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Roggero Donato Classe 59 Laboratorio di didattica della Fisica Prof. Pilo - Prof. Tuccio IL FENOMENO DELLA POLARIZZAZIONE DELLA LUCE- PERCEZIONE DEL PIANO DI POLARIZZAZIONE DELLA LUCE NELLE API. Questa relazione è suddivisa in tre parti. Vi è una parte iniziale con una descrizione (che fondamentalmente mi è servita come ripasso e approfondimento), a livello adulto, sulla natura delle onde elettromagnetiche, sulle grandezze fondamentali della propagazione ondulatoria e infine sul fenomeno della polarizzazione. La seconda parte contiene un percorso didattico su come io introdurrei il fenomeno della polarizzazione in una classe di scuola media, inclusa una esperienza di laboratorio sulla polarizzazione da proporre agli studenti. Nella terza parte si fanno dei cenni sulla percezione del piano di polarizzazione della luce nelle api. 1 a PARTE Cenni sulla natura della onde elettromagnetiche Le equazioni di Maxwell unificano i fenomeni elettrici, magnetici e ottici, interpretando il campo elettrico e il campo magnetico come componenti di un unico ente, il campo elettromagnetico. Dalle equazioni di Maxwell si ricava inoltre che ogni volta che si ha una variazione di campo elettrico si genera un campo magnetico; viceversa, da un campo magnetico variabile nel tempo si genera un campo elettrico. Il fenomeno alla base della generazione di campi elettrico e magnetico variabili nel tempo è l’accelerazione di una particella carica. Ad esempio una tensione alternata sinusoidale, applicata a un’antenna composta da due fili disposti verticalmente e consecutivi l’uno all’altro (antenna a dipolo), forza le cariche elettriche libere, presenti nei conduttori, a oscillare. Questo genera nelle vicinanze dell’antenna un campo elettrico (vedi figura) parallelo ad essa, che si inverte di segno ogni volta che si inverte la polarità applicata alle due semi-antenne. Questa perturbazione del campo elettrico non si propaga istantaneamente nello spazio circostante l’antenna, ma si muove con velocità finita se pur grande, pari a c (circa 300000 km/s) e produce così un’onda elettrica la cui ampiezza varia in modo sinusoidale, il campo magnetico oscilla su di un piano perpendicolare a quello del campo elettrico ed è in fase col campo elettrico: quando è massimo il campo elettrico è massimo anche quello magnetico. I campi elettrico e magnetico variabili nel tempo, si rigenerano a vicenda in un ciclo infinito, permettendo così alla perturbazione di propagarsi anche in assenza della sorgente che l’ha generata. I rispettivi piani di vibrazione del campo elettrico e magnetico (individuati dalla direzione di propagazione e da quella del vettore rappresentativo o del campo elettrico o del campo magnetico) sono perpendicolari fra loro. In genere le direzioni di vibrazione non si mantengono fisse ma si distribuiscono su tutte le direzioni. In tal caso si dice che l’onda non è polarizzata. Se invece i vettori elettrico e magnetico si mantengono sempre negli stessi piani passanti per la direzione di propagazione, si parla di onda polarizzata planarmente o linearmente. (vedi figura).

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Roggero Donato Classe 59 Laboratorio di didattica della Fisica Prof. Pilo - Prof. Tuccio IL FENOMENO DELLA POLARIZZAZIONE DELLA LUCE- PERCEZIONE DEL PIANO DI POLARIZZAZIONE DELLA LUCE NELLE API. Questa relazione è suddivisa in tre parti. Vi è una parte iniziale con una descrizione (che fondamentalmente mi è servita come ripasso e approfondimento), a livello adulto, sulla natura delle onde elettromagnetiche, sulle grandezze fondamentali della propagazione ondulatoria e infine sul fenomeno della polarizzazione. La seconda parte contiene un percorso didattico su come io introdurrei il fenomeno della polarizzazione in una classe di scuola media, inclusa una esperienza di laboratorio sulla polarizzazione da proporre agli studenti. Nella terza parte si fanno dei cenni sulla percezione del piano di polarizzazione della luce nelle api. 1a PARTE Cenni sulla natura della onde elettromagnetiche Le equazioni di Maxwell unificano i fenomeni elettrici, magnetici e ottici, interpretando il campo elettrico e il campo magnetico come componenti di un unico ente, il campo elettromagnetico. Dalle equazioni di Maxwell si ricava inoltre che ogni volta che si ha una variazione di campo elettrico si genera un campo magnetico; viceversa, da un campo magnetico variabile nel tempo si genera un campo elettrico. Il fenomeno alla base della generazione di campi elettrico e magnetico variabili nel tempo è l’accelerazione di una particella carica. Ad esempio una tensione alternata sinusoidale, applicata a un’antenna composta da due fili disposti verticalmente e consecutivi l’uno all’altro (antenna a dipolo), forza le cariche elettriche libere, presenti nei conduttori, a oscillare. Questo genera nelle vicinanze dell’antenna un campo elettrico (vedi figura) parallelo ad essa, che si inverte di segno ogni volta che si inverte la polarità applicata alle due semi-antenne. Questa perturbazione del campo elettrico non si propaga istantaneamente nello spazio circostante l’antenna, ma si muove con velocità finita se pur grande, pari a c (circa 300000 km/s) e produce così un’onda elettrica la cui ampiezza varia in modo sinusoidale, il campo magnetico oscilla su di un piano perpendicolare a quello del campo elettrico ed è in fase col campo elettrico: quando è massimo il campo elettrico è massimo anche quello magnetico. I campi elettrico e magnetico variabili nel tempo, si rigenerano a vicenda in un ciclo infinito, permettendo così alla perturbazione di propagarsi anche in assenza della sorgente che l’ha generata. I rispettivi piani di vibrazione del campo elettrico e magnetico (individuati dalla direzione di propagazione e da quella del vettore rappresentativo o del campo elettrico o del campo magnetico) sono perpendicolari fra loro. In genere le direzioni di vibrazione non si mantengono fisse ma si distribuiscono su tutte le direzioni. In tal caso si dice che l’onda non è polarizzata. Se invece i vettori elettrico e magnetico si mantengono sempre negli stessi piani passanti per la direzione di propagazione, si parla di onda polarizzata planarmente o linearmente. (vedi figura).

