Cine spazio "Film in Mente"

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Una raccolta di commenti ai film che hanno fatto parte della cine rassegna sul tema "relazioni complesse" promossa dall'Ass. Lo Spazio

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Cine Spazio “FILM IN MENTE”

Nel mese di novembre del 2014 s’inaugurava la prima edizione della nostra Cine rassegna in cui il tema conduttore è stato quelle delle “relazioni complesse”. Questo ha fatto da guida e da collante durante gli incontri di proiezione e di discussione delle tematiche emerse. Relazioni complesse, intese come relazioni permeate dai cambiamenti innescati dalla società, e attraversate da contesti relazionali e da sapori dolci e amari che le abitano, e che riguardano tanto l'individuo nella sua dimensione personale, quanto in quella sociale, di coppia e familiare. Si è partiti dal film “Her” e quindi dall’analisi della complessità che può caratterizzare una relazione che nasce nell’assenza di una corporeità, sfociando piuttosto nel mondo del virtuale, in cui l’altro in qualche modo svolge una funzione ausiliaria rispetto alla possibilità di mettere ordine e “riaggiornare” il mondo emotivo e interiore; da qui, con il film “Lars e una ragazza tutta sua” ci siamo addentrati dentro quelle relazioni nelle quali è proprio l’accesso alla dimensione intima del contatto con l’altro che “brucia”, e che dunque risulta impossibile, se non attraverso il ricorso simbolico ad un bambola, che in qualche modo permette un graduale incontro con se stessi e con l’altro, e che finisce per coinvolgere l’intera rete sociale e familiare del protagonista. Ancora, a fronte di una rinascita, come quella proposta da quest’ultima pellicola, in cui il “bizzarro”, singolare e familiare, diviene risorsa e occasione di arricchimento e crescita, approdiamo nel mondo del grottesco e della povertà emotiva che ci offre sia il quadro familiare ritratto in “È stato il figlio” quanto quello altrettanto duro e violento offerto da “Happiness”. Nel primo, un grottesco dramma popolare del sacrificio, in cui emerge tutta la complessità amara di un sistema di relazioni familiari inaridite, in cui domina l’idea del sacrificio degli innocenti e dei più fragili, a fronte del mantenimento di un sistema familiare, che per quanto disfunzionale, risulta dogma. Nel secondo, uno spaccato della società americana borghese contemporanea apre ad un mondo fatto di perversione e false/doppie identità che si declinano con una inquietante naturalezza nella vita quotidiana, mostrando dunque il crollo del valori tradizionali, per far spazio alla falsa etica moderna del consumismo/abuso dell’altro, sul piano relazionale ed emotivo. L’iniziativa ha coinvolto un gruppo di persone, non tutte necessariamente legate al ‘mondo della psicologia’, e il dibattito tra i partecipanti alla fine delle proiezioni è stato caratterizzato dalla diversità delle esperienze portate da ciascuno, consentendo lo scambio di opinioni e sensazioni evocate dai film. La cine rassegna è nata infatti dal desiderio di confronto e di scambio attraverso narrazioni che intersecano piani di lettura diversi, riunite insieme da letture psicologiche sui temi proposti; il dispositivo gruppo, condotto e guidato dal Prof. Maurizio Guarneri, ha avuto la funzione di porsi quale strumento utile per una lettura psico-analitica delle trame relazionali, familiari, della coppia e più in generale, della società. Dunque, i commenti ai film qui di seguito riportati sono il frutto degli intrecci narrativi nati durante i momenti di discussione in gruppo in cui le diverse letture proposte rinviano ad altrettante ipotesi interpretative che lasciano spazio a molteplici interrogativi, che ci auguriamo possano generare ancora diversi altri racconti. Buona lettura!

