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Storia della Bandiera Italiana

Nella Costituzione Repubblicana del 1947, allart. 12, si legge:

La Bandiera della Repubblica Italiana il Tricolore: verde, bianco e rosso a tre bande verticali di eguale dimensione.

Il significato dei tre colori sarebbe:

- verde, l'erba delle nostre pianure,

- bianco, la neve delle nostre cime.

- rosso, il sangue dei nostri caduti.

Ma, a parte questa interpretazione nazional-romantica, quale la vera storia della nostra bandiera?

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Il tricolore sembra essere di chiara ispirazione rivoluzionaria francese

NellItalia degli ultimi anni del 1700, attraversata dalle vittoriose armate napoleoniche, numerose sono le Repubbliche di ispirazione giacobina,

che hanno sostituito gli antichi Stati assoluti, adottando quasi tutte, se pur con varianti di colore, bandiere a tre fasce di uguali dimensioni,

direttamente ispirate al modello francese del 1790.

La Repubblica Cispadana

Il tricolore italiano quale Bandiera Nazionale nasce di fatto a Reggio Emilia il 7 gennaio 1797, quando il Parlamento della Repubblica Cispadana,

su proposta di Giuseppe Compagnoni, decreta:

Che si renda universale lo Stendardo o Bandiera Cispadana di Tre Colori Verde, Bianco e Rosso, e che questi tre Colori si usino anche

nella Coccarda Cispadana, la quale debba portarsi da tutti.

Le bandiere della Repubblica Cispadana, 1796-1797, sopra a sinistra l'originale e a destra ricostruita, con le tre fasce colorate orizzontali, ed, al centro della fascia bianca, lo Stemma della Repubblica - un

turcasso, poi contenente quattro frecce, circondato da un serto di alloro e pi tardi ornato da un trofeo d'armi.

E anche i reparti militari italiani, costituiti per affiancare l'esercito di Bonaparte, adottano stendardi che ripropongono la medesima bandiera.

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In particolare, i vessilli dei Reggimenti della Legione Lombarda presentano i colori bianco, rosso e verde, fortemente radicati nel patrimonio collettivo della

Regione: il bianco e il rosso compaiono, infatti, nell'antichissimo Stemma Comunale di Milano (croce rossa su campo bianco), mentre, fin dal 1782, verde

l'uniforme della Guardia Civica Milanese.

Gli stessi colori sono poi ripresi anche negli stendardi della Legione Italiana, che raccoglie i soldati delle terre dellEmilia e della Romagna, ed probabilmente

questo il motivo che spinge la Repubblica Cispadana a confermarli nella propria bandiera.

Il vessillo militare napoleonico dei Cacciatori a Cavallo della Legione Lombarda del 1796.

Le Repubbliche giacobine

La Prima Campagna dItalia, che Napoleone conduce tra il 1796 e il 1799, il cosiddetto "triennio", sgretola letteralmente lantico sistema di Stati della penisola.

Al loro posto sorgono numerose Repubbliche "giacobine", di impronta democratica, come la Repubblica Ligure, la Repubblica Romana,

la Repubblica Partenopea e la Repubblica Anconitana.

Delle quattro grandi repubbliche giacobine in Italia:

- la Repubblica Cisalpina viene considerata in qualche modo "prototipo" di tutte le altre;

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- esistono studi eccellenti sulla Repubblica Romana;

- delleffimera Repubblica Napoletana, o, pi correttamente, "Partenopea", si occupato lo stesso

Benedetto Croce;

- la Repubblica Ligure (1797-1800) la meno conosciuta.

La maggior parte di queste Repubbliche, tutte ispirate ai principi della Rivoluzione Francese,

non sopravvive alla controffensiva austro-russa del 1799, altre confluiranno, dopo la Seconda Campagna d'Italia, nel Regno Italico,

che per durer solo fino al 1814: tuttavia rappresentano la prima espressione di quegli ideali di indipendenza

che alimenteranno il nostro Risorgimento.

Ed proprio in questi anni che la bandiera viene per la prima volta avvertita non pi come segno dinastico o militare,

ma come simbolo del popolo, delle libert conquistate e, dunque, della nazione stessa.

Da sinistra a destra e allalto in basso, le bandiere tricolori della Repubblica Piemontese (1796-1801), della Repubblica Anconitana (1797-1798), della Repubblica Romana (1798-1799),

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della Repubblica Partenopea (1799) e quelle, con il verde, bianco e rosso, della Repubblica Cisalpina (1797-1802), della Repubblica Italiana (1802-1805)

e del Regno Italico (1805-1814): il disegno della bandiera della Repubblica Italiana del 1802 verr ripreso un secolo e mezzo pi tardi

per la bandiera del Presidente della Repubblica.

Le bandiere del Risorgimento

Nei tre decenni che seguono il Congresso di Vienna, il tricolore viene soffocato dalla Restaurazione, ma continua ad essere usato,

quale forte simbolo condiviso di libert, nei moti del 1831, nelle rivolte mazziniane, nella disperata impresa dei fratelli

baroni Attilio ed Emilio Bandiera, nelle sollevazioni nello Stato della Chiesa.

Dovunque in Italia, il bianco, rosso e verde esprimono una comune speranza, che accende gli entusiasmi e ispira poeti,

come Goffredo Mameli, che nel suo Canto degli Italiani del 1847, scrive:

Raccolgaci ununica bandiera, una speme.

E quando inizia la stagione del 48 con la concessione delle Costituzioni, la bandiera tricolore diventa subito il simbolo di una riscossa

ormai nazionale, da Milano a Venezia, da Roma a Palermo.

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Da sinistra a destra e allalto in basso, le bandiere del Governo Provvisorio Napoletano (1820-1821), dello Stato delle Province Unite Italiane (1831), della Repubblica Veneta o

di San Marco (1848-1949), quelle della Repubblica Romana, "Dio e Popolo" e "RR", militare (1849), del Granducato Costituzionale di Toscana (1848-1849),

del Governo Provvisorio dello Stato della Sicilia (1848-1849), del Regno Costituzionale delle Due Sicilie (1848-1849 e 1860-1861).

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Il Regno di Sardegna

Il 23 marzo 1848 il Re Carlo Alberto rivolge alle popolazioni del Lombardo-Veneto il famoso Proclama, che annuncia la Prima Guerra

dIndipendenza, il quale termina con questa decisione:

[] per viemmeglio dimostrare con segni esteriori il sentimento dellunione italiana vogliamo che le Nostre Truppe []

portino lo Scudo di Savoia sovrapposto alla Bandiera tricolore italiana.

Allo stemma dinastico Savoia viene quindi aggiunta una bordatura di azzurro, per evitare che la croce e il campo dello scudo

si confondano con il bianco e il rosso delle bande della bandiera.

Da sinistra, la bandiera del Regno di Sardegna (1848-1851 e 1851-1861), e quella, originale, di Stato del Regno di Sardegna (1851-1861).

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Dall'unit d'Italia ad oggi

Il Regno d'Italia

Il 14 marzo 1861 viene proclamato il Regno dItalia e la sua bandiera continua ad essere quella della Prima Guerra d'Indipendenza.

Ma la mancanza di una legge al riguardo - emanata esclusivamente per i vessilli militari - porta ad una serie di varianti della bandiera italiana,

diverse dalloriginaria e spesso del tutto arbitrarie.

Solo nel 1925 si definiscono per legge i modelli sia della Bandiera Nazionale che della Bandiera di Stato.

Sulla Bandiera di Stato, quella cio che si usa nelle residenze dei Sovrani, nelle Sedi Parlamentari, negli Uffici e nelle Rappresentanze

Diplomatiche, allo Stemma Savoia viene aggiunta la corona reale.

Da sinistra, la Bandiera Italiana Nazionale e la Bandiera di Stato del Regno d'Italia, che dal 1861 rimarranno invariate fino al 1946.

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La Repubblica Sociale Italiana

La bandiera della Repubblica Sociale Italiana o di Sal, con l'aquila ed il fascio (1943-1945).

Una curiosit: lo Stato delle Province Unite Italiane, che durante i moti del 1831 dichiara l'indipendenza di Emilia, Romagna, Umbria e Marche dallo Stato della Chiesa

durando poco pi di un mese, il 5 febbraio 1831 decreta una bandiera che gi sar fuori legge dal 26 aprile: il tricolore italiano, su cui poi vengono adottati,

dal 7 febbraio, un simbolo costituito da un leone alzante un tricolore e con la scritta "Libert" (vedi l'attuale bandiera della Provincia di Bologna) e, dal 1 marzo,

anche uno Stemma di Stato - guarda caso proprio un'aquila nera su fondo oro che afferra un fascio romano con i nastri tricolori... Coincidenze?

di pagina

La Repubblica Italiana

Dopo la nascita della Repubblica Italiana, un Decreto Legislativo Presidenziale del 19 giugno 1946 stabilisce le caratteristiche provvisorie

della nuova bandiera, poi confermate dall'Assemblea Costituente il 24 marzo 1947 ed infine inserite all'articolo 12

della Carta Costituzionale della Repubblica.

http://www.tusciaromana.info/3Cultura/c_sto_bandiera.htm#Inizio pagina#Inizio pagina

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"La bandiera della Repubblica il tricolore italiano: verde, bianco e rosso, a bande verticali e di eguali dimensioni".

La nuova bandiera della Repubblica Italiana, dal 2 giugno 1946 - in pratica un ritorno alla bandiera della Repubblica Cisalpina del 1797.

Le nuove bandiere della Marina Mercantile e della Marina Militare dal 9 novembre 1947.

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Ed infine, da sinistra, la Bandiera Presidenziale del Presidente della Repubblica Italiana ed il vessillo del Reggimento Corazzieri a difesa del Presidente

da notare come (a parte la bordatura blu che ricorda in un certo senso quella usata intorno allo Scudo Savoia nella Bandiera del Regno d'Italia) il disegno della

Bandiera Presidenziale ricalchi fedelmente quello della Repubblica Italiana del 1802.

pagina

http://www.tusciaromana.info/3Cultura/c_sto_bandiera.htm#Inizio pagina#Inizio pagina

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Tre interventi del nostro Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano

1- Intervento in occasione delle celebrazioni del 150 anniversario della partenza dei Mille

Genova, 05/05/2010

Non per caso, e non solo per ragioni di cronologia storica che l'itinerario delle visite ai "Luoghi della memoria" per il

centocinquantenario dell'Unit d'Italia parte dalla spiaggia e dallo scoglio di Quarto a Genova. In effetti, fu qui che il 5 maggio del 1860

prese avvio, con la spedizione dei Mille, la fase conclusiva del lungo percorso del movimento per l'Unit, che sarebbe culminata nella

proclamazione, il 17 marzo 1861, di Vittorio Emanuele II Re d'Italia, nella nascita cio dello Stato unitario.