Grandezze fondamentali della propagazione ondulatoria. I punti che si trovano nello stesso stato di oscillazione nello spazio e nel tempo su una serie di onde emesse, per esempio, da un punto materiale, si dicono in fase. La superficie che passa attraverso tutti i punti in fase costituisce il fronte dell’onda sferica.

Nella figura è riportata una sezione dell’onda sferica generata da una sorgente puntiforme in un mezzo omogeneo. La distanza tra due creste (o gole) successive rappresenta la lunghezza d’onda (λ), mentre la tangente FF’ all’onda nel punto di intersezione P con una direzione di propagazione ON, rappresenta il suo fronte per quella direzione. Periodo T: intervallo di tempo, espresso in secondi, necessario a un punto P, che si muove di moto circolare uniforme (vedi figura sotto) con velocità angolare ω, per compiere un intera circonferenza

°°

==ωω

π 3602rad

T , corrispondente a quello necessario all’onda per compiere un’oscillazione

completa; Fase ϕ: grandezza che descrive lo stato in cui si trova l’oscillazione al tempo t1 in riferimento allo stato in cui era al tempo arbitrario t0 . La fase può essere espressa in misure angolari (gradi o radianti); Ampiezza, A: raggio della circonferenza, corrispondente alla massima distanza dell’onda dalla direzione di propagazione (vedi figura sotto); lunghezza d’onda, λ: distanza fra i due punti più vicini in fase sull’onda. Due punti si dicono in fase quando hanno la stessa posizione relativamente alla cresta o alla gola dell’onda. La loro distanza è la lunghezza dell’onda e il tempo necessario all’onda per percorrere questa distanza è il periodo T; λ=vT; Frequenza f: è il numero di oscillazioni complete nell’unità di tempo. La relazione fondamentale fra velocità di propagazione, frequenza e lunghezza d’onda è:

==T

f1

v/λ; v= fλ

la frequenza caratteristica della radiazione non cambia se l’onda attraversa un mezzo diverso dal vuoto, per cui, cambiando la velocità dovrà cambiare la lunghezza d’onda .

O

N

P

F’

F

λ

Le onde elettromagnetiche capaci di stimolare i fotorecettori della retina dell’occhio umano sono quelle che hanno lunghezze d’onda comprese fra 380-780 nm nel vuoto. Queste radiazioni forniscono alla retina dell’occhio umano, tramite dei processi fotochimici, un messaggio che viene percepito dal cervello come un particolare colore. Trasporto di energia e vettore di Poynting Chiunque abbia mai preso il sole, sa che un’onda elettromagnetica può trasportare energia e trasferirla al corpo su cui incide. La quantità di energia trasportata nell’unità di tempo per unità di

area da una simile onda è descritta da un vettore→

S , detto vettore di Poynting, dal nome di John

Henry Poynting che per primo ne studiò le proprietà. →

S è definito come: →→→

∧= BESµ 0

1.

Il prodotto →→

∧ BE è diretto come le x crescenti, cioè nella direzione in cui l’onda sta viaggiando.

Si può dimostrare che l’intesità di →

S , per un’onda elettromagnetica piana, è data dall’equazione

EcS 2

0

1

µ= .

La polarizzazione della luce

Abbiamo già detto che se i vettori elettrico e magnetico si mantengono sempre negli stessi piani passanti per la direzione di propagazione, si parla di onda polarizzata planarmente o linearmente.

Lamine Polaroid

La luce originariamente non polarizzata può essere convertita in luce polarizzata facendola passare attraverso una lamina polarizzante (es. lastra Polaroid). Nel piano della lamina esiste una direzione

di polarizzazione. La lamina funziona in questo modo: le componenti dei vettori del campo elettrico parallele alla direzione di polarizzazione vengono trasmesse attraverso la lamina polarizzante. Le componenti perpendicolari alla direzione di polarizzazione vengono assorbite dalla lamina. La direzione di polarizzazione della lamina viene stabilita durante la sua produzione, intrappolando molecole a catena lunga in un foglio di plastica flessibile e quindi allungando il foglio in modo che le molecole siano allineate parallelamente le une alle altre.

I film polaroid, o più semplicemente, i polaroid sono impiegati in ottica per trasformare la luce naturale in luce polarizzata. Un foglio di tale materiale costituisce il più semplice polarizzatore. Se la luce trasmessa da un polaroid (polarizzatore) viene osservata attraverso un secondo polaroid (analizzatore), si trova che la sua intensità varia ruotando l'analizzatore rispetto al polarizzatore.

