranogià presenti dalla seconda metà deglianni Settanta in opere quali Rose d’in-verno, dove le cose appaiono come in-casellate in luoghi della mente, liberedai condizionamenti del tempo e dovela pittura subentra alla realtà comeunica certezza.

2 Testo riportato nel catalogo della mostra Figurazione a Milano, Spazio culturale La Posteria, a cu-ra di F. Buzio Negri, Milano 2000.

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Gianfranco Ferroni(Livorno, 1927-Bergamo, 2001)

Dopo il trasferimento dalla Toscana inLombardia, si avvicina dal 1956 al grup-po dei pittori del Realismo Esistenziale.Accosta fin da quegli anni l’attività di in-cisore a quella di pittore. Partecipa allaBiennale di Venezia ed alla Quadrienna-le di Roma tra gli anni ’50 ed ’80. Negliultimi decenni ha vissuto e lavorato traBergamo e Milano. Gli sono state dedi-cate numerose ed ampie antologiche, aConegliano Veneto in Palazzo Sarcinelli,alla Galleria d’arte moderna ed alla Pi-nacoteca di Brera a Milano.

Gli anni ’50 vedono Ferroni vicino alRealismo Esistenziale, in polemica colrealismo sociale ed a dimostrazione diquella da lui stesso definita insofferen-za politica, che lo porta a recuperarel’opera di Sironi o di Viani, per poi rap-presentare le cose non velate da ideo-logie: dunque anche per lui i soggettipreferiti sono quelli della città, degli in-terni del suo studio di pittore, con at-mosfere in bilico tra il movimento“Ruche” e Giacometti, dipinti o incisicon un segno vicino a quello di Wols.Intorno al 1963 un cambiamento te-matico conclude la fase esistenzialista,dando origine ad un secondo periodopittorico durato fino al Settanta, vicinoalla Nuova Figurazione: si tratta di unallontanamento dalle tematiche più in-timiste che porta alla necessità di dia-logare con la storia, affondare nel pas-sato altrui e dell’umanità in genere, af-frontando i temi dell’olocausto e dellaguerra. In opere come Ricordo di situa-zione e Sacrificio di Abramo vengonoscelte situazioni-simbolo di condizionicome la morte o la tortura, fisica odella mente, dove i contatti con Guer-reschi e con l’analisi cruda e frantuma-ta di Vaglieri sono evidenti.Nel ’64 introduce nel suo repertorioiconografico il tema del lago di Massa-ciuccoli vicino a Viareggio. Il lago, poco

frequentato e dall’aspetto ancora in-contaminato, lo attrae come fonte dimistero e per la varietà stagnante del-la sua vegetazione paludosa ed i grovi-gli naturalistici.Il Racconto del lago, di cui esistono nu-merose versioni ad acquaforte, ha cer-tamente i caratteri di questa visiona-rietà naturalistica che porta a rappre-sentare la vegetazione come qualcosadi ancestrale ed impraticabile. Ondecircolari ed un sasso lanciato nell’in-quietudine e nel silenzio di una calmaapparente alludono alla morte. Que-sto soggetto sfocerà nei dipinti dellaserie La leggenda dell’annegato, del ’65,dove si materializzeranno le paure chela natura suscita.Nel Racconto del lago compare l’ambi-gua non distinzione tra interno edesterno, con un gioco di sovrapposi-zioni di piani e sequenze temporali di-verse dalla realtà che piace ad altri pit-tori come Cappelli. Allusioni agli im-previsti ed agli scarti degli eventi si evi-denziano attraverso frammenti pitto-rici che sono immagini di una minacciaincombente e sovrapposizioni di ri-cordi come flash back cinematografici.In seguito la pittura e l’attività inciso-ria di Ferroni prenderanno strade di-verse, abbandonando questo dialogointenso col passato per fissarsi su unpresente astorico in uno spazio di rap-presentazione che diviene elementototale della conoscenza, anche se ri-stretto nell’interno dello studio del-l’autore, illuminato da una luce che èregola e rigore.

Sandro Luporini(Viareggio, 1930)

Dopo gli studi di Ingegneria si dedicaalla pittura, prima a Roma e poi a Mi-lano, dove si trasferisce nel 1956. Quiespone presso la Galleria Bergaminifrequentando gli artisti del gruppo delRealismo Esistenziale. Dal ’63 si lega

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alla Galleria Il Fante di Spade a Roma.La sua attività continua intensamentenei decenni successivi e culmina con leantologiche a Palazzo Ducale a Manto-va nel ’92, allo Spazio Oberdan di Mi-lano nel 2001, a Pisa nel 2005, con unagrande mostra dedicata alla sua atti-vità pittorica e teatrale, Metafisica delquotidiano. È stato per anni coautoredei testi delle canzoni e del teatro diGiorgio Gaber.

La storia dell’attività pittorica - atten-ta ai fermenti culturali e sperimentale- di Luporini è tuttora in evoluzione,ma il suo passaggio dalla pittura delRealismo Esistenziale alla Neometafisi-ca degli ultimi decenni ha un filo con-duttore ben evidente.Come lui stesso dichiara in una inter-vista in occasione di una mostra bre-sciana3, fin dagli esordi il suo interesseè stato per Sironi, De Chirico e Mo-randi, mentre la scelta del versante delrealismo rispetto all’astrattismo, lonta-na dall’aspetto sociale, impegnato edenfatico, è stata filtrata dall’attenzioneper l’esistenzialismo e per il cinema diAntonioni, Fellini e Bergmann.Anche le opere prodotte all’epoca delRealismo Esistenziale hanno dunquecaratteri comuni alla sua pittura recen-te, come la composizione essenziale el’importanza della luce e della memoriapiuttosto che del vero. Le periferie ur-bane sono avvolte in atmosfere piùpoetiche che di denuncia, come è il ca-so di Il ponte di ferro dei Civici Musei diBrescia, affine a certi lavori di GiovanniCappelli degli stessi anni: pur con gliusuali toni cupi del realismo milanesedei primi anni Sessanta, la scelta di unostile essenziale, non gridato, la pitturasfaldata, la luce trasfigurante, le solu-zioni grafiche del ponte metallico, lecolonne di luce filtrata dalle nuvole e

dai fumi, turneriane quasi, e la solitudi-ne silenziosa indicano chiaramente ilpercorso futuro dell’autore e spieganoperché nel ’59 esporrà presso la Galle-ria Bergamini con Ferroni e Banchieri.Gli anni Sessanta lo vedono interessa-to, come altri realisti esistenziali, al-l’informale di Wols, ma anche ai silenzidi De Staël, mentre, dopo l’iperrealismodegli anni Settanta, negli anni Ottanta,con l’abbandono della metropoli lom-barda per Viareggio, avviene lo scartopiù evidente nei confronti del periodoprecedente, con una fase artistica anco-ra in corso, caratterizzata da visioni fil-trate, composizioni semplificate, spazidistesi, silenzi diafani, risonanze ed evo-cazioni. Con Ferroni, Mannocci e Tonel-li fonda il gruppo “Metacosa”, antefattodella più recente Neometafisica.

Giuseppe Martinelli(Viareggio, 1930)

Frequenta il liceo artistico a Carrara.Nel 1955, tramite Sandro Luporini, co-nosce il pittore Banchieri e l’anno se-guente si trasferisce a Milano, entran-do in contatto col gruppo dei realistiesistenziali. Nello stesso anno vince ilPremio di pittura Viareggio, cui ne se-guiranno altri, come quello Suzzara.Fra le antologiche recenti si segnalanoquella a Villa Borbone di Camaiore, diOlgiate Olona nel 1980 e la mostra aGallarate nel 2004, presso lo SpazioZero, intitolata I luoghi del mare.Vive e lavora a Milano.

La pittura di Martinelli, subito dopo unesordio comune agli altri artisti mila-nesi caratterizzato dalla preferenzaper i temi urbani, dalla metà degli anni’50 rivela la necessità di elaborazionedi ritmi lirici in un’ambientazione lim-

3 A. Bernardelli Curuz, Intervista a Luporini, in «Stile arte», n. 59 in occasione della mostra pressola galleria di Stile del giugno 2002 a Brescia.