Si aggiunga che se si ripercorrono gli eventi sfociati nella decisiva scelta dell'impresa garibaldina per la liberazione della Sicilia e del

Mezzogiorno, possibile cogliere le componenti e gli intrecci essenziali del moto unitario, i suoi tratti originali e i motivi del suo

successo. L'Unit d'Italia fu perseguita e conseguita attraverso la confluenza di diverse visioni, strategie e tattiche, la combinazione di

trame diplomatiche, iniziative politiche e azioni militari, l'intreccio di componenti moderate e componenti democratico-rivoluzionarie. Fu

davvero una combinazione prodigiosa, che risult vincente perch pi forte delle tensioni anche aspre che l'attraversarono.

Le tensioni non mancarono anche alla vigilia della decisione di salpare da Quarto per la Sicilia : non mancarono in Garibaldi i dubbi sulle

possibilit di riuscita dell'impresa ; non mancarono le preoccupazioni e le riserve di Cavour per una spedizione guidata da Garibaldi, i cui

svolgimenti e le cui ricadute potessero sfuggire al controllo politico e diplomatico del massimo stratega del processo unitario. Pesarono,

e non poco, diffidenze e rivalit personali nel cui giuoco era ben presente anche Vittorio Emanuele. Al fondo, era in questione, o cos

sembrava, l'egemonia, l'impronta - moderata o democratica - del movimento per l'Unit e della costruzione del nuovo Stato che ne

sarebbe scaturito. Ma su tutto prevalsero le ragioni dettate dallo sviluppo degli avvenimenti, gli imperativi del processo storico, con cui

tutti i protagonisti della causa italiana dovettero fare i conti.

La Seconda Guerra d'Indipendenza si era conclusa con una vittoria, costata un pesante tributo di sangue anche alle forze del Regno

sardo ; la scelta dell'alleanza con Napoleone III si era rivelata obbligata e feconda, anche se comport il duro sacrificio della cessione

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alla Francia di Nizza e della Savoia ; attaccato per questo sacrificio, Cavour pot comprensibilmente vantare per la sua politica "l'averci

condotto" - disse - "in cos breve tempo a Milano, a Firenze e a Bologna".

In effetti, con l'annessione della Lombardia, dell'Emilia e della Toscana, il regno sabaudo super gli 11 milioni di abitanti, divenendo un

non pi trascurabile Regno centro-settentrionale.

Ma questo, come ha scritto un grande storico, Rosario Romeo, restava "troppo lontano dall'ideale, non solo mazziniano, di un'Italia unita,

che fosse opera soprattutto degli italiani stessi". Si erano peraltro esauriti, con i risultati ottenuti, i margini dell'iniziativa politica e

diplomatica e delle alleanze di guerra fino allora sperimentate. Lo disse chiaramente nel luglio 1859 l'accordo di Villafranca tra

Napoleone III e l'Imperatore Francesco Giuseppe, che prospettava per l'Italia la soluzione mortificante di una Confederazione di tutti

gli Stati esistenti sotto la presidenza onoraria del Pontefice. A Cavour non rest che rassegnare le dimissioni. Spettava ormai "alle forze

democratiche e rivoluzionarie" - sempre il giudizio del nostro maggiore storico di quegli eventi - "imprimere una nuova spinta in avanti

al processo unitario". Era venuto il momento di Garibaldi.

D'altronde, gi in vista della II Guerra d'Indipendenza, Garibaldi era stato richiesto da Cavour di reclutare volontari che sarebbero

stati chiamati a far parte del corpo dei "Cacciatori delle Alpi" e avrebbero dato un contributo decisivo alla vittoria contro gli austriaci in

Lombardia. Al di l di ogni sospetto e circospezione nei confronti di Garibaldi, Cavour non dubitava - cos si espresse - che egli fosse una

"delle maggiori forze di cui l'Italia potesse valersi". Se non si voleva rinunciare al compimento, in Sicilia e nel Mezzogiorno,

dell'unificazione nazionale, e non si voleva dare per chiusa la questione romana - e nessuno dei diversi protagonisti poteva volerlo - anche

le incognite di una spedizione in Sicilia guidata da Garibaldi andavano accettate, sia pure con prudenza.

D'altra parte, le aspettative per ulteriori sviluppi del movimento per l'Unit d'Italia erano cresciute e crescevano in tutte le regioni non

ancora liberate. E una spinta decisiva venne - mentre a Genova affluivano i volontari - dai moti rivoluzionari scoppiati a Palermo e nel

palermitano nell'aprile 1860. Il moto unitario cresceva dal basso, scaturiva dal seno della societ civile e non solo dai disegni di ristretti

vertici politici. Ne dava la misura il fenomeno del volontariato, stimolato e coordinato dalla Societ nazionale creata nel 1857, e

incanalato dapprima verso il Piemonte in vista della guerra contro l'Austria.

Senza l'apporto del volontariato non sarebbe stata concepibile la spedizione dei Mille. Esso rifletteva il diffondersi di quel sentimento di

italianit che poi affratell gli imbarcati sulle due navi dirette in Sicilia - Piemonte e Lombardo. Erano in realt anche pi di mille, in

grande maggioranza lombardi, veneti, liguri : nelle sue famose e sempre fascinose "Noterelle", Abba dice di udire a bordo "tutti i dialetti

dell'Alta Italia", e parla di "Veneti, giovani belli e di maniere signorili", di Genovesi e Lombardi, "gente colta all'aspetto, ai modi e anche

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ai discorsi". Insomma, italiani che si sentivano italiani e che accorrevano l dove altri italiani andavano sorretti nella lotta per liberarsi e

ricongiungersi in un'Italia finalmente unificata.

Si indulge forse alla retorica rievocando questi e altri aspetti e momenti dell'epopea dei Mille, o rendendo omaggio alla capacit di

attrazione e di guida, al coraggio e alla perizia di condottiero, insomma alla straordinaria figura di Garibaldi, incomprensibilmente

oggetto ancora di grossolane denigrazioni da parte di nuovi detrattori? Bisogna intendersi. Retorica sarebbe una rappresentazione

acritica del processo unitario, che ne lasci in ombra contraddizioni e insufficienze per esaltarne solo la dimensione ideale e le prove di

sacrificio ed eroismo ; e ancor pi lo sarebbe una rappresentazione acritica dei traguardi raggiunti 150 anni fa e da allora ad oggi. Ma non

questa la strada che stiamo seguendo - il governo, il Parlamento, le istituzioni regionali e locali, il mondo della cultura - per celebrare il

centocinquantesimo anniversario della fondazione dello Stato unitario : giusto ricordare i vizi d'origine e gli alti e bassi di quella

costruzione, mettere a fuoco le incompiutezze dell'unificazione italiana e innanzitutto la pi grave tra esse che resta quella del mancato

superamento del divario tra Nord e Sud ; giusto quindi anche riportare in luce filoni di pensiero e progetti che restarono sacrificati

nella dialettica del processo unitario e nella configurazione del nuovo Stato.

Non per retorica il reagire a tesi storicamente infondate, come quelle tendenti ad avvalorare ipotesi di unificazione solo parziale

dell'Italia, abbandonando il Sud al suo destino, ipotesi che mai furono abbracciate da alcuna delle forze motrici e delle personalit

rappresentative del movimento per l'Unit.E tanto meno retorica il recuperare motivi di fierezza e di orgoglio nazionale : ne abbiamo

bisogno, ci necessaria questa pi matura consapevolezza storica comune, anche per affrontare con l'indispensabile fiducia le sfide che

attendono e gi mettono alla prova il nostro paese, per tenere con dignit il nostro posto in un mondo che cambiato e che cambia. Ne

hanno bisogno anche i ragazzi delle Forze Armate che portano la nostra bandiera, rischiando la vita, in impervi teatri di crisi.Perci tutte

le iniziative che il ministro Bondi ha richiamato come sobrio programma per il 150 - iniziative di carattere culturale, di pi larga

risonanza emotiva e popolare, di particolare valenza educativa e comunicativa - non sono tempo perso e denaro sprecato, ma fanno

tutt'uno con l'impegno a lavorare per la soluzione dei problemi oggi aperti dinanzi a noi : perch quest'impegno si nutre di un pi forte

senso dell'Italia e dell'essere italiani, di un rinnovato senso della missione per il futuro della nazione. Ieri volemmo farla una e

indivisibile, come recita la nostra Costituzione, oggi vogliamo far rivivere nella memoria e nella coscienza del paese le ragioni di

quell'unit e indivisibilit come fonte di coesione sociale, come base essenziale di ogni avanzamento tanto del Nord quanto del Sud in un

sempre pi arduo contesto mondiale. Cos, anche celebrando il 150, guardiamo avanti, traendo dalle nostre radici fresca linfa per

rinnovare tutto quel che c' da rinnovare nella societ e nello Stato.

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Ieri e oggi ho reso egualmente omaggio alla Genova di Mazzini e di Garibaldi, e alla Genova dei giorni nostri, esempio di un nuovo

risorgimento scientifico e produttivo, di un nuovo slancio creativo e laborioso.

Deve quindi guidarci pi che mai anche in queste celebrazioni un forte spirito unitario : esse non possono essere rivolte in polemica con

nessuna parte politica n formare oggetto di polemica pregiudiziale da parte di nessuna parte politica. C' spazio per tutti i punti di vista

e per tutti i contributi. Onoriamo cos i patrioti, gli eroi e i caduti dei Mille che salparono da Genova in questo giorno 5 di maggio di 150

anni orsono.

2- Intervento alla Celebrazione dell'anniversario della morte di Cavour

Santena, 06/06/2010

La cerimonia di oggi in questo luogo intensamente evocativo della figura di Camillo Benso Conte di Cavour, una nuova, essenziale tappa

del percorso celebrativo gi avviato, in vista del 150 anniversario di quel 17 marzo 1861 che sanc - con la proclamazione di Vittorio

Emanuele II a Re d'Italia - il compimento del processo unitario, la nascita del nostro Stato nazionale.

Gi in questi mesi abbiamo ricordato e celebrato eventi che segnarono nel 1860 la fase conclusiva del movimento per l'Unit d'Italia :

cos, il 5 maggio, la partenza da Quarto in Genova della spedizione dei Mille, e la settimana successiva lo sbarco a Marsala, che apr la

strada alle battaglie per la liberazione della Sicilia e infine dell'intero Mezzogiorno. Questa mattina - rendendo omaggio alla tomba che

custodisce le spoglie di Cavour - noi vogliamo piuttosto dare impulso al discorso che dovr svilupparsi attorno all'insieme delle vicende

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destinate a sfociare nell'unificazione dell'intera nazione italiana : vicende la cui trama e il cui svolgimento ebbero il loro massimo,

sapiente artefice e regista in Cavour.

Il timore che si potesse procedere nelle celebrazioni del nostro centocinquantenario trascurando la valorizzazione di Cavour, dei fatti,

dei luoghi, dei simboli che a lui riconducono, non meritava neppure una ovvia smentita. Il processo di avvicinamento all'Unit d'Italia e il

suo coronamento, non sopportano qualsiasi rappresentazione restrittiva o unilaterale : se non si vede come potrebbe concepirsi un

qualche oscuramento del ruolo di protagonista di chi guidava il governo di Torino, egualmente insostenibile sarebbe qualunque

menomazione della ricchezza e della molteplicit di volti e di apporti che compongono la storia del movimento e processo unitario.