M. Maddalena Viola Linda Giusino

Anna Ruggirello Giannino Di Carlo

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Commento al film “Her – Lei” Lo statunitense Spike Jonze ci catapulta in una Los Angeles di un futuro molto prossimo, una proiezione in avanti di ciò che fra non molto sarà; una società intrisa di dinamiche e dimensioni virtuali che parla la lingua delle email e delle chat, e che tuttavia apre a dimensioni relazionali, oggi, non del tutto sconosciute. Sin dalle prime scene risalta agli occhi, per chi guarda il grande schermo, l’arredamento tipicamente anni ’70 e la dimensione futuristica entro la quale si viene proiettati: il touch screen spopola, ci sono immensi schermi 3D con i quali interagire, auricolari minuscoli che integrano web, mail e fruizione di contenuti multimediali. La regia ci presenta Theodore, un ghost writer. La sua vita si muove fra fantasmi del presente che riempiono “a distanza” il suo quotidiano, e fra fantasmi del passato e videogame giocati in solitudine. È un poeta che vive i sentimenti altrui senza fare chiarezza sui suoi; il suo lavoro consiste nello scrivere lettere, intrise di emozioni che non si riesce più a esprimere e forse neanche a provare, per persone che hanno ormai perso la capacità di comunicare i propri sentimenti e pensieri ai propri cari. Samantha è uno dei fantasmi nella vita del protagonista: un sistema operativo, un’intelligenza artificiale sorprendentemente “umana” che prende forma dialogando con lui, raccogliendo frammenti di identità di Theodore attraverso la memoria del computer. A ben pensarci, entrambi fanno lo stesso mestiere: decodificare le emozioni altrui traducendole in linguaggio capace di migliorare la condivisione fra due interlocutori. Samantha, così, fermata con una spilla sul cuore di Theodore, “riordina” l'insieme caotico di sentimenti ed emozioni che quest’ultimo si trova a vivere. Il loro amore, sul filo della voce e della tecnologia, è così coinvolgente perché molto simile a ciò che si vive in un rapporto d’amore: i due fanno gite con gli amici, vanno in barca e in vacanza. Da spettatori ci si chiede come sia possibile innamorarsi di un sistema operativo e se fra non molto succederà e, ancora, se forse accade già. Le scene del film sembrano consegnarci una Samantha che assume le sembianze, spesso anche molto concrete, di una struttura desiderante per Theodore: un inarrivabile. La dinamica assolutamente virtuale, proprio per le sue caratteristiche di istantaneità, colma, anticipandole, le nostre aspettative su ciò che vorremmo l’altro facesse per noi, senza offrire spazio alla possibilità di manifestazione/espressione dei bisogni. Il linguaggio del soddisfacimento del bisogno comprime la dimensione cronologica del tempo: tutto diventa contingente e vitale, tutto deve essere consumato velocemente, tutto deve essere riempito. C’è un tempo – dice Lacan – che “non può essere oggettivato ed è il tempo logico che si qualifica in tre scansioni in cui la dimensione cronologica di ciascuna è subordinata alla logica soggettiva di ognuno: l’istante di vedere, il tempo di comprendere e il momento di concludere. In questa nostra civiltà sembra non sia più possibile rispettare il tempo di comprendere in quanto sollecitati sul versante di concludere, abbagliati dall’istante di vedere. (J. Lacan, 1945 Il tempo logico e l'asserzione di certezza anticipata, in Scritti V.1,1966. Il film propone, al di là dei significati estremi di una realtà virtuale sempre più stringente - basti pensare a tutte le immagini di persone che tramite auricolari, smartphone e quant’altro gravitano in questo mondo futuribile - anche altro; ovvero la possibilità di constatare come ciascuno di noi sia