Nella figura (sotto) vediamo che solo le componenti verticali del campo elettrico vengono trasmesse dalla lamina; le componenti orizzontali vengono assorbite. Ciò trasforma la luce originariamente non polarizzata in luce (verticalmente polarizzata). Nella figura la lamina polarizzante o polarizzatore giace nel piano della pagina e la direzione di propagazione va verso l’interno della pagina. La freccia del vettore E mostra il piano di vibrazione di un’onda scelta a caso che si sposta verso il foglio. Questo vettore può essere suddiviso in due componenti Ez(E senθ) ed Ey (=E cosθ). Solo Ey sarà trasmesso; Ez sarà assorbito dalla lamina. Si ponga una seconda lamina di polarizzazione P2 (vedi figura sotto). Se si ruota P2 attorno alla direzione di propagazione, esistono due posizioni, che differiscono di 180°, in cui l’intensità della luce trasmessa è quasi zero; queste sono le posizioni in cui le direzioni di polarizzazione di P1 e P2 sono perpendicolari tra loro. (Le due lamine sono in questo caso dette incrociate).

Se l’ampiezza della luce polarizzata (più precisamente ampiezza del campo elettrico) che cade su P2 è E0, l’ampiezza della luce che emerge è E1= E0 cos θ, dove θ è l’angolo tra le direzioni di polarizzazione di P1 e P2. Ricordando che l’intensità di un’onda elettromagnetica (come quella di un raggio di luce) è proporzionale al quadrato dell’ampiezza (del campo elettrico), questa varierà con θ secondo la legge: I = I0

Ey

Ez

θ

E

Lamina polarizzante

cos2θ. Questa equazione è conosciuta come legge di Malus. Il massimo si ha quando le direzioni di polarizzazione di P1 e P2 sono parallele, cioè quando θ = 0 o 180°.

Produzione di luce polarizzata

Diversi fenomeni naturali producono luce polarizzata a partire dalla luce naturale. Diffusione: se si osserva la luce diffusa proveniente dall’atmosfera attraverso un polaroid ci si accorge che, in direzione approssimativamente perpendicolare alle direzioni di emissioni del sole, l’intensità trasmessa dipende dall’orientazione del polaroid, indicando un parziale stato di polarizzazione della luce solare diffusa. Riflessione e rifrazione: si può aumentare o diminuire il riverbero prodotto dalla luce solare riflessa nell’acqua, per esempio, facendo ruotare una lamina polarizzante attorno alla propria direzione di osservazione. Ciò è possibile perchè la luce riflessa è completamente o parzialmente polarizzata da un processo di riflessione alla superficie. Prendiamo inoltre in considerazione un raggio non polarizzato incidente su una superficie di vetro. I vettori campo elettrico della luce possono essere scomposti in componenti perpendicolari (al piano di incidenza) rappresentati dai punti e componenti parallele (che giacciono su piano di incidenza), rappresentati dalle frecce (vedi figura). Per la luce incidente non polarizzata, questi due componenti sono di uguale intensità. Per il vetro o altri materiali dielettrici, esiste un particolare angolo di incidenza, chiamato angolo di Brewster

θ B, per il quale la riflessione delle componenti parallele è nulla. Questo significa che la luce

riflessa dal vetro a questo angolo di incidenza è completamente polarizzata, con il piano di vibrazione perpendicolare al piano di incidenza. Per altri angoli di incidenza, la luce riflessa è parzialmente polarizzata, perchè in quel caso la riflessione delle componenti parallele non si annulla ma è debole. Interazione con materiali anisotropi Birifrangenza La calcite, il quarzo, il nitrato di sodio e il ghiaccio sono esempi di materiali birifrangenti (lo stesso materiale sembra presentare due differenti indici di rifrazione).Questi materiali, se attraversati da luce non polarizzata, in opportune condizioni, generano due fasci uscenti distinti che, se analizzati con un polaroid, risultano polarizzati. Diocroismo Sono detti dicroici quei materiali, naturali o artificiali, che, per la loro particolare struttura molecolare, presentano una direzione privilegiata lungo la quale possono essere facilmente indotte correnti elettriche. I materiali dicroici se investiti da luce naturale trasmettono una parte della luce incidente che risulta polarizzata.

La polarizzazione è un fenomeno su cui si basano vari strumenti e tecniche. Ad esempio i vetri con delle imperfezioni nel processo di cottura, utilizzati nei parabrezza delle automobili o le lenti per i telescopi, sviluppano degli stress interni che possono essere messi in evidenza analizzando lo stato di polarizzazione della luce che li attraversa. É possibile identificare la presenza di certe sostanze organiche in una soluzione e stimarne la concentrazione tramite una misura della cosiddetta dispersione rotatoria, che è un fenomeno legato alla polarizzazione. Fra gli oggetti di uso comune, le lenti antiriflesso sfruttano la proprietà di certi materiali opportunamente trattati, di eliminare la luce polarizzata che si produce per riflessione della luce naturale.

Misure dell'angolo di rotazione del piano di polarizzazione vengono ampiamente usate nella tecnica polarimetrica, per determinare la concentrazione delle soluzioni ed in particolare delle soluzioni di zuccheri. Vengono inoltre utilizzate, ad esempio dalle industrie farmaceutiche, al fine di determinare il grado di purezza di determinati olii essenziali.