Sarebbe davvero insensato e perfino grottesco riesumare logiche e contrapposizioni partigiane tendendo a spostare l'accento sull'una o

sull'altra delle fondamentali figure rappresentative di quel movimento, di quel processo.

Non si pu giocare a fare i garibaldini, i democratici o i rivoluzionari contro i moderati cavouriani, n a separare il ruolo di guida svolto da

Cavour, fermo restando il riferimento all'autorit del Re, dall'iniziativa di Garibaldi, dagli impulsi di Mazzini, dalle intuizioni di Cattaneo.

La grandezza del moto unitario in Italia sta precisamente nella ricchezza e molteplicit delle sue ispirazioni e delle sue componenti ; la

grandezza di Cavour sta nell'aver saputo governare quella dialettica di posizioni e di spinte, nell'aver saputo padroneggiare quel processo

fino a condurlo al suo sbocco pi avanzato.

Tutto ci stato d'altronde al centro della vasta ricerca storica fondata su preziose fonti documentarie, su analisi, ricostruzioni e

interpretazioni di valore scientifico - che in Italia, e anche con apporti di studiosi stranieri, si accumulata nel corso dei decenni. Ne

possiamo essere orgogliosi, e tante delle opere che nel Novecento, compresa la sua seconda met, hanno visto la luce, meriterebbero di

essere riproposte oggi all'attenzione di un largo pubblico, in special modo di un pubblico giovane. In questo senso potrebbe valere, come

sollecitazione, anche il programma delle celebrazioni del centocinquantenario.

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Ma molto possono contare iniziative di riflessione e di dibattito come quelle che gi sono in cantiere, al fine di produrre approcci pi

freschi e approfondimenti ulteriori rispetto alla grande tradizione degli studi sul Risorgimento e sull'Unit. Ed un segno assai positivo

il manifestarsi di un nuovo fervore di studi - non solo in Italia - specialmente sulla figura di Cavour.

Figura straordinaria di uomo di governo e di statista, di maestro nell'arte della politica, di tessitore e guida di un processo storico di

rilievo nazionale ed europeo. La pi recente opera, anch'essa di non comune impegno e spessore, dedicata a Cavour ha messo in evidenza

le motivazioni di fondo che ne orientarono la politica oltre i limiti del Regno sabaudo, nel quale si venne formando e affermando.

Si tratt di motivazioni che facevano tutt'uno con la coscienza della fragilit, della stessa difficolt di sopravvivenza di quel piccolo

Stato subalpino, e quindi della necessit di una sua scelta espansionistica nella pianura padana, che si caratterizzasse per come

momento dell'affermazione in tutta Europa del principio di nazionalit e s'incontrasse quindi con il crescere del moto patriottico italiano,

con una prospettiva di emancipazione nazionale dell'intera penisola.

Si riaffacciata in quest'ultimo periodo la tesi dell'assenza, nel disegno cavouriano, dell'obbiettivo di un'acquisizione del Regno delle

Due Sicilie come parte del nuovo Stato che ci si proponeva di far nascere dal Regno di Sardegna. Ma gi in opere precedenti, e tra le

maggiori dedicate a Cavour, si era ragionato sul carattere aperto e dinamico di quel disegno, che non abbracci immediatamente la

ricerca dell'intera unit d'Italia, ma si allarg via via in modo da comprendere e cogliere tutte le opportunit e le esigenze che

emergevano dallo sviluppo stesso dell'impresa originaria e dall'evolversi dello scacchiere europeo.

Ed un fatto che l'accordo di Villafranca nel luglio del 1859, con la mappa che esso pretese di disegnare per un'Italia confederale sotto

diverse insegne, rappresent per Cavour un punto di rottura ; l'accettare come traguardo invalicabile un Regno dell'alta Italia - sia pure

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ben pi esteso del Regno sardo-piemontese - destinato a esser chiuso in una morsa da sfavorevoli condizioni internazionali, gli apparve

troppo lontano dall'ideale di un'Italia unita.

E' un fatto che a quel punto Cavour si identific totalmente con la causa italiana e affront tutte le incognite dell'impresa garibaldina e

del rapporto con un Garibaldi la cui figura ormai giganteggiava. Incognite da Cavour padroneggiate pur tra manifeste difficolt e

tensioni, anche con il Sovrano, senza perdere la guida del processo nazionale unitario. Fu tenuto ben saldo l'asse di una egemonia

moderata, ancorata ad una visione liberale ed europea del nuovo Stato da costruire ; e in pari tempo divenne sempre pi chiaro a Cavour

che - com'egli scrisse nel giugno 1860 a Emanuele d'Azeglio - "solo l'unit" poteva, al punto cui erano giunte le cose in Italia, "garantire

alla penisola l'indipendenza e la libert".

Non ci si dedichi dunque - in vista del centocinquantenario - a esercizi improbabili, per non dire campati in aria, di nostalgismo

meridional-borbonico o di cavourismo immaginario, nell'idoleggiamento di un presunto Cavour chiuso in un orizzonte nordista e travolto

nolente dalla liberazione del Mezzogiorno. Riconosciamoci tutti nell'esito esaltante del movimento per l'Unit d'Italia, condizione e

premessa dell'ingresso del nostro paese nell'Europa moderna e del suo successivo trasformarsi e svilupparsi.

E di questa consapevolezza storica unitaria facciamo il solido, essenziale riferimento per garantire la coesione della nostra societ e del

nostro Stato nel contesto sempre pi impegnativo dell'integrazione europea e della globalizzazione.

Ci implica un nuovo grande sforzo culturale ed educativo : ben vengano ricerche e confronti, iniziative nelle scuole e impulsi

comunicativi, che contribuiscano anche a popolare la scena del movimento per l'Unit d'Italia e della conquista dell'Unit non di santini

ma di figure vive, a cominciare da quella di Cavour nella pienezza del suo genio e del suo carattere, dei suoi umori e tormenti, delle sue

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passioni. E di Cavour si trasmetta sempre di pi, specialmente qui a Torino e in Piemonte, l'esperienza di riformatore liberale, che non

deve essere offuscata dal ruolo preminente poi assunto sulla scena nazionale e sulla scena politico-diplomatica europea.

A quello sforzo culturale, educativo, comunicativo, e a quella stessa consapevolezza storica unitaria che ho appena invocato, deve

egualmente accompagnarsi una cruda individuazione ed analisi dei vizi d'origine del nostro Stato unitario, di debolezze e contraddizioni

da cui sono scaturiti, in diversi periodi, pesanti fenomeni degenerativi, di nodi ancora da sciogliere per poterci porre, come societ e

come Stato nazionale, in condizione di competere e progredire nell'Europa e nel mondo di oggi e di domani.

Unit nazionale e coesione sociale non significano centralismo e burocratismo, non significano mortificazione delle autonomie, delle

diversit e delle ragioni di contrasto e confronto sociale e politico. Unit e coesione possono anzi crescere solo con riforme e loro

conseguenti attuazioni, con indirizzi di governo a tutti i livelli, con comportamenti collettivi, civili e morali, che siano capaci di rinnovare

la societ e lo Stato, mirando in special modo ad avvicinare Nord e Sud, ad attenuare il divario che continua a separarli.

Rivolgendoci a un passato che merita di essere celebrato senza vacuit retoriche e senza autolesionismi, guardando avanti con saggezza

ma senza conservatorismi al cammino da compiere, le celebrazioni del centocinquantenario ci appaiono davvero una grande occasione da

cogliere nell'interesse comune dell'Italia e degli italiani.

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3- Intervento in Sicilia

Marsala, 11 maggio 2010

Abbiamo il 5 maggio ricordato la partenza dallo scoglio di Quarto della spedizione dei Mille, rendendo omaggio alla figura di Garibaldi e

alla schiera dei suoi volontari, all'audacia dell'impresa che apr la fase conclusiva del lungo percorso del movimento per l'Unit d'Italia.

Oggi siamo qui per rievocare il ruolo della Sicilia nel compimento del processo di unificazione nazionale. Senza la Sicilia e il Mezzogiorno

non si sarebbe certo potuto considerare compiuto quel processo, non si sarebbe potuto far nascere uno Stato che rappresentasse

pienamente la nazione italiana e che si ponesse, in pieno Ottocento, tra i maggiori Stati europei.

E la Sicilia non fu passivo teatro della spedizione garibaldina. Quella stessa spedizione non vi sarebbe stata se dalla Sicilia non fossero

giunti i segni del possibile successo dell'impresa. I dubbi, le esitazioni di Garibaldi fino alla vigilia della partenza da Quarto riflettevano

la sua ferma convinzione che non si potesse correre il rischio di un nuovo disperato tentativo di azione armata nel Mezzogiorno, in vista

di una sollevazione rivoluzionaria, che come quella guidata nel 1857 da Carlo Pisacane fallisse tragicamente anche per l'ostilit incontrata

nella popolazione.

In effetti, dalla Sicilia, in quell'aprile del 1860, erano giunti i segni di una crescente aspettativa e predisposizione per un possibile

congiungersi del movimento nazionale unitario con la volont di ribellione della Sicilia contro il dominio borbonico. Il momento culminante

fu toccato, a Palermo, con lo scontro al Convento della Gancia, e anche se le notizie sull'esito di quello scontro furono all'inizio, per

essere poi smentite, di completo insuccesso, prevalse infine la valutazione che si potessero riscontrare in Sicilia condizioni favorevoli per

la riuscita della spedizione. Per quella decisione, per quella spedizione, si erano spesi, con Garibaldi, i siciliani Francesco Crispi, Rosolino

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Pilo, Giuseppe La Masa.

E rimane un fatto storicamente indiscutibile - al di l di ogni variet di accenti tra gli studiosi - che ben prima dell'aprile 1860, quando

comunque si estese ai paesi vicini l'insurrezione soffocata, alla Gancia, nella citt di Palermo, si erano venuti moltiplicando, a partire

dall'estate-autunno 1859, i fermenti rivoluzionari e i moti contadini in Sicilia. Lo sbarco di Garibaldi e dei Mille si giov di quel clima, e

suscit a sua volta un pi ampio fenomeno insurrezionale. Come hanno scritto storici di diverse tendenze, "per la prima volta una regione

italiana insorgeva di sua iniziativa contro il regime esistente" e ci cre "una situazione del tutto nuova" per il movimento unitario su

scala nazionale (Romeo) ; "la Sicilia fece s che il sogno pluridecennale dell'iniziativa meridionale diventasse realt" (Berti). Scrisse il 4

maggio Garibaldi ad un amico: "L'insurrezione siciliana porta nel suo grembo i destini della nostra nazionalit".

Sulla via della Sicilia decisiva fu la sosta a Talamone, per acquisire armi e munizioni e per dare un'organizzazione militare ai volontari che

erano stati a Quarto imbarcati alla rinfusa. Vennero l raggruppati in 8 compagnie, facenti capo a 2 battaglioni, uno dei quali al comando

di Nino Bixio e l'altro al comando del siciliano Giacinto Carini.