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pidamente naturalistica. Un dipinto del’68, coevo a Sulla spiaggia esposto inquesta mostra, si intitola Al limite dellacittà ed indica la via d’uscita pittoricadi Martinelli, in una città trasfiguratadove il cielo occupa più spazio del re-sto e gli oggetti urbani sono trasfor-mati in grossi giocattoli.In seguito dunque a questa svolta Mar-tinelli ha dipinto le serie raffiguranti leisole, le conchiglie, le figure femminilisulla spiaggia, paesaggi che hanno co-me elemento centrale un personaggioche respira in senso cosmico, caratte-rizzati da immagini sospese, che in-combono e suggeriscono senza risol-vere, come elemento metaforico diun’immensità metafisica.Come divinità moderne le sue figuredi donna sono apparizioni panteisti-che, i loro corpi si avvolgono col colo-re e le forme all’elemento naturale di-venendo un tutt’uno con esso, che siasasso, alga, o terra, e dimostrando chela relazione fra le immagini è soprat-tutto metamorfosi. Il sole-aureolacrea, in controluce rispetto alle figure,un effetto d’eclissi, generando una si-tuazione di leggera inquietudine e sco-stamento dalla realtà oggettiva.La ricerca artistica di Martinelli, legataad una visione paesistica della memoria,continua negli anni, fino ad oggi, trattan-do in particolare il tema del mare, pre-sente nel suo lavoro dagli anni Sessanta,quando la motivazione del dipingerenon è stata più la cronaca, ma la sor-presa, l’interrogativo, la relazione figura-le senza risposta: pittura astorica certa-mente, ma non surreale, con aperturesimboliche che hanno a che fare con lafuga dalla città e il rifugiarsi nell’infanzia,nei luoghi da ragazzo, nella memoria.

Giovanni Cappelli(Cesena, 1923-Milano, 1994)

Dopo i primi studi artistici a Bologna,con gli amici Sughi e Caldari, frequen-

ta a Roma gli artisti del gruppo del“Portonaccio”, soprattutto Vespignanie Muccini. Nel 1953 diviene uno degliartisti della Galleria Bergamini a Mila-no e qualche anno dopo si trasferiscedefinitivamente nel capoluogo lombar-do, dove frequenta il gruppo dei reali-sti esistenziali legandosi in particolarea Ferroni. Nel 1956 partecipa allaBiennale di Venezia, mentre nei decen-ni successivi, seguito attentamente daicritici Valsecchi e De Micheli, praticaun’intensa attività espositiva, dallaQuadriennale romana al Palazzo deiDiamanti a Ferrara nel 1989. Negli ul-timi anni ha vissuto soprattutto a Gar-gnano sul lago di Garda.

Ai suoi esordi pittorici in RomagnaCappelli rappresenta scene di generequasi macchiaiole, ma nei primi anniCinquanta a Milano comincia ad occu-parsi della cronaca marginale dellacittà, dei suoi aspetti più squallidi, dal-le periferie, come quasi tutti gli altriartisti, alla desolazione ed alla solitudi-ne dell’individuo, alla prostituzione, al-la vecchiaia, allo squallore della vita fa-miliare, con forte accento esistenziale.Le sue figure dai ritmi anatomici spez-zati appaiono in spazi suggestivi, illumi-nati da bagliori minacciosi che metto-no in evidenza amarezza, risentimentoe durezza, ribaditi dalla spigolosità del-le forme di uomini e cose, che sem-brano assalire lo spettatore come se ildramma dell’esistenza venisse addos-so a chi guarda. Le pareti delle stanzedipinte da Cappelli sono nude, l’anoni-mato tende a confondere volontaria-mente il dentro ed il fuori, l’interno el’esterno, non c’è lontananza ed oriz-zonte, tutta la vita è ribaltata in avanti,in scena e senza scampo. Gli uominihanno volti che emergono dalla pe-nombra con sembianze quasi animale-sche e pelle che è direttamente l’invo-lucro delle ossa.I temi degli anni Sessanta, nei quali siinserisce Albergo diurno, hanno luci

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spettrali, fanno intuire avvenimentispiacevoli anche se banalmente quoti-diani, violenze appena avvenute, brut-ture esibite, vecchiaie irrimediabilmen-te nella solitudine, con una narrazioneche non trova consolazioni di tipoideologico.La sua è una pittura soprattutto dise-gnata e scarnificata - lo si vede bene inQuinta corsia -, dove il colore è artifi-ciale e giustapposto, quasi simbolico.La tendenza all’essenzialità aumenteràcol tempo ed investirà tutti i suoi di-pinti, anche quelli di soggetto naturali-stico, spingendo Cappelli ad abbando-nare il gusto per i valori atmosfericiche lo accomunava a Luporini o a Ban-chieri.

Sergio Vacchi(Castenaso di Bologna, 1925)

Compie studi artistici a Bologna, doveopera fino al ’60, poi si trasferisce a Ro-ma. Dopo esperienze postcubiste, pra-tica una pittura informale e materica.Dagli inizi degli anni Sessanta elaboraun suo personale stile che si esprime ingrandi cicli come Concilio, Adamo ed Evain Italia, Galileo, Il Casino di Raffaello. De-gli anni Settanta sono i cicli Pianeta, Fini-sterre e Perchè il pianeta.Vive e lavora per molto tempo a Ro-ma, espone più volte alla Biennale diVenezia ed alla Quadriennale.Ora risiede vicino a Siena.

I primi temi di Vacchi sono figure sur-reali, informi ed informali, in breve so-stituite da forme più umane e oggettiquotidiani, cui fanno seguito ritratti dipersone-animali e poi ancora immagi-ni legate alla storia, ovviamente nonattuale, ma intesa come prefigurazio-ne: Federico II e Galileo. Dagli anni Ses-santa dipinge parallelamente anche lanatura, paesaggi dove si nascondonomorbide insidie, come nei due dipintiesposti in questa mostra, Eden con-

temporanei inquietanti, caratterizzatida rive mediterranee deserte, solcateda voli bassi di gabbiani e abitate damalinconici corpi di bagnanti o anima-li inquieti, immersi in notti limpide.Nel 1960 Sergio Vacchi, pur non aven-do ragioni che lo portino a condivide-re interessi col Realismo Esistenziale,trova con esso un momento di con-tatto esponendo nella mostra Possibi-lità di relazione.È certamente curioso trovare gli uniaccanto agli altri gli scritti di Vaglieri,Ceretti e Romagnoni ed il testo delpittore emiliano, anch’esso in catalogo,dove si legge una puntualizzazione sul-la qualità e sull’importanza del fare ar-te che lo fa concludere: «Credo cheoggi sia errore profondo da parte dialcuni giovani della mia generazionecostruire a priori una poetica o sul-l’importanza o sulla qualità. E se dallaprima impostazione può derivare unasorta di neoespressionismo male dige-rito, dalla seconda sta derivando quel-la corrente neometafisica ai miei occhialtrettanto inerte anche se apparente-mente di resa pittorica maggiore».Vacchi, che dalla sua Bologna ha por-tato un secolare gusto per la luce ed ilcolore, ma anche la lezione di Moran-di, cerca un strada legata certamentealla figura, ma diversa da quella dei rea-listi milanesi, dei quali non apprezzasoprattutto il lato gestuale e l’avvicina-mento all’informale, ma nemmeno lescelte di Ferroni, Banchieri o Luporini.La terza via è per lui quella che alcunicritici, come Giorgio Di Genova, defi-niscono arte fantastica, dove sono pri-vilegiate le libere associazioni di fanta-sia, con immagini attive che sorpren-dono e stimolano chi guarda, senzabarriere formali, qualcosa da nonconfondere col Surrealismo.Nelle sue opere effettivamente sonopresenti ragione e non ragione, logica enon logica, senso e non senso, senzaprivilegiare nessuno dei due termini.Come se l’allontanamento dal naturali-

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smo fosse lento e non del tutto passa-to nella sfera onirica, esiste nei dipintidi Vacchi ancora molta concretezza.

Attilio Forgioli(Salò, 1933)

Frequenta l’Accademia di Brera e si di-ploma nel 1958. Espone inizialmentepresso la Galleria Alberti di Brescia,nel 1953. Nel 1962, dopo un soggior-no a Parigi, crea un ciclo di pastelli de-dicato alla guerra d’Algeria, intitolatoLa Senna.Dal ’63 al ’65 realizza la serie degli Ani-mali nel paesaggio, esposti alle gallerieSan Fedele e Bergamini. Dal ’68 inizia ilciclo delle Isole, al quale seguono,strutturalmente simili, quelli degli Albe-ri, delle Nature morte e delle Montagne.Negli ultimi decenni gli sono state de-dicate importanti antologiche, comequella alla Galleria comunale d’Ales-sandria nel ’76, anno nel quale parteci-pa anche alla Biennale di Venezia.Nel 1989 gli viene dedicata una vastarassegna antologica a Palazzo Sarcinel-li a Conegliano Veneto, cui hanno fattoseguito, più recentemente, numerosis-sime personali.Vive e lavora prevalentemente a Milano.