2a PARTE Linee guida per l’introduzione del fenomeno della polarizzazione della luce, in una classe di scuola media. Ecco alcune linee guida su come si potrebbe introdurre, a mio avviso, il fenomeno della polarizzazione nella scuola media e nel contempo mettere in rilievo alcuni concetti basilari che riguardano la propagazione della luce. Personalmente penso che mediante dei semplici filtri polaroid è possibile, sia un riconoscimento operativo della polarizzazione come proprietà della luce, sia la realizzazione di una serie di osservazioni qualitative sul fenomeno stesso, al fine di esplorarlo e evidenziarne le proprietà. Gli studenti, hanno dunque la possibilità, fin dall’inizio del percorso didattico sulla polarizzazione della luce, di scoprire in prima persona almeno alcune proprietà del fenomeno. Questo aspetto, ossia il ruolo attivo che lo studente può da subito svolgere, mi sembra fondamentale, anche tenendo conto che negli studenti delle scuole medie inferiori, il desiderio di fare, il desiderio di scoperta, è particolarmente sentito e comunque svolge sempre un ruolo cruciale nei processi di comprensione e apprendimento. Generalmente prima di stilare nel dettaglio un progetto didattico del tipo che sto per presentare, si cercano di individuare i prerequisiti degli studenti, ossia le conoscenze pregresse che gli studenti dovrebbero già possedere per comprendere gli argomenti da svolgersi nel progetto stesso. Pur non avendo grande esperienza come insegnante ritengo che, per come vorrei introdurre io il fenomeno della polarizzazione, ossia partendo da un iniziale riconoscimento operativo del fenomeno della polarizzazione da parte degli studenti stessi e una successiva esplorazione del fenomeno con formulazione di ipotesi riguardanti le modalità con le quali la luce si propaga, non siano necessari particolari prerequisiti o conoscenze pregresse nel campo della fisica, da parte degli studenti. Credo che trattato in questo modo l’argomento polarizzazione e propagazione della luce possa essere alla portata di ragazzi non solo di terza media, ma anche di seconda. Sui libri di scienze delle scuole medie che sono in mio possesso, è comunque nel libro di terza che viene preso in considerazione il fenomeno luce, preceduto però da un capitolo riguardante l’elettricità e i fenomeni connessi. Per cui, per introdurre gli studenti al fenomeno della polarizzazione della luce, mi comporterei in questo modo: darei a ciascuno studente due filtri polaroid lasciandoli liberi di manipolarli e di effettuare delle osservazioni per vedere quali proprietà questi filtri hanno. A tal fine consegnerei a ciascuno studente, oltre che una coppia di polaroid, anche un foglio, su cui lo studente scriverà il proprio nome e cognome e sul quale vi potrebbe essere scritta una frase di questo tipo: L’insegnante ha consegnato a ciascuno di voi due “foglietti di plastica” un po’ particolari. Provando a manipolarli, quali osservazioni siete in grado di trarre. Quale (o quali) proprietà vi sembra che possiedano? Descrivi in maniera precisa le azioni che hai svolto con il materiale fornito e le rispettive osservazioni fatte. Nella restante parte del foglio, lo studente dunque scriverà le proprie osservazioni, frutto di una riflessione personale. Per queste osservazioni l’insegnante metterà a disposizione degli studenti una lavagna luminosa e delle semplici lampade da tavolo. Consegnerei poi un secondo foglio, in cui gli studenti a gruppi di massimo tre persone, dovranno scrivere le conclusioni condivise a cui saranno giunti, indicando anche le azioni compiute e le rispettive osservazioni. Su questo foglio andranno riportati i nomi dei componenti di ciascun gruppo. I fogli delle osservazioni personali e condivise andranno consegnate poi all’insegnante al termine della lezione. L’insegnante potrebbe utilizzarli come verifica in itinere e sicuramente come

spunto per iniziare la successiva lezione. Mi sembra che sia un po’ difficile stabilire in anticipo i tempi necessari alle osservazioni personali e poi a quelle di gruppo, perchè molto dipende ad esempio dal tipo di classe, oppure se i ragazzi sono o meno abituati a lavorare in un certo modo, per così dire interattivo. In linea di massima comunque, io lascerei un uguale tempo alla riflessione personale e alla condivisione delle idee all’interno del gruppo.Questa fase di discussione di lavoro di gruppo la ritengo importante in quanto consente anche ai ragazzi che generalmente intervengono poco di fronte a tutta la classe e all’insegnante perchè più timidi, di essere messi più a loro agio, discutendo con un gruppo limitato di propri pari. L’insegnante dopo aver letto attentamente tutte le risposte date dai ragazzi, scriverà alla lavagna le osservazioni significative e le detterà sul quadernone di scienze agli studenti. Le osservazioni fatte dai ragazzi potranno essere ovviamente molteplici. In generale potrebbero essere suddivise in due categorie: osservazioni fatte con un solo “foglietto” e osservazioni fatte con due “foglietti” sovrapposti. Alcune osservazioni potrebbero essere le seguenti: - appoggiando un ”foglietto” sulla lavagna luminosa l’intensità della luce risulta attenuata; - ruotando il “foglietto” l’intensità resta costante; - appoggiando i due “foglietti” e sovrapponendoli si ha una ulteriore attenuazione della luce; - ruotando di un certo angolo uno dei due “foglietti” sovrapposti, intorno ad una asse verticale (se i filtri sono appoggiati alla lavagna luminosa) l’intensità varia e passa da un minimo ad un massimo per una rotazione di 90°. Per cui la luce trasmessa dal primo “foglietto” possiede una proprietà che si manifesta nell’interazione con il secondo “foglietto”. L’insegnante a questo punto potrebbe chiarire che i foglietti hanno una costituzione particolare: le molecole (se non vogliamo utilizzare il termine molecola potremmo parlare genericamente di sostanza) di cui sono costituiti sono allungate, parallele tra loro, in una direzione come le sbarre di un cancello. (Questa precisazione, con un disegno, a mio avviso va fatta, per non rendere eccessivamente difficoltosa la risposta alla domanda successiva che ora vado a presentare). È opportuno a mio avviso chiarire fin da ora (in quanto utile poi successivamente), che la luce si propaga in linea retta. Occorrerà dedicare a ciò un po’ di tempo, portando opportuni esempi, per chiarire il concetto. (Es: perchè se qualcuno di voi studenti, esce dall’aula attraverso la porta e gira l’angolo, io non riesco più a vederlo ?). Nella lezione successiva io presenterei un foglio da compilare con nome e cognome e con una domanda, che potrebbe essere molto simile a questa: avete osservato tutti che appoggiando, in maniera sovrapposta, due dei nostri “foglietti” sul piano della lavagna luminosa e ruotandone uno rispetto all’altro l’intensità della luce variava. Se si disponevano i due “foglietti” in modo da lasciare passare inizialmente la maggior quantità di luce possibile e poi ne ruotavo uno di 45° l’intensità della luce diminuiva in maniera sostanziale. Se ruotavo di 90° uno dei foglietti rispetto all’altro, la luce non passava più e vedevo i “foglietti” neri. Come ti spieghi questo fenomeno? Prova a proporre una modalità di propagazione della luce (possibilmente aiutandoti con dei disegni, oltre che a parole), in accordo con quello che hai osservato. La questione posta, la cui risposta non è affatto semplice, è però a mio giudizio molto interessante. Gli studenti partendo da una osservazione sperimentale, la variazione dell’intensità luminosa ruotando due polaroid posti ad esempio sul piano della lavagna luminosa, devono costruire delle ipotesi, avanzare delle interpretazioni, che si adattino in maniera corretta a quanto osservato. L’insegnante ovviamente, deve aver cura che tutti effettivamente abbiano osservato il fenomeno. Tramite questa domanda, il docente ha la possibilità di conoscere quali siano le immagini mentali, le idee, i concetti che gli studenti hanno su di un fenomeno così importante come quello della propagazione della luce, che è fondamentale per capire poi la polarizzazione. Come in precedenza, i lavori dovrebbero prevedere una fase individuale e una a piccoli gruppi per la condivisione delle ipotesi.