Lo sbarco a Marsala avvenne senza perdite anche grazie alla buona sorte. Se l'improvvisa comparsa nelle strade di quella citt della

singolare schiera dei Mille, colse di sorpresa ed estranea la popolazione, gi ben pi calorosa fu l'accoglienza a Salemi. L Garibaldi

compie l'atto solenne con cui dichiara di assumere la dittatura della Sicilia in nome dell'Italia e di Vittorio Emanuele II. Tutto sarebbe

radicalmente cambiato dopo la battaglia di Calatafimi ; sull'onda della straordinaria prova di abnegazione e capacit di vincere dei

garibaldini - condotti al successo contro soverchianti forze borboniche, in sei ore di duri combattimenti, dal genio di condottiero e dal

personale coraggio di Garibaldi - l'entusiasmo dilag in tutta la Sicilia ; e sempre pi consistente si fece l'apporto delle squadre di

"picciotti" che insorsero combattendo insieme ai Mille fino alla dura battaglia e al trionfo di Palermo.

No, la Sicilia non fu passivo teatro di un'offensiva liberatrice condotta da altri ; espresse forze proprie per affrancarsi da un regime

che da tempo sentiva nemico, e contribu decisamente a uno storico balzo in avanti del movimento per l'Unit italiana.

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In quella mobilitazione di strati importanti della societ siciliana, pes in modo determinante la svolta che si era prodotta nelle classi

dirigenti, nei ceti proprietari. La svolta, cio, che ne segn il passaggio, da un orientamento mirante alla completa indipendenza statuale

siciliana, a un'adesione piena all'obbiettivo dell'unificazione nazionale italiana sotto l'egida del Regno del Piemonte. La crescente

insofferenza e reazione verso una prassi accentratrice e uniformatrice della monarchia borbonica che reggeva il Regno delle Due Sicilie,

si era cos incanalata nell'alveo di quel pi ampio indirizzo e movimento reale che Garibaldi aveva riassunto nella formula "Italia e Vittorio

Emanuele" come bandiera della stessa spedizione dei Mille.

La Sicilia gi protagonista della Rivoluzione del 1848 si fece cos protagonista della fase risolutiva della lotta per l'Unit italiana.

Le celebrazioni del 150 anniversario della fondazione del nostro Stato nazionale offrono dunque l'occasione per mettere in luce gli

apporti della Sicilia e del Mezzogiorno a una storia comune e ad una comune cultura, che affondano le loro radici in un passato

plurisecolare, ben precedente lo sviluppo del processo di unificazione statuale della nazione italiana. Di quel patrimonio, culminato nelle

conquiste del 1860-1861, possiamo come meridionali essere fieri : non c' spazio, a questo proposito, per pregiudizi e luoghi comuni che

purtroppo ancora o nuovamente circolano, nell'ignoranza di quel che il Mezzogiorno, dando il meglio di s, ha dato all'Italia in momenti

storici essenziali.

E' nello stesso tempo necessario che in un bilancio critico del lungo periodo che ha seguito l'unificazione d'Italia, non si coltivino nel

Mezzogiorno rappresentazioni semplicistiche delle difficolt che esso ha incontrato, dei prezzi che ha pagato, per errori e storture

delle politiche dello Stato nazionale nella fase della sua formazione e del suo consolidamento.

Il ripescare le vecchissime tesi - come qualche volta si sente fare - di un Mezzogiorno ricco, economicamente avanzato a met '800, che

con l'Unit sarebbe stato bloccato e spinto indietro sulla via del progresso, non degno di un approccio serio alla riflessione storica pur

necessaria. E non vale nemmeno la pena di commentare tendenze, che per la verit non si ha coraggio di formulare apertamente, a un

nostalgico idoleggiamento del Regno borbonico.

Si pu considerare solo penoso che da qualunque parte, nel Sud o nel Nord, si balbettino giudizi liquidatori sul conseguimento dell'Unit,

negando il salto di qualit che l'Italia tutta, unendosi, fece verso l'ingresso a vele spiegate nell'Europa moderna. Mentre chi si prova a

immaginare o prospettare una nuova frammentazione dello Stato nazionale, attraverso secessioni o separazioni comunque concepite,

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coltiva un autentico salto nel buio. Nel buio, intendo dire, di un mondo globalizzato, che richiede coesione degli Stati nazionali europei

entro un'Unione pi fortemente integrata e non macroregioni allo sbando. Lasciamo scherzare con queste cose qualche spregiudicato

giornale straniero.

A pregiudizi e luoghi comuni contro il Mezzogiorno, la sua storia e anche la sua travagliata e complessa realt attuale, tutte le forze

rappresentative delle regioni meridionali debbono per opporre un sereno riconoscimento delle insufficienze che esse hanno mostrato in

decenni di autogoverno. E' oggi all'ordine del giorno, in attuazione del Titolo V, riformato nel 2001, della Costituzione repubblicana, un

pi conseguente sviluppo delle autonomie secondo un'ispirazione federalista. Il riconoscimento di un'autonomia speciale alla Regione

Siciliana fu, nel 1946, non solo la risposta a una storica aspettativa della Sicilia, frustrata all'indomani dell'Unit d'Italia, ma l'apertura

di un nuovo capitolo di promozione, in tutto il paese, delle autonomie come perno della Repubblica una e indivisibile. Ebbene, possiamo

dirci soddisfatti, da meridionali, del modo in cui ci siamo avvalsi di quella preziosa leva che sono state le Regioni a statuto speciale e a

statuto ordinario?

Non la prima volta che lo dico, e sento il bisogno di ripeterlo ; le critiche che legittimo muovere in modo argomentato e costruttivo

agli indirizzi della politica nazionale, per scarsa sensibilit e aderenza ai bisogni della Sicilia e del Mezzogiorno, non possono essere

accompagnate da reticenze e silenzi su quel che va corretto, anche profondamente, qui nel Mezzogiorno, sia nella gestione dei poteri

regionali e locali e nel funzionamento delle amministrazioni pubbliche, sia negli atteggiamenti del settore privato, sia nei comportamenti

collettivi. E parlo di correzioni essenziali anche al fine di debellare la piaga mortale della criminalit organizzata.

Nello stesso tempo si deve chiedere a tutte le forze responsabili che operano nel Nord e lo rappresentano, di riflettere fino in fondo su

un dato cruciale : l'Italia deve nel medio e lungo periodo crescere di pi e meglio, ma pu riuscirvi solo se crescer insieme, solo se si

metteranno a frutto le risorse finora sottoimpiegate, le potenzialit, le energie delle regioni meridionali.

Siano dunque le celebrazioni del 150 del nostro Stato nazionale, l'occasione per determinare un clima nuovo nel rapporto tra le diverse

realt del paese, nel modo in cui ciascuna guarda alle altre, con l'obbiettivo supremo di una rinnovata e pi salda unit. Che , siamone

certi, la sola garanzia per il nostro comune futuro.

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Quattro passi nel passato

Giuseppe Mazzini

Genova 1805 - Pisa 1872

Patriota. Si laure in legge nel 1827 e svilupp molto presto idee progressiste e democratiche. Entr nella

cospirazione carbonara ma venne arrestato nel 1830 e recluso nel carcere di Savona. Uscito dal carcere nel 1831

and in esilio in Francia, dove fond "La Giovine Italia", che manifest pubblicamente il suo programma: unit ed

indipendenza dell'Italia sotto le istituzioni della repubblica da raggiungere tramite l'educazione e l'insurrezione.

Nel 1832 il periodico omonimo divenne lo strumento del nuovo movimento creato da Mazzini. Negli anni successivi

oper per allargare le maglie della sua organizzazione e per preparare tentativi insurrezionali che per fallirono. Nel

1834 cerc di collegare il moto nazionale italiano con la lotta per l'indipendenza di altri popoli oppressi d'Europa ed a

tal fine fond la "Giovine Europa". Nel 1837 si rec in Inghilterra. Qui fond nel 1840 l'Unione degli operai italiani

sul cui periodico, Apostolato popolare, pubblic a puntate I doveri dell'uomo. Durante i moti del 1848 torn in patria, prima a Milano, dove appoggi la guerra regia di Carlo Alberto anteponendo cos momentaneamente la questione

dell'unit dell'Italia alla pregiudiziale repubblicana. Si rec quindi a Roma, dove divenne uno dei massimi dirigenti

della Repubblica Romana. La tragica fine di questo esperimento rivoluzionario lo costrinse a riparare in Svizzera. Nel

decennio seguente la sua influenza politica venne ridimensionata a causa della dissidenza manifestatasi in ambito

democratico e dall'affermazione del Piemonte come punto di riferimento della lotta unitaria. Dopo l'unit continu a

battersi per la soluzione della questione romana e per la repubblica.

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Giuseppe Garibaldi

Nizza 1807 Caprera 1882 Una vita movimentata

Giuseppe Garibaldi nasce il 4 luglio a Nizza. Fra il 1824 e il 1833 naviga nel Mediterraneo come marinaio mercantile.

Nel 1832 consegue la patente di capitano di seconda classe. E' affascinato dalle dottrine di Mazzini che, nel 1831 ha

fondato la Giovane Italia col programma di rendere l'Italia una, indipendente e repubblicana. Alla fine dell'anno si

arruola nella marina militare sarda. E' implicato in un moto mazziniano a Genova. Scoperto, riesce a fuggire. E'

condannato a morte da un tribunale militare. Si rifugia a Marsiglia dove vive facendo il marinaio sotto falso nome.

Aderisce alla Giovane Europa. Nell'estate del 1835 parte per il Brasile. A Rio de Janeiro fonda un'associazione

mazziniana tra gli esuli italiani. Nel 1837, come corsaro, entra al servizio della repubblica del Rio Grande do Sul, che

lotta per ottenere l'indipendenza dal Brasile. Nel Rio della Plata attacato dagli uruguayani. Ferito, si rifugia in

Argentina, e resta per alcuni mesi in prigione a Galeguay. Liberato, si ferma per qualche tempo a Montevideo.