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autore dell’altro: sia dell’immagine, che della sua realtà dinamica oggetto di legami, indipendentemente da come l’altro è nella realtà. Anche il protagonista se ne accorge che siamo fatti dell’altro, e così l'individualità transita nella dimensione di una gruppalità interna in cui gli altri sono intrinseci a noi. Ma ciò che pare essere ancor più interessante è che il film sembra affermare che siamo esseri umani e in quanto tali siamo noi, più dei sistemi operativi, ad essere condizionati e programmati; le nostre istruzioni infatti sono contenute e stratificate nel nostro passato influenzando pesantemente la nostra capacità di aggiornare i nostri pattern emotivi. Cambiare e crescere insieme all’altro può voler dire ridefinirsi continuamente e questo sembra valere anche per i sistemi operativi, infatti, colpo di scena… anche Samantha cambia, si aggiorna e Theodore dovrà fare di nuovo i conti, come nel caso della sua relazione con l’ex moglie con la quale hanno in atto una pratica di divorzio, con ciò che cambia e quanto questo faccia inevitabilmente parte delle relazioni. Si perdono i confini tra ciò che è reale e ciò che è virtuale, i due elementi diventano un binomio interscambiabile che fa perdere di vista il confine, oggi sempre più assottigliato; confine testimoniato da un ambientazione chiara, dove persino le pareti si trasformano in schermi. Così, al di là della presunta dichiarazione di un oggettività del reale, il film ci comunica come di fatto siano le nostre stesse emozioni a costruire il reale, e a capovolgere le dinamiche. Her in fondo è l’esempio della costruzione di un dialogo interiore attraverso il quale lo stesso Theodore prova a riflettere intorno alla propria condizione esistenziale esplorando quei labirinti emotivi all’interno dei quali spesso si rischia di rimanere imbrigliati. Commento al film “Lars e una ragazza tutta sua” In una piccola comunità dell’America settentrionale dove la neve e il freddo segnano le giornate, vive Lars, un eccezionale Ryan Gosling. Lars è un ragazzo introverso, di poche parole, con pochissime relazioni e che vive da solo nel garage della casa del fratello. Un giorno Lars anticipa al fratello e alla cognata che sta per arrivare una donna a vivere con lui; così arriva Bianca a interrompere la routine quotidiana di una cittadina dove non accade mai nulla e dove tutti si conoscono. Bianca però è una bambola gonfiabile che Lars ha acquistato via internet e che, da lí in poi, diviene l’unica persona con cui Lars, che non sopporta di essere toccato, ha una relazione intima sul piano affettivo e relazionale. Lentamente, però il rapporto con Bianca riuscirà a sciogliere il congelamento affettivo di Lars, perfettamente rappresentato dai paesaggi innevati e statici. Dopo i primi, prevedibili, imbarazzi dei parenti e di tutta la comunità, Bianca viene accolta da tutti, anche grazie ai consigli di una dottoressa che intuisce la necessità di prendersi cura di Lars e che, con la scusa di curare Bianca per una strana malattia, comincia a prendersi parallelamente cura di lui. Tutta la città adesso è “amica” di Bianca, c’è chi la va a prendere per portarla a messa, chi la invita a far volontariato in ospedale e perfino chi la pettina e le taglia i capelli per farla bella agli occhi di Lars. Bianca è accolta e amata senza pietismi e senza sentimentalismi e diventa strumento di cambiamento e riflessione per ognuno dei personaggi, quasi come se tutti avessero il bisogno di accettare questa finzione.

