Cinque Uomini in Barca

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    Amaltea Trimestrale di cultura Anno IV, Numero tre, settembre 2009 //14

    Vito De Giuseppe

    Cinque uomini

    in barca

    Cinque uomini in barca. Una barca piccoladal fondo piatto. Pescatori che trasportanoil pescato, dal peschereccio alla costa.Guardando la foto mi sono chiesto comefacessero quegli uomini a remare, pescare,tirare su il pesce, rimanere in piedi, comeriuscissero a stare su quel piccolo pezzo diplastica senza ribaltarsi, senza finire in ac-qua.

    La risposta stata semplice: il loro equili-brio dipendeva dai movimenti di ognuno diloro. Ogni movimento doveva essere ese-guito in funzione di quelli degli altri, in fun-zione di un unico scopo: mantenerelequilibrio.Lequilibrio diventava cos linsieme inte-grato di tutti i movimenti dei cinque uomi-ni. Lequilibrio di ognuno passava per quel-lo degli altri quattro e viceversa.Ogni gesto, movimento, doveva essere e-seguito prestando attenzione a non altera-

    re lequilibrio degli altri.

    Un unico risultato era ottenuto dal compor-tamento di pi agenti: cinque uomini inbarca.Mentre guardavo la foto mi tornava inmente mio nonno.Mio nonno paterno faceva il contadino.Quando faceva il pane, distribuiva unaforma per ogni famiglia che abitava nellasua strada. I vicini facevano altrettanto.Alla fine mio nonno rientrava dei pani cheaveva distribuito.Ma se una delle famiglie fosse incorsa in uncattivo raccolto e non avesse avuto granoper fare la propria scorta di pane, avrebbeavuto comunque il pane fornito dai vicinied a mio nonno sarebbe mancato un solopane, ma questo avrebbe garantito a tuttidi non morire di fame e di superare glistenti di una stagione andata male.Un giorno mio nonno mi spieg che facevaotto pani in pi di quelli che gli sarebberoserviti, per distribuirlo agli altri, in praticagli otto pani che distribuiva, e come lui tut-

    te le famiglie della sua strada, prevedeva-no una sorta di bilancio di produzione.Il sottoscritto, un bambino di otto anni, magi figlio dellevoluzione consumistica,chiese perch non li tenesse, per consu-marli tutti lui.Mi rispose che non aveva senso, teneretutto per s quel pane e che era megliopremunirsi dalla possibilit che le cose po-tessero andare peggio.Non compresi cosa mi volesse dire, ma lasua voce bassa e calda, mimped di fare

    altre domande, ma senza la soddisfazione

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    di essere riuscito ad entrare nei pensieri dimio nonno.Sono passati tanti anni ed oggi continuo apensare alle parole di mio nonno, solo cheadesso mi sono chiare, anzi oserei direlimpide, cristalline.

    La crisi economica e finanziaria che ha col-pito il mondo occidentale, fa risuonare inme le parole di un vecchio lontano anni lu-ce dai modelli caratterizzanti la societ at-tuale.Un vecchio che aveva vissuto sulla sua pel-le due guerre mondiali ed in una, la secon-da, nera stato protagonista, combattendo-la e facendo le spese di scelte scellerateattraverso anni di prigionia in un campo diconcentramento. No, non di mio nonnoche voglio parlare, ma del suo pensiero,

    delle idee di un fine economista che sullesue esperienze terribili e sul mondo cheaveva visto sgretolarsi e rinascere sotto isuoi occhi, aveva costruito principi econo-mici basati sulla solidariet e sulla condivi-sione.No, mio nonno non era comunista e nonera ateo, non aveva mai letto Marx ed eraun fervente cattolico Faceva parte di unacongrega religiosa con cui partecipava alleprocessioni in prima fila, ma allora perchpensava che non bisognava accumulare i

    beni in proprio possesso? Perch pensavache la sovrapproduzione dovesse essereridistribuita tra i membri del gruppo socialea cui apparteneva?I pani per mio nonno, non erano solo benidi prima necessit, erano anche la sua ric-chezza, erano la fonte del suo guadagno,allora perch non li accumulava? Perch lidivideva con gli altri, che bisogna dire, fa-cevano altrettanto?La foto dei cinque uomini in barca e miononno, per un attimo ho avutolimpressione che lui fosse uno dei cinque.No, non cera sulla barca, ma era come selo fosse, perch quella era lespressioneconcreta e tangibile, la prova provata dellaconcretezza e della precisione del suo pen-siero.Luomo non pu vivere senza gli altri uo-mini. Qualunque cosa che ha a disposizio-ne, qualunque bene abbia nelle sue perti-nenze, non ha senso che lo accumuli. Unavolta soddisfatte le sue esigenze, una voltaottemperate le sue necessit, la redistribu-zione delle risorse gli garantisce la soprav-

    vivenza.