Inizialmente la pittura di Forgioli, cre-sciuta nell’ambito artistico milanesedegli anni ’50 e certamente nutrita delsecolare naturalismo lombardo e delLiberty, sfociato nel Divisionismo diPreviati, si mescola all’attenzione peraspetti del Surrealismo e per Suther-

land. La risultanza è un allontanamen-to radicale da ogni realismo, che portal’autore a procedere per nodi dell’im-maginazione, echi, interrogazioni e ri-sonanze.I suoi paesaggi, le sue isole, vengono fis-sati sulla tela o sulla carta per dilatazio-ni ed insieme con segni concisi, le im-magini messe a fuoco e sfuocate nellostesso tempo, con regole soggettive evisionarie, che mantengono comunqueun grande rigore formale. Tratti viscera-li, dipinti con cromie naturali e leggere,creano nello spettatore sensazioni op-poste: vago senso di malessere e tene-rezza, furore e dolcezza, sensazione diabitabilità dello spazio, all’apparenzapiacevole, ma anche senso di disagio ge-nerato dall’osservazione di essenzefrantumate, realtà incrinate e solo ap-parentemente affascinanti.La pittura di Forgioli, che salva solopoche definizioni strutturali, dimostracome forse nessun’altra la crisi dell’ar-te realista in tutte le sue declinazioni,dal momento che quella dipinta dal-l’artista è una realtà estranea, non pos-seduta, è pittura scritta, poesia mini-male e ridotta all’osso al centro delquadro.Nelle immagini-apparizioni degli ani-mali, degli oggetti, degli elementi vege-tali, vengono aggregati elementi ridottia scaglie cromatiche che oscillano traraffinatezza ed angoscia.Isole, giardini, residence, frutti, scarpe,alberi e montagne sono epifanie dipin-te con colori evanescenti, che suggeri-scono l’idea del tempo come sottra-zione e defluire della vita.

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Franco Francese(Milano, 1920-1996)

Nel 1936 si iscrive al Liceo artistico diBrera ed inizia a disegnare giovanissi-mo, ispirandosi a Rosai, Rodin e Cha-gall. Chiamato alle armi nel 1938, riu-scirà ad iscriversi all’Accademia diBrera solamente nel 1942. Si diplomanel 1947 e, dopo un periodo in cui lasua pittura risente dell’influenza cubi-sta, si avvicina negli anni ’50 al Reali-smo. Partecipa a diverse edizioni dellaQuadriennale di Roma (1955 e 1973) edella Biennale di Venezia (1952, 1960,1982). Espone alla Galleria Penelope diRoma e alla Galerie d’Eendt di Am-sterdam. Tra le numerose rassegne an-tologiche si ricordano quella dei dise-gni al Castello Sforzesco a Milano nel1983 e quelle alla Galleria Bambagia aBusto Arsizio nel 1983 e al Palazzo deiDiamanti a Ferrara nel 1991.

«Il bisogno fisico di liberarsi da impul-si oscuri, bisogno fisico di impastaremateria, volontà cosciente di formare,chiarire la propria figura d’uomo chesta dietro le occasioni episodiche diimmagine, il senso della propria vitaper viverla meno oscuramente, perplacare momenti di sovrapercezioneallarmanti. La fuga dal quotidiano col-lettivo in un tempo più raccolto; riap-propriarsi del fluire del tempo disper-so negli atti usuali in un tempo psichi-co segreto più compatto, più reale, piùsensato. Per liberarmi dall’insistenza

del ritorno di un’immagine. Per ubbidi-re al pathos del divenire formale diun’immagine; estenuarsi nell’illusionedei rifacimenti. Oppure la riflessionesul senso, sulla direzione in cui tende asvilupparsi la propria attitudine “crea-tiva”.»1 Queste le motivazioni del la-voro di Francese espresse in un’inter-vista apparsa nel 1984. Viene spontaneo il paragone con Eu-genio Montale, con quello stesso maledi vivere che anche il pittore ha cono-sciuto e che si è mostrato prepotentein tanti cicli pittorici, da La bestia ad-dosso agli Amplessi, ai Bestiari alle Ma-linconie del Dürer. Sono pagine di un li-bro intimo e rivelatore della verità ul-tima per l’artista: la necessità di ritro-vare sé stesso in un’immagine chespesso non possiede “uno stile”, allaquale basta la definizione. «Non mi so-no mai preoccupato dello stile […]; lamia ricerca formale si muove fra il ri-fiuto di uno stile che sento limitativoperché sento che finisce per ingab-biarmi e il tentativo di ributtarmi anuotare liberamente.»2

Nelle opere come Spigolatrici diventadifficile non farsi coinvolgere dalladeformazione dei corpi e dei volti altramonto, dall’ocra caldo che sa tra-smettere la fatica della terra, della cam-pagna, del lavoro. Non è un caso che ivolti rasentino l’illeggibilità, è un carat-tere peculiare della poetica di France-se, l’estremo punto di arrivo del narra-re quello stesso disagio che solo all’in-terno di un ciclo - A quelli di Kronstadt

SCHEDESonia Paini

1 Le citazioni delle parole di Francese sono in M. Corradini, Franco Francese, Milano 2002.2 Ibidem, p. 130.

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- si fa politico. Il soggetto si riferisce al-la rivolta dei marinai contro il governosovietico nel porto della città russa diKronstadt, repressa nel marzo del1921, ma rappresenta, in fondo, la crisipolitica vissuta dal pittore e un’immagi-ne della coscienza, una riflessione sulfallimento di una realtà, quella sociali-sta, che si era rivelata soltanto un’uto-pia. Sono i contrasti dei colori a domi-nare il campo sulle tele di questo ciclo,dove il rosso sprigiona la drammaticitàe la violenza della situazione non anali-ticamente descritta, ma filtrata dall’oc-chio straziato che vede figure dilaniatenell’anima prima ancora che nel corpo.Non sono delineati nemmeno i volti deipersonaggi di Veglia nella stalla del 1956.Anche nell’intimità familiare di una stal-la Francese sembra appena accennaread essi, affidando al colore il compito didar corpo ad un senso di impalpabile af-finità e di dolcissima collaborazioneagreste, che culmina in un abbraccio in-fantile ai piedi del padre. C’è un che disacro in questo angolo caldo e appenarischiarato da una luce a metà, i gesti so-no lenti, addirittura timidi, e non manca-no di richiamare alla memoria la com-postezza interiore e la delicatezza disentimenti tutta contadina.

Bruno Cassinari(Piacenza, 1912-Milano, 1992)

Dal 1926 al ’29 è allievo della Scuolad’arte di Piacenza. Nel 1929 si trasfe-risce a Milano e frequenta i corsi allaScuola d’arte serale di Brera. Si diplo-ma nel 1938 e nello stesso annoespone alla IX Mostra d’arte a Milanoal Palazzo della Permanente. Si lega inquest’occasione al gruppo “Corrente”ed espone alla Bottega omonima nel1941. Nel 1947 si reca per la prima

volta a Parigi e nello stesso annoespone alla Biennale di Venezia, dovenel 1952 sarà premiato. Su invito diPicasso espone nel 1951 ad Antibes.Nel 1956 e nel 1960 è ancora pre-sente a Venezia e alla Quadriennale diRoma del 1959 vince il Premio nazio-nale per la pittura. Numerose mostrelo vedono presente tra Venezia, Mila-no e Firenze per tutti gli anni Settan-ta e Ottanta.