Passato nel Rio Grande, combatte contro i brasiliani per mare e per terra. A Laguna, nel 1839, incontra Anita; nel

1840 nasce il figlio Domenico, che chiamer Menotti. Nel 1848 torna a Montevideo. Combatte per l'Uruguay,

aggredito dall'Argentina, che appoggia il ribelle Oribe. Nel 1842 incaricato di una spedizione sul fiume Paran, poi

partecipa alla difesa di Montevideo e, nel febbraio 1846 respinge forze superiori nella battaglia di San Antonio al

Salto, questimpresa ha una grande risonanza, quindi ritorna a difendere la capitale. La fama delle sue imprese si

diffonde in Europa. A Montevideo nascono Rosita (morta in tenera et), Teresita e Ricciotti. Nel 1848 parte per

l'Italia, in corso la prima guerra d'Indipendenza. Nella convinzione che gli italiani debbano essere uniti per

sconfiggere l'Austria, offre la sua spada a Carlo Alberto. Non accettato nell'esercito piemontese, ottiene un

comando dal governo provvisorio milanese. Combatte in Lombardia contro gli austriaci come irregolare. Rientra a

Nizza, quindi con un gruppo di volontari s'imbarca per portare aiuto alla Sicilia, in rivolta contro i Borboni. A Livorno

decide di restare in Toscana, nel 1849 combatte per la difesa della repubblica romana, proclamata dopo la fuga di

Pio IX. Caduta la repubblica, a luglio, decide di raggiungere con alcune migliaia di volontari Venezia, assediata dagli

austriaci. Costretto a sciogliere le truppe a San Marino, cerca con pochi compagni di raggiungere egualmente

Venezia, ma deve rinunziare. Nell'agosto, durante la fuga, muore Anita. Lui a stento fugge alla caccia che gli danno

gli austriaci. In settembre in salvo in Liguria. Negli anni 1849-1853 riprende la via dell'esilio. Si trattiene a

Tangeri, dove comincia a scrivere le Memorie. Poi si reca in America, negli Stati Uniti. Naviga nel Pacifico. Sul finire

del 1853 si imbarca per l'Inghilterra. Nel 1859 torna in Italia, passa da Nizza, il padre morto nel 1841 la madre

nel 1852. Acquista parte dell'isola di Caprera e vi si trasferisce. Dal punto di vista politico, accantonate le idealit

repubblicane, aderisce alla Societ nazionale, ritenendo opportuno che gli italiani collaborino con Casa Savoia, unica

monarchia costituzionale in Italia, per raccogliere le forze contro l'Austria. Sempre nel 1859, seconda guerra

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d'indipendenza, generale dell'esercito piemontese, al comando dei cacciatori delle Alpi. Da Battistina Raveo ha la

figlia Anita. Dopo l'armistizio di Villafranca assume il comando dell'esercito della Lega nell'Italia centrale. Si

dimette quando gli impedito di invadere lo stato pontificio. Nel gennaio 1860 sposa la marchesina Raimondi, dalla

quale si divide dopo pochi giorni. In aprile si oppone invano alla cessione di Nizza alla Francia. Il 6 maggio parte da

Quarto con mille volontari, per appoggiare in Sicilia la rivoluzione contro i Borboni. L'11 maggio sbarca a Marsala, il

14 a Salemi assume la dittatura, il 15 batte i borbonici a Calatafimi, il 27 entra a Palermo, il 6 giugno padrone della

citt. Il 20 luglio batte nuovamente i borbonici a Milazzo, il 19 agosto attraversa lo stretto di Messina e sbarca in

Calabria, il 7 settembre entra a Napoli. In due giorni, 1 e 2 ottobre annulla la riscossa borbonica nella battaglia del

Volturno. Dopo che con un plebiscito stata decisa l'unione del mezzogiorno e della Sicilia al regno Sabaudo, il 26

ottobre incontra a Teano Vittorio Emanuele II e il 7 novembre mette il potere nelle sue mani a Napoli. Il 9 riparte

per Caprera. Nel marzo del 1861 proclamato il regno d'Italia. Nell'aprile Garibaldi ha in Parlamento uno scontro

con Cavour sul trattamento fatto ai volontari. Non si arrende, ascolta i movimenti e nel 1862 nell'intento di liberare

Roma con l'iniziativa popolare parte dalla Sicilia con 2.000 volontari, ma il 29 agosto fermato in Calabria,

sull'Aspromonte, dall'esercito italiano. Ferito, tenuto prigioniero fino all'ottobre. Nellaprile del 1864 compie un

trionfale viaggio in Inghilterra. Rientra in Italia, terza guerra dindipendenza, 1866, comanda un corpo di volontari

che combatte in Trentino. Riporta a Bezzeca l'unica vittoria di una campagna sfortunata per le armi italiane. Ha una

storia damore con Francesca Armosino da cui nasce la figlia Clelia. Riprende il progetto di liberare Roma con una

spedizione. A settembre partecipa a Ginevra al Congresso per la pace. Nell'ottobre si mette a capo dei volontari che

hanno invaso il Lazio, ma la campagna per Roma termina infelicemente il 3 novembre a Mentana. Nel periodo

compreso fra lottobre 1870 e il gennaio 1871 partecipa alla guerra francoprussiana, in favore della repubblica

proclamata in Francia. Inizia un'attivit letteraria, che lo porter a pubblicare tre romanzi ed a completare le

Memorie. Torna a Caprera. Prende posizione in favore della Comune di Parigi e del socialismo. Alla Morte di Mazzini,

1872, ordina che sulla sua salma sventoli la bandiera dei Mille, bench dissenta dalla sua linea politica. Nel novembre

cerca di unire le forze della democrazia italiana col Patto di Roma. Nasce il secondo figlio da Francesca (la prima

mor piccina), Manlio. Nel 1876 la sinistra va al potere e lui riferimento per molti ma, nellaprile del 1879 fonda a

Roma la Lega della Democrazia, che promuove l'agitazione legale per la riforma elettorale. Nel 1880 ottiene

l'annullamento del matrimonio con la Raimondi e sposa Francesca Armosino. Sempre in movimento, torna a Napoli e a

Palermo. Muore a Caprera il 2 giugno.

Giuseppe Garibaldi viene citato spesso a proposito delle disabilit: i suoi ritratti in et avanzata ce lo rimandano sempre seduto

con una coperta che gli copre gli arti inferiori .

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Giuseppe Ferrari

Milano 1811 - Roma 1876

Filosofo e uomo politico. Dopo essersi laureato in giurisprudenza si dedic agli studi filosofici e storici. Frequent il

circolo stretto attorno a Romagnosi, dal quale fu profondamente influenzato. Dal 1838 si trasfer in Francia, dove

rest per lunghi anni venendo a contatto con le tendenze socialiste che si stavano diffondendo oltralpe. Si interess

alla questione italiana entrando in polemica tanto con i moderati quanto con Mazzini e si fece assertore di un

programma democratico, repubblicano e federalista che anteponesse la questione della libert a quella dell'unit

degli italiani. Nel 1851 tent di dar vita ad un partito democratico che avrebbe dovuto farsi promotore di radicali

riforme sociali nel quadro della lotta risorgimentale. Rappresentativo della sua analisi della questione italiana il suo

scritto La Federazione repubblicana (1851). Torn in Italia nel 1860 e si fece critico della "piemontesizzazione" della penisola, cio dell'omologazione delle varie parti del paese agli istituti ed alle leggi del regno sabaudo, come

dimostra il pamphlet L'annessione delle Due Sicilie. Insegn nelle universit di Roma, Torino e Milano e sedette in Parlamento sui banchi della sinistra.

Massimo DAzeglio

Torino, 1798 ivi 1866

Uomo politico e scrittore. Figlio di un'importante famiglia della nobilt piemontese, dopo aver vissuto alcuni anni a

Roma per dedicarsi alla pittura, nel 1830 si trasfer a Milano dove entr in stretto rapporto con Manzoni. Qui

cominci a dedicarsi alla scrittura di opere che dovevano educare il popolo al sentimento nazionale come La disfida di Barletta o Ettore Fieramosca (1833). In ambito politico divenne punto di riferimento del partito liberale moderato. Nel 1845 ebbe la missione di contattare la rete del movimento liberale in Romagna ed invit i cospiratori a mettere

da parte i modi di agire estremi e ad avere fiducia nel re di Sardegna Carlo Alberto. Tornato a Torino formul le sue

proposte per la soluzione della questione italiana nell'opuscolo Proposta d'un programma per l'opinione pubblica nazionale italiana (1847). Allo scoppio della rivoluzione del 1848 si arruol al seguito del generale Durando e partecip alla difesa di Vicenza. Fermamente convinto della necessit di porre il Piemonte alla guida del processo

risorgimentale intu la necessit di ammodernare il regno sabaudo. Divenuto Capo del Governo subito dopo la rotta di

Novara (1849) si dedic alla sua opera rinnovatrice circondato da collaboratori come Nigra e Cavour. Allontanatosi

dalla politica nel 1852 venne pi tardi nominato da Cavour commissario straordinario delle Romagne (1859) e

governatore di Milano (1860).

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Camillo Benso

Conte di Cavour

Torino, 1810 Torino 1861

Politico e statista. Figlio di una nobile famiglia piemontese venne avviato alla carriera militare. Nel 1826 divenne

luogotenente del genio. Di stanza a Genova entr in contatto con ambienti liberali ostili all'oscurantismo della

Restaurazione ed ebbe modo di coltivare il suo interesse per il dibattito politico che si sviluppava oltralpe.

Trasferito in Valle d'Aosta lasci l'ambiente militare nel 1831 e si dedic all'amministrazione del patrimonio della

famiglia. Nel 1835 inizi un viaggio all'estero (in Svizzera, Francia e Inghilterra) che gli permise di entrare in

contatto con le nuove idee che maturavano in campo economico e politico nelle pi avanzate societ europee

dell'epoca e di stringere importanti relazioni con figure influenti della politica e della finanza. Tornato in Piemonte

si fece convinto assertore della necessit di una politica orientata da un liberalismo moderato e riformista. Si

impegn dapprima in campo economico, introducendo migliorie agricole nei beni di famiglia, promuovendo la

fondazione della Banca di Torino (poi nazionale) nel 1847 e partecipando al dibattito sull'importanza delle strade

ferrate per lo sviluppo del paese (cui egli diede pi tardi un decisivo impulso). Successivamente si impegn in politica,

partecipando alla nascita del giornale di tendenza moderata Il Risorgimento, di cui fu grande animatore, sostenendo il nesso tra riforme liberiste in economia ed aperture liberali in politica. Dopo il 1849 appoggi il governo D'Azeglio,

di cui fu ministro dell'agricoltura, commercio e marina. Divenuto leader riconosciuto del centro-destra liberale

moderato assunse la carica di primo ministro (1852) e favor lo sviluppo del Piemonte e la sua preparazione per

guidare il processo unitario. La sua abilit politica gli consent d'inserire il moto risorgimentale nella complessa

trama delle relazioni antagonistiche tra le Potenze europee al fine di realizzare l'unit della penisola. Dal 1852 al

1861 fu quasi ininterrottamente presidente del consiglio del Regno di Sardegna e divenne il primo presidente del

consiglio del Regno d'Italia.

La riflessione economica e l'azione politica tra 1850 e 1861 definiscono un profilo specifico del processo

risorgimentale. Da una parte, ed l'aspetto pi noto o ricordato, il tema quello della definizione filosofico-politica

di uno Stato liberale , in particolare del rapporto Stato Chiesa, cos come Cavour lo descrive nei mesi che

accompagnano la proclamazione del Regno d'Italia all'indomani dell'impresa dei Mille tra ottobre 1860 e marzo 1861.

Dall'altra la questione della fisionomia economica dello Stato, sulla quale Cavour lavora in quegli stessi anni e sulla

quale aveva cominciato a riflettere tra gli anni '30 e gli anni '50 del secolo.