    Un investimento, ecco cosa faceva miononno, investiva i suoi beni per garantirsiun guadagno futuro, solo che non eranoaltri beni quelli che sarebbero arrivati inseguito allinvestimento, ma la possibilitdi allontanare il rischio di una crisi, per lui

    economica e finanziaria, che sarebbe potu-ta sopraggiungere se il suo raccolto fosseandato male. Il tutto attivando rinsaldandoe rinforzando i rapporti allinterno della re-te sociale nel quale era inserito, attivandoun ammortizzatore sociale potentissimo: lasolidariet.Il pensiero di mio nonno era rivoluzionario:Il frutto del suo lavoro, la sua ricchezza laridistribuiva per evitare la sperequazionetra i suoi averi e quelli degli altri. Se tuttihanno la stessa quantit di beni, e questa

    rimane in equilibrio, il rischio che qualcunosimpoverisca o che una crisi possa ridurrela mia possibilit di accedere a quei beni,diminuisce drasticamente.Rivoluzionario.O forse no. Forse qualcuno lo aveva gidetto prima di lui, un signore ebreo, mabattezzato dal padre che si era convertitoal cristianesimo. Uno con la barba lunga eche aveva scritto un libro strano, Il Capita-le, mi pare sintitoli.Mio nonno non aveva mai letto Karl Marx.

    Apparentemente i comunisti non li vedevadi buon occhio. Miscredenti, li definiva, maun giorno, mi disse che erano stati loro asalvarlo dal campo in cui era prigioniero.L'avevano tenuto per sei mesi in Russiaprima di rimandarlo in Italia e non riuscivaproprio ad avercela con loro.Proviamo ad immaginare per un attimo,solo un piccolo infinitesimale attimo, cosapotrebbe accadere se applicassimoalleconomia i principi di mio nonno, i crite-ri di distribuzione della ricchezza che interegenerazioni di contadini utilizzavano persottrarsi allalea del rischio economico.Lo scopo era quello di sottrarsiallincertezza, quella stessa incertezza chesembra invece permeare la societ attualein tempi in cui la crisi economica e finan-ziaria, ha reso evidente, facendo deflagra-re, lincertezza sulla sorte della stragrandemaggioranza degli appartenenti al genereumano.Nellintroduzione del libro di ZygmuntBauman La solitudine del cittadino globa-le1, questi si chiede perch le pene e gli

    affanni dei singoli non si coagulino in cause

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    comuni e che cosa possa unire gli intenti ele scelte degli essere umani?Nel mondo occidentale la politica cosiddet-ta democratica sembra essere in realt a-vere un unico scopo, quello di abbatterequalunque limite, soprattutto quello

    dellautolimitazione.Parlare dautolimitazione sembra essereoggi sinonimo darretratezza culturale, dilimitazione da potere totalitario e non liber-tario.Labbattimento del limite sembra caratte-rizzare la nostra societ.Non esiste limite al numero di scarpe cheuna persona pu comprare, non esiste li-mite al numero di televisioni con cui arre-dare una casa, del numerodelettrodomestici o doggetti assolutamen-

    te inutili rispetto ad un eventuale miglio-ramento della nostra vita.Rappresentativo appare il casodellemergenza rifiuti che ha campeggiatosulle prime pagine dei giornali in tempi nonremotissimi, dimenticandoci che questo un problema endemico per la nostra socie-t e che sta diventando una bomba ad oro-logeria per molte delle comunit che abita-no il nostro paese.Non esiste limite allaccumulo di spazzatu-ra, senza per essere poi disposti a farcene

    carico. Nessuno la vuole. Tutti si rifiutanodi accogliere discariche, o valorizzatori.Nessuno per si pone il problema del mododi limitare la produzione di spazzatura, chetra laltro non passa solo per una visionelimitante del consumo, ma anche perlapproccio che deve tendere ad una soste-nibilit del processo produttivo, dalla mate-ria prima al bene finito.Bauman propone la visione di un vero eproprio nodo gordiano, che non pu esseresciolto, ma solo tagliato e lo identifica nelladistanza tra potere reale e potere politico,in cui la politica si fa portatrice, di quellarichiesta di libert di pensiero ed azione daparte dei membri di qualunque forma disodalizio umano, facendosi da parte se di-mostrano di non essere in grado di farlo.Egli vede nella deregolamentazione e nellaprivatizzazione dellinsicurezza, della pre-cariet e dellincertezza, gli elementi che,di fatto, impediscono di sciogliere il nodoproblematico.Tornando alle teorie economiche del non-no, questi vedrebbe sicuramente nella pro-

    pensione al consumo, il primo elemento damodificare.