Cassinari è fra gli artisti che aderisco-no a “Corrente”, gruppo sorto nel 1939attorno alla rivista «Corrente di vitagiovanile», fondata da Ernesto Treccanil’anno precedente. Il movimento si in-serisce nel clima della polemica anti-novecentista e antifascista. Per Cassi-nari, come per lo stesso Treccani, perSassu, Birolli, Morlotti, Guttuso, Manzùe altri, il filo conduttore è il ritorno al-la tradizione artistica italiana, filtratadalle esperienze dell’Impressionismo edel Postimpressionismo e fortementeimpegnata politicamente.Oltre ad una evidente propensione neiconfronti del naturalismo, per Cassina-ri è stato fondamentale l’incontro conPablo Picasso, come del resto l’osser-vazione dell’opera di Cèzanne e delcolore fauve.Il risultato è stato una espressione ar-tistica che si potrebbe definire “solidi-ficata”. Come Cèzanne “solidifica”l’Impressionismo, allo stesso modoCassinari ottiene “la plastica col colo-re”3, come egli stesso afferma: «facciospesso della scultura col colore par-lando del colore: adesso, bisognereb-be, almeno qualche volta, aver voglia diprovare a fare i grigi, ma non vengono,non sono nella mia tavolozza.»4

Sono infatti altri i colori della sua ani-ma, il cromatismo negli anni forse ten-de ad accendersi addirittura con gio-chi di contrasto e colori complemen-

3 R. De Grada, Cassinari: oli, bronzi, disegni, 1935-1992, Lecco 2004.4 Ibidem.

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tari. Una tavolozza e uno spirito similia quelli di Matisse, si potrebbe dire,come egli stesso afferma: «La mia pit-tura non potrà mai essere del tuttoastratta nel senso che essa non potràmai essere staccata dalla realtà dellesensazioni, né avulsa dalla gioia e dallapresenza delle cose. […] Io sono mol-to attaccato a tutti i soggetti della na-tura e dell’umanità, perciò non riescoa immaginare un mondo senza un per-sonaggio. Amo troppo queste cose: ilmare, il cielo, gli alberi. E poi le donne,i nudi. Insomma questo lo dico perchiarire la mia posizione di pittore.»5

Un poeta ispirato, dunque, un artistache si è nutrito dell’amore per la pit-tura in maniera sempre spontanea enon è mai scaduto nell’imitazione.

Giuseppe Zigaina(Cervignano del Friuli, 1924)

Nel 1944, conseguita la maturità arti-stica a Venezia, frequenta la facoltà diArchitettura all’Accademia. Nel 1946ad Udine incontra Pier Paolo Pasolini:tra i due nasce subito una profonda esincera amicizia, che li porta a collabo-rare in diversi momenti. Nel 1948 par-tecipa alla sua prima Biennale di Vene-zia, alla quale verrà invitato spesso finoagli anni Ottanta. In seguito conosceGuttuso, Pizzinato, Treccani e Franceseed i critici De Grada, Maltese e De Mi-cheli, con i quali getta le basi del movi-mento realista.Negli anni i rapporti con Pasolini si in-tensificano e, tra il 1954 e il 1971, ese-gue bozzetti e collabora alle scenogra-fie per alcuni suoi film. In questi due de-cenni partecipa a numerose manifesta-zioni e mostre all’estero, da Losanna aSan Francisco, da Helsinki a Reykjavik; escrive il saggio Pasolini e la morte. Mito,

alchimia e semantica nel nulla lucente edue racconti autobiografici.

«Un territorio si presenta - a qualsiasigrado di vivibilità - a immagine e somi-glianza di chi lo abita»6.L’opera di Zigaina è specchio di un in-conscio che trova espressione nelpaesaggio e di una natura che ha l’a-spetto polivalente di paesaggio, di cor-po, di anatomia. L’opera qui esposta,come molte incisioni o disegni con-temporanei, è divisa in due zone sepa-rate da un orizzonte che assume itratti di una pallida iride, a separarel’immagine pastosa di una “meta-morfosi” dal silenzio del resto.In questa scelta compositiva sono evi-denti l’assimilazione dei grandi dellastoria dell’arte, da Dürer a Bacon, maanche un conflitto interiore dell’artistastesso, che lo porta a raffigurare la suamente come encefalo in trasformazio-ne, cervello che diventa spesso crisali-de o “mariposa”, o, a volte, addiritturaimmagine del padre. Il colore contribuisce in qualche modoa trasportare lo spettatore in una sen-sazione ambigua, di sentimenti contra-stanti, che scaturiscono dall’uso di co-lori come il rosa ed il bordeaux dellecarni, mitigati dalla leggerezza dei bei-ge. Nel dipinto trapelano le esperienzedell’artista: il passato e l’infanzia, il Car-so e la Slovenia, dove visse in collegioper anni, la natura di un territorio divi-so fra due nazioni, il Friuli, la sua terra,il suo dolore. Dalla sua condizioned’uomo emerge il silenzio. Il silenzio ècertamente dentro l’artista, che scegliespesso di rappresentare soggetti muti,come gli insetti. Nelle sue opere sicreano dialoghi non verbali, accosta-menti e compenetrazioni di viscere,non parole. Tutto è originato dallostesso archetipo: la natura che è l’ani-

5 Ibidem.6 M. Goldin, Zigaina, Milano 1995, p. 45.

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male ed anche l’uomo. Come la gene-razione della vita avviene nel silenziodel grembo materno, così, pare, osser-vando l’intera produzione dell’artista,di ritrovare sovente i temi dell’incon-scio collettivo e della rinascita.Dualismi insomma, accostamenti,compenetrazioni e metamorfosi, co-me l’autore stesso scrive: «So soltantoche l’azione di segregare i miei fanta-smi nello studio come in un lager e dichiuderne la porta a due mandate, èun’accanita difesa schizoide, quella dicui parla Kafka. Io so tutto questo. Macosa posso farci se sento dire dentrodi me: “È così che dev’essere”?»7

E poi ancora, parlando di Pasolini: «Lanostra amicizia è nata proprio su unun’indefinibile qualcosa che non ci sia-mo mai detti, ma che ognuno di noiper propri conto sapeva. Lui - come hascritto - era ontologico per me comeio lo ero per lui [...]; i nostri corpi han-no parlato come verbalità altra.»8

Ancora una volta, dunque, un incontrosilenzioso con l’amico più caro, che èstato la sua controparte in letteratura.

Renzo Vespignani(Roma, 1924-2001)

I suoi esordi si situano negli anni chevanno dal 1944 al 1948. Il pittore tienela sua prima mostra a Roma nel 1945: èil tempo dei temi come le Periferie.Mentre si lega sempre più ai movimen-ti culturali di sinistra, partecipa alla na-scita della rivista «Città Aperta». Nel1963 fonda assieme ad altri artisti(Guerreschi, Calabria, Ferroni) il grup-po “Il Pro e il Contro”, che opera sulversante della neo-figurazione. Tra la fi-ne degli anni ’60 e l’inizio degli anni ’70affronta i temi della guerra, delle ideo-logie totalitarie e della violenza. Il dolo-

re e il sacrificio di sé sono la base, neglianni ’80, del ciclo su Pasolini, in cui in-daga sull’atroce fine dello scrittore. Nel1985 espone all’Accademia di Franciain una mostra che sviluppa il confrontodialettico con la tematica urbana di unaltro grande osservatore di Roma: ap-punto Pier Paolo Pasolini.Nel 1988 è presente alla mostra Vita-lità della figurazione curata da VittorioSgarbi. È notevole il suo corpus inciso-rio, all’interno del quale spiccano le la-stre dedicate a Giacomo Leopardi.

All’epoca della sua prima personale,nella seconda metà degli anni ’40, il se-gno di Vespignani era crudele, ma neglianni successivi egli l’ammorbidisce e ilsuo linguaggio sembra approdare al-l’osservazione dei classici del secondoEspressionismo, mentre la sua visioneappare meno violentemente politiciz-zata rispetto a quella precedente erappresenta un mondo venato persinodi un acre lirismo, con uno sguardonon molto diverso da quello dei regi-sti Rossellini e De Sica.Per molti anni il mezzo espressivo dalui preferito è il bianco e nero dell’in-chiostro o dell’acquaforte: mezzo “po-vero”, cinico, duro, come il passato daricordare. Già nelle sue prime proved’esordio compare la scoperta di unadimensione urbana che non è soltantopaesaggio, ma livello e qualità diversadel vivere, intuizione dei guasti irrepa-rabili che si vanno producendo neltessuto della società italiana. Questotema, in forme più o meno esplicite,resterà sempre al fondo del suo ope-rare. La sua pittura sembra accompa-gnare criticamente la storia dei decen-ni centrali del Novecento, dalla rico-struzione post-bellica alle illusioni delconsumismo, fino alla catastrofe del-l’urbanizzazione selvaggia e alla conse-