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Le donne del Risorgimento

Enrichetta Caracciolo: nonostante i voti e l'ostitilit delle gerarchie

ecclesiastiche fu tenace avversaria dei Borboni (1821-1901) Enrichetta Caracciolo. Una giovane, intelligente, romantica anelante alla vita e allamore ha la somma sfortuna di nascere

e vivere a Napoli durante lultimo ottuso regime dei Borboni sotto la tirannica alleanza tra trono e altare che lasceranno la

fanciulla, senza altra scelta che accettare, diciannovenne, nel 1840 la vita claustrale del convento benedettino di San

Gregorio Armeno a Napoli. Nel 1846 Enrichetta manda suppliche a Pio IX, tutte purtroppo destinate a naufragare per

lostinata opposizione del giovane nuovo arcivescovo di Napoli Sisto Riario Sforza (1810-1877). In convento la Caracciolo

fa la sagrestana, respinge le proposte oltraggiose di preti e nel 1848 legge a voce alta la stampa liberale, diventando

anticlericale e repubblicana. Sullonda della repressione borbonica il 15 maggio 1848 incenerisce le sue memorie, temendo

ripercussioni per s e la sua famiglia. Autorizzata dal papa a trasferirsi nel Conservatorio di Costantinopoli. Anche l avr

vita difficile: la badessa infatti le sequestra i libri tra cui scritti di Cant, Tommaseo e Manzoni, le impedisce suonare al

pianoforte i brani di Rossini, negandole la facolt di scrivere lettere (ma trover il mezzo di eludere il divieto nascondendo

le missive nella biancheria da lavare) e di tenere un diario. Alla perquisizione subita nel 1849 sfuggono un fascio di carte rivoluzionarie in

cifra, un pugnale ed una pistola affidatele da un cognato cospiratore.

Con laiuto dellamico sacerdote Spaccapietra, ottiene il permesso di abitare con la madre e riavere i frutti della dote, ma nel 1851 ancora

una volta Riario Sforza la fa arrestare mentre a casa di una sorella e condurre nel ritiro di Mondragone dove rifuta il cibo e tenta il suicidio.

Segue un anno di isolamento, le si impedisce persino di vedere la madre morente. Il 7 settembre 1860, Enrichetta pu stringere la mano a

Garibaldi mentre assiste in Duomo alla messa di ringraziamento per la fuga di Franceschiello. Lo stesso giorno lei depone sullaltare il suo

velo nero di monaca. Le nozze di rito evangelico con il garibaldino napoletano di origine tedesca Don Giovanni Greuther dei Duchi di Santa

Severina inaugurano la sua seconda vita. Nonostante il grande impegno politico e civile per i diritti femminili, ladesione alla massoneria a

molte altre associazioni, il lavoro giornalistico (fu corrispondente de La rivista partenopea di Napoli, La Tribuna di Salerno e Il Nomade di

Palermo) e lattivit letteraria (dopo le memorie pubblicher vari scritti tra cui nel 1866, Un delitto impunito: fatto storico del 1838. Dramma

in 5 atti e Proclama alle Donne dItalia, la raccolta di poesie satiriche contro le superstizioni, I miracoli ,1874) non avr mai alcun

riconoscimento ufficiale del parte del governo italiano. Muore, ormai del tutto dimenticata, allalba del nuovo secolo.

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Anita moglie di Garibaldi, fu amante appassionata, madre tenera, guerrigliera

indomabile fino alla morte (1821 -1849), Anita lamazzone, la guerrillera, lamante appassionata e gelosa del suo uomo, Anita la madre tenera ed eroica.

Questo stata Ana Maria Ribeiro Da Silva, detta Aninhas, la moglie brasiliana di Giuseppe Garibaldi nei dieci anni

esatti che visse accanto alleroe dei due mondi. Il suo contributo al Risorgimento italiano stato grande anche se

indiretto. Immolando tutta se stessa sullaltare di quel Jos dagli occhi azzurri che le aveva dato quattro figli (Menotti

nel 1942, Rosita nata nel 1843, Teresita nel 1945 e Ricciotti nel 1947) consegn allItalia il combattente indomito che

lavrebbe unita. Il rivolo di sangue indio che scorreva nelle vene della fanciulla, nata il 30 agosto 1821 a Morrinhas,

un povero villaggio in provincia di Santa Caterina nel Sud del Brasile, mostr subito di quale fosse la sua tempra, lo spirito selvaggio, lagilit

e il coraggio di cui era capace. Dapprima seppe tener testa a Manuel Duarte Aguilar, un calzolaio ubriacone e per giunta monarchico che la

madre vedova in difficolt economiche le aveva scelto per marito, anche per evitare guai peggiori a una bellezza precoce ma gi molto

avvenente. Poi affrontando con il coraggio di una pantera le incredibili avventure e le durissime privazioni subite nella lotta contro le truppe

imperiali accanto a Garibaldi.

Anita condivideva con Garibaldi gli ideali repubblicani cui laveva educata lo zio Antonio. Aveva 18 anni e sapeva cavalcare come una vera

amazzone. Non ci pens un attimo a lasciare tutto per il biondo eroe venuto dallItalia e prese parte a pi di unazione di guerra per mare e per

terra comportandosi come uneroina salgariana ante litteram.

Partecip anche alla battaglia di Santa Vittoria (il 15 dicembre 1839) dove cinquecento repubblicani ebbero la meglio su duemila imperiali,

ma nella battaglia di Curitibanos (18 gennaio 1840) venne fatta prigioniera. Riusc per a fuggire attraverso la foresta per raggiungere,

stremata da otto giorni di stenti, Garibaldi. Per campare Garibaldi si adatt prima senza successo a fare il venditore ambulante di grano e

formaggi, poi a insegnare matematica, storia e geografia in un collegio, mentre Anita era costretta ad arrotondare il magro bilancio familiare

facendo la sarta.

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GELOSIA E DEPRESSIONE - Scoppiata la guerra tra Uruguay e Argentina, Garibaldi fu ingaggiato con il

grado di colonnello dal presidente Fruttuoso Rivera e messo a capo dei resti della flotta sbaragliata

dallammiraglio argentino Brown. Montevideo, la nuova Troia, come la defin Alexander Dumas, rimarr

sotto assedio per oltre otto anni. Colpita da forte depressione per la perdita della figlia Rosita, morta a due

anni a causa di unepidemia di scarlattina, Anita si prodig come infermiera di campo, partecipando anche

alla battaglia di San Antonio dove Garibaldi con soli 190 uomini ebbe ragione dei mille e cinquecento del

generale Oribe. Rinunciando alla carica di comandante generale di tutte le forze di difesa della citt, Garibaldi

torn in Europa dove gli eventi stavano precipitando in senso rivoluzionario. Anita con i tre figli lo preceder.

Sbarcata a Genova il 27 dicembre 1847, fu accolta da una folla di tremila persone. A Nizza per la

convivenza con Donna Rosa non fu facile: infatti la suocera, cattolica, non la vedeva di buon occhio per via

del precedente matrimonio.

ROMA E LA MORTE - Garibaldi la raggiunse il 21 giugno 1848 per partire immediatamente alla volta di Firenze, Bologna, Ravenna, del

Lago Maggiore e infine Roma dove era stata proclamata la Repubblica, alla cui difesa disperata, un anno dopo, dar un contributo decisivo.

Anita, incinta di quattro mesi, lo raggiunse a Roma il 26 giugno poco prima della capitolazione. Garibaldi decise di raggiungere Venezia

ancora libera, ma Anita volle a qualunque costo seguirne il destino. Comincer cos il suo calvario: le tappe forzate, la febbre, la morte il 4

agosto 1849 in una fattoria del ravennate con gli Austriaci alle calcagna, tra le braccia di Garibaldi. Poi una sepoltura frettolosa, la pietosa

riesumazione, il funerale religioso e, nel 1859, per volont di Garibaldi, la tumulazione a Nizza. Nel 1932 la salma fu traslata a Roma nel

monumento a lei dedicato sul Gianicolo.

Garibaldi e Anita in fuga da

Roma

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Modello laico di passione patriottica, Giuditta Bellerio Sidoli (1804 1871), Nel pantheon femminile del Risorgimento italiano Giuditta Sidoli, nata Bellerio, rappresenta un modello laico di

passione patriottica e amore materno. Piacente, colta e intelligente, esercit la rara virt della costanza e fu lunica donna

a far breccia nel cuore di Mazzini. Figlia del barone Andrea Bellerio, Giuditta nacque a Milano nel 1804. A soli 16 anni,

gi convertita alla causa italiana dal fratello Carlo, spos Giovanni Sidoli, giovane e facoltoso patriota di Montecerchio,

di cui condivise la fede patriottica Nel 1829, la morte per malattia polmonare del marito a Monpellier, ne fece una

giovane vedova decisa a consacrare la sua vita alla patria ma senza mai dimenticare i quattro figli: Maria, Elvira,

Corinna e Achille. Nellimminenza dei moti del 1831 ebbe contatti con Ciro Menotti e il 6 febbraio, marci per le strade

della citt insieme ai pi ferventi patrioti invitando la popolazione a sventolare il tricolore. Fallita linsurrezione per

lintervento austriaco, temendo la vendetta del duca Francesco IV, Giuditta fugg a Marsiglia con Giuseppe Lamberti e

altri patrioti compromessi, fu quindi costretta a lasciare la giovane prole alla custodia del suocero Bartolomeo, l conobbe Giuseppe Mazzini e

a lui si leg sentimentalmente, fortemente ricambiata. Nel 1833 lo segu a Ginevra per tornarsene in seguito sola a Marsiglia. Decisa a

riabbracciare i figli, sotto falso nome si rec a Firenze Nonostante la stretta sorveglianza della polizia, a Firenze Giuditta riceveva Gustavo

Modena, il marchese Gino Capponi, la terza importante figura maschile della sua vita, e altri liberali di parte guelfa, ma il 10 settembre 1834

venne arrestata al confine toscano e ricondotta a Firenze.

SOLITUDINE - Le sue peregrinazioni ripresero prima a Lucca e a Livorno, poi a Genova ottenne di dimorare a Parma, potendo riabbracciare

di quando in quando i figli al confine. Nel 1848 rivide Mazzini di passaggio a Parma e non imped al figlio Achille di arruolarsi volontario

nellesercito sardo e lanno seguente di accorrere in soccorso della Repubblica Romana. Nel 1852 la sua casa venne perquisita dalla polizia del

nuovo inetto duca Carlo III. Trascorso un mese di carcere, nonostante nulla fosse stato trovato a suo carico, fu accompagnata a Milano e

quindi al confine svizzero. Si stabil con le figlie a Torino dove riceveva gli amici Luigi Amedeo Melegari, Gustavo Modena, Domenico

Giuriati ecc.

L'ULTIMA LETTERA - Sempre fedele allidea repubblicana, ormai non pi giovane, accorse in Lombardia a curare nelle ambulanze i

feriti di Magenta nel 1859. Il giorno prima di morire, il 28 marzo 1871, ebbe il conforto di ricevere lultima accorata lettera di Mazzini che

lavrebbe presto seguita.