É difficile immaginare quali ipotesi gli studenti potrebbero formulare. Mi sembra importante che l’insegnante le prenda in considerazione tutte e le discuta con gli studenti, mettendo in evidenza per ciascuna proposta, gli aspetti che sono in accordo con le osservazioni sperimentali e quelli che invece non lo sono. Un fatto importante nella propagazione della luce, che è fondamentale anche per capire il fenomeno della polarizzazione, ma che non è assolutamente scontato che emerga dalle considerazioni dei ragazzi, è che la luce si propaghi come un’onda, ossia si tratti di un fenomeno a carattere ondulatorio. Inizialmente per fare meglio comprendere questo aspetto, e l’importanza che riveste nella spiegazione delle osservazioni fatte con i filtri polaroid, sia nel caso che gli studenti in qualche modo lo abbiano tirato fuori, a maggior ragione nel caso contrario, si potrebbe avanzare la seguente analogia (che nella pratica si può realizzare facilmente anche in classe), vista a lezione parlando della polarizzazione: immaginiamo di far passare una corda attraverso le sbarre di un cancello e supponiamo che le sbarre siano posizionate verticalmente. Tenendo ai due capi la corda, diamo un impulso in modo da trasmettere un movimento ondulatorio parallelo alle sbarre del cancello, da un capo all’altro della corda. In questo caso il movimento ondulatorio passa attraverso le sbarre del cancello. Se il movimento non è parallelo alle sbarre del cancello, non passa o passa molto attenuato. Se l’esperienza viene realizzata in classe, la si può ripetere più volte facendo “ondeggiare” la corda, ciascuna volta in direzioni diverse. Le onde della corda, in questo caso sarebbero l’equivalente delle onde luminose, mentre il cancello rappresenterebbe il filtro polaroid (le sbarre del cancello sarebbero invece le molecole, di cui è costituito il polaroid, che sono state tutte “stirate” nella medesima direzione, in fase di realizzazione del polaroid stesso). Supponiamo ora di fare passare la corda attraverso due cancelli: il primo con sbarre verticali, e il secondo con sbarre orizzontali (quindi inclinate di 90° rispetto alle sbarre del primo cancello).

Tenendo come prima la corda ai due capi, diamo un impulso in modo da trasmettere il movimento ondulatorio da un capo all’altro della corda. In questo caso però ci accorgeremmo

che l’impulso ondulatorio, verrebbe fermato dalle sbarre orizzontali del secondo cancello. Ruotando (ad esempio in senso orario) le sbarre del secondo cancello rispetto a quelle del primo, l’impulso via via si attenua. Questa descrizione andrebbe scritta sul quadernone dagli studenti e accompagnata da un disegno alla lavagna perchè mi sembra che si presti bene a spiegare il fenomeno precedentemente osservato con i filtri polaroid disposti sulla lavagna luminosa e orientati a 90° uno rispetto all’altro. Si potrebbe realizzarla inoltre direttamente in classe con materiali semplici. Sulla base delle ipotesi proposte dai ragazzi riguardanti la propagazione della luce, e dopo aver chiarito il carattere ondulatorio della luce, l’insegnante dovrebbe riassumere gli aspetti fondamentali e dettarli agli studenti. Le conclusioni volte anche ad introdurre due termini specifici, ossia polarizzazione e filtri polaroid (filtri polarizzanti la luce), potrebbero essere di questo tipo: Le conclusioni a cui siamo giunti sulla propagazione della luce e che ci consentono di spiegare i fenomeni osservati con gli speciali “foglietti” di plastica sono le seguenti: la luce ha la caratteristica delle onde, ovvero è un fenomeno ondulatorio. Le onde luminose, e in particolare quelle prodotte dalla lavagna luminosa che abbiamo utilizzato per i nostri esperimenti, oltre a propagarsi in linea retta, oscillano secondo dei piani che sono orientati a caso attorno alla direzione di propagazione (vedi figura o disegno). Quando la luce della