7 G. Zigaina, Mio padre l’ariete, Venezia 1987, p. 45.8 Ibidem.

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guente morte della residua culturacontadina.La sua pittura degli anni Sessanta èbuia, spettrale, a tratti sfiora l’informa-le per la presenza di penombre ango-sciose, in cui l’uomo sembra smarrirsi.È il caso di Periferia, del 1963. Nella vi-sione urbana c’è il tentativo di trovarela risposta alle motivazioni di un pro-blema di vita moderna, di costume, ditematica sociologica che, dato il parti-colare mezzo espressivo, non può, asua volta, che restringersi nei termini,pur appassionati, e ancora irrazionali,della denuncia. Più Vespignani è, nel se-gno, violento e preciso, più subisce itremendi grigiori della periferia prole-taria, le sue tristezze senza fondo. L’uo-mo è protagonista di questa periferia,non perché è ritratto in essa, ma per-ché sono i suoi occhi ad averla dipinta.Nel disegno intitolato Figura in movi-mento l’artista racconta la trasforma-zione di un essere che ha già compiu-to la sua metamorfosi, «che ha lascia-to chissà dove, forse nel solo angolopolveroso della casa, la sua cuticolalarvale e sfoggia ormai uno smagliantetegumento di insetto perfetto»9. Nien-te è più drammatico e ripugnante del-lo spettacolo di queste figure che ge-nerano un terribile sentimento di pe-na per l’uomo. E l’uomo alienato, cheha in sé qualcosa di robotico, non havolto, perché non ha definizioni psico-logiche o sociali, vive un disagio che glideriva da un adattamento forzato adun mondo snaturato: l’orrore sta nelnon poter comprendere se è possibilevoltarsi indietro.Scrive il critico Carrieri nel 1980: «Leprime incisioni e inchiostri di Vespi-gnani li ho visti esposti subito dopo laguerra nelle botteghe di Via Margutta.I suoi fogli sembravano avessero inogni filo d’inchiostro un aculeo, una

spina, una miccia: qualcosa che graffias-se o stesse per prendere fuoco. Unfuoco invisibile ma impellente. Il silen-zio era più temibile, creava vuoti e alo-ni di vuoti intorno a persone e cose.La guerra che aveva lasciato sangue emacchie ovunque, nelle strade e piaz-ze e baracche di Vespignani sembravairremovibile. E irremovibili i rottami, irifiuti, le macchine, i cani uccisi, i cri-stiani [...]. Gli inchiostri che mi davanouna emozione profonda erano gli scalie le stazioni ferroviarie. Respiravo l’an-tracite ed ero preso da tosse convulsacome se gli occhi con cui guardavo ivecchi vagoni facessero parte del miosistema respiratorio ridotto a un mar-chingegno arrugginito.»10

Remo Brindisi(Roma, 1918-Lido di Spina, 1996)

Sino al 1946 vive tra Pescara, L’Aquila,Roma, Firenze e Venezia. Si forma dap-prima al Centro sperimentale di sce-nografia di Roma e, successivamente,all’Istituto d’arte di Urbino. Assente inlui sin dai primi lavori il gusto per l’e-quilibrio e per l’armonia, le sue operepaiono rispecchiare il suo rapportocol vissuto, eliminando riferimenti col-ti. Nel 1946 si trasferisce a Milano e lasua pittura risente di influenze cubiste.Gli anni ’50 segnano la pittura dell’ar-tista in senso informale. Il tema dellalotta e della violenza caratterizzerà leopere della fine degli anni Sessanta edegli anni Settanta, con il ciclo dei Con-testatori. Nel 1972 è nominato presi-dente della Triennale di Milano e nellastessa città espone all’Arengario alla fi-ne degli anni Ottanta.

Quella di Remo Brindisi è una poeticadai vari volti, cui è certamente difficile

19 R. Vespignani, Disegni del 1964-1965, Roma 1965.10 Testo pubblicato nell’antologia critica in http://www.galleriavirtuale.net/vespignani/index.htm.

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attribuire una definizione proprio perla ricchezza e per la resa degli impulsi.Sicuramente l’Espressionismo tedescogli ha ispirato quel segno nero che tan-te volte permette anche al non inten-ditore d’arte di riconoscere la sua ma-no. La linea tonda di Brindisi, creataguardando ai tratti neri e spezzati del-la Brücke, ha un carattere forte, un ac-cento drammatico che emerge nonsolo nelle opere politiche, ma anche inopere apparentemente descrittive co-me le Venezie o gli Amplessi.In ogni caso si può sottolineare comesoprattutto il recupero di temi intimisti-ci, come nelle Maternità o nelle Pastora-li, di cui un esempio è in mostra, sia in li-nea con la tradizione naturalista italianae dimostri di essere insieme patrimoniovisivo e radicato nella memoria. È altresì evidente come questo suo mo-do di procedere si trovi spesso su unavoluta, cercata, sottile linea di confinetra l’astrattismo e la volontà di figura-zione attraverso il colore e la forma.Cesare Maccari ha scritto negli anni ’70:«Remo Brindisi esercita sull’osservato-re attrazione e repulsione allo stessotempo: non è semplice né facile acco-glierlo d’un tratto o ripudiarlo»11.L’opera qui presentata, Pastorale, è for-se fra le più gradevoli dell’autore, gra-zie al colore e ad una resa morbida, inqualche modo sfumata, dei soggetti. Vi-ve in questa tela una sorta di rarefattopanteismo bucolico, reso attraverso lafusione simbolica del paesaggio e deipersonaggi. Lo stesso titolo rimanda aqualcosa di sospeso nella mente piùche a una scena concreta, eppure nel-la sua interezza l’opera conserva unacomponente reale, perché tale è il ri-cordo. E in fondo tutta l’opera di Brin-disi è basata sul rifiuto del raccontoistantaneo, impressionista, e su un’im-magine che impone all’osservatore la“fatica” fisica dell’empatia.

Giannetto Fieschi(Zogno, 1921)

Di antica famiglia genovese, sin da gio-vane manifesta interesse per il disegno.Iscrittosi nel 1940 alla facoltà di Medi-cina e contemporaneamente all’Acca-demia Ligustica di belle arti, nel 1946conosce Felice Casorati, grazie al qualeottiene una personale alla Galleria delBosco di Torino e partecipa alle Bien-nali di Venezia nel 1948 e nel 1950. Daqui in poi la sua pittura conosce un’e-voluzione decisamente astratta. Ancheper l’interessamento di Giulio CarloArgan, ottiene due borse di studio a Pa-rigi e Barcellona. Dal 1950 al 1955 sog-giorna a New York. In questo periodorealizza i libri d’artista Il Leviatano e Thecats are hungry. Nel 1965 viene presen-tata una sua antologica presso il Museocivico di Bologna. Nel 1972 partecipaalla Quadriennale di Roma e nel 1980gli viene conferito dall’Accademia Ligu-stica di Genova l’insegnamento di tec-niche dell’incisione.

Giannetto Fieschi potrebbe insiemeessere considerato artista visionario,gotico e surrealista. Uomo dalleprofonde inquietudini, Fieschi non hamai amato l’idea di venire classificatoo “definito”. Non potrebbe. Certo, inlui come nella quasi totalità dei suoicoetanei, resta probabilmente fissatodrammaticamente addosso l’orroredelle guerre. Orrore-buio che si tra-sforma in una materia a volte capacedi corrodere l’animo, scura e violentacom’è. Anche quando, in alcune inven-zioni di Fieschi l’ironia sembra essernela chiave di lettura, la verità pare alla fi-ne non spiegarsi in altro modo se noncon l’amarezza della realtà e la diffi-coltà del sopravvivere. Un’opera come Figliol prodigo quiesposta, del 1968, emana una forza af-

11 C. Maccari, in Personale di Remo Brindisi, Montecatini 1970.

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fascinante: nell’abbraccio tra padre efiglio, nella deformazione dei corpisembra di cogliere la distanza tra i duepersonaggi, tra un padre dai tratti di-sumani, ma dal sorriso colmo di com-mozione, e un figlio che, nella sua di-versa deformazione, non possiede unvolto. È come cogliere la distanza cheesiste tra Dio e l’uomo, tra un Dio ter-ribile eppur magnanimo e un figliomolto più piccolo a cui altro non restada fare se non affidarsi alle braccia delpadre. E all’autore altro non resta senon la sua firma, che spesso spezza ilsuo nome, come in questo caso, forsea significare una complessità nel suoessere e l’oscurità (medievale come icaratteri) della sua anima.