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Tra le grandi figure femminili dell'800 italiano Clara Maffei (1814 -1886)

Tra il 1948 e il 1859, quello della contessa Maffei fu il primo salotto letterario e artistico veramente italiano, centro di

agitazione patriottica e di irradiazione di idee che, sotto la regia di Cavour da Torino, furono allorigine dellItalia unita.

Tra le grandi donne del Risorgimento Clara Maffei aveva la stoffa di un moderno segretario di stato. in grado di unire

lintelligenza diplomatica allarte dellintrattenimento. Nacque a Bergamo nel 1814 a causa dei burrascosi rapporti

coniugali dei genitori, Clara fu spedita al Collegio degli Angioli di Verona. Alla morte della madre, Clara fu ricondotta a

Milano presso il noto istituto di educazione di madame Garnier. Nel 1832, a 18 anni, eccola sposa del poeta Andrea

Maffei, impiegato al Tribunale d'Appello di Milano, molto pi anziano di lei. Allo strazio della perdita della figlia la

contessa trov conforto nella conversazione delle personalit che, dal 1834, frequentavano il suo salotto: Manzoni,

Grossi, D'Azeglio, Carcano. Cos il suo brillante salotto letterario in via Monte di Piet divenne ben presto noto in tutta Europa. Nel 1837 vi

capit anche Balzac che rimase affascinato dalla piccola Maffei alla quale si ispirer per i racconti Gmbara (1937) e La fausse Matresse

(1842). Fin troppo trascurata dal marito nel 1846 Clara prese la sofferta decisione di separarsi ufficialmente. Lasci Andrea in amicizia

dicendogli: Ti lascio ma non ti abbandono. Portando la sua residenza nella villa di campagna a Clusone, passando nel 1850 in un palazzo

settecentesco al 21 di via Bigli. Con la partenza del marito per Venezia, quelle stanze cominciarono ad essere frequentate anche da

diplomatici, ministri, alti funzionari, tutti accomunati dall'amor di patria e dall'odio per l'Austria.

LE CINQUE GIORNATE - Nel 1848, durante l'insurrezione delle Cinque Giornate, da l si organizzarono

soccorsi e si distribuirono alle famiglie dei caduti gli aiuti provenienti da tutt'Italia. Tornati gli austriaci, Clara

raggiunse Carlo Tenca, al quale era allora sentimentalmente legata, a Locarno dove conobbe Mazzini. Di

nuovo a Milano dopo l'amnistia, fece del salotto il punto d'incontro dei redattori del giornale patriottico di

orientamento mazziniano Il Crepuscolo, fondato da Tenca, dove scrivevano di politica Zanardelli e Cattaneo.

Nel salotto Maffei in segreto si agiva per mantenere serrate le fila dei fautori della causa nazionale.

LA FINE DEL SALOTTO - Sotto il tricolore, Clara continu a lavorare per la rigenerazione morale e

materiale degli italiani in compagnia di alti intelletti da Manzoni a Verdi, da Aleardi a Boito, Praga e

Calamatta. Per il salotto, ritornato ad essere un ritrovo mondano dove dibattere di politica e letteratura,

cominci un lento declino fino alla scomparsa della contessa nel 1886. Lintrepida patriota, trov degna

sepoltura al Cimitero Monumentale di Milano.

La Cinque giornate di Milano

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La Belgioioso Trivulzio partecip a tutte le principali vicende storiche che

portarono alla nascita dell'Italia (1808-1871 ) Tra le donne patrizie che dedicarono lintera vita allunit dItalia, Cristina Trivulzio Belgioioso svetta per passione e

intelligenza politica, cultura e mondanit, generosit e filantropia. Giardiniera, come erano dette le cospiratrici

carbonare, mazziniana, poi monarchica. Nacque nel 1808 dai marchesi Vittoria Gherardini e Girolamo Trivulzio. Orfana

di padre a quattro anni, crebbe nellamor di patria, sentimento condiviso sia dal patrigno Visconti dAragona sia dal suo

precettore Achille Mauri. Nel 1824, appena sedicenne, spos il giovane patriota Emilio Barbiano di Belgioioso, ma ben

presto ne sub le infedelt coniugali, ottenendo da lui la libert in cambio dellestinzione dei suoi debiti.

ESILIO A PARIGI - Esule a Genova, vi conobbe Mazzini, per passare poi in Francia. A Parigi tra gli esuli Mamiani,

Porro, Poerio, Pepe, Amari, Pepoli, Gioberti e Sirtori, Cristina apr il suo salotto cosmopolita a italiani e francesi. Appassionata di musica, gi

amica di Bellini, dava concerti con Rossini, Listz, Chopin. Si impegn anche a propagandare le idee progressiste di grandi italiani,

pubblicando anonimo nel 1842 il suo primo libro Essai sur la formation du dogme catholique, cui segu Essai sur Vico, e inoltre la traduzione

in francese della Scienza Nuova. Nel 1845 fond a Parigi La Gazzetta Italiana, la cui linea rispecchiava quella di Balbo nelle Speranze

dItalia.

MANZONI SCANDALIZZATO - Chiuso il giornale per le difficolt finanziarie, lo trasform in periodico col nome di Rivista Italiana e

quindi nel mensile Ausonio dove, nel 1847, usc il famoso articolo di Massimo dAzeglio sulle speranze dItalia dal titolo La Sentinella del

Campidoglio. Tornata a Milano, Cristina volle istruire i contadini, scandalizzando Manzoni che si chiedeva chi poi avrebbe lavorato le terre

dei nobili. Giunse a Milano tra la folla plaudente otto giorni dopo la ritirata degli austriaci. per perorare la causa monarchica dei Savoia i

fond il giornale Il Crociato . Poi and a Venezia da Daniele Manin. Durante lassedio francese contro la Repubblica Romana, organizz il

servizio infermieristico negli ospedali capitolini dove mor Goffredo Mameli.

RITORNO IN LOMBARDIA - Nel 1857 pot tornare in Lombardia. Nel giugno 1859, da Parigi, la Belgioioso accorse a curare i feriti

sopravvissuti alla carneficina di Magenta. Il grande giornale politico per lEuropa, LItalie, da lei fondato, usc a Milano il 2 ottobre 1860,

seguendo poi il Parlamento italiano da Torino a Firenze e quindi a Roma. Pensando al miglioramento delle condizioni sociali del Paese scrisse

sul primo numero della Nuova Antologiadel 1 gennaio 1866 un articolo Delle presenti condizioni delle donne e del loro avvenire. Pur nel

deteriorarsi delle condizioni di salute, volle curarsi da s, tenendosi sempre aggiornata sulla vita civile soprattutto polit ica dellItalia unita.

Mor il 5 luglio 1871, trovando sepoltura nel cimitero di Locate.

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Hurricane Jessie, l'inglese impetuosa che scelse l'Italia con la testa e il cuore

Volitiva, colta, amica di Garibaldi e Mazzini,fu crocerossina per i Mille

e giornalista di guerra (1832 - 1906) La biografia di Jessie White Mario quella di una donna inglese volitiva e colta, innamorata del nostro Paese e

integralmente dedita dapprima alla causa dellindipendenza, poi al riscatto politico e civile dellItalia unita. Nata nel 1832

a Gosport vicino a Porthsmouth, rest presto orfana di madre. Compiuti gli studi a Parigi, dove conobbe Emma Roberts,

amante di Garibaldi, nel 1854 ne approfitt per andare a conoscerlo a Nizza. Fu proprio lesule a battezzarla Hurricane

Jessie.

Aveva una mente disciplinata e un eloquio chiaro capace di incantare luditorio durante le sue molte conferenze pubbliche in Inghilterra o

negli Stati Uniti, tenute in unepoca in cui le donne erano del tutto tagliate fuori dalla vita politica. Vicina a Carlo Pisacane, di cui appoggi la

sfortunata spedizione in terra borbonica, nel 1857 sopport per quattro mesi il carcere di SantAndrea, accusata di aver avuto parte nella

mancata insurrezione genovese. In quelloccasione Mazzini le present il biondo Alberto Mario da Lendinara e fu il classico colpo di fulmine.

Lo spos a Londra lo stesso anno, lei mazziniana, lui federalista. Sulle tracce di Garibaldi, furono di nuovo arrestati in Lombardia nel 1859

per poi andare in esilio a Lugano. Organizz, sotto il fuoco borbonico, il servizio infermieristico per i garibaldini durante limpresa dei Mille,

e la sua penna battagliera fu sempre al servizio della causa italiana fin dal 1856 quando per Mazzini cominci a scrivere una rubrica dal

titolo Italy for Italians sulle colonne londinesi del quotidiano liberal Daily News. In 40 anni pubblic 143 articoli, occupandosi anche della

schiavit in America e del voto alle donne.

Fu una delle prime corrispondenti di guerra al seguito dei Mille e poi, sempre con il marito, raggiunse lEroe dei Due Mondi nel 1866, nel

1867 a Monterotondo e Mentana, e infine nel 1871 nellultima vittoriosa battaglia di Digione contro i Prussiani. Ebbe il coraggio di

denunciare i problemi sociali pi scottanti dellItalia unita, dalla condizione miserevole e degradante del popolo partenopeo (Le Miserie di

Napoli, 1877) allo sfruttamento del lavoro minorile dei carusi siciliani (Le miniere di zolfo, 1894). A lei dobbiamo pure il prezioso lavoro

della conservazione della memoria delle opere di Carlo Cattaneo..

La storiografia italiana lha pressoch ignorata per la sua scomoda figura di femminista ante litteram, pragmatica, anticonformista

collaboratrice di Carducci, curatrice degli scritti di Alberto Mario, ci ha trasmesso una memoria di storia patria davvero monumentale, nella

convinzione che i pregi degli italiani potessero un giorno guarire il Paese dai suoi mali antichi. Ormai con scarsi mezzi di sussistenza, ottenne

nel 1897 un posto allistituto di Magistero di Firenze dove insegn linglese fino alla sua scomparsa, avvenuta nel 1906 Le sue ceneri

raggiunsero le spoglie del marito a Lendinara.

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Alcuni canti: patriottici, popolari,inni

LA BANDIERA DAI TRE COLORI

E la bandiera di tre colori

sempre stata la pi bella:

noi vogliamo sempre quella,

noi vogliam la libert!

E la bandiera gialla e nera

qui ha finito di regnare,

la bandiera gialla e nera

qui ha finito di regnare

Tutti uniti in un sol patto,

stretti intorno alla bandiera,

griderem mattina e sera:

viva, viva i tre color!

Certamente uno dei pi noti tra i canti del Risorgimento, questo

brano inneggia alla bandiera, all'unit nazionale e alla libert. Le

parole sono di Dall'Ongaro, la musica di Cordigliani. L'anno di

composizione il 1848 anche se alcune fonti lo fanno a risalire

in altra data immediata.

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CORO DEL NABUCCO

Va, pensiero, sull'ali dorate, va, ti posa sui clivi, sui colli, ove olezzano tepide e molli l'aure dolci del suolo natal!

Del Giordano le rive saluta, di Sionne le torri atterrate. O mia Patria s bella e perduta, o membranza s cara e fatal!