lavagna luminosa passa attraverso il “foglietto” le onde luminose sono “costrette” a oscillare secondo solo uno di questi piani perchè le molecole del “foglietto” sono allineate parallelamente tra di loro e si comportano come le sbarre del cancello si comportavano nei confronti dell’impulso ondulatorio trasmesso dalla corda. Questo fenomeno è definito polarizzazione della luce. Il secondo “foglietto”, disposto nella posizione che non consente il passaggio della luce, si comporta nei confronti delle onde luminose come un secondo cancello con sbarre orientate perpendicolarmente a quelle del primo. Quelli che noi finora abbiamo chiamato semplicemente foglietti, vengono definiti filtri polaroid o semplicemente polaroid. Personalmente, a proposito delle onde luminose, non parlerei mai di onde elettromagnetiche e non citerei mai termini quali campo elettrico e campo magnetico. Mi sembrano concetti particolarmente difficili, che si prestano forse ad essere introdotti (anche se non saprei esattamente come) parlando di elettricità e fenomeni connessi che generalmente vengono trattati nella classe terza. A proposito delle onde luminose, introdurrei invece le grandezze fondamentali che caratterizzano il moto ondulatorio (e dunque non solo le onde luminose), ossia lunghezza d’onda l; frequenza f; periodo T. Fondamentale a questo punto chiarire, che i colori che noi percepiamo sono in relazione con diverse lunghezze d’onda delle onde luminose. Questo aspetto è importante anche per meglio comprendere l’esperienza successiva. Potrebbe essere interessante specificare a questo punto che l’utilizzo di filtri polaroid non è l’unico metodo per ottenere luce polarizzata, ma anzi che diversi fenomeni naturali producono luce polarizzata o parzialmente polarizzata a partire dalla luce non polarizzata. Tra essi io citerei sicuramente il fenomeno della diffusione, per cui la luce diffusa dal pulviscolo atmosferico proveniente dal cielo risulta parzialmente polarizzata, il che significa che la maggior parte di essa vibra in una direzione più che in altre. Citerei anche, perchè fenomeno comune, la polarizzazione per riflessione facendo alcuni esempi correlati ad essa. Per passare a esperienze di tipo più quantitativo, si potrebbe proporre ai ragazzi un’esperienza che io ho realizzate in aula nel corso di laboratorio di didattica della fisica. La seguente esperienza avrebbe lo scopo di : 1) far osservare agli studenti che esistono sostanze in grado di far ruotare il piano di polarizzazione della luce; la quantità di rotazione dipende dalla lunghezza d’onda; la quantità di rotazione dipende dalla quantità di molecole (sostanza) con cui la luce interagisce; ragionare con gli studenti sul fatto che il valor vero di una grandezza non si può stabilire, ma si possa stabilire il valore della grandezza accompagnato da un intervallo di incertezza; ragionare sulle caratteristiche di uno strumento di misura quali portata e sensibilità. Siccome

La frequenza è il numero di creste delle onde di uguale lunghezza che passano per un dato punto in un secondo.

lunghezza d’onda maggiore

lunghezza d’onda

minore

alta frequenza alta energia

bassa frequenza bassa energia

questo concetto è particolarmente importante, ma anche delicato e sicuramente crea negli studenti almeno in un primo momento, perplessità, dubbi, difficoltà, ritengo che la sua trattazione andrebbe fatta in un lavoro precedente a questa esperienza (di per sè già complessa), magari utilizzando un semplice strumento come il righello, per misurare un libro o il tavolo.

Esperimento sul potere rotatorio di una soluzione zuccherina.

Obiettivi

Con questa attività si può mettere in evidenza la proprietà di alcune sostanze, nel caso specifico lo zucchero (in soluzione acquosa) saccarosio, di essere otticamente attive quando sono attraversate da luce polarizzata. Le sostanze otticamente attive sono quelle che sono in grado di ruotare il piano di vibrazione della luce linearmente polarizzata, verso destra o verso sinistra.

Nel caso di luce polarizzata linearmente il fenomeno consiste nella rotazione del piano di polarizzazione in uscita dalla soluzione rispetto a quello in entrata. La rotazione avviene attorno alla direzione di propagazione, in verso orario guardando nella direzione di propagazione della luce (sostanze destrogire come il glucosio, il saccarosio), oppure in verso antiorario (sostanze levogire come il fruttosio).

L'ampiezza della rotazione dipende da diversi fattori, quali: a) tipo di molecola; b) dal numero di molecole con le quali il fascio di luce interagisce, numero a sua volta dipendente dalla concentrazione della soluzione e dallo spessore della vaschetta portacampioni; c) dalla temperatura; d) dalla lunghezza d'onda della luce; e) dal solvente; f) dal ph.

Materiale utilizzato nell’esperienza

• Una comune lampada come sorgente di luce non polarizzata

• Supporto su cui appoggiare la lampada

• Vaschetta in vetro con pareti piane e parallele.

• Banco ottico

• Due filtri polaroid dotati di scala goniometrica graduata (ε = ±2,5°)

• Acqua distillata

• Zucchero liquido di canna (saccarosio)

• Filtri colorati

• Scotch, riga (ε = ±1 mm)

campione

polarizzatore analizzatore

Esecuzione

Si posiziona e accende la lampada, ponendo sul cammino della luce polaroid un primo filtro (polarizzatore) e un secondo filtro (analizzatore) orientato in modo che si abbia il minimo nella trasmissione di luce, cioè in posizione di estinzione.

lampada

occhio

Fra i due filtri viene quindi posta la vaschetta contenente la soluzione precedentemente preparata. Le pareti della vaschetta attraversate dalla luce polarizzata dal polarizzatore sono posizionate ad esso ortogonali. La vaschetta è stata posizionata tra i due polaroid prima secondo il suo spessore minore, ∆x1= 7,0 cm (misurati con una riga avente sensibilità di 0,1 cm), poi secondo lo spessore maggiore ∆x2 = 11,3 ± 0,1 cm.