Bruno Caruso(Palermo, 1929)

Affascinato sin da bambino dai disegniarchitettonici del padre, inizia a dise-gnare giovanissimo, copiando Leonar-do, Pisanello e Mantegna. Laureato inGiurisprudenza, frequenta con passio-ne nella sua città natale i corsi liberidell’Accademia di belle arti e la facoltàdi Lettere e filosofia. Si trasferisce ne-gli anni ’40 a Vienna, dove rimane col-pito dai lavori di Klimt e di Schiele. Nel1949 inaugura la sua prima personalealla Libreria Flaccovio di Palermo. Nel1950 si reca a Parigi e Londra. Nel1954 e nel 1956 partecipa alla Bienna-le di Venezia, nel 1955 e nel 1959 allaQuadriennale romana. Negli anni ’60alcuni suoi lavori vengono pubblicatidal «Times», da «Fortune» e da «Life».Nel corso dei suoi frequenti viaggi (dalMedio Oriente agli Usa) esegue ritrat-ti di numerosi artisti, raccolti nel 1978nel volume Mitologia dell’arte moderna.Ha illustrato opere di Machiavelli,Mallarmé, Ungaretti e Manzoni, haesposto in tutto il mondo e i suoi la-vori si trovano nelle grandi collezionie nei principali musei. Nel 1986 l’Uni-

versità di Palermo gli ha conferito lalaurea honoris causa in materie lette-rarie.

Artista raffinato, intellettuale, BrunoCaruso ha messo la sua arte al servi-zio del proprio vissuto. Fin dagli esor-di, e in particolare dagli anni Cinquan-ta, periodo in cui, tra l’altro, stringeamicizie con personaggi come ThomasMann, Vittorini e Quasimodo, è attrat-to dalla gente semplice della città, da-gli artigiani e dai pescatori, in una pa-rola, dalla realtà. In Sicilia disegna confervore i contadini impegnati nella lot-ta per l’occupazione delle terre ecompie un ciclo di disegni sulla stragedi Portella delle Ginestre. È allora cheha origine, in seguito all’amicizia conGirolamo Li Causi, guida delle lottecontadine, la sua partecipazione inmodo attivo alla lotta per l’emancipa-zione culturale della Sicilia e l’impegnocontro la mafia. Sempre in questi stessi anni la sua at-tività è concentrata presso il manico-mio di Palermo, nella realizzazione diun gruppo di disegni che testimonianol’orrore della condizione degli interna-ti negli ospedali psichiatrici.Negli anni successivi nasce in Carusol’esigenza di ricercare le profonde ra-gioni delle condizioni del disagio del-l’umanità in senso sociale, come lapersistenza delle dittature, ed in sensomateriale, come la fame, esigenza chelo spingerà a cominciare una lunga se-rie di viaggi nei paesi più poveri. La lun-ga permanenza in Iran e nei paesi ara-bi, in India, in Thailandia e in Giapponegli permette di scoprire anche i capo-lavori dell’arte orientale: si appassio-nerà infatti alla miniatura persiana edindiana e frequenterà a Teheran uncorso di calligrafia persiana. Il forte bi-dimensionalismo di opere come Natu-ra morta scomparsa, del 1973, è debi-tore di questa passione per l’oriente,in particolare per l’arte giapponese eper Hokusai.

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È anche inevitabile accostare le operedi Caruso per l’uso del colore al Po-stimpressionismo e al Divisionismo:tuttavia le motivazioni di un puntinismocosì preciso nulla hanno a che vederecon la ricerca delle leggi ottiche di Che-vreul, così come alcuni esiti “surrealisti”non hanno nulla a che vedere con MaxErnst o Yves Tanguy. Non bisogna nem-meno dimenticare che Caruso lavoraanche negli Stati Uniti, dove si interessaa personalità della politica e della cultu-ra come Malcom X, Jack Levine, Ten-nessee Williams e Ben Shahn. La Natura morta in mostra è il “ritratto”di una tavola siciliana scomparsa, di unpassato che, forse, resterà tale. Nelleforme, che potrebbero ricordare quel-le della Pop Art, si ricollega alla naturamorta della pittura di genere del XVIIsecolo, che era un simbolo allora attua-le, come lo è oggi, appunto, la Pop Art.

Valerio Adami(Bologna, 1935)

Nato a Bologna nel 1935 e formatosiall’Accademia di Brera, esordisce nel1955 all’insegna della ricerca di unnuovo spazio per la figura, superandol’esperienza informale. Nel 1959 pre-senta la sua prima personale e parte-cipa alla VIII Quadriennale romana. Trail 1961 e il 1969 lavora tra Londra eParigi, sviluppando un suo linguaggioconciso e sintetico. Nel 1968 parteci-pa alla Biennale di Venezia e l’anno suc-cessivo espone al Jewish Museum diNew York. Nel 1970 gli viene dedicatauna grande mostra personale al Muséed’Art Moderne de la Ville de Paris, do-ve esporrà poi regolarmente. Nel1980 lo scrittore Italo Calvino, ispiran-dosi a una serie di suoi quadri, pubbli-ca Quattro favole di Esopo per Adami, te-sto-prefazione ad alcune mostre del-l’artista. Risale al 1985 una sua grandeantologica al Centre Georges Pompi-dou di Parigi, cui ne seguiranno altre a

Madrid nel 1991, a Siena nel 1994 e aBuenos Aires nel 1998.

La tela qui in mostra, Lo specchio, dipin-ta nel 1965, presenta un gioco cromati-co in cui i colori sembrano volersi infa-stidire a vicenda, come avviene in altreopere dello stesso anno. Lo specchio èil mezzo e il luogo del riflesso, ma lostesso riflesso dello specchio, come inLas Meninas di Velázquez, cela l’inganno.L’ambiguità che ne deriva suscita unamolteplicità di letture, tutte ruotanti at-torno a significati ironici che, per qual-che strano scherzo, si trasformano inamaro sarcasmo. D’altra parte l’opera èdipinta negli anni in cui nascono i mitidei media e la Pop Art e la cultura dimassa si impadronisce anche della visio-ne dell’arte. Già da qualche anno Adamista volgendo lo sguardo agli aspetti del-l’arte espressi oltreoceano, facendoneproprie alcune componenti, come l’au-tocelebrazione, l’ironia ed il sarcasmo. In un’opera come questa c’è soprattut-to autoironia, insieme con l’attenzioneper il fumetto rivisitato da Lichtenstein.La linea e il contorno danno la forma, ilcolore è piatto, basato su poche tona-lità stridenti. L’assenza della tridimen-sionalità e della prospettiva destabilizzala possibilità d’osservazione, rendendotutto più complesso. Laddove il segnonon lascia (o quasi) dubbi, subentra iltocco surreale, che rende impossibilepercepire fino in fondo il senso ultimodell’opera. Eppure Adami è stato piùvolte definito il pittore della stanza: illuogo, in fondo, in cui l’uso della pro-spettiva centrale sarebbe il più ovvio esemplice. L’artista lo rifiuta, perché amagiocare con il soggetto, e ancor di piùcon lo spettatore.

Concetto Pozzati(Vò Vecchio di Padova, 1935)

Nel 1949 si trasferisce a Bologna, do-ve si diploma all’Istituto d’arte. Nel

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1955 soggiorna a Parigi per perfezio-nare lo studio della grafica pubblicita-ria. Esordisce in mostre collettive nel1957 al Morgan’s Paint di Rimini e nel-l’anno successivo alla Permanente diMilano. Nel 1964 espone tre opere al-la Biennale di Venezia. Negli anni se-guenti rivolge la sua attenzione di arti-sta “rapinatore” (come egli stesso sidefinisce) al patrimonio iconograficodell’arte del passato. La sua produzio-ne degli anni ’80 è contraddistinta daassemblaggi di oggetti disparati, comevecchie fotografie, buste e grandi ac-querelli con pani giganti.