Arpa d'or dei fatidici vati perch muta dai salici pendi? le memorie nel petto riaccendi, ci favella del tempo che fu! O simile di Solima ai fati traggi un suono di cupo lamento oh t'ispiri il Signore, un concento che ne infonda al patire virt, che ne infonda al patire virt,

al patire virt!

Giuseppe Verdi (Roncole 1813 Milano 1901)

Il 9 marzo 1842, dopo soli dodici giorni di prove, il

pubblico milanese assistette alla prima dellopera e ne fu ammaliato.

"Nabucco nacque sotto una stella favorevole, giacch anche tutto ci

che poteva riuscire a male contribu invece in senso favorevole". Cos

Giuseppe Verdi parlava della sua terza opera, vero e proprio

trampolino di lancio per la sua carriera che da allora in poi conobbe i

noti successi.

Nonostante si ritenga comunemente che fu Va' Pensiero a meritarsi

il bis, in realt fu l'aria Immenso Jehovah a riscuotere i pi

generosi applausi. L'entusiasmo degli spettatori cresceva ad ogni

replica, tanto che l'opera fu ripresa ben settantacinque volte prima

della fine dell'anno. Un successo dunque che per Verdi non aveva

precedenti e che ne conferm il talento. Con il passare del tempo Va'

Pensiero divenne l'aria pi famosa di Nabucco. Il popolo ebreo

appariva cos simile a quello del Lombardo-Veneto, costretto a

sopportare la dominazione austriaca, e il canto per la libert dalla

schiavit in Babilonia era il canto degli italiani oppressi. Verdi era un

vero e proprio punto di riferimento per i patrioti italiani che

suggerirono che Va' Pensiero avrebbe potuto diventare l'inno

nazionale. Questa proposta non fu mai realizzata, ma la fama di

Nabucco rimane legata all'aria del terzo atto, che vede il coro grande

protagonista.

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Inno di Mameli

Fratelli dItalia

lItalia s desta,

dell'elmo di Scipio

s' cinta la testa.

Dov' la vittoria?

Le porga la chioma

ch schiava di Roma

Iddio la cre.

Stringiamoci a coorte,

siam pronti alla morte

l'Italia chiam.

Noi siamo da secoli

calpesti e derisi,

perch non siam popolo,

perch siam divisi,

raccolgaci un'unica

bandiera, una speme;

di fonderci insieme

gi l'ora suon.

Stringiamoci a coorte,

siam pronti alla morte

l'Italia chiam.

Uniamoci, amiamoci

l'unione e l'amore

rivelano ai popoli

le vie del Signore.

Giuriamo, far libero

il suolo nato;

uniti, per Dio!

Chi vincer ci pu?

Stringiamoci a coorte,

siam pronti alla morte

l'Italia chiam.

Dall'Alpe a Sicilia

ovunque Legnano

ognuom di Ferruccio

ha il cuore e la mano.

I bimbi, d'Italia

si chiaman Balilla.

Il suon d'ogni squilla

i Vespri suon.

Stringiamoci a coorte,

siam pronti alla morte

l'Italia chiam.

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Circolo PD Giambellino

Evviva l'Italia!

dal sonno s' 'desta,

s' cinta la testa.

Dov' la vittoria?

Le porga la chioma

dellelmo di Sciplo

che schiava di Roma

Iddio la cre.

Stringiamoci a coorte,

siam pronti alla morte

l'Italia chiam.

E l'inno nazionale della Repubblica Italiana, adottato dal 12 ottobre

1946.

L'inno, per, nacque nell'autunno del 1847. Il testo di Goffredo

Mameli fu musicato di getto da Michele Novaro e presentato ai

cittadini genovesi e a vari patrioti italiani in occasione del centenario

della cacciata degli austriaci dalla citt ligure. Dopo pochi giorni, tutti

lo conoscevano e durante le Cinque giornate di Milano, gli insorti lo

intonavano a squarciagola: il canto degli italiani era gi diventato un

simbolo del Risorgimento.

Nell'autunno del 1847, Goffredo Mameli scrisse il testo de Il Canto

degli Italiani. Dopo aver scartato l'idea di adattarlo a musiche gi

esistenti, il 10 novembre lo invi al maestro Michele Novaro, che

scrisse di getto la musica, cosicch l'inno pot debuttare il 10

dicembre, quando sul piazzale del Santuario della Nostra Signora di

Loreto a Oregina fu presentato ai cittadini genovesi e a vari patrioti

italiani in occasione del centenario della cacciata degli austriaci

suonato dalla Filarmonica Sestrese C. Corradi G. Secondo, allora

banda municipale di Sestri Ponente "Casimiro Corradi". Era un

momento di grande eccitazione: mancavano pochi mesi al celebre

1848, che era gi nell'aria: era stata abolita una legge che vietava

assembramenti di pi di dieci persone, cos ben 30.000 persone

ascoltarono l'inno e l'impararono; nel frattempo Nino Bixio sulle

montagne organizzava i fal della notte dell'Appennino. Dopo pochi

giorni, tutti conoscevano l'inno, che veniva cantato senza sosta in ogni

manifestazione (pi o meno pacifica). Durante le Cinque giornate di

Milano, gli insorti lo intonavano a squarciagola: il canto degli italiani

era gi diventato un simbolo del Risorgimento. Gli inni patriottici come

l'inno di Mameli (sicuramente il pi importante) furono un importante

strumento di propaganda degli ideali del Risorgimento e di

incitamento all'insurrezione, che contribu significativamente alla

svolta storica che port all'emanazione dello Statuto albertino, ed

all'impegno del re nel rischioso progetto di riunificazione nazionale.

Quando l'inno si diffuse, le autorit cercarono di vietarlo,

considerandolo eversivo (per via dell'ispirazione repubblicana e anti-

monarchica del suo autore); visto il totale fallimento, tentarono di

censurare almeno l'ultima parte, estremamente dura cogli Austriaci,

al tempo ancora formalmente alleati, ma neanche in questo si ebbe

successo. Dopo la dichiarazione di guerra all'Austria, persino le bande

militari lo suonarono senza posa, tanto che il Re fu costretto a

ritirare ogni censura del testo, cos come abrog l'articolo dello

Statuto albertino secondo cui l'unica bandiera del regno doveva

essere la coccarda azzurra, rinunciando agli inutili tentativi di

reprimere l'uso del tricolore verde, bianco e rosso, anch'esso

impostosi come simbolo patriottico dopo essere stato adottato

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Circolo PD Giambellino

clandestinamente nel 1831 come simbolo della Giovine Italia. In

seguito fu proprio intonando l'inno di Mameli che Garibaldi, con i

"Mille", intraprese la conquista dell'Italia meridionale e la

riunificazione nazionale. Mameli era gi morto, ma le parole del suo

inno, che invocava un'Italia unita, erano pi vive che mai. Anche

l'ultima tappa di questo processo, la presa di Roma del 1870, fu

accompagnata da cori che lo cantavano accompagnati dagli ottoni dei

bersaglieri. Anche pi tardi, per tutta la fine dell'Ottocento e oltre,

Fratelli d'Italia rimase molto popolare come in occasione della guerra

libica del 1911-12, che lo vide ancora una volta il pi importante

rappresentante di una nutrita serie di canti patriottici vecchi e nuovi.

Lo stesso accadde durante la prima guerra mondiale: l'irredentismo

che la caratterizzava, l'obiettivo di completare la riunificazione,

trov facilmente ancora una volta un simbolo nel Canto degli italiani.

DALLA PRESIDENZA DELLA REPUBBLICA:

Fratelli d'Italia

Dobbiamo alla citt di Genova il Canto degli Italiani, meglio conosciuto

come Inno di Mameli. Scritto nell'autunno del 1847 dall'allora

ventenne studente e patriota Goffredo Mameli, musicato poco dopo a

Torino da un altro genovese, Michele Novaro, il Canto degli Italiani

nacque in quel clima di fervore patriottico che gi preludeva alla

guerra contro l'Austria.

L'immediatezza dei versi e l'impeto della melodia ne fecero il pi

amato canto dell'unificazione, non solo durante la stagione

risorgimentale, ma anche nei decenni successivi. Non a caso Giuseppe

Verdi, nel suo Inno delle Nazioni del 1862, affid proprio al Canto

degli Italiani - e non alla Marcia Reale - il compito di simboleggiare la

nostra Patria, ponendolo accanto a God Save the Queen e alla

Marsigliese.

Fu quasi naturale, dunque, che il 12 ottobre 1946 l'Inno di Mameli

divenisse l'inno nazionale della Repubblica Italiana.

Goffredo Mameli - Goffredo Mameli dei Mannelli

nasce a Genova il 5 settembre 1827. Studente e poeta

precocissimo, di sentimenti liberali e repubblicani, aderisce al

mazzinianesimo nel 1847, l'anno in cui partecipa attivamente alle

grandi manifestazioni genovesi per le riforme e compone Il Canto

degli Italiani. D'ora in poi, la vita del poeta-soldato sar

dedicata interamente alla causa italiana: nel marzo del 1848, a

capo di 300 volontari, raggiunge Milano insorta, per poi

combattere gli Austriaci sul Mincio col grado di capitano dei

bersaglieri.

Dopo l'armistizio Salasco, torna a Genova, collabora con Garibaldi e,

in novembre, raggiunge Roma dove, il 9 febbraio 1849, viene

proclamata la Repubblica. Nonostante la febbre, sempre in prima

linea nella difesa della citt assediata dai Francesi: il 3 giugno

ferito alla gamba sinistra, che dovr essere amputata per la

sopraggiunta cancrena.

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Muore d'infezione il 6 luglio, alle sette e mezza del mattino, a soli

ventidue anni.

Le sue spoglie riposano nel Mausoleo Ossario del Gianicolo.

il musicista Michele Novaro nacque il 23 ottobre

1818 a Genova, dove studi composizione e canto. Nel 1847 a

Torino, con un contratto di secondo tenore e maestro dei cori dei

Teatri Regio e Carignano.

Convinto liberale, offr alla causa dell'indipendenza il suo talento

compositivo, musicando decine di canti patriottici e organizzando

spettacoli per la raccolta di fondi destinati alle imprese garibaldine.

Di indole modesta, non trasse alcun vantaggio dal suo inno pi famoso,

neanche dopo l'Unit. Tornato a Genova, fra il 1864 e il 1865 fond

una Scuola Corale Popolare, alla quale avrebbe dedicato tutto il suo

impegno.

Mor povero, il 21 ottobre 1885, e lo scorcio della sua vita fu segnato

da difficolt finanziarie e da problemi di salute. Per iniziativa dei suoi

ex allievi, gli venne eretto un monumento funebre nel cimitero di

Staglieno, dove oggi riposa vicino alla tomba di Mazzini.

Come nacque l'inno

La testimonianza pi nota quella resa, seppure molti anni pi tardi,

da Carlo Alberto Barrili, patriota e poeta, amico e biografo di Mameli.

Siamo a Torino: "Col, in una sera di mezzo settembre, in casa di

Lorenzo Valerio, fior di patriota e scrittore di buon nome, si faceva

musica e pol