Per prima cosa si è potuto osservare che passava luce, per cui si era verificata rotazione del piano di polarizzazione. Inoltre, si è osservato che quando la luce bianca polarizzata emergeva dalla soluzione zuccherina trasparente, i suoi colori non vibravano più tutti nello stesso piano, per cui ruotando l’analizzatore in senso orario era possibile osservare, mano a mano che si procedeva nella rotazione, luce di diversi colori. In questo modo si è potuto constatare la dipendenza del potere rotatorio di una sostanza dalla lunghezza d’onda della luce. Ho misurato l’ampiezza in gradi della rotazione, per ciascun colore osservato, quando si raggiungeva il massimo d’intensità. La sensibilità del goniometro era di 5°. Come errore nelle misure degli angoli si è ritenuto possibile assumere la metà della sensibilità, per cui sulle misure degli angoli ε = ± 2,5°.

Misurando gli angoli di rotazione, prima con la vaschetta disposta secondo lo spessore ∆x1 e poi secondo lo spessore ∆x2, si è potuta constatare la dipendenza del potere rotatorio dallo spessore della soluzione (di conseguenza dal numero di molecole con cui la luce polarizzata interagisce. Le misure ottenute sono riportate nelle seguenti tabelle:

∆x1= 7,0 ± 0,1 cm

ROTAZIONE α ∆α=± 2,5 COLORI OSSERVATI

0° LUCE BIANCA

20,0° VERDE

30,0° BLU

40,0° VIOLA

42,5 ROSSO

50,0° ARANCIONE

60,0° GIALLO

Si è proceduto poi ad effettuare delle osservazioni, ponendo sulla sorgente luminosa dei filtri di diversi colori, e interponendo tra polarizzatore e analizzatore la vaschetta con la soluzione zuccherina secondo lo spessore minore ∆x1. Per cui si poneva il filtro davanti alla lampada fissandolo ad essa con dello scotch, selezionando così una determinata lunghezza d’onda e prima di inserire la vaschetta, si cercava ruotando l’analizzatore la posizione di estinzione. Con l’inserimento della vaschetta, si osservava nuovamente luce, del colore selezionato con il filtro. Per riportare l'illuminamento al minimo, come all'inizio, è necessario ruotare l'analizzatore (in senso orario) di un angolo che viene letto sul goniometro in gradi: esso evidentemente compensa la rotazione del piano di polarizzazione della luce uscente dalla soluzione rispetto a quello della luce entrante. Si può individuare dunque di quanti gradi, la soluzione ha fatto ruotare il piano di polarizzazione, per quella determinata lunghezza d’onda selezionata con il filtro.

∆x1= 7,0 ± 0,1 cm

ROTAZIONE α ∆α=± 2,5 FILTRI UTILIZZATI

42,5° VERDE

42,5° BLU

32,5° GIALLO

30,0° ROSSO

20° VIOLA

∆x2= 11,3 ± 0,1 cm

ROTAZIONE α ∆α=± 2,5 COLORI OSSERVATI

0° LUCE GIALLA

25,5° VERDE

45,0° BLU

60,0° VIOLA

70,0° ROSSO

75,0° ARANCIONE

90,0° GIALLO

3a PARTE L’orientamento delle api con luce polarizzata É noto che le api usano il sole per orientarsi sia quando è sereno e sia quando è nuvoloso, in questo ultimo caso sfruttando i raggi ultravioletti che filtrano attraverso le nubi. Inoltre quando il sole è coperto dal folto di una foresta o è nascosto da un’alta montagna le api continuano a volare e a danzare (per indicare la direzione in cui occorre andare a bottinare i fiori) come quando il sole è visibile. In altre parole, anche quando il sole non è direttamente visibile, le api sono in grado i conoscerne la posizione nel cielo. Von Frisch ha dimostrato che perchè le api si orientino correttamente in questi casi è sufficiente che vedano un piccolo lembo di cielo azzurro. Ciò che permette alle api di orientarsi in queste situazioni, è la luce polarizzata che filtra dal cielo. Gli occhi delle api (come pure di numerosi altri insetti, crostacei, aracnidi e molluschi) sono sensibili a questo fenomeno naturale che l’uomo non può vedere. La luce irradiata dal sole non è polarizzata, tuttavia attraversando l’atmosfera viene deviata da molecole e da altre particelle di piccole dimensioni (pulviscolo) in essa presenti in modo tale che in ogni punto del cielo le sue onde tendono a vibrare in una direzione specifica. L’andamento della polarizzazione del cielo varia con la posizione del sole (vedi figura sotto). Osservando la volta celeste attraverso un filtro polarizzatore si notano dell zone chiare delle zone scure. La localizzazione di queste zone varia a seconda di dove si volge lo sguardo, oppure, rimanendo fisso l’occhio dell’osservatore, allo spostarsi del sole durante il suo percorso nella volta celeste. Il meccanismo fisiologico con cui gli occhi percepiscono la luce è simile fra insetti e vertebrati, in entrambi il pigmento visivo (rodopsina) è presente nella membrana fotorecettrice delle cellule visive sotto forma di molecole dipolari (con asse definito)(vedi figura), il pigmento assorbe la massima energia della luce polarizzata quando la direzione della polarizzazione è parallela all’asse della molecola. Ora, mentre nei vertebrati le molecole fotosensibili sono disposte casualmente, negli insetti le membrane fotorecettrici sono ripiegate a formare dei sottili tubuli (microvilli) all’interno dei quali le molecole fotosensibili si allineano parallelamente al loro asse in modo che il massimo assorbimento della luce polarizzata si ha quando l’asse di polarizzazione coincide con l’asse dei microvillli. È noto che le api vedono i colori attraverso la combinazione di tre colori fondamentali (azzurro, giallo, ultravioletto) rispettivamente captati da tre tipi distinti di fotorecettori. È stato dimostrato che solo quelli sensibili alle radiazioni ultraviolette sono anche quelli in grado di discriminare la luce