«La coscienza critica del linguaggiorappresenta da sempre la centralitàdel lavoro di Concetto Pozzati. Ho giàdetto altre volte che il linguaggio staall’artista antinaturalista come la natu-ra sta al pittore naturalista. Essendo ilprimo caso cui ci si deve per lui atte-nere, ecco spiegato perché il linguag-gio si spalanca al suo sguardo, alle sueanalisi e alle sue tentazioni, come, perfare un esempio, il paesaggio si predi-sponeva all’indagine di un’arte legata aiprincipi e alle tipologie ottocentesche.Non vi sono dubbi che la consapevo-lezza cui accennavo è la trama portan-te dell’opera di Pozzati nel corso diormai trent’anni di lavoro. Assieme apochi altri, Pozzati è uno dei rari arti-sti maturati sul finire degli anni Cin-quanta (all’alba cioè di una cultura in-dustriale trionfante nei parametri del-la mercificazione) che abbia accettatola sfida tecnologica senza venir menoalla specificità conoscitiva dell’artista,al taglio critico dello sguardo, alla sen-sibilità di quella e alla qualità evocativadi questo.»12 Questo è quanto affermaGiorgio Cortenova in un saggio sul-l’artista, in accordo con Giuliano Bri-ganti: «È certo che questo “predone di

immagini” è convinto, rapinandole, diservirsi di ciò che è stato creato soloper servire, per essere rubato e pos-seduto, così come è convinto che leimmagini non nascono dall’immagina-zione ma solo da altre immagini, checioè le immagini sono il linguaggio del-le immagini come l’arte è il linguaggiodell’arte. Si attiene quindi alle immagi-ni ricevute, guardandosi bene di cer-carne altre nella realtà esterna o al-trove, cioè fuori del campo specificoche gli offre il lessico del suo mestie-re, perché sa che quanto trova in quel-lo spazio può bastargli, che anzi nonpuò servirgli altro. Vi trova quindi - edove le trovi non conta - immagini chesono portatrici di un significato il qua-le può essere punto di partenza perun fruttifero riciclaggio, in quella ope-razione sulle tipologie e sulle simbolo-gie artistiche che più l’interessa.»13

Qual è la pera vera? è senza dubbioun’opera storica di straordinario im-patto. Credo che una delle sue princi-pali caratteristiche sia in primo luogouna accattivante simpatia tutta Dada.Quest’opera è anche un inno alloscherzo, a quel doppio senso dellospecchio di Adami, ma soprattutto è lacelebrazione in chiave ironica della na-tura morta. È colore e fantasia surrea-lista. È stuzzicare “pavlovianamente” lospettatore, il quale si mette (immanca-bilmente!) a contare i frutti davanti aduno specchio dalla stessa forma, checrea un’ombra. Perciò non si può es-sere sicuri, alla fine della conta, del nu-mero esatto di pere, che forse altronon sono che la stessa unica pera. E ilgioco ancora non finisce, perché la se-quenza dei colori non è casuale, manemmeno regolare, come del restonon si può capire se in realtà ci sia lavera pera in movimento partita dall’al-to della tela o dal basso o, ancora, dal-

12 G. Cortenova, La matassa della coscienza, Milano 1992.13 G. Briganti, Quel pittore rapina le immagini, in «la Repubblica», 11 maggio 1986.

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lo specchio. Lo stesso titolo disorien-ta per un attimo: la domanda dell’arti-sta sposta l’attenzione dalla “quantità”alla “qualità”. Mentre la reazione di chiguarda porta a notare la dimensionedell’opera e la serialità degli oggettirappresentati, l’autore invita (polemi-camente?) a imparare a scegliere e atrovare la verità fra le tante possibilitàche il contemporaneo ci offre.

Augusto Perez(Messina, 1929-Napoli, 2001)

All’età di sette anni si trasferisce conla famiglia a Napoli, dove, intorno aidiciassette anni, frequentando lo stu-dio dello scultore Tomai, si rendeconto della sua forte vocazione allascultura. Nel 1948 ottiene la maturitàclassica e l’anno seguente si iscrive al-la facoltà di Architettura, che abban-donerà nel 1952, per conseguire lamaturità artistica e intraprendere,per alcuni anni, la carriera dell’inse-gnamento. Due anni dopo espone aNapoli e conosce Guttuso. Nel 1955diviene assistente alla cattedra diScultura dell’Accademia di belle artidi Napoli, tenuta da Emilio Greco.Nel 1960 ottiene una sala personalealla XI Biennale di Venezia, dove espo-ne alcuni grandi bronzi. Inizia per l’ar-tista una lunga serie di esposizioni inItalia e all’estero (Parigi, Londra, NewYork, Alessandria d’Egitto, Berlino, Li-verpool, Pittsburg, Anversa eccetera).Partecipa a rilevanti rassegne interna-zionali di scultura ed espone in pre-stigiose gallerie italiane, presentatoda Crispolti, De Micheli, Solmi. Fran-co Simongini gli dedica, nel 1969, contesto di Cesare Brandi, e nel 1978due documentari televisivi. Nel 1986è invitato alla IX Quadriennale di Ro-

ma e viene eletto accademico dei Vir-tuosi del Pantheon. L’anno seguentela città di Messina gli rende omaggiocon una grande mostra antologica.

Sullo scultore Renato Guttuso nel1958 ha scritto: «il problema della for-ma in Perez è essenziale e perciò lasua opera è tra le rare d’oggi che nonsi aliena ad una problematica astratta,ma investe direttamente il mondo rea-le, e si adopera a risolvere i problemiche quest’arte presenta, senza ricorre-re a scappatoie, senza eludere rischi,senza genericizzare i contenuti. […]Perez affronta la realtà per capirla, perconoscerla, per esprimere i significati,i valori che gli interessano, senza viola-zioni. Anche nei confronti della mate-ria non va a cercare materie strane espettacolari; la sua audacia maggiore èil cemento: per il resto è fedele al ges-so, al bronzo. Sapendo, e ha l’aria diaverlo sempre saputo, che il significatodi una materia consiste nella caricaespressiva che un artista ha saputoinfondervi.»14

I temi e i soggetti di questo scultoreindagano nel passato, nella memorialetteraria, nell’epos. Dei protagonisti edegli avvenimenti egli cerca di fornireuna sorta di ricostruzione moderna. Ènell’ambito di questa acuta imposta-zione del problema plastico che na-scono le abrasioni dei volti, gli sfalda-menti e le mutilazioni dei personaggi,che altro non sono se non «eroi su-perstiti di una mitica civiltà»15, per dir-la con Vitaliano Corbi, i quali, anchequando sembrano riproporre i toni diuna classicità felice, restano comunquelegati ad una condizione esistenziale diinfelicità perché, come afferma Cara-mel, «ne denunciano la caduta e l’as-senza desolata del nostro orizzonte divita»16.

14 V. Corbi, Perez, Torino 1974.15 Ibidem, p. 84.16 Ibidem, p. 83.

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Attratto dal bagliore della superficie,Perez vi si precipita fino a sfondarla;nella esaltazione del suo luminismopittorico trae dalla materia il lampo eil nero vuoto, ricordando vagamente,in questo, il dinamismo bocconiano; in-fine approda a toni surrealistici, allaDalì, componendo e decomponendoun consumato e manieristico gustobarocco.

Floriano Bodini(Varese, 1933-Milano, 2005)

Si forma a Milano, all’Accademia diBrera, sotto la guida di FrancescoMessina. È stato animatore del gruppodi giovani artisti milanesi del RealismoEsistenziale. Risale al 1968 una mostradedicata al Ritratto di un Papa, oggi aiMusei Vaticani. L’interesse per l’inse-gnamento porta l’artista a un’intensaattività didattica: titolare dal 1978 del-la cattedra di Scultura all’Accademia dibelle arti di Carrara, ne è direttore fi-no al 1987 e presidente dal 1991 al1994. Concluso l’insegnamento carra-rese, prosegue l’esperienza didattica aDarmstadt in Germania, presso il Poli-tecnico di Architettura, dal 1987 al1998. Tra le sue realizzazioni recentisono da ricordare il monumento deiSette di Gottinga, eretto ad Hannovernel 1998, quello in marmo a Virgilio perla città di Brindisi (1985), il Paolo VI nelduomo di Milano (1989), la Santa Brigi-da e il Crocifisso (1999) nella basilica diSan Pietro a Roma. È autore del mo-numento a Paolo VI per il Sacro Montedi Varese, di un imponente Volo di co-lombe per la nuova sede dell’AGIP diSan Donato Milanese e della Porta san-ta della basilica di San Giovanni in La-terano. A Carrara, in piazza San Fran-cesco, davanti al laboratorio Nicoli,

per anni familiare allo scultore, è col-locato il monumento al Cavatore, ope-ra realizzata nel 1995.