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Lars, gradualmente, comincia a interessarsi del mondo esterno e a uscire dal ritiro dentro cui si era protettivamente chiuso; riannoda qualche filo con l’infanzia, porta Bianca nella casetta del bosco in cui si rifugiava da piccolo, è contento e canta. Addirittura va a giocare a bowling con Margot (collega di ufficio che gli fa il filo) e riesce perfino a stringerle la mano. Tutti cambiano da quando arriva Bianca poiché sembra che questa bambola sia lo strumento attraverso il quale ognuno dei personaggi esprime il proprio bisogno di relazione, e che tutti, proprio a partire dal rapporto con questa bambola, si ritrovano addosso: lo troviamo nella dottoressa vedova e senza figli che, incalzata dalle domande di Lars rivela un mondo interiore di dolore, (“ci sono delle volte – dice pensando al marito morto – che mi sveglio e non ricordo neppure il mio nome né dove mi trovo”); ancora, nel fratello di Lars, Gus, che tanto tempo prima aveva abbandonato il padre depresso e che adesso esprime al fratello i propri sensi di colpa per essere andato via. I fratelli cominciano così a dipanare quel nodo usando lo strumento del dialogo e, soprattutto, delle emozioni. Si arriva, così, al passaggio finale in cui Bianca si ammala e in cui Lars, facendo ammalare Bianca riesce finalmente a rielaborare la morte della madre, accaduta quando era appena un bambino. La morte di Bianca, ancora una volta, coinvolge tutta la comunità che si raccoglie per l’ultimo saluto alla bambola e a quella parte di ognuno di loro che essa ha rappresentato. Sarà proprio questo rito di passaggio che porterà Lars ad aprirsi al mondo delle relazioni reali. “Lars e una ragazza tutta sua” ci porta dritti dentro al complicato mondo del rapporto tra la perdita e le relazioni; Lars, infatti, mette in evidenza la difficoltà di stare dentro ai rapporti umani se questi sono segnati da esperienze dolorose passate. Il film racconta della paura dell’altro quando questo è vissuto come fonte di dolore e abbandono, di quanto abbiamo bisogno di relazioni che riescano a contenere il nostro bisogno di proiettare ciò che non riusciamo a tenere dentro; in fondo, Bianca è lo strumento attraverso il quale Lars può riappropriarsi di quelle parti di Sé che non avevano avuto tempi e spazi per poter essere espresse. Al contempo, questo film ci segnala con forza l’importanza della comprensione e del supporto delle persone vicine, di quanto le esperienze traumatiche del passato possono essere superate proprio attraverso le relazioni, se queste sono caratterizzate dalla voglia di capire e accettare l’altro nella sua diversità e, perché no, nella sua follia. Perché – come racconta un personaggio durante il funerale di Bianca -“quando c’è una disgrazia, si viene e si resta. Da noi si usa cos Commento al film “È stato il figlio” È stato il figlio è un film che trafigge l’animo e che si insinua in modo sottile nella memoria, suscitando nello spettatore una miscela di reazioni emotive dal tono amaro e difficilmente digeribili. È un film che parla di una famiglia, e del rapporto tra padre e figlio, mostrando però il lato nascosto, emotivamente violento e cinico che purtroppo non è tanto raro riscontrare all’interno delle relazioni familiari. Il film, liberamente tratto dall’omonimo romanzo di Roberto Alajmo e diretto dal siciliano Daniele Ciprì può essere sinteticamente definito come un grottesco dramma del sacrificio, questione quest’ultima che facilmente trova diverse declinazioni d’essere all’interno delle relazioni dentro le quali siamo immersi.

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Nel film, la dimensione del sacrificio si nutre delle dinamiche proprie della famiglia Ciraulo, all’interno della quale a prima vista sembra possibile ritrovare l’antico sapore della tradizione, dell’unità familiare, della differenza generazionale che dai nonni arriva sino ai nipoti, della suddivisione dei ruoli tra il maschile e il femminile; personaggi e contesti di un altro tempo, ma che già dopo le prime battute si mostrano nelle loro maschere grottesche, tragiche e drammaticamente espressive. Il brutto e il disarmonico fanno da cornice ad un sistema familiare che assurge a prototipo di un sistema relazionale assoluto, privo di armonia e bellezza. Ciò che colpisce infatti è la povertà emotiva dei personaggi e delle loro relazioni interpersonali; essi appaiono come un sistema familiare all’apparenza coeso e unito, ma nel quale il registro affettivo è ridotto alla sola ricerca del vantaggio e del profitto, non del singolo, ma di tutto il sistema familiare che financo davanti alla morte, non esita a riorganizzarsi su quelli che sono i suoi, per quanto malsani, registri di funzionamento. Anzi, sarà proprio la morte della piccola Serenella, la figlia minore, ad attivare nel sistema familiare una strategia di recupero, che elude però la complessità emotiva che tale avvenimento luttuoso può generare, che si nasconde dall’attraversamento della sofferenza e del lutto, ma che al contrario si orienta subito in senso attivo/trasformativo, testimoniando una incapacità nella gestione del registro emotivo complesso e più profondo: Giacalone, il vicino di casa, suggerisce al padre Nicola di chiedere un risarcimento per le vittime di mafia allo Stato. Dall’ottenimento del denaro, grazie al primo sacrificio, per quanto ancora non volontario, della storia, ovvero quello dell’innocente Serenella, la famiglia Ciraulo trova la chiave per la realizzazione di un sogno di ricchezza che si concretizza nell’acquisto della Mercedes. Inizia così un susseguirsi di fatti che lasciano emergere tutta la sua drammaticità maleodorante che la famiglia Ciraulo trasuda, generando un senso di disagio e insofferenza nello spettatore. Una linea sottile sembra infatti correre tra una ricchezza effimera, transitoria e posticcia e una povertà pervasiva, annichilente e contagiosa, che sembra annidarsi all’interno delle maglie emotive e relazionali dei personaggi del film. Ma il sacrificio più grande e trionfale, che sembra quasi accompagnarsi financo ad un aurea di sacralità, è quello del figlio Tancredi, che non a caso sembra anticipato da uno dei pochi dialoghi del film all’interno del quale è possibile cogliere un senso di affetto e intimità. Partendo proprio dal valore dell’immagine, Ciprì, staglia i profili trasandati del vecchio nonno Fonzio e del ventenne Tancredi sullo sfondo di un “mare di rottami” difronte al quale il nonno racconta allo “strano nipote” la leggenda di Colapesce, il ragazzo che sacrificò se stesso per tenere a galla l’isola siciliana. Tancredi, il figlio incompreso, sensibile, quello confuso, effeminato, con un’identità fragile (o forse semplicemente il frutto dell’aridità emotiva di un sistema familiare poco armonioso) diventa la vittima sacrificale del sistema familiare in cui è inserito. Vittima da sempre di un padre poco amorevole e denigrante, e di una madre che, anche nel suo essere premurosa, sembra rimandargli quanto piuttosto egli poco valga. Tancredi si trova simbolicamente calato in un ruolo nuovo: da anello debole e fragile del sistema familiare, che distrugge il sogno di ricchezza arrecando dei danni all’auto e generando l’ira cieca del padre, finisce per diventare egli stesso il carnefice. L’anziana nonna, infatti, nella scena finale del film, dopo pochi minuti dalla morte di Nicola, interviene, proponendosi come quel femminile dominante e matriarcale, da cui sembra che tutto il grottesco abbai avuto origine. Bisogna anche qui salvare l’onore della famiglia, bisogna ricavarne un utile, un vantaggio, non c’è dunque tempo neanche per piangere la morte del padre Nicola, così come non ve ne fu per Serenella. Tancredi allora diviene Colapesce, diviene mito e leggenda familiare, rimanendo però per sempre intrappolato dentro questa storia tragica, nel quale la “complessità” delle relazioni familiari finiscono per schiacciarlo e dominarlo. Armato da mano