polarizzata. Probabilmente questo fatto non è dovuto al caso, infatti la polarizzazione della luce nel campo dell’ultravioletto è notevolmente meno disturbata dalle cattive condizioni atmosferiche ed è perciò più stabile. L’occhio di un’ape operaia è formato da 5500 ommatidi, ogni ommatidio ha il suo sistema di lenti al di sotto delle quali si trovano le cellule visive formanti i microvilli tubulari contenenti le molecole di rodopsina. I microvilli sono disposti in modo da formare una struttura centrale (rabdoma) attraverso cui passa la luce. Ogni ommatidio dispone di 3 cellule sensibili ai raggi ultravioletti (nella figura in basso sono in viola), due lunghe e una corta (le lunghe nella figura sono indicate con i numeri 1 e 5, quella corta con il numero 9). Quelle lunghe, essendo ruotate di 180° lungo il loro asse hanno perso la capacità di reagire alla luce polarizzata. Quella corta, che è ruotata solo di circa 40° ha ancora tale capacità. Nell’occhio dell’ape circa il 50% degli ommatidi ha le cellule fotosensibili ruotate verso sinistra, l’altra metà verso destra. Si vengono a formare due tipi diversi di recettori, uno sensibile alla luce polarizzata (le cellule corte ruotate rispettivamente a sinistra e a destra di solo 40°) e uno all’intensità della luce ultravioletta (le cellule lunghe). La combinazione dei segnali provenienti da questi tre tipi di recettori permette l’identificazione della luce polarizzata. Stabilito che le api sono sensibili alla luce polarizzata appare più semplice comprendere il modo con cui esse si orientano: è sufficiente che un’ape possa vedere qualche squarcio di cielo perchè, in base alla polarizzazione della luce in quel punto, possa calcolare l’esatta posizione del sole in quel momento, anche senza poterlo vedere direttamente. Per provare a capire come un’ape vede la polarizzazione, Von Frisch costruì una analizzatore ottagonale ottagonale (utilizzato poi in diversi suoi esperimenti) costituito di otto triangoli di lamine Polaroid messe insieme come nella figura. Le regioni del cielo che appaiono uguali all’occhio umano, si presentano diverse (vedi figura) se guardate attraverso l’analizzatore ottagonale (detto anche a stella), perchè la polarizzazione

della luce del cielo è differente per regioni differenti (vedi figura).

Perchè per le api è importante conoscere la posizione del sole ? Quando le api esploratrici individuano una fonte di cibo ad una distanza superiore a 100 m, ne informano le compagne eseguendo una danza particolare, detta danza dell’addome. Esse percorrono rapidamente un breve tratto in linea retta dimenando, con grande frequenza, l’addome a destra e a sinistra; quindi eseguono un’evoluzione circolare completa di 360° a sinistra, corrono in avanti in linea retta ancora una volta, quindi eseguono l’evoluzione rotatoria a destra ripetendo questo schema generale molte volte.(vedi figura). Von Frisch scoprì, fra le altre cose, che il tragitto lineare della danza dell’addome si spostava con la posizione del sole, intuendo che le danze indicavano la direzione del luogo di alimentazione prendendo il sole come riferimento (senza entrare nei dettagli, con la danza dell’addome le api indicano non solo la direzione ma anche la distanza del luogo di alimentazione). La chiave di lettura di questo messaggio è molto curiosa. Occorre ricordare che in circostanze normali un’ape danza su un favo verticale all’interno di un alveare completamente buio. In una comune arnia le api non possono percepire la direzione del sole, mentre fanno affidamento sulla direzione della gravità. Esse orientano il tragitto lineare della danza secondo un determinato angolo formato con la direzione della forza di gravità. Questo angolo è quello ottenuto dal percorso in volo fatto dall’ape per andare dall’alveare al cibo e dalla posizione del sole rispetto all’alveare medesimo. (vedi figura a lato). Se una danzatrice orienta verso l’alto il tragitto lineare della sua danza sul favo, questo evidentemente significa “la sorgente di alimentazione è nella stessa direzione del sole”. Se la corsa lineare si orienta verso il basso, vuol dire “volate in direzione opposta al sole per cercare il cibo”. Se durante la fase lineare della danza l’ape si sposta di 45° a sinistra rispetto alla verticale, allora il luogo di alimentazione è situato a 45° a sinistra rispetto alla posizione del sole. Similmente una danza con il tragitto lineare orientato di 135° a destra della verticale, indica che la fonte del cibo è spostata a destra di 135° rispetto alla direzione del sole.

BIBLIOGRAFIA

D.Halliday, R. Resnick, J. Walker- Fondamenti di Fisica (3a edizione)- Casa Editrice Ambrosiana.

F. Mazzi; G.P. Bernardini – Fondamenti di cristallografia e ottica cristallografica – Editrice USES.

Karl Von Frisch – Il linguaggio delle api – Ed. Universale Scientifica Boringhieri.

Alberto Contessi – Le api (biologia, allevamento, prodotti) – Edizioni Agricole

Siti internte consultati:

web.uniud.it/cird/secif/ottica/zucchero.html - 19k

www.fdf.unict.it/arearis/Upload/Doc_75/POLARIM.doc