Bodini non propone semplicementeuna scultura: prima di essa, infatti, vi èl’idea che sta alla base del progetto.Idea, in questo caso, non è un guizzodell’ingegno o uno slancio artistico asé stante, bensì scelta critica, decisio-ne impegnata e razionale e, in un cer-to senso, desiderio inappagato. CheIdea critica per un monumento all’eroenon sia un semplice gioco scultoreolo si capisce non solo dal titolo (in sécritico e possibilista) o dalla storiadell’artista, ma anche dalla scelta delsoggetto, quell’eroe senza braccia esenza gambe che pare cavalcare sola-mente con la forza dello sguardo. Maper dove? Incontro a chi e a cosa? Al-lo spettatore, probabilmente, cuispetta la scelta della direzione, la de-cisione di voltare in un senso o inquello opposto fidandosi di una odell’altra testa di un cavallo e di uneroe smarriti, o, forse, di un artistache ha voluto criticamente non sce-gliere. Il fatto che il soggetto non siasemplicemente un eroe, dotato di ec-cezionali virtù di coraggio e abnega-zione, tali da suscitare l’ammirazionedi tutti, ma sia un monumento, quindila consacrazione di quelle virtù, diper sé non avrebbe nulla di straordi-nario, non fosse che l’eroe di Bodini,e il suo monumento, si stagliano, piùche come una celebrazione, come unmonito. La scultura esprime una do-manda fondamentale: è davvero uneroe chi sa sempre scegliere, chi sasempre decidere in che direzione gui-dare il proprio cavallo di battaglia? Epiù in generale: si è eroi nel momen-to in cui si decide, giorno per giorno,che tipo di vita affrontare?

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Le opere

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1. Aldo CarpiTre maschere, 1960

olio su tela, cm 89x69Brescia, Civici Musei d’arte, storia e scienze, Galleria d’arte moderna e contemporanea, inv. 1154

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2. Bepi RomagnoniModificazione, 1960

olio su tela, cm 100x80Brescia, collezione privata

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3. Bepi RomagnoniRacconto, 1962

collage e tecnica mista su tela, cm 50x70Brescia, collezione privata

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4. Tino VaglieriPiatto rotto al confine della città, 1971

olio su tela, cm 70x50Brescia, collezione Rossetti

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5. Tino VaglieriAl confine della città. Uscita dalla fabbrica. Strumenti, 1972

olio su tela, cm 90x70Brescia, collezione Rossetti

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6. Mino CerettiSegni quotidiani, 1964

olio su tela, cm 100x81Brescia, collezione privata

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7. Giuseppe GuerreschiSenza titolo, 1953

disegno su carta, cm 67x47Brescia, collezione Carlo Paini, Galleria Lo Spazio

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8. Giuseppe GuerreschiTesta grande, 1962

olio su tela, cm 135x120Brescia, Civici Musei d’arte, storia e scienze, Galleria d’arte moderna e contemporanea, inv. 1234

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9. Giuseppe GuerreschiBusto floreale, 1971

olio su tela, cm 98x68Brescia, collezione A.P.

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10. Giuseppe BanchieriRose d’inverno, 1977

olio su tela, cm 120x120Brescia, collezione privata

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11. Gianfranco FerroniIl racconto del lago, 1964olio su tela, cm 95x119Brescia, collezione A.P.

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12. Sandro LuporiniPonte di ferro. Scalo Farini, 1960

olio su tela, cm 79x79Brescia, Civici Musei d’arte, storia e scienze, Galleria d’arte moderna e contemporanea, inv. 1274

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13. Giuseppe MartinelliSpiaggia, 1967/68

olio su tela, cm 120x100Brescia, collezione privata

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14. Giovanni CappelliAlbergo diurno, 1961

olio su tela, cm 100x130Brescia, Civici Musei d’arte, storia e scienze, Galleria d’arte moderna e contemporanea, inv. 1300

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15. Giovanni CappelliQuinta corsia, 1975

olio su tela, cm 90x116Brescia, collezione privata

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16. Sergio VacchiFigura nella roccia, 1973olio su tela, cm 40x71

Brescia, collezione privata

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17. Sergio VacchiMangiafuoco, 1979

olio su tela, cm 40x79Brescia, collezione Gianguido Scarampella

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18. Attilio ForgioliL’isola, 1970

olio su tela, cm 69x78Brescia, collezione Gianguido Scarampella

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19. Franco FranceseSpigolatrici, 1953

olio su tela, cm 50x40Brescia, collezione Gianguido Scarampella

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20. Franco FranceseInterno. Veglia nella stalla, 1956

olio su tela, cm 49x55Brescia, collezione Gianguido Scarampella

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21. Franco FranceseA quelli di Kronstadt, 1964olio su tela, cm 72x113Brescia, collezione A.P.

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22. Bruno CassinariEstate, 1958

olio su tela, cm 138x97Brescia, collezione privata

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23. Giuseppe ZigainaSenza titolo, 1971

olio su tela, cm 100x80Brescia, collezione Gianguido Scarampella

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24. Renzo VespignaniPeriferia, 1963

tecnica mista su cartone, cm 69x105Brescia, collezione A.P.

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25. Renzo VespignaniFigura in movimento, 1964tecnica mista, cm 103x74Brescia, collezione privata

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26. Remo BrindisiPastorale, 1969

olio su tela, cm 50x70Brescia, collezione Carlo Paini, Galleria Lo Spazio

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27. Giannetto FieschiFigliol prodigo, 1968

olio su tela, cm 80x60Brescia, collezione Gianguido Scarampella

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28. Bruno CarusoNatura morta scomparsa, 1968

olio su tela, cm 50x100Brescia, collezione Carlo Paini, Galleria Lo Spazio

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29. Valerio AdamiLo specchio, 1965

acrilico su tela, cm 65x81Brescia, collezione privata

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30. Concetto PozzatiQual è la pera vera?, 1968

tecnica mista su tela, cm 198x270Brescia, collezione Carlo Paini, Galleria Lo Spazio

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31. Augusto PerezLuigi XIV, 1967

bronzo, cm 58x54x33Brescia, collezione privata

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32. Augusto PerezBusto di donna (Testa di ermafrodito), 1974

bronzo, cm 58x40x20Brescia, collezione A.P.

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33. Floriano BodiniIdea critica per un monumento all’eroe, 1979

bronzo, cm 72x56x33Brescia, collezione A.P.

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Sommario

3 PremessaPia Ferrari

5 Dal Realismo Esistenziale alla Nuova FigurazionePia Ferrari

9 Presenze della figurazione alla Biennale di VeneziaSonia Paini

13 SchedePia Ferrari

23 SchedeSonia Paini

35 Le opere

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Classici del contemporaneo - 8La Nuova Figurazione dagli anni Cinquanta agli anni Settantanelle collezioni brescianeMostra promossa e organizzata dall’Associazione Artisti Brescianiin collaborazione con i Civici Musei16 settembre - 25 ottobre 2006

Cura della mostraPia Ferrari e Sonia Paini, con la collaborazione di Ermete Botticini

Comitato organizzativoErmete Botticini, Luisa Cervati, Vasco Frati, Martino Gerevini, Luciano Salodini

Cura del catalogoVasco Frati e Giuseppina Ragusini

Progetto grafico del catalogoMartino Gerevini

Allestimento della mostraErmete Botticini

Referenze fotografichePiera Tabaglio, dell’Archivio fotografico dei Civici Musei d’arte, storia e scienze di BresciaRoberto Mora, Brescia

TrasportiSquadra tecnica dei Civici MuseiCortesi s.r.l.

AssicurazioneSocietà Cattolica di Assicurazione, Agenzia generale di Brescia

Segreteria dell’AABSimona Di Cio e Corrado Venturini

L’AAB e i curatori della mostra rivolgono un cordiale ringraziamento per la loro preziosacollaborazione alla direzione dei Civici Musei d’arte, storia e scienze, in particolare alladirettrice Renata Stradiotti, a Luisa Cervati, Ugo Spini, Piera Tabaglio, Giuliana Ventura,Gerardo Brentegani e alla Squadra tecnica; alla Soprintendenza per il patrimonio storico,artistico ed etnoantropologico per le province di Brescia Cremona e Mantova, in particolareal soprintendente Filippo Trevisani e al funzionario Rita Dugoni; ai collezionisti prestatori;alle Fondazioni ASM Brescia e CAB; agli sponsor.

Fotocomposizione e stampaArti Grafiche Apollonio – Brescia

Finito di stampare nel mese di settembre 2006.Di questo catalogo sono state tirate 250 copie.

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