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altrui, viene rinchiuso in quel bagno, immagine che simbolicamente rimanda alla possibilità di lavarsi dallo sporco, ma che – come accade ad ogni elemento potenzialmente vivificante del film- perde tale qualità “depurativa”, divenendo al contrario la prigione privata di Tancredi, prigione della memoria e della colpa, dalla quale egli non è mai più uscito. "E' stato il figlio" è la battuta che non sentiamo pronunciare, ma che ci rimane impressa dentro: un'accusa all'innocenza, alla sua ostinata incapacità di reagire a un mondo che fa di tutto per insegnarle anzitempo il significato della morte identitaria ed emotiva. Commento al film “Happiness”  

Dietro un velo di apparente normalità si diramano le trame di vita dei protagonisti in uno spaccato della società borghese americana contemporanea che cela perversioni e false identità. Una coppia di mezza età attraversa un periodo di crisi coniugale; Joe, la minore delle tre figlie, fragile e insicura chiude una relazione sentimentale alla ricerca di un amore che corrisponda alla sua rappresentazione idealizzata, incassando delusioni e abbandoni; Trish aderisce al ruolo di moglie amabile e impeccabile, attenta ai ritmi e ai codici che una buona famiglia deve seguire ma ignara e inconsapevole della pedofilia del marito psicoanalista che abusa degli amici del figlio undicenne; Hellen scrittrice, eccentrica, inquieta e insoddisfatta in cerca di esperienze forti che la liberino dal torpore e dal vuoto di non ‘sentire’ un’ identità solida. Da qui la rete di personaggi si intreccia e si intensifica sviscerando tematiche scomode e introducendo sulla scena Hallen, un uomo timido, depresso e sessualmente represso che usa l’anonimato telefonico per esprimere e scaricare sull’altro le sue fantasie sessuali perverse e ossessive; la sua vicina Kristina, innamorata di lui ma terrorizzata dal sesso e dalla sessualità adulta, un terrore che contiene in sé anche il segno di un forte desiderio non appagato.  