    La propensione al consumo la volont diognuno di impiegare parte di quanto gua-dagnato per acquistare un bene.Se questa limitata alle proprie necessitil sistema economico, cos com organiz-zato, non pu sopravvivere, ma se invece

    la parte in eccesso fosse destinata alla cre-azione di beni comuni, sociali, da tutti uti-lizzabili, il sistema dovrebbe riassestare ipropri equilibri su prodotti e scenari di con-sumo socialmente condivisi.Leconomia diverrebbe quindi uneconomiadelle relazioni, in cui la rete di relazioni di-venterebbe il capitale da far circolare.Questo sarebbe comunque un salto di pa-radigma rivoluzionario. Infatti il mercatoper prosperare si nutre dincertezze, disensazioni improntate allinsicurezza, se

    invece si costruiscono capitali stabili, chetendono a garantire un individuo dalla pre-cariet, il mercato perderebbe la sua ra-gione dessere, si verrebbe a perdere ilprincipale sostegno ad uneconomia basatasullaccumulo di beni.Inoltre sarebbe posto fine a quel processoche ha portato allo smantellamento dellereti sociali, che una volta eranolorganizzazione sociale su cui si basavanoculture improntate alla solidariet.Le ragioni economiche sarebbero sostituite

    da altre, in cui la solidariet, la condivisio-ne e la ridistribuzione della ricchezza costi-tuirebbero i regolatori di comportamentisociali condivisi.Lo spazio sociale, assume quindi i contornidi un modello di valorizzazione di schemicomportamentali che nella realt delle cosegi appartiene al genere umano.Infatti luomo un animale sociale, un a-nimale che vive in branco, che ha impara-to, nel corso dellevoluzione, cheladattamento allambiente passa per la suacapacit di vivere insieme agli altri similidella sua specie. Semplicemente non siamoin grado di pensare e di viverenellisolamento, il quale causa alterazionidel funzionamento psichico.Laccaparramento di ricchezze individualipassa da quello che pu essere individuatocome un modello contrario ai principi eco-logici della vita su questo pianeta, in cui ilcomportamento di ogni specie vivente ilpresupposto di quello di unaltra specie e lalegge fondamentale a cui le specie rispon-dono quella della loro sopravvivenza, do-

    ve quella della specie passa per quella delsingolo, secondo una corrispondenza biuni-

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    voca in cui luna funzione dellaltra e vi-ceversa. In nessun caso la sopravvivenzadel singolo individuo pu prevalere suquella dellintera specie.Non il ritorno del mito del buon selvaggioo la visione New Age, che di volta in volta

    ritornano sullonda modaiola del momento,ma lacquisizione di una consapevolezzaglobale, che allo stato attuale non accom-pagna, ma anzi tenuta fortemente sepa-rata, da quelleconomia, quella si globale,che accomuna tutti gli uomini nel adozionedi un comportamento che ha un unico sco-po: consumare per rispondere allesigenzadella produzione.In pratica il nostro vivere quotidiano non regolato da leggi della domanda edellofferta nate sullesigenza naturale degli

    esseri umani, ma la domanda artatamen-te gonfiata, facendo credere agli umani diavere esigenze in numero e qualit assolu-tamente incongruenti rispetto a quello chesembra essere le possibilit di funziona-mento biologico.Si arriva cos alla situazione di lanciaremessaggi che tendono a far acquistare ciboin quantit di gran lunga superiore al fab-bisogno energetico di ogni individuo, sal-tando completamente quello che dovrebbecostituire il vero limite da tenere presente,

    cio la quantit di calorie necessarie pervivere senza andare incontro a patologie oa dissesti organici.Dalla gotta allobesit non poi cambiatomolto, il mondo ricco si ammala dei suoieccessi, quello povero scompare nel silen-zio e nellindifferenza.La solidariet che contraddistingueva lacultura contadina stata sacrificatasullaltare della massimizzazione del profit-to, su quello del pensiero economico percui il limite non costituito dalle necessitumane, ma da quello estremamente flessi-bile e vacuo della propensione al consumo,come se il mondo fosse un contenitore illi-mitato in cui per le risorse non sono a di-sposizione di tutti e soprattutto la ricchez-za prodotta deve rimanere beneficio di po-chi che cos possono organizzare e dirigerela vita su questo pianeta.I cinque uomini in barca sono l, a monitoed esempio di quello che mio nonno consi-derava il suo normale funzionamento so-ciale, senza elucubrazioni teoriche di base:tutto dipende da ognuno di noi e quanto

    facciamo influenza ed indirizza la vita deglialtri, come un sistema di pianeti in cui

    massa e gravit di ognuno di essi determi-na la posizione e lorbita degli altri, crean-do un sistema dinamico in continuo movi-mento ma in equilibrio.Mio nonno viveva cos semplicemente per-ch era lunica cosa giusta da fare, era ci

    che serviva per vivere e non vedeva alter-native.Prima che noi possiamo perdere le nostredi alternative, sarebbe il caso che pensas-simo tutti insieme agli sforzi che dovrem-mo fare per impedire che la nostra barca siribalti, facendoci cadere tutti in mare.