Il fil rouge che lega la pluralità di protagonisti e personaggi minori sembra essere la miseria emotiva, il decadimento dei valori che contraddistinguono una relazione umana sana, rintracciabili nell’onestà, nell’etica, nella capacità di amare e di essere amati. Il film, definito dalla critica ‘politicamente scorretto’, focalizza l’attenzione sulle ombre del ceto medio alto così come di quello medio basso  senza salvare nessuno (si pensi a Vlad il taxista russo che deruba Joe e picchia la moglie), spinge sulle contraddizioni interne di una società e stringe il campo di osservazione alla famiglia, alla coppia, alla relazione genitore-figlio, amalgamando e narrando abilmente la complessità di tali dinamiche e relazioni. E così si accede ad uno scenario farcito di ambivalenze, in cui quello che apparentemente si vede viene rovesciato in maniera repentina nel suo contrario e in cui la perversione umana viene inserita nel tessuto quotidiano della società; infatti, è proprio uno psicoanalista, colui che offre aiuto e risoluzione, a svelarsi un pedofilo senza scrupoli che da padre premuroso e disponibile al dialogo con il figlio si rivela cinico e freddo con lo stesso, nello svelare i particolari dei suoi abusi. Una famiglia apparentemente unita ma inquinata da segreti-non-segreti che imprigionano in ruoli predeterminati ma che al contempo offrono la possibilità di liberarsi dalle maschere, se tali maschere non consentissero una protezione alla scissione dilagante che permea le personalità di ciascun personaggio. La scissione è un meccanismo che consente percorsi che normalmente sono incompatibili ma possono integrarsi nella vita sociale, e dunque, vita sociale e ombre profonde della propria personalità possono viaggiare parallele ma in assenza di una autentica

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integrazione. I valori tradizionali crollano sia per i giovani che per gli adulti, storditi dal messaggio sociale che spinge alla falsa etica moderna del consumismo ed elegge a valore supremo il denaro, il prestigio, la riuscita professionale, la performance, l’eterna giovinezza. Su questa scia di riflessioni, il film risulta attualissimo ed è inevitabile il riferimento prima a Freud ne Il disagio della civiltà, sul disagio derivante dal lavoro di integrazione tra le spinte pulsionali del soggetto e le richieste della società, e poi a Lacan e il discorso del capitalista, che mostra l’odierna civiltà come un vortice centrifugo in cui tutto è al servizio del valore assoluto del consumo, in cui anche le emozioni vanno ‘consumate’ per essere sentite (si pensi ad Hellen, la scrittrice che desidera essere stuprata per sapere cosa si prova e riuscire a scrivere) nell’illusione che attraverso questa incessante abbuffata possa essere colmata l’angoscia della ‘mancanza dell’essere’. I protagonisti del film sono tutti vittime della promessa illusoria di risoluzione della propria mancanza diffusa dalla società contemporanea che crea pseudo mancanze che alimentano ricorsivamente il ‘mal essere’ e il circuito del consumo. Oggi, rispetto al messaggio di Freud, assistiamo all’opposto; se prima, infatti, l’imperativo era la rinuncia alla pulsione, al godimento, oggi invece è il contrario, un imperativo al godimento, al libero sfogo delle pulsioni.  

Un altro elemento che accomuna tutti i personaggi è la solitudine, la mancanza di comunicazione con se stessi, con gli aspetti più profondi e oscuri del Sé, amplifica la non comunicazione con l’altro e il desiderio di un ‘rifugio della mente’ che facilita la chiusura in un universo di fantasie in cui è possibile vivere e sopravvivere sperimentando le parti di sé più nascoste e non riconosciute.  

Un’ultima riflessione va a Billy, il bambino undicenne che per la sua stessa condizione di preadolescente sembra in cerca di integrazione e risposte dai suoi adulti di riferimento. Egli rappresenterebbe il futuro di questa società e la possibilità generativa di riscatto, ma che destino avrà Billy? Correrà il rischio di diventare un adulto simile ad Hallen, ossessionato dal sesso ma incapace di relazionarsi al mondo? La somiglianza fisica fra i due farebbe presagire un futuro analogo in cui si riattualizzano e perpetuano i copioni familiari e intergenerazionali disfunzionali.  

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